The Project Gutenberg eBook of Dizionario storico-critico degli scrittori di musica e de' più celebri artisti, vol. 2

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Title: Dizionario storico-critico degli scrittori di musica e de' più celebri artisti, vol. 2

Author: Giuseppe Bertini

Release date: September 21, 2012 [eBook #40818]
Most recently updated: October 23, 2024

Language: Italian

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*** START OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK DIZIONARIO STORICO-CRITICO DEGLI SCRITTORI DI MUSICA E DE' PIÙ CELEBRI ARTISTI, VOL. 2 ***

DIZIONARIO

DEGLI SCRITTORI DI MUSICA

C. — K.

Copertina

DIZIONARIO
STORICO-CRITICO
DEGLI SCRITTORI DI MUSICA
E DE' PIÙ CELEBRI ARTISTI

DI TUTTE LE NAZIONI

SÌ ANTICHE CHE MODERNE

DELL'AB. GIUSEPPE BERTINI

MAESTRO DELLA REGIA IMPERIAL CAPPELLA PALATINA

In medio omnibus
Palmam esse positam qui artem tractant musicam.
Ter. Prol. in Phor.

TOMO SECONDO

PALERMO
DALLA TIPOGRAFIA REALE DI GUERRA.
1815.


INDICE

Esame delle riflessioni critiche
CA - CE - CH - CI - CL - CO - CR - DA - DE - DI - DO - DR - DU - EA - EB - EC - ED - EL - EM - EN - EP - ER - ES - ET - EU - EX - FA - FE - FI - FL - FO - FR - FU - GA - GE - GH - GI - GL - GN - GO - GR - GU - GY - HA - HE - HI - HO - HU - JA - JO - IB - IP - IR - IS - IU - KA - KE - KI - KL - KO - KR - KU
Errata corrige
Avviso a' lettori
Note


[i-1]

ESAME
DELLE RIFLESSIONI CRITICHE

SOPRA IL DIZIONARIO STORICO CRITICO

DEGLI SCRITTORI DI MUSICA &c.

DELL' AB. GIUSEPPE BERTINI

Tanti non est, ut placeum tibi. Martial

Vantavasi Arlecchino in sulle scene di aver fatto molto rumore al mondo, perchè servito avea alcun tempo di tamburo in un reggimento. L'autore di queste riflessioni con maggior ragione di Arlecchino può vantarsi di aver fatti de' rumori nel mondo letterario, or con una lettera, poi con un'altra, come Musico: poi con un Panegirico, come Oratore: e finalmente con le presenti Riflessioni, come Critico[1]. I primi ed ultimi accessi della sua tipomanìa non gli hanno prodotto che sintomi musici, e da queste sue riflessioni musico-critiche ben può giudicarsi, s'egli possiede l'arte di far rumore: Sunt verba, et voces, prætereaque nihil. Ma lasciamo da parte queste bagattelle, andiamo al serio. [i-2]

Credendosi costui essere un gran barbassoro, alza cattedra di critica, di logica, di musica, ed in tuono della più ridicola pedanterìa, dà avvertimenti, spaccia delle massime, profferisce sentenze. Attacca egli da prima il titolo del mio Dizionario come meno modesto di quello de' Signori Choron, e Fayolle (di cui non ne sa che il solo titolo da me riferito nell'Introduzione), perchè costoro si contentano di chiamare il suo solamente Storico, ed io ho dato in oltre al mio il nome di Critico. Nel suo Lexicon, critico impertinente e satirico sono sinonimi, ed in questo senso infatti possono dirsi critiche le di lui riflessioni. Io non starò qui a dar la vera idea di tal nome, poichè da niuno fuorchè da lui s'ignora. Veggiamo però (sono sue parole ) quanto in conseguenza dell'intento condotto a fine, possa il nuovo dizionario del Bertini meritare il titolo che lo decora; e diamo a questo autore qualche utile avvertimento per la continuazione della sua opera. Si ammiri quì la modestia del nostro critico, e la generosità insieme di comunicare i suoi lumi. Pria che io gli faccia le mie scuse, di non esser ito in cerca delle sue vaste cognizioni, e gliene renda le dovute grazie per avermi in ciò prevenuto, favorirà dirmi ubi litteras musicas didicit? Dai bei libri, di cui egli ha regalato sinora il pubblico intorno alla musica, non dà certo grande idea delle sue cognizioni musicali, anzichè dà a divedere abbastanza, quanto sia in dietro rapporto alla conoscenza de' nuovi progressi di quest'arte, e scienza, e da migliori e più recenti scrittori, cosichè parmi che non sia egli in istato di darmi qualche utile avvertimento per la continuazione della mia opera, di cui quasi si lagna di non aver ancora felicemente che un sol volume, quasi che io mi fossi seco o col pubblico obbligato di dare in pochissimi giorni il compimento dell'opera. [i-3]

Esaminiamo dapprima (prosiegue egli) l'introduzione per formar la quale confessa l'autore essersi servito dell'opera di M. Choron, Principes ec. All'ombra di questo celebre scrittore il Sig. Bertini spaccia delle opinioni che ci sono sembrate ardite, poco musicali e niente filosofiche. In ogni parola non vi scorgete che bile, malignità, contraddizione. Per far presente a' miei lettori sotto quanti e quali rapporti può considerarsi la musica, in una nota dell'introduzione a piè di pagina io li avverto che a formare un tal quadro mi sono servito dell'eccellente opera di M. Choron; ed egli ciò malignamente rileva, quasichè accusar mi volesse come plagiario, titolo che esclusivamente a lui cedo, e che a ragione egli merita per le sue rapsodie musicali, o lettere pretese filarmoniche. Chiama quindi celebre scrittore M. Choron, senz'avere altra notizia dell'esistenza di questo autore e de' suoi scritti, che dal mio Dizionario, ed all'ombra di costui, dice egli di aver io spacciate delle opinioni a suo parere ardite, poco musicali e niente filosofiche. Se queste opinioni appartengono a M. Choron, come par ch'egli l'insinui, perchè lo chiama celebre? Se non sono di costui, perchè dire che io le ho spacciate all'ombra del medesimo? Questo gran maestro di logica non sa abbastanza difendersi dai parologismi e dalle contraddizioni.

Prosiegue il critico. Dà egli (Bertini) una nuova definizione della composizione musicale in questi termini. La composizione è l'arte di far della musica. Così un inetto autor di rettorica definito avea l'eloquenza l'arte di far de' discorsi. Questo retore avea certo bisogno di studiar la logica. Quì sua industria stà nel gettar un pò di polvere negli occhi al suo lettore, e sorprenderne l'accortezza. Mette in antitesi la [i-4] mia definizione con quella del suo inetto retore, e se gli riesce dar così ad intendere che l'una e l'altra manchi alle regole di una buona logica. Vediamolo, mentre egli ne esce con un salto, protestando che in quanto alla definizione del Bertini non si prende la pena di esaminarla.

Perchè una definizione sia compita ed esatta dee ella indicare il genere o la specie prossima a cui la cosa appartiene e la differenza che la distingue da tutte le altre del medesimo genere, o della medesima specie. Quindi vien bene definita la composizione l'arte di far della musica, perchè si contiene prossimamente nel genere d'ogni sorta di musica, e mal si diffinisce l'arte d'inventar dei canti e di accompagnarli con conveniente armonia, poichè questa differenza non la distingue abbastanza da tutte le altre specie di musica, che esser possono senza veruno accompagnamento. Quì non si tratta di Contrappunto, che non è se non un ramo della Composizione, e l'inganno del nostro Critico consiste nel confonder questa con quello, come espressamente lo aveva io avvertito di Sulzer alla pag. XX, del mio Discorso preliminare. Ma egli senza volersi prender la pena di esaminare, vuol far rumore a torto ed a dritto.

Venendo poscia l'autore (egli dice) all'enumerazione delle differenti parti che compongon la musica in generale, considera l'erudizione musicale come parte di quella riguardata quale scienza; ed eccoti in tal guisa confusa la storia colla scienza.

Da che nello scorso settembre uscì nel pubblico il Prospetto del mio Dizionario, per un principio di quell'urbanità e buona educazione, mercè la quale tanto riluce nel suo ordine[2], [i-5] e nella civile società questo Polifemo della pedanterìa, debaccando da per tutto recava argomenti della mia insufficienza, e ne deduceva a suo modo le prove da quel Prospetto medesimo: tra queste l'invincibile era a suo avviso l'aver io posto la storia nella classe delle scienze. Egli ha avuta una così dolce insieme e superba compiacenza di questa sua critica, che viene ora buonamente a ripeterla in queste delicate riflessioni. Ma se letto avesse il Cancellier Bacone nella divisione, che egli fa delle scienze, trovata appunto avrebbe la Storia nella loro classe riposta: se letto avesse il Discorso preliminare dell'Enciclopedia, il capo d'opera di M. D'Alembert, dove egli dà la genealogia e l'enumerazione delle scienze, vi avrebbe trovata a queste annoverata la Storia. La Chronologie et la Géographie, egli dice, sont les deux rejettons et les deux soutiens de la science de l'Histoire (pag. 57.) E nei suoi Elementi di filosofia: Dans la plupart des sciences, telles que la Physique, la Medicine, la Jurisprudence et l'Histoire, etc. (pag. 41.) Eccoti dunque in tal guisa confusa la storia colla scienza. Ma priacchè egli abbracciato avesse invitâ Minervâ il mestier di Censore, avrebbe dovuto studiar a fondo il soggetto, misurar le sue forze, disaminar bene quid valeant humeri quid ferre recusent, non avventurare a caso ed a tastoni la sua critica, ed esporsi così alle risa degli uomini di buon senso. Ci lusinghiamo, che il passato gli serva di lezione per l'avvenire, e che si guarisca [i-6] dalla manía di censurare e di scrivere, o che s'impegni almeno a far ciò con più di posatezza e di senno.

All'ignoranza egli unisce ancora la mala fede. Il Sig. Bertini asserisce (sono sue parole) che il sistema del basso fondamentale e dei rivolti del Rameau è stato rovesciato dall'ill. Eximeno. Reca quindi più passaggi di questo autore, dove parla del basso fondamentale, e tronca uno di questi rapportandone soltanto quella porzione, in cui Eximeno trova Rameau degno di lode: in questa maniera vuol egli mostrar falsa la mia asserzione. Ma il basso fondamentale, che insegna l'Eximeno è lo stesso, che quello del sistema di Rameau? e nol confuta anzi chiaramente? Ecco l'intero luogo dell'Eximeno recato a metà dal Censore. Sebben errò, al mio parere, il Sig. Rameau nell'origine e nelle regole del basso fondamentale, è nondimeno degno di somma lode ec. E più espressamente nella sua Introduzione, pag. 55: Il nome di basso fondamentale è stato inventato dal cel. Sig Rameau: e sebbene l'origine e le regole da lui stabilite circa questo Basso saranno in quest'Opera rifiutate, nondimeno s'è ritenuto il nome ec. L'Eximeno tenne parola, rovesciò il sistema nello stesso capitolo citato dal Censore, e ne serbò solo il nome. A che far dunque tanti rumori? In quanto alla dottrina dei rivolti, niuno mette in dubbio la loro utilità, e solo dal P. Sacchi, e dal Bertini, non sognando si sostiene, che il metodo degli antichi su i rivolti per la facilità e chiarezza, che maggiore non potrebbe desiderarsi, è preferibile di molto a quello dei moderni, Rousseau, Rameau, e d'Alembert, i quali colla loro dimostrazione teorica l'hanno anzi che no inviluppato, reso più difficile, e per conseguenza inutile. “Le speculazioni, i discorsi, le dispute, che i moderni ne hanno fatte, e tuttavia ne fanno, quale vantaggio mai hanno arrecato all'arte? In quale parte per [i-7] essi o più perfetto, o più facile è divenuto l'artificio musicale?” (Sacchi, Lett. a M. Pichl). Se il Censore si fosse presa la pena di comparare il semplicissimo sistema dell'Eximeno intorno ai rivolti a quello intrigatissimo del Rameau, l'avrebbe trovato tutt'altro di quel che dà ad intenderlo, e così svanita sarebbe la di lui maraviglia per quel che dice questo autore in favor de rivolti. Ma egli malignamente confonde l'una cosa con l'altra, miscet quadrata rotundis, e non fa che rumori.

In questa contingenza Bertini (egli prosiegue) dopo d'aver trattato il Rameau come trattansi i grand'uomini da chi non è alla portata di conoscerli, finisce in tali termini, ec. Come ci entra quì contingenza, sel veda egli che ama usar delle parole oltre al senso stabilito dalla convenzione degli uomini. E dopo aver riferite le mie stesse parole, così poi termina: Ecco per tanto Rousseau, e d'Alembert, Condillac ed intere accademie tacciate di presunzione e d'ignoranza di cose musicali. Quì scambia le accademie di scienze per accademie di musica, mentre pretende che quelle non ignorassero le cose musicali. L'onore di questa critica era riserbato all'autore del dizionario l'ab. Bertini. Rameau è l'oracolo del Censore, ed ei dà dell'anatema a tutti coloro che osano contraddirlo in qualche cosa: ipse dixit, e tanto basta. Rameau è il suo idolo, e egli come Don Chisciotte si crede in dovere di brandir la lancia in difesa della sua Dulcinea. Chi contende frattanto al Rameau il titolo di grand'uomo in riguardo a moltissime cose, ch'egli ha scritto utilissime alla pratica? chi niega esser egli stato uno dei più celebri musici della Francia? Il dettaglio dei servigj resi da lui a quest'arte si appartiene all'articolo che di lui verrà fatto a suo luogo: nel Discorso preliminare non si attacca che il suo sistema di teoria musicale, il quale non è più che un sistema, del di cui [i-8] successo dubitava egli stesso, come può vedersi da due lettere da lui scritte al P. Martini, a cui l'Instituto di Bologna rimesso ne aveva l'esame. Da me non se n'è dato altro giudizio oltre a quello che ne han recato i grand'uomini, e musici filosofi di tutte le colte nazioni, senza eccettuarne gli stessi di lui nazionali non inferiori di merito ai d'Alembert, Rousseau, Condillac, quivi da me riferiti. Costoro, dopo un esame imparziale di quel sistema, non per via di vane declamazioni, e di pedantesca ciarlataneria, armi usate dal nostro ridicolo censore, ma con valevolissime ragioni dimostrato ne hanno l'incoerenza, i difetti, e l'inutilità insieme. Le accademie stesse non sono tribunali infallibili, e i loro giudizj non sono inappellabili, questi debbono riguardarsi relativamente ai lumi dal secolo, in cui sono stati profferiti. Gli elogj e le censure non vanno a numero, ma a peso.

Io so che il buon uomo ha poi le sue ragioni di lodare a torto ed a dritto il gran Rameau. All'ombra di questo celebre scrittore non va egli superbo di essere autore di due lettere di ciarlataneria musicale? e quel ch'è più, ci minaccia anche della terza, e quarta. Come minaccia eziandio di continuare la luminosa sua critica, e le sue sensatissime riflessioni. In quanto a me basta di avere così additato ex ungue leonem.[3] Chechè in avvenire farà, dirà, scriverà contro di me, io profitterò della favoletta del Boccalini. “Un viaggiatore nojato al sommo dal romor delle cicale, come gli saltò in testa di ammazzarle, non fece che sviarsi: se egli proseguiva in pace il suo cammino, le cicale sarebbero morte senz'altro a capo d'otto giorni.”


[1]

C

Caccini (Giulio), gentiluomo romano ed uno di quei dotti professori di musica del secolo 16º, in Firenze, i quali riunivansi per ragionar di quest'arte presso il Conte Giov. de' Bardi. Il Caccini, siccome era di vivo e pronto ingegno fornito, prese a perfezionare la maniera inventata dall'illustre Vincenzo Galilei, e molte belle cose introdusse del suo nella musica, che non poco contribuirono a migliorarla. Uno dei principali mezzi fu quello di applicar l'armonia a parole cantabili cioè a poesie appassionate ed affettuose. Egli sollecitò per ogni dove gli autori a lavorare a bella posta poesie pel canto, nè tralasciò di concorrere anch'egli poetando al medesimo fine. Dalle carte di lui musicali cavò l'Arteaga una sua graziosa canzonetta, perchè rendesse, egli dice, più noto a' suoi nazionali codesto valentuomo ignorato in oggi da' poeti e da' musici, ma che merita un luogo distinto fra gli uni e fra gli altri. (Delle rivoluz. ec. tom. I. p. 244) Il Caccini nella dotta prefazione alle sue Nuove Musiche attesta, che più vantaggio egli trasse dal commercio e da' suggerimenti degli uomini letterati, che da' trent'anni spesi nelle scuole musicali e nell'arte del contrappunto, il quale, secondo lui, poco o nulla giova a perfezionare la musica. Egli di accordo co' suoi amici il Corsi, il Rinuccini ed il Peri, studiò tanto sulla maniera di accomodar bene la musica alle parole, che finalmente trovò l'antico recitativo, ossia la declamazione musicale usata da' greci, ch'era stato da lungo tempo il principale scopo delle loro ricerche. Il primo saggio, ch'ei ne diede fu nella Dafne del Rinuccini l'anno 1594 ch'egli mise in note, e quindi nella tragedia dell'Euridice in occasione dello sponsalizio di Maria de' Medici col re di Francia Arrigo IV che ebbe il più maraviglioso successo. Fra le altre poesie [2] da lui poste in musica furonvi i Pietosi affetti del Grillo rinomato poeta di quei giorni, cantati avanti il pontefice. Il Grillo al Caccini in ringraziamento scrive tra le altre cose: “Ella è padre di nuova maniera di musica, d'un cantar senza canto o piuttosto d'un cantar recitativo, nobile e non popolare: che non tronca, non mangia, non toglie la vita alle parole, non l'affetto: anzi gliele accresce, raddoppiando in loro spirito e forza. È dunque invenzion sua questa bellissima maniera di cantare, e forse ella è nuovo ritrovatore di quella forma antica perduta già tanto tempo fa nel vario costume d'infinite genti, e sepolta nell'oscura caligine di tanti secoli: il che mi si va più confermando, dopo essersi recitata sotto cotal sua maniera la bella pastorale del signor Ottavio Rinuccini: — In somma questa nuova musica oggidì viene abbracciata universalmente dalle buone orecchie, e dalle corti de' principi italiani è passata a quelle di Spagna e di Francia, e d'altre parti d'Europa ec.” (V. Idea del segretario di Bartol. Zucchi, p. 2). Il Caccini fu anche il primo a raffinare il canto monodico, introducendovi non pochi ornamenti di passaggi, trilli, gorgheggi e simili cose le quali saggiamente e parcamente adoperate contribuirono a dar espressione e vaghezza alla melodia. Egli era stato discepolo di Scipione della Palla celebre pel suo tempo: visse alla corte del gran duca di Toscana e morì in Firenze sul principio del secolo decimosettimo.

Caffarelli (Gaetano), il di cui vero nome di famiglia era Majorano, nacque a Bari nel regno di Napoli da un povero contadino: fu allievo di Porpora come Farinelli, cui egli uguagliò in riputazione e in talento, ma non mai in modestia. Si sa in qual maniera instruì Porpora [3] questo cantante, di cui detestavane l'insolenza. Per lo spazio di cinque anni fecegli costantemente imparare la stessa pagina sulla quale aveva egli notato da prima i più semplici elementi del canto, e quindi dei trilli, delle note di salto e de' passaggi di diverse specie. Al sesto anno vi aggiunse delle lezioni di articolazione, di pronunziazione e di declamazione in fine, dopo di che lo scolare che ancora non credeva di essere se non agli elementi, restò ben sorpreso allorchè gli disse il maestro: Vattene mio figliuolo, tu nulla hai più d'apprendere: tu sei il primo cantante dell'Italia e del mondo. Verso il 1730, Caffarelli portossi in Inghilterra, e sorprese tutti coloro che l'udirono; di ritorno alla patria cantò egli su molti teatri con un prodigioso successo. Fu allora che sentendo il merito straordinario di Gizziello, il quale trovavasi in Roma, prese subito la posta, e viaggiò per tutta la notte affinchè giungesse, ove l'indomani darsi doveva una grand'opera. Involto nel suo mantello, entrò di soppiatto in platea, ed allorchè ebbe inteso Gizziello, bravo!, gridò egli, bravissimo Gizziello! è Caffarelli che te lo dice. Lasciò quindi prestamente il teatro, riprese la posta, a tornò con la medesima prestezza in Napoli. Egli venne in Francia ai tempi della delfina, principessa di Sassonia, che molto amava la musica; e cantò più volte nel Concerto spirituale. Luigi XV incaricò uno de' suoi gentiluomini di camera a fargli un regalo: il gentiluomo mandò a Caffarelli, per mezzo del suo segretario, una superba scatola d'oro da parte del re. E che! disse Caffarelli, il re di Francia manda a me questa scatola! aspettate signore (aprendo il suo scrigno) eccone trenta, la menoma delle quali vale assai più di questa: se pure non fosse adorna del ritratto di S. M., allora.... “Amico, ripigliò il segretario, il re di Francia non usa far regali [4] del suo ritratto che agli ambasciadori...” Ebbene, riprese Caffarelli, che il re li faccia cantare a questi signori ambasciadori. Tutto ciò fu riferito al re, che ne rise moltissimo, e raccontollo alla delfina. Questa principessa mandò tosto a chiamare il musico, e senza dirgli parola su la sua insolente richiesta, gli diè in dono un bel diamante, e nel tempo stesso presentogli un passaporto. — “Questo, gli disse, è segnato dal re, il che è sommo onore per voi, ma bisogna profittarne, perchè non vale più di dieci giorni.” In riguardo all'insolente carattere del Caffarelli grazioso è l'aneddoto che ne rapporta in una lettera il Metastasio in data del 1749, allorchè trovavasi quel cantante in Vienna; io lo rapporterò con le stesse parole del poeta: “Questo valoroso Caffarelli con pubblica ammirazione ha dimostrato non esser egli meno atto agli studj di Marte, che a quelli di Apollo... Il poeta di questo teatro è un milanese, giovane vivace, inconsiderato, e non men ricco di abilità, che povero di giudizio. A questo hanno gl'impresarj confidata, oltre la cura di raffazzonare i libretti tutta la cura teatrale. Non so se per rivalità d'ingegno o di bellezza, fra questo ed il Caffarelli s'è fin dal primo giorno osservato una certa ruggine, per la quale sono molte volte fra loro trascorsi a motti pungenti, ed equivoci mordaci. Ultimamente il Migliavacca (che tale è il nome del poeta) fece intimare una pruova della nuova opera, che si prepara. Tutti i membri operanti concorsero, a riserba del Caffarelli: o per effetto di natura contraddittoria, o per l'avversione innata, ch'egli si sente per ogni specie di ubbidienza. Sullo sciogliersi dall'armonico congresso comparve nulla di meno in portamento sdegnoso e disprezzante, ed a' saluti dell'ufficiosa assemblea rispose amaramente, dimandando, a che servono queste pruove? Il direttor [5] poeta disse in tuono autorevole, che non si doveva dar conto a lui di ciò che si faceva: che si contentasse che si soffrissero le sue mancanze: che poco conferiva all'utile o al danno dell'opera la sua presenza, o la sua assenza: che facesse egli ciò che volea, ma lasciasse almen fare agli altri ciò che doveano. Irritato più che mai Caffarelli dell'aria di superiorità del Migliavacca, lo interruppe replicando gentilmente: che chi aveva ordinata simil pruova era un solennissimo C...... Or quì perde la tramontana la prudenza del direttore, e lasciandosi trasportare ciecamente dal suo furor poetico, cominciò ad onorarlo di tutti quei gloriosi titoli, dei quali è stato premiato il merito di Caffarelli in diverse regioni di Europa; toccò alla sfuggita, ma con colori assai vivi alcune epoche più celebri della sua vita, e non era per tacer così presto; ma l'eroe del suo panegirico, troncò il filo delle proprie lodi, dicendo arditamente al Panegirista: Sieguimi, se hai coraggio, dove non vi sia chi t'ajuti; ed incaminossi in volto minaccioso verso la porta della camera. Rimase un momento perplesso lo sfidato poeta, quindi sorridendo soggiunse: veramente un rival tuo pari mi fa troppa vergogna: ma andiamo che il castigare i matti, è sempre opera cristiana; e si mosse all'impresa. Caffarelli, o che non avesse mai creduto così temerarie le muse, o che secondo le regole criminali pensasse di dover punire il reo in loco patrati delicti, cambiò la prima risoluzione di cercare altro campo di battaglia, e trincerato dietro la metà dell'uscio fece balenar nudo il suo brando, e presentò la pugna al nemico: ma non ricusò l'altro il cimento, E fiero anch'egli il rilucente acciaro, Liberò dalla placida guaina. Tremarono i circostanti, e si aspettava a momenti di veder fumare su i cembali, ed i violini il sangue poetico e canoro; quando Mad. Tesi [6] sorgendo finalmente dal suo canapè, dove aveva giaciuto fin allora tranquillissima spettatrice, s'incamminò lentamente verso i campioni. Allora (o virtù sovraumana della bellezza!) allora quel furibondo Caffarelli in mezzo a' bollori dell'ira, sorpreso da un'improvisa tenerezza, le corse supplichevole all'incontro, le gettò il ferro a' piedi, le chiese perdono de' suoi trascorsi, e le fè generoso sacrifizio delle sue vendette. Diè segni di perdono la ninfa: rinfoderò il poeta; ripreser fiato gli astanti: ed al lieto suono di strepitose risate si sciolse la tumultuosa assemblea. Oggi gl'istrioni Tedeschi rappresenteranno nel loro teatro questo strano accidente, ec.” Caffarelli nel 1740, cantò in Venezia, e dicesi per certo che in una sola serata guadagnò quivi settecento zecchini. Tanti successi e tante ricompense lo misero in istato di comprarsi il ducato di santo Dorato, di cui ne prese il titolo e legollo poi al suo nipote. Ma non cessò non per tanto di cantar ne' conventi e nelle chiese, e di farsi caramente pagare. Alla sua morte che avvenne nel primo di febbrajo del 1783, lasciò al nipote dodici mila ducati di rendite, fra le quali bisogna porsi la superba casa che avevasi fatta fabbricare in Napoli, e dove leggevasi quella modesta iscrizione: Amphion Thebas, ego domum: alla quale un bello spirito sdegnato di cotanta albagia scrisse al di sotto: Ille cum: tu sine.

Caffaro (Pasquale), uno de' più dotti armonisti del prossimo passato secolo, nacque a Lecce nel regno di Napoli verso il 1706, studiò la composizione sotto il gran Leo, nel conservatorio della Pietà, e fu quivi uno dei piccoli maestri di mio padre, col quale restò mentre visse, amicissimo: io conservo ancora alcune di lui lettere scritte al medesimo. Caffaro fu il primo a dare una forma elegante all'arie cantabili. La sua famosa aria Belle luci che accendete, servì di modello a tutti i [7] compositori. Al riferir di Langlé suo scolare, quest'aria ebbe un sì prodigioso successo, che se ne dipinse il tema su i vasi di porcellana della manifattura del re di Napoli. Egli divenne in appresso maestro della corte e della cappella del re di Napoli, e maestro del conservatorio della Pietà. Oltre più opere da lui composte, vi ha eziandio molta musica di chiesa ch'egli scrisse a due cori. Il suo Stabat a quattro voci in canone doppio è celebratissimo, come lo è del pari il salmo Confitemini ridotto in versi italiani dal Ch. Mattei e posto in musica a più voci dal Caffaro, il di cui spartito osservando il gran Iommelli ne rilevò la bellezza specialmente ne' ripieni, e ne' cori, i quali, com'egli stesso lo attestò al Mattei, non potevansi migliorare: anzi da costui pregato a porre in note il salmo Diligam, da lui similmente tradotto in poesia lirica toscana, modestamente gli disse, che bisognava prima far dimenticare quella musica, per farne uno eguale in quel genere stesso. Il medesimo Iommelli, giudice assai illuminato e che sapeva render giustizia all'altrui merito, era solito di lodare la fecondità originale del Piccini, la gioconda facilità del Sacchini, la vivace novità del Paesiello, la dottrina armonica del Caffaro, l'esperienza teatrale del Buranelli, la filosofica economia del Gluck, e la giusta misura del Sassone, il quale meglio di tutti, ei diceva, seppe il ne quid nimis (Matt. Mem. del Iommelli.)

Caffiaux (don Filippo-Giuseppe), francese benedettino della dotta congregazione di san Mauro, morto a san Germano de' Prati nel 1777, è autore di un libro cui diè il titolo d'Essai d'histoire de la Musique, 4º.

Cajon (Mr.), autore degli Elementi di musica a una o due voci, Parigi 1772, in fol. Egli con molto artifizio rubò le lezioni di Bordier, per comporre gli elementi musicali, che pubblicò sotto il [8] suo nome. “Io non mi sono dimenticata, dice Mad. Roland nelle sue memorie, il musico Cajon, tristo uomicciuolo ardito e ciarlone, nato a Macon, dove era stato cherico corista, e a mano a mano soldato e disertor, capuccino, commissario e fuor d'impiego.... dopo quindici anni finì con lasciar Parigi, ove aveva contratto dei debiti, per rendersi in Moscovia, dove non so cosa sia divenuto.”

Caldara (Antonio), uno de' più celebri compositori dell'Italia sul principio del 18º secolo, nacque in Venezia. Dal 1714 sino al 1763 egli era a Vienna, vice-maestro dell'imperial cappella. Compose in questa città, e a Mantova, e a Venezia e a Bologna, dove era stato per l'innanti, un gran numero di opere sì per chiesa che per teatro. I gran maestri del suo tempo cercavano di comporre delle melodie piene di espressione e di sostenerle con un accompagnamento analogo al carattere del canto. Caldara era un di quelli che si sono distinti maggiormente in tal maniera: visse lunghissimamente e travagliò sino alla morte. A giudicarne dal titolo d'una delle sue opere impresse, pare che nella sua giovinezza, siasi ancor distinto qual sonator di violoncello. (V. Walther, Gerbert e la Borde)

Calegari (Il P.) da Padova, francescano in Venezia, fioriva nel 1740. La sua musica per chiesa era ammirata dai migliori maestri finchè gli venne fantasia di bruciarla, e fare eseguire de' pezzi in cui pretendeva realizzare i principj de' Greci sul genere enarmonico. Cotesta strana musica disgustò gli uditori, ed i musici la trovarono ineseguibile. Il p. Calegari era maestro di cappella di sant'Antonio in Padova, immediato predecessore del Vallotti. (v. Memor. e lett. del p. Martini) Evvi anche oggidì un buon compositore del nome di Calegari, di cui nel Magazino di Musica del Sig. Ricordi in Milano vi ha: Iº Il Fanatico [9] per gli antichi Romani; IIº L'Amor soldato, Opere buffe; IIIº Il matrimonio Scoperto, ossia le Polpette, farsa in musica.

Callimaco, poeta greco e bibliotecario del re Tolomeo Filadelfo in Alessandria, 246 anni innanti Gesù Cristo. Si dà per certo aver egli scritto otto cento libri, fra' quali uno dee trovarsene sulla musica. Kircher pretende che si conservi tuttora in Roma nella biblioteca de' gesuiti, ma il Meibomio mette in dubbio cotale asserzione. (V. Fabric. bibl. gr.)

Calmet (Don Agostino), dotto benedettino ed abate di Senones nella Lorena, assai celebre nella Repubblica delle Lettere per il gran numero di opere date alla luce, e particolarmente per le sue dotte ricerche sull'antichità della Bibbia, morì nel 1757. Nel suo Comento su la Scrittura pubblicato a Parigi nel 1720, trovansi i disegni degl'instrumenti di musica degli Ebrei, con la loro spiegazione, e una dissertazione sopra i medesimi, di cui ve n'ha una traduzione italiana fatta in Lucca, tom. 2, in 4º, 1729.

Calviere (Antonio) nacque in Parigi nel 1695. Egli era il rivale e l'amico insieme del celebre organista Daquin: nel 1738, Calviere fu scelto per organista della cappella del re. Sono stimati i suoi mottetti a due e tre voci con tutta l'orchestra. Il suo Te Deum a gran coro con istrumenti da corda e da fiato è un'opera degna di giugnere alla posterità, e cel dimostra uomo di genio. Uno de' più belli passi di questo Te Deum, dice un amator di musica che fu presente all'esecuzione, si è il versetto Judex crederis. Dopo di avere annunziata con un recitativo semplice e maestoso insieme, la venuta del gran giudice, a cui i mortali tutti debbono render conto delle loro azioni, Calviere, da uomo che sente vivamente le cose, ha dipinto anticipatamente quel giorno terribile dell'estremo giudizio. Cominciano i flauti dall'esprimere il fischio de' venti; [10] tutto il corpo dell'armonia eseguisce una tempesta che fa fremer di orrore. Un tamburo situato nel mezzo dell'orchestra e di continuo battente, esprime lo spaventevole fracasso del tuono unito a quello delle tempestose onde del mare: già sentesi lo scompiglio della natura: va in rovina l'universo, tutto è ridotto al nulla. Due trombe, situate dirimpetto l'una dell'altra nelle due tribune de' fianchi, fanno alternativamente la rassegna. Allora tutti i popoli presi dallo spavento, in un coro patetico alzano la loro voce, e profferiscono; Te ergo quæsumus, etc. Questo valentuomo, dopo aver fatto per lungo tempo le delizie di tutti coloro che lo sentivano alla corte e nella città, finì di vivere li 18 aprile del 1755, nel sessantesimo anno dell'età sua.

Calvisio (Seto), e propriamente Calwitz, musico dottore nella scuola di San Tommaso in Lipsia, nato nella Turingia nel 1556, e morto a Lipsia nel 1617, è molto famoso per i suoi talenti in musica, per la sua erudizione nella cronologia e nella lingua latina. Nel 1592, pubblicò egli: Melopœia, sive melodiæ componendæ ratio, quam vulgo musicam practicam vocant. Questo libro è per così dire, tutto d'oro, secondo il Brossard, e il migliore di tutti quanti trattano a quell'epoca della composizione a più parti. Vi ha fra le altre cose un'eccellente prefazione nella quale dopo aver fatta vedere la differenza della musica degli antichi greci, e latini da quella del suo tempo, egli afferma che la musica a più parti non si cominciò a introdurre che circa il 1300. Abbiamo inoltre di quest'autore un'opera su la musica, intitolata: Exercitatio musica, etc. Lipsiæ 1611. Calwitz fu uno de' primi a adottare e commendar l'uso delle sette sillabe a dinotare le sette note della scala, per così evitare la sconvenienza delle mutazioni nell'antica maniera di solfeggiare. Walther dà [11] dei dettagli bastanti per quel che riguarda i suoi talenti e le sue produzioni in musica, ma bisogna ancora aggiungervi le seguenti opere, cioè: 1. De initio et progressu musices, et aliis quibusdam ad eam rem spectantibus exercitatio praemisso praelectioni musicae, in ludo Senatus Lipsiensis ad D. Thomam, Lipsiae, 1600 in 8º. Quest'opera contiene i principali avvenimenti della storia della musica ben seguiti ed esattissimamente sviluppati. 2. Exercitationes musicae tres de praecipuis in arte musicâ quaestionibus institutae, Lipsiae 1611, in 8º. 3. Il 115º salmo per dodici voci in tre cori, Lipsia, 1615 in fol. 4. I salmi di Davide posti in canto da prima dal fu Mr. Cornelio Becker, e ridotti a quattro voci da Seto Calwitz, Lipsia 1617, in 8º, e molte altre composizioni per chiesa.

Calvoer (Gaspare), nato a Hildesheim li 8 novembre 1650, morto nel 1725, sovrintendente a Clausthal. Oltre la piccola opera intitolata: De musicâ ac sigillatim de ecclesiasticâ eoque spectantibus organis, Lipsiæ 1702, in 4º, di cui parla Walther, ha trattato ancor della musica di chiesa nel vol. 2º del suo Rituale ecclesiasticum. Scrisse eziandio l'introduzione alla temperatura pratica di Sin, che contiene alquanti arcani della musica, e che si trova ancora nel Vorhemache der gelehrsamkeit: ossia gabinetto di erudizione di Falsio, pag. 567 — 624. Fu ancora Calvoer che incoraggiò e sovvenne il giovane Telemann, per fargli proseguire la carriera musicale, che egli senza lui avrebbe abbandonata.

Cambini (Giuseppe), nato in Livorno verso il 1750, si stabilì a Parigi dopo il 1770. Nella sua giovinezza ebbe la riputazione di eccellente violinista. Le sue opere impresse sono: Cinque dozzine di sinfonie; dodici dozzine di quartetti concertanti pel violino: più opere di trio, duetti e di sonate sì per violino, come per il forte-piano, il flauto e 'l violoncello. [12] La sua musica instromentale è stata ricercata dagli amatori all'epoca della sua pubblicazione; la cantilena ne è amabile e corretta la composizione. Cambini non si è limitato a comporre solo della musica, egli pubblicò nel 1788, diversi solfeggi, di una difficoltà che va per gradi, per l'esercizio del fraseggiare, dello stile e dell'espressione, con alcune necessarie osservazioni ed un basso in cifre per l'accompagnamento. Si dice ch'egli abbia in manoscritto un suo Trattato di composizione, che studiato aveva sotto il pad. Martini.

Campbell (dottor), professore di medicina in Edimburg, pubblicò ivi nel 1777 una sua opera col titolo: De musices effecta in doloribus leniendis aut fugiendis. Il dr. Lichtenthal la cita con elogio nel suo Trattato dell'influenza della musica sul corpo umano (Milano, 1811).

Campion, membro dell'Accademia di musica di Parigi, sul principio del secolo 18º, diè al pubblico un Trattato di accompagnamento e di composizione secondo la regola delle ottave di M. Maltot, suo predecessore nel posto all'Accademia.

Campioni (Carlo-Antonio), maestro di cappella del gran duca di Toscana dopo il 1764 viveva da prima in Livorno, d'onde fece incidere in Londra i suoi trio per violino. Facevasene allora così gran conto che furon contraffatti in Olanda e in Germania. Divenuto maestro di cappella travagliò per la chiesa. Nel 1767, compose un Te Deum che fu eseguito da un'orchestra di dugento persone. Egli possedeva una delle più belle collezioni di musica vocale de' maestri del secolo 16º, e 17º (V. Burney t. 1.).

Camprà (Andrea), nato a Aix nella Provenza nel 1660, fu successivamente maestro di musica delle cattedrali di Tolone, di Arles, di Tolosa e venne nel 1694 in Parigi, ove fu ricevuto maestro di cappella della cattedrale. Dopo avere lungamente goduta la più grande riputazione, morì a Versaglies [13] nel 1744 in età di 84 anni. “Due uomini, dice l'ab. Laugier, si sono particolarmente distinti nella composizione de' religiosi nostri cantici; Camprà e la Lande. Camprà uno de' più bei genj per la musica, che siano ormai comparsi, tutto dovette alla natura, e non gli fu d'uopo di studio se non per lo sviluppo di tutte le molle di sua brillante immaginazione. La Lande men felicemente nato per giugnere alla perfezione, fu obbligato a spianarsene il cammino mercè un'assidua ed ostinata fatica. Il primo, più fecondo e più ardito, fu alcuna volta il bersaglio della troppo grande sua facilità. Il secondo, più riserbato e più saggio, fu sovente troppo schiavo della severa sua correzione. Camprà, spirito vivace e leggiero, non si diè mai la pena di limare e finir le sue opere; tutto vi comparisce tocco al primo colpo; ma con un sì prodigioso naturale, che si crederebbe i suoi canti essersi fatti da per loro medesimi, e che per comporli, egli non ha avuto bisogno che scriverli. La Lande, spirito lento e riflessivo, nulla ha prodotto che non sia travagliato all'estremo; si sente che egli ha ritoccato più volte, che non è riuscito se non a forza di studio e di pazienza. Camprà non è stato pressochè mai mediocre: o è sublime, o è piano: o niente egli esprime, o esprime divinamente, è un fuoco che scintilla e si estingue; egli ha dei slanci che incantano e dei sdrucciolamenti che rivoltano; quand'egli ha delle grazie, le ha tutte; quando piace, niuno quant'egli. La Lande, più sostenuto, è molto uguale a se medesimo; egli non è abitualmente sublime, e non è mai pur basso: la natura non sempre il serve bene, l'arte mai l'abbandona: trovansi di raro in lui que' pezzi amabili, che Camprà rende così ingenui e così toccanti quando gli riesce di far bene; ma non vi si scorgono, come in cotesto, di que' luoghi comuni e triviali, che [14] sono il supplizio delle orecchie delicate. Il carattere di la Lande è più serio: quel di Camprà è più ridente: la musica del primo è sempre più dotta; quella del secondo è abitualmente più vera. La Lande è un artista che maggiormente si stima; Camprà è un seduttore che infinitamente fa amarsi.” (Apologie de la musique p. 122). Passa quindi l'ab. Laugier a far l'analisi della musica dei Salmi composti da Camprà. “Evvi, egli dice, un'immagine più nobile delle grandezze di Dio, quanto il Quis sicut Dominus del suo Laudate pueri? un'espressione più forte della di lui onnipotenza, quanto il Conturbatæ sunt gentes, grandioso magnifico coro del Deus refugium? una più ardita insinuazione della confidenza che Dio inspira, quanto il Propterea non timebimus del medesimo salmo? un quadro più soave delle sue bontà come il Memoriam fecit del Confitebor? una rappresentazion più naturale della fuga miracolosa delle onde in presenza di Mosè, come il Mare vidit et fugit dell'In exitu? e cento altri ammirabili luoghi, che dico? anzi inducenti alla disperazione per tutti coloro che hanno a percorrere la stessa carriera, ec.” (ibid.)

Cannutiis (Pietro de), di Potenza nel regno di Napoli de' frati minori conventuali, e professore di musica su la fine del 15º secolo; da Tevo e da Martini viene annoverato tra gli autori di musica, perchè nel 1501, pubblicò egli in Firenze un trattato col titolo di Regulæ florum musicæ (Walther).

Canovio (Alessandro), uno de' più dotti italiani che nel 15º secolo coltivarono la teoria musicale: scrisse su i principj specolativi di quest'arte, che manoscritti conservansi nella biblioteca dell'Istituto di Bologna, e di cui fan menzione Haym e Fontanini nella loro Biblioteca italiana. Un altro dello stesso nome Canovio assai più recente fece imprimere verso il 1780, in Parigi sei duetti per flauto e violino, ed [15] altrettanti in Venezia.

Cantemiro (Demetrio), principe di Valachia al servigio di Pietro il Grande imperator delle Russie, celebre per le vaste sue cognizioni nelle scienze, è stato direttore dell'Accademie di Pietroburgo. Egli morì nelle sue terre d'Ucrania in molta stima presso a' suoi sudditi nel 1723. Tra le molte di lui opere vi è ancora un'Introduzione alla musica turca, stampata in lingua moldava; e nella sua Storia compita della Turchia egli dice di essere stato il primo ad introdurre nel 1691, le note della musica presso i Turchi in Costantinopoli, e che egli ha formato non solo una collezione di canzoni turche, ma anche un'istruzione su la musica di questa nazione. Quest'ultima, come ce lo assicura Mr. Reichardt, si è perduta nel mare; ed in quanto alle note, niun Turco oggidì ne ha la menoma cognizione (V. Hunstmagazin).

Capella (Marziano Mineo Felice), nato in Africa, viveva in Roma verso l'anno 490 di G. C. onorato come si crede, della dignità proconsolare. Egli fu uno de' pochi latini scrittori della greca armonia: il suo barbaro poetico-prosaico, e greco-latino linguaggio, e la sua affettata e dura collocuzione sono manifesti indizj di aver egli scritto in assai barbari tempi. Coll'occasione di qualche maritaggio (per quanto pare del suo scritto) della primaria nobiltà, compose egli le Nozze della Filologia, nel cui nono libro dà un compendio degli scritti armonici di Aristide Quintiliano. Egli scrisse da poeta non mai da armonico, comeché il di lui compendio non sia privo dell'intelligenza dell'arte. Meibomio ha dato questo suo libro di Musica nella raccolta dei Greci Musici alla fine del secondo tomo, a Amsterdam 1652, in 4º. Marciano mette in bocca d'una Dea il suo ragionamento dell'armonia, benchè questa s'ignorasse allora dai mortali. La divisione [16] della battuta in otto parti non si trova che in questo scrittore, quantunque non sia aliena da' Greci pratici: del rimanente costui nulla ha di nuovo, e detta il sistema equabile de' Greci tale, quale si trova nel primo libro di Aristide. L'erudizione da lui raccolta alla pag. 177 di quella edizione, sopra i prodigj adoperati dalla musica, deve considerarsi come una finzion da poeta: manca in questi l'esattezza storica e regna l'iperbole da per tutto. Pur nondimeno tutta l'enciclopedia de' secoli barbari consisteva in questo libro delle Nozze filologiche, ossia Trattato delle sette Arti liberali di Capella, come espressamente lo dice Gregorio di Tours nel libro decimo della sua storia.

Capelli, compositore italiano de' nostri giorni, ha scritto la musica del dramma di Achille in Sciro, e quella del salmo 116º in latino a quattro voci, con molte altre ariette e cantate. Nel 1783, comparve di lui nel pubblico una canzonetta di Metastasio con accompagnamento di un Violino, e nella Gazzetta di musica di Bossler, trovasi in oltre di sua composizione una scena di un'opera italiana, per un soprano, in partitura.

Capocino (Alessandro), nato nel ducato di Spoleto, viveva in Roma nel 1620, ove ha egli scritto cinque libri di musica. (V. Joecher)

Capranica (Cesare), maestro di musica in Roma sulla fine del secolo 16º, diè quivi al pubblico: Brevis et accurata totius Musicæ notitia, Romæ 1591, in 4º. Quest'opuscolo poco interessante fu ristampato in Palermo nel 1702, per opera di don Vincenzo Navarra prete beneficiato della cattedrale, con alcune di lui correzioni. Della stessa famiglia Capranica di Roma troviamo ne' Viaggi musicali di Burney, (tomo 11), una giovine cantatrice Rosa di nome, allieva della Mingotti, dopo il 1773, a Monaco al servigio dell'elettor di Baviera. Essa veniva allora da Roma, e cantava [17] con una straordinaria nettezza; e di una maniera molto aggradevole.

Caprara, maestro di cappella dell'imperatore in Vienna, nel 1736 vi dirigeva al teatro di quella città una numerosa orchestra de' migliori musici.

Caramuele de Lobkowitz (Giovanni), dottore e professore in teologia, vescovo di Vigevano, dell'ordine de' Cisterciensi, nato a Madrid nel 1606, oltre a molte sue opere di altro argomento una ven'ha pubblicata in Roma su la musica, ella ha per titolo: Arte nueva ec. cioè Nuova arte della musica inventata da san Gregorio nel 600; corretta l'anno 1026 da Guido Aretino; restituita alla primiera sua perfezione l'anno 1620, da Fr. Pietro de Urenna, ora ridotta a questo breve compendio, l'anno 1644, in 4º, Roma. La stessa opera è stata impressa ancora in Vienna nel 1745. Chi ne brama ulteriori dettagli, potrà consultare Walther e Arteaga, tom. I, cap. 4, pag. 203.

Carapella (Tommaso), maestro di cappella in Napoli verso il 1700. Il P. Martini nella sua Storia parla vantaggiosamente del di lui stile madrigalesco. In Napoli si è stampata nel 1728 una collezione di cantate a 2 voci composte da questo autore.

Carbasus (L'abbate). Nel 1739, comparve sotto questo nome un opuscolo in 12º, col titolo di Lettre sur la mode des instrumens de musique: M. de Boisgelou riguardava come pseudonimo quest'autore.

Carbonel (Gius. Franc. Narcisso), figliuolo di Giuseppe Natale Carbonel inventore di uno stromento detto galoubet, e morto nel 1804, nacque in Vienna d'Austria nel 1773. Allorchè i suoi parenti vennero a Parigi egli non aveva più di cinque anni: suo padre insegnogli gli elementi della musica, ed allorchè si stabilì la scuola reale del canto verso il 1783, egli fu del numero de' ragazzi scelti per entrarvi, e vi proseguì in [18] una maniera più estesa, i suoi studj musicali. Fu anche del numero di coloro, le di cui felici disposizioni dando delle speranze, meritarono delle pensioni. Benchè allievo, egli esiggeva 400 lire per anno. Aveva allora una graziosa voce di soprano, e cantava in tutte le messe solenni eseguite nelle chiese di Parigi: a quest'epoca cantò tre volte sin nella cappella del re, ove i capi della scuola reale desideravano di farlo sentire. Egli fu allievo nella scuola di Gobert per il cembalo; di Rodolphe e di Gossec per l'armonia e la composizione; di Piccini, Langlé e Guichard per il canto. Verso il 1787, egli fece eseguire al Concerto Spirituale una scena di sua composizione (la Morte del principe Leopoldo di Brunswick). Egli stesso cantovvi la prima aria con la sua voce di soprano; ma nello spazio de' due pezzi che cantavano Rousseau e Chardini, la commozion naturale a un ragazzo di quattordici anni produsse in lui tale rivoluzione, che affrettò il cambiamento della sua voce, e senza avere provato altro effetto della mutazione, cantò egli il trio che termina la scena, metà in voce di soprano, metà in voce di tenore. Dopo quest'epoca non ha conservati che de' tuoni medj bastanti per dare le sue lezioni come professore di canto. Tra gli allievi ch'ha formati in Parigi, vi si distingue Mad. Scio celebre attrice del teatro Feydeau. Carbonel è autore di più scene ed oratorj eseguiti nel Concerto Spirituale, e di tre opere di sonate per il piano-forte stampate con altri pezzi separati in Parigi.

Carcani (Giuseppe), maestro di cappella agl'incurabili in Venezia, nato a Crema nella terra ferma, cui propose il medesimo Hasse per suo successore, allorchè lasciò quel posto per rendersi a Dresda. Si conservano ancora molte di lui composizioni: nel 1742, egli compose l'opera Amleto per il teatro di Venezia. Egli fu uno de' primi, secondo il [19] Carpani, a scrivere delle sinfonie in Italia, secondo l'uso di allora, a primo e basso e non più. (V. letter. 1.)

Caresani (Cristofaro), organista nella real cappella di Napoli verso il 1680, viene annoverato tra i migliori compositori del suo tempo. I suoi duetti, che comparvero nel 1681, sono singolarmente pregiatissimi: i terzetti o solfeggi, esercizj a tre voci su gl'intervalli della scala che le vanno appresso, dovrebbono essere in tutti i conservatorj e in tutte le scuole di canto. Mr. Choron li ha inseriti nel libro IIº de' Principj della Composizione delle scuole d'Italia, Parigi 1808.

Carestini (Giovanni), detto il Cusanino, dalla famiglia dei Cusani di Milano, che lo prese sotto la sua protezione dall'età di dodici anni, nacque a Monte-Filtrano nella Marca di Ancona, e brillò quasi per quarant'anni su la scena, come uno de' primi cantanti. Dal 1733 sino al 1735, cantò in Londra sotto Hendel; fu quindi a Parma, d'indi a Berlino nel 1754. L'anno di poi fu finalmente a Pietroburgo, nel teatro dell'opera sino nel 1758, che fu l'anno medesimo in cui fè ritorno alla sua patria per gustarvi il riposo, ma poco tempo dopo egli vi finì di vivere. Hasse ed altri gran maestri dicevano che nulla erasi inteso quando non si fosse inteso il Carestini. Non ostante la sua gran perfezione, ei studiava continuamente, e un giorno rispose ad un amico che avendolo sorpreso in tale occupazione, glie ne mostrò la sua sorpresa: Come volete che io soddisfaccia altrui, se io non so soddisfare me stesso. Egli aveva nel medesimo tempo l'azione così perfetta, che unita alla sua bella figura, sarebbe stata sola bastante per renderlo famoso. Quantzio parlando di lui, così s'esprime: “Aveva egli una delle più forti voci di contralto; saliva dal re sino al sol: era inoltre sommamente esercitato ne' passaggi che egli eseguiva a via di petto, conforme [20] a' principj della scuola di Bernacchi, e della maniera di Farinelli. Era egli assai ardito, e spesso felicissimo nelle variazioni.” In Dresda e a Berlino fu principalmente ove si perfezionò nell'esecuzion dell'adagio.

Carilles (Pasquale), nato in Madrid nel 1770, fu allievo di Manuele Carilles suo padre, violinista della cappella reale di S. M. Cattolica. I suoi grandi progressi sul violino lo fecero entrare ne' suoi più freschi anni presso la duchessa di Ossuna sino al 1788. Egli occupò nello stesso tempo il posto di violinista al teatro del Los canos del Peral, come nella real cappella di Lasdelcalzas. Da quest'epoca sino al 1792, percorse la Spagna: al suo ritorno in Madrid, fu successivamente primo violino della musica del fratello del duca di Medina-Celi, e di quella della Duchessa madre di Ossuna. Nel 1793 portossi in Lisbona, e percorrendo nuovamente la Spagna nel 1797, il suo talento interamente formato gli attirò tutti i suffragj: visitò ancora l'Olanda e l'Inghilterra, ma in Francia la vanità e la millanteria di essersi spacciato in tutte le compagnie di Parigi come il primo violino del mondo, fecelo sfigurare alcun poco. Invitato a sonare il primo di un quartetto di Haydn, in compagnia di Kreutzer, Rode e Lamarre, questi tre bravi artisti postisi a gara a chi meglio di loro adornava le sue parti, lo misero in tal disordine che il povero Carilles restò compiutamente smarrito, e bisognò tornarsene prestamente in Ispagna. Ma nel 1800, fecesi sentire con applauso e con buon successo a Bordeaux, a Tolosa, a Marsiglia, a Lione e finalmente in Parigi sul teatro dell'Accademia; egli si è ora stabilito a Nantes, ed applicato a tenere scuola, forma continovamente degli allievi che gli fanno onore.

Carissimi (Giacomo), maestro della cappella pontificia e del collegio di Roma verso [21] il 1609, fu riguardato in tutta l'Europa come il più valente compositor del suo secolo, ed egli ha conservata cotesta riputazione nelle generazioni di appresso. Carissimi fu il maestro di Cesti, di Scarlatti, di Bononcini, di Bassani e di più altri. A lui attribuiscono generalmente gl'Italiani l'attuale modificazione del recitativo, che Caccini, Peri e Monteverde avevano veramente trovato prima, ma a cui non avevano data ancora che imperfetta forma. Carissimi il perfezionò dandogli un canto più facile, più naturale, e vie più ravvicinandolo all'accento del parlar familiare. Egli fu eziandio il primo che diè qualche movimento ed alcune figure al basso, fino allora assai pesante e monotono; idea di cui in appresso si servì Corelli con tanto successo nelle sue composizioni. Fu ancora egli il primo ad unire e introdurre nelle chiese l'accompagnamento della musica instrumentale ne' mottetti; e si dà anche per certo essere egli stato il primo inventor delle cantate: pare pur nondimeno che egli abbia cominciato soltanto a servirsene per la chiesa e per soggetti sacri. Le più celebri fra le sue cantate sono il Giudizio di Salomone ed il Sacrifizio di Gefte. Si fanno generalmente grandi elogi de' suoi mottetti, e si cita particolarmente quello che comincia, Turbabuntur impii: Galuppi facevane grande stima. Il suo stile era dolce, fluido, senza che perciò fosse men sublime e men nobile. Signorelli dice che quando egli veniva lodato per la facilità del suo stile, rispondeva: Ah! questo facile quanto è difficile!

Carlenças (Giovenale de), autore di un'opera intitolata: Essai sur l'histoire des belles lettres, des sciences et des arts, 4 vol. in 8º, 1751. Quest'è una storia ristretta dello spirito umano, un colpo d'occhio sopra le scienze, e sopra l'arti d'eloquenza, della poesia, della musica ec. “Esaminare, dice l'autore de la Nouvelle Bibliothèque [22] d'un homme de goût, (Paris 1808, tom. 4), esaminare senza veruna eccezione ciascuna scienza, ciascun'arte in particolare, darne da prima un'idea giusta, chiara, e precisa, fissare ad epoche certe la loro origine, i loro progressi, la lor decadenza, il loro risorgimento; seguirle presso tutti i popoli che le han coltivate, e fare il carattere di tutti quegli che vi si sono distinti o per le loro scoverte, o pe' loro scritti: ecco in qual maniera si è condotto de Carlenças nell'esecuzione del suo libro, e si vede che questo piano corrisponde perfettamente all'idea che fa nascere nello spirito dei lettori il titolo del suo libro.”

Carletti, abbate in Roma, uno dei redattori del Giornale delle belle arti, nella parte della poesia e della musica, che pubblicavasi in Roma nel 1788, e ne' seguenti anni.

Carlo VI, Imperatore di Germania nel 1711, morto nel 1740, gran conoscitore ed amatore della musica e fornito di tutte le cognizioni che formano un vero virtuoso. Egli stabilì in Vienna un musico liceo, dove insegnavasi a tutto rigore il contrappunto, massimamente il fugato: era egli stesso gran contrappuntista e dilettavasi moltissimo a comporre e a cantare de' canoni, ch'egli inoltre faceva scrivere da' migliori maestri italiani e tedeschi. Un giorno ch'egli sonava al forte-piano lo spartito di un opera di Fux, suo antico maestro di cappella, che gli volgeva le foglie, esclamò questi con entusiasmo: Ah! vostra Maestà potrebbe esser maestro di cappella da per tutto! Al suo tempo il gran Porpora se ne viveva povero ed ozioso in Vienna, perchè la sua musica non piaceva a quell'intelligente sovrano, trovandola troppa piena di trilli e di mordenti. Hasse detto il Sassone, che era allora maestro della sua Corte, e che stimava il Porpora, dopo aver fatto un oratorio per S. M. ebbe l'ordine di farne un secondo. Egli, che era ottima [23] persona, pregò il direttore dalla musica di corte perchè ottenesse da S. M., che in vece sua lo scrivesse il valente Porpora. Fattane la proposizione al sovrano, rispose egli da prima che non amava quello stile caprino e balbettante; ma lodata la generosità del richiedente, finì col dire che, se ciò stavagli a cuore, glie lo accordava. Hasse tutto lieto corse colla buona novella al collega, ma lo avverte di moderarsi ne' trilli. Porpora scrive, e per tutto l'oratorio non mette un trillo, un mordente. Si fece al solito la prova generale davanti all'imperatore, il quale incantato della nuova maniera del Porpora, andava dicendo “È tutto un altro: non vi son trilli;” quando eccoci alla fuga che chiudeva il sacro componimento, e che? Comincia il tema da quattro note trillate, e d'un trillo passandosi nell'altro, così si forma il soggetto. Ognun sa, che nelle fughe il soggetto scorre da una all'altra parte e si rimescola, senza mutarsi. Quando l'Imperatore, che dicono non rideva mai, udì nel gran pieno della fuga questo diluvio di trilli che pareva una musica di paralitici arrabbiati, non potè più contenersi, e proruppe in uno scoppio di ridere clementissimo che fece poi la fortuna del Porpora. Alla protezione e all'onore di poeti cesarei da Carlo VI accordato al Zeno e al Metastasio dee la musica i preziosi loro drammi, che tanto contribuirono a' suoi rapidi avanzamenti e alla sua perfezione.

Caroli (Angelo), buon compositore in Bologna verso il 1710, era partigiano dell'accompagnamento di gran rumore, di cui da qualche tempo in quà si è fatto tanto abuso. Nel 1723, egli pubblicò quivi l'opera in musica Amor nato tra l'ombre, ed alcuni anni più tardi una bellissima serenata, che ebbero allora un felice successo.

Carpani (Giuseppe), buon poeta italiano ed intendentissimo di musica a' nostri tempi, non so se della stessa [24] famiglia di Gaetano Carpani, compositore per chiesa verso il 1750; egli ha pubblicato in Milano nel 1812 le Haydine ovvero Lettere su la vita e le opere del celebre maestro Giuseppe Haydn dedicate al R. Conservatorio di musica di Milano, in 8º. Ecco l'idea che dà egli stesso di quest'opera. “Io scrissi unicamente, (son le sue parole) per l'onore di un Artista incomparabile, e pei progressi di un'Arte che amo sopra ogni altra, e vorrei perciò esser letto da tutti, e per le curiosità che contengono, non che per le musiche quistioni che vi si agitano, potranno non dispiacere... Io mi son uno che nato nel paese della musica, e dotato dalla natura di due buone orecchie, sentii fin dalla culla amore per questa dolcissima Arte, pascolo delle anime grandi, sollievo delli infelici, e trattenimento quasi universale d'ogni Essere animato. Non contento della fisica dilettazione, amai d'internarmi nella metafisica di questa scienza, e scoprirne, per quanto era concesso al mio tenue ingegno, le fonti e le ragioni del bello che è a lei proprio, onde vieppiù gustarlo. Contrassi perciò amicizia con molti de' più celebri artisti del p. p. secolo, che fu il secol d'oro della musica, e singolarmente col maestro Haydn, che il padre dee dirsi della musica istrumentale. Questi studj, e questi legami mi posero in istato di compilare la vita di Haydn, e di favellare della di lui arte. È innegabile che questa scienza va ognidì più decadendo, perchè, abbandonate le tracce de' buoni compositori, si è andato in cerca di novità pericolose”. (Triste, tristissima verità, che non può abbastanza inculcarsi a' giovani compositori d'oggigiorno!) “E gli uni hanno sostituito il capriccioso al vero, altri l'erudito al bello, e quasi tutti [25] hanno confusi i generi, e volte le spalle alla natura; con che un bello fittizio si è introdotto, che invece di parti luminosi, produce degli aborti di effimera durata. Mi parve ciò posto, opera e dovere d'ogni buona persona l'opporsi, per quanto da noi dipende, e far argine a questa rovina”. Questo dotto biografo di Haydn tesse adunque con i lumi di una sana e giudiziosa critica la storia dell'arte musicale dello scorso e del presente secolo in quindici lettere, in uno stile facile e grazioso, evitando, come dice egli stesso, le aride espressioni tecniche e le astruse ricerche dell'acustica e del contrappunto, ed occupandosi principalmente della parte estetica, che d'ordinario è la più trascurata dai maestri e che ha più bisogno delle altre di essere inculcata.

Carré (Luigi), dell'Accademia delle Scienze, morto in aprile del 1711; fu incaricato dall'abbate Bignon di fare la descrizione di tutti gl'istrumenti in uso nella Francia. Egli pubblicò pienamente una Teoria generale di suono, e nel 1709, diè la proporzione che aver debbono i cilindri, per formare, col mezzo de' loro suoni, gli accordi della musica.

Carré (Fra Remigio), monaco benedettino laico, è autore del Maestro de' Novizj nell'arte del cantare, Parigi 1744, in 4º. Nel Giornale de' Letterati, che stampavasi in Parigi, dell'anno 1745, si fa l'elogio di questo libro. All'articolo della voce, il frate Remigio fa il panegirico del vino, lo raccomanda per tutti i morbi, e dice: Il vino solo senz'altro fa quasi altrettanto che gli altri medicamenti insieme. Vi si trovano ancora alcune altre proposizioni che non sono men curiose e bizzarre.

Cartaud de la Vilate (Mr.), autore di un Essai historique & philosophique sur le goût, a Paris 1735, in 12º. Nella seconda parte di questo Saggio vi si trovano molte riflessioni che fa quest'autore [26] su la musica in generale, su la musica italiana, su la francese, e su i cambiamenti da alcuni anni in quà fatti in quest'ultima. “I partigiani di Lully, egli dice, gridano che l'armonia prende un tuono geometrico che disgusta il cuore: convengono essi, che questa musica è dotta e bene eseguita, ma che interessa meno le passioni di quella del Lully. De' begli accordi ben variati, ma sprovveduti di sentimento, sono effettivamente uno studio per gl'intendenti, e cagione di noja e di sonno per quei che temono si fatte ostruzioni.” L'autore per ultimo esamina in che consiste il Geometrico dell'armonia. Pare che egli intenda poco questa materia.

Cartier (Giovan-Battista), nato nel contado di Avignone, fu scolare del Viotti per il violino nel 1783. Egli entrò nell'orchestra dell'opera nel 1791, e Paisiello il nominò nel 1804, membro della musica particolare di S. M. Senza che fosse egli professore del Conservatorio di Parigi, Mr. Cartier ha contribuito con le sue opere a formare i migliori violinisti usciti da quella scuola. Egli ha dato successivamente le tradizioni di Corelli, di Porpora e di Nardini, pubblicando le sonate di questi tre valenti maestri. Segli deve in oltre l'Arte del violino, ossia la Divisione delle scuole, per servir di compimento al metodo di violino del Conservatorio, in un vol. in fol. Ella è questa una scelta delle migliori sonate estratte dalle opere de' violinisti delle tre scuole, Italiana, Francese e Tedesca. Mr. Cartier promette di recente la tradizione dell'Arte dell'archetto di Tartini, e un Saggio storico e ragionato sopra l'arte del violino. In tutte le orchestre de' teatri di Parigi vi sono de' di lui allievi, che fanno molto onore al maestro e all'arte.

Caruso (Luigi), compositore distinto e vivente tuttora dell'Italia, nato in Napoli da un padre maestro di cappella, e fratello di Emmanuele [27] Caruso abile cantante di tenore, da più anni stabilito in Palermo in servigio delle chiese. Luigi nel 1777, scrisse in Firenze, il Medico magnifico: ed il Fanatico per la musica in Roma nel 1781; questa musica diè molto nel genio de' Romani, e fece al suo autore gran nome in Italia; nel 1787, e 1788 scrisse egli il Maledico confuso, la Tempesta ed il Colombo tutte e tre per Roma, e Gli Amanti dispettosi per Napoli. È anche conosciuto in Germania per diverse composizioni di musica vocale.

Caruzio (Gaspare-Ernesto), al servigio dell'Elettore di Brandeburgo, ed organista a Custrin, eccellente maestro nella sua arte, vi fece imprimere nel 1603, un'opera intitolata Examen Organi pneumatici.

Casa (Girolamo della), udinese, professore di musica su la fine del quindicesimo secolo. Oltre più madrigali da lui raccolti di diversi autori, egli scrisse ancora un trattato con questo titolo: Il vero modo di diminuire con tutte le sorti di stromenti, il quale è divenuto rarissimo.

Casali (Giovan-Battista), valente maestro di cappella di san Giovanni di Laterano in Roma nel 1760, autore di un gran numero di messe, d'oratorj ed eziandio di opere teatrali. Il suo stile era assai brioso e nitido: egli ebbe per allievo il celebre Gretry.

Casali (Ludovico) di Modena, autore di un libro intitolato: Le Grandezze e Maraviglie della musica, Modena 1629. Il P. Martini lo cita con elogio nella sua storia.

Casella, cantore e compositore in musica, contemporaneo di Dante e suo intimo amico, viveva in Firenze verso il 1280. “Fu costui Musico eccellentissimo, dice l'annotatore di quel poeta, e come s'intende da' suoi versi di lui amicissimo, e un uomo di natura facile e compagnevole.” Egli è il primo compositore di madrigali che [28] si conosca. Nella biblioteca del Vaticano si vede un madrigale del 1300, sul quale è rimarcato Casella come autore della musica; e più altri ancora ne compose di Lemmo pistojese. Egli morì prima del 1330, poichè fa di lui onorevole menzione il Dante nel canto, secondo del Purgatorio — Casella mioSe nuova legge non ti toglieMemoria o uso all'amoroso cantoChe mi solea quetar tutte mie voglieDi ciò ti piaccia consolare alquantoL'anima mia, ec.

Caserta (Filippo di), antico scrittore di musica, di cui fa menzione il Gaffurio nella sua musica pratica, Martini e Gerbert nella Storia. In un codice manoscritto di Ferrara del secolo 15º, si legge la di lui opera De diversis figuris.

Casimir (Luigi-Arrigo Brecker, detto), nato in Berlino nel 1790, dalla Prussia fu portato in Francia all'età di dieci anni dalla cel. madama de Genlis, che dopo questo tempo il fece suo allievo e scolare per l'arpa, ch'egli ha sonato in pubblico con i più brillanti successi. “Questo Giovane virtuoso ha veramente perfezionato uno dei più belli istromenti che si conoscono, mostrando che possono eseguirsi sull'arpa le più difficili sonate per il piano-forte, e che eziandio possano sonarvisi le difficoltà impossibili ad eseguirsi sul clavicembalo. Egli è il solo sonator d'arpa che faccia uso delle due piccole dita, come sul forte-piano, e che produca con ambe le mani de' suoni armonici con una prestezza estrema. È inoltre il solo, la cui arpa sia montata di corde eccessivamente tese, il che richiede una particolare forza; e rende il suono dell'arpa infinitamente più bello. Egli ha sonato finalmente in pubblico alcuni pezzi di sua composizione, fra l'altre una Marcia a battaglia, e un rondò che hanno prodotto grandissimo effetto. Dicesi in oltre che questo giovane e sorprendente artista, possegga per altro varj talenti. Non si è entrato giammai nella [29] carriera delle arti d'una più brillante maniera, e con vantaggi così insieme riuniti” (Mad. Genlis).

Casini (Giovammaria), fiorentino, dotto compositore su i principj del p. p. secolo, pubblicò in Roma: op. 1, Moduli 4 vocibus, 1706; Pensieri per l'organo in partitura, op. 3, Firenze 1714; ed inoltre: Tastatura per levare le imperfezioni degli strumenti stabili, ove pretende rinovare li perduti antichi Generi con moltiplicare gli ordini de' Tasti, onde non solo in tal sorta di strumenti vi si trovassero tutti i semituoni diversi, come diesis e come bemolli, ma fin tutte le voci corrispondenti agli intervalli della musica greca in qualsivoglia Genere, ed in ogni varietà di ciascun Genere (V. Martini, Tom. I, Dissert. 1.)

Cassiodoro (Magno Aurelio), nato da un'antica famiglia Romana nella Lucania l'anno 472, fu console romano, ed impiegò presso il goto re d'Italia Teodorico tutto il suo credito, le sue ricchezze e la sua dottrina per far risorgere l'antica coltura degl'Italiani nelle arti e nelle scienze. Sotto il re Vitige, dopo aver resi degli importanti servigj allo Stato ed alle Lettere, ritirossi dalla Corte in un monistero da lui fondato in Squillaci sua patria, dove avendo preso l'abito religioso più non si occupò che della sua salvezza, de' suoi studj, e de' mezzi di eccitare gli ecclesiastici a coltivar le scienze sacre e profane. Egli procurava di svegliar l'antico amore de' Romani per gli studj, e volendo far lo stesso co' suoi monaci, li providde di una gran Biblioteca, ed impiegò una porzione de' suoi tesori a cercare da per tutto i buoni manoscritti, ch'egli fece copiare, e di cui ne accrebbe il numero con una diligenza incredibile. Egli morì nel 575, nella decrepita età di 93 anni. Fra' suoi studj egli non aveva trascurata la musica: mentre era ancora nel secolo aveva nella sua Biblioteca in Roma [30] raccolti alcuni libri intorno a questa scienza sì greci, che latini, tra' quali, dice egli stesso, esservi stati quei di Albino uomo proconsolare, che fu il primo tra' latini a scrivere di questa facoltà, probabilmente sotto Augusto, e che Cassiodoro dice di avere smarriti nell'invasione de' Barbari. Aveva inoltre fatto recare in latino dal suo amico Muziano il libro della Musica del greco Gaudenzio. Scrivendo finalmente a' suoi monaci le Istituzioni delle divine ed umane lettere, nel secondo libro che tratta delle sette discipline, dà loro un Compendio di musica, nella quale saggiamente voleva egli che fossero istruiti. Il principe abbate Gerbert ha inserito nel primo volume de' suoi autori di musica questo trattato di Cassiodoro, da lui intitolato: Institutiones musicæ.

Castel (Luigi Bertrando), geometra e filosofo nato a Montpellier nel 1688, fecesi gesuita nel 1703. Fattosi conoscere da Fontenelle e dal p. Tournemine per alcuni abbozzi, che annunziavano i più gran successi, costoro il chiamarono dalla provincia nella Capitale nel 1720, e sostenne quivi l'idea che i suoi Saggi dato avevan di lui. La sua Mattematica universale nel 1728, in 4º, fu applaudita in Inghilterra e in Francia; la società reale di Londra aprì le sue porte all'autore. Il suo Clavecin oculaire, di cui annunziò il progetto sino dal 1725, e ne sviluppò tutta la teoria all'ill. Presidente de Montesquieu ne' sei ultimi volumi del giornale di Trevoux del 1735, servì a far conoscere la tempra del suo spirito naturalmente facile e fecondo nell'inventare. Egli fu trasportato dalla vivacità di sua immaginazione, e passò la più parte di sua vita nell'esercizio quasi meccanico del suo Clavicembalo oculare, progetto che fece allora gran rumore, ma fu ben tosto messo in oblio qual progetto bizzarro e impossibile ad eseguirsi: “Non vi ha sorta alcuna di assurdità (dice su questo [31] proposito il ginevrino filosofo) a cui le osservazioni fisiche non abbian dato luogo nella considerazione delle belle arti. Nell'analisi del suono si sono trovati i medesimi rapporti che in quelli della luce. Ben tosto si è spiritosamente abbracciata cotesta analogia, senza imbarazzarsi dell'esperienza e della ragione. Lo spirito di sistema ha confuso tutto, e in mancanza di saper dipingere all'orecchie, si è pensato di cantare agl'occhi. Io ho visto quel famoso clavicembalo, sul quale pretendevasi far della musica per mezzo de' colori; ma ciò era lo stesso che mal conoscere le operazioni della natura nel non iscorgere, che l'effetto de' colori consiste nella loro permanenza, e quello de' suoni nella loro successione”. (V. Essai sur l'origine des langues cap. 16.) Il padre Castel non proponeva da principio i suoi sistemi che come ipotesi: ma poco a poco egli credeva di venire a capo di realizzarli: Montesquieu lo chiamava l'arlequin de la philosophie. Bisogna non per tanto convenire, che questa chimera del suo clavicembalo ha prodotto delle scoverte utili (Veggasi quì l'articolo del p. la Borde). Sarà anche utile il leggere quel che ne ha scritto l'ab. Arteaga, nell'indicare l'analogia e la relazione tra i colori e i tuoni musicali secondo i principj del Newton e del Mairan, benchè convenga poi che nell'esecuzione il Gesuita mostrò più ingegno che giudizio (V. tom. 1 delle rivoluz. in not. p. 10.) Il p. Castel morì in Parigi nel 1757. Se gli attribuiscono due lettere contro la lettera di Rousseau su la musica francese scritte a nome di un accademico di Bordeaux, e pubblicate nel 1754, a Parigi in 12º. Abbiamo ancora di lui: Dissertation philosophique et littéraire?, où par les vrais principes de la geometrie, on recherche si les regles des arts sont fixes ou [32] arbitraires, 1738, in 12º. In questa dissertazione il p. Castel, per farsi vie meglio intendere, applica i suoi principj alla Musica; e scelse tanto più volentieri quest'arte, in quanto non compose egli la surriferita dissertazione se non in occasione di alcune conferenze avute con Rameau: vi si trovano delle buone osservazioni su la maniera di usar le regole, e quando il gusto ed il genio ci obbligano a trasgredirle. Dicesi inoltre che il Rameau si sia servito del p. Castel, perchè raffazzonasse le sue opere di teoria musicale, ove effettivamente si scorge una certa tintura geometrica, di cui non era capace l'artista.

Castillon (Mr. du), della real accademia di Berlino, autore di una Memoria sur les flûtes des Anciens, letta nella pubblica adunanza di Gennaro 1774. Egli fa precedere una notizia di molti autori che hanno trattato dello stesso argomento, benchè con poco buon esito, tali sono stati un Tanneguy Le Fèvre, quel letterato così celebre per le belle opere e per la dotta figlia ch'ei diè alle lettere; tale un Bartholin e più altri: e ciò per avere scritto di un'arte, di cui eglino eran poco intendenti. Ma siete voi Musico? Se io rispondessi, egli dice, che nella mia gioventù le mie dita impararono con arte il manico di un violino, e la tastatura di un cembalo, mi si replicherebbe senza dubbio che un cembalo ed un violino non sono un flauto. Dirò adunque che io non sono stato costretto di andar molto lungi per trovare un pò di letteratura unita alla teoria della musica ed alla pratica del flauto. L'autore procura di provare che gli antichi non avevano che delle spezie d'oboè, cioè di Flauti che risonavano per via di linguette; che questi flauti erano di due sorti, l'una avente la linguetta a scoverto, come nei nostri oboè; l'altra con la linguetta occulta, presso a poco come nelle trombette dei ragazzi. Questa Memoria vien terminata [33] con la spiegazione di alcuni passaggi degli Antichi, e con alcune riflessioni sopra diverse parti degli flauti degli antichi, e sopra i differenti nomi dati a questi flauti, nomi che spesso non sono che degli epiteti poetici (V. Tom. 30 des Mem. de l'Acad. de Berlin 1774.).

Castro de Gistau (Salvadore), d'una nobil famiglia aragonese, nacque in Madrid nel 1770. Come la più parte de' spagnuoli, egli sonava sin da ragazzo la chitarra. Questo passatempo nazionale sviluppò il suo gusto particolare per la musica, che in breve tempo lo mise nel numero degli amatori ricercati nella società. Fornito d'una viva fantasia, si avvide che la chitarra poteva pretendere ad altri vantaggi oltre a quelli di accompagnare il canto degli amanti spagnuoli: fecene adunque uno studio particolare, e applicossi a quello dell'armonia e della composizione, senza voler sortire dalla classe degli amatori. Un talento così ben formato non tardò a farlo ricercare in tutti i circoli, ove gli artisti ragionavano de' suoi successi, ma Mr. Castro, come lo ha scritto Mr. de Boufflers (pag. 479 del Mercurio di Francia del mese di giugno 1809), sapeva, che i più piccoli appartamenti si convengono alla chitarra; che essa non vi fa mai più chiasso di quello che se le domanda; e che con la voce la meno forte fa le veci d'un'amica modesta, sempre attenta a dar risalto alla sua amica, senza pretendere di rivolgere a se l'attenzione. Conoscendo dunque tutto il merito di tale istrumento, e scegliendo giudiziosamente i luoghi ove può far meglio intenderla, Mr. Castro non ha mai avuta pretenzione che quella di non farsi sentire se non in un salone della famiglia, o nel modesto asilo dell'amicizia. Ciò non ostante, l'incantatrice sua maniera di sonarla lo ha fatto desiderar per ogni dove, e specialmente in quei luoghi, come in Francia, ove i successi della chitarra si limitavano a darle la riputazione di uno strumento ingrato. [34] A lui deve quest'istrumento il diritto a nuovi titoli, che con la sua abilità gli ha acquistati: giunto appena in Francia, la musica contò realmente un istrumento di più. Invitato a farlo sentire a Bayonne in un concerto, egli vi eseguì a solo differenti pezzi, che servirono di misura del suo gusto e del suo talento. Questo successo gli preparò la più favorevole accoglienza in Parigi, dove si è stabilito, e dove vien ricercato dalla miglior compagnia: egli vi ha avuto degli illustri scolari. La premura di piacere a tutti avevagli fatto comporre e pubblicare un giornale di chitarra. Quest'opera ha il singolar merito di dare in ciascun numero un pezzo spagnuolo, un italiano, un altro di canto dell'una e dell'altra lingua con accompagnamento, e un pezzo di chitarra, ma scelti sempre nelle composizioni che meglio caratterizzano il gusto particolare di ciascuna delle due nazioni, e che vie più si risentono delle abitudini e de' costumi del paese. Mr. Castro non limita i suoi travagli alla pubblicazione del suo Giornale: egli prosiegue quelli della composizione. Le sue opere hanno un carattere d'originalità ben marcata, che le faranno ricercar sempre da quegli, i quali amano che la musica esprima bene i sentimenti che ella dee dipingere; e Mr. Castro si mostra da dovvero dipintore, nello scrivere un accompagnamento o dei temi, ch'egli sviluppa con tutta la grazia che risiede nella sua feconda immaginazione.

Castro (Rodrico de), medico giudeo nel Portogallo, fece i suoi studj in Salamanca, e vi si distinse talmente con la sua assiduità e le sue cognizioni, che ottenne la dignità di dottore. Verso il 1594, egli si stabilì ad Hambourg: esercitò quivi l'arte sua con molto successo sino al 1627, in cui morì alli 20 di giugno. Oltre a molte opere, egli pubblicò nel 1614 a Hambourg, il suo Medicus politicus, il di cui capitolo decimo [35] quarto del quarto libro tratta dell'utilità della musica nella cura delle malattie.

Catalani (la Signora), celebre cantatrice italiana attualmente in Inghilterra, brillò grandemente nel 1807, nei concerti di Parigi. Niuna l'uguaglia nelle arie di bravura, ma lascia molto a desiderare dalla parte dell'espressione.

Catalisano (Il P. Gennaro), nato in Palermo da un padre maestro di musica bravo contrappuntista, ma di poco gusto nelle sue composizioni: da costui apprese egli i primi elementi di quest'arte, ma entrato quindi nell'ordine dei Minimi, dopo quivi compito il corso de' studj, si diede intieramente a quello della musica. Portatosi in Roma divenne maestro di cappella della chiesa nazionale di sant'Andrea delle Fratte del suo ordine, e quivi pubblicò per le stampe una Grammatica Armonica Fisico-matematica ragionata su i veri principj fondamentali teorico-pratici, Roma 1781, in 4º con varj esempj e figure in rame. L'autore suppone i suoi proseliti iniziati nelle mattematiche, o almeno istruiti del libro quinto di Euclide. Quindi prende egli cominciamento da quanto appartiene alla musica, rimettendo al fine le matematiche nozioni. Cinque capitoli abbraccia l'opera, tre appartenenti al musicale sistema, e due relativi alla matematica. Nel primo capitolo tratta della generazione delle consonanze e delle dissonanze in forza delle proporzioni armonica, aritmetica e geometrica, e de' fenomeni fisico-armonici. Si riserba però a spiegare nell'ultimo capo le proporzioni matematiche. Nel cap. secondo tratta de' precetti particolari dell'armonia, e della maniera di comporre a più parti. Nel cap. terzo spiega i noti artifizj dell'imitazione, del canone e della fuga. Nel capitolo quarto tutto si occupa in trovare dati numeri un mezzo geometrico, aritmetico ed armonico. Nel [36] quinto s'ingolfa nell'immenso mare delle proporzioni numeriche. Leggiadria di stile, colta favella, chiarezza e precisione d'idee, buon metodo, tutto è da desiderarsi in quest'opera. Lo spirito dell'autore agghiaccia quello de' suoi lettori; invano vi cercherebber eglino di che trarre il loro profitto. Senza gusto, senza genio, per la teoria egli copia Mersenne, Rameau e alcun altro più usato: per la pratica dice quel che altri ne hanno già detto e nulla più. Tale in somma è il suo libro, che poche persone a mio credere, aver potranno la pazienza di leggerlo; nè l'avrei avuta io stesso, se non portasse in fronte l'approvazione di sommi uomini, come un Jacquier suo confratello e di gran nome fra' mattematici, un Sabbatini illustre fra' scrittori didattici di quest'arte, ed alcuni altri. Con queste lettere di raccomandigia può viaggiar quanto vuole il suo libro, ma difficilmente troverà ricapito presso gl'intendenti e gli uomini di gusto; lungi dal poter ritrarne la gioventù studiosa dell'armonia una chiara ed utile istruzione. Il pad. Catalisano morì in Palermo nel 1793, poco meno che sessagenario.

Catel (Mr.), nato a Parigi nel 1770, allievo di Gossec e professore d'armonia e di accompagnamento nel Conservatorio, ha composto un gran numero di opere musicali in differenti generi; ma quel che gli ha fatto maggior nome si è il Trattato d'armonia, che ha pubblicato nel 1802, adottato dai direttori del Conservatorio per servire all'istruzione. “Questo Trattato, dice M. Choron (dans la préfac. aux Princip. de composit.), contiene una teoria della scienza armonica, che da alcun tempo in quà, ha fissato l'attenzione degli artisti, e che non può far a meno di non divenire classica. Essa consiste a non considerar come accordi propriamente detti se non quelli, che non hanno bisogno di preparazione alcuna. M. [37] Catel gli chiama accordi naturali, il loro impiego dà l'armonia naturale. L'armonia artifiziale si deduce da questa, mediante il ritardo di una o più parti, che si prolungano su gli accordi seguenti. Questa teoria è straordinariamente semplice e luminosa, e mi è stata sommamente utile.” Quest'idea propriamente parlando, è un'estensione di quel principio del contrappunto, che la dissonanza non è se non la prolungazione della consonanza; ma applicato alla scienza degli accordi, ne ha fatto in certo modo una scienza dell'intutto nuova. Noi ignoriamo se questa teoria appartenga in proprietà a M. Catel, o pur la debba alla scuola d'onde è sortito; ma essendo stato egli il primo ad enunciarla d'una positiva maniera, deesi a lui appartenere l'onor dell'invenzione. Mr. Choron ha aggiunto alcune nuove ed interessanti considerazioni sopra questa materia ne' suoi Principes de harmonie et d'accompagnament à l'usage des jeunes élèves. Le composizioni di Mr. Catel consistono in una massima quantità di musica istrumentale, sinfonie, concerti ec. e in tre drammi: la Semiramide, l'Albergo di Bagneres e gli Artisti per occasione. De' due primi possono leggersene i saggi ed il giudizio nel libro intitolato: Rapport et discussions pour les prix dècennaux, Paris 1810 in 4º.

Cavalieri (Bonaventura) nacque in Milano nel 1598, e giovanetto entrò ne' gesuiti (non nell'ordine de' gesuati, come dicono alcuni dizionarj, che più allora non esisteva). Fu celebre mattematico del suo tempo, della quale scienza fu professore primario nell'università di Bologna fin dal 1629. Morì di podagra nel 1647. Egli era stato discepolo del Galileo, e fu sommamente amato da tutti i letterati ed intimo amico di Castelli, Torricelli e dello stesso Galileo, che nelle opere sue grandemente lo loda. Tra le altre sue opere è molto stimata quella che ha per titolo: [38] Centuria di varj problemi per dimostrare l'uso e la facilità de' Logaritmi nella Gnomonica, Astronomia, Geografia ec., toccandosi anche qualche cosa della Meccanica, arte militare e Musica, Bologna 1639, in 12º. Il dotto ab. Frisi ha scritto un erudito elogio del Cavalieri, Milano 1778, in 8º, in cui lo difende contro alcuni attacchi del Montucla.

Cavaliere (Emilio del), celebre compositore del sec. 16º, nato in Roma, si conta fra quegli che cercarono i primi di levar l'arte in Italia. La corte di Firenze vi contribuì moltissimo nominandolo nel 1570, al posto di maestro di cappella. Egli fu il primo a tentar l'impresa nel genere delle rappresentazioni teatrali scegliendo il più semplice della pastorale, e due componimenti di questa specie intitolati la Disperazione di Sileno, ed il Satiro, lavorati da Laura Giudiccioni dama lucchese, mise egli sotto le note fin dall'anno 1590. Ma non essendo fornito abbastanza di quel talento, nè di quella cognizione della musica antica, che bisognava per così gran novità, e ignorando l'arte d'accommodar la musica alle parole nel recitativo, altro non fece che trasferir alle sue composizioni gli echi, i rovescj, le ripetizioni, i passaggi lunghissimi e mille altri pesanti artifizj, che allora nella musica madrigalesca italiana fiorivano; onde mal a proposito, dice l'ab. Arteaga, è stato costui annoverato fra gli inventori del melodramma da quegli Eruditi, che non avendo mai vedute le opere sue, hanno creduto che bastasse a dargli questo titolo l'aver in qualunque maniera messo in musica alcune poesie teatrali. Quel ch'è certo si è, secondo Burney, che il suo Oratorio Anima e corpo è il primo dramma religioso ove il dialogo si trova in forma di recitativo, e fu rappresentato in Roma nel mese di febbrajo dell'anno 1600.

Cavalli (Francesco), veneziano, è uno dei primi [39] che abbiano composto in Venezia delle grandi opere drammatiche. Egli era maestro di cappella della chiesa di san Marco. Nel 1637, cominciò a faticar pel teatro, e continuò, per più di trent'anni, ad arricchirlo di buone opere, tali sono le Nozze di Teti e di Peleo, nel 1639, la Didone nel 1641, il Romolo ed il Remo nel 1645, l'Elena rapita da Teseo nel 1653, Scipione Africano nel 1654, Pompeo nel 1666, ec. ec. Scheibe, che possedeva l'originale di una di queste opere, dice in una nota del suo Musico critico: “Egli è stato eccellente nel suo tempo; i suoi recitativi sorpassano tutto quello che ho visto d'un Italiano in questo genere. Egli era ardito, nuovo, pieno di espressione, ei sembra essere il primo che per esprimere certe passioni, si è servito della mutazione del genere di tuono. Gl'Italiani, più che oggidì, dovevano allora aver fatto stima della diversità delle voci, poichè si trovano in questo delle voci di tenore e di basso ec.” Il cav. Planelli assicura in oltre nel suo Trattato dell'opera in musica, che “l'opera Giasone del Cavalli è la prima dove si trovi alla fine di alcune scene, la parola Aria in fronte dei pezzi staccati, ne' quali signoreggiavano sì il canto, come gl'istromenti, e che prima di lui, le opere erano interamente formate di un serio recitativo, cui sostenevano gl'istrumenti ed alcuna volta interrompevano”. Presso Baglioni, cose notabili della città di Venezia, trovansi eziandio due passaggi, in cui l'autore rende giustizia ai gran talenti del Cavalli. Il primo, p. 206, dice così: “Per le sue dilettevoli composizioni fu chiamato alla corte di Francia, alla corte di Baviera, dove diede gran saggi della sua virtù”. Il secondo alla pag. 208, è come siegue: “Francesco Cavalli veramente in Italia non ha pari, e per isquisitezza del suo canto e per valore del suono dell'organo, e per le [40] rare di lui composizioni, le quali in stampa fanno fede del di lui valore”. La lista delle costui opere finisce all'anno 1666, ma troviamo che Giovan Fil. Krieger l'incontrò ancor vivente in Venezia nel 1672, e profittò delle sue lezioni per perfezionarsi nella sua arte. (V. Flor. della poes. e della mus., e Marpurg Beytræge, t. II.)

Caylus (Anna-Claudio-Fil. conte di), nato nel 1692 e morto a Parigi nel 1765, celebre viaggiatore ed antiquario. Dopo lunghi viaggi in Costantinopoli ed alle rovine di Troja tornò in Francia nel 1717, e andò due volte in Londra. Divenuto sedentario, non fu nel suo riposo perciò meno attivo, occupossi della musica, del disegno e della pittura. In più di quaranta dissertazioni lette da lui all'Accademia le arti e le lettere danno uno scambievole soccorso allo scrittore; tra gli scritti da lui pubblicati alcuni ve n'ha sulla Musica degli Antichi, sul quale argomento aveva a lui diretta un'eruditissima lettera il suo amico l'ab. d'Arnaud. Il suo epitafio composto da Diderot è singolare: Ci-gît un antiquaire, acariâtre et brusque: — Oh! qu'il est bien logé dans cette crache etrusque: “Quì giace un antiquario un pò ritroso e brusco: — Oh quanto ei bene alloggia in quel vecchio vaso etrusco.”

Caza (Francesco), uno de' letterati italiani del quindicesimo secolo che co' loro scritti diedero opera al rinnovamento della musica. Egli è autore di un Trattato sul Canto figurato: fan di lui menzione l'Arteaga (tom. 1, p. 196) e 'l Bettinelli (Risorgim. d'Ital. tom. II, p. 157, not. 6.)

Celio Aureliano, antico medico Africano, secondo il Reinesio, fioriva verso il quinto secolo dell'era volgare. Nei suoi cinque libri Tardarum passionum, ossia delle malattie croniche tratta egli dell'applicazione della [41] musica alla medicina come antichissima, e riferisce che Pitagora si fu il primo, che l'abbia impiegata apertamente per guarire le malattie. Egli inoltre dice di avere osservati i buoni effetti della musica nell'ischiade, e che quando si cantava o suonava sopra le parti dolorose, saltellavano palpitando, e si allentavano e si ammollivano a misura che svanivano i dolori. (V. Lichtenthal p. 62, e Fabric. Bibl. lat. t. 2, L. IV, c. 12.)

Celestino, maestro di concerto nella cappella del duca di Meklenbourg Schwerin dopo il 1781, era uno de' più grandi violinisti de' nostri giorni. Wolf nel suo viaggio parlando di lui, dice così: “Per giudicare del carattere di un pezzo di musica non gli abbisogna che un solo colpo d'occhio su lo spartito; egli suona con precisione in tutti i tuoni con la più pura intonazione.” Nel 1770 viveva in Roma, dove Burney il conobbe come sonatore principale degli a solo in quella patria della musica. Vi sono di lui de' pezzi per il canto manoscritti, ed oltre a ciò si sono pubblicati a Berlino nel 1786 due trio per violini e violoncello di sua composizione.

Cerf de la Vieuville (Gio. Lorenzo), guardasigilli del parlamento di Normandia, nato a Rouen morì ivi nel 1717 nel fiore de' suoi giorni che si abbreviò, per quanto si crede, coll'eccessivo travaglio. Di lui si ha una Comparazione tra la musica italiana e la musica francese contro il parallelo degli Italiani e de' Francesi, in 12º. Lo stile dell'opera di Cerf, sparso di aneddoti sul dramma francese, è vivissimo, e l'autore fa ogni sforzo per veder di sostenere l'onor della patria, con ardor non minore di quello siasi mostrato di poi in contrario dal cel. Rousseau, che anch'egli preferisce di gran lunga la musica italiana. L'abbate Raguenet era quegli che aveva attaccata la musica francese, ed esaltata l'italiana; e a dir vero, bisogna esser [42] privi di orecchio ed avere sconcertati i sensi per non convenir seco di parere e di gusto. Ciò non ostante il Cerf volle sostenere il suo paradosso armonico, e pubblicò in difesa del medesimo altri due libri. Il medico André, che allora era associato al Giornale degli Eruditi pose in ridicolo questi due libri dopo aver parlato con molta lode di quello dell'abb. Raguenet. Cerf, piccato al vivo, rispose con un opuscolo intitolato: l'Arte di screditare ciò che non s'intende, ovvero, il Medico Musico; libricciuolo pieno di tutta l'acrimonia, che ne promette il titolo stesso. Diceva Fontenelle, che se alcuno per estrema vivacità e sensibilità aveva meritato il nome di pazzo perfetto, e di pazzo di testa e di cuore, questi era la Vieuville. Ma siccome la follia esclude la ragione e non l'ingegno, le Cerf ne aveva molto, ed anzi tanto che non aveva poi senso comune.

Cerone (Pietro), autore classico di musica, come lo chiama il Requeno, avvengacchè per isbaglio lo dica di sua nazione, cioè Spagnuolo, forse perchè in tal linguaggio scrisse costui la sua opera (V. Saggi tom. II, pag. 388.) Egli era di Bergamo, e fioriva sulla fine del 16º secolo e su i principj del seguente. La musica era allora caricata dalle tante difficili inezie, che poteva paragonarsi agli anagrammi, ai logogrifi, agli acrostici, alle paranomasie e simili scioccherie, ch'erano in voga presso a' poeti dell'antiscorso secolo: queste e più altre fantasie chiamavansi enimmi del canto con vocabolo assai bene adatto. Chi volesse sapere più alla distesa a quali strani ghiribizzi si conducevano in que' tempi i musici, vegga il libro XXII, della dottissima benchè prolissa opera di Pietro Cerone, intitolata: El Melopeo y Maestro, Tractado de musica theorica y pratica, Napoles 1613, in fol., nella quale saggiamente intraprende egli la riforma di quel gotico contrappunto, [43] onde meritamente ha ritratti gli elogj dell'Arteaga, del Martini, del Choron, del Requeno e di quanti altri hanno scritto sulla storia dell'arte. Egli è anche autore delle Regole per il canto fermo, Napoli 1609.

Cerreto (Scipione), napoletano, è l'autore di un'opera intitolata: Della pratica musica vocale e stromentale. Napoli 1601 in 4º. Questo è un pregevole libro: vi si trovano de' contrappunti molto ben fatti. Zacconi li ha riferiti nella sua Pratica di musica, seconda parte.

Cerutti (Giacinto), abbate romano, pubblicò in Roma nel 1776, una nuova edizione corretta e più leggibile del Gabinetto armonico di Bonanni sotto il titolo di Descrizione degli stromenti armonici di ogni genere del padre Bonanni, ornata con 240 rami, in 4º. Quest'opera contiene molte dottissime ricerche su gl'istromenti antichi, per il gabinetto che se ne formò nel secolo 17º presso al collegio romano. (V. Forkel)

Cesti (Marc-Antonio), francescano di Arezzo, maestro di cappella dell'Imperatore Ferdinando III, era discepolo di Giacomo Carissimi. Egli contribuì molto ai progressi del teatro drammatico in Italia, riformando la monotona salmodia, che allora vi regnava, e trasportando e adattando al teatro le cantate inventate dal suo maestro per la chiesa. Cavalli, che travagliava in quella medesima epoca (1650) insieme con lui per le opere in Venezia, ebbe ancora parte a questo miglioramento: V. Cavalli. Le opere che Cesti ha date al teatro di Venezia, sono: Orontea 1649; Cesare amante, 1651; la Dori, 1663: quest'ultima ebbe il più grande successo, ed ebbe moltissime repliche non che in Venezia, ma eziandio in tutte le altre gran città dell'Italia; Tito, 1666; La schiava fortunata, 1667, da prima in Vienna, e quindi a Venezia nel 1674, (Ziani ebbe parte in questa composizione); Argene, 1668; [44] Genserico, 1669; e nello stesso anno, Argia. Egli dee avere composto in oltre la musica del Pastor fido di Guarini. Il numero delle cantate ch'egli ha posto in musica, è infinitamente più grande. Questo si è quello che l'abbate d'Oliva, allievo di Cesti, uomo dotto ed eccellente compositore, che viveva nel 1700, affermò al maestro di cappella Giovanni-Valerio Meder. Lo stesso abbate ne citava principalmente una che cominciava da queste parole: O cara libertà che mi ti toglie? Adami, nelle Osservazioni, dice che Cesti era nato in Firenze, e che Papa Alessandro VII lo aveva ricevuto nel 1660, come tenore nella cappella pontificia.

Chabanon (Mr. de), nato in America nel 1730, e morto in Parigi nel 1792, letterato di pregio, dell'Accademia delle iscrizioni, era in oltre buon musico, buon poeta, ed autore di più opere sulla musica. Nel 1765, scrisse l'Elogio di Mr. Rameau, a Parigi in 8º. L'autore sa gustare da conoscitore, e far gustare agli ignoranti stessi le bellezze di quest'arte magica: quest'opera, che onora veramente l'autore e l'oggetto delle di lui lodi, unisce il calore dell'entusiasmo e l'esattezza della ragione: parci pensata da filosofo, sentita dall'amico, scritta dal poeta musico. Nel trigesimo-quinto tomo delle Memorie dell'Accademia abbiamo di Mr. Chabanon: Conjectures sur l'introduction des accords dans la musique des Anciens; egli vi sostiene con troppa animosità e presunzione il sentimento di Burette. “Mr. Burette fu il primo, egli dice, tra noi, che abbia avanzata cotesta asserzione che è stata impugnata da alcuni letterati: ma essi senza dubbio assai poco conoscevano l'arte, di cui ragionavano: in quanto a me, il parer di Burette mi sembra di una verità sì evidente, che io lo rimprovererei quasi della [45] lunghezza delle prove, con cui ha cercato di sostenerlo; bastavano due parole per dare alla sua opinione l'autorità d'una dimostrazione”. Ma quando si tratta di una quistione cotanto intrigata e difficile, come si è questa, non bastan parole, vi voglion ragioni, e non si decide così alla cieca coll'ipse dixit della scuola pittagorica. Il dotto ab. Requeno, oltre alle ragioni intorno a questo argomento, mise in opera anche le osservazioni e gli sperimenti; e pure non ardì di dare a' suoi Saggi l'autorità d'una dimostrazione. Mr. Chabanon pubblicò ancora nel 1779, Observations sur la musique e nel 1785, De la musique considérée en elle-même et dans ses rapports avec la parole, les langues, la poésie et le théâtre, 3 vol. in 8º. Quest'opera non è che l'antecedente nuovamente rifusa e trattata sopra un piano più vasto. Le idee di Chabanon sono in generale di un uomo che non è abbastanza profondo nella scienza ed arte della musica: nulla insegnano a quegli che sanno, e possono far traviare coloro che non sono istruiti. Tra gli altri paradossi egli avanza esser falsa l'analogia tra 'l canto e la declamazione. “Reca molta sorpresa, dice un recente scrittore, che un uomo il quale ha riflettuto trent'anni su la musica, ed aveva delle grandi cognizioni in quest'arte, ch'egli esercitava con un talento assai distinto, e dà nelle sue Considerazioni quel ch'ei chiama l'opera di tutta la sua vita, e dove si trovano infatti una folla di vedute assai giuste, reca, io dico, molta sorpresa che questo giudizioso ed illuminato scrittore faccia consistere la natura del canto ne' trilli, ne' gorgheggi, nelle ripetizioni, cioè a dire in un vano tintinnio che, lungi dall esser canto, non ne è che l'abuso, e non fa che snaturarlo.” (V. Mr. Raymond, lettre a Mr. Villateau, 1811, in 8º.) [46]

Chabanon de Maugris (Mr.), fratello del precedente, morto nel 1780, coltivò come egli la musica, era poeta, e compositore. Nel 1775, egli diede in Parigi al teatro dell'Opera Alessi e Dafne, pastorale, Filemone e Baucis, balletto eroico. Oltre la musica di queste due opere, vi sono di lui più sonate per il piano-forte.

Chamber (Efraimo), dotto inglese su i principj del prossimo passato secolo, e 'l primo compilatore d'una Enciclopedia, o Dizionario universale delle arti e delle scienze, che è stato tradotto dall'inglese in italiano idioma, Napoli 1752, e Venezia 1763, in 4º. All'articolo Musica vi ha la divisione di questa scienza in più rami: si tratta della sua origine, e vi si citano tutti gli articoli, ove si parla negli altri volumi della teoria e della pratica di quest'arte, affinchè riesca più facile il riscontrarli e connetterli. Mr. Giorgio Lewis ha fatti de' supplementi a questa Enciclopedia, ove si trovano eziandio de' nuovi articoli riguardanti la musica.

Champein (Stanislao), nato in Marsiglia nel 1753, ebbe per maestri di musica Percico italiano, e Chauvet. All'età di tredeci anni era già maestro di cappella della cattedrale di Pignan nella Provenza: e vi compose una messa, un Magnificat e alcuni Salmi. Giovine ancora, volle studiare il trattato dell'armonia di Rameau; e per meglio comprenderlo lo trascrisse da cima a fondo. Nel 1776, venne a Parigi e alcuni mesi dopo, ebbe la fortuna di dare alla cappella del re a Versailles, tra le due messe, un gran mottetto a ripieno (Dominus regnavit). Lo stesso anno egli fece la festa di santa Cecilia nella chiesa de' Maturini in Parigi, e vi fece eseguire una sua messa e 'l mottetto che aveva fatto a Versailles. Dopo il 1780, egli ha scritto più opere nei diversi teatri di Parigi. Tutti questi drammi in musica, che hanno avuto felice incontro, e che per la maggior [47] parte sono restati ne' repertorj de' teatri per i quali sono stati composti, mettono Mr. Champein accanto de' Gretry e degli Dalayrac. La di lui musica è una felice mescolanza del gusto francese e della vivacità italiana. Il suo Nuovo Don Chisciotte è principalmente un capo d'opera in questo genere. Sino al 1809, egli aveva scritto e fatto rappresentare oltre a 22 opere, e altre sedeci ne ha pronte per il teatro.

Chapelle (Mr. de la), maestro di musica in Parigi nella prima medietà dello scorso secolo, pubblicò Les vrais principes de la Musique, cioè I veri principj della musica, esposti con una gradazione di lezioni distribuite in una maniera facile e sicura per giungere ad una perfetta cognizione di quest'arte, 1736, in 4º grande. Nel 1737, ne pubblicò egli la seconda parte, col titolo di Suite des vrais principes de la Musique Livre 2, a Paris grand in 4º, cioè Continuazione de' veri principj della musica, con un nuovo sistema facile ad esser capito ed eseguito, mercè il quale l'autore dà a vedere, che possono restringersi a tre i segni delle misure per eseguire ogni sorta di musica (V. Journ. des Sav. fevr. 1737, et nov. p. 428.)

Charpenter (Gian-Giacomo Beauvarlet, detto), nato a Abbeville nel 1730, di una famiglia assai antica, e che ha prodotti molti uomini distinti, era organista a Lione, allorchè Gian-Giacomo Rousseau, passando per questa città, lo intese e congratulossi seco de' suoi talenti, ch'egli stimò degni della capitale. Mr. de Montazet, arcivescovo di Lione ed abbate di san Vittore di Parigi gli fè dar l'organo di questa badia cui venne a prender possesso nel 1771. Un concorso, che ebbe luogo l'anno di appresso, ed in cui riportò egli il premio su i più celebri organisti, gli valse l'organo della parrocchia di san Paolo, e fecelo riguardare come uno dei primi organisti di Parigi, in un'epoca in cui questa città ne possedeva [48] degli abilissimi, come Couperin, Sèjan, ed in cui l'organo era ancora in gran considerazione. Mr. Charpenter ha esercitato il suo talento con distinzione, sino alla sovversione del culto nel 1793. A quest'epoca la soppressione degli organi, e singolarmente degli organi di san Paolo e di san Vittore, gli cagionarono una tristezza così estrema e profonda, che la sua salute venne a declinar rapidamente, ed ei morì nel maggio del 1794. Egli ha pubblicato un gran numero di opere: quelle che ha fatte pel suo istrumento devono annoverarsi tra le migliori in questo genere. Giacomo M. Beauvarlet Charpenter, figliuolo del precedente, è nato in Lione nel 1766, ebbe suo padre per maestro, che lo pose in istato d'improvvisare a quattordici anni un Te Deum. Egli ha pubblicato gran numero di sonate di carattere e di pezzi contenuti degli aneddoti, tali sono la Battaglia di Austerlitz, di Jena, ec. Gervais o il giovane cieco, opera comica, rappresentata ai Giovani-Artisti, e un Metodo d'organo.

Charpentier (Marc-Antonio) nacque a Parigi nel 1634, e fece in sua gioventù il viaggio di Roma, dove apprese l'arte della composizione dal celebre Carissimi. Il duca d'Orléans reggente, fu il suo allievo per la composizione, e fecelo intendente della sua musica. In tutte le sue opere, Medea ebbe il maggiore successo. Ei morì nel 1702, maestro di musica della Santa-Cappella. Allorquando gli si offriva alcuno per apprendere la composizione: Andate in Italia, dicevagli, là è la vera fonte di questa scienza: benchè io non disperi che giorno verrà in cui gl'italiani verranno da noi ad impararla, ma io non sarò più tra viventi. (V. il Dizion. di Fontenay.)

Chastellux (il Marchese), autore de l'Essai sur l'union de la Poésie et de la Musique, Paris 1765, in 12º. Quest'opera si è il frutto di un viaggio che l'autore [49] fece in Italia all'epoca delle riflessioni che si sono cominciate a fare intorno a quest'arte, abbandonata allora a professori che eran poco in istato di ragionarne. Egli dinota con ragione, che i musici non conoscono abbastanza la poesia, come i poeti non sanno abbastanza la musica. Si trova di quest'opera una ben ragionata analisi in due lettere scritte all'autore medesimo dal Ch. Metastasio, che per la prima volta furono pubblicate nel t. 14º delle opere drammatiche di questo Poeta dell'edizione di Napoli del 1785. Il Marchese di Chastellux era dell'accademia francese, e di altre diverse società letterarie, e morì in Parigi nel 1788.

Chateauneuf (L'ab. de), uomo di molto spirito e letterato di qualche merito, fu il padrino di Voltaire ed antico amico di sua madre. Costui era uno di quegli uomini, che impegnati nello stato ecclesiastico o per compiacenza, o per un movimento di ambizione estranea all'anima loro, sacrificano di poi al piacere d'una vita libera la fortuna, e la considerazione delle dignità sacerdotali. Non v'ha di lui, che un Traité de la Musique des anciens, che fu pubblicato dopo la di lui morte, ed a cui precede un avvertimento di Morabin, Parigi 1725, in 12º, ristampato nel 1735. L'autore vi prende il partito di coloro, che in questo genere pongono gli antichi a livello co' nostri musici. “Quest'argomento, dice nel confutarlo M. Burette, viene trattato con tutta la leggiadria, che possono rendere interessante la lettura dell'opera”. (V. Memoir de l'Accad. tom. 8.) L'abbate de Chateauneuf morì in Parigi nel 1709.

Chaves (Mr.), nato a Montpellier, annunziò delle sì felici disposizioni per la musica, che i suoi parenti lo ritirarono dal commercio per fargli apprendere il forte-piano e 'l violino. A quindici anni dell'età sua, egli fece la musica di una grand'opera [50] intitolata Enea e Lavinia. I suoi talenti lo fecero ricercare nella società; ed avendo inspirato dell'amore ad una ricca erede, i parenti furono obbligati a dargliela in matrimonio. Allora Chaves brillar volle sopra un più grande teatro; venne a Parigi per sentire e conoscere i celebri professori della capitale. Padrone di una gran fortuna, ei consumolla al gioco, per il quale aveva un'estrema passione. Di ritorno nel suo paese egli vendette tutti i beni di sua moglie, per compensare, ei diceva, le sue perdite; ma la fortuna, che avevalo abbandonato, lo trattò crudelmente come già la prima volta; rimasto Chaves senza mezzi di risorgere, fu costretto di entrare in qualità di proto nella stamperia musicale di Mr. Olivier. Ed a questo tempo fu che egli pubblicò un Catechismo, ovvero Rudimenti di Musica, due opere di sonate, de' romanzi ec. Avendo così guadagnato qualche danaro, Chaves volle tentare ancora la fortuna; parve questa sorridergli un istante; ma avendo poi perduto tutto, andò a precipitarsi nella Senna nel 1808.

Chell (William), cappellano e cantore della cattedrale di Hereford; fu creato baccelliere in musica nell'università di Oxford nel 1524. Il vescovo Tanner fa menzione di due scritti di cui egli ne è autore; uno sotto il titolo: Musicae praticae compendium; il secondo: De proportionibus musicis.

Chelleri (Fortunato), maestro di cappella e membro dell'accademia reale di musica a Londra, nacque in Parma nel 1668, ove suo padre di nazione tedesco, e il di cui nome originariamente era Keller, benchè musico di professione e compositore, non faceva grand'uso di questi talenti, essendosi dato ad altre occupazioni. All'età di dodici anni Fortunato avendo perduto suo padre, e dopo tre anni ancor sua madre, un suo zio materno, Francesco [51] M. Bassani, maestro di cappella della cattedrale di Piacenza, preselo in sua casa per vegliare, come tutore, alla sua educazione, proponendosi di fargli studiare la giurisprudenza. Quivi cominciò a mostrarsi il genio del giovane Chelleri. Senza che mai avesse avuta la menoma lezione di musica, egli provossi da se a sonare il cembalo: e suo zio essendosi accorto, ch'ei mostrava più talento per la musica che per la scienze, risolvette di coltivare questo pendio naturale, ed egli stesso gli diede a quest'effetto delle lezioni di canto e di cembalo. Ajutato dal genio e dall'assiduità del suo allievo, riuscì a formarlo, cosichè allo spazio di tre anni fu quegli capace di occupare il posto di organista. Per non rimanersi un musico della comune, il giovane Chelleri cominciò allora a studiare eziandio la composizione, sotto la direzion di suo zio, e vi fece tanto progresso, che cominciò in pochissimo tempo a comporre alcuni salmi a tre e a quattro voci. La morte di questo suo maestro, e di un secondo padre levogli il mezzo di passar oltre, e lo privò d'ogni soccorso. Abbandonato alla propria sorte e ridotto alle sole sue forze, egli raddoppiò il suo zelo e la sua assiduità per perfezionarsi nella sua arte. Ebbe la buona fortuna che il primo suo pubblico saggio che fece in Piacenza nel 1707, col suo dramma teatrale della Griselda, fu grandissimamente ben accolto, e gli valse per essere incaricato da Cremona a comporre la nuova opera, che vi si doveva dare l'anno di appresso. Avendo soddisfatto a tale incombenza, imbarcossi a Genova nel 1709, per andare a Barcellona nella Spagna. Restò quell'anno in quel regno, scorrendo per tutte le città ov'egli sapeva esservi alcuni buoni musici, e facendo con lor conoscenza per profittare delle loro lezioni. Dopo il suo ritorno in Italia, nel 1710 vi acquistò tale fama, che a capo di dodici [52] anni non vi era città considerevole quasi più in tutta l'Italia di cui non ne avesse egli arricchito il teatro con alcuna delle sue composizioni. Terminò questa carriera per sempre con l'opera Zenobia e Radamisto, che aveva composta pel teatro sant'Angelo di Venezia. Il vescovo di Wurzbourg avendogli fatto delle offerte a quest'epoca, Chelleri accettò e si rese in Germania; ma la morte tolse via il vescovo dopo due anni e mezzo, ed egli perdette quel posto, benchè immediatamente dopo entrò nel 1725 al servizio del langravio Carlo d'Assia-Cassel, che gli conferì la piazza di maestro di cappella e direttore di musica, nella quale si è acquistata molta fama nella Germania. L'anno d'appresso 1726, fece un viaggio in Inghilterra, e restò dieci mesi in Londra, ove pubblicò un libro di cantate. I suoi talenti gli procacciarono in quel paese una buona accoglienza, e l'onore di essere ricevuto membro dell'accademia di musica. Il successore del langravio Carlo, che era nel tempo stesso re di Svezia, il confermò non che nel suo posto, ma lo chiamò eziandio a Stockolm nel 1731; trovando però che il clima di Svezia non conveniva alla sua salute, chiese il permesso di tornare a Cassel, il che ottenne egli nel 1734 col titolo e il posto di consiglier di corte. Quì è dove terminano le memorie su la sua vita, che ha lasciate egli stesso, e di cui ci siamo serviti per la nostra narrazione. Par ch'egli sia morto circa al 1758. Era costui un assai leggiadro compositore, ed insieme assai profondo. Eravi una di lui sonata in fa maggiore, che un mezzo secolo addietro andava per tutti i cembali, come il pezzo favorito degli amatori di musica in Germania. Egli compose quivi un grandissimo numero di salmi, di gran messe, di overture, di sinfonie e di notturne. Nel 1626, pubblicossi in Londra un libro di sue cantate ed ariette con accompagnamento [53] compito, e a Cassel un libro di diverse sonate e fughe per il forte-piano e per l'organo. (V. Gerbert.)

Cherubini (Luigi-Carlo-Zenobio), nato in Firenze li 8 Settembre 1760, cominciò dall'età di nove anni ad imparare la composizione sotto Bartolomeo Felici, e 'l suo figlio Alessandro. Questi due compositori essendo morti, passò sotto la direzione di Pietro Bizzari e di Giuseppe Castrucci. Sin dal 1773, cioè prima di avere compito il suo tredicesimo anno, fece eseguire in Firenze una messa e un intermezzo, a' quali fece succedere, nello spazio di quattro a cinque anni alcune opere per chiesa e per teatro, che furono con molti applausi accolte. Questi successi impegnarono il gran-duca di Toscana, Leopoldo II, amico zelante e protettore delle arti, che distinse i suoi talenti, ad accordargli nel 1778 una pensione per metterlo in istato di andare e proseguire i suoi studj, e cercare di perfezionarsi sotto 'l celebre Sarti, che era allora dimorante in Bologna. Cherubini passò presso a quattr'anni sotto quest'abile maestro, e a' suoi talenti ed a' suoi consigli riconosce dover egli la scienza profonda che ha acquistata nel contrappunto e nello stile ideale; come ancora i talenti che lo han posto al rango de' più valenti compositori. Carico di troppe occupazioni, Sarti per risparmiarsi una parte del travaglio, ed esercitare il suo allievo, affidavagli la composizione delle seconde parti delle sue opere. I di lui spartiti contengono gran numero di pezzi che Cherubini vi ha scritto. Nel 1784, lasciò egli l'Italia e passò in Londra, ove dimorò presso a due anni, e fecevi eseguire due opere, la finta Principessa e Giulio Sabino. Nel 1786, partì d'indi e giunse nel mese di Luglio a Parigi ove risolvette di stabilirsi. Pur non di meno, andò egli nel 1788, a Torino, ove fece rappresentar la sua opera d'Ifigenìa in Aulide. Di ritorno a Parigi, fece egli [54] rappresentare li 3 Decembre all'Accademia di Musica, la sua opera il Demofoonte, il primo dramma con cui ha arricchita la scena francese. Compose quindi un gran numero di pezzi staccati, che furono messi nell'opere italiane eseguite nel 1790, e ne' seguenti anni, dall'eccellente coppia di attori italiani, che Parigi possedeva a quell'epoca. Si ha ancora presente l'entusiasmo che tra gli altri eccitava il magnifico quartetto Cara da voi dipende, posto nell'opera dei Viaggiatori felici. Cherubini presedea egli stesso all'esecuzione delle sue opere, e non che a' talenti de' virtuosi, ma altrettanto a' suoi consigli ed alla saggia sua severità si dovette quell'esecuzione così perfetta, che ha distinto quell'incomparabile coppia, della quale tutto ciò che l'ha seguito, dato non ha che delle rimembranze imperfette. Nel 1791, diè Cherubini al teatro Feydeau la sua grand'opera di Lodoiska. Questo dramma è un'epoca nella vita di Cherubini e nella storia dell'arte. Fece egli conoscere un nuovo genere, nel quale tutte le ricchezze instrumentali sono unite a cantilene larghe e maestose. Lodoiska fu seguita d'Elisa, da Medea e dalle due Giornate, opere che appartengono allo stesso genere e che furono framischiate d'altre produzioni d'un men sublime genere; ma nelle quali si riconosce sempre il genio originale e la mano maestra di un valente compositore. I prodigiosi successi ottenuti dal Cherubini nella sua patria adottiva, portarono la di lui rinomanza sino nel fondo della Germania; tutte le sue opere vi furono rappresentate ed accolte con uguale entusiasmo, ed egli medesimo, essendosi portato in Vienna nel mese di Giugno 1805, alla rappresentazione di Faniska, ch'egli diede sul teatro imperiale di questa città, raccolse altresì un'abbondante messe di elogj e di applausi in ogni genere. Tornato a Parigi nell'Aprile [55] del 1806, Cherubini non ha interrotta la serie delle sue composizioni. Tra le opere uscite dalla dotta sua penna dopo quell'epoca, metteremo nel primo rango la sua messa a tre voci con orchestra, che de' giudici illuminati riguardano come una dotta riunione delle bellezze de' due generi antico e moderno. Cherubini è stato scelto uno de' cinque ispettori del Conservatorio del momento della sua organizzazione, e al tempo della riforma che se ne intraprese a capo di alcuni anni vi fu confermato; egli ha preso parte alla composizione di più metodi pubblicati dal Conservatorio. Tali sono il metodo di violino, e quello del violoncello, ne' quali egli vi ha aggiunto de' bassi in contrappunto, che sono stati riguardati come degli eccellenti studj. Comecchè noi parlato avessimo delle sue principali opere, gli amatori ce ne sapranno certamente grado, se qui ne presentiamo loro un indice più compito e metodico. Dal 1773 al 1779, messe, salmi, mottetti, oratorj, cantate, e intermezzi, Firenze. Nel 1780, Quinto Fabio, opera in tre atti, Alessandria, della Paglia. Nel 1782, Armida, Messenzio; drammi in tre atti, Firenze; Adriano in Siria, Livorno. Nel 1783, Quinto Fabio, Roma; Lo sposo di tre femine. Nel 1774, l'Idalide opera in due atti, Firenze; Alessandro nell'Indie, Mantova. Nel 1785, La finta Principessa, Londra. Nel 1786, Giulio Sabino, e un gran numero di pezzi aggiunti al Marchese di Tulipano, Londra. Nel 1788, Ifigenia in Aulide, Torino; Demofoonte, Parigi. Nel 1790 Addizioni all'Italiana in Londra, di Cimarosa, Parigi. Nel 1791, Lodoiska, Parigi. Nel 1793, Koukourgi, opera inedita. Nel 1794, Elisa. Nel 1797, Medea. Nel 1798, L'Osteria Portoghese. Nel 1789, La Punizione; La prigioniera. Nel 1800, Le due Giornate. Nel 1803, Anacreonte. Nel 1803, Achille in Sciro, balletto. Nel 1806, Faniska, Vienna. Nel 1809, Pigmalione, [56] al teatro des Tuileries. Ed inoltre un grandissimo numero di pezzi staccati di musica in tutti i generi, di chiesa, di camera, di teatro, ed eziandio di musica instrumentale, fra l'altre una sonata per due organi. Il grazioso e insieme erudito Carpani paragona il Cherubini al Lesueur, e valentissimo scrittore lo chiama, e quasi il solo dopo il Salieri, il Zingarelli, il Weigl tra li compositori moderni, che sappia innalzare a tempo lo stile e preparare da lontano gli effetti, e così ottenere quella esplosione d'applausi, che è più lo scoppio impensato e fisico del sentimento, che una operazione determinata della volontà. Racconta egli in oltre, che quando fu a Vienna il Cherubini chiese al celebre Haydn il permesso di chiamarlo col nome di padre, che a lui più che ad altri diceva dovere Lo bello stile, che gli ha fatto onore. Haydn glielo concesse, ma colla condizione di poterlo dal canto suo chiamare col nome di figlio, e gli fece dono dell'originale di una sua sinfonia. Alla morte poi di Haydn, onorando la di lui memoria il Conservatorio di musica di Parigi con un concerto, fu in esso eseguito un inno in onor del grand'artista, posto in musica dal Cherubini. “Questo bravissimo compositore, dice lo stesso Carpani, rese al defunto maestro ed amico il vero omaggio che il talento può dare al talento, quello di accrescere il numero delle belle produzioni collo stesso lavoro destinato ad esaltarlo. Non sono molto contento della poesia di quest'inno se bene la lodi un qualche giornalista, ma so che la musica era degna del Haydn stesso, e non farete difficoltà a crederlo, se vi ricorderete quant'anima e sapere campeggi in alcuni pezzi della Lodoiska, in quasi tutto il dramma delle due giornate, ed in altre produzioni di questo dotto pennelleggiatore d'affetti”. (Lett. 15.) Nè voglio qui omettere quel che racconta il tedesco [57] Lichtenthal intorno alla musica delle due giornate di Cherubini. “Alla prima rappresentazione, egli dice, della predetta opera, io mi vi trovai con un mio amico, ora medico in Ungheria, il quale poichè alla fine cadde il sipario, rimase lì incantato, sì ch'ebbi a scuoterlo più volte. Mi guardò per alcuni momenti come estatico, poi mi disse: amico, noi staremo qui, finchè si dia nuovamente quest'opera!” (Dell'influenza della mus. sul corpo um. Milano 1811.)

Chiaula (Don Mauro), nato in Palermo circa 1544. In età di 17 anni entrò nell'ordine dei Benedettini e fece la sua professione nell'illustre monastero di S. Martino di quella città. Fece quivi i suoi studj confacenti allo stato, e siccome il canto è una delle principali occupazioni di quell'ordine, coltivò con ispezialità la musica, e talmente ne divenne perito, che nel 1581 dovendo il Senato di Palermo secondo il gusto e l'uso di que' tempi far rappresentare il sacro ludo della Creazione del mondo nella chiesa di S. Maria della Pinta, fu per ordine del vicerè M. Antonio Colonna scelto don Mauro per comporne la musica. Essa ebbe tal successo, che fu stabilito darsi alle stampe. Il Sanctus che si canta tuttora da' Musici nelle solenni messe delle chiese di Palermo, è quello stesso che cantossi in quell'occasione da un coro di angioli, e conserva perciò il nome di Sanctus della Pinta. Dicesi in oltre che la fama della sua perizia nella composizione a più cori lo rese celebre non che in Sicilia, ma in Roma presso i sommi pontefici e in Venezia. Morì egli decano del suo ordine nel mon. di S. Martino verso il 1600; nella di cui riguardevole Biblioteca conservansi più volumi della sua musica di chiesa. (Mongit. Bibl. Sic.)

Chiavelloni (Vincenzo) pubblicò in Roma nel 1668, Discorsi della musica, in 4º. [58] Sono questi ventiquattro edificanti sermoni per insegnarci che il compositore dee sempre avere in vista l'amore della virtù e l'osservazion della natura. Questi precetti morali possono del pari applicarsi alla pittura, alla scultura, e a tutte in generale le belle arti. “Io non ho avuto il coraggio, dice M. de Boisgelou, a cui dobbiamo quest'articolo, di leggere sino al fine tutte queste divote omilie.”

Chladni (Ernesto-Ferdin-Franc.), dottore in filosofia e in dritto, nato in Wittemberga nella Sassonia li 30 novembre 1756, fece i suoi studj nelle scuole provinciali di Grimme, e in quelle di Wittemberga e Lipsia; dove suo padre uno de' giureconsulti più riputati del suo paese, l'obbligò ad applicarsi al dritto, e dopo avervi preso i gradi di dottore, vi fu anche professore. Ma egli abbandonò la giurisprudenza dopo la morte di suo padre, ed applicossi principalmente allo studio della natura, ch'era stata sempre la sua occupazione secondaria, e tuttavia a lui più gradita. Come grande amator della musica, di cui aveva appreso a diciannove anni di sua età i primi elementi, osservò egli che la teoria del suono era il più negletto tra i rami della Fisica, e questo fecegli nascere il pensiero e la brama di supplire a tal difetto, e di esser utile con alcune scoverte a questa parte della Fisica; ei cominciò nel 1785 i suoi sperimenti sull'Acustica. I risultati delle ricerche da lui fatte intorno a questa scienza leggonsi in alcuni Giornali della Germania e nelle Memorie di differenti Società: la prima comparve in Lipsia nel 1787, sotto il titolo: Entdeckungen ec. cioè: Scoverte su la natura del suono. Quindi diede egli al pubblico il suo Trattato di Acustica in tedesco stampato in Lipsia nel 1802 e da lui stesso tradotto in francese con molte addizioni; fu pubblicato in Parigi nel 1809 in 8º, dopo aver riportata l'approvazione della [59] classe delle scienze matematiche e fisiche dell'Istituto di Francia. L'opera è divisa in quattro parti, che trattano rispettivamente: 1º. de' rapporti numerici delle vibrazioni dei corpi sonori; 2º. delle leggi de' fenomeni che esse offrono; 3º. delle leggi della propagazione del suono; 4º. della parte fisiologica dell'Acustica, in cui l'autore esamina quel che riguarda la sensazione del suono e l'organo dell'udito degli uomini e de' bruti. Ecco il giudizio de' Commissarj dell'Istituto intorno a quest'opera. “Le scoperte, di cui Mr. Chladni ha arricchita la fisica del suono, ci sembrano di riunire al merito di essere, per quanto sia più possibile, e curiose ed interessanti, il vantaggio di offrire a' Fisici ed ai Geometri degli importanti e nuovi fenomeni, che debbono eccitar singolarmente la loro curiosità e l'emulazione loro, per trovarne le spiegazioni e determinarne le leggi; questa carriera aperta alle ricerche degli uomini dotti non sarà la menoma obbligazione che eglino professano all'autore della nuova Acustica; Mr. Chladni, dice un moderno scrittore, dotto fisico, a cui dobbiamo delle scoverte così nuove, così interessanti nella Fisica del suono, ha dato di recente un aspetto tutto nuovo all'Acustica” (M. Raymond, lettre sur la musiq. Paris 1811.) Oltre a questi scritti, Mr. Chladni abile del pari nella teoria e nella pratica della musica, è l'inventore di due nuovi strumenti. Il primo, a cui egli ha dato il nome di Clavicilindro è un instrumento a tasti, presso a poco dalla forma stessa del forte-piano, ma di più piccole dimensioni. L'estensione della sua tastiera è di quattro ottave e mezzo, dal ut il più grave sino al fa il più acuto del clavicembalo. Allorchè vuolsi sonar quest'instromento, si fa girare, mediante una maniglia a pedale munita d'una piccola ventola, un cilindro di vetro posto nella cassa tra l'estremità [60] interiore de' tasti e la tavola di dietro dello strumento. Il Cilindro non è egli medesimo il corpo sonante, come le campane dell'Armonica, ma produce i suoni mercè il suo fregamento sul meccanismo interno. I suoni possono prolungarsi a piacere, con tutte le gradazioni del diminuire e del crescere, come del pari si accresce o diminuisce la pressione sopra i tasti. L'accordo dell'instromento è inalterabile, allorchè le sue parti interne sono state una volta per sempre aggiustate e bene regolate, il che è uno de' suoi più grandi avantaggi. In quanto alla qualità ed alla voce del suono, ha somma analogia coll'Armonica, senza eccitar come questa, nel sistema nervoso un aizzamento ed un'irritazione assai sensibili in alcuni individui, e che li mettono in istato di patimento. Ha eziandio il vantaggio su l'Armonica d'una graduazione d'intensità de' suoni meglio disposta tra i soprani ed i bassi; ed è inoltre superiore a questo riguardo al suono degli organetti da camera, a' quali potrebbe paragonarsi. Il primo instromento di questo genere, construito dall'autore sul principio del 1800, e quindi da lui perfezionato, per trasportarlo ne' suoi viaggi, non ha che 34 pollici di lunghezza, sopra 21 di larghezza e 7 di altezza; ma possono aggiungersi più suoni a ciascuna estremità, ed accrescere la sua forza e la sua estensione con ingrandire lo strumento (V. Archive des Découvertes, etc. Paris 1809). Ma quel che distingue e caratterizza essenzialmente il Clavicilindro, si è la pregevole proprietà ch'egli ha di ben filare i suoni in un grado eminente dal medio d'intensità sino allo smorzando, di rendere delle successioni rapide de' suoni, de' trilli, a prestarsi all'esecuzione dell'allegro: benchè per fargli produrre tutto l'effetto di cui è capace, bisogna principalmente adattarlo ai pezzi di musica di un carattere tenero, malinconico, [61] e fin anco il più tristo. “Mr. Chladni, (si dice nel Rapporto datone all'Instituto in dicembre 1808) ce ne ha eseguiti molti di questi diversi generi, che hanno sul suo strumento un'espressione che veramente rapisce, e che ci hanno fatto comprendere tutto il vantaggio che può trarne un valente musico per esprimere con verità ed energia il sentimento che l'anima. Le successioni degli accordi, le tenute di armonia, fredde su l'organo e secche sul cembalo, prendono sul Clavicilindro della vita, dei colori, ed offrono al compositore de' mezzi di variare ed arricchire i suoi quadri. La di lui invenzione parci che aggiunga delle nuove risorse a quelle, cui di già possiede l'arte musicale.” L'Eufonio, che è il secondo instromento inventato da Mr. Chladni nel 1789, e compiuto l'anno d'appresso, consiste esteriormente in piccoli cilindri di vetro, che longitudinalmente si fregano con le dita umide di acqua. Questi cilindri, della grossezza d'una penna da scrivere, sono tutti uguali in lunghezza, e la differenza de' suoni è prodotta dall'interiore meccanismo dell'instromento. Il suono è più d'ogni altro strumento, analogo a quello dell'Armonica. In alcuni viaggi dell'autore in Germania, a Pietroburgo ed a Coppenhague, l'Eufonio ha ottenuto una grande approvazione. “Ciascuna invenzione, dice egli stesso, essendo la proprietà del suo autore, non merito rimprovero, se non ne ho ancor pubblicato il meccanismo interno e la costruzione. Io non ho fin ora perduta la speranza, che tempo verrà in cui una compensa proporzionata a' sacrifizj che ho fatti, mi farà render pubblico tutto ciò che riguarda la teoria e la costruzione di questi instromenti.” (V. Préf. au Traité d'Acoustique, pag. XIV.)

Choquel, avvocato al Parlamento di Provenza, pubblicò nel 1759, un'opera intitolata: La Musique rendue [62] sensible par la mécanique, ec. cioè “La Musica resa sensibile per mezzo della meccanica, ossia nuovo sistema per apprendere facilmente da se stesso la musica” in 8vo. L'autore v'impiega con profitto il monocordo e 'l cronometro, strumenti noti a dir vero, ma de' quali non si era pensato ancora a trarne così buon partito, e la cui costruzione è sì facile, che può ciascuno procurarseli agevolmente. In una parola, quest'opera mette coloro, che si troverebbono privi di maestro, in istato di apprendere da loro medesimi a solfeggiare ed a cantare con giustezza e in misura di tempo.

Choron (Alessandro-Stefano), nato a Caen a 21 ottobre 1772, ove suo padre era direttore delle gabelle, non intraprese lo studio della musica che al compir de' suoi studj, da lui terminati prima dell'età di quindici anni, nel collegio di Juilly. Privo d'ogni specie di soccorsi, e contradetto ne' suoi gusti, cominciò dall'apprendere da se stesso, senza libri e senza i consigli di alcun maestro, a notare tutti i canti, che poteva trattenere a mente o inventare, e giunse così ad acquistare bastante facilità in quest'esercizio, ma prima altresì di essere in istato di leggere una nota di musica. Le opere di Alembert, di Roussier, di Rousseau e d'altri scrittori della setta di Rameau, gli servirono quindi di guida nello studio della composizione, e 'l menarono a grado di comporre sì bene che male, in parti, o in accompagnamento. Mr. Gretry, a cui mostrò egli alquanti saggi in tal genere, lo impiegò a far degli studj metodici; e indicogli l'abbate Roze, uno de' migliori maestri francesi, con cui travagliò per alcun tempo. Desiderando in appresso aver cognizione dell'altre scuole, faticò per lungo corso di tempo col signor Bonesi della scuola di Leo, e con altri professori della scuola d'Italia, e lesse con molta attenzione i migliori didattici tedeschi, di cui apparò [63] espressamente il linguaggio. Nel tempo, ch'ei studiava le opere di d'Alembert, ec. la voglia di capire alcuni calcoli che vi s'incontravano, l'indusse a intraprender lo studio delle mattematiche. Egli vi si diede con un estremo ardore, e vi fece de' sufficienti progressi a segno che il cel. geometra M. Monge lo giudicò capace di ricevere i suoi consigli e lo adottò per suo allievo. In questa qualità fece egli le funzioni di ripetitore per la geometria descrittiva alla scuola Normale nel 1795, e fu quindi nominato capo di brigata alla scuola Politecnica al tempo della sua formazione. Agli studj delle mattematiche M. Choron ne aggiunse ancora degli altri ch'ei credette aver più o meno rapporto con la musica, alla quale riferiva tutto, ed ai quali lo portavano il desiderio di sapere e l'abitudine di generalizzare le sue idee; così fu che abbracciò quelli dell'analisi dell'intendimento, della letteratura in generale, delle lingue antiche e moderne, sino all'ebrea, di cui supplì più volte la lezione nella classe del collegio di Francia in assenza del suo professore. Se essi furon di ostacolo perchè dar non si potesse esclusivamente alla pratica, gli furono almeno utili in quanto gli facilitarono l'acquisizione d'una teoria più profonda. Sin da' primi passi che aveva fatti nella carriera della musica, erasi innalzato a un grado sufficiente per iscorgere, da una parte, molte imperfezioni del sistema generale della musica in se stesso; dall'altra, la povertà della letteratura di quest'arte, principalmente nella lingua francese. Questi furono adunque li due oggetti a' quali riferì tutta la sua attenzione. Sarebbe qui forse il luogo opportuno per entrare in alcuni dettagli intorno a questa materia: ma siccome riuscirebbe impossibile l'intraprenderli di una sufficiente maniera, senza eccedere singolarmente i limiti che ci siamo prescritti in questi articoli, [64] ci ristrigneremo a dire che M. Choron prepara sopra tutti siffatti oggetti de' travagli della più grande importanza, che diverranno a mano a mano pubblici, e su i quali egli non vuole prevenire il giudizio degli artisti. Le opere intorno alla musica ch'egli sino a questo giorno ha date al pubblico sono: 1º. Principes d'accompagnement des écoles d'Italie, en société avec le sieur Fiocchi, Paris 1804; 2º. Principes de composition des Écoles d'Italie, Paris 1809; opera classica, in tre vol. in folio, di mille quattrocento cinquanta sei rami, il che ne rende ai particolari malagevole l'acquisto, per il prezzo che necessariamente dee valere. L'opera è formata della riunione dei modelli i più perfetti in ogni genere, arricchita di un testo metodico disposto a norma dei documenti delle scuole più celebri, e particolarmente di quella d'Italia, e degli Scrittori didattici i più apprezzati. Può dirsi in verità che questo è il solo corpo di dottrina compiuto intorno all'arte della composizione (V. quì l'art. di Sala nel 3. tomo). Di buon grado ne avrei qui dato l'analisi, ma nol permette la brevità di cui mi sono compromesso. 3º. Nel 1811 Mr. Choron ha pubblicato un Metodo elementare di Musica e di canto-piano, per uso de' seminarj, e delle scuole delle cattedrali, in 12º. Nel 1800, aveva egli inoltre dato al pubblico un Metodo d'istruzione primaria, per apprendere nel medesimo tempo a leggere ed a scrivere che, dopo l'esperienze fatte sopra più di mille persone e l'attestato della società Filantropica di Parigi, economizza in circa i tre quarti del tempo. Mr. Choron è finalmente insieme con Mr. Fayolle autore di un Dizionario Storico dei Musici Artisti, ec., di cui si è abbastanza da noi parlato nella prefazione del presente Dizionario.

Chretien (Egidio-Luigi), valente sonator di violoncello della cappella del Re [65] a Versailles ove era nato nel 1734. Egli sonava con ispeditezza e facilità delle sonate di violino molto difficili, e tirava un bel suono dal suo instromento, benchè sia stato accusato di non attaccarsi abbastanza all'espressione. Nel 1760, egli diede agl'italiani Le Precauzioni inutili. Finì egli di vivere li 4 marzo 1811, come finiva egli di emendare le prove di un'opera su la musica, che la sua vedova ha di recente pubblicata, e di cui Mr. Choron promette l'analisi nel suo supplemento. Chretien non si era addetto unicamente alla musica, a lui si devono eziandio i ritratti disegnati su la fisonomia, e che prendono perfettamente la rassomiglianza degli originali.

Christmann (Giov. Federico), ministro luterano a Heutingsheim, nato a Ludwigsbourg nel 1752, dee essere annoverato tra i più abili dilettanti di musica de' nostri giorni. Fornito di molti talenti, ebbe occasione di sentire spesso la cappella, allora sì eccellente del duca di Wurtemberg, e di personalmente conoscerne i primi artisti che frequentavano la casa di suo padre: egli si rese nel suo decimo anno al ginnasio di Stuttgart. Essendo già abile sul flauto e il clavicembalo, continuò a coltivare questi due instrumenti, e giunse a un tale grado di perfezione che ancor assai giovane, fu ammesso a eseguire un solo di flauto dinanzi al duca. Egli si rese quindi a Tubinga per studiarvi la Teologia: vi proseguì i suoi esercizj, e cominciò a comporre de' concerti per quegli stromenti. Eletto vicario presso un ministro, lasciò quel posto a capo di due anni, e nel 1777 portossi a Winterthur nella Svizzera, in qualità di precettore; quivi egli compose negli intervalli d'ozio, i suoi Elementi di Musica, (Elementarbuch), che diede alle stampe nel 1782, a Spira, presso Bosler, con un volume d'esempj pratici. Egli vi fece imprimere nel tempo medesimo i suoi Divertimenti [66] per il cembalo (Unterhaltungen etc.). Nel replicare alcune esperienze su l'aria infiammabile, che occupavano allora i fisici dell'Europa, in occasione di essersi inventate le macchine aerostatiche, ebbe la disgrazia di perdervi un occhio. Fu in tal congiuntura ch'egli tornò nel 1782, nella casa paterna. Guarito appena, accettò anche un posto di precettore a Carlsruhe: quivi fece conoscenza col maestro di cappella Schmidtbauer, e nel tempo stesso con Vogler, che trovavasi allora alla corte di quella città, ove fece più volte sentirsi. Dopo un soggiorno di nove mesi a Carlsruhe, Christmann fece un viaggio nel Palatinato per riconoscere più da vicino lo stato delle scienze e delle arti in quel paese. Nel 1783, ottenne alla fine la carica di ministro nella patria. Le differenti opere, ch'egli ha di poi pubblicate, provano con quale successo esercita ancora, in quella nuova situazione, i talenti ch'egli ha per la musica. Debbonsi comprendervi le numerose produzioni e d'ogni specie, con cui ha abbellita l'opera di Bosler intitolata: Musicalische Blumenlese, ossia Scelta di fiori di Musica. Il secondo volume de' suoi Elementi di musica, ch'egli fece imprimere nel 1789, presso Bosler, e che contengono i principj del basso continuo e dell'accompagnamento; e la parte finalmente ch'egli ha avuto al piano e all'esecuzione della Gazzetta musicale di Bosler, per la quale egli ha somministrato molti articoli interessanti. Nel 1790, era inoltre occupato di molte importanti ricerche relativamente alla storia letteraria della musica, e travagliava a un Dizionario generale di musica, in più vol. in 4º, di cui fece pubblicare il Prospetto nei giornali del 1788. Gli amatori di quest'arte possono consultare, a questo riguardo, la gazzetta di musica nel mese di febbrajo 1789; dove troveranno eziandio la di lui Biografia con più dettaglio. Non sappiamo sin ora [67] che sia stato pubblicato il suo Dizionario.

Chrysander (Gugl.-Cristiano-Giusto), dottore in teologia e filosofia, professore ordinario di teologia nell'Università di Rinteln, nacque a Gœddekenroda, nel paese di Halberstadt, li 9 dicembre 1718. Era egli grand'amatore di musica, cantava, sonava la chitarra, il flauto e il cembalo fin nella sua più grande età, nella quale aveva ancor l'abito di cantare i salmi ebrei, accompagnandosi su la chitarra. Egli scrisse e pubblicò nel 1755, un trattato sotto il titolo: Historiches etc. cioè: Ricerche storiche su gli organi di chiesa, in 8vo.

Cianchettini (Pio), figlio di Francesco Cianchettini Romano, e di Veronica Dusseck, nacque in Londra li 11 dicembre 1798. Sin dall'età di quattro anni, mostrò delle grandi disposizioni per la musica. Sua madre, sorella del cel. Mr. Dusseck, e come lui famosa sonatrice di piano-forte, gl'insegnò a sonare questo instrumento, e lo istruì nell'armonia. Non aveva egli che cinque anni, quando comparve per la prima volta in pubblico, nella gran sala di concerto al teatro dell'opera Italiana in Londra, ove eseguì sul forte-piano con molta grazia, la prima sonata da lui composta, ed improvvisò delle variazioni sopra temi che furongli presentati. Fu riguardato come un prodigio. Da quell'età sino a sei anni, egli viaggiò con suo padre in Germania, in Olanda ed in Francia: ne' varj giri per questi paesi egli fu accolto della più distinta maniera, e ricevette in fin il soprannome di Mozart Britannico. Di ritorno in Londra proseguì i suoi studj. Alli otto anni parlava benissimo quattro lingue, l'inglese, la francese, l'italiana e la tedesca. Prima di aver compiti i nove anni, aveva già composte molte sonate, capricci ed un gran concerto che fu da lui eseguito li 16 maggio 1809 nella gran sala del concerto in Londra, e che eccitò i più vivi applausi. Veronica Dusseck sua madre [68] era nata in Boemia nel 1779, ebbe da suo padre lezioni di musica. All'età di diciotto anni, suo fratello Giuseppe Dusseck, famosissimo sonatore di forte-piano, chiamolla in Londra, ove ella diede con molto successo delle lezioni di quell'instromento. Abbiamo di lei molte sonate e due gran concerti per il cembalo: ella maritossi in Londra con Francesco Cianchettini Romano.

Cicognini: compositore italiano della metà del secolo 17º. Planelli, Tiraboschi e Signorelli lo riguardano come l'inventor delle arie, perchè fu il primo che nel suo Giasone, diede al teatro un'opera mescolata di recitativi e di stanze anacreontiche. Ma l'accurato abbate Arteaga nella sua Storia del teatro italiano ha provato che Jacopo Peri aveva già nel 1628, dato delle arie nel suo dramma Euridice.

Ciconia (Gio.), canonico di Padova nel secolo decimo quinto, lasciò un'opera manoscritta col titolo: De proportionibus, che si conserva in Ferrara.

Cima (Gian-Paolo), organista di Milano, è autore di un canone che vien riferito dal padre Martini nel suo saggio fondamentale pratico del contrappunto fugato. Questo canone è fatto con molto artifizio: tutte le voci cominciano dal fa ut grave del tenore; quando la seconda voce entra in canto, la prima cambia di registro e passa alla chiave di contralto, e la prima a quella di secondo soprano; finalmente quando si viene alla quarta voce, la terza passa alla chiave di contralto, la seconda a quella di mezzo soprano, e la prima a quella di soprano. L'autore di questo canone avendosi inutilmente lambiccato il cervello per trovare un enigma relativo a tutti que' cambiamenti di registro, determinossi a rompere il nodo della difficoltà, mettendovi: Intendami chi può che m'intend'io.

Cimador (Francesco), nato in Venezia verso il 1750, era un musico assai poco istruito [69] nella composizione, ma pieno bensì d'estro e di fantasia. Essendo ancora nel proprio paese, scrisse l'opera di Pigmalione, che ben può dirsi frutto dell'inspirazione, e del genio. Fu questa ricevuta con sommo aggradimento dal pubblico a motivo dell'espressione e dell'originalità che vi regnavano: ma in quanto a lui medesimo, ne fu così malcontento, che gettonne lo spartito alle fiamme, e giurò di non più scrivere in sua vita. Ei mantenne parola, e d'indi in poi limitossi a disporre e accommodare per suo uso soltanto i pezzi che gli piacevano nella musica degli altri compositori. Così fu che trovandosi in Londra nel 1792, e vedendo con pena che l'orchestra d'Haymarket ricusava di eseguire le sinfonie di Mozart, per la loro eccessiva difficoltà, egli ne accomodò dodici delle più belle in sestetti, con una settima parte ad libitum. Questa interessantissima collezione ha avuto il più meritevole successo, e questo si è quel che Cimador ha lasciato di più importante.

Cimarosa (Domenico), nato in Napoli nel 1754, e morto in Venezia li dì 11 gennajo 1801, in età di appena 46 anni. Egli ricevette le prime lezioni di musica da Aprile, ed entrò nel Conservatorio di Loreto, dove apprese i principj della scuola di Durante. Nel 1787, fu chiamato a Pietroburgo dall'Imperatrice Caterina II per comporvi delle opere. Ecco quelle ch'egli ha scritto in Italia, e che sono state applaudite con entusiasmo sopra tutti i teatri dell'Europa. L'Italiana in Londra, 1769; Il Convito, I due Baroni, Gli inimici generosi, Il pittore parigino, 1782; Il Falegname, 1785; I due supposti conti, 1786; Valodimiro, La Ballerina amante, Le trame deluse, 1787; L'impresario in angustie, Il credulo, Il marito disperato, Il fanatico burlato, 1788; Il convitato di Pietra, 1789; Giannina e Bernardone, La Villanella riconosciuta, Le astuzie [70] feminili, 1790; Il matrimonio segreto, 1793; I traci amanti, Il matrimonio per susurro, La Penelope, L'Olimpiade, Il sacrificio d'Abramo, 1794; Gli Amanti comici, 1797; Gli Orazj e Curiazj. L'ultima opera buffa di Cimarosa è L'imprudente fortunato, rappresentato in Venezia nel 1800. L'Artemisia non potè esser da lui finita; non v'ha del suo che il primo atto: altri compositori si sono provati di aggiugnervi i due ultimi, ma non è potuto lor riuscire. Il pubblico ha fatto abbassare il sipario alla medietà del secondo atto. Tutte le opere di Cimarosa brillano per l'invenzione, per l'originalità delle idee, per la ricchezza degli accompagnamenti e la grazia degli effetti scenici, principalmente nel genere buffo. La più parte de' suoi motivi sono di prima intenzione. Nel sentire ciascun pezzo della sua musica, si vede che la partizione è stata fatta di estro, e come di un solo getto. L'entusiasmo che eccita il Matrimonio segreto non può concepirsi: basti il dire, che quest'opera giunse a fissare la mobilità degl'Italiani. Cimarosa fu al Cembalo, nel teatro di Napoli, per le sette prime rappresentazioni, il che non era mai avvenuto. In Vienna, l'Imperatore avendo sentita la prima rappresentazione di quest'opera, invitò i cantanti ed i musici a tavola, e rimandolli la sera stessa al teatro, ove rappresentarono quel dramma la seconda volta. Si riferiscono molti tratti di modestia che ingrandiscono il merito di questo valentuomo. Un pittore, volendogli far la corte, gli disse che lo riguardava come superiore a Mozart; Io! oibò! riprese egli seriosamente, e che direste voi a un uomo che venisse ad assicurarvi che voi sorpassate Raffaello? Cimarosa era di un carattere aperto, franco, sincero, amichevole: quand'ei scriveva la sua musica, domandava strepito, e voleva a se intorno gli amici per comporre. “Così gli nacquero, dice Carpani, gli [71] Orazj e Curiazj; e così il matrimonio secreto, ed in esse (malgrado alcune improprietà d'espressione), la più bella, la più ricca, la più originale opera seria, e la prima opera buffa del teatro italiano.” (Lett. 13.) Egli compara Cimarosa a Paolo Veronese. Gli amatori sono divisi tra Mozart e Cimarosa, riguardandoli come compositori drammatici. Napoleone dimandava un giorno a Gretry qual differenza eravi tra l'uno e l'altro. “Signore, rispose Gretry, Cimarosa mette la statua sul teatro e il piedestallo nell'orchestra, mentre che Mozart mette la statua nell'orchestra e 'l piedestallo sul teatro.”

Cionacci (Francesco), prete e predicatore in Firenze, pubblicò nel 1685 a Bologna: Dell'origine e progressi del canto ecclesiastico. Discorso I. (V. Mart. Stor.)

Cleaver (William), vescovo di Chester in Inghilterra, pubblicò a Oxford nel 1777 il decreto degli Spartani contro Timoteo poeta musico per avere egli aggiunto due corde alla lira, e che esisteva soltanto in latino conservatoci da Boezio. Il dottor Cleaver trovato avendolo in greco nella biblioteca di Oxford, il rese pubblico sotto il seguente titolo: Decretum Lacedæmoniorum contra Timotheum Milesium, e codd. mss. oxoniensibus, cum commentario, etc. Dobbiamo del pari a questo dotto vescovo: De rhytmo Græcorum liber singularis Oxonii 1788, in 8º.

Clamer (Andrea Cristoforo) fè pubblicare a Salisburg nel 1783, Mensa harmonica, etc. Non possiamo proferirne giudizio, non conoscendolo.

Clari (Gian-Carlo M.) era maestro di cappella della cattedrale di Pistoja. Egli fu uno dei migliori allievi che sortirono dalla scuola di Giov. Paolo Colonna, maestro di cappella della collegiale di san Petronio in Bologna. I suoi duetti e terzetti sono pregiatissimi: vi si trova, unito a una gran cognizione dell'arte, l'eccellente gusto dell'autore [72] in questa sorta di composizione. Egli fiorì sulla fine del sec. 17º. L'ab. Eximeno rapporta un pezzo della sua musica come un modello di buono stile; e di cui ogni nota è una pennellata da maestro (Dell'origin. ec., pag. 439.).

Clayton (Tommaso), compositore e secondo professore di musica nel collegio di Gresham a Londra, è il primo de' musici inglesi che si sia provato di porre in nota un dramma inglese: fu questo la Rosemonda di Addison. Quest'opera rappresentata nel 1707, fu accolta male, ma la seconda intitolata Arsinoe ebbe più gran successo, le arie sono state impresse. (Marpurg, Beytrag. t. 11.)

Cleman (Baltassare), è autore di un piccolo trattato di contrappunto, secondo il catalogo di Hausmann. (Ehrenpforte, pag. 108)

Clementi (Muzio), nato in Roma nel 1746, vien riguardato come il più gran suonatore di piano-forte che abbia esistito. I Tedeschi non possono opporgli che Carlo-Filippo-Emmanuele Bach. Egli riesce eccellente nell'adagio del pari che nell'allegro: eseguisce i passaggi più difficili in ottave, ed eziandio i trilli in ottave con una sola mano. Nello stesso tempo egli è un compositore di primo ordine: sin dall'età di dodici anni compose una fuga a quattro parti. Aggiungasi ch'egli è ben istruito nelle scienze e nelle arti, e che unisce alla cognizione degl'antichi autori quella delle mattematiche. Verso il 1780 era a Parigi: quindi portossi in Londra, ove ha stabilito un magazino di musica e di cembali a forte-piano. Nel 1809, si era fatta correr voce di sua morte, ma egli era allora in Italia ed è attualmente in Vienna. La collezione compiuta delle opere del Sig. Clementi è stata di recente pubblicata a Lipsia presso Breitkopf. Le sue opere che giungono sino a 43 possono ancora trovarsi presso Mr. Leduc. Ecco quello che un degno allievo di Clementi (Mr. Bertini di Parigi) ha scritto intorno al suo illustre maestro: “I [73] pezzi che Clementi ha composti fannosi rimarcare per la saviezza del piano e la disposizion delle idee. Il suo stile in generale è severo e sempre puro: le sue composizioni sono brillanti, dotte, aggradevoli. Egli ha fatte molte sinfonie, che sono ammirate dagl'intendenti. La sua esecuzione è brillante e di moltissimo gusto, nè stanca giammai il sentirlo sul forte-piano: egli improvvisa in maniera a far credere che il tutto sia scritto. Alla testa de' suoi allievi distinti che ha formati, por si debbono Cramer, Field, madama Bartholozzi ed altri.” Clementi, mentre era in Francia, era molto economo ne' suoi abiti; in sua casa viveva con somma sobrietà, ma amava moltissimo di essere ben trattato in casa altrui. Aveva dello spirito, delle cognizioni, era affabile, obbligante, buon amico, e incapace totalmente di gelosia e d'invidia. “Il celebre Clementi dice l'illustre Carpani, l'emulo del Mozart nelle sue composizioni pel gravicembalo, ed unico forse in oggi nella maniera insuperabile di sonare quell'istrumento, pubblicò in Londra anche un saggio di ritratti armonici assai bizzarro. Intraprese a contraffare i più noti compositori di cembalo de' suoi giorni: il Mozart, l'Haydn, il Kozeluch, lo Sterkel ec. non che se medesimo. E intitolò la sua galleria Caratteri musicali. Il pregio di questo scherzo consiste nell'avere l'autore così ben colta la fisonomia dell'ingegno d'ognuno de' suoi originali che, senza altra notizia chiunque, pratico delle loro opere, si pone ad eseguire queste sonatine composte d'un preludio e d'una cadenza, indovina a dirittura il maestro di cui si tratta. Non ha lasciato l'autore in mezzo alla fedeltà della imitazione, di rallegrare il soggetto con qualche saporito frizzo d'una satira delicata, appoggiando quà e là su quelle affettazioni o sviste, in cui taluno di suddetti originali cadeva talvolta, scherzo [74] in vero degno di quel felicissimo ingegno.” (Lett. 7ª.)

Cleona, suonatore di tibia, di cui fa menzione Plutarco (dial. de music.), asserendo, che trovavasi maggior vaghezza di ritmo nelle sue composizioni, che non in quelle di Polimnesto, da cui Cleona aveva preso moltissimo, singolarmente ne' canti da regolare la milizia, chiamati Orzj, e Smintj. Egli era di Tegea, e fioriva nel settimo secolo innanzi G. C.

Clinia di Taranto, filosofo pitagorico e musico viveva circa quattro secoli prima di G. C. Egli rendeva amene le lezioni della filosofia co' divertimenti della musica, e trovava ne' suoni della sua lira un lenitivo che calmava i movimenti della sua collera. (E. Plutarc., loc. cit.)

Cocchi (Gioachino), maestro di cappella del Conservatorio degl'incurabili in Venezia, nato a Padova nel 1720. Egli fu un de' primi che per il suo estro comico, fece gustare l'opera buffa in Italia: vien paragonato in questo genere a Galuppi. Nel 1771, viveva ancora in Londra. V. Gerbert.

Colbran (Isabella Angela) nacque in Madrid nel 1785, da Gianni Colbran professore di musica della cappella e camera del re di Spagna. “Le sue disposizioni per la musica e per il canto presentir si fecero sin dalla culla. All'età di tre anni, essa già intonava bene, all'età di sei don Francesco Pereja, primo violoncello di Madrid e compositore, donolle lezioni di musica. A' nove anni, studiò ella sotto Marinelli, che la diresse sino alli quattordici. Allora fu che il celebre Crescentini ebbe il piacere di formarla nell'arte del canto e, allorchè la credette in istato di prendere il suo volo, profetizò egli la riputazione di cui ella goder doveva un giorno: Io non credo, egli diceva, che vi sia in Europa un talento del suo più bello; ed a questo elogio [75] unì egli il dono di tutta la sua musica.” Madamigella Colbran ha eccitato la più viva ammirazione in tutti i concerti nei quali si è fatta sentire, in Ispagna, in Francia e in Italia. Nel 1809, essa si è molto distinta in qualità di Prima donna seria sul teatro della Scala in Milano; e nel 1810, sul teatro della Fenice in Venezia. Essa ha composto in oltre più canzoncine, sei delle quali son dedicate alla regina di Spagna, sei altre all'imperatrice delle Russie, sei al principe Eugenio e sei al sign. Crescentini suo maestro.

Collyer, dotto musico e letterato inglese scrisse verso il 1784, alcuni schizzi sulla musica, dei quali Archenholtz ha data la traduzione tedesca nel suo Liceo inglese, vol. primo n. 20.

Colonna (Fabio) nato in Napoli nel 1567, sin dalla più tenera età diessi tutto allo studio della storia naturale, delle lingue, delle mattematiche, della musica, della pittura, dell'ottica, della botanica. Egli è autore di un'opera sulla musica pubblicata in Napoli nel 1618, col titolo di Sambuca lincea, libri III, in 4º. Vi si dà la descrizione d'un istrumento, che l'autore chiamò Pentecontachordon, perchè è composto di 50 corde, e che divide il suono in tre parti. Quest'opera è pregevole benchè poco comune.

Colonna (Giov. Paolo), di Bologna, maestro di cappella di san Petronio verso il 1780, è un compositore del primo ordine e per la scienza e per lo stile. Le sue opere trovansi impresse dal 1681 sino al 1694, ed i suoi manoscritti conservansi con venerazione. In una chiesa di Venezia ve ne ha un considerevol deposito, e non è permesso di tirarne delle copie. Si ha ancora di lui un'opera in musica, l'Amilcare.

Constant de la Molette (Filippo du). Vicario generale di Vienna nel Delfinato, dottor della Sorbona, possedeva molte lingue, ed oltre [76] a molte opere su la Scrittura una ne pubblicò sotto il titolo di Traité sur la poésie et la musique des Hébreux, pour servir d'introduction aux psaumes expliqués, Parigi 1780, in 12º. Quest'opera è assai interessante per gli amatori della filologia e dell'antichità, e vi si trovano delle cose nuove benissimo esposte. L'autore già noto per discussioni profonde sopra le sagre carte, non mostra minor acutezza ed erudizione nella presente opera in quel che riguarda le due facoltà musicale, e poetica presso quell'antichissima nazione. L'abb. du Constant morì nel 1793.

Conti (L'abbate Antonio), nobile Veneziano, unito in stretta amicizia col celebre Benedetto Marcello, somministrò alla sublime musica di questo compositore una poesia degna di essa. Egli visse molti anni in Francia e in Inghilterra. A Londra il gran Newton gli comunicò le sue idee e gli svelò tutti gli arcani della scienza. L'ab. Conti morì nel 1749, in età di 71 anno. Tra le sue opere postume in Venezia, 1756, in 4º, vi ha una Dissertazione sensatissima su la Musica imitativa, e su gli abusi che già a' suoi tempi signoreggiavano nel canto. “Io non vado al teatro, egli dice, per ammirare il Musico che canta, ma per esser toccato e per sentire la cosa che imita. Il volgo che ode per l'altrui orecchie, come vede per gli occhi altrui, sente ancora sovente col cuore altrui, ed applaude ai trilli, ai ricami, ai precipizj della voce, per la stessa ragione che applaudiva nel 17º a quelle gonfie e stravaganti poesie, ove sudavano i fuochi, e s'avvelenava l'obblio coll'inchiostro. Qual nome debbo dar ad una Musica, nella quale il compositore gareggia col modulatore, a cui più offuschi, o confonda il senso delle parole? Non è questa certamente una musica nè italiana, nè latina, nè ebrea, perchè coloro che intendono queste lingue, nulla intendono delle parole espresse [77] dal modulatore. Quando si canta in un'opera, o in una chiesa, io non cerco d'udire un rossignuolo od altro che mi solletichi, ma un uomo che parli dolcemente al mio cuore, alla mia fantasia, alla mia mente ec.”

Cordovero maestro di musica fiammingo del quintodecimo secolo, di cui parla il Morigi nel suo libro sesto della nobiltà milanese, ove di Galeazzo Sforza Duca di Milano, che vivea nel 1470. Il che dimostra che vi erano allora in Italia de' maestri di musica, e de' cori di musici, e per lo più esteri; ma l'arte non vi aveva acquistata ancora quella superiorità, a cui levossi verso la medietà del sedicesimo secolo per opera dei maestri italiani.

Corelli (Arcangelo) nacque a Fusignano, presso d'Imola sul territorio di Bologna, nel febbrajo del 1653. Secondo il racconto di Adami, ricevette le prime lezioni di contrappunto da Matteo Simonelli della cappella del Papa; e generalmente si crede che fu suo maestro di violino un tal Giov. Batt. Cassani di Bologna. Burney (tom. 3, History of music) rigetta come insussistente la fama che ha corso, che nel 1672 Corelli era venuto in Parigi e che Lulli per bassa gelosia ne lo aveva fatto cacciare. Corelli al terminar de' suoi studj musicali, partì per la Germania, e fu anche al servigio del duca di Baviera nel 1680. Verso questo tempo tornò in Italia, e portossi in Roma, ove pubblicò la prima sua opera, composta di dodici sonate per due violini e basso con una parte pel cembalo. Questo valent'uomo ricevette prestamente in Roma i più rimarchevoli contrassegni di benevolenza del Cardinale Ottoboni, illuminato protettor delle belle arti. Crescimbeni ci fa sapere che egli teneva ogni lunedì un'accademia di musica nel suo palagio; e quivi fe' il Corelli amicizia col celebre Hendel. Quel Cardinale dichiarò il Corelli primo violino e direttor della sua musica, dandogli [78] un appartamento nel suo proprio palagio. Corelli gli rimase attaccatissimo sino alla sua morte, accaduta li 18 gennajo del 1713, sei settimane dopo la pubblicazione della sua opera sesta de' grossi concerti. Gli aneddoti che abbiamo qui raccolti intorno al Corelli, ci danno a divedere che il di lui carattere era dolce, e pien di modestia. Un giorno ch'ei suonava il violino in una numerosa adunanza, si accorse che ciascuno mettevasi a ciarlare: egli posò pian piano il suo violino in mezzo della sala, con dir che aveva paura d'interrompere la conversazione. Questa fu una lezione per l'udienza, che 'l pregò a riprendere il suo violino, e prestogli tutta l'attenzione dovuta al suo talento. Un'altra volta, ei suonava dinanzi Hendel la sinfonia dell'opera il Trionfo del tempo da costui composta. Hendel montato in furia perchè Corelli non la sonava nel suo genere, strappogli il violino, e cominciò a suonarla egli stesso. Corelli senza commuoversi punto, si contentò di dirgli: Ma caro Sassone, questa musica è nello stile francese, di che io non m'intendo. Corelli era eziandio di buon umore, come lo prova quest'aneddoto raccontato da Walther. Nicola-Adamo Strunck, violino dell'Elettore di Hanover, essendo giunto a Roma ebbe il più gran desio di veder Corelli. Qual'è il vostro instromento, gli domandò egli. Il cembalo, rispose Strunck, e alcun pochetto il violino; ma mi riputerei assai contento di sentirvi. Corelli suonò il primo. Strunck prese di poi il violino, e tenendolo a bada con iscordarlo, cominciò a improvvisare: percorrendo i tuoni cromatici con una destrezza così sorprendente, che Corelli dissegli in cattivo tedesco: Se mi chiamano Arcangelo, dovreste ben esser chiamato voi Arcidiavolo. Molte persone d'alto rango essendo Corelli in Roma si diedero premura d'intenderlo, e di prender eziandio le sue lezioni, tra le quali lord [79] Edgecombe, che fe' scolpire in rame il suo ritratto da Smith su l'originale fattone da Arrigo Howard. Corelli lasciò morendo una somma di circa sei mila lire sterline. Era egli strettamente amico di Carlo Cignani, e Carlo Maratta, che gli donarono moltissimi quadri de' migliori maestri. Ecco i titoli delle Opere composte dal Corelli e le date della loro pubblicazione. La prima di sonate a tre, comparve in Roma nel 1683. La seconda nel 1685, sotto il titolo di Balletti di Camera, e trassegli addosso una lite con Paolo Colonna, sopra una successione diatonica di quinte tra il primo violino e 'l basso d'un'alemanna della seconda sonata. Nel 1690, pubblicò la terza opera di sonate, e nel 1694 la quarta che consiste, come la seconda, in balletti. La quinta è il capo d'opera di Corelli, giusta l'osservazione di Avison, autore di un libro inglese su l'espression musicale. “Avvegnachè dopo Corelli, egli dice, lo stile della musica sia molto cambiato, e che siansi fatti grandiosi progressi nella ricerca dell'armonia, trovansi frattanto ne' migliori autori moderni il fondo delle idee di Corelli, di cui hanno eglino saputo trar profitto, principalmente dall'opera terza, e dalla quinta delle sue sonate.” L'opera sesta, contenente dodici sonate per due flauti e basso, è stata impressa a Londra e a Amsterdam. L'opera settima è composta di Concerti grossi, che prendono il titolo di opera sesta, e ch'egli stesso pubblicò li 3 dicembre 1712. Secondo il parere di Mr. Cartier, le sonate di Corelli debbono riguardarsi da coloro che attender vogliono al violino, come i loro rudimenti. Tutto vi si rinviene, l'arte, il gusto, il sapere. Il dott. Burney osserva con ragione, che Albinoni, Alberti, Tessarini, Vivaldi non formano che delle truppe leggiere e irregolari. La sola scuola romana, di cui n'è fondator Corelli, ha prodotto non che istromentisti, ma in [80] compositori ancora pel violino i più grandi artisti di cui vantar si possa l'Italia dopo la prima metà del diciottesimo secolo. “Le più celebri scuole d'Italia, dice l'Arteaga, furono quella del Corelli, e non molto dopo quella del Tartini. La prima che ebbe origine dal più grande Armonista, che mai ci sia stato di qua dai monti, spiccava principalmente nell'artifizio e maestria delle imitazioni, nella destrezza del modulare, nel contrasto delle parti diverse, nella semplicità e vaghezza dell'armonia. La superiorità nell'arte sua e la facilità di piegarsi a' diversi gusti di entrambe nazioni italiana e francese, procacciò al Corelli un nome immortale in tutta Europa, quantunque un numero assai discreto di produzioni ci abbia egli lasciate memore della massima di Zeusi: Dipingo adagio, perchè dipingo per tutti i secoli.” Fra i rinomati discepoli di questo grand'uomo la posterità annovera tuttora il Locatelli, il Geminiani e il Somis. Veggasi la Storia del Violino di M Fayolle. Nel Vaticano se gli ha eretto un busto con questa iscrizione: Corelli Princeps musicorum. È da rimarcarsi che dopo Corelli sino a' nostri giorni, l'Italia ha conservato il primato nelle scuole del violino, mercè i Tartini, i Nardini, i Pugnani, i Viotti e i loro allievi.

Corilla (la Signora Morelli), celebre improvisatrice e poetessa, morta in Firenze li 13 novembre 1799, in età di 72 anni, era allieva di Nardini pel violino. Ella improvvisava de' versi sopra ogni sorta di soggetti, suonava la sua parte di violino in un concerto, e cantava con moltissima grazia e talento. Come Petrarca, ha avuto l'onore sotto Pio VI, il protettore delle belle arti, di essere coronata in Campidoglio.

Corinna, celebre cantatrice e poetessa lirica era di Tanagra: ebbe per maestra in poesia e in musica Mirti, donna distinta pe' suoi talenti; più famosa ancora per avere [81] annoverato fra' suoi discepoli Pindaro, e la bella Corinna. Questi due allievi furono insieme uniti almeno dell'amore delle arti. Pindaro più giovane di Corinna si faceva un dovere di consultarla, e di prendere da lei lezioni di poesia e di canto: ma il di lui fervido genio assoggettar non si poteva non che a comuni precetti, molto meno a quei d'una scrupolosa donna e più minutamente attaccata alle regole; per il che si slontanò da Corinna, e lasciò correre senza freno la naturale sua fecondità. Il credito anteriore di Corinna, l'esser ella stata maestra di Pindaro fece, che per sei diverse volte, se diam fede ad Eliano, ne' pubblici giuochi presentatosi a disputare a Corinna la preferenza nel canto e nella poesia, fu tutte le volte alla medesima posposto. Pausania crede che in tanto era preferita Corinna, in quanto preveniva essa, oltre al suo merito reale, con la sua bellezza (lib. 9, cap. 22.) Pindaro immaginossi in oltre, che ella si fosse co' giudici prevalsa delle femminili lusinghe per guadagnarsi il voto della superiorità; e quindi ei si scagliò con mille vituperi contro questa gaja donna. Corinna fiorì cinque secoli innanzi l'era cristiana.

Corsi (Giacopo), gentiluomo fiorentino fautore delle belle arti, nè meno intelligente della musica massimamente teorica, viveva sulla fine del sedicesimo secolo. Alla di lui casa si trasferì la letteraria adunanza che tener soleasi in quella di Giov. Bardi dei conti di Vernio, di cui si è ragionato al suo articolo, e ove intervenivano Caccini, Peri, Galilei, Rinuccini e altri grand'uomini, che unendo i loro lumi e i sforzi del loro ingegno giunsero a dare una regolar forma all'opera di musica tale quale si è conservata sino al presente. Il primo saggio che se ne fece fu la Dafne del Rinuccini, messa in note dal Caccini e rappresentata in casa del Corsi nel 1594 alla presenza del gran-duca. Allorchè questi [82] valentuomini vollero inventare la vera musica drammatico-lirica, non trovarono a perfezionar la melodia mezzo più spedito di quello di sbandirne, e screditarne il contrappunto allora regnante. Il Corsi in un Discorso da lui indirizzato a Giulio Caccini sopra la musica antica e il parlar bene, che va inserito nelle opere di Giambattista Doni, (tom. II.) chiama quel contrappunto: quella spezie di musica tanto biasimata dai filosofi, e in particolare da Aristotile.

Cotumacci (Carlo), nato in Napoli nel 1698, studiò sotto il celebre Scarlatti nel 1719, e succedette al suo condiscepolo Durante nella carica di maestro di cappella nel conservatorio di sant'Onofrio. Egli era un buon organista dell'antica scuola e un abilissimo professore, che molto ha scritto per la chiesa: aveva oltracciò composte due opere, che destinava alle stampe, l'una delle quali conteneva le regole dell'accompagnamento, con de' partimenti disposti per gradi: l'altra era un trattato di contrappunto. Cotumacci finì di vivere verso il 1775.

Cramer (Carlo-Federico) nato a Quedlinbourg nel 1752, professore di filosofia a Kiel nel 1775, ha reso alcuni servigj all'arte musicale per la pubblicazione di più opere, e singolarmente per il suo Magazino Musicale, che comparve alla luce dal 1783 sino al 1789; ha pubblicato ancora più collezioni e più opere di maestri celebri, ed era egli stesso alcun poco poeta e musico; ha fatto delle canzonette che sono state poste in musica da diversi compositori. Verso il 1792 Cramer stabilì la sua dimora in Parigi come stampatore. Egli era un uomo originale, un pò matto, e d'una erudizione mal ordinata, e pieno d'ogni sorta di prevenzioni; morì quivi verso il 1800, pressochè pazzo come era vissuto.

Cramer (Guglielmo), nato a Manheim verso il 1730, [83] era un eccellente violinista: riuniva egli, dicono i biografi tedeschi, il suono brioso di Lolli coll'espressione e l'energia di Fr. Benda; ed era riguardato come il primo violino del suo tempo in Germania. Fu impiegato alla cappella dell'elettor Palatino a Manheim dal 1750 sino al 1770, nel quale anno passò in Inghilterra, il solo paese ove gli artisti distinti trovano facilmente il mezzo di fare una fortuna degna de' loro talenti. Egli vi fu nominato musico di camera del re, suonatore a solo della cappella reale e direttore dell'orchestra dell'opera: veniva ricercato in tutti i concerti, ed egli fu che nel 1787, regolò un'orchestra di 800 musici che eseguirono il funerale di Hendel: finì di vivere in Londra verso il 1805. Cramer pubblicò un grandissimo numero di opere, di sonate, duetti, terzetti, e concerti per violino di un'ottima cantilena, d'un eccellente stile e di una agiatissima posizione per l'instromento. Il di lui figliuolo Giovambattista Cramer, nato a Manheim, aveva appena un anno, quando il suo padre passò in Inghilterra; egli ricevette da lui le prime lezioni di musica, e passò quindi sotto la disciplina del celebre Clementi, di cui dee riguardarsi l'allievo. Nato con felici disposizioni, e coltivato da un maestro così abile, è giunto a tenere un rango tra' primi suonatori di piano-forte, e i primi compositori pel medesimo instromento. Cramer ha pubblicato per il forte-piano, de' duetti, de' concerti e oltre a 37 opere che sonosi stampate in Inghilterra, in Germania, in Francia. I suoi due corsi di studj per il piano-forte sono riguardati come l'opera la più classica che esista in questo genere.

Creed, ecclesiastico di Londra, morto nel 1770, concepì il primo l'idea d'una macchina che, nel tempo dell'esecuzione di un pezzo di musica, segnasse sulla carta tutto ciò che si era sonato, e la propose alla società delle scienze di Londra [84] nel 1747, in una Memoria intitolata: A demonstration of the possibility of making a machine that shall write ex tempore voluntaries, or other pieces of music, etc. cioè: Dimostrazione della possibilità di fare una macchina, che scriva i pezzi di musica o estemporanei, o già notati. Questa memoria si trova nelle transazioni filosofiche del 1747, num. 183, ed eziandio in Martin abridgement, vol. X, pag. 266. (Veggasi su tale macchina quì gli articoli di Hohlfeld, Sulzer, Nabot, Unger, ec.)

Creofilo, poeta musico, che fiorì presso a nove secoli innanzi l'era cristiana, sposò la figlia di Omero, del cui matrimonio parlò più di un antico scrittore all'occasione dell'eccellente poema da lui pubblicato. Dedicato egli allo studio della musica, fecevi tali progressi, che potè pubblicare con plauso universale una maestrevolissima composizione.

Crescentini (il cav. Girolamo), nato ad Urbania presso Urbino patria di Raffaello. Questo celebre soprano ha brillato su i principali teatri e nelle differenti corti di Europa. Nel 1804, era a Vienna; in una rappresentazione di Giulietta e Romeo, dopo la bell'aria Ombra adorata, che Romeo canta negli giardini, due colombe scesero dalle nuvole e recarongli una corona di alloro: gli si gettarono da ogni parte e fiori e corone. Nel 1809 rappresentò il medesimo personaggio di Romeo in quel dramma, eseguito nel teatro della corte di Francia, e ne riportò immensi applausi e magnifici doni. Una singolare e bellissima qualità di suono della sua voce, una maniera svelta, ed una inimitabile espressione, ecco i suoi titoli all'immortalità. Egli ha composto molti pezzi di musica vocale, che hanno avuto incredibil successo. Nel 1811 pubblicò egli presso M. Imbault: Recueil d'exercices pour la vocalisation musicale, in 4º. L'autore, in un discorso preliminare, assai ben fatto, sviluppa i principj di questa bell'arte, [85] ch'egli applica ad alcuni scelti esempj.


D

Dafni siciliano, a cui comunemente si attribuisce l'invenzione dell'egloga, benchè la sua storia sia un poco abbellita dalla favola, era un pastore di Siracusa; nè dee tal condizione farci maraviglia, poichè ne' tempi antichi, quando il lusso non aveva corrotto ancora i costumi, la vita pastorale era praticata sin da' figliuoli dei signori e dei re, come ne fan fede la Scrittura ed Omero. Diodoro Siculo (Lib. IV) scrive, che Dafni accompagnava i suoi versi al suono de' flauti, ch'egli introdusse que' conflitti, usati poi da' Greci, in cui due giovani rivali si disputavano il premio del canto e della musica. Eliano (Var. l. X, c. 18) ci racconta i suoi amori, dei quali divenne vittima, e morì sul fior degli anni. Ateneo (Dipnos. L. 14) chiama Dafni il Pastore siculo che inventò questo genere, ed afferma che di lui fè in due luoghi menzione Epicarmo. Nel 5º tomo dell'accad. delle Iscriz. trovasi l'esame di alcuni dubbj sul luogo della nascita di Dafni di Sicilia dell'ab. Goulley, e nel t. 6, Histoire du berger Daphnis le plus renommé des anciens poètes de la Sicile: Par M. Hardion.

Dalayrac (Niccola), di nobil famiglia, sortito aveva dalla natura un deciso pendio per la musica e l'arte drammatica: apprese il contrappunto sotto la direzione di Langlé, scolare di Caffaro; che l'era stato del cel. Leo. Nel 1782 Dalayrac cominciò a comporre per il teatro dell'opera buffa, e vi si riconobbe il germe di un talento variato ed amabile, che si è sviluppato con tanta sua gloria. Modellandosi su le opere buffe degl'Italiani, è sempre rimasto esattamente ne' confini del gusto. Così Dalayrac, dice Gretry (Essais sur la musique, tom. III) è uno de' musici che abbia meglio rispettato le convenienze. [86] Quelle tra le sue opere, che hanno avuto maggior successo, sono Gulistan, 1805, Camille ou le Souterrain, 1791, e La Nina, 1786. Questi due ultimi pezzi sono stati anche posti in musica da Paer e Paesiello. Dalayrac è morto di un catarro che trascurò sul principio ai dì 27 novembre 1809. M. Marsollier profferì un discorso assai toccante su la tomba del suo amico.

Dalberg (Gio. Federico, barone di) è un abile sonator di forte-piano e un compositore di primo ordine: nel 1781, pubblicò un libro col titolo di Blicke eines etc., cioè Colpo d'occhio di un musico sulla musica degli spiriti. Tra le composizioni di lui distinguonsi nove opere di sonate per il piano, molte delle quali a quattro mani, ed i Pianti d'Eva (estratti dal Messia di Klopstok) impressi in partitura per il cembalo, a Spira nel 1785.

Damone (poeta musico, e secondo Porfirio, capo di una setta di musica detta dal suo nome Damonèa), nato ad Oa, villaggio dell'Attica, precettore di Pericle, fiorì cinque secoli innanzi G. C. Egli possedeva perfettamente la musica, principalmente aveva coltivata quella parte, che tratta dell'uso che dee farsi del ritmo o della cadenza; si sforzò di provare che i suoni in virtù d'un certo rapporto, o di una certa analogia che acquistavano con le qualità morali, potevano formare nella gioventù ed anche nelle persone provette, dei costumi che non esistevano per l'innanzi, o che non erano sviluppati. Platone nel lib. III della sua repubblica, Damone vi dirà, egli dice, quali sono i suoni capaci di far nascere la viltà dell'animo, l'insolenza, e le virtù a tai vizj opposte. “Non già, secondo la riflessione dell'illustre Montesquieu (De l'Esprit des loix, liv. IV, c. 8) che la musica inspirasse la virtù, lo che sarebbe incomprensibile, ma essa impediva l'effetto della fierezza dell'istituzione de' Greci, e faceva che l'anima avesse nell'educazione una [87] parte, che non vi avrebbe avuta.” Damone in fatti, al riferir di Platone, sosteneva, che l'innovazioni ed i cambiamenti nella musica avevano la più grande influenza su i costumi pubblici, sulle leggi e la costituzione degl'imperj. Lo stesso Platone (in dial. Laches; vel de fortitud.) chiama Damone, un maestro di musica superiore agli altri, uomo civile, e perito non solo nella musica, ma anco nelle altre facoltà, per le quali si fa degno che alla di lui disciplina si commettano i figliuoli. Damone sotto le piacevoli apparenze della musica, voleva nascondere alla moltitudine la sua profonda capacità. Si unì con Pericle, e lo formò al governo: ma egli fu bandito per l'ostracismo, come avendo avuta parte a troppo d'intrighi, e favorevole alla tirannia, verso l'anno 430 prima di G. C. Segli attribuisce l'invenzione del modo hypolydio.

Danzi (Francesco), nacque a Manheim nel 1763, da Innocenzo Danzi italiano, pregiatissimo sonatore di violoncello al servizio dell'elettor Palatino: apprese di buon'ora la musica, ed all'età di nove anni compose alcuni pezzi istrumentali, senza saper le regole della composizione, ch'egli studiò sotto il cel. abate Vogler, allora maestro di cappella dell'Elettore. Il gusto, che aveva per la poesia e 'l teatro, l'obbligò ad applicarsi a queste due arti. Nel 1779, egli diè la sua prima opera, Azakia, al teatro di Monaco, e nel 1796 divenne maestro di cappella di questa città. Dopo quest'epoca, ha composto molta musica di chiesa, delle opere, e più concerti e sonate per il forte-piano, di cui la più parte è stata impressa a Lipsia o a Monaco. Danzi è al presente a Stuttgart, maestro del Duca di Vittemberga, e direttore de' concerti della corte e del teatro.

Daquin (Claudio), nato a Parigi. Alquante lezioni di contrappunto del famoso Bernier, allievo di Caldara, bastarono [88] a Daquin per comporre, all'età di otto anni, un Beatus vir a gran coro ed orchestra. Nel 1727, venne a vacare l'organo di San Paolo, ed intimatosi il concorso vi si presentò egli e Rameau. Costui avendo sonato il primo una fuga, a cui si era preparato, Daquin se ne avvide, e non lasciò d'improvvisarne una che fe' restare in sospeso i voti. Egli salì nuovamente all'organo, ed alzando le cortine, che lo nascondevano ai spettatori: son io, disse ad alta voce, che vado a suonare. Fuori di se e pieno di estro sorpassò se stesso, ed ebbe la gloria di vincere il suo rivale. Allorchè Hendel venne a Parigi, portossi a sentire Daquin in S. Paolo, e restò così sorpreso della sua maniera di sonare, che malgrado le più premurose istanze, non volle mai sonare dinanzi a lui. Egli morì nel 1772, e lasciò più composizioni stampate per chiesa. Daquin suo figlio è autore del Secolo letterario di Luigi XV, nella cui prima parte vi sono otto capitoli sulla Musica, su i musici, e gl'istrumenti di quell'epoca: l'autore è prolisso e superficiale. Un bello spirito (M. Guichard) così ha detto de' due Daquin, uno organista, e letterato l'altro: On souffla pour le père, on siffle pour le fils.

Daube (Gio. Federico), consigliere e secretario dell'Accademia Imperiale delle Arti e Scienze in Vienna, e secretario della Società di musica di Firenze, era da prima musico di camera del duca di Wurtemberg a Stuttgart. Nel 1756 pubblicò in Lipsia un libro col titolo, di General Bass etc., cioè: Basso continuo a tre accordi, dietro le regole degli autori antichi e moderni, con una istruzione di qual maniera si può, per mezzo di due accordi intermedj, passare a ciascuna delle altre 23 specie di tuoni, in 4º. Può leggersi nel tom. II. di Marpurg (Beytr.) la severa critica che ha fatta di quest'opera il D.r Gemmel. Daube fece stampare in oltre a Vienna, [89] nel 1773, Der musikalische etc. cioè: Il Dilettante di musica, o Dissertazione sulle fughe, in 4º. Nella Gazzetta di Francfort del 1774 si annunziò ch'egli aveva terminato un manoscritto pronto a darsi alle stampe, su la Maniera di dipingere le passioni per mezzo della musica; e di cui si fecero allora de' grandi elogj. I titoli di queste opere leggonsi nell'Almanacco musicale di Forkel del 1784. Vi sono ancora delle sonate di Daube stampate a Nuremberg.

Davaux (Mr): nel Giornale Enciclopedico di Parigi nel 1784, vi ha nel mese di giugno alla pag. 534, una lettera sotto questo nome intorno ad un istrumento o pendolo di nuova invenzione che ha per iscopo di determinare con la più grande esattezza i diversi gradi di celerità o di lentezza dei tempi in un pezzo di musica, dal prestissimo sino al largo, con le gradazioni impercettibili di uno all'altro.

Davella (Giovanni) pubblicò in Roma nel 1657, Regole di musica, in sei trattati ne' quali egli promette le vere e facili istruzioni sul canto fermo, sul figurato, sul contrappunto, il canto ec. Queste magnifiche promesse sono assai lontane però dall'esser poste in effetto. (Ved. Burney, Hist. tom. 3, p. 539)

David, celebre tenore nato in Bergamo verso il 1748, ebbe delle lezioni di contrappunto da Sala in Napoli, e formossi da se solo per il canto. Egli non ha cantato che nelle sole opere serie. Nel teatro di Milano cantò de' duetti insieme con Marchesi, ed a questo proposito egli disse: Noi siamo due lioni. Si è fatto anche più ammirare nella musica di chiesa. Nel 1785, nel Concerto Spirituale in Parigi tirò a se l'ammirazione e i suffragj di tutti gli spettatori nell'esecuzione dello Stabat di Pergolese. Ecco quel che ne dice uno de' giornali di quel tempo: “Qual metodo eccellente! quale giustezza! qual sicurezza d'organo! qual meravigliosa precisione! con quale a piombo non ricade [90] egli nelle più lente misure sopra ciascuno de' tempi che vuol marcare! Egli ha eseguito con semplicità e con la più profonda espressione il primo duetto dello Stabat; ed il Vidit suum, la di cui lugubre tinta non sembrava ammettere degli ornamenti. Egli non ha abbellito, ma creato sì bene il versetto, Quæ mœrebat, ec.” Il Sig. Nozari da Bergamo, eccellente tenore, è l'allievo di David.

Davies (Miss), parente dell'Illustre Franklin, si è resa celebre nella sua patria per il suo canto piacevole, per la sua abilità sul forte-piano, e soprattutto pel vantaggio che essa ebbe di far la prima conoscere al pubblico, nel 1765, i suoni dell'Armonica, che Franklin aveva inventata l'anno innanzi, e di cui le ne aveva fatto un dono. Essa fece ammirare tutti questi suoi talenti a Parigi, in Vienna e nella più parte delle gran città dell'Alemagna, e anche d'Italia. Di ritorno in Londra, dopo più anni, le convenne dare un addio alla sua armonica, a cagione del nocivo effetto che le produceva su i nervi. Miss Cecile Davies, a cui si diè in Italia il nome dell'Inglesina, era la di lei più giovane sorella, e una delle prime cantatrici su la fine del passato secolo. Essa apprese da principio la musica sotto il celebre Sacchini, ma non cominciò a sviluppare i suoi gran talenti se non allorquando accompagnò sua sorella nel suo andar a Vienna. Dimorando nella stessa casa ove abitava il rinomato Hasse, detto il Sassone, ella insegnò la lingua inglese alla costui figliuola, e ricevette da lui in contraccambio delle lezioni nell'arte del canto. L'Inglesina cantò di poi da prima donna sul teatro di Napoli nel 1771, in quello di Londra nel 1774, e in Firenze dal 1780 sino al 1784.

Delaire (Mr.) pubblicò per la prima volta, nel 1700 secondo Rousseau, la Formula [91] Armonica detta Regola dell'ottava, la quale determina sul cammino diatonico del basso l'accordo convenevole a ciascun grado del tuono, sì nel salire che nel discendere. (Diction. de mus. p. 405)

Delille (Giacomo), il celebre traduttore di Virgilio e 'l più insigne de' moderni poeti della Francia nacque a Aigue-perse, e venne assai giovane a Parigi ove fece i suoi studj nel collegio di Lisieux, ne' quali tali progressi vi fece che presagivano i successi che ottener doveva nella carriera della letteratura. Nel suo viaggio di Costantinopoli con l'Ambasciadore M. de Choiseuil, suo amico, la loro barca fu inseguita da' pirati, ch'erano sul punto di assalirla. In mezzo della costernazione e del silenzio che regnavano in quel legno, Delille diè de' contrassegni di sangue freddo e di giovialità. “Ces coquins-là, egli disse, ne s'attendent pas à l'epigramme, que je ferai contr'eux.” Il nostro poeta terminò il suo viaggio, giunse a Costantinopoli dove passò gran tempo in una deliziosa casa dirimpetto l'imboccatura del mar Nero, ove aveva sotto gli occhi il grandioso spettacolo d'innumerabili vascelli, e sull'altra riva i ridenti prati dell'Asia ombrati da grand'alberi, e traversati da amene riviere. In questi dilettevoli prati passava egli tutte le mattine, faticando al suo celebre Poema dell'immaginazione, in mezzo alle scene le più adatte a muoverne l'estro. Il quinto canto di questo Poema è consecrato a dipingere gli effetti dell'Armonia (2. vol. in 12º, a Paris 1806). Allorchè Parigi fu sì violentemente diviso tra Gluck e Piccini, non fu possibile di fare prender parte a M. Delille in questa guerra civile, sebben fosse nata nel seno dell'Accademia. Marmontel nel suo poema inedito de l'Harmonie disse di lui a questo proposito: L'abbé Delille, avec son air enfant, Sera toujours du parti triomphant, etc. Egli era di un commercio facile ed amabile; lepido, [92] ma non satirico, e portava spesso nella compagnia quella franchezza e sincerità che i belli spiriti chiamarono un abandon d'enfant. La sua memoria era un vasto repertorio di aneddoti e raccontavali con un'arte inesplicabile. Egli era ricco delle beneficenze della corte, di cui nè meno una sola erane stata da lui sollecitata: la sua fortuna svanì nella rivoluzione. Si cercò di trascinarlo nelle fazioni che dividevano la Francia; ma lo spirito che animava i partiti dominanti, era troppo opposto al suo carattere: egli non volle associarsi a quelli, che non avevano altro mezzo di regnare in un paese se non quello di assassinarlo. Poco ambizioso, restò fedele alla sua povertà, e coltivò le muse in mezzo alle fiamme che divoravano le biblioteche e i monumenti delle arti. Quando la falce rivoluzionaria mieteva la più parte degli uomini dotti, e de' letterati, eravi senza dubbio a temer tutto per Mr. Delille, egli ne fu salvato come per un prodigio: allontanossi da Parigi nel 1794, ritirossi a Sant-Diez nella Lorena, ove compì in una profonda solitudine la sua traduzione dell'Eneide, uno de' più bei monumenti della sua gloria, per l'eleganza e l'esattezza pressochè religiosa con la quale egli ha reso il suo originale. Nel 1795, trovandosi in Londra alcuni Membri dell'Instituto che ammesso avevano nel lor seno il Virgilio francese, furono piccati di non vederlo ritornare a prender il suo posto tra loro, e fecero delle intimazioni al Poeta. M. Delille rispose al ministro che gli annunziò quest'invito: “Io mi sono trovato così bene della mia oscurità, e della mia povertà, durante il regno del terrore, che vi sono attaccato, anche per riconoscenza. Mi si fa sentire che questo rifiuto potrà trarre su di me delle persecuzioni. Se ciò avviene io dirò come Rousseau: Vous persecutez mon ombre.” Egli morì finalmente nello scorso anno 1814. (V. Notic. hist. [93] de Delille, a Paris in 8vo, 1807)

Dellamaria (Domenico), nato a Marsiglia d'una famiglia italiana, si diè sin dalla sua giovinezza allo studio della musica. Di anni diciotto aveva già composto una grand'opera, che fu colà rappresentata: gonfio di questo primo successo, partì per l'Italia, non per studiare, ma come diceva egli stesso, per perfezionarsi nella sua arte. Per il corso però di dieci anni che dimorò in Italia, egli fece i suoi studj sotto molti maestri, Paesiello fu l'ultimo. Imbevuto delle lezioni di questo gran maestro, compose sei opere buffe, tre delle quali ebbero molto incontro, e specialmente quella del Maestro di cappella. Tornò in Francia verso il 1796, e diè principio al teatro dell'opera comica, dal Prigioniero, che accrebbe la sua riputazione. Ecco il giudizio di un compositore molto capace di apprezzarne il merito (M. Dalayrac). “I suoi primi passi nella carriera drammatica sono stati marcati da' più brillanti successi. Le Prisonnier, l'Oncle valet, le Vieux Chateau, ed alcune altre opere, date da lui successivamente ed in meno di due anni, mostrano il talento dell'autore e la sua fecondità. Io non intraprenderò di farne l'analisi; basterà il dire, che vi si trova da per tutto un canto amabile e facile, uno stile puro, elegante, degli accompagnamenti leggieri e briosi, uniti alla vera espressione delle parole, ec.” Questo giovane compositore in età di appena 36 anni, morì quasi repentinamente nel 1800, egli era ancora abilissimo sul piano-forte.

Delpiano (Donato), di Nivano diocesi di Aversa, ma stabilito in Catania, prete di una singolare probità e molto abile nel costruire organi e clavicembali, di cui può dirsi che se non il primo fu certo tra' primi ad introdurre in Sicilia e in Napoli il piano-forte, e molti ne costrusse che furono allora in sommo pregio ed estimazione. Ma deve egli la [94] sua maggiore celebrità al grande organo da lui costruito in s. Niccolò l'Arena di Catania, monastero di Cassinesi ragguardevole per la magnificenza delle fabbriche, pel suo grandiosissimo tempio, e per la condizione dei soggetti che lo compongono. Quest'organo, opera di più anni e d'ingenti spese, tira a se l'ammirazione anche degli esteri per il gran numero dei registri, per la dolcezza del suono, e per l'ordine con cui è disposto: spiccano sopra ogn'altro i fagotti, i bassetti, i traversieri ed un registro, il quale sebbene non imiti verun istrumento d'orchestra, pure riesce assai grato all'orecchio. Ferve ancora la rivalità e si rimane indeciso, a chi debbasi, de' due organi di s. Martino di Palermo, e di s. Niccolò di Catania, dar la preferenza. Non si può mettere in dubbio, che sono due capi d'opera dell'arte, e che ha ciascuno di essi delle cose singolari e pregevolissime, onde i veri ed imparziali intendenti sostengono che sia fuor di proposito una tale rivalità, e che se di ambidue potesse formarsene un solo, ne risulterebbe un terzo veramente insuperabile. Questo santo prete, che in Palermo mi onorò della sua amicizia, dopo avere per più anni soggiornato in quel monastero di Catania, vi finì i suoi giorni in età di 80 anni nel 1785, lasciato avendo degli allievi non men di lui virtuosi, ed una memoria immortale di sue virtù. I Catanesi, che sanno apprezzare il vero merito, han fatto incidere in rame la di lui immagine nel 1810.

Demar (Sebastiano), nato a Wurtzbourg nella Franconia nel 1763, ebbe per primo maestro di composizione Richter maestro della cattedrale di Strasburgo. Dopo di essere stato institutore e primo organista della scuola normale di Weissenbourg, prese a Vienna lezioni dal celebre Haydn, ed in Italia da Pfeiffer suo zio, compositore assai distinto: da più di 18 anni egli è maestro della musica militare della [95] città di Orléans, ed ha fatti de' buoni allievi nella composizione ed eziandio nel piano-forte, e nel corno. Egli ha composto molte messe e un Te Deum a grande orchestra, e molta musica strumentale assai pregevole.

Democrito nacque nell'opulenza in Abdera città della Tracia, ma non ritenne che una porzione de' suoi beni, e dopo d'aver viaggiato sull'esempio di Pitagora presso le nazioni dai Greci chiamate barbare, e che erano le depositarie delle scienze, passò il restante dei suoi giorni nello studio e nel ritiro: non avendo altra passione che d'istruirsi colle sue meditazioni, e d'illuminare gli altri coi proprj scritti. Egli era stato scolare di Anassagora e di Leucippo, e pubblicò la prima opera di musica, di cui non mai si era scritto fra Greci: vi trattava, secondo Laerzio, dei Ritmi, dell'Armonia, del Canto, e delle Lettere consonanti e dissonanti: il che ci dimostra, che esisteva nell'antica musica il canto stromentale significativo, e che dalle corde degli stromenti certune servissero per le vocali, certe altre per le lettere consonanti: giacchè non si può capire, come delle sole lettere dovessero essere alcune consonanti, ed altre dissonanti nel canto, se le corde non servivano per le lettere dell'alfabeto. (V. Requen. tom. 1, p. 149, e tom. 2, p. 375) Democrito fiorì cinque secoli innanzi G. C. e sorpassò l'età di cento anni. Democrito di Chio, altro musico, fu di costui contemporaneo (Laert. L. 9. § 48).

Demoz, prete della diocesi di Ginevra, diè al pubblico nel 1782 un'opera col titolo di Méthode de musique selon un nouveau système, in 8º. Questo sistema non fece maggior fortuna di quello del P. Souhaitty, e Rousseau si è sforzato in vano di rinnovarlo nel 1743.

Denina (l'ab. Carlo), dotto italiano nato in Torino, e celebre per più opere date alla luce, morì in Parigi, dove aveva dimorato più anni in grande stima presso i letterati di quella nazione, [96] nel 1813. Nel quarto libro della sua Storia Politica e Letteraria della Grecia, Torino 1781, vol. 6, in 8º, egli impiega tutto il capit. XIII, nel descrivere il carattere dell'antica musica. (Gior. letter. d'Ital. 1782)

Denis (Pietro), musico attualmente in Parigi, ove fece stampare o per dir meglio, dove trovò degli editori assai sciocchi per far imprimere alcune cattive opere didattiche da lui composte, cioè: 1º. Une Méthode de musique et de chant; 2º. Un'esecrabile traduzione in francese del Gradus ad parnassum di Fux, ec. pubblicate da Boyer. L'esecuzione tipografica è degna di cotale produzione e del suo stile.

Dentice (Luigi), gentiluomo napolitano, nel 1533 pubblicò in Roma due Dialoghi su la musica, che sono citati dal P. Martini. Un'altra edizione ven'ha di Napoli del 1552, in 4º.

Derham, dotto matematico Inglese dell'accad. reale delle scienze di Londra, secondo Rousseau fece diversi sperimenti sul suono, che trovansi negli atti di quell'Accademia, co' quali vengono corretti alcuni errori del Mersenne e di Gassendi.

Desaugiers (Marcantonio), nato in Provenza nel 1742, venne a Parigi nel 1774, ove fece gran fortuna per più opere buffe poste da lui in Musica, ed eseguite con applauso nel teatro italiano. Il suo più grand'elogio è stata l'intima sua unione coi celebri Gluck e Sacchini, e la messa che egli compose alla memoria di quest'ultimo, fu riconosciuta degna da tutti gli artisti del talento dell'uomo immortale, che gliel'aveva inspirata. Nel 1776 egli pubblicò una traduzione francese dell'arte del canto figurato di G. B. Mancini.

Desbout (Luigi), chirurgo e maestro de' studenti dell'ospedale militare in Livorno, ove diè al pubblico nel 1780, Ragionamento fisico-chirurgico sopra l'effetto della musica nelle malattie nervose, in 8º. A questa dotta opera diede occasione una felice cura per mezzo dell'Armonia [97] nella persona della Sig. Settimia Tedeschi di Livorno, fanciulla Ebrea. Questa cura viene ivi esattamente descritta, e serve poi di introduzione il racconto succinto che fa l' A. dei più portentosi effetti della musica su' corpi animali, e sull'animo degli uomini, secondo che gli scrittori hanno trasmesso alla nostra memoria. Di più ci dimostra com'ella possa applicarsi con esito felice in alcune morbose affezioni, e come sia stata di fatto applicata in moltissimi casi, che gli antichi e i moderni raccontano, e che egli con particolare erudizione raccoglie: la parte ultima, cioè quella dove l' A. dà un saggio generale del modo, con cui la Musica può risolvere la causa promovente le malattie nervose, e specialmente le convulsioni, è la più ingegnosa e la più dotta, e mostra com'egli sia corredato di buoni principj fisici. Egli così conchiude: “Da questa nostra asserzione non si creda però, che con il per altro dotto e stimabilissimo Giov. Porta, vogliamo fare della musica un rimedio universale, il quale al parer nostro non esiste, se non se nell'imperio delle chimere, ma bensì vorremmo insinuare di fare uno studio serio per conoscere i casi, ove può giovare, e quali generi di musica sono i più confacenti alle varie specie di malattie, per le quali è applicabile, per indi farne un uso saggio e più comune di quello che si fa, nei mali isterici, convulsivi e ipocondriaci, posciachè quando non se ne traesse altro vantaggio, almeno si otterrebbe quello di suggerire un rimedio piacevole a tutti, agente non meno sopra la spirito, che sopra il corpo.” L'autore passò quindi al servigio dell'Imperatore delle Russie col titolo di primo Luogotenente e Chirurgo (V. Lichtenthal, p. 82). Questo libro di M. Desbout è stato da lui stesso tradotto in francese, e stampato a Pietroburgo nel 1784.

Descartes (Renato), filosofo rinomatissimo, nato nel 1596. Durante il suo soggiorno [98] a Breda, scrisse nel 1618, in età di 22 anni, il suo Compendium musicæ, nel quale stabilì per principio che la terza maggiore dee riporsi tra le consonanze perfette; ma avendo riguardata quest'opera come molto imperfetta, non volle mai permettere che fosse data al pubblico. È verisimile che fosse stata dopo la di lui morte pubblicata da Beckmann a Utrecht nel 1650. Nel 1653, fu tradotta in inglese; nel 1659 comparve la seconda edizione originale a Amsterdam. Trovasi ancora questo Compendio musicale di Cartesio alla fine della di lui Geometria impressa colà nel 1683, in 2 vol. in 4º e ristampata a Francfort in 4º, fig. 1695. Il padre Poisson dell'Oratorio lo tradusse in francese, e pubblicollo a Parigi nel 1668, col titolo di Abrégé de la musique par M. Descartes, avec les éclaircissemens nécessaires. Cartesio morì in Svezia presso la regina Cristina nel febbrajo del 1650.

Desessarts (Giov. Carlo), dottore reggente delle facoltà di medicina di Parigi, e uno de' primi membri dell'Instituto di Francia, celebre per più opere sulla sua professione e di letteratura, morto in Parigi li dì 13 Aprile 1811, lasciato avendo un'eterna rimembranza de' suoi talenti e delle sue virtù all'umanità, di cui fu sempre il benefattore. Nel 1803 presentò egli all'Istituto nazionale una sua Mémoire sur la Musique, nella quale ingegnosamente sviluppa le difficoltà che si oppongono a far uso della medesima come rimedio nelle malattie, e co' lumi della fisica ne dimostra i salutevoli effetti. “Si è provato, egli dice, che i suoni, con saggia economia gradatamente usati, producono nell'uomo delle idee, de' pensieri diversi da quelli che l'occupavano, e fanno nascere in lui delle commozioni, alle quali in niun conto la volontà vi ha parte. Si sa inoltre che queste commozioni, quasi sempre d'accordo con l'intensità de' suoni, operano dei straordinarj [99] cambiamenti nelle funzioni animali, e si è più volte osservato che cotesto accordo ha gradatamente portati alcuni infermi a' più violenti eccessi, di cui alcuna salutevole crisi ne è stata la conseguenza.” Egli è in oltre insieme con M. Barbier, autore della Nouvelle Bibliothèque d'un homme de goût, 4 tomi, in 8º, a Paris 1808, dove fra gli altri, alcuni autori rapporta su la musica, e dà un saggio delle loro opere.

Desideri (Girolamo), letterato di Bologna del 17º secolo, è autore di un Discorso della musica, nel quale tratta di diversi stromenti di musica, e de' loro inventori. Questo trattato è tra le Prose degli Accademici Gelati di Bologna, 1671, in quarto.

Desmarchais (Cav.). Nel viaggio, che il Pad. Labat pubblicò in 4 vol. in 8vo, sotto il titolo: Voyage du chev. Desmarchais, etc. si trovano molte memorie sulla musica degli abitanti del regno di Juida nell'Africa, e i disegni de' loro stromenti. Mitzler ha tradotto di quest'opera tutto ciò che ha rapporto alla musica, e l'ha inserito nel terzo volume, p. 372 della sua biblioteca, con aggiugnervi le copie de' disegni.

Despaze (M.), poeta francese tuttora vivente, nel 1800 diè al pubblico Les Quatre Satires ou la fin du 18 siècle, in 8vo, che assicurano al loro autore un luogo distinto tra i poeti satirici: la prima è diretta contro i musici, che non amano se non il pathos (ossia la musica che muove solo le passioni) e 'l fracasso. Le altre tre sono contro gli attori della scena francese, contro le persone di lettere, contro i costumi del suo tempo, e contro i partiti. (Desessarts Bibl., t. 2)

Dessault (M.), medico di Bordeaux, nelle sue opere tratta della parte che può aver la musica nella medicina. Egli assicura essersene servito con gran successo pelle morsicature di cani arrabbiati, e che l'adoperò pure con profitto nella tisi. (V. [100] Mojon, Lichtent., Hanauld, e l'Enciclop.)

Devismes (Giacomo), direttore della R. Accademia di musica in Parigi, a cui dee la Francia la rivoluzione musicale per le opere ch'egli fece con impegno rappresentare di Piccini, di Gluck, d'Anfossi e di Paesiello e Sacchini. Nel 1806, egli pubblicò un'opera col titolo di Pasilogie, ou de la musique considérée comme langue universelle. Mad. Moyroud Devismes sua sposa è eccellente sonatrice di piano-forte, e mise in musica il Prassitele che fu molto applaudita sul teatro. Steibelt le ha dedicato la sua opera IV, che è l'una delle migliori sue composizioni.

Diana (Paolo), nato a Cremona verso il 1770, in età di 12 anni venne a Napoli, per essere ricevuto nel conservatorio della Pietà, e studiare sul violino in cui mostrava già una mirabil forza. La natura lo guidò forse meglio de' suoi maestri, fornito avendolo di un coraggio straordinario per la difficoltà, d'una immaginazione florida e ricca per improvvisare, e d'una rara espressione per eseguire gli adagio. Ecco un tratto che dipinge l'originalità del suo carattere. Obbligato a lasciar Napoli, allora in guerra con la Francia, venne in Milano, e presentossi al Sig. Rolla per ricever lezioni da lui. Questi si negò riconoscendo in lui un talento che non aveva più bisogno di guida. Il Cremonese lo pregò di dargli almeno le regole della composizione, nè riuscì anche in questo. Offeso di una simile ostinazione, trovò l'occasione di vendicarsene un poco appresso. Rolla componeva allora un concerto, ch'egli doveva eseguire in una solennità vicina. Per più giorni, Diana attese i momenti che l'altro studiava, copiò sotto alle sue finestre gli a solo e le idee che potè raccorre, e se ne formò uno schizzo per un concerto. Tre giorni innanzi la festa, invitò gli amatori di Milano a sentirlo [101] in una chiesa, secondo l'uso d'Italia. Professori, dilettanti accorsero in folla, e Rolla tra gli altri; ma quale fu la sua sorpresa nel riconoscere, a misura che quegli sonava, le idee del concerto che da gran tempo egli preparava per la solennità che doveva aver luogo tre giorni dopo? Diana è attualmente in Londra, direttore dell'orchestra del concerto degli amatori.

Diderot (Dionigio), nato a Langres nel 1713, e morto in Parigi nel 1784, repentinamente all'alzarsi da tavola. Vien egli considerato come uno de' primi filosofi del secolo 18.º, a cui principalmente si debba la vasta impresa dell'Enciclopedia. Noi quì non lo consideriamo che nella parte delle sue opere, la quale ha rapporto alla musica. Tra queste vi ha, Lettre sur les sourds et muets, à l'usage de ceux qui entendent et qui parlent, 1751 in 12º. L'autore sotto questo titolo dà delle riflessioni sulla metafisica, sulla poesia, sulla musica, ec., dove vi ha delle buone vedute ed altre ch'egli non mostra se non imperfettamente: benchè proccuri di esser chiaro, non sempre però si capisce. L'oscurità è un difetto, di cui più volte è stato egli accusato: vi si trovano tuttavolta degli eccellenti principj di acustica, ch'egli tratta da geometra e da fisico. Veggasi il 2º tomo della bella edizione delle opere di Diderot, pubblicata dal suo amico M. Naigeon nel 1798. In questo volume trovasi: Projet d'un nouvel orgue, et Observations sur le cronomètre.

Didimo, figlio di Eraclide, nacque in Alessandria probabilmente sotto Tiberio. Vedendo il favore che Nerone mostrava a' musici, musico e cantore insigne, ch'egli era, secondo Suida, scrisse un'opera di musica, ed un'altra, secondo Porfirio (ne' Com. a Tolom.) della differenza de' due sistemi pittagorico ed equabile, ossia aritmetico ed armonico. Tolomeo ci conservò le [102] serie armoniche di Didimo, e il dotto Requeno le ha provate sullo stromento canone, e ne ha dato il suo saggio, che può vedersi nel tom. 2 della sua opera (pag. 103). Egli vi confuta il P. Martini, il quale crede che Didimo co' suoi tuoni maggiori e minori abbia facilitato la strada ai moderni per il loro sistema: la citazione ch'egli fa di Tolomeo a questo proposito, è stata provata falsa dall'accurato Requeno.

Diocle d'Elea, scolare di Gorgia di Lentini, e scrittore di musica verso il quinto secolo innanzi l'era volgare. Secondo il Vossio e il Fabricio dicesi che i trattati musicali di Diocle siano tuttora nascosti in alcuni angoli delle biblioteche d'Italia (V. Suid. in Alcidam).

Diodoro, musico greco, favorito di Nerone, diè maggior estensione al suono del flauto, e ne accrebbe i fori. Nerone stimavalo al segno di fargli fare l'ingresso trionfale in Roma sul carro imperiale (V. Sveton Cæs.)

Dionisio (Elio) di Alicarnasso, detto il giovane per distinguersi dal suo celebre avolo dello stesso nome, fiorì al tempo dell'Imperadore Adriano. Aveva egli scritto in trentasei libri la Storia della musica: altri ventidue di Questioni musicali, e cinque libri intorno a quello che aveva scritto Platone di quest'arte nel trattato della Repubblica (V. Suid. e Fabric.) Porfirio lo cita ne' suoi comenti sugli Armonici di Tolomeo.

Diorion era un musico greco, di cui Ateneo ci riferisce questa storia. In un viaggio nell'Egitto, egli era venuto a Milos, e non avendovi potuto trovare alloggio, si riposava in un bosco sacro vicino della città. A chi è dedicato questo tempio? domandò ad un prete — Straniero, a Giove ed a Nettuno — E come trovar alloggio nella vostra città, se gli dei medesimi vi si alloggiano due a due.

Dittersdorff (Carlo), compositore stimatissimo dell'Allemagna, di cui il vero nome di famiglia è Ditters. [103] L'Imperatore Giuseppe II, per ricompensare i suoi gran talenti, gli accordò nel 1770 lettere di nobilitazione, gli diè il nome che porta oggidì, e lo dichiarò signore delle foreste nella Silesia austriaca. Egli è eccellente nella musica strumentale, che per lo più è impressa. Nel 1785, stamparonsi in Vienna le sue Metamorfosi d'Ovidio, ossia 15 sinfonie contenenti ciò ch'egli ha sentito alla lettura di questi poemi: elleno incontrarono la soddisfazion generale. Si ha di lui l'Ester, oratorio che diessi per due volte nel 1785 in beneficio delle vedove de' musici, e fu accolto ciascuna volta con grandi applausi. Per il medesimo oggetto diè egli l'oratorio Giobbe nel 1786. L'opera buffa il Medico e lo Speziale nel teatro di Vienna ebbe tal favore in quello stesso anno, che ad una sua rappresentazione assistendo Giuseppe II, non isdegnò di mostrare co' suoi applausi e battimenti di mano al momento che Dittersdorff entrava nell'orchestra, tutto il piacere che ne provava. L'Artifizio per superstizione, l'Amore agl'incurabili, e il Democrito corretto, altre di lui opere in musica, comparvero in Vienna dopo il 1788.

Diviss (Procopio), nato in Boemia, è l'inventore di uno stromento di musica a cui diè il nome di Denis d'or. Si assicura ch'egli dà i suoni di quasi tutti gl'instromenti a fiato e da corda, e ch'è suscettibile di 130 variazioni. Si suona come l'organo, colle mani e co' piedi. Il Vescovo di Bruck Giorgio Lambeck, ne possedeva uno nel 1790, e manteneva un musico per sonarlo. Diviss morì pastore a Prenditz nella Moravia nel 1765. Si pretende in Alemagna, ch'egli avesse inventato il parafulmine lungo tempo prima di Franklin.

Dodart (Dionigio), medico del re, e dell'Accademia delle scienze morto nell'anno 1707. Si ha di lui: Mémoire sur la voix de l'homme et ses différens tons, avec [104] deux supplemens (V. Mem. de l'Ac. 1700). L'autore vi fa delle ricerche su la maniera, con cui la voce forma i suoni musicali, ma non tutte sono da approvarsi secondo le osservazioni e li sperimenti che ne ha fatto il dotto Eximeno (nel lib. 2, c. 5, p. 149).

Doerner (Giov. Giorgio), organista a Bitterfeld, fece imprimere nel 1743, Épître au docteur Mitzler sur l'origine du son, et des tons principaux.

Doni (Ant. Franc.) pubblicò in Venezia nel 1544, Dialoghi della musica che il dottor Burney mette tra i libri rari, per non averne venduto che un solo esemplare nella famosa libreria del P. Martini, e di cui ne ha egli una gran parte trascritto.

Doni (Giov. Batt.), patrizio fiorentino, professore di eloquenza e membro delle Accademie di Firenze e della Crusca, scrittore elegante insieme e profondo teorico, morto quivi nel 1647 d'anni 53. Ecco i titoli delle opere da lui pubblicate: Compendio del trattato dei generi e modi della musica, Roma 1636, in 4º. De præstantia musicæ veteris 1647, in 4º. Trattato sopra il genere enarmonico. Cinque discorsi sopra gl'istrumenti di tasti ec. Dissertatio de musica sacra vel ecclesiastica, recit Romæ an. 1640. Della musica scenica e teatrale. Tutte coteste opere e molte altre di Doni sono state raccolte e stampate in Firenze in 2 vol. in fol. nel 1763, alla quale edizione ebbero parte più cel. letterati come: Gori, Passeri, ed il P. Martini ne compilò il copiosissimo indice, sotto il seguente titolo: Io: Bapt. Doni Florent. opera, pleraque nondum edita, ad veterem musicam illustrandam pertinentia, ex autographis collegit et in lucem proferri curavit Franc. Gorius, absoluta vero op. et stud. J. B. Passerii. Tuttavia molte opere di Doni rimangono ancora inedite, non meno delle sopraddette pregevoli, di Lettere, di Dissertazioni, di Ragionamenti ec. di cui ne ha dato il [105] catalogo nella di lui vita il Sig. Canon. Bandini, bibliotecario della Lorenziana di Firenze (V. Histoir. de la Litter. d'Ital. par A. Landi, t. 5, p. 163). Doni nella sua opera intitolata Lyra Barberina (in memoria d'Urbano VIII, che l'onorò di sua amicizia,) o Amphichordum dà la descrizione, e spiega l'uso di questo istrumento di sua invenzione. Ma ecco dove egli è men riuscito: pretese egli trovare l'antica lira de' greci. “Raccoglie perciò i monumenti appartenenti a questo stromento, si fa delle difficoltà, tenta di scioglierle, e sorte del gran mare delle sue ricerche con presentar all'Europa per termine delle sue fatiche una chitarra pregna di molti chitarrini, confessando egli stesso, non essere questo stromento degli antichi, ma parto solamente della sua immaginazione. Egli è tanto complicato, che niuno l'ha curato, nè fabbricato dopo la sua morte.” Questo si è il giudizio che ne dà l'accurato Requeno (Tom. 2. p. 415). Doni frattanto, per le altre sue fatiche sulla musica, meritamente ha riportati gli elogj di Rhenesio, di Gassendi, di apostolo Zeno, del dotto Burney e del Martini.

Dorat (Claudio Gius.), nato a Parigi nel 1734 ed ivi morto nel 1780. Egli divise quasi con Voltaire la pubblica attenzione (V. Biblioth. d'homme de goût, t. 1, Paris 1808); il suo Poema sopra la declamazione teatrale in tre canti, pubblicato nel 1767, in 8º, stabilì la sua riputazione. Nell'ultimo Canto egli tratta dei Drammi in musica, e vien riguardato come il migliore.

Dourlen (Vittore), allievo di Gossec, ottenne nel 1806 il gran premio di compositore proposto dall'Istituto nazionale; ed in questa qualità andò in Roma alla scuola delle Belle Arti. M. Lebreton secretario della classe delle bell'arti dell'Istituto, nel suo rapporto letto il dì 1 ott. del 1808, parla con elogio di un Dies iræ che Dourlens fece eseguire in Roma. “Questo canto [106] di desolazione e di terrore, egli dice, è ben concepito, ben condotto, ben scritto. Veri ne sono i motivi, variati e non escon mai da quel tuono solenne e malinconico, di cui la tristezza ne forma il pregio. In questo bel pezzo di musica religiosa la parte vocale vien trattata con una nobile semplicità.” Di ritorno dall'Italia egli ha composto pel teatro Filoclete, Linneo, e la Dupe de son art.

Douws, Mansionario in una chiesa nella Frisia, pubblicò a Francker nel 1722, un'opera assai mediocre intitolata: Traité de la musique et des instrumens de musique.

Draghetti (il P. Andrea). Ges. professore di metafisica in Brera pubblicò in Milano nel 1771, una Dissertazione su la musica, nella quale considerando le consonanze e le dissonanze quasi altrettante grandezze propone la curva musica. A questa oppose il p. Sacchi la dotta opera Della legge di continuità nella Scala musica, Milano ec. “Gli esempj, egli vi dice con molta verità, di chi volle trasportare alle Metafisiche cose le matematiche espressioni, e con curve e con formole sviluppare la teoria del commercio, rappresentare l'accrescimento e la decadenza delle scienze, i progressi dello spirito umano ed altre sì fatte cose, in vece d'incoraggire, dovea allontanare l'autore dal proporre la sua curva musica. Simili ghiribizzose espressioni dalle quantità trasportate ad altri enti, che non hanno con quelle relazione alcuna fissa, portano a conseguenze false ed inintelligibili. La smania di parlar sempre in tuono matematico ha corrotta la semplicità del linguaggio, ed oscurata non poco la precisione delle idee metafisiche. Non lo ripeteremo mai abbastanza. Le scienze hanno tutte il loro carattere, e si deformano quando vuolsi il carattere di una applicare all'altra ec.” Malgrado queste inconcusse [107] verità e la dotta confutazione del Sacchi, volle sostenere ancora l'arrogante Gesuita il suo svarione, e pubblicò in Milano nel seguente anno Replica del P. Draghetti, a cui quegli credette miglior partito di non più rispondere.

Dreslen (Ernesto), uno de' più pregevoli cantanti dell'Opera italiana in Germania, apprese a Greussen, dove era nato, i primi elementi di musica, visitò quindi l'Università di Hall, di Jena e di Lipsia, dove si formò, restandovi sino al 1656, sul violino e nel canto. Alcun tempo di poi, venne a Bayreuth, ove dopo aver ancora preso alcune lezioni dalla cel. cantatrice Turchotti, entrò nella cappella del Margravio, e nominato poco appresso secretario della camera delle finanze. Egli nel 1773, fece sentirsi in Vienna dinanzi all'Imp. Giuseppe II, ed impegnossi come cantante all'Opera di Cassel, ove morì nel 1779. Egli è anche un buon scrittore su la musica. Abbiamo di lui in tedesco: 1º. Frammenti d'idee dello spettatore di musica su i progressi della medesima in Allemagna, Gotha 1764; 2º. Riflessioni sulla rappresentazione dell'Alceste, Erfurt 1774; 3º. Scuola di teatro per gli Alemanni, intorno all'opera seria, Annover 1777; 4º. Alcune cantate a parte, e collezioni delle medesime. Segli attribuisce in oltre la Dissert. sull'opera italiana di Benda, rappresentata a Gotha, che è inserita nel 1º vol. delle Novelle musicali (V. Neusel Miscell. e Cramer, Magazin, an. II).

Dryden (John), cav. poeta laureato, nato nella contea di Northampton ebbe per maestro a Westminster il Dr. Busby, e fu uno dei primi membri della società R. di Londra. All'avvenimento di Giacomo II al trono, egli abbracciò la Rel. Cattolica, e divenne di lui istoriografo: morì in Londra nel 1701. Acquistossi una fama immortale sì per le opere che ha lasciate, come per le sue poesie. La sua Ode sublime Al [108] potere dell'Armonia per la festa di santa Cecilia, gli dà il diritto di esser citato in quest'opera. Più celebri compositori l'han messo in musica, come Hendel e Gluck. L'Ode di Dryden diè l'idea a Pope di comporne una su lo stesso soggetto, ma i pensieri di Pope non hanno la stessa sublimità. Si ammira il potere della musica sull'anima di Alessandro in tutto il corso di quest'Ode, e si resta intenerito della disavventura di Orfeo in quella di Pope. La prima è scritta con tutto il fuoco del genio, e la seconda dee il suo merito all'armonia imitativa de' versi. L'Ode di Dryden è il capo d'opera della poesia lirica. Essa ha avuto molti traduttori francesi come Dorat, Trochereau, ed Hennet. M. de Valmelete, abile violinista, ne ha fatta un'elegante imitazione, che si trova nelle Quatre Saisons du Parnasse Automne, 1805 (V. Biblioth. d'un homme de goût, tom. 1).

Dubos (l'Ab.), secretario perpetuo dell'Accademia francese, morto in Parigi nel 1742. I suoi viaggi in Italia, in Allemagna, in Inghilterra e in Olanda acquistar gli fecero delle cognizioni profonde nella poesia, nella pittura e nella Musica, e noi gli dobbiamo un'eccellente opera intitolata Reflexions critiques sur la poesie, sur la peinture et sur la musique, la di cui seconda edizione è del 1770, in tre vol. in 12º. “Quel che rende pregevole quest'opera, (dice l'autore del secolo di Luigi XIV, Voltaire) egli è, che non vi ha se non pochi errori, e molte riflessioni vere, nuove e profonde. Manca non per tanto d'ordine e principalmente di precisione: ma lo scrittore pensa e fa pensare. Egli non sapeva frattanto la musica, ma aveva molto letto, veduto, inteso, e molto aveva pensato, e niuno ha meglio di lui ragionato intorno a tutte queste materie. L'antica letteratura eragli così nota come [109] la moderna, e sapeva le lingue dotte e straniere, quanto la sua propria.”

Dubugarre, maestro del S. Salvadore in Parigi, pubblicò nel 1754 un'opera assai mediocre sotto il titolo: Méthode plus courte et plus facile pour l'accompagnement du clavecin, con alcune domande e risposte, perchè lo studente imparandole a memoria, potesse essere esaminato dai parenti stessi nell'assenza del maestro.

Ducerceau (Giov. Ant.), gesuita nato a Parigi, e morto a Veret nel 1730. Oltre le opere ch'egli ha lasciate, nelle Memorie di Trevoux vi ha molte di lui Dissertazioni sull'antica musica, ch'egli scrisse contro il sentimento di Burette, e che oggidì più non meritano di esser lette.

Duclos, nell'antica Enciclopedia a l'artic. Déclamation vi ha di lui la spiegazione fisica delle diverse specie di voce. Un altro Duclos, meccanico di Parigi, nel 1787 presentò alla Scuola reale, un ritmometro di sua invenzione, in cui si riconobbe una superiorità sopra tutti gli stromenti presentati sino allora in questo genere.

Dumas (Luigi), nato a Nimes nel 1676. Le matematiche, la filosofia, e le lingue l'occuparono interamente: il suo spirito era assai metodico ed inventore; la sua immaginazione viva e feconda. Egli morì nel 1744. Abbiamo di lui: L'art de transposer toutes sortes de musique sans être obligé de connoitre ni le tems, ni le mode, a Paris 1711 in 4º. Molti e tra gli altri Rousseau hanno proposto sì fatti sistemi curiosi ed inutili: “ma siccome nel fondo (dice questo stesso filosofo), correggendo gli antichi difetti co' quali si è fatto già un uso, non facevamo tutti che sostituire degli altri, di cui si ha ancora da acquistar l'abito, io credo che il pubblico saggiamente ha fatto di lasciar le cose come sono, e di rimandar noi ed i nostri sistemi nel paese delle vane speculazioni.” (Dictionn. art. character. de musiq.) [110]

Dumont (L'Ab.). Se gli dee l'invenzione d'un grande istromento di musica, a cui diè il nome di Consonante, e che partecipa del cembalo e dell'arpa. La sua forma è di un gran clavicembalo messo a piombo su d'un piedistallo che ha le corde dalle due parti della sua tavola, le quali si toccano della stessa maniera che nell'arpa. (V. Encyclop. method. de musiq. p. 315).

Duni (Egidio Romualdo), nato nel 1709, a Matera nel regno di Napoli, fu messo all'età di nove anni nel conservatorio della Pietà, dove studiò sotto il celebre Durante. Assai giovane fu ricercato in Roma per comporvi un'opera; e trovossi, con suo disgusto, in concorrenza con Pergolese, di cui era grand'ammiratore ed amico. Fu eseguita da prima l'opera di Pergolese, che si ricevette assai male; e pochi giorni appresso, quella di Duni incontrò moltissimo: ma in vece di andar superbo di quell'avventura, egli disse, consolandolo a Pergolese: O mio amico! o mio maestro, costoro non ti conoscono! Una musica naturale, variata e pittoresca, una deliziosa e soave melodia era il distintivo carattere delle composizioni di Duni. Quando se gli voleva opporre ch'egli non faceva fracassi: Io bramo, rispondeva, lunga vita al mio canto. Marmontel, nel suo poema inedito su la musica, impiega più versi nel far con ragione l'elogio di questo grande artista. Egli morì il dì 11 giugno del 1775 nel 66º anno di sua età.

Dunstable (Giov.), così detto dal luogo della sua nascita presso Bedford in Inghilterra, morto nel 1453 o 1458, che alcuni scrittori Tedeschi, tra' quali Marpurg, hanno confuso fuor di proposito con Dunstano Vescovo di Cantorbery, il quale viveva quattro secoli prima. Quest'autore contribuì ai progressi della musica in Inghilterra, e dell'arte in generale d'una maniera assai considerevole, cosichè alcuni scrittori poco giudiziosi [111] e male instruiti gli hanno attribuito l'invenzione del contrappunto, assurdità dimostrata da tutti i monumenti storici (V. Encyclop. method. art. contrepoint p. 347). Quel che vi ha di vero egli è, che gl'Inglesi, a riserba di poche eccezioni, sono stati in ogni tempo i più cattivi musici dell'Europa, e che il solo merito, che essi abbiano nella musica, si è di saperla pagar bene. Il trattato di Dunstable intitolato De mensurabili musica, si è perduto, ma ne han fatto menzione alcuni scrittori di quel tempo, o poco posteriori, come Tomm. Morlay, e Gaffurio.

Dunstano, vescovo di Cantorbery sulla fine del 10º secolo, era assai perito nella musica di quel tempo, e dicesi di aver inventata un'arpa assai singolare che sonava da se sola, per cui, in que' tempi di profonda ignoranza fu accusato dinanzi al re di magia. Oltracciò diede egli un organo alla badia di Malmesbury, stromento che cominciava allora a divenir comune, e fece di poi lo stesso regalo a molte chiese, o monasteri. Alcuni scrittori Tedeschi lo han confuso con Dunstable, come poco fa si è detto. Dunstano morì nel 988 (V. Enciclop. method. p. 81).

Durante (Francesco), nato in Fratta vicino a Napoli nel 1693, fu allievo nel conservatorio di S. Onofrio sotto la direzione del celebre Alessandro Scarlatti. Venne in Roma spinto dalla fama di B. Pasquini e di Pittoni: faticò cinque anni sotto questi due gran maestri, ed apprese dal primo l'arte del canto e della melodia, e dall'altro tutte le risorse del contrappunto. Tornò, quindi in Napoli, e diessi alla composizione; ma travagliò quasi unicamente per la chiesa, e nulla scrisse mai pel teatro: nel catalogo delle sue opere non veggonsi in fatti che pochissime cantate e duetti da camera, ed un picciol numero di musica strumentale. Il genere di musica da chiesa e gli studj furono dunque gli oggetti, a' quali diessi [112] principalmente. Per il genio e l'arte che vi diè a divedere, egli pervenne all'acquisto del più sublime grado di gloria, e ad essere riguardato come il più classico di tutti i moderni maestri. Durante è quegli che ha stabilita la recente tonalità; in questa parte egli è ciò che fu il Palestrina nel genere antico, se pure nol sorpassò. Niuno ha saputo meglio di lui l'arte di fissare il tono, di guidare la modulazione e di stabilire un'armonia ben conforme al senso della frase musicale. A tal riguardo merita egli di servir di modello a tutti i compositori per l'avvenire, ed egli è la più sicura guida che possa adottarsi. In quanto al genere di sua composizione, i motivi sono semplici, ed a primo colpo d'occhio sembrano anche mediocri; ma sono realmente così ben concepiti, e maneggiati con tant'arte e genio che sa trarne effetti prodigiosi. Egli sa applicarvi tutte le forme immaginabili, e non mai se non quelle che convengono, di modo che sa sempre interessar l'ascoltante, e gli lascia il desiderio d'intenderlo ancora; lo che tanto più è sorprendente che la sua maniera è severa e seria, ed in generale poco egli sacrifica alle grazie. Al merito di esser divenuto Capo-scuola e modello per le sue composizioni, unì Durante anche quello di essere stato un gran professore. Sino dal 1715, egli era maestro del conservatorio di S. Onofrio: era ancora alla testa di quello dei Poveri di G. C. quando il cardinale Spinelli, arcivescovo di Napoli, lo distrusse per farne un seminario. Dalla sua scuola sono sortiti i più illustri compositori delle generazioni posteriori. Tali furono Pergolese, Sacchini, Piccini, Terradeglias, Guglielmi, Traetta, Dol, Finaroli, Speranza, che tanto han reso celebre la scuola di Napoli nel 18º secolo. In una parola, tutta l'attuale scuola non è che un'emanazione di quella di Durante. Egli era un uomo flemmatico, sofferente, [113] imperturbabile, e superiore a tutte le traversie: ebbe tre mogli, la prima delle quali fu una vera Santippe, che col suo imperioso carattere, co' suoi capricci, e soprattutto colle sue dissipazioni per giocare al lotto, tenne in continuo esercizio, e pose alle più ardue prove la di lui pazienza. Obbligavalo a faticare, sino a privarlo dell'ore necessarie per il sonno. In occasione di un giro, ch'ei fece per l'Italia, al suo ritorno trovò vendute tutte le sue carte, il di cui prezzo era stato erogato dalla moglie in soddisfare l'accennata sua passione: e però gli fu d'uopo ricominciar da capo a comporre la sua musica per le chiese. Quando finalmente ebbe la sorte, che il cielo il liberò da una sì tormentosa compagna, sposò la propria serva; e morta indi ancor questa, si maritò pure con un'altra donna di suo servizio. Per un atto singolare della sua filosofica imperturbabilità si è rimarcato, che in occasione di aver perduta la seconda, cui teneramente amava, non solo dispose egli senza la menoma agitazione tutto quel che occorreva pe' di lei funerali; ma dippiù nelle preci, che fece cantare in casa, presente il cadavere della medesima, assistette egli stesso di presenza e regolò colla battuta i cantanti. Quest'uomo invidiabile ugualmente pel suo carattere, che per la sua abilità cessò di vivere in Napoli nel 1756, in età di sessant'anni in circa. Le di lui composizioni dovrebbero essere in tutte le scuole ed i conservatorj di musica, come son divenuti classici i suoi Partimenti in tutta l'Europa. Il dotto Carpani saggiamente riflette sul motivo perchè le opere del Carissimi, del Pergolesi, del Durante, per quanto ancora si vantino per tradizione, hanno molto scapitato nelle nostre orecchie? “Ancora le giudichiamo venerabili, egli dice, ma quasi ognuno preferisce d'udire un rondò d'Andreozzi, un quartetto di Tarchis, una scena di Mayer, ed anche di men [114] pregiati scrittori, anzichè alcuna di quelle composizioni che si credevano il non plus ultra della musica da' nostri antenati. Donde ciò, se non dal non esservi un vero bello riconosciuto, e canonizzato per tale nella musica?” (Lett. XI.)

Durieu (M.) pubblicò nel 1793, in fol. Nouvelle Méthode de musique vocale, a Paris, come ancora une Méthode de violon. Queste due opere gli han meritato un posto tra i buoni professori per l'ammaestramento.

Dusseck (Giovan Luigi), nato a Czalau in Boemia nel 1760, da una famiglia che ha da gran tempo prodotto più bravi artisti; dall'età di dieci anni cominciò i suoi studj in uno de' primi collegj dell'università di Praga. Oltre la letteratura antica e moderna coltivò la musica, e profittò moltissimo delle lezioni di un benedettino, che lo esercitò in tutti i contrappunti. In Amburgo ebbe la sorte di vedere il celebre Emmanuele Bach, e di profittar de' suoi consigli: partì quindi per Pietroburgo, e fu trattenuto dal principe Radzwill che gli propose un vantaggioso partito. Alcun tempo di poi venne in Parigi, ma la rivoluzione l'obbligò ben presto a partire, passò in Inghilterra e restò in Londra nel 1800. A quest'epoca, pensò egli di riveder la sua patria, dove viveva ancora suo padre celebre organista, cui da 25 anni non aveva più veduto. Mr. de Talleyrand, principe di Benevento lo volle quindi in sua casa, ed egli morì in Parigi in marzo 1812 di quarantadue anni. Questo celebre artista pubblicò 70 opere per il forte-piano, tra le quali distinguonsi le Adieux à Clementi, e le Retour à Paris; a cui in Londra si è dato il nome di plus ultra, per opporla ad una sonata di Woelff detta Nec plus ultra: ed in oltre una Messa solenne, composta a Praga, e più Oratorj in tedesco, de' quali il più bello si è la Risurrezione di Klopstok. Il suo Metodo per il piano-forte in lingua tedesca, [115] impresso da Breitkopf, è certamente il migliore per i principianti.

Duval (Mad.), celebre cantatrice del teatro serio di Parigi, viveva ancora nel 1770. Se le dee un buon libro, che essa pubblicò col titolo di Méthode agréable et utile pour apprendre facilement à chanter juste et avec goût.


E

Eastcott (Riccardo), dotto Inglese, pubblicò nel 1793 Sketches of the origin etc. cioè Ricerche su l'origine, i progressi e gli effetti della musica, un vol. in 8º (Bent, the Lond. Catal.).

Ebeling (Cristof. Daniele), nato a Garmisson, e nel 1784 professore di storia e lingua greca nel collegio di S. Giovanni d'Amburgo, ha pubblicata la prima parte di un Saggio su la formazione d'una biblioteca di musica. Egli ha tradotti in tedesco i Viaggi musicali di Burney, ed il Messia di Hendel.

Eberhard (Giov. Augusto), professore ordinario di filosofia nell'università di Halle dopo il 1778, pubblicò quivi una Dissertazione sul Melodramma nel 1788, ed in una sua opera intitolata Teoria generale del pensiero e de' sentimenti, si trova un gran numero d'interessanti osservazioni relative alla musica.

Eckard (Giov. Goffredo) venne molto giovine in Parigi per istudiarvi e professar la pittura. Come il pennello gli dava poco da vivere, gli si consigliò di professare la musica, che studiato aveva sotto a' più gran maestri dell'Allemagna sua patria. Era egli assai abile sul clavicembalo; ma ben comprese che per giungere al primo grado, gli era d'uopo di un'ostinato travaglio. Per il corso di due anni, dipinse il giorno per sussistere, e consacrò le notti allo studio della musica: a un tal prezzo deve egli la riputazione d'uno de' più valenti [116] cembalisti dell'Europa, pubblicò più opere, e cessò di vivere nel 1809, in età di 75 anni.

Eckelt (Giov. Valentino) fu allievo nella scuola di Gotha e vi apprese la musica che coltivò quindi ad Erfurt. Avendo acquistate bastanti cognizioni in quest'arte per occupar qualche posto, intraprese de' viaggi per farsi conoscere, ed ottenne l'organo di Werningerode, e nel 1703 quello della Trinità a Sondershausen, posto che occupò con gran successo sino alla sua morte, nel 1732. Benchè vi siano di lui molte ottime composizioni, egli cercò tuttavia a rendersi principalmente utile come didattico, e lasciò le seguenti opere: 1. Experimenta musicae geometrica, 1715; 2. Instruzione per formare una fuga, 1722; 3. Compendio di ciò ch'è necessario sapere per un musico. La sua biblioteca musicale, che dirsi poteva allora compiuta, conteneva tutte le opere pubblicate sino all'epoca della sua morte. Le note da lui aggiunte a ciascun volume erano una prova della di lui scienza.

Edelmann (Giov. Federico), nato a Strasburgo nel 1749, valente sonator di piano-forte, di cui vi ha 14 opere di concerti, e sonate dal 1770 sino al 1790, impresse a Parigi, a Manheim e ad Offenbach, ed alcune opere per teatro come l'Arianna a Naxos etc. Dopo di avere rappresentato nella fatale rivoluzione il personaggio di un furioso demagogo, Edelmann perì egli stesso nel 1794, con suo fratello sopra un palco, dove aveva sacrificato molte vittime, e con ispezialità il barone di Dietrich suo benefattore.

Elena, ateniese, anteriore di età ad Omero, si rese assai celebre nel canto per la novità e per la grandezza delle sue musicali composizioni; di essa fa menzione Tolomeo Efestione nel lib. 4º [117] delle sue Storie presso Fozio (V. Requeno t. 1. p. 58).

Eliano, della scuola dei Platonici, scrisse dei Comenti sul Timeo di Platone, dove tratta della meccanica del suono, e senza ricorrere alla mattematica ne spiega i fenomeni per mezzo della fisica. Da alcuni lunghi passaggi di Eliano rapportati da Proclo (ad Timæ), e da Porfirio (in Harmon. Ptol.) intorno a questo argomento, si rileva la scarsezza de' lumi degli antichi in questa scienza. S'ignora il tempo in cui visse Eliano (V. Fabric. Bibl. Gr. t. 3).

Elliot (John) diè al pubblico in Londra nel 1769, Philosophical Observations on the senses, etc. cioè: Osservazioni filosofiche intorno ai sentimenti della vista e dell'udito, e un Trattato sopra i suoni armonici. La quarta sezione si riferisce alla maniera con cui ci formiamo un'idea de' suoni. Confessa ingenuamente l'autore che rispetto a ciò non può dir cosa alcuna positiva: desidera solo di risvegliare la curiosità dei filosofi, e di farla applicare a questo interessante oggetto: tuttavolta non ne dà nel suo trattato che un superficialissimo saggio.

Empedocle di Agrigento in Sicilia, città assai celebre negli antichi tempi per la coltura delle scienze, e per la sua grandezza, sortì dalla scuola dei pittagorici con quella superiorità di genio, che non abbracciando alla cieca la dottrina de' maestri, sa conoscerne il debole, e divenir egli stesso capo di partito. Egli illustrò la patria colle sue leggi, e la filosofia co' suoi scritti, tra' quali distinguevasi particolarmente il suo Poema, tanto celebrato da Lucrezio, e nel quale spiegava con l'armonia i principali fenomeni della natura. Egli coltivò in fatti la musica, applicandovi il calcolo all'usanza dei pittagorici, e ne diè lezioni ad alcuni bravi giovani capaci di fargli onore, dei quali il più illustre fu Archita di Taranto maestro di Platone. [118] Non men che nella teoria fu egli eccellente nella pratica, suonava la lira, e con questa accompagnava i suoi versi, le di cui bellezze, al dir di Laerzio, non avrebbe avuto a schivo lo stesso Omero. I Greci raccontano delle maraviglie operate da questo filosofo per mezzo della musica (V. Porphir. et Jambl.): egli fioriva cinque secoli prima di G. C. Intorno a lui possono consultarsi fra i moderni letterati oltre il Barthelemy, e le Recherches sur la vie d'Empedocle, par M. Bonamy nel t. 10 dell'Accad. delle Iscriz., F. G. Strurz de vitâ et philosophiâ Empedoclis Agrig. ejusque carminum reliquiæ, Lipsiæ 1805, 2 vol. in 8º, ed il nostro dotto ab. Scinà professore di fisica sperimentale nella R. Università, nelle sue Memorie sulla vita e filosofia d'Empedocle, tom. 2 in Palermo 1813.

Engel (Gian-Giacomo), nato a Parchim, nel 1786, direttore del teatro nazionale di Berlino, e dopo il 1790 del Concerto degli Amatori. Ha pubblicati più scritti interessanti sulla musica e l'arte mimica, tra i quali quello sulla Pittura in musica, diretto a Reichardt, ch'è stato tradotto in francese da Arrigo Jansen, in Berlino, 1780 in 8º. Engel volse in tedesco le Lettere di Eulero sulla musica ad una Principessa Alemanna.

Engramelle (P. Gius.) agostiniano, pubblicò in Parigi nel 1775, la Tonotechnia, ou l'art de noter les cylindres, in 8º. Quest'opera nuova nel suo genere, è la prima che sia stata scritta sopra queste materie, i fabbricanti avendo fatto sempre un mistero dell'arte loro. Il P. Engramelle, nell'assemblea delle Belle-Arti 21 aprile 1779, ha mostrato un instromento di sua invenzione, il quale dà, secondo lui, la divisione geometrica de' suoni per la più perfetta maniera di accordare gl'instromenti. Comechè si possa mettere in dubbio la verità de' principj ch'egli avanza, non [119] dee lodarsi meno frattanto il suo amore per le arti.

Epicarmo, uomo di spirito come la più parte de' siciliani, al dir di Cicerone (De clar. orat. c. 12), e filosofo, se non fu l'inventore della commedia, fu certo il primo a dar della regolarità a questo genere di poesia, come espressamente lo dice Aristotele (Poet. c. 3). Alla commedia puramente recitabile vi aggiunse egli i cori, che di tempo in tempo divertivano col canto e con la musica. La sua prima commedia sulla trasmigrazione delle anime rappresentossi nel teatro di Siracusa all'Olimp. 77; l'autore vi riscosse sommi applausi, ma si tirò addosso la nimicizia degli altri filosofi per avere divulgato il segreto dei loro dogmi sulle scene, e quindi fu bandito dal re Gerone. Gli Ateniesi accolsero l'autore e i suoi drammi con trasporti, come se di fresco riportato avessero una vittoria. Platone lo riguardò come il più perfetto scrittore in questo genere, e Plauto, al dir di Orazio (art. poet.) se lo propose per modello. Epicarmo fiorì cinque secoli innanzi G. C.

Epicuro, uno de' più gran filosofi del suo secolo, e forse ancora dell'antichità, fiorì nell'Attica quattro secoli prima di G. C., e stabilì la sua scuola in un giardino, dove tranquillamente filosofava co' suoi amici e discepoli, che a se attaccava con graziose maniere, e con una dolcezza non disgiunta dalla decenza e dalla gravità. Fra i piaceri, ch'egli ammetteva nella vita sociale, come non pregiudizievoli alla filosofia, non esclude la musica, e trattò ancora di quest'arte, secondo Laerzio, in un libro, che oggidì più non esiste. Il dotto Requeno è di parere, che costando troppa fatica l'impararla, i suoi seguaci non si trattennero in coltivarla: “e non si trova, ch'io sappia, egli dice, un epicureo antico celebre in quest'arte.” Ma io piuttosto sarei di avviso, che siccome [120] si ebbe impegno dagli altri filosofi di discreditar questa setta, e di porre in odio i loro scritti, così non sono essi giunti sino a noi, ed assai poco sappiamo della loro storia. Le stesse opere di Epicuro, che al riferir di Laerzio, sorpassavano i 300 volumi, si sono smarrite. Il di lui Trattato sulla Natura delle cose, che servì di base al Poema di Lucrezio, e di cui non si sapeva quasi più l'esistenza che per alquante citazioni di antichi scrittori, sappiamo essersi ultimamente scoverto tra le rovine dell'Ercolano, e che l'inglese Haiter, spedito in Napoli per isvolgere gli antichi volumi sepolti sotto gli avanzi di quella città, ci fa sperare che ne pubblicherà quattro libri. Epicuro morì di calcolo in età di 70 anni, nel 271 innanzi G. C.

Eraclide del Ponto, nativo di Eraclea, venne a stabilirsi in Atene, dove fu discepolo di Speusippo, quindi de' Pitagorici, poi di Platone e finalmente di Aristotele. Tra le opere di costui si trovano alcuni libri su la Musica: Ateneo (libr. 10. Diun.) ne cita il terzo: ma Diogene Laerzio facendo un catalogo de' suoi scritti, non rammenta che due libri di lui della musica: ben egli è vero, che nell'articolo precedente egli dice: Trattati di Musica di Eraclide, a proposito di quel che di quest'arte si trova presso Euripide e Sofocle, in 3 libri: il che giunto a due libri ne farebbero cinque, ma forse vi ha errore nel testo. Che che ne sia, Porfirio (lib. 1, ca. 3, Com. in Harmon. Ptol.) cita un passaggio intorno alla musica coltivata da Pitagora, il quale è estratto, secondo egli stesso lo dice, da Eraclide del Ponto nella sua Introduzione alla Musica. Egli fioriva quattro secoli prima di G. C. (Plutarc. de Mus.).

Erastocle, greco filosofo, fu il primo secondo Aristosseno, che trattasse in Grecia del diapason e delle sue figure o sieno modi, del sistema [121] perfetto, del numero e delle differenze degl'intervalli, che lo formavano: benchè di ciò scrivesse Erastocle da musico pratico senza dimostrazioni. Lo stesso Aristosseno però fa di costui una severa critica, attaccandolo di aver fallato fino nelle cose, che si giudicano col solo senso dell'orecchio (Aristox. l. 1, Req. t. 1, c. 4).

Eratostene, celebre matematico e bibliotecario di Alessandria, morto 194 anni prima di G. C., coltivò con successo la poesia, la critica, la filosofia, le matematiche, e la musica, per cui gli fu dato il nome di secondo Platone. Trovando egli in discredito il sistema armonico de' pitagorici, con l'autorità di primo bibliotecario della celebre libreria di quella dotta capitale, e colla celebrità acquistatasi nel calcolo, si credè in grado di poter ripigliare i computi numerici, e riformare le serie armoniche di Archita, di Filolao e di quanti l'avevano preceduto nello studio della musica. Le sue invenzioni ebbero gran plauso fra' suoi scolari. Tolomeo lo ha in conto d'uno de' principali musici di Alessandria. Pappo parla di lui con gran lode. Presso il dotto Requeno trovansi i numeri della scala diatonica di Eratostene, benchè con ragione egli creda che la musica abbandonata in balía de' mattematici ne abbia recato men vantaggio e più discapito (Tom. 1. p. 231). Quel poco che ci resta delle opere di Eratostene è stato ristampato secondo l'edizione di Oxford del 1672, con dotte note da Conr. Schaubach a Gottinga in 8º, 1795.

Eschenburg (Giov. Gioacchino), professore di belle lettere a Brunswick e consigliere della corte, nato in Amburgo nel 1743, ha reso molti servigj alla musica nell'Alemagna per i concerti che stabilì verso il 1770, e per le opere o traduzioni tedesche di più libri stranieri. Non ne citeremo che le seguenti: 1. Considerazioni sulla [122] poesia e sulla musica, tradotte dall'inglese del d.r Brown, con note ed accresciute di due appendici, Lipsia, 1769, in 8vo — 2. Riflessioni sull'affinità della poesia e della musica, di Webb, tradotto dall'Inglese, Lipsia 1771, in 8vo — 3. Dissertazione sull'antica musica di Burney, tradotto dall'inglese con alcune note, Lipsia 1781 in 4º. Questa dissertazione precede la storia generale di Burney. Eschenburg aveva promesso di dare eziandio una traduzione di questa storia, ma non ha sinora messo ad effetto la sua parola. — 4. Lettera sulla pompa funebre di Jommelli, tradotta dall'italiano. Essa è nel Museo allemanno, t. 1, p. 464. — 5. Dissertazione intorno a Cecilia, nel Magaz. di Hannover del 1786, n. 96 — 6. Notizia sulla vita di Hendel e sulla funebre pompa che si è eseguita in suo onore a Londra ne' mesi di maggio e giugno 1785, tradotto dall'inglese di Burney, Berlino 1785, con fig. in 4º. Abbiamo di lui inoltre alcune dissertazioni a parte sulla musica, e molte discussioni nei giornali e gazzette di Germania. Egli è ancora autore di alcune buone traduzioni tedesche di drammi in musica italiani, come Roberto e Callisto musica di Guglielmi, i Pellegrini al Calvario di Hasse, ec.

Escherny (il conte di), nel 1809 pubblicò un libretto col titolo di Fragmens sur la Musique, dove avanza molti strani paradossi e più svarioni. Egli pretende che la lingua francese sia la più bella e la più perfetta delle lingue moderne, e che in se stessa racchiuda i germi di una melodiosa musica. Parla poi con trasporto della voce degli eunuchi: voce per eccellenza, egli dice, che più non si sente se non ne' cieli, se si abolisce sulla terra! e giunge sino a maledir Ganganelli, per aver vietate queste mutilazioni, ed accusa di balordaggine coloro che han trovato lodevole il divieto del Papa, e poco sta a non iscomunicarlo per aver impedita la crudele specolazione d'una trista madre, che voleva [123] in questa maniera fare la sua fortuna e quella del suo ragazzo. A tanto arriva la filantropia del conte di Escherny!

Eschtruth (Giov. Adolfo barone di), membro di più accademie e società in Francia, in Italia, e in Allemagna, nato ad Amburgo nel 1756, studiò la composizione sotto Hupfeld, maestro di concerto in Marburgo, e quindi sotto Vierling allievo di Kirnberger, che lo familiarizzò mano a mano co' principj di Bach, al segno di voler egli passare soltanto per costui discepolo. Oltre i pezzi critici ch'egli ha pubblicati nei giornali letterarj di Erfurt ed altri, vi ha di lui: Iº Biblioteca di musica, primo num. Marburgo 1784; secondo numero 1785, terzo numero 1789; IIº. Istruzione per scrivere la musica, di Gian-Giac. Rousseau, traduzione dal francese con molte sue addizioni, 1786; IIIº. Principj della musica trascendente, ove si tratta principalmente della letteratura e dell'espressione della musica, 1789, in 4º; Biografia di Carlo-Emm. Bach, 1789. Per la musica pratica, oltre a molte sue opere, sono da rimarcarsi: 1º. Settanta canzonette del prof. Miller d'Ulm, poste in musica, con una prefazione molto interessante sulla composizione, Cassel 1788; 2º. Dodici marcie, con la teoria, la storia e la letteratura di questo genere di musica ec. Pregevoli sono i suoi scritti per l'imparzialità, per l'erudizione e lo stile, e commendatissime le sue composizioni musicali.

Estève (Pietro), membro della soc. reale di Montpellier, in un'opera pubblicata nel 1751, sotto il titolo di Nouvelle découverte du principe de l'harmonie, attacca con ragione la pretesa dimostrazione del Principio di Rameau, che non è effettivamente se non un sistema, ma vi sostiene alcuni suoi principj, che non possono facilmente adottarsi. M. Estève pubblicò ancora l'Esprit des beaux-arts, 1753 in 12º. [124]

Ettmullero (Michele Ernesto), dottore professore di medicina in Lipsia, nato colà nel 1673. Dopo di avere ottenuti molti onorevoli posti nella sua patria, egli vi morì nel 1732. Delle sue opere non faremo menzione che di quella, che ha per titolo: De effectibus musicæ in hominem, Lipsiæ 1714 in 4º (V. Lichtent. p. 45).

Euclide, matematico di Alessandria, dove professò la Geometria sotto Tolomeo figlio di Lago circa tre secoli prima dell'era cristiana, fu di qualche tempo anteriore ad Eratostene e ad Archimede. Dalla sua scuola sortirono molti valentuomini. Tra le sue opere trovansi due libri di Musica, che comunemente gli si attribuiscono, benchè per più ragioni glieli contrastino i critici. Il primo di questi libri è intitolato: Introduzione Armonica, e l'altro Divisione del Canone Musico. L'inglese Gregory nella superba edizione, che diè delle opere di Euclide in Oxford in fol. rapporta questi due libri secondo l'edizione che tra i suoi Greci Armonici ne aveva dato il Meibomio, con correggervi solo alcuni luoghi, specialmente nella versione, in cui, egli dice, avervi trovate diverse maniere di parlare, che più sentivano della moderna musica, anzichè di quella del tempo di Euclide, e prova non aver essi costui per autore, perchè gli antichi non glie l'hanno attribuito. Infatti alcuni di loro ne credettero autore Cleonide, ed altri Pappo d'Alessandria. Ma l'accurato Requeno dopo di aver bene esaminati ambidue questi libri, conchiude che l'Introduzione armonica non è che l'opera d'un infelice sciolo, il quale ne' tempi posteriori lo spacciò per libro del celebre geometra Euclide (Saggi T. 1, p. 230) e che il compilatore del Canone Musico o è un altro impostore, ovvero lo stesso, il quale per ignoranza è in contraddizione coi principj [125] del primo, e copia così alla rinfusa senza capirne un jota. Veggassene la dotta confutazione ch'egli ne ha fatta nel secondo tomo, alla p. 207 e seg. Vi ha una traduzione dalla musica di Euclide pubblicata in 12º, da M. Forcadel professore di mattematica in Parigi.

Eufranore pittagorico, secondo l'uso di questa scuola esercitò la musica, dice Ateneo (lib. 4, et 14), e scrisse in oltre un trattato sull'armonia de' flauti, ed un altro storico dei più celebri suonatori di tibia. Di lui fanno anche menzione Aristosseno, Trifone, e Jamblico (in Nicom. arithm.).

Eulero (Leonardo), cel. mattematico nato a Basilea nel 1707, passò 25 anni a Berlino, e fu membro di quell'illustre Accademia. Chiamato a Pietroburgo, una violenta malattia lo lasciò cieco; ma la forza singolare della sua intelligenza servì di supplemento a' suoi occhi, e non cessò di fatigare sino alla morte che avvenne li dì sette settembre del 1783. Abbiamo di lui più opere sulla musica: Dissertation sur la nature et la propagation du son, Basil. 1727, in 4º, e molte altre Dissertaz. sull'Acustica, che si trovano nelle memorie delle Accademie delle scienze di Berlino e di Pietroburgo. Ed inoltre: Lettres sur la musique à une Dame allemande; e Tentamen novæ theoriæ musicæ ex certissimis harmoniæ principiis dilucide expositæ, Petropoli 1738, in 4º. “Niun filosofo, dice a ragion l'Eximeno, nel trattar della musica s'è lasciato così trasportare dalle illusioni matematiche, come il Sig. Eulero nel libro intitolato Tentamen ec.” Egli ne rileva gli errori di teoria, e di pratica “e questa teorica ci fa comprendere (conchiude il dotto spagnuolo) che non è la Matematica, come volgarmente si crede, un deposito di verità infallibili. Il trattato di musica d'Eulero va fondato nel calcolo più esatto; ed è pieno di quelle formole matematiche, che si rispettano come sorgenti d'infinite [126] verità; eppure tutto è una pura fallacia.... Sopra tutto falla la Matematica, qualor vien applicata ad oggetti che si suppongono per puro vizio della fantasia, come è stata finora attribuita a' suoni l'estensione delle corde, e come si suppone dall'Eulero stesa e divisibile in gradi la soavità..., in somma l'immagine dell'estensione, di cui la fantasia si serve per rappresentarci ogni cosa, è sorgente d'infiniti errori nella matematica, nella Fisica, e nella Metafisica.” (Orig. ec. P. 11, c. 3). Quindi non fia meraviglia, se, come scrive il Sacchi, il Sistema di questo gran Matematico in musica non è da alcuno abbracciato. L'autore del Dictionaire Historique des Musiciens per l'articolo dell'Eulero ci rimette al Supplemento del secondo tomo, ma quivi s'appiglia al partito di non parlarne affatto.

Eximeno (Ab. don Antonio), scrittore classico di musica, nato a Balbastro nel regno di Aragona nel 1732. All'età di dieci anni venne a Salamanca, dove con tale ardore applicossi allo studio, che abilissimo divenne sopra tutto nella fisica e nelle mattematiche. Nel 1764, fu egli scelto a dar lezioni di queste scienze nella Real scuola di artiglieria, di recente stabilita a Segovia per l'educazione de' giovani signori, che abbracciavano la professione dell'armi, e più opere diè egli alla luce in quest'occasione sì scientifiche, che storiche con tale imparzialità, dottrina e purezza di lingua, che lo resero celebratissimo. S'ignora l'epoca in cui entrò ne' gesuiti: dopo la loro espulsione dalla Spagna, egli visse in Roma, la patria della musica, ed a questa, ch'egli con trasporto aveva amata sin dall'infanzia, consacrossi interamente. Dopo sei anni d'un'assidua fatica compose l'opera, che tirò su di lui gli sguardi non che dell'Italia, ma dell'Europa intera. Egli pubblicolla in Roma nel 1774 in lingua italiana, pura abbastanza [127] comechè fosse spagnuolo, con questo titolo: Dell'Origine e delle Regole della musica colla Storia del suo progresso, decadenza e rinnovazione, in 4º. Egli vi prova l'inutilità delle mattematiche per la musica, ed offre un nuovo semplicissimo sistema. Secondo lui essendo la musica un vero linguaggio, le regole non debbono esser cercate nella mattematica, ma sibben nella prosodia, e confuta il sistema de' Greci pittagorici sulla musica, e le teorie dell'Eulero, del Rameau, del Galilei, del d'Alembert e del Tartini. Quest'opera riportò in Italia l'approvazione e gli applausi non che de' Letterati, ma fin anco de' bravi professori di musica, tra' quali dee valer per tutti il gran Jommelli. “Ho gran premura, egli dice in una lettera all'A., di manifestargli cogli effetti tutto l'elogio e tutta la giustizia che merita il suo bellissimo e vantaggiosissimo trattato... da un uomo del suo gran merito possiamo tirare quei lumi, che assolutamente ci abbisognano, per vedere nella sua più convenevole chiarezza, e nel più vero buon cammino questa divina nostr'arte, tanto infelicemente traviata e prostituita.” Nel nostro Discorso preliminare p. XVI abbiam riferiti i trascendenti elogj, che ne han fatto il Bettinelli e 'l Requeno: eccone quello dell'autore delle Novelle letterarie di Firenze 1774: “L'Italia e le nazioni estere saranno così grate al Sig. Eximeno quanto lo sono state verso coloro, che hanno introdotto la moderna filosofia.” Tuttavolta M. Fayolle nel suo Supplemento al Dizionario Storico de' Musici, dice freddamente che in quest'opera non vi si trovano in generale che de' ragionamenti superficiali, frammischiati d'alcune buone vedute: che l'autore, allorchè le diè mano, non si occupava della musica che da quattro anni avanti; e che gl'Italiani l'hanno chiamata Bizzarro Romanzo di musica, con cui l'autore vuol distruggere senza poter poi rifabbricare. M. Fayolle [128] non si era certo preso la pena di leggerla, e non cita per suo mallevadore che un frivolo libro. Veggasi perciò qual fondamento dee farsi sui suo Dizionario, ed in qual maniera egli giudichi de' più classici e celebri autori. Non così però han giudicato di quest'opera gli autori della nuova Enciclopedia metodica suoi nazionali (v. p. 340 e 352), non così altri dotti francesi, M. Raymond (Lettre à M. Millin p. 198) e Mr. Tourner. Il Monthly Review, giornale di Londra del 1774, parlando di quest'opera così si esprime: “Ella è questa una produzione di primo ordine per il gusto, l'erudizione e la profondità del ragionamento.” L'ab. Eximeno pubblicò in oltre nel 1775, in Roma: Dubbio sopra il saggio di contrappunto del P. Martini, che è una risposta a questo scrittore di musica, il quale lo aveva criticato nel suo Saggio di contrappunto. Ma riparò ben presto il torto, e diede all'Eximeno una prova incontrastabile di stima e di amicizia riponendo il di lui ritratto tra gli illustri scrittori della sua pinacoteca musica, tostochè (dice egli stesso in una lettera amichevolmente a lui diretta) mi giunsero alle mani le prime sue ingegnose ed erudite fatiche, cioè l'Opera dell'Origine e delle Regole ec. Nelle Memorie storiche del Martini pubblicate nel 1785, in Napoli dal P. della Valle, trovansi alcune Lettere dell'ab. Eximeno sulla questione della Greca Musica, e sulla sua riconciliazione col Martini. Morì questo valentuomo in Roma nel 1798, in età di anni 66.


F

Fabre d'Olivet (M.), nato nel 1768, si è fatta una riputazione in Parigi per le sue dotte opere in letteratura ed in musica, non avendo avuto altro maestro per l'una e per l'altra, che la natura e se medesimo. Naturâ ducimur ad modos, diceva [129] Quintiliano. Sin dal 1789, egli aveva composto un grandissimo numero di opere drammatiche, e di alcune la poesia e la musica, che ebbero grande incontro: dedicò ancora a M. Pleyel un'opera di quartetti per due flauti, viola e basso. Finalmente, nelle profonde ricerche ch'egli faceva in occasione di avere intrapresa un'opera archeologica, trovò negli avanzi della letteratura greca, o piuttosto credette buonamente di trovare il sistema musicale di quel popolo celebre. Pensò quindi arricchirne il sistema moderno, e ne formò un terzo modo, pubblicandolo nel 1804 sotto nome di modo ellenico, che altro non è in sostanza se non il terzo modo inventato da Blainville, tanto preconizzato da Rousseau, e prezzato poi al suo giusto valore dagli intendenti (V. l'articolo di Blainville nel I tom.). Questa impostura letteraria ebbe la stessa fortuna di quella che la precedette, un effimero applauso fu tutta la sua ricompensa. Nel 1804, M. Fabre fece eseguire al Tempio dai primi artisti del teatro di Parigi un suo Oratorio a grande orchestra, composto quasi interamente su questo modo, che dicesi essere stato inteso con piacere da più di due mila persone: i giornali, coll'usato entusiasmo de' francesi, ne parlarono un momento con vantaggio, e poi si tacquero.

Fabricio (Giov. Alb.), dottore in teologia e professor d'eloquenza in Amburgo, nato a Lipsia da Wernero Fabricio celebre professore di musica nell'anziscorso secolo, è autore di più opere di pratica col titolo di Deliciæ Harmonicæ, in 4º, Lipsia 1657. Giov. Alberto consacrò tutta la sua vita all'utilità del pubblico, e acquistossi un'immortal rinomanza per le sue dotte e profonde opere di erudizione. Nelle sue immense Biblioteche Greca e Latina trovansi delle accurate notizie intorno agli scrittori di musica di queste nazioni, come ancora nella sua Bibliographia antiquaria, Hamburgi 1713, e 1760, 2 edit. vol. [130] 2, in 4º, opere molto utili per la storia letteraria della musica, di cui abbiamo fatto grand'uso. I più belli Genj dell'Europa, di tutte le comunioni, han reso giustizia ai talenti ed alla singolar modestia di questo scrittore, che terminò la sua vita nel 1736 (V. Formey dans son eloge, a Berlin 1757).

Farinelli (Carlo Broschi detto), uno de' più gran cantanti che vi siano stati al mondo, nacque a Napoli nel 1705, da un virtuoso di musica. Una caduta nella sua infanzia l'obbligò alla mutilazione: ebbe delle lezioni da Porpora, che lo accompagnò in molti viaggi. All'età di 17 anni si portò in Roma, ove sul teatro cantò in maniera a sorprendere quel dotto pubblico, che la prima volta lo accompagnò sino alla sua casa in mezzo alle acclamazioni ed agli applausi per testimonio del Burney (Travels, t. 1). Di là si rese a Bologna, per sentirvi Bernacchi, allora il primo cantante dell'Italia e da lui volle prender lezione. Nel 1728, passò in Venezia e quindi in Vienna. Carlo VI, l'onorò delle sue beneficenze, e con la sua perizia nella musica un dì, dopo d'averlo inteso, dissegli che con l'estensione e bellezza di sua voce non faceva che sorprendere; ma che dipendeva da lui di muovere e d'interessare, con dar meno all'arte, ed usar di un canto più naturale. Farinelli profittò del consiglio, ed incantò in appresso i suoi uditori quanto li sorprese. Nel 1734, Porpora, che dirigeva un teatro in Londra, fece venir Farinelli per opporlo a Hendel, che era quivi alla testa di un altro teatro. Il cantante, con la bellezza della sua voce e la magia del suo canto, fè ben presto restar vuoto lo spettacolo di Hendel. Il compositore ostinossi con orgoglio a sostenere una rovinosa impresa, e fece degli inutili sforzi per richiamare il pubblico. Ma tutte le risorse del suo genio bilanciar non poterono l'arte incantatrice di Farinelli. Carpani (Lettr. 9) racconta [131] la seguente avventura. Senesino e Farinelli erano ambidue in Inghilterra, ma impegnato ciascuno a due differenti teatri; cantavano ne' medesimi giorni e non avevano occasione di sentirsi a vicenda. Trovaronsi non dimeno un giorno uniti insieme: Senesino doveva rappresentare un tiranno furioso, Farinelli un eroe sventurato e prigioniero; ma cantando la prima aria raddolcì talmente costui l'indurito cuore di quel feroce tiranno, che Senesino dimenticando il suo carattere, corse a Farinelli e con tutto il cuore abbracciollo. I fondi, ch'egli aveva in quel banco, valutaronsi a cinque mila lire sterline. Il principe di Galles al suo partire di là, gli diè in dono una scatola ornata di diamanti e 100 ghinee. Nel 1737 venne in Francia, cantò in Parigi dinanzi al re, che gli regalò il suo ritratto guernito di diamanti e 500 luigi. Avvengachè non avessero allora i Francesi gusto per la musica italiana, piacque loro tuttavolta questo gran cantante. Dopo una brieve dimora in Francia, portossi egli in Spagna, ove fu benissimo accolto alla corte e trattenuto con la pensione di 40 mila lire. Per il corso di 10 anni, cantò tutte le sere innanzi Filippo V e la regina Elisabetta. Questo principe essendo caduto in una profonda malinconia, che facevagli trascurare tutti gli affari, e giungere il faceva a segno di non volere per noja che se gli facesse la barba, e di non più intervenire al consiglio; la regina tentò per guarirlo il potere della musica. Essa fece disporre secretamente un concerto presso alla camera del re, e Farinelli immantinente cantò una delle sue arie. Filippo parve mosso da prima, ed eccitato al fine chiamò a se quel virtuoso, il colmò di carezze, e gli chiese qual ricompensa voleva, giurando di tutto accordargli. Farinelli pregò il re a farsi la barba e di andare al consiglio. Da quel momento la malattia del re divenne più docile a' rimedj, [132] e il cantante ebbe tutto l'onore della sua guarigione. Questa fu l'origine del favore di Farinelli: divenne primo ministro, ma non obbliò giammai di non essere stato prima che un virtuoso, nè mai i signori della corte ottener poterono da lui, che sedesse alla loro tavola. Un giorno nell'andar ch'ei faceva all'appartamento del monarca ove aveva dritto di entrar quando volesse, udì che l'ufficiale di guardia diceva ad un altro che aspettava l'alzarsi del re: Gli onori piovono sopra un miserabile istrione, ed io, che servo da trent'anni, sono quì senza ricompensa. Farinelli lagnossi col re di trascurar quei che lo servivano, e fecegli tosto segnare un diploma, che al sortire consegnò all'uffiziale, dicendogli: Poco fa vi ho inteso dire, che avete servito dopo 30 anni; ma avete falsamente detto senza ricompensa. Egli generalmente non usò del suo favore, che per far del bene, e quindi la protezione di cui l'onorarono successivamente tre monarchi della Spagna, Filippo V, Ferdinando VI e Carlo III. Quando quest'ultimo gli assicurò la continuazione delle pensioni di cui aveva sino allora goduto, Tanto più volentieri il faccio; egli soggiunse, quanto Farinelli non ha mai abusato della benevolenza e della munificenza de' miei predecessori. Dopo di aver goduto per 20 anni di tutti gli onori nella Spagna, Farinelli fu obbligato nel 1761, a far ritorno in Italia. Scelse Bologna per sua dimora, e ad una lega di questa città fecesi fabbricare una casa di campagna, ove il dottor Burney andò a vederlo in compagnia del P. Martini nel 1770. Questo virtuoso possedeva un gran numero di cembali fatti in diversi paesi, a' quali aveva dato i nomi de' principali pittori italiani. Egli fu che impegnò il P. Martini a scrivere la Storia della musica, che questo dotto religioso non giunse a terminare. Il Martini per questa grande impresa non avendo una sufficiente biblioteca, Farinelli [133] lo sovvenne colle sue ricchezze, e 'l pose in istato di formare la più considerevole biblioteca musicale che si fosse vista in Europa. Questo celebre artista passò così nel ritiro il resto de' suoi giorni, occupato di letteratura e di musica e morì li dì 15 settembre 1782, in età di 80 anni. Martinelli, nelle sue lettere familiari e critiche così si esprime intorno al Farinelli: “Questo cantante aveva più di sette o otto tuoni egualmente sonori, e chiari del tutto e piacevoli, che le voci ordinarie, possedendo d'altronde tutta la scienza musicale in un grado eminente, e tale quale poteva sperarsi dal più degno scolare del dotto Porpora.”

Farinelli, uno de' più recenti e bravi compositori per teatro, stabilito attualmente in Venezia. Nel Magazzino di musica di Giovanni Ricordi in Milano trovansi di costui impresse le seguenti opere: I Riti d'Efeso, dramma serio. La Locandiera; l'Amor sincero; l'Indolente; la finta Sposa; l'arrivo inaspettato; Bandiera d'ogni vento; il Colpevole salvato dalla colpa, opere buffe, ed alcune farse come: il finto sordo, la Pamela maritata; Teresa e Claudio; l'amico dell'uomo; sei cento mille franchi; un effetto naturale; l'Annetta; Odoardo e Carlotta.

Fayolle (Franc. Gius. M.), nato in Parigi nel 1774, fece i suoi studj nel collegio di Juilly. Per il corso di tre anni consacrossi interamente allo studio della mattematica sublime sotto Prony, Lagrange e Monge, e divenne capo di brigata alla scuola Politecnica dall'epoca di sua formazione. Sin dal 1799, aveva egli formata l'idea della compilazione del Dizionario Storico di musica, e raccolti numerosi materiali; sulla fine del 1809, ne parlò a M. Choron che avevane fatto lo stesso progetto, e convennero tra loro di far insieme quest'opera, ma una gravissima malattia sopraggiunta a M. Choron ne lasciò tutto il peso a M. Fayolle. Noi non staremo quì [134] a ripetere ciò che abbastanza abbiam detto di questo Dizionario nel Discorso preliminare alla pag. LV. Egli dice di se stesso, che un gusto predominante lo ha tirato sempre alla musica, che studiò l'armonia sotto M. Perne, uno de' più bravi maestri: che possiede una preziosa biblioteca musicale, sì per la teoria, come per la pratica: che ha raccolto un gran numero di ritratti di musici, e ch'egli stesso molti ne ha fatti incidere su i disegni originali: che possiede inoltre degli eccellenti instromenti, fra' quali un piano-forte verticale, il primo costruito da M. Pfeiffer: ed una viola di Andrea Amati, che il celebre Pleyel ebbe la bontà di cedergli. Dal 1805 sino al 1809, egli ha pubblicato una collezione intitolata: Les quatre Saisons du Parnasse, che forma il numero di 16 vol. in 12º, e dove ha inseriti molti articoli sulla musica, e delle notizie intorno a più musici. Nel 1810, diè al pubblico: Notices sur Corelli, Tartini, Graviniés, Pugnani et Viotti, coi loro ritratti, che forma il primo volume della storia del violino, ch'egli promette di continuare.

Federici (Vincenzo), membro del R. conservatorio di Milano, e celebre in Italia per molte opere serie da lui poste in musica, che han meritato il più gran successo. Il suo stile ha molta grazia, ed espressione, ricco di nuove e brillanti modulazioni, e tutti i teatri d'Italia e d'oltramonti risuonano delle sue bellezze musicali. Nel 1802, scrisse per il teatro di Palermo la Zaira, Oratorio, la di cui eccellente musica è stata molto applaudita e replicata sempre con piacere in più parti dell'Italia. Nel 1790, egli scrisse l'Olimpiade, e nel 1803, Castore e Polluce in Milano, dramma ch'era stato posto prima in musica da' bravi maestri Sarti in Pietroburgo, e Bianchi in Firenze; Federici sorpassò ambidue. Egli ha scritto in oltre l'Idomeneo, e Oreste [135] in Tauride, che trovansi impressi nel Magazzino del Sig. Ricordi in Milano.

Fedi (Giuseppe), celebre maestro della scuola romana per il canto, fioriva sul finire del secolo 17º. Egli era unito in istretta amicizia coll'illustre Amadori, comunicavansi a vicenda i loro sentimenti per la riforma dell'arte, ed esponevano le loro osservazioni al comune giudizio; da tale pratica ritraeva ciascuno degli abbondanti lumi per emendare i suoi proprj difetti, migliorare il piano di educazion musicale, e promuovere gli avanzamenti della musica. (V. t. 1, p. 27).

Fell (Giov.), dottore e professor di teologia, è morto vescovo di Oxford nell'anno 1686. Egli è autore di molte dotte opere, noi non parleremo che di quelle relative alla musica. All'edizione ch'egli diè nel 1672 delle opere di Arato, aggiunse Hymnum ad Musam et in Apollinem et in Nemesim con le antiche note di musica, e vi unì ancora Diatribe de musicâ antiquâ græcâ, con un esempio della musica antica sopra un frammento di Pindaro, ch'egli aveva scoperto nella biblioteca del S. Salvatore di Messina. Kircher l'ha inserita nella sua Musurgia, ma questa greca musica tradotta alla moderna nota non è che una vana lusinga, ed una erudita impostura (V. Fabric. Bibl. Gr. t. 2).

Feo (Francesco), napoletano compositore celebre a' suoi tempi per il teatro e per la chiesa, viveva in Napoli circa al 1740, e vi fondò una scuola di canto, che molto accrebbe la fama che si era acquistata come compositore, e dove formaronsi degli allievi che furono ammirati in Europa quai prodigi di melodia. Restano di lui più messe e salmi che il mostrano profondo nella teoria e pratica del contrappunto, e molti drammi come l'Arianna nel 1728, ed Arsace nel 1741. Il cel. Gluck se ne valse per il principio della sinfonia nella sua Ifigenia.

Ferecrate, cel. poeta-musico, [136] autore di molte commedie, fiorì cinque secoli innanzi l'era cristiana. Nicomaco (Harmon l. 2), e Plutarco (Dial. de music.) fanno menzione della di lui commedia il Chirone, nella quale l'A. mostrando il suo zelo per la musica de' più antichi greci scagliossi contro i musici e suonatori del suo tempo, per aver essi accresciuti di troppe corde gli stromenti armonici. Introdusse perciò in iscena personificata la musica, legata con molte corde; e malacconcia dalle percosse, che richiesta dal coro, chi mai posta l'avesse in quel deplorabile stato, risponde che gli autori de' suoi mali erano Melanippide, Cinesia, Frinide e Timoteo, dei quali si sa aver eglino accresciuto il numero delle corde e de' suoni negl'instromenti a' suoi tempi. Io credo che Ferecrate avesse voluto piuttosto far la satira del carattere di alcuni, di cui abbonda ogni secolo, e che descrive Orazio, difficilis, querulus, laudator temporis acti se puero, censor castigatorque minorum. Dispettosi e di cattivo umore contro i viventi che promuovono i progressi dell'arti, divengono i panegiristi del rancidume dei trasandati secoli.

Ferlendis (Giuseppe), figlio di un violinista, nato in Bergamo nel 1755, mostrò dalla giovinezza, un genio straordinario per l'oboè. In età di 20 anni, chiamato alla corte di Salisburgo come primo oboè, ed invitato dallo stesso sovrano ad osservare un gabinetto d'instromenti da fiato, ebbe occasione d'incontrarvi uno stromento di bosso di un'estrema grandezza, della forma d'una trombetta, e che imitava al più presso la voce umana, benchè d'una maniera un pò oscura; egli consisteva in molti pezzi che attaccavansi l'un l'altro. Ferlendis il perfezionò molto, e rendendolo più facile a sonarsi, ne formò il suono assai più piacevole; diegli il nome di Corno-Inglese, perchè così veniva chiamato lo stromento che glie ne diede la prima idea. Egli dimorò [137] due anni a Salisburgo, quindi passò in Venezia, al servigio della Repubblica. Nel 1793 fu chiamato in Londra, ma trovasi ora in Lisbona, applaudito da tutti i professori della buona musica, mentrecchè i suoi Quartetti, trio, duo, e concerti sono in gran pregio presso tutti coloro, che hanno del gusto per gl'instromenti da fiato, di cui i professori sono molto rari in ogni paese. Egli ha formati de' buoni allievi, tra' quali sommamente si distinguono due suoi figli, Angelo nato in Brescia nel 1781 ed ora a Pietroburgo, ove è pregiatissimo per l'oboè ed il corno-inglese, e pel suo brillante genio nella composizione. Alessandro è il minore nato in Venezia nel 1783 che si è fatto ammirare in Lisbona, in Madrid e nell'Italia. Dal 1805, egli dimora in Parigi, ove si ha meritati i più grandi elogj del pubblico per la sua bella esecuzione in quelli due stromenti sul teatro, e ne' concerti: ha composto inoltre uno Studio per l'oboè, ed altre produzioni date da costui alla luce dinotano il più distinto merito.

Ferlendis (la Signora), Romana, figlia del cavaliere Giuseppe Barberi, architetto che farà sempre l'onore della sua arte, e morto di recente, moglie di Alessandro Ferlendis di cui poco fa si è parlato. Dalle circostanze de' tempi gettata, per così dire, nella carriera teatrale, e costretta a profittar dei talenti, che una ben accurata educazione avevale dati per suo piacere, cominciò essa in Lisbona, ove pel suo stile di cantare melodioso e gratissimo, e per la sua bella voce di contralto formò le delizie del pubblico. Il maestro Moscheri e Crescintini scorgendo che trar si poteva ottimo partito dalle sue disposizioni le diedero delle lezioni, e vollero ben perfezionarla. Nel 1803, essa cantò sul teatro di Madrid, e i più gran signori del regno fecero sommi elogj al suo talento. Milano ebbe il piacere di possederla nel 1804, nè è possibile lo spiegar [138] l'entusiasmo ch'ella eccitò nell'opera del Biettolino, comechè la musica ne fosse assai mediocre. Nel 1805, cantò in Parigi, e diè principio dalla Capricciosa pentita del celebre Fioravanti, riportando gli applausi della capitale: lo stesso buon successo ha avuto in Olanda, e da per tutto ella fa distinguersi per la scienza profonda e per il metodo giudizioso del suo canto.

Ferradini (Antonio), di Napoli, faticava con ugual successo per la chiesa e per il teatro. Egli visse in Praga pel corso di 30 anni, e vi compose uno Stabat mater, che fu eseguito per la prima volta nel 1780, e l'anno d'appresso nella chiesa di S. Croce di quella città. Quest'opera vien generalmente riguardata come un capo d'opera inimitabile. Egli non ebbe la sorte di sentirne l'esecuzione, essendo morto nel 1779, all'ospedale italiano nell'estrema miseria, forse perchè in quel paese, come nella più parte del mondo, virtus laudatur et alget.

Ferrari (Domenico) viveva in Cremona nel 1740. Dopo di avere studiato il violino sotto il gran Tartini, seppe formarsi uno stile suo proprio, e si distinse per l'impiego de' suoni armonici e dei passaggi all'ottava. Nel 1758, entrò nella cappella del duca di Wurtemberg, a Stuttgart. In Parigi sorprese la sua maniera, che fu riguardata come inimitabile, egli vi fu assassinato l'anno 1780, nel suo tragitto in Inghilterra. In Londra e in Parigi sono state impresse di lui sei opere di sonate pel violino di moltissimo pregio. Martinelli (Lettere famil.) rapporta, che Ferrari volendo un dì farsi sentire da Geminiani, di cui cercava il sentimento, costui, dopo di averlo inteso, contentossi di dirgli: Voi siete un grande instromentista, ma la vostra musica non isveglia in me verun sentimento.

Ferri (Baldassare) da Perugia, di cui Rousseau parla con tanta lode all'articolo voix e rapporta il singolar talento di salire e discendere [139] due ottave per tutti i gradi cromatici, con un continuo trillo, e senza prender fiato, conservando una giustezza così perfetta, che non essendo da prima accompagnato dall'orchestra, a qualunque nota che gl'instromenti lo raggiungessero, trovavansi seco di accordo. Egli studiò in Napoli e a Roma, e morì assai giovine. “Non inferiore al suo merito era il favore del pubblico per esso lui. Alle volte nembi di rose piovevano sulla sua carrozza, quand'egli sortiva dopo aver recitato. A Firenze dov'era stato chiamato, uscì lungi per ben tre miglia della città numeroso stuolo di dame e di cavalieri a riceverlo, come potrebbe farsi nell'ingresso d'un Principe. Recitando in Londra una volta il personaggio di Zeffiro, gli fu presentato al sortire da una maschera incognita uno smeraldo di gran valore. Si conservano tuttora varie raccolte di poesie, produzioni dell'entusiasmo, che ovunque eccitava quel sorprendente cantore.” (V. Arteaga tom. 2, p. 38).

Ferro (Cavaliere di), della città di Trapani in Sicilia, nobile e letterato si occupa di buoni studj, e fa parte al pubblico de' suoi lumi. Egli diè alla luce: Dissertazioni delle Belle-Arti, Palermo 1808, 2 vol. in 4º picc., alla fine del 3º discorso parla con molta sensatezza della Musica, sugli effetti della medesima, della musica di teatro, di chiesa, e degli abusi introdotti per l'ignoranza de' maestri, ec.

Festa (la Signora) di Napoli, studiò gli elementi del canto sotto Aprile, e quindi ne apprese la buona scuola dal celebre Pacchiarotti. Essa ha cantato su i primi teatri d'Italia, e nel 1809, in qualità di prima donna sul teatro dell'Opera buffa in Parigi, ed ha ovunque ottenuto molto successo. M. Barni le ha dedicato un suo duetto.

Fetis (Franc. Gius.), nato a Mons nel 1784, ebbe per primo maestro suo padre, ch'era quivi organista. Nel 1801 entrò nel conservatorio [140] di musica in Parigi, nella classe d'armonia di M. Rey. Egli ha fatto delle immense ricerche sulla storia e la bibliografia della musica, e promette di dare al pubblico un compiuto trattato Sur les effets de l'orchestre, che può esser utile ai giovani compositori.

Fèvre (il P. Franc. Ant.), Gesuita francese, pubblicò nel 1704, a Rouen un poema intitolato: Musica, Carmen in 12º, di cui elegante ne è lo stile, e piacevole la versificazione; ma non vi si rileva che picciolissimo numero di precetti generali, ed infinite finzioni mitologiche (V. Giorn. Lett. 1780). Egli morì in Parigi nel 1737.

Fèvre (Tannegui le), letterato assai celebre sulla fine del secolo 17º e padre della celebre Mad. Dacier, raccolse con altrettanta cura che fatica un infinito numero di passaggi degli antichi concernenti le loro Tibie sul disegno di illustrare quest'articolo di erudizione, ma sentendo ben presto di avere progettata un'impresa superiore alle forze della sua estesa letteratura, finì con iscriver dei versi contro alle tibie, e gettò al fuoco il suo travaglio (V. Mem. de l'Acad. de Berlin, t. 30).

Feyoo (D. Bened. Geronimo), Spagnuolo, generale dell'ordine di San Benedetto, morto nel 1765; mercè de' suoi scritti critici egli ha contribuito a rischiarare i suoi compatriotti su i loro difetti. Abbiamo di lui il Teatro critico in 14 vol. in 4º, dove molto si ragiona della Musica in generale, e di quella della chiesa: alcuni capitoli leggonsi con piacere, ma alcune riflessioni dell'A., ch'erano sembrate nuove e piccanti in Spagna si sono trovate vecchie e comuni in Italia e ne' paesi culti. Eximeno lo cita nella sua opera. In un paese di superstizione, come è la Spagna, se gli fece un delitto di aver lodati Bacone, Newton e Cartesio, ma i veri dotti suoi nazionali ne presero la difesa. Gerbert dice di aver egli scritta un'opera a parte, intitolata: Musica delle chiese [141] (V. Histor. Ab. Gerb.).

Feytou (l'Abbate), nel 1788 annunziò egli un corso di musica ed espone un nuovo sistema di teoria, il quale è a suo credere quello della natura, e lo stesso che Pittagora aveva o inventato o raccolto ne' suoi viaggi in Asia e trasmesso a' Greci sotto emblemi e simboliche espressioni, che ne concentrarono la teoria esclusivamente nella sua scuola. M. Feytou pretende di avere sviluppato il sistema musicale de' Greci, e di averne applicate le conseguenze, così da presso quanto gli era possibile, al nostro moderno sistema. I compilatori della nuova Enciclopedia metodica nella parte della musica lo avevano associato a' loro travagli, ed egli somministrò loro molti articoli, che ivi riscontrar si possono, finchè alcuni motivi d'interesse obbligarono l'abb. Feytou a ritirarsi nella sua provincia. Tra gli altri difetti del di lui sistema vi ha quello di sostituire alla scala moderna, quella che risulta dalle divisioni del monocordo cominciando dalla sua ottava. Questa scala, dice con molto fondamento M. Raymond, che sarebbe dunque la prima base materiale di tutto il sistema musicale, e che dovrebbe essere allora il canto più familiare e più semplice, questa scala è dedotta da una serie di armonici, che in niun patto sono percettibili all'orecchio nella risonanza pura e semplice del suono fondamentale, e che non può discovrirsi se non per via d'artifizj stranieri alle cause ordinarie delle nostre sensazioni. Il che è lo stesso che cercar troppo da lontano e con troppo sforzo, gli elementi primitivi d'un'Arte, di cui la natura ha posto il linguaggio nella bocca d'ogni esser sensibile. Io credo che l'eccesso della scienza non è adatto che ad oscurare la teoria delle arti; il sentimento mi parrebbe miglior guida, e con più sicurezza mi fiderei delle sue decisioni. (Lettre a M. Villoteau). [142]

Fillio di Delo, scrisse al riferir d'Ateneo (Lib. XIV) un libro intitolato De' sonatori di tibie, ed alcuni trattati sulla musica, nel secondo de' quali sostiene che lo strumento Magade sia diverso dal Plectide: ma niuno di questi è giunto sino a noi.

Filodemo, scrittore greco, viveva in Roma a' tempi di Cicerone, che ci ha dipinto il suo carattere nella sua arringa contro Pisone: egli vi dà a divedere la sua gran stima e il rispetto pei rari talenti e le amabili qualità di Filodemo, cui dinota sotto il titolo di filosofo della setta di Epicuro, di poeta grazioso e pregevole, e d'uomo fornito di urbanità e pulitezza. Tra i greci manoscritti trovati nell'Ercolano, se ne sono distinti quattro che contengono le produzioni di questo Poeta-filosofo. Tratta il primo della filosofia d'Epicuro; il 2º è un'opera di morale; il 3º un libro di rettorica, e 'l 4º è un Poema, ovvero una Satira sul torto che la musica ha fatto a' costumi. Mr. de Lalande ne' suoi viaggi lo chiama falsamente un poema sulla musica. Burney lo smentisce, e crede di non esser una satira contro quest'arte; eglino non l'avevan letto nè l'uno, nè l'altro. Quest'opera è stata finalmente pubblicata in Napoli nel 1793, sotto questo titolo: Herculanensium voluminum, quæ supersunt, tomus primus, in fol., e questo per disavventura è il solo volume che sia comparso sinora delle opere scoperte nelle rovine d'Ercolano. Nel Poema di Filodemo si trova una confutazione del sistema di Aristosseno.

Filolao, condiscepolo di Platone nella scuola di Archita, benchè di lui più anziano e maggiore di età, lasciata appena la sua classe, pubblicò un'opera di musica (la seconda vedutasi presso i Greci), che lo rese celebre nella sua nazione. Egli fu il primo calcolatore de' semituoni maggiori e minori, non essendosi fin allora i musici serviti d'altri che d'una [143] specie o d'una sola misura proporzionale per farli. Filolao vedendo il plauso, con cui era stata ricevuta la serie armonica del suo maestro, si risolse a sistemarla. Ma succedette a Filolao quello, che frequentemente accade a certi autori, i quali secondano le novità, e sono applauditi nel momento, in cui pubblicano le loro opere, e poi sono posti in dimenticanza. Il dotto Requeno provò nello stromento la serie di Filolao, e l'ha ridotta ad espressione numerica secondo le notizie lasciateci da Boezio, come può vedersi nel tomo 1 de' Saggi p. 190, e nel 2 alla p. 226 e segu. Questo musico-filosofo fiorì quattro secoli prima dell'era cristiana.

Filone ebreo, nato in Alessandria verso l'anno 30 innanzi l'era volgare, di nobile e ricchissima famiglia, diessi di buon'ora allo studio di tutte le scienze quivi moltissimo coltivate, e come dice egli stesso (L. de Congres. quær. erudit. grat.) anche della musica. In più luoghi in fatti de' suoi libri egli ne tratta, ma alla maniera de' Platonici Alessandrini, di cui ne seguiva la scuola, cioè per via d'emblemi, di allegorie e di numeri. Io ho estratti dalle sue opere della superba edizione inglese di Mangey tutti i passaggi sulla musica, de' quali potrebbe formarsi un curioso trattato sullo stato di questa scienza e di quest'arte di quei tempi in Alessandria.

Filosseno, nella presa della sua patria da' Lacedemoni cadde in ischiavitù, ma il suo merito come poeta e musico, e 'l suo naturale allegro e pieno di facezie, secondo Pausania (Lib. 6.), gli seppe guadagnar destramente l'animo di alcune persone principali, che gli procurarono la libertà e lo fecero passare a Siracusa, ove pel suo spirito e per l'abilità mostrata ne' suoi canti giunse all'onore di esser confidente del re e suo commensale. Un dì, essendo a tavola col re e con altri signori del primo rango, osservò, [144] che al monarca erasi presentata una grossa trotta, e ch'egli, come gli altri convitati, erano serviti di una più piccola. Filosseno chinando il capo verso il piatto, incominciò a parlare fra' denti alla testa del piccolo pesce, e lo avvicinava di tratto in tratto all'orecchio come per sentirne la risposta. A tali stravaganti atteggiamenti il re gliene richiese la ragione; Sire, rispose egli, siccome sto lavorando un canto sopra le Nereidi, chiedeva a questo piccol pesce qualche nuova di queste signore: — Vi ha dato egli qualche notizia? — Questa mia trotta mi ha detto, ch'è troppo giovane, e consulti perciò quella del re, che essendo stata più anni in mare saprà darmi di lor maggior contezza. Risero tutti e 'l re gliela cedette in premio di aver divertito così la brigata. Ma Dionisio il giovane che piccavasi di poesia, lo fe' rinchiudere in una spelonca, per non aver Filosseno voluto approvare una di lui tragedia: a dispetto della sua disgrazia non tralasciò egli di esercitarsi nella Poesia e nella Musica. Compose allora una commedia il Ciclope amante di Galatea e la mise in note, nella quale intese così di schernire il tiranno (Ælian. Val. L. 12.). Antifane lo chiama peritissimo nella musica (ap. Athen. l. 14); ma Plutarco lo biasima come ardito in quest'arte e bramoso di novità (De Music. Dial.). Non bisogna confondere questo Filosseno con altro dello stesso nome più antico musico e scolare di Melanippe, come ha fatto il P. Martini (Stor. t. 3. p. 397). M. Fayolle, come della più parte de' Greci Musici, così di costui, seguendo il suo uso, non fa menzione.

Finaroli (Fedele), nato in Napoli verso il 1734, studiò in uno di que' conservatorj la musica sotto Durante, e fu quindi sino alla morte il primo maestro di quello della Pietà, dove per il suo zelo e la semplicità del suo metodo formò un'infinità di eccellenti discepoli; [145] tra' quali a fargli onore basterebbe il solo Zingarelli. Pubblicò in Napoli un'opera col titolo: Regole per li principianti da cembalo, che contiene le regole principali di accompagnamento, a cui fa egli seguire un'eccellente raccolta di partimenti, o lezioni numerate di basso, assai ben fatte che vanno, per gradi, e par che sia la miglior cosa che v'abbia per imparare l'accompagnamento. Mr. Choron ha adottata e ritoccata in Francia questa operetta, con farvi alcune addizioni nei principj, ch'erano un pò secchi, e con iscegliere i partimenti di più importanza, ne ha formati il suo libro Principes d'harmonie et d'accompagnement à l'usage des jeunes élèves. Finaroli morì in Napoli verso l'anno 1812.

Finck (Ermanno), compositore, e musico erudito del 16º secolo, pubblicò nel 1556 Practica Musica etc. a Wurtemburg in 4º; quest'opera è divenuta così rara, che oggidì è quasi impossibile il riscontrarne un solo esemplare, comechè sia molto interessante a cagione che l'A. vi faceva ben conoscere i maestri celebri di quella famosa epoca nella storia del risorgimento della musica. Walther, che per buona fortuna ne possedeva una copia, l'ha avuta in gran pregio, e nel suo Lexicon ne ha trascritto, per darne un saggio, il primo capitolo, che contiene delle erudite e giudiziose ricerche su i primi inventori dell'Arte; M. Fayolle lo riporta intero con la versione francese.

Fiocchi (Vincenzo), nato in Roma nel 1767, studiò in Napoli nel conservatorio della Pietà sotto Finaroli; egli ha composto in Italia sedeci opere, delle quali alcune ottennero del successo. Fu organista in San Pietro di Roma, e lasciato avendo questa città nelle prime torbidezze della guerra, venne in Firenze ove fu ben accolto dal gran duca di Toscana. Verso l'anno 1802, passò in Parigi, vi mise in musica le Valet des deux Maîtres, che non ebbe felice [146] riuscita, e gli è stato d'uopo, per vivere, dar lezioni e comporre de' Pezzi italiani, di cui ne ha egli pubblicata una Collezione presso Pleyel nel 1808, che è stata ben ricevuta dagl'intendenti ed amatori di musica. Nel 1810, compose il Sofocle per la distribuzione del premio decennale dell'Istituto, e fu considerato tra' migliori de' concorrenti. Egli ha pubblicato insieme con M. Choron Les principes d'accompagnement, Paris 1804.

Fioravanti, rinomatissimo compositore in Napoli per uno stile amabile ed assai vivace, ha scritto e scrive tuttora per tutti i teatri d'Italia, e di Francia con molto successo. Nel 1797 diè al R. teatro di Torino Il furbo contro il Furbo ed Il Fabro Parigino. Nel 1807, essendo in Parigi fecevi rappresentare I virtuosi ambulanti che incontrò quivi moltissimo. Abbiamo in oltre di lui Amore aguzza l'ingegno, farsa assai graziosa; Le cantatrici villane; La Capricciosa pentita; Liretta e Giannino; I Pontigli per equivoco; L'orgoglio avvilito; Le avventure di Bertoldino; La Cantatrice bizzarra; La Schiava fortunata; Il giudizio di Paride; Il bello piace a tutti. Tutte queste opere buffe trovansi vendibili nel magazino di musica del Sig. Ricordi in Milano. Vi ha oltrecciò di Fioravanti gran numero di bellissime Canzoncine con accompagnamento di piano-forte, ed impresse in Londra, in Napoli ed altrove.

Fiorillo (Federico), attualmente in Londra, buon sonatore di violino, ha pubblicato sedeci opere, di quartetti, quintetti, trio e duetti per questo instrumento, e sonate per piano-forte e violino: la sua musica strumentale è assai bella, e le due sue opere di trio debbono essere ricercate da tutti gli amatori. A giudizio de' migliori professori son esse le prime dopo quelle di Boccherini, e i suoi studj per violino sono i migliori che si conoscano. Ignazio Fiorillo, forse della stessa famiglia, morto nel 1787, [147] era Napoletano e maestro di cappella a Brunswick, e quindi a Cassel sino nel 1780. In Berlino egli fece imprimere, sei duetti ed altrettanti quartetti per violino. Nel 1785 fu eseguito un suo Requiem per i funerali del Langravio, che ebbe gran successo.

Fioroni (Giov. Andrea). Milanese, allievo del cel. Leo, e maestro della cattedrale di Milano e di quella di Como verso il 1750. Quest'eccellente armonista si è fatto ammirare per alcune composizioni a 8 voci, in cui la scienza niente nuoce all'effetto. Tra' suoi allievi si contano Quaglia, Zucchinetti, l'ab. Piantanida e Bonesi tuttora viventi, e virtuosi di gran merito.

Fischer, molti di questa famiglia sono riusciti in Allemagna valentuomini nella musica, noi ne sceglieremo soltanto Crist. Federico Fischer di Lubecca, ove dopo aver terminate le lettere umane, studiò la composizione sotto il famoso Schieferdecker. Nell'università di Rostock fece quindi un corso compito di leggi, e vi compose una solenne musica; nell'Università di Halle continuò i suoi studj, ed entrò come cantante a Ploen nel 1729. Quivi egli scrisse un libro di musica semplice, con una prefazione e con idee diverse dell'ordinario sulla composizione. Giov. Pietro Fischer era nel 1762, compositore della cattedrale di Utrecht, e pubblicò ivi in olandese idioma alcune opere, Sul basso continuo, e Sul trasporto. In Amsterdam un concerto per cembalo. Zaccaria Fischer, costruttore di violini alla corte del Vescovo di Wurzbourg, nel 1786 fece annunziare che nella costruzione de' suoi stromenti egli impiegava una nuova invenzione, per cui mezzo essi uguagliavano in bontà i celebri violini di Stradivario e di Steiner. I suoi sono oggidì in gran pregio.

Flaccomio (Giov. Pietro), di nobil famiglia nato in Milazzo nella Sicilia fece i suoi [148] studj con successo e fecesi prete, riuscì particolarmente nella musica, e giunse ad esser maestro della Real cappella di Filippo III, in Madrid. Passò quindi in Torino; e per la scienza nella musica e le ottime sue qualità divenne Maestro ed Elemosiniere del duca di Savoja che molto lo apprezzava: finì colà di vivere nel 1617. Le sue composizioni di musica per Chiesa furono stampate in Venezia nel 1611, in 4º (Mongit. Bibl. Sic. t. 1).

Fletscher (Feder.), uno dei primi virtuosi sul piano-forte della scuola di Bach, del quale istrumento diè lezioni a tutte le principesse di Brunswick, che fanno molto onore a' suoi talenti. Egli era ancora vivente nel 1790. Vi sono di lui impresse: Odi, 2 vol. delle quali si è fatta insino la terza edizione nel 1776; Cantate per divertimenti, Brunswick 1768; Raccolta di minuetti e polacche per il piano, 1768, ec. Reichard parla di costui con grandi elogj nel 2º vol. delle sue Lettere, p. 51.

Floquet (Stef. Gius.), nato in Provenza nel 1750, sin da' più teneri anni balbettando diceva: Io voglio esser maestro di musica. In età di sei anni cominciò a studiarla, e nel 1769, si rese a Parigi, dove scrisse l'Union de l'Amour et des Arts, dramma in musica, che ebbe favorevolissimo incontro. L'anno d'appresso, egli compose Azolan, che non ebbe la stessa fortuna, e dopo alcune rappresentazioni levossi dalle scene. Floquet, lontano dal scoraggirsi, fè delle serie riflessioni sopra 'l suo talento, e prese il partito di andare ad iscriversi, come allievo, nel primo dei conservatorj d'Italia. Giunto in Napoli, vi studiò sotto la direzione di Sala: prese quindi lezioni dal P. Martini; e questi due celebri maestri recaronsi a gloria di contare Floquet tra' loro allievi. Sotto a' loro occhi compose egli, e fè eseguire un Te Deum a due orchestre, cui i Napoletani applaudirono con trasporto. Di ritorno in Francia, fermossi a Bologna, [149] fu ammesso all'Accademia de' Filarmonici: a ciascuno che vi aspira, si accordano tre sere per far le sue prove. Floquet fecele in una sola, e compose in due ore e mezza un canto fermo, una fuga a cinque, e 'l versetto Crucifixus. Alcun tempo appresso del suo ritorno in Parigi, dopo aver riportati dei gran successi per due suoi drammi in musica, ebbe la pretensione di mettere in note l'Alceste: il capo d'opera di Gluck avrebbe dovuto frastornarlo da simile impresa. Terminata la sua musica, se ne fece la prova, e questa fu per l'Alceste di Floquet un decreto di proscrizione. Il disgusto, che ne risentì, fecelo cadere in un languore, che lo recò a morte da lì a pochi mesi li dì 10 maggio del 1785.

Foggia (Fran.), romano, scolare di Paolo Agostini fiorì sul finire del sec. 17º. Fu per più anni al servigio della corte di Baviera e dell'arciduca Leopoldo quindi imperatore: di ritorno in Roma divenne maestro di cappella di S. Giovanni di Laterano, e di molte altre chiese; Antimo Liberati lo chiama il padre della musica e della vera armonia ecclesiastica. Egli dice che nella sue composizioni vedesi brillare insieme una maniera grande, scientifica, corretta, semplice e piacevole. Foggia sorpassò gli ottanta anni. Kircher lo loda nella sua Musurgia, e 'l P. Martini nel saggio di contrap., T. II, p. 47, dà l'analisi di due ammirabili mottetti, tratti dalla sua 8.ª opera.

Fogliani (Ludovico), professore teorico di musica in Ferrara poco dopo 1500, molto contribuì a rischiarare questa scienza; egli pubblicò in Venezia nel 1529, Musica theorica, docte simil ac dilucide pertractata, in quâ quamplures de harmonicis intervallis non prius tentatæ continentur speculationes, in fol. Quest'opera è divisa in tre parti: nella prima tratta l'A. delle proporzioni musicali; nella seconda delle [150] consonanze; nella terza della divisione del monocordo. Rousseau prese da Fogliani la formola della scala diatonica di Tolomeo senza nè pur nominarlo.

Forkel (Giov. Nicola), dottore in Filosofia, e direttore di musica dell'università di Gottinga, nacque presso Coburgo nel 1749. Pochi vi ha che abbian com'egli delle conoscenze sì estese e sì profonde in musica: fu da prima organista dell'università, e seppe trar profitto da' tesori contenuti in quella biblioteca, finchè egli stesso ne ebbe raccolta una assai numerosa e assai ben scelta d'autori di musica sì didattici, come pratici in ogni genere. Perchè fosse del tutto compiuta, formò ancora una collezione di più centinaja di ritratti de' musici celebri, e degli autori di musica. Sino dal 1790, egli aveva date al pubblico le seguenti opere in tedesco: 1. Sulla teoria della musica, in quanto essa è utile o necessaria agli amatori della medesima, Gottinga, 1774, in 4º; 2. Biblioteca musico-critica, 3 vol. in 8º, Gotha 1778; 3. Sulla migliore organizzazione de' concerti pubblici, Gottinga, 1779 in 4º; 4. Definizione d'alcune idee di musica, ivi 1780, in 4º; 5. Almanacco di musica per l'anno 1782, e continuazione del medesimo per il 1783, sino al 1789; 6. Storia generale della musica, il di cui primo volume uscì nel 1788, in 4º a Lipsia; contiene la storia della musica presso le antiche nazioni. Dessa è la migliore e la più compita di tutte quelle, che sono state sinora scritte in tutta l'Europa; il secondo volume è stato pubblicato sul principio dell'anno 1802; 7. Traduzione in tedesco della storia del teatro italiano di Stef. Arteaga, 2 vol. in 8º, Lipsia 1788; 8. Molte critiche nel Giorn. letterario di Gottinga; 9. finalmente, Letteratura generale della musica ossia Istruzione per conoscere i libri di musica, che si sono scritti da' più rimoti tempi sino a' nostri giorni, nella Grecia, in Roma, in [151] Italia, nella Spagna, in Portogallo, in Olanda, in Inghilterra, nella Francia e in Alemagna, ridotta in un ordine sistematico, ed accompagnata di note e discussioni critiche: opera eccellente, la migliore che sia comparsa sino a questo dì sopra questa materia. Alla qualità di dotto conoscitore e di autore profondo in musica, Forkel riunisce in oltre quella di eccellente virtuoso nel piano-forte, sulla maniera di Bach, e di compositore dotto e di gusto. Hiskia, e i Pastori alla grotta di Bethleem, Oratorj, sono pregiatissimi. Il potere dell'armonia, è una sua cantata con doppj cori, oltre a più musica stromentale impressa a Gottinga.

Forno (il barone Agostino), amatore di musica e sonatore di violino, nato in Palermo vi fece de' buoni studj, e perfezionò le sue cognizioni viaggiando per più anni in Italia. Egli era membro dell'Accademia del buon gusto di quella capitale, ove terminò in un'età avanzata i suoi giorni a dì 19 novembre del 1801. In occasione del Miserere composto d'ordine di Clemente XIII dal cel. Tartini, e cantato nella cappella Sistina mercoledì santo del 1768, il barone Forno pubblicò per le stampe di Roma l'Elogio di Tartini, e lo presentò al Papa: opuscolo assai mediocre. Vi ha ancora di lui, Parere sopra la musica antica e moderna, che insieme col detto Elogio è tra gli Opuscoli suoi stampati in Napoli in 2 vol. in 12º, 1792. Egli contiene alcune buone riflessioni su i progressi e perfezione della musica strumentale mercè le produzioni di Boccherini, di Haydn, di Vanhal, di Pleyel, di Viotti e Jarnowitz, e su l'abuso che da altri ne vien fatto oggidì con volere piuttosto sorprendere col difficile, anzichè dilettare con buona e nitida espressione.

Förster tedesco, cel. compositore del presente tempo ha preso per modello della sua musica instrumentale lo stile e la maniera dell'immortale [152] Haydn. Bramoso d'indovinarne il segreto, si pose saggiamente a mettere in partitura le di lui dotte composizioni, e ne trasse visibil vantaggio rapporto alla maniera di distribuire fra le parti la melodia (V. Carpani lett. 6). Förster ha pubblicati in Vienna quartetti, quintetti e sinfonie, che sono in gran pregio presso gli amatori di buon gusto.

Fraguier (Claudio-Francesco), membro dell'Accademia delle belle lettere, fu da prima Gesuita, ma ne lasciò l'abito per coltivare con più libertà le muse. L'ab. Fraguier assai dotto nell'antica e moderna letteratura e nelle lingue greca, italiana, spagnuola ed inglese trovò nello studio e nella filosofia un compenso ai gran malori, che lo confinarono in casa in un'età poco avanzata. Riguardandolo quì qual scrittore sulla musica, gli dobbiamo alcune Dissertazioni intorno a quella de' greci, che si trovano nelle Memorie dell'Accademia delle Inscrizioni. Egli vi sostiene che questa dotta nazione ebbe la cognizione e la pratica della musica a più parti, e credette di provarlo con alcuni passaggi degli antichi e specialmente di Platone, il suo più favorito filosofo. Burette vi oppose un'infinità di Dissertazioni per provare il contrario, ma egli restò fermo nel suo sentimento. Tra le sue poesie latine, che respirano l'urbanità romana, e le grazie della pulitezza francese vi ha un Poema sulla Musica pubblicato nel 1729, in 12º, intitolato Schola Platonica, perchè scritto su i principj di musica di Platone, il quale benchè sia elegante e terso, si risente tuttavia dello spirito di sistema. Musica tota quid est, numeri nisi cantibus apti? vi dice l'A. formando su i numeri i suoi principj. Morì egli d'apoplesia in Parigi nel 1728.

Framery (Niccola-Stef.) nacque a Rouen nel 1745, e fu uno dei letterati di primo ordine in Parigi, autore di molti drammi per musica, [153] e profondo in questa scienza secondo i buoni principj della scuola italiana. Egli fu che trasse Sacchini in Francia, e più che altri contribuì a spargere tra la nazione il gusto della buona musica italiana. Il suo zelo per gli avanzamenti di questa bell'arte gli fè tradurre in francese il Musico pratico d'Azopardi pubblicato nel 1786 in 2 vol. in 8vo, proponevasi egli inoltre di trattare con M. Ginguené la parte della musica nell'Enciclopedia Metodica; ma non giunse a pubblicarne che il primo tomo nel 1791, oltre al quale si è perduta infin la speranza di averne la continuazione. Il Discorso preliminare, e molti dottissimi articoli sono di M. Framery: nella guerra de' Gluckisti e dei partigiani di Sacchini, egli dichiarossi per quest'ultimo, e nelle Memorie per la storia di Gluck (a Parigi, 1781), trovansi alcune lettere di quest'autore, ed una in versi a M. Larivée contro la di lui proposizione che non v'era in musica se non una sola verità, e che il solo Gluck l'aveva trovata. Nel 1802, egli riportò il premio all'Instituto sulla seguente questione: Analizzare i rapporti ch'esistono tra la musica, e la declamazione (Memoir. de l'Instit. Naz. t. 4 p. 69). M. Framery “illuminato da una conoscenza profonda del suo argomento, ha con molta giustezza valutati i rapporti che possono esistere tra queste due parti ed i vicendevoli sacrifizj che esse farsi debbono.” (M. Raymond, de la mus. dans les Eglises, 1809). Alcun tempo prima egli aveva pubblicato: Avis aux poëtes lyriques, ou de la nécessité du rhythme dans les odes destinés à la musique. Framery è morto li dì 26 novembre 1810, e lasciò manoscritte molte opere attenenti alla musica ed agli artisti.

Francone di Colonia, era celebre nella musica l'anno 1066, e viveva ancora nel 1083. Egli è autore d'un manoscritto, che si conserva nella biblioteca Ambrosiana [154] di Milano, intitolato Ars cantus mensurabilis, che l'Ab. Gerbert ha inserito nella sua collezione (Script. Eccl. de musica t. 3). Par che a Francone debbasi l'invenzione della misura de' tempi nella musica, che fuor di ragione erasi attribuita a Giov. da Muris, più moderno di due secoli. Il MS di cui si servì Gerbert, è molto più compito di quello scoperto da Burney nella biblioteca Bodlejana di Oxford, costando il primo di 13 capitoli e questo di sei, secondo che egli stesso il descrive nel 2º vol. della sua Storia generale della Musica. In un MS. del Vaticano del Compendio di Giov. de Muris vi ha un di lui passaggio, in cui mostra di non pretendere egli medesimo all'onore di essere l'inventor della misura: Guido voces lineis et spatiis dividebat; post hunc magister Franco invenit in cantu mensuram figurarum, etc.

Frank, tedesco di nazione ma stabilito in Pavia, nella di cui università professò la medicina sino a' primi anni del corrente secolo. “Il cel. Frank mio maestro (dice il D.r Lichtenthal), nella sua Polizia medica, t. 3, non solo considera la musica rimedio principale contro le malattie dell'animo, ma la giudica istituto necessario in uno stato. Non voglio, dice questo gran medico e sommo letterato, tessere un elogio alla possanza della musica sul nostro animo, ma essa certo non è il minore ingrediente del balsamo prestatoci dalla Provvidenza contro alle malattie dell'animo. Hanno i medici ne' loro giornali notato più accidenti di malattie guarite dall'incanto della musica, e l'effetto di lei sopra i nervi sensibili è così evidente, che la circolazione e traspirazione alterate dallo stato spasmodico delle parti solide vengono col più gran pro del nostro corpo in breve riordinate. Ma la forza di eccitare passioni, che in essa riconobbe la più alta antichità, è quella che debbe moverci a rendere giovevole agli uomini questo divino rimedio... [155] La polizia deve dunque adoperarsi onde non manchi in una gran città questo efficacissimo mezzo di esilarare e divertire il popolo. Ha però ad essere sollecita di buoni professori di musica, i quali appagando l'orecchio d'un uditore caccino dal suo fianco nelle sue ore malinconiche il demonio della tristezza dacchè ad essi è commessa quest'arte cotanto necessaria alla vita umana e alla pubblica sanità, ec.”

Franklin (Beniamino), nato a Boston nella nuova Inghilterra, a cui devono gli Stati Uniti d'America la loro libertà, e molti utili sperimenti la Fisica, tra' quali dee rimarcarsi il parafulmine di sì gran vantaggio all'umana specie: Eripuit cœlo fulmen sceptrumque tyrannis: fu con ragione il suo elogio. Egli acquistossi inoltre de' nuovi dritti alla riconoscenza de' musici mercè l'invenzione dell'Armonica, nè era sfornito della pratica di quest'arte, poichè sonava egli stesso quest'instromento. Ne' suoi opuscoli trovansi due sue lettere a Milady Kaims ed a Pietro Franklin, in cui tratta di varie questioni sulla musica “da grand'uomo, qual'è veramente, dice il P. Sacchi, ma non però da grande artista. Parla da grand'uomo, perchè ragionando seguita un certo lume del vero, che vedesi splendere innanzi. Non parla da grande artista, perchè non ha considerato quel vero istesso da tutti i lati, come i buoni pratici fanno” (Lett. al C. Riccati). Sicchè col rispetto a lui debito niuno si crederà nell'obbligo di seguire interamente le sue opinioni e sistemi sulla musica. Franklin morì nella sua patria nel 1790.

Franz (Carlo), si è reso celebre in Germania sino alla sua morte avvenuta nel 1811, per essere stato il primo e forse l'unico a sonare l'instromento detto baritono, difficile e piacevole insieme; ed il corno, nel quale produceva egli con la sola mano i semituoni con una sorprendente celerità e purezza, sì nel crescere che [156] nel mancare, della quale singolar maniera di sonar questo strumento ne abbiamo in Palermo un esempio in persona del Sig. Pigneri, che alla sua perizia unisce somma modestia. Franz servì il Principe d'Esterhazy in Vienna per lo spazio di 14 anni, e tutti coloro che hanno inteso sonar da lui il baritono, sono d'accordo nell'attribuirgli un effetto soavemente malinconico. Il pezzo nel quale Franz spiegava più i suoi talenti ed incantava i suoi uditori, era una Cantata che il grande Haydn aveva espressamente composta per quell'istrumento; (V. Gazzet. di Bosler an. 1788). Il baritono di Franz rassomiglia alla viola da gamba, all'eccezione ch'egli è fornito di 16 corde d'ottone nella parte superiore del collo, e di 7 corde di budello. Oggidì è uscito totalmente d'uso, e nemmen quasi si conosce.

Frescobaldi (Girolamo) da Ferrara, fu riguardato al suo tempo come uno de' migliori compositori ed organisti, piazza ch'egli occupò con distinzione nella chiesa di S. Pietro in Roma verso il 1628. Sin dalla prima età erasi reso talmente celebre nel canto che le prime città d'Italia facevano a gara per possederlo, e l'entusiasmo giunse al segno di accompagnarlo ne' suoi viaggi da un paese all'altro, per godere più lungamente del piacere di sentirlo. Tra il gran numero degli eccellenti discepoli formati da costui vuolsi rimarcare Froberger, che l'Imperatore Ferdinando III avevagli indirizzato per istruirlo, e che realizzò di poi perfettamente le speranze, che il suo maestro aveva fatte di lui concepire. Le sue Opere furono pubblicate in Roma nel 1615 e 1637.

Frick (Fil. Gius.), il primo virtuoso tedesco sull'Armonica, ch'egli stesso si era formata sulla maniera di Franklin, e fece in oltre de' saggi per iscoprire una materia simile alla pelle umana, per render quest'instrumento più comodo a dilettanti per mezzo d'una tastiera, [157] ma dopo il 1786, gli fu d'uopo abbandonare l'armonica per il nocivo effetto che produceva sui nervi. Meusel nel suo Lexicon degli artisti cita con elogio un'opera di Frick sul basso continuo, che dice essersi pubblicata nel 1786. Egli viveva ancora nel 1790, in Londra.

Friedberg, maestro di musica in Vienna al servigio del principe Esterhazy, appassionato filarmonico, che aveva una scelta e numerosa orchestra in sua casa. Aveva il principe intesa una sinfonia di Haydn, e s'invogliò, piacendogli molto, di possederne l'autore, ma forse l'invidia e la gelosia di taluno operava sott'acqua contro il cel. Haydn. Friedberg amico ed ammiratore di lui, dolente di questo ritardo, l'eccitò a comporre una sinfonia solenne da sonarsi nel giorno natalizio di S. A. Haydn la scrisse, e da par suo. Venuto il giorno di eseguirla, standosene il vecchio principe in mezzo della sua corte sul suo seggiolone, il Friedberg distribuì le parti della sinfonia convenuta. All'udirla, il principe interrompe i sonatori alla metà del primo allegro e domanda di chi sia sì bella cosa? D'Haydn, risponde il Friedberg, e fa venire avanti l'autore che tutto tremante stava appiattato in un angolo della sala. Il principe lo prese d'allora innanzi al suo servizio come maestro direttore del concerto. Così che il primo passo alla buona fortuna ed alla gloria, Haydn lo dovette all'amico Friedberg. Costui viveva ancora nel 1812, allorchè Carpani pubblicò le sue Haydine (Lett. 5), d'onde abbiamo tratta questa notizia che tanto onore reca al carattere morale di Friedberg.

Friker (Giov. Luigi) di Wurtemberg, inventò una teoria di musica fondata sopra principj d'aritmetica, ch'egli oppose a quella di Eulero; la prese di poi per base di un sistema di metafisica, di cui Oettinger nella sua Filosofia terrena e celeste, t. 2, ce ne ha conservato [158] un abbozzo. Friker ebbe il difetto di perdersi in idee fantastiche, come tutti quei che cercano nella fisica i principj d'un'arte fondata sull'organizzazione dell'uomo. Son questi di quei svarioni così singolari, che può a ragion domandarsi, come abbiano potuto entrare in testa umana?

Frinide, musico di Mitilene, capitale dell'isola di Lesbo. Fu questo il primo, che riportò il premio della cetra nei giochi Panateniesi, celebrati in Atene nell'Olimp. 80. Frinide introdusse alcun cambiamento nell'antica musica, come ne lo accusa Ferecrate, ed Aristofane nella commedia Le Nuvole (Plutarc., de Mus.) Si narra in oltre che presentatosi Frinide nei pubblici giuochi di Lacedemone colla sua cetra di nove corde, l'Eforo ne tagliò due, delle quali era Frinide inventore (Athen. lib. 14).

Fritz (Berthold), cel. fabricante di strumenti, e meccanico di Brunswick, morto nel 1766, pervenne col solo suo genio senza alcuna instruzione a costruire una gran quantità di organi, di piano-forte e clavicembali sì a penna, che a martelli, di cui una porzione se n'è inviata sino nella Russia. Distinguonsi tutti mercè una straordinaria forza ne' bassi. Si è reso anche celebre per il meccanismo di più orologj di musica, di uccelli cantanti, e soprattutto per un pregevolissimo Trattato, che pubblicò in Lipsia nel 1757, sotto il titolo: Anweisung, ec. cioè Istruzione per accordare il forte-piano, i cembali e gli organi per un metodo puramente meccanico, con la stessa esattezza per tutti i dodici tuoni. Questo trattato pubblicossi di nuovo nel 1758; l'A. lascia ai mattematici i loro calcoli sul temperamento, ed assegna a un buon orecchio un circolo di quinte e d'ottave, che basta per accordare gl'istrumenti con la più perfetta nitidezza.

Froberger (Gian-Giac.), sassone, fu dall'Imperatore Ferdinando III mandato a [159] Roma per istudiarvi musica sotto il cel. Frescobaldi. Al suo ritorno nel 1655, questo principe il fece organista della corte, ed egli fu il primo in Germania che compose con gusto per il cembalo. Egli fu in molta stima sì in Francia, che in Inghilterra, d'onde ne ritornò colmo di doni e di onori, e morì in Magonza nel celibato, appena sessagenario. Mattheson possedeva di lui un'opera in 4 parti; nella quale cercò di pingere in musica le avventure de' suoi viaggi (V. Ehrenpf.)

Fuchs (Giorgio-Feder.), compositore de' nostri giorni di sinfonie e di quartetti, nei quali si riconosce molto gusto e talento. Egli si vanta di essere allievo di Haydn, ma i soli che confessava Haydn sono Pleyel, Neukomm e Lessel.

Fuger (Giorgio) di Heilbronn nella Svizzera, fece imprimere nel 1783 a Zurigo un'opera col titolo di Pezzi caratteristici per il piano-forte in num. di 12: Petulanza; vivacità; brio; serenità; gioja ed allegria; tenerezza; desiderio; orgoglio; e temerità; malinconia e inquietudine; pena e minaccia; carezze e lusinghe.

Funk (Christilieb.), professore di Fisica nell'università di Lipsia dopo il 1773, è autore di una Dissertazione latina De sono et tono, di cui ve ne ha una buona traduzione tedesca nel magazino di fisica, mattematica ed economia di Lipsia 1782, col titolo di Versuch ec. cioè, Ricerche sulla dottrina e risonanza del tuono.

Fux (Giuseppe), nato in Gratz nell'Austria, maestro di cappella dell'Imperatore Carlo VI, ebbe al suo tempo la riputazione di un valente compositore, comechè oggidì si conoscan poco le sue opere, il suo nome si è sino a noi conservato per un'opera didattica da lui pubblicata nel 1725, col titolo: Gradus ad Parnassum, di cui se n'è fatta una versione italiana da Alessandro Manfredi da Reggio prete e professore [160] di musica, e stampata in fol. a Carpi nel 1761. Precede a questa edizione una lettera del cel. Piccini, nella quale chiama l'autore un Tedesco pieno di senso italiano, che non lascia di mettere in vista que' principj matematici, che sono la base e il primordio della musica, e lo ha fatto con tale evidenza, che potrebbe restarne appagato il più speculativo Geometra. Con buona pace però del Piccini, gli anderebbe quì bene, Sutor ne ultra crepidam. Quest'opera sebbene abbia qualche merito in ciò che riguarda la composizione e la pratica, è poi difettosa per molti rapporti. È insoffribile la prolissità del 1º Libro, che senza alcun frutto si raggira in far mostra di geometria e di aritmetica; nel secondo l'A. insegna le parti della composizione relative a tutte le specie di contrappunto, e siegue la tonalità e l'armonia ecclesiastica, ma non ne dà i principj. Se in alcune parti dell'opera è assai metodico, in altre poi senza necessità se ne dispensa. In quanto alla maniera del suo ragionare e allo stile, fanno l'una e l'altro pietà. Eccone un picciol saggio: egli vuole spiegare cosa sia il modo nella musica. Il modo (sono le sue parole) è una serie d'intervalli contenuti fra i limiti d'un'ottava, e una collocazione nel vario e diverso sito de' semituoni, il che si riferisce a quel detto d'Orazio: Est modus in rebus, sunt certi denique fines (p. 128.) etc. Un tal ragionamento è degno d'Arlecchino; tutta l'opera è sullo stesso fare, e quando l'A. non si sente nè pur in istato di offrire simili spiegazioni, ne esce con promettere in appresso de' rischiaramenti, e finisce sempre con lasciarci a bada. Malgrado questi difetti, quest'opera ebbe ne' scorsi tempi gran spaccio in Allemagna e in Italia, finchè sorsero altri migliori scrittori di didattica nell'uno e nell'altro paese. Leo la raccomandava a' suoi allievi come classica, e mio padre a suo consiglio se ne provide [161] in Napoli. Io stesso, scrive nella cit. lett. Piccini, ne ho conosciuta a buona pruova l'utilità quando me ne fu caldamente raccomandato lo studio del cel. professor Durante, il quale già in Napoli mi fu maestro, ec. Il grande Haydn non potendo avere ne' suoi primi anni viva voce del maestro, si abbandonava, dice leggiadramente il Carpani, a questo armonico alcorano di Fux, che egli si aveva distribuito in quinternetti, de' quali ne portava sempre uno in tasca. Fux morì verso la prima medietà dello scorso secolo.


G

Gabory (Mr.) nel 1771 pubblicò in Parigi Manuel utile et curieux sur la musique du tems, ove in più luoghi tratta egli della misura nella musica, e propone un pendolo atto a produrre un'egualità universale di misura. Diderot, Sauveur e molti meccanici come Renaudin, hanno proposto sì fatti cronometri, ma il migliore è un valente musico, dice Rousseau, che ha gusto, orecchio e sa batter la musica.

Gabrieli (Caterina); una delle più rinomate cantatrici del p. p. secolo, nata in Roma nel 1730, fu scolara del gran Porpora. Nel 1745, cantò sul teatro di Luca e fu generalmente ammirata. L'Imper. Francesco I, la chiamò quindi a Vienna, e le lezioni che ebbe da Metastasio finirono di formarla nell'azione e nel recitativo; per il che essa preferiva più che ogni altra virtuosa i di lui drammi. Le grandi ricchezze che ella possedeva allorchè venne in Palermo nel 1765, sono gran prova dei favori da lei ricevuti in Vienna. Il suo talento andava del pari colla bizzarria e 'l capriccio. Il vicerè di Sicilia aveva invitata a pranzo la Gabrieli con la primaria nobilità di Palermo: come essa tardava a rendersi all'ora stabilita, mandò quegli in sua casa per farla avvisata che la compagnia l'attendeva. Essa incaricò l'inviato [162] di far le sue scuse, e far sapere ch'erasi dimenticata dell'invito. Sua Eccellenza voleva perdonarle quell'impertinenza, ma quando i convitati andarono al teatro, la Gabrieli rappresentò la sua parte con la più gran negligenza, e cantò sotto voce tutte le sue arie. Il vicerè offeso la minacciò del castigo, ma ella divenuta più rigogliosa e più fiera dichiarossi, che ben si poteva farle gridare, ma che non la si potrebbe mai far cantare: S. E. la mandò nelle pubbliche carceri, dove si rimase per dodici giorni, nel quale tempo essa dava dei sontuosi banchetti: pagò i debiti de' poveri prigionieri, e distribuì per carità grosse somme di danaro. Il Vicerè fu costretto di cedere, ed essa fu posta in libertà in mezzo alle acclamazioni de' poveri. Non potè mai risolversi di andar in Inghilterra. Sul teatro di Londra, essa diceva, io non sarò più padrona di far quel che voglio, se mi salta in testa di non cantare la plebaglia mi farebbe degli insulti, e forse mi regalerebbe delle sassate; voglio dormir quì meglio in buona salute, quando ciò sarebbe ancor nelle carceri. Nel 1775, l'imperatrice Caterina II, la chiamò a Pietroburgo, ed essa dimandò cinque mila ducati per soli due mesi. Nè pure, disse l'Imperatrice, io dò questa somma a' miei feld-marescialli. In questo caso, ella rispose, V. M. potrà far cantare i suoi feld-marescialli. In Milano nel 1780 cantò con Marchesi e poi con Pacchirotti, mettendo l'uno e l'altro cel. cantante in molta gara e soggezione, ma non spiegò mai meglio tutto il potere della sua voce che in Lucca nel 1785, allorchè Guadagni era il suo eroe in teatro ed in camera.

Gaffurio (Franchino), uno de' più dotti teorici del suo tempo, era nato a Lodi nel 1451. Fu prete, e dopo di avere studiato a Mantova ed a Verona, diè delle pubbliche lezioni di musica in Cremona ed in Bergamo, e nel 1483 divenuto [163] maestro della cattedrale di Milano fu professore nella scuola pubblica di musica, che a suo riguardo quivi eresse il duca Sforza, sino alla morte nel 1525. Egli faticò con molto zelo e successo a rischiarar la teoria e la pratica di quest'arte, e tradusse o fece tradurre in latino le opere de' Greci. Egli è il primo autore moderno sopra la musica, di cui siano state impresse le opere. Abbiamo di lui: Theoricum opus harmonicæ disciplinæ, Neap. 1480, Mediol. 1492; Practica Musicæ, Mediol. 1496, Ven. 1512; De harmonicâ musicorum instrumentorum etc. Mediol. 1518; Apologia adv. J. Spatarium, 1520. M. Burette molto lo loda per la cognizione ch'egli mostra de' Greci Armonici (Mem. de l'Acad. des Inscr. t. 8).

Galeazzi (Francesco) da Torino, nel 1791 pubblicò in Roma, Elementi teorico-pratici di musica, 2 vol. in 8vo. Questa opera è pregiatissima e con ispezialità per quel che riguarda l'arte di sonar il violino.

Galilei (Vincenzo), il padre del Colombo della moderna filosofia era gentiluomo fiorentino versatissimo nelle mattematiche, come lo chiama Viviani, e principalmente nella musica specolativa, della quale ebbe così eccellente cognizione, che forse tra i teorici moderni di maggior nome, non v'è stato chi di lui meglio, e più eruditamente abbia scritto, come ne fanno chiarissima testimonianza l'opere sue pubblicate, e principalmente il Dialogo della Musica antica e moderna, in Firenze 1581 (Vita di Gal. Galilei, 1718). Trovasi in questo Dialogo molta erudizione e buon senso, tranne la traduzione alla moderna nota delle cifre musicali di due greci inni, e di uno a Nemesi ritrovati nella libreria del Card. Sant'Angelo, che Burette, Rousseau e Martini han copiata, e con ragione ha mossa la bile al dotto Requeno. (Veggasi ciò che costui ne dice alla p. 351 del 2º t.) Non men che nella teoria della musica fu Vincenzo [164] dottissimo nella pratica, e celebratissimo nell'età sua, cosichè molto egli contribuì agli avanzamenti della medesima (V. l'artic. Bardi e Caccini). Morì egli dopo il 1586.

Galilei (Galileo), figlio del precedente, nato in Firenze nel 1564, da legittime nozze. Ne' suoi primi anni conoscendo la tenuità della fortuna del padre, aggravato da numerosa famiglia, e volendo pur sollevarlo, si propose di far ciò colla assiduità negli studj. I suoi diporti coll'insegnamento del padre suo, erano nella musica, e nel toccar il cembalo ed altri stromenti, ne' quali pervenne a tanta eccellenza, che trovossi a gareggiare co' primi professori di que' tempi in Firenze ed in Pisa: quale gusto per la musica conservò sempre sino agli ultimi giorni, comechè il suo genio e i suoi gran talenti tutto l'occupassero della fisica e delle mattematiche. A' suoi tentativi e al suo zelo dobbiamo l'invenzione de' telescopj, e 'l primo, con cui osservò egli i pianeti, non era che una canna d'organo, nella quale aveva posti i suoi vetri. Fu anche sua invenzione la semplice e regolare misura del tempo per mezzo di un pendolo che è stato poi adottato all'uso della musica. Tra' suoi opuscoli in una sua lettera al Picchena rammenta quello de sono et voce, che si è perduto: ma in uno de' suoi Dialog. delle due nuove scienze tratta egli di proposito della musica (Viviani l. c.). Di quanti sistemi si sono inventati sulla musica, niuno è stato così universalmente ricevuto da' geometri, come quello di Galilei. Molti che trattano del temperamento degl'intervalli, mettono per base delle ricerche il sistema di Galilei: egli vi propone il sistema del ritorno simultaneo delle vibrazioni, ma in tutti questi punti è stato dottamente attaccato dal Eximeno, provando che un tal sistema non può sussistere. “Il suo ingegno, egli dice, non lo salvò dall'errore proprio degli uomini dotti, che è voler tutto spiegare pe' [165] principj, de' quali sono o seguaci o inventori.” (V. dell'orig. l. 1, c. 1.). Galilei morì cieco nel 1641, in età di 78 anni.

Galland (Antonio), morto professore di lingua araba nel collegio reale in Parigi nel 1715. Nel 1º t. dell'Accad. delle Iscriz. vi ha di lui: Histoire de la trompette et de ses usages chex les anciens, che Mad. Gottsched ha tradotta in tedesco.

Gallimard, nel 1754 pubblicò in Parigi, La théorie des sons applicable à la musique, ove esattamente dimostransi i rapporti, e tutti gl'intervalli diatonici e cromatici della scala.

Gallo (Vincenzo), Frate conventuale siciliano, così celebre di que' tempi nella musica che fu eletto dal re per maestro della Real cappella di S. Pietro, e della cattedrale di Palermo insieme dall'Arcivescovo. Del profitto de' suoi onorarj egli ne ingrandì il convento del suo ordine detto dell'Annunziata, in una colonna della quale chiesa vi si legge scolpito Musica Galli. Egli viveva sulla fine del sec. 16º. Nel 1596, furono stampate in Roma una sua messa a due cori, ed un'altra a 12 voci in 3 cori: e nel 1589, alcune sue composizioni a 5 voci in Palermo. (Mongit. Bib. Sic.)

Galuppi (Baldassare) detto Buranello, da Burano sua patria, 24 miglia lungi da Venezia. Il cel. Lotti fu il suo primo maestro di contrappunto; in età di 20 anni diede al teatro di Venezia la sua prima opera, che sfavorevolmente accolta gli servì a notare ed evitare i difetti, de' quali si era attaccata, per l'avvenire. In poco tempo egli divenne per così dire, il solo possessore dei teatri italiani; fu eletto maestro del conservatorio degl'Incurabili, e della chiesa di S. Marco. In età di 63 anni venne chiamato a Pietroburgo coll'onorario di quattro mila rubbli annuali, oltre l'alloggiamento, e l'equipaggio. Dopo la prima rappresentazione della sua musica della Didone, l'Imperatrice donogli [166] una scatola d'oro, guernita di diamanti, e mille ducati, che Didone, diceva ella, avevagli lasciati per testamento. Il dottor Burney lo conobbe già di ritorno in Venezia nel 1770, nel seno della sua famiglia numerosa e ricca, che pieno di attività e d'immaginazione proseguiva le sue fatiche sino alla morte giuntagli nel 1785, di sua età 82. Egli era macilento, di piccola taglia, ma di un nobile e piacevole portamento: gajo e vivace come un giovine, sì nel carattere, come nelle opere. Spesso in queste contraveniva egli al rigor delle regole, e diceva poi agli scolari: Avete sentito? avete notato? ma bisogna esser Galuppi per farlo. Tanto compensava coll'originalità delle idee, e la bellezza della melodia. Sunt delicta, quibus ignovisse velimus, Hor. Egli fu de' primi a lussureggiare negli accompagnamenti. Il bello musicale, era uso egli dire, consiste nella unione di queste tre qualità: vaghezza, chiarezza, e buona modulazione. Il Carpani lo chiama il Bassano della musica, e rapporta alcuni di lui graziosi aneddoti (Lett. 7).

Galvano (Luigi) da Bologna, cel. anatomico morto nel 1798. La scoverta da lui fatta di molti fenomeni sull'organizzazione animale, il di cui principio si avvicina a quello dell'elettricità, ha formato un nuovo ramo della fisica medica, cui i dotti dal nome del suo inventore han detto galvanismo. Egli faticando inoltre sulla fisiologia de' volatili, si ristrinse ad esaminare il senso dell'udito, e trovollo in questi così delicatamente organizzato, che questo è il motivo, egli dice, che li rende sensibili cotanto agli accordi del canto e della musica. Egli discoprì il primo un canale uditorio, simile all'aquedotto di Fallopio nell'uomo, ed una cavità ossosa cui diè il nome di antivestibolo.

Garnerio (Gugl.), professore di musica circa 1480, davane allora un corso pubblico per far conoscere i suoi principj e le sue cognizioni. Per questo mezzo acquistò [167] tale celebrità, che Ferdinando re di Napoli, volendo stabilire una scuola di musica, chiamollo colà affinchè unitamente a Gaffurio travagliasse a quella fondazione. Ecco il principio della celebre scuola napoletana (V. Hawkins).

Gasman (Floriano Leop.), maestro di cappella della gran Maria Teresa, e di Giuseppe II, ed ispettore della biblioteca imperiale di musica in Vienna la più compiuta e più numerosa di Europa, di cui ne formò il generale catalogo. Nacque egli in Boemia, e dopo avere appreso i primi elementi della musica nel collegio de' gesuiti, viaggiò in Italia per rendervisi perfetto, venne due volte in Venezia, e vi si fece ammirare per l'eccellenza e 'l gusto delle sue composizioni. Il dottor Burney rincontrollo in Milano nel 1770. Chiamato alla corte di Vienna ne formò le delizie per l'originale bellezza e solidità della sua musica. Al sapere tedesco univa la cantilena italiana, e le sue produzioni sì per teatro che per chiesa sono tuttora decantate come le migliori di quel tempo, comechè M. Framery a torto il dica un maestro meno che mediocre. Il suo Dies iræ, e la Betulia liberata sono de' capi d'opera dell'arte. Egli fu l'unico maestro del gran Salieri, a cui diceva Gluck: “Sapete che cosa manca al Gasman, nulla, fuorchè un poco della mia impostura.” Nel 1772, fondò egli la Società delle vedove e pupilli della musica, che M. Teresa e Giuseppe II, protessero e le assegnarono un fondo di 8000 annui fiorini. Ciascuna vedova ne ritrae un'annua pensione di 400 fiorini: e due volte all'anno in Avvento e in Quaresima per sostegno della Società eseguisconsi in Vienna degli Oratorj de' migliori maestri, il che ciascuna volta produce l'esazione di più di due mila cinque cento scudi. L'arte il perdette assai presto nel 1774 in età di 45 anni. Egli era un pò rigorosamente attaccato alle regole. Un suo scolare mostravagli un [168] dì una sua composizione in C, nella quale dopo la quarta battuta passavasi all'elami maggiore. Il salto è troppo grande, gli disse Gasman, non è preparato abbastanza, non può andare. Eppure l'ho provato, rispose lo scolare, e ci va; al che prontamente replicò il maestro: figliuol caro, anche quel non so che, che i turchi pongono di dietro ai poveretti che impalano ci va; ma come ci va?

Gaspar (Mich.), nel 1783 fece imprimere in Londra una sua opera col titolo: De arte medendi apud priscos, musices ope etc.

Gasparini (Francesco), da Roma, uno de' più gran compositori del secolo 18º, fu maestro del conservatorio della Pietà in Napoli, ed ha lasciata molta musica di chiesa a' suoi tempi pregiata. È anche autore di un'opera, che sebbene manchi di chiarezza e di ordine, non è tuttavia dispregevole. Essa ha per titolo: L'armonico pratico al cembalo, Venezia 1708, e di cui ve n'ha una sesta edizione nel 1802. Egli fu dei primi a dare nelle sinfonie una parte diversa dal primo violino, e maggior movimento ai secondi. Michelangiolo Gasparini, lucchese, fu allievo di Lotti, abile cantante ed eccellente compositore sul finire dello scorso secolo.

Gasse (Ferdinando), napoletano, tuttora vivente in Roma, studiò in Parigi nella classe di M. Gossec, e nel 1805 riportò il gran premio di composizione nel conservatorio di musica, dopo il quale fu mandato in Roma per perfezionarsi in quest'arte. Mehul, in un rapporto alla classe delle belle arti dell'Instituto nel 1808, parla con elogio di un Te Deum a due cori, e di un Christo in fuga a tre soggetti, e a sei voci composti da questo giovane, e d'una gran scena italiana, la quale dà a divedere ch'egli potrà riuscire nel genere di teatro e di chiesa.

Gassendi (Pietro), Regio professore di mattematica in Parigi, e celebre per il gran [169] numero delle sue opere di filosofia ed altre scienze, morto Prevosto della cattedrale di Digne nel 1655. Come Mersenne e Descartes suoi amici scrisse eziandio un trattato di musica, Manuductio ad theoriam musices, Lugduni 1658, a cui oggidì non è più d'uopo ricorrere.

Gattey, nel Giornale di Parigi del 1783, num. 22 vi ha di lui una lettera intorno ad una macchina, per mezzo della quale troverebbonsi notate le composizioni de' musici, sonando la tastiera d'un instromento. Nell'archivio delle nuove scoverte a Parigi 1810, si ha di M. Lenormand un'altra macchina per notare la musica a misura che si compone sul cembalo, che è stata poi portata alla perfezione di notare distintamente in sino le figure ed i tempi da M. Nabot meccanico di Londra (V. t. 2, p. 249-252).

Gatti (l'abbate), nato in Mantova, dee annoverarsi tra' più pregiati compositori d'oggigiorno in Italia. La sua Olimpiade rappresentata in Piacenza nel 1784, vi ebbe molto successo, come del pari il suo Demofoonte in Mantova nel 1788. Nel magazino del Sig. Ricordi in Milano si ha di lui impresso la Morte di Abele, Oratorio.

Gattoni (l'abbate) italiano. Verso il 1786 inventò un'Armonica-meteorologica, che cogli armoniosi suoi suoni predice il menomo cambiamento che dee avvenire nell'atmosfera. La varietà e la forza de' suoni, che essa produce, è in proporzione del grado più o meno forte de' cambiamenti che vi si operano, o che aspettar se ne debbano (V. Corrisp. d'Amburgo 1786, n. 161).

Gaudenzio, secondo il Requeno, è un greco scrittore di musica posteriore a tutti gli altri, di cui ci rimane l'Isagoge o Introduzione armonica, composta (come quegli vittoriosamente lo prova) da' centoni degli anteriori scrittori, senza intelligenza varie volte di quello che copiava; come suole avvenire ne' tempi in cui le arti danno l'ultimo respiro. Egli era [170] un puro pratico, ed anteriore al 5º secolo dell'era cristiana, poichè Cassiodoro dice che Muziano suo amico aveva tradotta l'opera di Gaudenzio in latino: non ha il merito, che se gli attribuisce da' moderni, come dal Meibomio, dal Martini, ed altri, i quali son usi a citarlo unitamente con Aristosseno, Aristide, Tolomeo ec. “Sarebbe stata, dice il sullodato A., cosa più onorevole a Gaudenzio, s'egli ci avesse dato, come Bacchio, cognizioni pratiche dell'armonia, che l'aver tessuto gli estratti di Aristosseno, di Nicomaco, e di Aristide sotto l'ordinario titolo di Armonica introduzione, senza capire i differenti sistemi.” (t. 1. ec.)

Gaudenzio (Andrea Papio), canonico di Anversa, di cui vi ha Libri 2 de consonantiis seu pro diatessaron, Antuerp. 1581, in 8vo, eccellente opera secondo Brossard. Era nipote di Levino Torrenzio vescovo di Anversa, e morì in un bagno all'età di 30 anni nel 1581.

Gautherot, dell'Accademia delle scienze ed arti di Dijon, musico profondo, se egli non brillava nell'esecuzione, poteva al manco, mercè de' sicuri principj, insegnare le infinite combinazioni, e far conoscere le risorse della musica. Dotto nell'Acustica, abbiamo di lui un'eccellente Memoria sulla Teoria de' suoni: occupato delle scienze fisiche conobbe profondamente i misterj dell'elettricità e del galvanismo. Egli morì in Parigi nel 1803.

Gaveaux (Pietro), nato a Beziers nel 1764, in età di 10 anni aveva terminati i suoi studj musicali, ma avendo ricevuto d'Italia lo Stabat di Pergolesi, ne rimase così incantato che si disponeva a partire per Napoli, per vie più perfezionarsi nella musica sotto Sala celebre contrappuntista, se non che ve l'impedirono delle ragioni di famiglia. A Bordeaux apprese la composizione dal maestro di quella cattedrale Francesco Beck, e cominciò a scrivere per teatro con felice successo a Bordeaux, a [171] Montpellier e a Parigi. Egli ha imitato la maniera italiana, ed è riuscito con ispezialità ne' finali, dove ha saputo rifondere la scienza ed il genio: attualmente trovasi maestro nella Real Cappella in Parigi.

Gaviniès (Pietro), il Tartini della Francia e caposcuola pel violino, nacque a Bordeaux. Dalla prima età studiò quest'instromento, e di 14 anni sonò in Parigi tre concerti di seguito, che con la sua esecuzione ferma e briosa recò della sorpresa e gettò i primi fondamenti di sua celebrità. Ciò che eminentemente il distingueva, era una qualità di suono così puro ed espressivo, che faceva sospirare il suo violino: luttò vittoriosamente con Ferrari, Pugnani, e Stamitz. Viotti dopo averlo inteso gli diè il nome di Tartini francese. Nel 1794, il Conservatorio di Parigi il volle professor di violino, e ciascun anno i suoi allievi riportarono il premio. Tra questi distinguonsi Lemierre, Paisible, Capron, Leduc, l'ab. Robinot, Imbault, Guenin e Baudron. Al genio della sua arte riuniva egli un sodo giudizio ed uno spirito culto, per cui cattivossi l'amicizia di Rousseau, comechè il filosofo fosse poco comunicativo. Aveva saputo prendere tutti gli stili, e trasmetterli a' suoi allievi. Morì di 74 anni nel 1800. La Contessa de Salm ne pubblicò l'elogio nel 1802. Un anno avanti la sua morte, nel 1799, pubblicò: les vingt-quatre Matinées, concerti e sonate più difficili dei Capricci di Locatelli, e di Fiorillo.

Gauzargues (Carlo), abbate di Noblac, dopo di aver fatti de' buoni studj nelle scienze naturali e nella teologia, come si era ancora profondamente occupato della musica, fu per 12 anni maestro di musica nella Cattedrale di Nimes, e vi formò dei distinti allievi. Una gran riputazione che l'aveva preceduto in Parigi, sostenuta da quei doni naturali che attraggono, e da uno spirito assai culto, lo fè ricevere nella cappella del re [172] in quella capitale, e colmar di benefizj. I suoi tentativi per andar a risedere nella sua badia di Noblac furono inutili, e conservò, suo malgrado, il posto di maestro della R. Capp., finchè nei furori della rivoluzione vittima del decreto di proscrizione fulminato contro i preti, Gauzargues fu caricato di ferri, restituito quindi in libertà, ma spogliato de' beni che gli avevano acquistati i suoi talenti. In questo tristo stato terminò i suoi giorni nel 1794.

Gazzaniga (Giuseppe) da Venezia, morto, pochi anni sono, maestro di cappella in Verona, compositore espressivo e nitido. Dopo l'anno 1771 scrisse moltissimi drammi serj per i teatri d'Italia, e nel 1780 per il nostro di Palermo, che gli acquistarono gran nome non che nell'Italia, ma in Francia ancora ed in Germania. In Palermo scrisse egli una Messa, che piacque allora moltissimo, per la solennità che celebrano i musici di S. Cecilia; egli era stato allievo di Sacchini e ne imitò perfettamente la legiadria, e chiarezza dello stile.

Geminiani (Franc.), uno de' più famosi allievi del Corelli, nato in Lucca, ebbe le prime lezioni di musica da Alessandro Scarlatti. La più parte di sua vita passò egli in Londra, e il dottor Avison cita nella sua opera le di lui composizioni quai modelli d'una eccellente musica instrumentale. Le sue opere di teoria pubblicaronsi in Londra. 1. Trattato del buon gusto, e regole per eseguire con gusto. 2. Lezioni per il cembalo. 3. L'arte di sonar di violino, contenente le regole necessarie per la perfezione. Sieber nel 1801 ne ha dato una nuova edizione. 4. L'arte d'accompagnare, o nuovo metodo per eseguire facilmente e con gusto sul cembalo. 5. Dizionario armonico, o guida sicura alla vera modulazione, Londra 1742, questo è il frutto d'una fatica di 20 anni: dicesi che sia sufficiente di porre [173] in istato di comporre quei medesimi, che non hanno veruna tintura della musica. Che felicità se fosse ciò vero! Ve ne ha una traduzione francese in Parigi 1756. Geminiani morì in Dublino in età molto avanzata nel 1762.

Genlis (Mad. de), assai nota per i suoi romanzi istruttivi, e profondamente dotta nella musica, tuttora vivente in Parigi. Le dobbiamo un Metodo di arpa impresso nel 1805, che ha avuto il più gran successo e un incredibile spaccio, per cui se n'è fatta una 2.ª edizione. Quest'opera contiene nel suo testo delle curiose ricerche sull'arpa, e delle lezioni della più grande chiarezza: vi si sviluppano i principj generali dello studio degl'instromenti, che esiggono l'egualità delle due mani, come il piano-forte e l'arpa. Queste idee appartengono a Mad. Genlis, avendone già data la più gran parte, trent'anni sono, nel suo romanzo Adela e Teodoro.

Gerber (Ernesto), nel 1790 pubblicò a Lipsia in tedesco un Dizionario storico di musica, che serve di continuazione a quelli di Prinz e di Walther; M. Fayolle, dice “che sebbene quest'opera soddisfi più de' dizionarj di quegli autori, lascia tuttavia a desiderar molto di quel che lo comporti questa sorta di opere, qualunque siasi l'indulgenza che meritano. Potrebbe farsi un lungo catalogo delle omissioni, degli errori, delle contraddizioni che vi si trovano; e dà principalmente a diveder nel suo autore un'ignoranza visibile della storia dell'arte. Malgrado tutti questi difetti, che forse imputar si debbono a particolari circostanze, quest'opera è importante e utile: essa ci è stata di grandissimo ajuto, e come confessar ci è d'uopo, ha servito di base al nostro travaglio, che è in gran parte una rettificazione e correzione di quello di Gerber.” In tal caso bastava di dire: Et veniam damus, petimusque vicissim: senza di ciò chi non darebbe lo stesso [174] giudizio del dizionario di M. Fayolle?

Gerbert (Martino), principe abbate della congregazione benedittina di S. Biagio nella Selvanera, che ad una scienza molto estesa univa lo spirito più elevato e 'l carattere più semplice e più amabile: sin da giovane concepì quell'affezione per la musica, a cui dobbiamo le sue dotte e penose ricerche sulla storia di quest'arte. Nella mira di renderle più profonde e più utili, intraprese egli un viaggio di tre anni in Francia, in Italia e in Allemagna; pervenne, colla sua autorità, a farsi mostrare i tesori più reconditi, soprattutto le biblioteche de' conventi, ed attinse in tal maniera nelle primarie sorgenti i materiali per la sua Storia della musica di chiesa. In Bologna, strinse la più intima familiarità col P. Martini, con cui convenne di comunicarsi a vicenda le loro ricchezze. Il numero di diciassette mila autori raccolti dal Martini sorprese in vero l'ab. Gerbert, ma egli assicura che più di altrettanti avevagliene fatti conoscere da lui estratti dalle librerie di Germania. Egli pubblicò nel 1774 De cantu et musica sacra, a prima ecclesiæ ætate usque ad præsens tempus, in 2 vol. in 4º. Dà però a lui maggior diritto alla riconoscenza dei letterati e degli artisti un'altra più importante opera del 1774, Scriptores ecclesiastici de musicâ sacrâ ex variis Italiæ, Galliæ et Germaniæ codd. MS. nunc primum editi etc., dessa è una collezione di oltre a 40 autori originali sulla musica, disposti secondo l'ordine cronologico, dal terzo secolo sino all'invenzione della tipografia, in tre gran volumi in fol.; è divenuta per disavventura così rara che è assai malagevole il procacciarne una copia. M. Forkel ne ha dato una lunga e ragionata analisi nella sua Storia della musica. L'ab. Gerbert è morto d'una infiammazione di petto nel 1792, in età di 73 anni.

Gervasoni (Carlo). Milanese, [175] professore e maestro di cappella di Borgo Taro. Egli fece un corso compito di studj, e nel 1781, dice egli stesso, di avere terminato quello della mattematica sotto il cel. ab. Frisi in Milano; benchè possedesse allora già in buona parte la pratica della musica. Nel 1800 pubblicò in Piacenza La Scuola della musica divisa in tre parti, in 2 vol. in 8.º, opera che non manca di merito, benchè l'A. abbia il comune pregiudizio di sostenere, che sia la musica parte della matematica, e che somministri i mezzi più opportuni per acquistare le più sublimi cognizioni della musica speculativa. Si lagna inoltre che la più parte de' compositori non cura lo studio della matematica, perchè crede che questa niente affatto contribuisca alla pratica della musica. Per la pratica poi è un pò troppo, e pare che l'A. voglia millantarsi alcun poco con questo suo trascendente zelo per la necessità della matematica nella musica. Dà egli per altro delle buone regole di pratica, degli esempj bene scelti; mostra dell'erudizione e dello studio, ma uno stile pesante e sommamente diffuso ne rende penosa e faticante la lettura. Nel 1804, Gervasoni diè ancora alla luce in Parma Carteggio musicale con diversi suoi amici professori e maestri, in 8º, di cui vi ha una 2ª edizione in Milano dello stesso anno. Non possiamo giudicarne, non essendoci venuto ancora alle mani.

Gesner (Salomone) di Zurigo, il più delizioso ed amabile e pieno di sensibilità fra i poeti tedeschi, quivi morto nel 1787, non avendo compiti ancora i 60 anni di sua età. Tra' suoi idillj uno ve n'ha sull'Invenzione della lira e del canto, che gli dà un diritto di qui occupare un articolo. Può questo leggersi nel 2º t. della versione francese di M. Huber delle di lui opere, a Lione 1783, in 12º.

Gherardesca (Filippo), [176] nato in Pistoja, cel. compositor per teatro e per chiesa, doveva la purità del suo stile alla scuola del P. Martini, ed all'assiduità del suo studio sugli autori di musica italiani ed alemanni. Aveva cognizioni molto profonde sulla natura dell'armonia, alle quali univa uno squisito gusto: conosceva ed amava le scienze, le arti, la letteratura e soprattutto la storia. Morì egli in Pisa maestro della cattedrale del 1808 in età di 70 anni. Tra le sue composizioni deesi rimarcare, come un capo d'opera in questo genere, la messa di Requiem per la morte del re d'Etruria.

Giardini (Felice), nato in Torino, prese da fanciullo lezioni di violino dal cel. Somis, allievo di Corelli. Venne di poi in Napoli, ove nelle orchestre divertivasi sommamente di far de' preludj, e di variare i passaggi che doveva eseguire. Raccontava egli stesso come un dì essendosi posto Jommelli accanto a lui nell'orchestra, guadagnonne un sonoro schiaffo in premio de' ricami ch'egli aggiungeva alla sua parte di accompagnamento. Giardini fu molto applaudito in Parigi ed in Londra, ove fece imprimere le sue opere per violino, e vi fondò una scuola. Niuno uguagliavalo nell'esecuzione degli adagio per la forza e l'espressione del sentimento. Egli morì a Mosca in età di 80 anni nel 1796. Prima del suo viaggio in Russia ceduto aveva al Sig. Ciceri da Como il violino di Corelli ch'egli possedeva.

Gin (Pier Luigi), diè una traduzione francese dell'Iliade, nella quale Omero spensieratamente se la dorme dal principio sino alla fine. Nel 1802 pubblicò ancora un libricciuolo De l'influence de la musique sur la littérature, in cui l'A. buonamente pretende che ai progressi della musica attribuir si debba il decadimento della letteratura francese nel sec. 18º. Qui ridiculus minus illo?

Ginguené (Pier Luigi) [177] si è molto occupato della letteratura italiana, e della storia della musica. Egli ha fatto, unitamente con Framery il primo tomo nell'Enciclopedia metodica della parte della musica. Gli articoli di M. Ginguené sono in gran parte tradotti dalla storia di Burney, ma molte altre cose eccellenti vi ha del suo. Egli era stato uno de' più fervidi partigiani di Piccini nell'accanita guerra in Francia de' Gluckisti e Piccinisti: nel 1779, pubblicò: Entretien sur l'état actuel de l'Opera de Paris, che nel Mercurio di quell'anno gli trasse addosso un'asprissima critica di M. Suard. Nel 1801, egli diede al pubblico una notizia assai interessante Sur la vie et les ouvrages de Nic. Piccini, ove sembra aver egli modificate le proposizioni avanzate nella sua giovine età, per il che debbono sapergli buon grado tanto i partigiani di Gluck che quei di Piccini.

Girault (Cl. Saverio), membro di più società letterarie, ha inserito nel Magazino Enciclopedico di Parigi t. 1, anno 1810, Lettre sur la Musique des Hébreux à M. Millin, in cui l'A. fa delle ricerche di una molto estesa erudizione, ed offre una compiuta descrizione della musica religiosa, dal figlio di Matusael inventore degl'istromenti, sino all'epoca in cui la Religione cristiana potè spiegare in pubblico le cerimonie del suo culto.

Giroust (Franc.), dotto compositore di musica di chiesa, fu nel 1775 pe' suoi talenti scelto dal re in Parigi per maestro della sua cappella, e soprintendente di tutta la sua musica. Quest'era allora il posto più eminente, a cui l'ambizione d'un uomo della sua arte poteva aspirare. Egli vi si rese celebre, particolarmente per la musica di alcuni Oratorj, e dell'Ode di Thomas sopra il tempo, come dei passi i più importanti dell'Epistola al popolo di questo Poeta. La fatale rivoluzione del 1789 avendogli fatta perdere tutta la sua fortuna, si ridusse per vivere a vender [178] miele e latte, agli abitanti di Versailles, dove finì i suoi giorni nel 1799. La sua vedova inconsolabile nel 1804 diè al pubblico una notizia storica della vita di suo marito.

Girowetz, compositore tedesco de' nostri giorni di eccellente musica strumentale, ha fatto, secondo il Carpani, uno studio particolare sulle composizioni di questo genere dell'immortale Haydn, sino a metterle in partitura, e indovinar così il segreto dell'ottima ripartizione della melodia fra le parti. Egli ne ha saputo prender bene il carattere e la ricchezza delle idee, e formarsene uno stile leggiadro, ed un gusto tutto nuovo.

Giulini (Giorgio) di nobil famiglia nato in Milano nel 1714, ove studiò i diversi rami dell'istruzione sotto la guida di uomini dotti. Diessi in oltre con molto ardore allo studio della musica, e viene annoverato tra i buoni compositori di musica strumentale. Il conte Giulini fu sommo amico del P. Sacchi, e v'ha di costui un'Epistola in versi a lui diretta, nella quale lo invita ad unirsi seco per promovere la musica sacra ed eroica. Dopo la sua morte avvenuta nel 1779, il cel. Fontana ad istanza del Sacchi ne scrisse l'elogio.

Gizziello (Gioach. Conti, detto), ebbe questo nome dal cel. cantante Gizzi, che fondò una scuola circa 1720, e nella quale più che altri riuscivvi il Conti. In Italia, dove da prima fecesi ammirare in Roma, non si conosce che sotto il nome di Gizziello: passò quindi in Londra nel 1736, e cantò su quel teatro diretto da Hendel; tornò in Italia, cantò in Madrid nel 1750, e da per tutto fu l'oggetto dell'ammirazion generale. Egli era così eccellente nel patetico, che più volte trasse le lagrime dal suo uditorio, genere di talento oggidì molto raro.

Glareano (Ericio) di Glaris nella Svizzera, il di cui [179] nome era Arrigo Loris, nella letteratura ebbe per maestro il grande Erasmo, di cui divenne amicissimo, e questi nelle sue lettere ci rappresenta Glareano qual uomo di un sapere universale e profondo. Il di lui maestro di musica fu Giov. Cocleo, e nel 1547 egli pubblicò in Basilea il suo Dodecachordon in fol., che oggigiorno è divenuto assai raro. Quest'opera di Glareano è di somma importanza, in quanto ci fa perfettamente conoscere lo stato della musica pratica nell'epoca in cui fioriva la scuola fiamminga. L'autore morì nel 1563. M. Choron ha promesso di dare una nuova edizione di quest'opera nella sua collezione de' classici.

Glauco di Reggio, uno de' celebri pitagorici d'Italia, fioriva cinque secoli innanzi l'era volgare. Secondo l'uso di quei filosofi coltivò con ispezialità la musica, e vi riuscì moltissimo. Egli, secondo Plutarco (Dial. de Mus.), scritto aveva dei più celebri musici, e sulla scienza medesima, de' libri, che più non esistono (V. Disc. prelim. p. 111).

Glauca, celebre sonatrice di citara, per la sua straordinaria bellezza e 'l suo valore nell'arte musica divenne la favorita del re Tolomeo Filadelfo d'Alessandria (Ælian., de Nat. animal. I, 1). Plinio nella stor. natur. (L. X), Plutarco (de solert. animal.) ed Eliano (Var. Hist. L. IX) raccontano, che essa col suo suono e col canto attraeva in fino i bruti, e rendevaseli familiari.

Gluck (il cav. Cristoforo), nacque a Neüdorf villaggio della Boemia nel 1714, giovane apprese in Praga la musica, e all'età di 17 anni portatosi in Italia, fu per più anni scolare del Sammartini in Milano. Ma, a dir vero, questo genio immortale dee a se stesso tutta la gloria di avere creato un sistema musicale-drammatico, dove tutto è connesso, dove la musica mai si slontana dalle situazioni di persone, di tempi, di luoghi, e dove l'interesse risulta [180] dall'insieme perfetto di tutte le parti del dramma e della musica. “Io ho visto molte partiture italiane, diceva a un suo amico Rousseau, nelle quali si trovano bellissimi pezzi drammatici, ma parmi che il solo Gluck abbia l'intensione di dare a ciascuno de' suoi personaggi lo stile che può lor convenire, e quel che io trovo più da ammirare si è che questo stile adottato una volta non più si smentisce.” (V. Anecdot. sur le chev. Gluck par Bern. de Saint Pierre) Ristretti negli angusti confini di un articolo, nulla diremo della vita e delle innumerevoli composizioni di questo grand'uomo, nulla delle fazioni che formaronsi in Francia dai partigiani di costui e di Piccini: specie di guerra che riguardossi come una parodia di quella tra' molinisti e giansenisti, e rimettiamo i Lettori alle Memorie per servir alla sua storia pubblicate in Parigi nel 1791, in 8.º, dove molto vi ha per altro da apprendere per le dotte analisi dell'ab. Arnaud della musica di Gluck; ed all'artic. Allemagne dell'Encicl. metod., in cui lungamente si fa la di lui storia. Il celebre maestro di cappella e fecondo autore Reichardt nel 1810, ne ha scritto la vita in tedesco: ma nulla dar può migliore idea delle profonde meditazioni da lui fatte su la sua arte, quanto le due epistole dedicatorie in fronte alla sua opera dell'Alceste, ed a quella di Paride ed Elena: egli vi si mostra dadovvero musico-filosofo, che unendo i precetti alla pratica “ha più d'ogn'altro contribuito a ricondurre nel buon sentiero la musica teatrale italiana spogliandola delle palpabili inverosimiglianze che la sfiguravano, studiando con accuratezza somma il rapporto delle parole colla modulazione, e dando alle sue composizioni un carattere tragico e profondo dove l'espressione, che anima i sentimenti va del pari colla filosofia, che regola la disposizione dei tuoni.” (Arteaga t. 2). Gluck [181] morì in Vienna d'apoplesia nel 1787, ricco di 600 mila franchi in circa. I Tedeschi riguardano tuttora Gluck come il primo dei compositori drammatici, e su i teatri fanno ancora rappresentare le sue opere tradotte nella loro lingua: “Grazie al possente genio di Gluck (dice uno de' più celebri scrittori d'Allemagna, M. Wieland), eccoci dunque giunti all'epoca in cui la musica ha ricuperati i suoi dritti: egli, egli solo è colui che l'ha ristabilita sul trono della natura, d'onde la barbarie l'aveva fatta discendere, e d'onde l'ignoranza, il capriccio e 'l cattivo gusto tenevanla sinora lontana.” Il carattere di Gluck era franco e pieno di rettitudine; ma focoso, iracondo. “Per riscaldare la sua fantasia, e trasportarsi in Tauride, o Sparta, o nell'Erebo, aveva d'uopo di situarsi nel mezzo d'un prato. Ivi col suo cembalo innanzi, due bottiglie di sciampagna accanto, a cielo scoperto scriveva le due Ifigenìe, i lamenti d'Orfeo, e le amorose tracotanze di Paride ec.” (Carpani Lett. 13). Egli aveva una nipote, M. Anna Gluck, che si aveva adottata per figlia, cantante di una squisita sensibilità, e che parlava e scriveva perfettamente più lingue. Dell'età di 11 anni cominciò ad apprender la musica da suo zio, ma egli, in uno di quegli accessi d'impazienza, che erangli assai familiari, abbandonolla. Millico, fortunatamente venuto allora in Vienna, offrì allo zio di farne un nuovo saggio, e colla più grande soddisfazione di Gluck, le sue lezioni ebbero un felice successo. Portossi col suo zio in Francia, ove ebbe una graziosa accoglienza dalla corte. Poco dopo il suo ritorno in Vienna, cadde gravemente ammalata; Giuseppe II, le mostrò un vivo interesse, con mandare ogni dì in sua casa per aver nuove del suo stato; ma ella morì all'età di 17 anni nel 1776. Gluck ne fu inconsolabile: Il a perdu une nièce charmante, scriveva [182] al Cesarotti M. de Voght, qui l'attachoit à son art, et qu'il pleure encore. Evvi una cantata posta in note da M. Becke impressa ad Ausburg nel 1777, intitolata: Lamento sulla morte della gran cantatrice Nanetta de Gluck.

Gnecco, nato in Genova fu destinato da' parenti al commercio, ma il suo genio musicale lo portò a calcar le orme degli Anfossi, dei Sacchini, dei Cimarosa e dei Paesiello. Egli ha scritto la musica di più opere buffe, come le Nozze di Lauretta; Gli Amanti Filarmonici; La Prova d'un opera seria; Carolina e Filandro; I Bramini; l'Argante; il Pignattaro; la Cena senza cena; le nozze de' Sanniti, e la Prova degli Orazj e Curiazj. Quel che distingue questo celebre compositore tra' moderni, è una maniera facile ed ingenua, una gajezza libera, e l'imitazione di Cimarosa nella parte strumentale. Nel momento, che la sua riputazione cominciava a ben stabilirsi, venne egli da immatura morte rapito in Torino nel febbraro del 1811.

Gorsse (Luigi), nelle note al suo poema Saffo pubblicato in Parigi nel 1801, annunzia un'opera col titolo: Philosophie de la musique. Per farla bene vi bisognerebbe un filosofo musico, il che è raro, od un musico filosofo, il che è più raro ancora.

Gossec (Franc. Gius.), uno de' tre ispettori, e professore di contrappunto nel Conservatorio di musica in Parigi, formossi da se medesimo, e non ebbe altro maestro che la natura. Il solo studio sulle partiture de' gran maestri perfezionò il suo talento; come l'illustre Haydn, ha mostrato gran pena di non aver potuto viaggiare in Italia, e visitar le diverse scuole di quel paese. Nel 1774, fu scelto capo della scuola di canto eretta dal bar. de Breteuil. All'epoca della rivoluzione, divenne [183] maestro di musica della guardia nazionale, e nel 1795 fu scelto unitamente a Cherubini e Méhul ispettore e professore del Conservatorio. I suoi allievi, hanno per la più parte riportato il gran premio dell'Istituto. Gossec pressochè ottagenario conserva ne' suoi discorsi e nelle sue composizioni tutta la vivacità di un giovine. Sino all'anno 1810, viveva ancora; egli ha scritto moltissimo per teatro e per chiesa, ma la sua musica non è conosciuta in Italia, tuttochè molto applaudita in Francia. Come scrittore didattico egli ha pubblicato: Principes élémentaires de musique, in 2 vol. in fol.

Gottsched (Giov. Cristiano), primario professore di filosofia nell'Università di Lipsia, e cel. in Germania per gli sforzi ch'egli fece per trarre la lingua, la poesia e la musica dallo stato di barbarie, in cui erano al suo tempo. Nel suo Lexicon ossia Dizionario portatile delle scienze e belle arti, in 8vo pubblicato in Lipsia nel 1761, e nella sua Poesia critica, egli ha trattato di varj soggetti di musica. Trovansi in quest'ultima: 1. Idee sull'origine ed antichità della musica, e sulle qualità dell'Ode. 2. Idee sulle cantate. 3. Idee sull'opera. Nelle sue dissertazioni si trovano molte notizie storiche. Mitzler le ha inserite tutte e tre nella sua Biblioteca con aggiungervi delle note. Gottsched morì nel 1765.

Goulley (M. l'ab.), dell'Accademia dell'Iscrizioni, nel di cui quinto vol. vi ha di lui una Mémoire sur les anciens Poètes bucoliques de Sicile, et sur l'origine des instrumens a vent, qui accompagnoient leurs chansons, p. 85.

Graf (Federico), dopo il 1762 era maestro nella corte del Principe d'Orange, di cui vi ha impressa molta musica, specialmente strumentale. Lustig dice, che le di lui opere erano veramente ricche di armonia, ma molto poco espressive. Nel 1782, pubblicò all'Haya un'opera [184] didattica col titolo di Prova della natura dell'Armonia nel basso continuo, con sei rami. Ermanno Graf, di lui minor fratello, dottore in musica a Oxford, fu anche un rinomato compositore in Inghilterra e nella Germania suo paese natio. Gl'Inglesi non potendolo persuadere a restar in quell'Isola, gli conferirono la dignità di dottore in musica, benchè assente nel 1789, ed egli è il primo tra gli esteri, che fissando fuori la sua dimora, abbia ottenuta questa distinzione.

Grandi (Guido), abb. de' Camaldolesi in Pisa, nato in Cremona, nel 1691, pubblicò una dotta opera sulla teoria della musica. Morì quivi nel 1742.

Grandval (M.), nel 1732, egli diè in Parigi al pubblico: Essai sur le bon goût en musique: Walther tratta di lui più a lungo.

Grassineau, autore di un'opera che promette molto secondo il titolo, ma che non conosciamo. È il titolo Musical Dictionary, ec. a Londra 1740, in 8vo. Fayolle dice, che contiene una collezione di termini tecnici sì antichi che moderni, ed insieme la storia, la teoria e la pratica della musica, con le spiegazioni di alcune parti di quest'arte presso gli antichi, con note sul loro metodo nella pratica. Vi si aggiungono curiose Dissertazioni su i fenomeni de' tuoni matematicamente considerati, in quanto hanno de' rapporti o delle proporzioni cogl'intervalli, colle consonanze e dissonanze; il tutto tratto da' migliori autori greci, latini, italiani, francesi ed inglesi (W. Bent Catal. 1791).

Graun (Carlo Enrico), maestro di cappella di Federico II re di Prussia, apprese il contrappunto dal maestro Schmidt di Dresda, e durante questo studio si occupava ad arricchire la sua immaginazione e a formare il suo gusto sull'opere di Heinich e di Lotti. Nel 1740, salito Federico sul trono, il nominò suo maestro, e lo spedì in Italia per farvi una compagnia di cantanti pel suo [185] teatro, Graun fecesi quivi conoscere come compositore e cantante, e fu generalmente applaudito sin anco dal cel. caposcuola Bernacchi. Come cantante eseguiva egli, specialmente gli adagio, con facilità e con gusto: era la sua voce un tenore acuto, di poca forza veramente, ma piacevolissima. Viene da' tedeschi annoverato tra' migliori autori classici a motivo della sua graziosa invenzione, del carattere ed espressione delle sue composizioni, della bella melodia, di un'armonia chiara non molto strepitosa, e dell'uso saggio e dotto insieme ch'egli sa fare del contrappunto. Si potrebbe chiamarlo il Leo della Germania. Vi ha di lui molta musica d'ogni genere impressa a Berlino, ed è assai pregiata specialmente quella dell'Oratorio della passione, stampata a Lipsia, la di cui seconda edizione è del 1766. Hiller ne ha pubblicato l'estratto per forte-piano, ed ha scritto la vita dell'autore, che finì di vivere in Berlino nel 1769. Il re avendo saputo a Dresda la morte di Graun, versò delle lagrime.

Gresnik (Ant. Feder.), nato in Liegi nel 1753, fu dalla prima età in Italia, e studiò musica nel conservatorio di Napoli sotto il famoso Sala. Chiamato in Londra a comporre per teatro, scrisse il Demetrio e ne ottenne il posto di soprintendente della musica del principe di Galles. Sul principio della rivoluzione venne a Parigi, ove diè molte opere che ottennero gran successo sul teatro. Finalmente compose pel teatro delle arti la musica della Selva di Brama, dramma in 4 atti, nella quale impiegò tutta la sua attenzione credendo di potervi compitamente stabilire la sua riputazione, quando dopo otto mesi di fatiche e di sollecitudini, venne a sapere che la sua musica non si era ricevuta che a correzione, il che fu per lui un [186] colpo di morte. Gresnick fu rapito all'arte nel 1799, all'età di 47 anni. Nelle sue opere si trova facilità, purità, correzione, una cantilena piacevole, e molta grazia negli accompagnamenti.

Gretry (Andrea-Ernesto), nato a Liegi nel 1741, a 4 anni di sua età era già sensibile al ritmo musicale, e poco mancò che questo primo istinto non gli costasse la vita. Era egli solo: il bollimento, che facevasi in una pentola di ferro, fissò la sua attenzione; al rumore di questa specie di tamburo cominciò a dansarvi attorno; volle poi vedere come operavasi nel vaso quel moto periodico, e lo voltò sossopra in un fuoco di carbone fossile ardentissimo. L'esplosione fu così forte ch'egli cadde a terra soffocato e scottato quasi tutto nella persona. Quest'accidente gli rese poi per sempre la vista debole. Nel 1759, lasciò la patria per portarsi in Roma affinchè si perfezionasse nella musica, e ne ebbe gl'insegnamenti da più maestri, ma Casali è il solo che egli come tal riconosce. In Roma aveva già egli fatto sentire alcune sue scene italiane e sinfonie, allorchè gl'impresarj del teatro d'Alberti gl'incaricarono di porre in musica due intermezzi, le Vendemmiatrici. Il successo che vi ottenne all'entrar di quella carriera fu un felice presagio di tutti quelli ch'egli ha di poi ottenuto. In mezzo alle infinite e strepitose attestazioni che ne ricevette, lusingollo maggiormente la nuova, che Piccini aveva approvata in pubblico la sua musica, aggiungendo: Principalmente perchè egli non va per la via comune. Così ben accolto, applaudito nella capitale dell'Italia, che ben può dirsi la città della musica, Gretry vi proseguiva i suoi travagli e i suoi studj, allorquando fu invitato a portarsi in Francia, dove per un'infinità di opere buffe da lui scritte dal 1769 sino al 1797, si ha stabilito a ragione un nome illustre in questa carriera. “Tutte le sue opere lo han posto nel primo [187] rango de' compositori di questo genere, dice M. Fayolle; come Pergolese si è prefisso di prendere la declamazione per tipo dell'espression musicale. Quando i critici lo hanno accusato di difetti contro l'armonia, So bene, egli ha risposto, di averne fatti alle volte, ma io voglio farne. La verità di espressione è in fatti l'idolo di M. Gretry.” Nel 1790 egli pubblicò in Parigi, Mémoires ou Essais sur la musique, un vol. in 8vo, di cui il Governo ne ha data una nuova edizione nel 1793 in tre vol. in 8vo. Il primo contiene la vita musicale dell'A., ed alcune osservazioni sulle opere, che sono molto giovevoli a' giovani compositori. Gli altri due tomi si raggirano sulla morale, sulla metafisica, e la più parte delle sue vedute sono di un uomo d'ingegno e di un filosofo. Nel 1802, Gretry diè al pubblico, Méthode simple pour apprendre à préluder en peu de tems avec toutes les ressources de l'armonie. Mercè siffatto metodo, in meno di tre mesi una nipote dell'A., in età di 15 anni, sapendo appena legger le note, con pochissima cognizione della posizione delle mani sul cembalo, ha compreso e messo in pratica il sistema dell'armonia, sino a destar maraviglia agli stessi compositori. M. Gretry viveva tuttora nel 1813, e si occupava alla pubblicazione di un'altra opera, che ha per titolo: Reflexions d'un solitaire, di cui ne aveva già compito il sesto tomo, e nella quale tratta egli delle arti in generale, ed in ispezialità della musica. All'ingresso del teatro dell'opera comica in Parigi si è eretta la statua di questo grand'uomo in marmo bianco, e M. Simon ne ha incisa l'immagine. Non senza un'estrema soddisfazione, dice egli stesso ne' suoi Saggi sulla musica, mentre io dimorava in Roma, venni a sapere da molti musici provetti, che la mia taglia, la mia fisonomia faceva per la rassomiglianza rammentar loro Pergolese. Carpani dopo aver formata [188] una galleria, nella quale paragona i più rinomati compositori ai grandi pittori, “anche in musica, egli dice, vi sono i suoi manieristi, e non senza merito. A capo di essi potete pure liberamente collocare il Gretrì, e dopo di lui quasi tutt'i giovani compositori italiani e tedeschi de' nostri giorni, e tutt'i francesi d'ogni età.”

Grimm (Feder. barone di), consigliere di stato dell'imperator delle Russie, morto a Gotha nel 1807, era nato a Ratisbona l'anno 1723. Dopo avere terminati i suoi studj accompagnò in Parigi il conte di Schombergh, ministro del re di Polonia, ove diessi tutto allo studio delle belle lettere, e divenne assai famigliare di Voltaire, di Helvezio, di Diderot, d'Alembert e del barone d'Holbach. Per più anni mantenne un commercio letterario con molti principi dell'Europa, e ricevette de' contrassegni molto distinti di stima dal gran Federico, da Caterina II, da Gustavo III, a da Ernesto duca di Saxe-Gotha, che nel 1772 lo nominò suo ministro presso la corte di Francia, ed allorquando i furori della rivoluzione l'obbligarono, come gli altri ministri, a lasciar Parigi, gli offrì nella sua corte un onorevole asilo. Grimm era un amatore filosofo della musica, e più opere intorno alla medesima abbiamo di lui pregevolissime. 1. Lettre sur l'opera d'Omphale, in 8vo, Paris 1752, che contiene delle riflessioni di buon senso sulla musica drammatica, onde con ragione vien lodata da Rousseau, e da Arteaga (Dict. art Duo, e Rivol. t. 1). 2. Lettre à M. Raynal, sur les remarques au sujet de sa lettre sur Omphale, nel Mercurio dello stesso anno. 3. Le petit prophète in 8vo 1753. Quest'operetta fece allora molto fracasso, perchè metteva in ridicolo la musica francese: si trova ancora nel t. 2 dell'Opere di Rousseau dell'edizione di Neufchatel 1764, e fassi leggere con piacere. 3. L'Almanach historique et chronologique de tous les spectacles [189] de Paris, in 12º dal 1762, sino all'anno 1789. Arteaga a lui attribuisce in oltre: Discours sur le poème lirique (loc. cit. p. 58).

Griselini (Francesco), di più Accademie scientifiche, e Società economiche di Europa, e Segretario di quella di Milano, è autore di un Dizionario delle arti, e de' mestieri, ch'è stato continuato dall'ab. Marco Fassadoni, Venezia 1768, tom. 10 in 4º. “Il celebre compositore di questo Dizionario, generoso campione dell'umanità, non contento di giovare in altri modi al pubblico bene, ha voluto illustrare la nostra Italia, presentandole l'opera suddetta.” Quest'è l'elogio, che ne han fatto gli autori dell'Estratto della Letteratura Europea. Nel tomo nono si tratta a lungo della musica secondo tutte le sue divisioni con somma erudizione, con giudiziosa scelta, e con buoni precetti intorno alla teoria ed alla pratica.

Grosley, nato a Troyes nel 1718, e quivi morto nel 1785. La sua opera Observations sur l'Italie et les Italiens, par deux gentilhommes svédois, contiene l'istoria della musica, e più materiali intorno a' moderni musici di quel paese, nel 1766 se n'è fatta una traduzione tedesca a Lipsia, d'onde il maestro Hiller ne ha tratta la storia della musica per il 2º tomo de' suoi annali.

Gruber (Giov. Sigismondo), figlio di Giorgio Gruber cel. maestro di cappella a Nuremberg, morto nel 1765; era quivi dottore in dritto e nel 1783, pubblicò in tedesco: Letteratura della musica, ovvero Istruzione per conoscere i migliori libri di musica, in 8vo. Egli vi ha classificate le opere secondo le materie che trattano: non è che un Saggio ancora molto imperfetto. Nel 1785 diè ancora alla luce in Nuremberga Beytræge ec., o Catalogo alfabetico degli autori di musica ove trovansi delle opere rare: e finalmente nel 1786, pubblicò a Francfort e a Lipsia la Biografia de' più celebri musici. [190]

Guadagni (Gaetano), cav. della Croce di S. Marco, e cantante di contralto celebre per i suoi talenti e la sua liberalità non comune a questa specie di semiuomini, era di Padova. In Italia, in Francia, e nel 1766, in Londra, colla sua particolare abilità nel recitativo e nell'azione diè a divedere a qual grado di perfezione erasi levata allora nell'uno e nell'altro genere la sua nazione. L'elettrice di Sassonia M. Antonietta molto intendente, e compositrice di musica, conosciuto avendolo in Verona nel 1770, seco il condusse a Monaco, dove Massimiliano Giuseppe lo prese al suo servigio e gli accordò il più gran favore sino alla morte: nel 1776 Guadagni venne a Potsdam, e Federico II dopo averlo sentito donogli una scatola d'oro guernita di diamanti, la più ricca ch'egli abbia mai regalata. Tornò quindi in sua patria, e vi fu cantore nella cel. chiesa di S. Antonio coll'onorario di 400 ducati, per cantar solo nelle quattro gran feste dell'anno. Egli viveva ancora nel 1790, era assai ricco, ma usava con isplendidezza de' suoi beni; più tratti citansi onorevoli della sua beneficenza e generosità. Quei che l'hanno inteso assicurano, ch'egli era il primo nel suo genere, sì per la sua avvenenza, come per il gusto, l'espressione e l'azione nel suo canto.

Guarducci (Tommaso), di Montefiascone, uno de' primi cantanti d'Italia per l'espressione, e uno de' migliori allievi del Bernacchi, e fecesi ammirare su i teatri più rinomati italiani e su quello di Londra verso la medietà del p. p. secolo. Nel 1770 lasciò interamente il teatro per vivere nel seno della sua famiglia, passando l'inverno in Firenze, e l'està a Montefiascone, ove possedeva una casina in campagna riccamente addobbata.

Guerrero (don Pedro), spagnuolo, uno de' più distinti maestri di musica del secolo 16.º, passò in Italia la più parte di sua vita, e [191] molto quivi contribuì ai progressi dell'arte. Vi sono di lui sei messe sul gusto di quelle del Palestrina assai stimate.

Guglielmi (Pietro) nacque a Massa Carrara nella Toscana da Giacomo Guglielmi maestro di cappella del duca di Modena, da cui prese le prime lezioni di musica sino all'età di 18 anni. Studiò quindi in Napoli nel conservatorio di Loreto sotto il cel. Durante. Guglielmi non annunziava delle grandi disposizioni per la musica, ma Durante il soggettò agli aridi studj del contrappunto e della composizione. Sortì egli dal conservatorio all'età di 28 anni, e cominciò quasi tosto a scrivere per i principali teatri d'Italia delle opere buffe e delle serie, e vi riuscì egualmente. Fu richiesto in Vienna, a Madrid, a Londra, e tornò in Napoli in età di presso a 50 anni. Questa fu l'epoca, in cui tutte le facoltà del suo spirito acquistarono più d'attività, ed in cui sparse la più viva luce il suo genio: trovò egli il gran teatro di Napoli occupato da due primarj talenti, che ne contendevano a gara la palma, Cimarosa e Paesiello: vendicossi nobilmente dell'ultimo, di cui aveva ragion di lagnarsi; ad ogni opera del suo rivale una sua ne opponeva, e ne restò sempre vittorioso. Papa Pio VI nel 1793, offrigli il posto di maestro di cappella di S. Pietro, e questo ritiro fu per Guglielmi a' 65 anni della sua vita, occasione di distinguersi nella musica di chiesa. Egli morì a 19 di novembre 1804, di sua età 77. Contansi più di due cento opere scritte da lui: un canto semplice, naturale ed amabile, un'armonia pura, ma piena insieme, un estro ed una fantasia originale ne formano il carattere. Carpani lo paragona a Luca Giordano: Zingarelli riguarda il Debora e Sisara, come il capo d'opera di Guglielmi.

Guglielmi (Pietro-Carlo), figlio del precedente, che colle sue composizioni sostiene la gloria e la riputazione del padre. All'età di 20 anni [192] mostrossi degno di lui, per lo brillante successo ottenuto sul gran teatro di Napoli, e confermato in appresso da altri non men meritati successi sul teatro di Roma e su quei dell'Italia e di Londra. Nel 1803, scrisse egli in Palermo l'oratorio del Sedecia per il teatro di S. Cecilia, che ebbe un felicissimo incontro. Come suo padre ha posto in musica l'opera I due gemelli, che si crede essere la migliore sua opera. Le false apparenze; Le nozze senza marito; I cacciatori; La Contessa bizzarra; La serva innamorata ed altre sue opere buffe sono state molto apprezzate in Italia e in Inghilterra, dove attualmente egli dimora. Giacomo, suo minor fratello ed egregio cantante di tenore nacque a Massa Carrara nel 1782, studiò il solfeggio sotto il cel. Mezzanti, ed il canto sotto Nicolò Piccini, nipote del gran Piccini. Cominciò la sua carriera di tenore dal teatro d'Argentina in Roma, e passò quindi a Parma, a Napoli, a Firenze, a Bologna, a Venezia, a Amsterdam e finalmente a Parigi, dove attualmente risiede come cantante nel teatro dell'opera buffa.

Guido d'Arezzo, nome celebre nell'arte, intorno al quale si sono divisi gli scrittori o accordandogli troppo o scemando più del dovere la sua gloria. M. Forkel nella sua dotta storia della musica, t. 2, prende saggiamente la via di mezzo, e si riduce ad osservare che all'epoca in cui visse Guido, eravi una grande incertezza e variazione su i principj della musica, e sulla maniera di notarla. Guido più che i suoi predecessori e contemporanei vide chiaramente in questa materia; scelse ciò che credette esservi di meglio nei metodi sino allora proposti, compilò i precetti, formonne un corpo di dottrina, e soprattutto applicossi all'insegnamento della lettura musicale. I straordinarj successi che ne ottenne, sì per l'eccellenza del metodo, come per l'arte con la quale presentar sapeva le sue idee, [193] fissarono su di lui l'attenzion generale, annoverar lo fecero tra gli inventori di primo ordine, e gli si attribuirono moltissime scoperte, ch'egli aveva avuto il solo merito di render utili. Si sa che Guido verso la fine del decimo secolo fu monaco dell'ordine di S. Benedetto nel monastero della Pomposa: che quivi inventò o dispose il suo nuovo metodo di notare e di leggere la musica, che vi stabilì una scuola per insegnarne la pratica: che mercè la sua nuova maniera, i scolari, cui da prima non bastavan dieci anni per imparare a legger la musica, al termine di alquanti giorni giungevano a diciferar un canto, ed in meno di un anno divenivano abili cantori: che non gli mancarono tra' monaci stessi degli invidi e de' rivali che aspramente il perseguitassero, sicchè gli fu d'uopo di abbandonare il suo monastero e di fuggirsene altrove. Si sa inoltre ch'egli cavò le note della sua scala dalla prima strofe dell'inno di S. Giovanni; ma per più estesi dettagli sulla sua vita, e sulle sue opere, che non per altro oggetto possono leggersi, se non per conoscer solo lo stato della musica al suo tempo, rimettiamo i lettori ad una interessante Dissertazione sulla vita e le opere di Guido d'Arezzo con dotte note ultimamente pubblicata in Italia dal Sig. Angeloni da Frosinone, ed al secondo volume della Collezione dell'ab. Gerbert, dove si trovano delle notizie intorno alla vita, e tutte le opere ch'egli potè discoprire dello stesso Guido.

Guys (M.), pubblicò in Parigi nel 1776, Voyage littéraire de la Grèce, ou Lettres sur les Grecs anciens et modernes. La lettera trentesima ottava tratta della musica presso i Greci.

Gyrowetz (Adalberto), nato circa 1756 in Vienna, è piuttosto un amatore anzichè professore di musica, sebbene compositor fecondissimo, ha attualmente il suo impiego nella cancelleria di [194] Vienna. Egli ha fatto singolarmente il suo studio sulle opere dell'Haydn, ed ha pubblicate 41 opere, in cui ne ha imitato lo stile, di sinfonie, di quartetti e di quintetti. Abbiamo di lui in oltre sonate di forte-piano e concerti di molto gusto.


H

Haensel (Giov. Daniele), nato a Goldberg nel 1757, allievo di Türck, è attualmente maestro di musica a Halle. “L'Haensel, dice Carpani, il Krommer, il Rombec, dotti insieme e melodiosi, scarseggiano ora di produzioni; forse le circostanze de' tempi li consigliano a ciò fare; lo smercio essendo diminuito, gli stampatori di musica non vogliono pagare che poco le produzioni, e quindi gli autori se le tengono nello scrigno: chi ne discapita è l'arte.” (Lett. 15)

Hambois (Giov.), dottore in musica del sec. 15º nell'università di Cambridge o di Oxford, benchè fosse tenuto peritissimo in tutte le arti, fatto aveva però della musica il principale suo studio, gli scrittori di sua vita affermano, che per la cognizione dell'armonia, per la combinazione delle consonanze, per l'arte di preparare e salvare le dissonanze, egli sorpassava tutti quei del suo tempo (Enciclop. method. p. 83).

Haremberg (Giov.), professore a Brunswick, pubblicò quivi nel 1753, Commentatio de re musicâ vetustissimâ, etc., dove tratta degl'instromenti de' Greci, ed Ebrei.

Harpe (Giov. Franc. de la), noto abbastanza per il suo Corso di letteratura in 16 vol. in 8vo, dove si trovano profonde cognizioni in ogni genere, e una delicata critica, è morto in Parigi nel 1803. Nel suo Journal de politique et de littérature, a Paris 1777, prese egli parte alla guerra musicale di quel tempo, diè il suo giudizio sulle produzioni di Gluck, e molte belle riflessioni offrì sulla musica rappresentativa, [195] ma dalla fazione opposta venne attaccato di non essere egli esatto parlando di musica, tanto più che dichiarato si era di non saperne. A questo proposito egli dice che nelle arti vi sono due parti, l'una elementare, l'altra meccanica: la prima non è conosciuta che dagli artisti, ed essi soli sono in dritto di parlarne. L'altra è il risultato delle operazioni di un'arte, ed ha per giudice chiunque sia fornito di un retto senso e d'organi sensibili. Se non vuolsi ammettere questo principio, sarebbe d'uopo che gli artisti non avessero per giudici che i loro simili. Un uomo, che non sa la composizione, non dirà che tale musica sia corretta, scientifica; non ragionerà sulle combinazioni dell'armonia, o sugli andamenti di una frase musicale, e quindi nulla io ho detto di tali cose. Ecco i mezzi dell'arte: io non voglio entrarvi. Ma quest'aria in quella situazione ha l'espressione bastevole? Questo canto è variato o monotono? è povero o ricco? riunisce le modulazioni che portar devono nell'anima quel tal sentimento? ecco ciò che ha dritto di esaminar ciascun uomo, purchè non sia sfornito di orecchio e di buon senso: ec. Molte altre riflessioni possono quivi leggersi con profitto.

Harington, dottore in musica, fondatore della società armonica di Bath, e uno de' più pregiati poeti moderni dell'Inghilterra, benchè semplice dilettante vien considerato come un buon compositore tra gl'Inglesi. La musica, ch'egli ha posto alle sue poesie, è piena d'espressione e di melodia, e nella strumentale riesce molto nel genere tenero e patetico.

Harris (James), scrittore assai distinto, morto in Londra nel 1780. La prima opera ch'egli pubblicò nel 1774 contiene tre Memorie sulle Arti in generale, sulla Pittura, la Poesia e la Musica. Lord Malmesbury suo figlio l'ha pubblicata nuovamente con le altre di lui opere, e [196] la sua biografia nel 1801, Londra, 2 vol. in 4.º. Ve ne ha ancora una traduzione tedesca a Halle 1780.

Harrison (John), dotto meccanico inglese morto in Londra nel 1776. Nella sua giovinezza fu il capo d'una cel. società di cantanti di chiesa: ha fatti molti sperimenti sul tuono e la scala de' tuoni, mediante un particolar monocordo di sua invenzione, e che vien da lui descritto in una sua opera pubblicata in Londra nel 1775 sotto il titolo di Description concerning ec.; o Descrizione d'un meccanismo per giungere ad una misura esatta e sicura del tempo. Egli pretende darvi una divisione meccanica dell'ottava secondo la proporzione che esiste tra i raggi o il diametro di un circolo e la sua circonferenza. Quest'opera fu criticata come l'effetto della sua decrepitezza.

Hasse (Giov. Adolfo), detto il Sassone, apprese da prima in Germania la musica, ed all'età di 18 anni scrisse l'Antigono, che fu assai ben accolto a Brunswick. Ma egli sin allora erasi abbandonato al suo genio, senza sottomettersi a' profondi studj del contrappunto: ne sentì la sconvenevolezza, e prese la risoluzione di venir ad apprenderlo in Italia. Egli giunse in Napoli nel 1724, e studiò da prima sotto Porpora, ma tra' grand'uomini che quivi allora fiorivano particolarmente distinguevasi, come il più gran maestro di quell'epoca, Alessandro Scarlatti. Hasse ardentemente bramava poter trar profitto dalle lezioni e da' consigli di questo valentuomo, ma non osava fargliene la proposizione, sul timore che le sue finanze non gli permettevano di ricompensarnelo secondo il merito. Rincontrato avendolo in una compagnia, i suoi talenti, la sua modestia e i riguardi che mostrava per lui gli conciliarono l'affezione di quel grand'uomo, che cominciò sin d'allora a chiamarlo suo figlio, e si offrì di buon grado a dargli delle lezioni. Nel 1725, scrisse in [197] Napoli un Dialogo, il quale eseguito dinanzi ad una scelta udienza fu unanimamente applaudito, e poco tempo dopo scrisse per il teatro reale un'opera, che stabilì compitamente la sua riputazione. Da lì in poi tutti i gran teatri dell'Italia si disputarono la gloria di aver Hasse per maestro. In Venezia fu oltracciò scelto per precettore di un conservatorio e scrisse per lo stesso un Miserere a 2 soprani, 2 contralti, 2 violini, violoncello e basso, di cui ne chiamò divina la musica il P. Martini. Fu quindi chiamato a Dresda, a Londra, e a Vienna dove, dopo il 1762 sino al 1766 scrisse sei opere, e nel 1769 compose il suo capo d'opera Piramo e Tisbe, la di cui musica differente dall'altre sue produzioni non invecchia mai. Nel 1771, scrisse la sua ultima opera Ruggiero in Milano per le nozze dell'arciduca Ferdinando, e si rese quindi in Venezia per passarvi tranquillamente il resto dei suoi giorni. Nel 1780, compose un Te Deum che fu cantato dinanzi a Pio VI, e quivi morì nel 1783. Pochi anni prima aveva composto un Requiem che servir doveva pe' suoi funerali, e di cui mandonne copia in Dresda al cel. Schuster. Quest'opera dà a divedere la forza che conservava ancora in un'età molto avanzata. Le sue composizioni per teatro, per chiesa, per camera sono innumerabili: egli ha messo in musica tutti i drammi del Metastasio, sino a due tre ed anche quattro volte, e può dirsi che il suo stile appartiene al secol d'oro della musica, in cui il semplice e 'l naturale bastavano per incantare l'orecchio e soddisfare il gusto. La riputazione, ch'egli acquistossi, corrisponde interamente al suo merito. Hasse era d'una bella figura: aveva un cuore eccellente, e molta nobilezza ne' suoi sentimenti. In Napoli la familiarità, ch'egli contrasse col Marchese Vargas uomo di gran letteratura e religioso insieme, fecegli abbjurare ancor giovane [198] gli errori di Lutero ed abbracciare il cattolicismo (Mattei el. di Jommel.).

Hasse (Faustina Bordoni) moglie del Sassone, nata in Venezia fu una delle più famose cantanti del sec. 18º, ammirata da per tutto ove cantava sulla moderna maniera del Bernacchi, la di cui scuola impegnossi a propagare. In Firenze si arrivò sino ad improntar una medaglia in suo onore; cantò in Vienna e in Londra coll'appuntamento di 12500 scudi. A Dresda sposò il cel. Hasse, che ella aveva inteso nel 1727 in Venezia, e preso avevalo sin d'allora sotto la sua protezione.

Haudenger, nel 1782 eseguì a Manheim un tonometro inventato dal cel. ab. Vogler. Quest'instromento, approvato dall'accademia delle scienze di Parigi, può essere sostituito al monocordo de' Greci. Il tonometro mostra con la più grande precisione, se le proporzioni di un tuono all'altro sono più vicine, più semplici, più piacevoli, ovvero se sono più distanti e meno aggradevoli. (V. Alman. Music. 1783, p. 58.)

Hawkins (John), dotto Inglese ed amatore di musica in Londra sua patria, fu uno di quegli uomini rari, che co' loro talenti e colle eminenti virtù sociali si sono resi commendevolissimi. Egli aveva ereditata dal dot. Pepusch una collezione considerevole di opere teoriche e pratiche di musica. Questa collezione unita a una gran quantità di notizie, ch'egli aveva raccolto per lo spazio di 16 anni, poselo in istato di comporre l'eccellente opera col titolo A general history ec., cioè Storia generale della scienza e pratica della Musica, in 5 grossi vol. in 4º, Londra 1776, che dedicò e presentò egli stesso a S. M. Brittannica. L'edizione presso Payne ne è superba, sì per l'impressione, come per i rami di musica e dei ritratti di 58 celebri artisti con la loro biografia: è un peccato che non se ne sia fatta una traduzione nè in Francia, nè [199] in Italia. Hawkins è morto di paralisia nel 1789, in età di 70 anni.

Haydn (Giuseppe), nacque nel 1732 in un villaggio dell'Austria detto Rohrau da un fabbricator di carri e da una cuoca, ambi cattolici, e tale visse e morì l'Haydn, esattissimo osservatore dei doveri della sua Religione. Mostrò sin da fanciullo molta disposizione per la musica, ma la sua povertà non gli permise di aver un maestro: comperatisi i libri teorici del Mattheson, del Fux, del Bach e del Kirberg, si mise a svolgere giorno e notte quelle carte, e a capirne ciò che poteva. Questo metodo di solitaria ricerca contribuì non poco a fargli scoprire delle cose nuove, delle combinazioni non indicate, de' modi felici e peregrini. Egli s'aprì delle vie sconosciute, principalmente pella collocazione degli accordi, pella maniera di condurre le cantilene, non che di piantare ed intrecciare le fughe, per cui, sostenuto dal suo ricchissimo ingegno, apparve poi quell'originale cui tutta la musica Europea ha preso per suo modello. Tale e tanto era il piacere che l'Haydn provava in questi suoi studj e tentativi, che povero come era, gelando di freddo e morto di sonno accanto del suo sdruscito cembalaccio, diceva d'esser più felice di un re, e non aver conosciuto poi in vita sua felicità maggiore. Il giovane Haydn, tanto smanioso d'imparare quanto povero di mezzi trovò il modo d'insinuarsi in Vienna in casa di Corner ambasciadore di Venezia, con cui abitava il cel. Porpora. Egli si mise a far di tutto per entrare in grazia di quel lurido Napolitano stizzoso ed ottenerne i sospirati armonici favori. La mattina pertempo balzava da letto e spazzava l'abito, puliva le scarpe del Porpora e gli raffazzonava la decrepita parrucca. Questi, uomo poco socievole ed oltremodo rozzo di maniere, gli regalava in premio delle rampogne; ma vedendosi servito per nulla, e conoscendo nel modesto [200] giovinetto molta disposizione e gran brama d'istruirsi, si lasciava commovere a sbalzi, e gli dava qualche buon lume e precetto, sia pel canto, sia per l'accompagnamento, massimamente che doveva accompagnare spesso le difficili sue composizioni, dotte e di bassi non facili ad indovinarsi. Nel tempo stesso, egli esaminava le partiture del profondo Eman. Bach; beveva i precetti di Fux; ne carpiva dal Porpora, interrogava per molte e molte ore della notte il suo fido clavicembalo, e faceva attenzione a quanto udir poteva di lodata musica di altri autori. A questo modo imparando da tutti: e non procedendo sotto l'immediata direzione di nessuno, giunse a formarsi uno stile tutto suo, e ad ottenere il pregio d'essere originale, capace di produrre, come lo fece, una rivoluzione nella musica instrumentale, aprendo nuove strade ignote ai Greci, a' Fiamminghi, agli Italiani, ed a quanti lo precedettero antichi e moderni. Cominciò da prima a scrivere de' Trio, che subito per la singolarità dello stile, ed il lecco che li condiva, scorsero per le mani di tutti. Le belle ideine dell'Haydn, che aveva allora poco men di vent'anni, il suo brio, le sue veneri, le licenze che si prendeva, gli eccitarono contro tutti i barbuti legislatori di musica. Si credette trovare in quelle composizioni errori di contrappunto, modulazioni ereticali, e mosse troppo ardite. Ma l'Ercole in fascie non temeva i serpenti, e prese anzi maggior concetto di se per la guerra che gli facevano maestri di tanto grido, si pose ad arricchire ed a perfezionare tanto più quel suo stile, ch'era stato capace di far nascere sì fatto romore, e pubblicò nuove produzioni, le quali ben presto spuntarono i denti alla critica, rendendo insieme circospetta l'invidia, ed estatica l'arte. Fra questo mentre ebbe egli la fortuna di convivere coll'unico fra i poeti che mancasse agli antichi, ed una stessa casa accolse allora il primo poeta del secolo, [201] ed il primo sinfonista del mondo. Il Metastasio era nato col buon gusto nelle vene: ogni suo detto lo spirava. Amante ed intelligentissima di musica, quell'anima sovranamente armonica gustava i talenti del giovane tedesco, e gli dava coraggio e precetti, oltre all'insegnargli, conversando la lingua italiana. Haydn l'apprese sì bene, che nelle sue composizioni italiane non isbagliò mai un accento; errore, dal quale non vanno esenti talvolta i più vantati fra i maestri d'Italia. Entrò egli dipoi in casa del principe Esterhazy, appassionato filarmonico, e dovizioso, che aveva al suo servizio una scelta e numerosa orchestra, alla cui testa fu posto Haydn; onde agiatissimo divenne, e proseguì con più gloria la sua carriera. Dividonsi le fatiche dell'Haydn in tre classi: le musiche instrumentali, le sacre e le teatrali. Nelle prime fu primo fra tutti. Nelle seconde aprì una nuova scuola che in mezzo a' suoi difetti di genere, gareggia con qualsisia delle prime. Nelle terze non fu che stimabile: ed in queste fu imitatore, laddove nelle altre era creatore. Gli angusti limiti d'un articolo non ci permettono di fare un dettaglio di tutte le sue produzioni in tutti i tre generi, che sono innumerabili. Haydn fu due volte in Londra e riscosse non che gli applausi, ma l'ammirazione dell'Inghilterra: spesso gli avvenne che gli Inglesi facendoglisi da presso, lo misuravano cogli occhi dalla testa sino a' piedi, e lo lasciavano gridando: You are a great man, voi siete un grand'uomo. Il d.r Burney fu il primo che propose all'Haydn di farsi ricevere dottore ad Oxford. L'indomani della sua nominazione, Haydn diresse la musica. Dacchè egli mostrossi, una sola voce di tutti si alzò: Bravo Haydn! Hendel dopo trent'anni di dimora in Inghilterra non aveva ottenuto l'onore di esser promosso al dottorato di Oxford. In quest'occasione Haydn compose uno di quei [202] suoi dotti scherzi, ai quali aveva la mano sì avvezza, cioè un foglio di musica, che leggendosi a capriccio da sopra, da sotto, da mezzo, dai lati, in fine come si voleva, formava sempre una cantilena, ed un periodo giusto e compito. L'accademia de' filarmonici di Bologna, quelle delle scienze di Stokolm e d'Amsterdam, l'Istituto nazionale di Francia, le società filarmoniche di Modena e di Lubiana recaronsi a gloria l'annoverare Haydn tra' loro membri. Egli cessò di vivere li dì 31 Maggio del 1809, in età di 77 anni. Una religione pura ed operosa formò le qualità morali di questo rispettabile uomo, la sua modestia, la sua bontà, la niuna invidia per gli emuli, l'affetto ai parenti, alla patria, ai padroni; la sua purità di costumi, serbata in mezzo al fuoco dell'immaginazione, ed alla tenerezza del cuore, la sua carità verso i poveri; in somma l'essere stato l'Haydn nel sec. 18º un gran genio ed insieme un gran galantuomo. La sua musica sulle sette parole di N. S. sulla croce, il suo Stabat, l'oratorio della Creazione, senza parlare delle sue sinfonie, e musica strumentale, di cui può dirsi il creatore, sono i monumenti più durevoli dell'arte, e i veri titoli all'immortalità dell'autore. Haydn è l'Ariosto della musica: il suo stile riunisce tutti i generi arditamente. Vola il suo genio per tutt'i sentieri. La sua immaginazione apre i tesori d'ogni bellezza, e ne dispone a sua voglia. La sua musica è una magica dipintura, la quale presenta ad ogni tratto il maraviglioso ed il seducente, accompagnati da una varietà senza pari, ed animati di colori vivissimi e sì bene accordati fra loro, che incantano. Se alla sua musica teatrale, benchè buona e talvolta ottima, manca in generale quell'estro, quella naturalezza, quel brio, quel marchio da creatore che risplende nella sua musica instrumentale, e ne' suoi oratorj, come pure nelle Messe, ragion [203] ne è, che costretto a moderare la sua facoltà inventrice giusta le idee del poeta, ed a contenere il suo sapere instrumentale, si trovò quasi dimezzato l'ingegno, e quasi fuori della sua strada. Egli stesso quasi quasi confessava la sua mediocrità teatrale, dicendo però, che se avesse potuto passare in Italia qualche anno e sentirvi que' sommi cantanti, e più di proposito studiar que' maestri, egli credeva che sarebbe riuscito a distinguersi nella musica da teatro, quanto lo aveva fatto nella instrumentale. A tutti i biografi dell'Haydn, il Diez, il Griesinger tedeschi, M. Framery, e M. le Breton francesi, è in ogni conto preferibile l'italiano Carpani sia per l'esattezza delle notizie comunicategli dallo stesso Haydn, sia ancora per le grazie del suo stile, e soprattutto per un quadro di mano maestra ch'egli offre della storia letteraria dell'arte, e per l'imparzialità de' suoi ben fondati giudizj: in questo articolo noi l'abbiamo seguito, anzi parola per parola trascritto.

Haydn (Michele), minor fratello del precedente sortì come lui dalla nascita un deciso genio per la musica, e divenuto uno de' più profondi scrittori di musica da chiesa fu maestro di cappella del principe Vescovo di Salisburgo, ove morì nel 1806. Essendo venuto in pensiero a M. Friedberg amantissimo di musica e versato nell'arte, di aggiungere le parole ed il canto all'enfatica e divina musica instrumentale delle sette parole di Haydn, si rivolse per tal fine al di lui fratello Michele, e questi, come dissi, profondissimo nella sua scienza, accettò l'arduo impegno. Friedberg compose le parole, e Michele, senza toccar nulla della musica strumentale, la fè diventare accompagnamento, aggiungendovi il canto a 4 voci e a tutto rigore e precisione di contrappunto. Riuscitogli a maraviglia il lavoro, lo inviò al fratello, e questi non solo l'approvò, ma lo fece eseguire più volte; [204] e lo lasciò correre di poi nel pubblico come fatica sua, dando così al fratello la più lusinghiera prova del grandissimo conto che ne faceva. Costui, finchè visse, ben lungi dal lagnarsene, andò superbo di questa approvazione di fatto, datagli dal celebre suo fratello di carne e di mestiere (Carpani lett. 7). Il maestro Hiller fece eseguire in Lipsia una superba messa di Michele Haydn, di cui vi ha ancora più concerti, sinfonie e quartetti pregiatissimi.

Hendel (Giorgio), nato a Halle, fu un celebratissimo compositore tedesco nella prima metà del secolo 18º. Dopo il 1708, venne in Italia, e scrisse pe' teatri di Firenze, di Venezia, di Roma e di Napoli con incredibile successo. Tornato in Germania e passato quindi in Inghilterra fu tenuto dovunque in grande stima. Giorgio I, pel suo merito lo ritenne in quell'Isola col trattamento di 400 lire sterline per anno. Sulla fine de' suoi giorni perdè la vista, ma conservò in quel tristo stato il suo fuoco e la sua vivacità, e compose sempre, dettando le sue idee al maestro Smith. Sei giorni innanzi la sua morte eseguì uno de' suoi oratorj. Egli morì nel 1759; e fugli eretto un superbo monumento nella badia di Westminster, ove è sepolto in mezzo alle tombe dei re. Per perpetuare la memoria di questo gran maestro si fa dal 1784 in poi annualmente in Londra una gran musica, e vi si eseguisce da un'orchestra di più di 600 musici qualche di lui composizione. Sin dal 1785, s'intraprese in Londra di pubblicare, per sottoscrizione, una collezione compita delle opere di Hendel, impresse con nuovi caratteri di musica, a cui precede il suo ritratto. Hendel, era di grande e nobil persona, e tutto fuoco: lasciò a suoi parenti in Germania 20 mila lire sterline di beni, e mille ne legò egli all'istituto de' soccorsi in Londra. Walther, [205] Mattheson, Burney e più altri hanno scritto la di lui vita, presso i quali può leggersi il lungo catalogo delle sue opere. Oggidì un gustaccio pessimo farebbe sghignazzar taluni, se lor si proponesse lo studio delle carte di Hendel e di tali altri maestri di quel tempo. E pure confessava l'Haydn al suo amico Carpani che udita in Londra la musica dell'Hendel, ne fu tanto colpito che si pose da capo a' suoi studj, come se non avesse nulla saputo fino a quell'ora. Egli ne meditò ogni nota: ed attinse a que' dottissimi spartiti il succo della vera grandiosità musicale. Racconta lo stesso Carpani, che trovandosi vicino all'Haydn, quando si eseguiva il Messia di Hendel, ed ammirando quegli uno di quei bellissimi cori, l'Haydn gli disse, quest'è il papà di tutti. “Dall'Hendel apprese Haydn a levarsi maestosamente, a grandeggiare nelle idee, ad avvicinarsi all'inarrivabile scopo de' suoi canti.” Fra le maraviglie dell'Hendel una sempre mi ha fatto la più gran sensazione (è sempre Carpani che parla); ed è che gli accompagnamenti di esso sono scritti a tre e non più, e pure sono così armoniosi e sonori. Il tutto sta nel primo violino e nel basso: ma non v'è in essi nota che, per servirmi d'una frase del Gluck, non tiri sangue. Hendel non usò sempre gli strumenti da fiato: così pure facevano il Pergolesi, il Leo, il Vinci, e la musica loro era sempre tanto piena d'armonia. Semplicità e forza andavano del pari nelle loro composizioni. Di tutti noi, diceva l'immortale Mozart, Hendel sa meglio quel che riesce di un grand'effetto. Quando vuole, egli va e colpisce come un fulmine.

Hennequin, distinto meccanico, francese di origine, nel 1790 viveva, a Dresda, e da 20 anni prima vi si occupava della soluzione del difficile problema di rendere gl'instrumenti a corde, incapaci a scordarsi. Coll'ajuto di Trincklin giunse nel 1785 al [206] segno, che il tentativo fattone sul forte-piano fu approvato da' migliori virtuosi di Dresda.

Herbin (Giuliano), nato a Parigi nel 1783, mostrò le più felici disposizioni per lo studio: oltre la profonda cognizione delle lingue orientali, leggeva gli autori originali greci, latini, italiani ed inglesi. All'età di 21 anni fu ricevuto come membro dell'Istituto delle scienze, belle lettere, ed arti di Parigi, e morì a 23 anni nel 1806; oltre a molte opere abbiamo di lui Traité sur la musique ancienne, ch'egli compose insieme con M. Villoteau, e pubblicata a Parigi nello stesso anno di sua morte 1806.

Herder (Giov. Giorgio), consigliere del supremo concistoro di Weimar, morto circa 1804. Noi non parleremo che delle sue opere; nelle quali direttamente tratta della musica: De l'esprit de la poésie des Hébreux, 2 vol. 1783, il secondo tomo contiene le seguenti dissertazioni: Della musica de' salmi; sulla musica, appendice estratta dalle opere compiute d'Asmus; Riunione della musica, e della danza, per il canto nazionale. In un'altra sua opera intitolata: Feuilles éparses, cap. 2, 1786 evvi una Dissertazione sulla quistione, se produce più effetti la pittura o la musica. Ne' suoi Frammenti, nelle sue Selve critiche, nella Dissertazione Sull'origine delle lingue, e in un'altra Sulle cause della corruzione del buon gusto presso differenti nazioni, vi ha gran numero di preziose osservazioni, di cui il musico può farne l'applicazione alla sua arte.

Herschel, nato ad Hannover, da prima direttore di musica ed organista a Bath in Inghilterra, e in oggi primo astronomo del secolo. Egli non si occupò da principio dell'astronomia che nelle sue ore di ozio, come ancora della fabbrica degli istrumenti d'ottica; ma riuscitogli alla fine di scoprire il pianeta del sistema solare, a cui si è dato di poi il nome di Uranus, rinunziò alla musica [207] per consecrarsi interamente all'astronomia, cui ha arricchita di sue numerose scoverte. Il resto della vita di questo valentuomo assai celebre appartiene alla storia dell'astronomia. Allorchè Haydn passò in Londra, Herschel già suo collega d'arte lo accolse con somma distinzione, e l'onorò di sua amicizia.

Hertel (Giov. Gugl.), celebre compositore tedesco, che ha dato tra' suoi saggio di buon gusto, sì nella musica vocale che strumentale nel p. p. secolo. Egli morì d'apoplesia a 63 anni di sua età nel 1789. Oltre a molte opere di pratica stimatissime, pubblicò egli in sua lingua a Lipsia: Raccolta di scritti sulla musica, 1758, contenente alcune dissertazioni critiche, ed osservazioni estratte dall'italiano e dal francese, sul teatro e la musica di queste nazioni.

Hessel, meccanico di Pietroburgo. Molti virtuosi si erano provati invano di applicare dei tasti all'armonica: egli giunse nel 1785 ad effettuar quest'idea, e a formare in sì fatta maniera un nuovo strumento, a cui diè il nome di Clavi-Armonica.

Heumann (dott. Cristoforo Augusto), nato nella Turingia, fu ispettore del Ginnasio di Gottinga, e vi pubblicò più opere di letteratura. Nel 1726 diè al pubblico: De Minervâ Musicâ, sive de eruditis cantoribus, in 4º. Nel suo Conspectus reipubblicæ literariæ, publicato ad Hannover nel 1746, in 8vo, nel quinto capitolo dà in breve la Storia letteraria della musica.

Heyden (Sebaldo), rettore della scuola di Norimberga, e maestro di musica assai dotto del 16º secolo, pubblicò quivi de arte canendi, di cui ve ne ha tre edizioni: e Musicæ Stichiotis, in 8vo, che nelle ristampe va ancora col titolo d'Institutiones musicæ.

Hiller (Giov. Adamo), direttore e professore di musica in Lipsia, studiò da prima quest'arte a Dresda, sonava [208] più strumenti e riusciva molto nel canto, ma quel che più contribuì a formare i suoi talenti, fu il sentire l'esecuzione per 9 anni di 14 drammi del Sassone, e lo studio continovo di tali partiture. Nel 1758, venne in Lipsia per istudiarvi legge, ma proseguì a coltivare la musica, e molta colà ne compose sì strumentale che vocale. Egli occupossi principalmente alla teoria musicale, e pubblicò una Dissertazione sull'imitazion della natura in musica. Nel 1760, diè i suoi Divertimenti di musica, la prima opera periodica di pratica che comparisse in Allemagna. Nel 1771, stabilì una scuola di canto in Berlino per le donzelle, e quattr'anni dopo una società particolare di amatori, ove non si eseguivano che le opere de' maestri più celebri, che in Germania ha servito di modello. Più opere didattiche e letterarie di lui ci rimangono scritte in sua lingua: Istruzione per cantar giustamente ed elegantemente con esempj, 2 vol. in 4º. Sulla musica e i suoi effetti, traduzione dal francese con note, in 8vo 1781. Biografia di autori di musica e di celebri virtuosi degli ultimi tempi, Lipsia 1784, in 8vo. Notizia sulla rappresentazione del Messia oratorio di Hendel, eseguito nella cattedrale di Berlino da un'orchestra di 300 musici, e da lui diretto, 1786 in 4º. Tre Dissertazioni sulla musica antica e moderna, con osservazioni sul testo del Messia di Hendel, Berlino 1787, oltre molta sua musica pratica, e la traduzione per piano-forte di alcune composizioni classiche di cel. maestri, come dello Stabat di Haydn, dei Pellegrini di Hasse, della Passione di Graun ec. Nel 1789, egli era direttore di musica di S. Tommaso in Lipsia.

Hire (Fil. de la), professore di mattematica nel collegio R. di Parigi, morto nel 1718, era gran matematico e valente astronomo. Nelle di lui Mémoires de matemathique et de physique, Paris 1694, in 4º, evvi un [209] trattato col titolo: Explicatio diversorum sonorum, quos chorda super instrumentum musicum edit, ec. Nelle Memorie dell'Accademia delle scienze 1716, vi ha di lui inoltre: Experiences sur le son.

Hirschfeld (Cristiano), professore di filosofia nel collegio di Kiel, pubblicò nel 1770: Plan d'une histoire de la poesie, de la musique, de la peinture et de la sculpture parmi les Grecs, in 8vo.

Hofmeister (Franc. Ant.), maestro di cappella e mercante di musica in Vienna, è celebre ancora come compositore. Sin dal 1785, egli pubblica ciascun mese un foglio periodico, intitolato: Souscription pour le forte-piano, ou le clavecin. Quest'opera forma una collezione di quartetti, di concerti, di variazioni di Haydn, di Mozart, di Vanhall, e dello stesso Hofmeister.

Holberg (Luigi barone d'), morto in Parigi nel 1754, era della Norvegia: nel corso de' suoi viaggi fu ricevuto membro dalla società di Oxford. In Parigi prese amicizia col P. Castel, e fu da lui istruito sulla pretesa musica de' colori. Malato di quartana, usò, ma in vano, tutti i mezzi di guarirne, quando un giorno al tornare di un concerto, in cui aveva provato sommo piacere, trovossi interamente ristabilito.

Holder (William), dottore in teologia, e autore di un'opera intitolata: Of the natural grounds etc. cioè Sulle ragioni naturali e i principj dell'armonia, Londra 1694 in 8vo.

Holfeld, meccanico di Berlino quivi morto nel 1771. Sulzer ha fatta la descrizione d'un nuovo istrumento inventato da Holfeld all'Accademia di Berlino, nel di cui gabinetto di macchine ne fa il vero ornamento, destinato a notare e scrivere i pezzi di musica, a misura che si eseguiscono sul cembalo. “Io aveva detto solo a quest'uomo quasi unico per le invenzioni di meccanica (dice Sulzer), che desiderava ch'egli provasse il suo genio intorno a questa macchina, di cui nel 1749 Unger in una lettera [210] all'Accademia ne aveva data solo l'idea. Tre settimane dopo Holfeld fece trasportare in mia casa l'istrumento totalmente compito. Dal dettaglio, che io ne darò, i conoscitori vedranno che questo genio quasi unico per l'invenzione sapeva eseguire per le vie le più semplici delle cose, che priachè si fossero vedute, sembravano quasi impraticabili. Questa macchina consiste in due cilindri applicati al forte-piano, in maniera che uno riceve la carta che si svolge dall'altro canto mentre si suona.” Memoir. de l'Acad. de Berlin 1775, t. 27. Egli è inoltre l'inventore di un cembalo a corde di budello, sotto le quali trovasi un arco guarnito di crine, che vien messo in moto da una piccola rota; lo stesso M. Sulzer lo presentò al re di Prussia.

Holzhaver (Ignazio), nato in Vienna, dove studiò il contrappunto sotto la direzione del cel. Fux: ma per acquistare più cognizioni e formare il suo gusto viaggiò più volte nell'Italia, fu in Venezia, in Milano, e in Roma nel 1756, per sentire principalmente la cappella del Papa, venne in Firenze, in Bologna e nuovamente in Venezia, e s'avvide che da per tutto in Italia cominciava a dicadere sensibilmente la scuola del canto. In Torino scrisse per il R. teatro la Nitteti nel 1757, ed ebbe molto successo: l'anno d'appresso scrisse per Milano l'Alessandro nell'Indie, e la sua musica fu con tale entusiasmo ricevuta, che fu quivi ben 30 volte replicata. Nel 1776, compose più opere per il gran teatro di Manheim, e divenne maestro di cappella dell'elettor palatino. Quivi egli morì nel 1783, in età di 72 anni. La Giuditta, la morte di G. C. ed il giudizio di Salomone, e molte messe di lui sono pregiatissime.

Hullmandel (Niccola), uno de' primi sonatori di forte-piano dell'Europa, di cui sono state impresse due opere per quest'instrumento nel [211] 1780. Egli è il primo, dice M. Gretry, che ha unito le due parti delle sue sonate, di modo che non si ripetano servilmente: un passaggio intermedio vi unisce spesso le due parti per non farne che una. M. Hullmandel è l'autore dell'articolo Clavecin nell'Enciclopedia metodica della musica, e nel 1791 era stabilito in Londra.

Hurlebusch (Federico), nato a Brunswick, fu da prima maestro di cappella del re di Svezia, e quindi stabilì la sua dimora in Amsterdam. Per formarsi nel gusto della musica, percorse egli giovane per tre anni l'Italia, dove cominciò il suo Trattato dell'armonia, che terminò e diè al pubblico a Brunswick nel 1726. Le sue composizioni sono così piene zeppe d'arte, e di bizzarrie, che secondo l'espressione di Lustig, se ne rimangono in magazino come pietre. Egli è morto circa 1770.

Huyghens (Cristiano), dotto olandese e gran matematico del secolo 17º, figlio di Costantino Huyghens, consigliere del principe d'Orange, ed autore di un trattato impresso a Leide nel 1641 Dell'uso ed abuso degli organi. Cristiano sin da' più teneri anni studiò sotto la direzione di suo padre, le mattematiche, la geometria e la musica. Delle sue opere faremo solo quì menzione del Novus Cyclus harmonicus, che può anche leggersi nel tom. IV, dell'Histoire des ouvrages des savans, Leyde 1724, in 4º. Egli morì all'Haja nel 1695.


J

Jackson (Will.), compositore di musica e scrittore di molto spirito, nato a Exeter, ove morì nel 1803 in età di 73 anni. Dopo di aver ricevuta un'ottima educazione, studiò i principj della musica sotto il maestro della cattedrale di Exeter, e perfezionossi quindi sotto la direzione di Travers, celebre maestro di Londra. Nel 1777 divenne maestro della cattedrale del suo paese, e venne [212] riguardato in Inghilterra come uno de' migliori compositori del suo tempo. Nel 1769, pubblicò in Londra Songs op. 7, e l'anno d'appresso la sua opera 9, di sonate pel forte-piano con violino, cantici, inni, odi, e un'elegia a tre voci. Le sue produzioni letterarie sono: On the present state of music, cioè: Dello stato attuale della musica, in 12º, di cui vi ha una seconda edizione; Trenta lettere sopra diversi soggetti, che hanno avuto tre edizioni; Le quattro età in 8vo, e Diversi Saggi ec.

Jacob (M.), morto in Parigi nel 1770, allievo di Gaviniès, pubblicò l'anno d'innanzi Nouvelle méthode de musique, in cui confuta l'ab. de la Cassagne nel sistema dell'unica chiave ch'egli propone: M. Jacob ne dimostra l'impossibilità.

Jamard, canonico di S. Genevefa, nel 1769 pubblicò in Parigi Recherches sur la théorie de la musique, in 8º, in cui sviluppa il sistema di Ballière; testo e comento inutili.

Jamblico di Calcide, filosofo su i principj del IV secolo, ebbe per maestri Anatolio e Porfirio, e fu come essi della setta dei nuovi Platonici, i quali ai delirj degli antichi filosofi univano le loro mistiche insensataggini. Essi non trascurarono di coltivare la musica, ma alla maniera de' Pittagorici inviluppandola di numeri: così Jamblico nella sua opera intitolata: Delle cose fisiche, morali e divine, che si osservano nella dottrina dei numeri, impiegato aveva l'ottavo libro ad una Introduzione alla musica secondo la dottrina de' Pitagorici. Non è stato certamente gran danno l'essersi perduta: egli ne fa menzione nel suo Comento sull'aritmetica di Nicomaco, e nella vita di Pitagora. Tratta egli inoltre nel suo libro de' Misteri, de' mirabili effetti della musica, e ne attribuisce la cagione all'aver essa, oltre del naturale, qualche cosa del divino (V. Sect. III, c. IX, edit. Oxon. Th. Gale).

Jarnowick, l'allievo favorito [213] del cel. Lolli, di sangue italiano, sebben nato e allevato in Parigi, il suo vero nome era Giornovichi. Giustezza, purità, eleganza era il distintivo carattere di questo abilissimo violinista: egli riusciva particolarmente nel genere brillante e piacevole: per il corso di dieci anni l'entusiasmo dei francesi per Jarnowick fu di moda, ma quindi disparve al segno che questo gran virtuoso fu obbligato a lasciare la Francia, e nel 1782 era egli al servigio del principe reale di Prussia. Il maestro Wolf, nella relazione de' suoi viaggi, descrive i trasporti co' quali sentivasi ogni volta questo virtuoso in Berlino, dove egli lo conobbe. Vi sono di lui impresse 7 sinfonie, e 9 concerti di violino: egli è morto in Pietroburgo nel 1804. Ecco alcuni aneddoti intorno a questo celebre artista. Un dì trovandosi egli presso Bailleux editore e mercante di musica, ruppe per inavvertenza un vetro. Chi spezza i vetri li paga, gridò Bailleux. È ben giusto, ripigliò Jarnowick, che bisogna darvi? — Trenta soldi. — Prendete, ecco tre lire. — Ma non mi trovo di che darvi il resto. — Ebbene, siamo saldi, replicò Jarnowick, e spezzonne nel tempo stesso un altro. In un viaggio ch'egli fece a Lione, annunziò un concerto a sei franchi per biglietto. Vedendo che non si presentava alcuno, stabilì di trar vendetta dell'avarizia de' Lionesi; rimise perciò all'indomani il concerto, e a tre franchi per biglietto. Questa volta vennero in folla: ma al momento di dar principio, non si vide Jarnowick e venne avviso ch'egli era partito per le poste. Kosolowiski compose la musica funebre, che fu eseguita nella chiesa cattolica di Pietroburgo nel 1804, per l'esequie di Jarnowick, e cantata da' migliori musici, tra' quali la cel. Mad. Marà.

[214] Jommelli (Niccola) nacque nello stesso anno che Gluck nel 1714, in Aversa, città nelle vicinanze di Napoli, dove studiò i primi elementi della musica sotto il canonico Muzzillo. In età di sedici anni fu messo in educazione in Napoli, nel conservatorio de' Poveri di Gesù, e di poi nell'altro della pietà sotto i bravi maestri Prota e Feo: ma non contento ancora di questi, cercò il Jommelli d'apprender da Leo il grande, il sublime della musica, e ben si scorge dagl'intendenti, che egli ha fatto grandissimo studio sulle carte del gran Leo, e che spesso ha rivestito di miglior colorito gli stessi disegni del suo precettore. Costui già uomo di una riputazione ben stabilita, e superiore all'invidia, nel 1736 in occasione, che si concertava una cantata del Jommelli [215] in casa di una di lui discepola, trasportato dal piacere, e quasi fuor di se, Signora, le disse, non passerà molto, e questo giovane sarà lo stupore, e l'ammirazione di tutta Europa. Leo andò dunque più volte a sentir quella musica nel teatro nuovo, predicando, che i suoi presagi si sarebbero in brieve avverati. L'Odoardo scritto da Jommelli all'età di 24 anni pel teatro de' Fiorentini ebbe maggior incontro: la fama cominciò a divulgare il suo nome fra gli esteri, e fu chiamato in Roma nel 1740, sotto la protezione del cardinale duca di York. Scrisse ivi il Ricimero, e nel seguente anno l'Astianatte pel teatro di Argentina col più felice successo. Nell'anno stesso chiamato in Bologna scrisse l'Ezio, e mentre colà dimorava non trascurò di frequentare il P. Martini: giuntovi appena andò egli a ritrovarlo senza farsi conoscere, pregandolo di ammetterlo tra' suoi scolari. Gli diede il Martini un soggetto di fuga, e nel vederlo così eccellentemente eseguito: Chi siete voi, gli disse, che venite a burlarvi di me? anzi vogl'io apprender da voi.Sono Jommelli, sono il maestro, che deggio scriver l'opera in questo teatro: imploro la vostra protezione. Il severo contrappuntista, gran fortuna, rispose, del teatro di avere un maestro come voi filosofo; ma gran disgrazia è la vostra di perdervi nel teatro in mezzo ad una turba d'ignoranti corruttori della musica. Jommelli confessava di aver molto appreso da quest'illustre maestro, e specialmente l'arte d'uscire da qualunque imbarazzo, o aridità, in cui si fosse ridotto un maestro, e di trovarsi in un nuovo spazioso campo a ripigliare il cammino, quando si credea, che più non ci fosse dove andare. Espressioni sincere, dice il Mattei, che io ho inteso più volte da lui medesimo, ed egualmente mi confessava, che al Martini mancava il genio, e che suppliva coll'arte laddove mancava la natura. Dopo di avere [216] scritto il Jommelli nuovamente in Roma ed in Napoli con incredibili applausi, fu chiamato in Venezia, ove la sua Merope ebbe tal riuscita, che quel Governo, per quivi stabilirlo, lo diè per maestro al Conservatorio delle figliuole, per il quale scrisse varj pezzi di musica sagra, e deesi tra questi rimarcare il Laudate pueri a due cori di 4 soprani e 4 contralti, la cui esecuzione, dopo quasi 70 anni ch'è scritto, riempie tuttora di ammirazione, e di diletto e il volgo, e i dotti; egli è un capo d'opera di espressione e d'armonia. Nel 1749, scrisse l'Artaserse per l'Argentina in Roma, e l'oratorio della Passione per il cardinale di York: fu chiamato in quello stesso anno in Vienna, per scrivervi l'Achille in Sciro e la Didone. Fu incredibile il piacere del Jommelli, che desiderava di abboccarsi col gran Metastasio, prender lumi da lui, come quegli che co' suoi drammi avea contribuito a far tant'alto levare la musica. Con lui passò egli tutto il tempo che dimorò in Vienna, e vantavasi quindi molto più aver egli appreso dalla conversazione di quel divino poeta, che dalle lezioni del Feo, del Leo, del Martini. Egli stesso fatti aveva de' buoni studj e componeva con felicità de' buoni versi. Profittò ancora più dopo alcune istruzioni del Metastasio, ed ecco come della sua musica della Didone, composta in Vienna, scrisse allora quel gran poeta alla sua principessa di Belmonte: Andò in iscena la mia Didone, ornata d'una musica, che giustamente ha sorpresa ed incantata la corte. È piena di grazia, di fondo, di novità, di armonia, e sopra tutto di espressione. Tutto parla sino a' violoni, e a' contrabassi. Io non ho finora in questo genere inteso cosa, che m'abbia più persuaso. In un anno e mezzo di sua dimora in Vienna, Jommelli ebbe più volte l'onore di accompagnare al cembalo l'Imperatrice M. Teresa, la quale fece levar via lo sgabello [217] senz'appoggio, e sostituire una sedia per lui: lo colmò di doni, tra' quali un anello col di lei ritratto guernito di grossi brillanti. Il gran Lambertini nel 1750 vacando il posto di maestro di S. Pietro, volle che l'occupasse il Jommelli, a preferenza di tanti bravi concorrenti sì romani, che esteri: ed egli nel solo spazio di tre anni, dopo i quali rinunziò a quell'onorevole posto, arricchì di moltissime carte la musica di chiesa. Può leggersene il lungo catalogo nell'elogio di lui scritto dal Mattei, a cui ci rimettiamo eziandio per il rimanente delle sue composizioni da teatro e da chiesa, scritte dopo quell'epoca per le Corti di Stuttgart, di Madrid, di Lisbona, di Torino e di Napoli. Ma Napoli questa ingrata patria, Napoli fu l'occasione della morte di sì grand'uomo. La sua Ifigenia scritta per quel teatro nel 1773, e pessimamente eseguita in sua assenza, diè campo alla malevolenza e all'invidia di scagliarsi contro al suo autore come già per vecchiezza rimbambito e disutile. Il disgusto ch'egli ne risentì, malgrado la sua filosofica moderazione, gli cagionò un accidente di apoplesia, da cui non perfettamente rimesso scrisse tuttavia il divino suo Miserere tradotto in versi italiani dal Mattei, a due voci, col solo accompagnamento di due violini, violetta e basso, capo d'opera dell'arte, ed immortale come lo Stabat del Pergolese, di cui poteva veramente vantarsi l'autore: Exegi monumentum ære perennius... Non omnis moriar. Era scorso già un anno, quando un secondo colpo di apoplesia lo tolse di vita a' 25 agosto del 1774. Fu egli di ottimi costumi, buon cristiano, buon cittadino, e di una coltura non ordinaria fra le persone del suo mestiere. In mezzo a' furori dell'invidia, ei non seppe dir mai una parola contro di alcuno: modesto ne' suoi giudizj, superiore alla rivalità non negò i dovuti elogj ai gran maestri suoi contemporanei. Egli [218] era di grande e corpulenta persona; il dot. Burney, che lo vide ne' suoi viaggi, dice ch'ei singolarmente rassomigliava a Hendel, ma che era molto più di costui pulito ed amabile. La di lui musica si distingue per uno stile tutto suo proprio, per una immaginazione sempre feconda di nuovi concetti sempre lirici, e di voli veramente pindarici: egli passa da un tuono all'altro d'una maniera tutta nuova, inaspettata e dottamente irregolare: se pecca alle volte di troppa arte e difficoltà, la sua difficoltà è del genere di quella di Pindaro; non tutti sono in grado di comprender Pindaro e molto meno d'imitarlo. Pindaro vola per mezzo alle nubi, chi si fiderà di seguirlo? diceva Orazio. (Mattei, elog. di Jomm.) Ecco quel che conciliò al Jommelli gli elogj de' conoscitori e de' filosofi, e gli fè perdere alle volte quelli del volgo.

Jones (William), musico dei nostri giorni in Londra, ove nel 1786 diè al pubblico: Treatise on the art of music, etc. cioè: Trattato della musica, e Corso di lezioni disponenti alla pratica del basso continuo, e della composizion musicale (V. Monthly Review, 1786).

Jones (Eduardo), circa 1790, pubblicò in Londra: Musical and Poetical Relics etc. cioè: Avanzi di musica e di poesia de' poeti del paese di Galles, conservati o per tradizione, o per i MSS. autentici, che non sono stati sinora pubblicati. Quest'opera, di cui si trova una ben dettagliata analisi nel Monthly Review, mese di gennaro 1786, contiene de' materiali preziosi per l'antica storia della poesia e della musica, e del paese di Galles, su la quale evvi una particolar dissertazion dell'A. in fronte dell'opera.

Jorissen (Gius.), abbiamo di costui una Dissertazione col titolo: Nova methodus surdos reddendi audientes, Halæ 1757; nella quale vi ha molte osservazioni sulla propagazione del suono per mezzo di materie solide [219] (Chladni, Acoust. p. 317).

Jortin, dottore in musica a Londra nello scorso secolo, di cui vi ha una lettera sulla musica degli antichi Greci, nella seconda edizione del saggio di Avison (V. Burney, Diss.).

Josquin Desprez, in latino Jodocus Pratensis, nato nel Belgico circa 1450, è stato riguardato come il più abile maestro dell'antica scuola fiamminga: ammirato da' suoi contemporanei, servì di modello a' suoi successori. I didattici del suo secolo e quelli delle generazioni d'appresso, appoggiarono i precetti loro sulla di lui autorità ed esempj. Heyden, Glareano, Zarlino, Artusi, Cerone, Zacconi, Berardi, Bononcini, e fin anco il P. Martini, a' nostri giorni, lo citano a ciascun foglio: se oggidì non è più alla cognizione che di pochi eruditi, si è perchè nello spazio di tre secoli, che sono scorsi dalla di lui morte, la musica ha subito infinite rivoluzioni: perchè generalmente i musici hanno pochissimo zelo di sapere tutto quel che riguarda la storia dell'arte loro, e perchè la mancanza di buoni libri su tale argomento, specialmente nella nostra lingua, ne renderebbe loro l'istruzion malagevole, quando anche ne avrebbero la voglia. Forkel nella eccellente sua Storia della musica (in tedesco, Lipsia 1790) dà dei lunghi dettagli intorno a Josquin e le sue composizioni. Adamida Bolsena dice ch'egli fu nella cappella pontificia al tempo di Sisto IV, cioè dal 1471 sino al 1484.


I

Ibico, uno de' principali poeti lirici della Grecia, nacque in Messina da un cittadino di Reggio. Egli, come tutti i poeti di que' tempi, era ancora eccellente musico. Neante di Cizico ed Euforione presso Ateneo (lib. 4, e 14), affermano ch'egli fu inventore d'un istrumento triangolare di quattro corde che rendeva un suono acuto, ed a cui si diè poi il nome di Sambuca lirofenicia. Ibico fu ucciso da' ladri in un bosco della Calabria quattro secoli innanzi l'era volgare. Dicesi che sorpreso da costoro, e sul punto di essere ucciso, vide egli passare uno stuolo di grue: oh cielo! sclamò, voi sole sarete testimoni della mia morte. I ladri essendo di poi assisi nel teatro, videro passare alcuni di questi uccelli, e sovvenendosi delle parole d'Ibico, dissero fra loro come per ischerno, ecco le grue d'Ibico. Il loro detto svegliò negli astanti la memoria del perduto poeta, ed il sospetto del delitto: i ladri furono arrestati, esaminati, convinti e condannati, onde restò in proverbio le grue di Ibico, presso a' Greci e a' Latini giureconsulti, per dinotare una cosa per convincenti indizj manifesta (Fabric. B. G. t. 14).

Ippaso di Metaponte filosofo musico e scolare di Pitagora, fioriva cinque secoli prima innanzi l'era cristiana. Teone di Smirna (cap. 12, Harmon.) narra ch'egli, e Laso d'Ermione ritrovarono gl'intervalli del loro maestro col porre or più, or meno d'acqua in diversi bicchieri, e formando così il diapason, il diatessaron ec. (V. Requen. t. 1, p. 174). Più conforme al vero è forse [220] però l'altra invenzione dello stesso Ippaso, che ci viene narrata da uno scoliaste di Platone in un frammento pubblicato recentemente dal Morelli (Ex Bibl. Ven. D. Marci præf.). Prendeva egli quattro piatti di bronzo del medesimo diametro, ma di grossezza diversa, sicchè il primo forse sesquiterzo del secondo, sesquialtero del terzo, e doppio del quarto, battendo questi quattro piatti formava una sinfonia, o accordo. Questi ed altri fatti degli antichi, fanno vedere quanto grossolanamente eglino pensassero nella parte acustica, e come opinassero su le armoniche proporzioni.

Irhov (Gugl.), nel 1728 pubblicò a Leyde Conjectanea in Psalmorum titulos, in 4º. In questo trattato intraprende a provare che la musica artificiale non deriva da' Greci; ma da' popoli Orientali, e principalmente dagli Ebrei o Caldei: che da quest'ultimi l'apprese Pitagora, e ci vengono i più antichi nomi dei musicali istromenti.

Isouard (Nicolò), nato in Malta circa 1775, di una ricca e distinta famiglia, fece i suoi primi studj in Parigi del latino, del disegno, e delle matematiche, e da M. Pin apprese a sonare il forte-piano, ma scoppiata essendo la rivoluzione, lasciò Parigi nel 1790, e tornò in Malta. Suo padre lo applicò allora al commercio, ma il suo gusto naturale, e le buone accoglienze che gli venivano fatte nelle compagnie per la sua abilità sul cembalo, lo impegnarono a proseguire i suoi studj di musica; Vella e Azopardi, noto pel suo trattato di composizione furono quivi i suoi maestri. Da Malta passò in Palermo alcuni anni, come giovane di banco presso il Sig. Mattei negoziante; nelle sue ore d'ozio continuava i suoi studj sotto la direzione del Sig. Amendola valente maestro palermitano, [221] e allora fu che ebbi l'onore di conoscerlo, e sentirlo sonar più volte. Quindi si rese egli in Napoli presso Cutler ed Heigelin, negozianti tedeschi, ma non ostante la perseveranza dei suoi parenti a dirigerlo verso il commercio, il suo irresistibil pendio alla musica fecegli compire questi studj in quella città sotto il cel. Sala. Mediante la principessa di Belmonte, a cui era stato raccomandato, ottenne dal gran Guglielmi, che colà allora ritrovavasi, alcuni consigli per applicare alla composizione drammatica le cognizioni da lui acquistate sotto i maestri di contrappunto. La brama di farsi un nome nella musica lo decise allora, malgrado il volere de' suoi parenti, ad abbandonar il commercio per seguir senz'ostacolo la nuova carriera, alla quale destinavasi. Passò in Firenze, e vi scrisse la sua prima opera l'Avviso ai maritati, il cui prodigioso successo vie più il confermò nella sua risoluzione, solo, per non opporsi al padre, prese il partito di dare in appresso tutte le sue opere musicali sotto il nome di Nicolò, che gli è rimasto e sotto il quale è generalmente conosciuto. Il gran maestro dell'ordine di Malta Rohan sentito avendone i successi, lo richiamò presso di se, e dopo la morte di San Martino lo nominò maestro di cappella dell'ordine, impiego ch'egli esercitò sino all'arrivo de' Francesi. L'ordine essendo stato abolito in quell'epoca, il gen. Vaubois, che avevalo conosciuto e mostrato avevagli particolar benevolenza, lo condusse seco a Parigi come suo secretario. Sia per seguire il suo proprio gusto, sia per rendersi utile alla sua numerosa famiglia emigrata seco da Malta, si risolse a darsi interamente alla scena francese, e ne studiò i modelli nelle partiture di Monsigny, e di Gretry, di cui ammirava i capi d'opera. Egli riconosce l'acquisto delle cognizioni nell'arte di applicare la musica alla poesia drammatica, all'intima unione [222] ch'egli ha fatta con M. Hoffman, ed a' consigli di quest'illustre letterato. Egli aveva scritto in Malta messe, salmi e mottetti per la cappella di S. Giovanni, e otto diverse cantate composte d'ordine di S. A. E. il gran maestro Rohan: più opere in Italia per i teatri di Firenze, di Livorno, ec. e dal 1802 sino al 1811 molte opere in Francia, di cui la più parte ha ottenuto il più gran successo. Possiede in oltre al più alto grado l'arte di sonar il piano-forte, e l'organo, come ancora l'armonica e molti altri strumenti.

Iunker (Carlo-Luigi), nato a Æringen, fu prima precettore nel Filantropino di Heidesheim, e dopo il 1779 cappellano della corte a Kirchberg. Egli si è reso illustre per molte opere di teoria e di pratica e di storia musicale. Nel 1776, diè al pubblicò in lingua tedesca la Biografia di 20 compositori; nel 1777, Un Abbozzo o Saggio di musica, in 8º. Nel 1778 Considerazioni sulla Pittura, sulla Musica e la Scultura, in 8º. Nel 1782 Alcuni principali doveri di un Maestro di Cappella, o direttor di musica, in 12º. Nel 1786, Sul pregio della Musica. Oltracciò nelle Mizzellaneen artistichen ec. ossia Miscellanee di alcuni soggetti d'arte di Meusel vi ha di lui una Dissertazione sulla musica vocale, tom. V; Nel Museo per gli artisti del medesimo autore, Osservazioni sull'arte musica in un viaggio da Augusta a Monaco, pag. 20; Osservazioni ec. in un viaggio a Ludwisburgo e Stutgart, pag. 69; Della ricompensa dell'Arte, p. 3; Notizie di Giov. Marziale Greiner, p. 25; Giovani musici del nostro tempo, p. 27; Registro delle belle cappelle in Monaco, p. 31 in lingua tedesca. Tra le sue composizioni vi sono impressi due Concerti per il forte-piano, con accompagnamento, ed alcune fantasie per lo stesso instromento.


[223]

K

Kahler (Martino), Dott. in medicina della R. accademia svedese, negli Atti della quale trovasi un di lui Trattato sulla malattia detta il ballo di s. Vito, e sulla maniera di guarirla per mezzo della musica. Egli racconta di essere stato nella Puglia l'anno 1756, di avere osservato esattissimamente questa malattia, e prova che essa non deriva già dal morso della tarantola, ma di una specie d'ipocondria ed isterìa propria degli abitanti del golfo di Taranto. Egli dà la storia di tal malattia, che dura spesse volte due e anche tre anni o più: che in una data stagione, e principalmente nel giugno chi ne è affetto, risente più forti i sintomi della medesima: che cade allora nell'animo suo ch'egli sia stato morso dalla tarantola, ed è opinione comune non potersi questo male guarire se non colla musica: probabilmente, dice l'A., perchè Galeno l'adoperò già come rimedio contro il morso delle vipere, scorpioni ec. Viene dunque un sonatore: l'infermo comincia a far le battute, poi v'aggiunge urla e strida, e si mette finalmente a ballare. Quanto più inveterata e grave è la malattia, tanto più dura il ballo, e delle volte per due ore continue. Se il musico falla un tuono, il ballatore manda un grido fierissimo ed assume un aspetto orrendo. D'indi in poi, l'ammalato dee per tre giorni ballare ogni dopo pranzo, e a ciò lo muove una certa musica particolare. Se finiti i tre giorni non sente più sì fatto bisogno, egli è libero d'ogni incomodo, e sta benissimo di salute per un anno intiero: tornata poi la stagione, ricomincia la stessa pratica. Sono cotesti musici per lo più medici giurati. Soggiornando il D. Kahler a Taranto fece venire a se due del paese onde imparare tal musica. Una fanciulla, la quale non si seppe mai se fosse ammalata, passò a caso per quella stanza, e tosto sentiti [224] quei suoni si diede a ballare tre intieri quarti d'ora. Possono vedersi le ragioni dell'A. in quel suo trattato, o presso quello Dell'influenza della musica ec. del D. Lichtenthal p. 54, per provare che non è se non pregiudizio, l'attribuire tutti questi sintomi al morso della tarantola, e che siano piuttosto gli effetti d'una particolare specie d'ipocondria, a guarir della quale giova molto la musica.

Kaiser (P. L.). Nato a Francfort, viaggiò per due volte in Italia per apprendervi il buon gusto della musica: nel 1784 vi si fece distinguere per la squisitezza della sua maniera nel sonare il forte-piano, e delle sue composizioni, nelle quali riconoscevasi facilmente lo stile di Gluck, che egli prese ad imitare. Stabilitosi quindi a Winterthur nella Svizzera, sino al 1790 pubblicò colà Canzoni allemanne con melodie. Omaggio al ritratto del Gluck, nel Mercurio allemanno del 1786; Due sonate in sinfonie pel cembalo, con accompagnamento di un violino e due corni, Zurigo 1784. ec.

Kalkbrenner (Cristiano), nato a Munden nel 1755, dall'età di 14 anni diessi esclusivamente allo studio della musica sotto il cel. Emmanu. Bach, tra' di cui numerosi allievi si distinse al segno di esser ricevuto ancor assai giovane nella cappella dell'elettore di Hassia-Cassel. Dominato da una focosa immaginazione, e divorato principalmente dalla nobile ambizione di accrescere le sue cognizioni musicali, si rese alla corte di Berlino, ove la regina e 'l principe Arrigo, fratello del gran Federico, gli affidarono la direzione del teatro francese, per cui compose egli moltissime opere con incredibil successo. Nel 1796, percorse alcuni circoli della Germania, e come da gran tempo lo bramava, viaggiò ancora per l'Italia e quindi si rese in Francia. Parigi divenne il termine de' suoi viaggi e de' suoi successi. Ricevuto poco dopo all'Accademia [225] imperiale di musica, vi scrisse diverse opere in musica. Egli morì li 10 agosto 1806, di sua età 51. Possedeva a fondo la teoria dell'arte, e pubblicò primamente in Berlino: Traité de accompagnement: Traité de la fugue et du Contrepoint, d'apres le sisteme de Richter, in Parigi: opera mediocre, che può riguardarsi come un ristretto di quella di Fux. Vi ha di lui in oltre: Histoire de la Musique, in 2 volu. in 8.º, a Paris 1802. L'autore, benchè tedesco, l'ha scritta in lingua francese non ispregevole: ella è piena di ricerche curiose, ma l'A. non ebbe il tempo di terminarla: vi si desidera la porzione più interessante, quella cioè che da Guido d'Arezzo si estende sino a' nostri tempi. Nella storia della musica dei Greci l'A. non si allontana in oltre da' comuni pregiudizj. Federico Kalkbrenner suo figliuolo nato nel 1784, è riguardato in Parigi come uno de' migliori allievi di M. Adam sul forte-piano, di cui vi sono impressi concerti, capricci e sonate a quattro mani pregiatissime, e alcuni drammi in musica.

Kausch (Giov. Gius.), dottore in Filosofia e in medicina, nato a Loewenberg nel 1751, è autore d'una Dissertazione molto interessante intitolata: Psychol. Abhandlung etc. cioè: Riflessioni psicologiche sull'influenza de' suoni, e particolarmente della musica sulle affezioni dell'anima, a Breslavia 1782, ed un'altra Sullo scopo immediato delle belle arti, in 8º.

Keeble (John), organista della chiesa di S. Giorgio in Londra, dopo il 1759, era allievo del cel. Pepusch, quel gran partigiano della musica greca. Keeble adottò il sentimento del maestro, e l'ha sviluppato in un'opera assai ben scritta, che fu impressa in Londra nel 1784, col titolo: The theory of harmonics; or an illustration of the Grecian harmonica, in two parts. Teoria [226] della musica, o spiegazione di quella dei Greci, 2 vol. Nel 1º tomo tratta dell'armonia secondo i principj del preteso Euclide, d'Aristosseno e di Bacchio il seniore, nel 2º vol., dell'armonia, ch'egli stabilisce su i principj della ragione (V. Monthly Review 1785).

Keil dottor, ha calcolato che in alcune voci, i ristringimenti e le dilatazioni della glotta, sono sì prodigiosamente tenui, che quest'apertura, la quale non ha più d'una decima d'un pollice, è divisa in più di 1200 parti; ed un orecchio esatto distingue il suono differente di ciascuna. Quale delicatezza di tensione non deve esservi nelle fibre! Non è lo stesso d'una voce ordinaria, che non percorre altrettante divisioni.

Keiser (Reinhard), nato in Lipsia nella Sassonia, cel. compositore de' suoi tempi, morto nel 1739. Scheibe dice, che Mattheson chiamava Keiser il primo compositore di opere in musica nell'universo; e Teleman assicura che Hendel ed Hasse si sono formati non solo sopra di lui, ma che hanno profittato spesso delle sue invenzioni. Lo stesso Sassone confessava al D. Burney, che aveva scritto più di Scarlatti, e che le sue melodie, malgrado i cambiamenti che 50 anni portato aveano nella musica, erano così armoniose che potevansi frammischiare all'altre moderne senzachè gl'intendenti medesimi potessero accorgersene (Travels, t. 2). Gli Alemanni pretendono, che la Germania, l'Inghilterra e la stessa Italia a lui debbano la perfezione della melodia. Cheche ne sia, è pena che perdute si fossero le costui opere impresse, qualche arietta che rimane non può farci giudicare dell'asserzione de' tedeschi.

Kellner (David), pubblicò in Amburgo un'opera col titolo: Leçons fidèles de Basse continue, in 4º, 1732, della quale vi ha non meno che cinque edizioni, l'ultima è del 1773. Giov. Cristoforo Kellner figliuolo di [227] David, maestro della cappella cattolica della corte a Cassel apprese da suo padre la musica e la composizione dal celebre Benda. Sino al 1785, egli aveva date al pubblico 15 opere di sonate, trio e concerti per il forte-piano, molti oratorj e cantate per chiesa. Si è fatto anche conoscere come autore per la sua Istruzione teorica e pratica per apprendere il basso continuo, ad uso de' principianti, pubblicata in tedesco nel 1788.

Ken (Tommaso), dotto vescovo di Bath in Inghilterra, benchè avesse molto gusto per la poesia e la musica, nulla trascurava frattanto per adempire a' doveri del suo ministero, istruiva il suo popolo e con ispezialità il clero, istituì delle scuole, e lasciò molte opere che sono state raccolte nel 1721 in 4 vol., fra le quali vi ha un Discorso sulla musica sacra. Di lui si rapporta che ogni giorno all'alzarsi del letto cantava un Inno a Dio accompagnandolo col suo liuto. Morì nel 1711 a Longleat.

Keplero (Giov.), cel. astronomo e mattematico nato a Wied nel 1571, e morto in Ratisbona nel 1630. Nella sua opera Harmonica mundi impressa a Linz in Austria nel 1619, egli tratta a lungo delle proporzioni armoniche e degli elementi del canto. Vi ha poca solidità nella sua dottrina, e molti pregiudizj, come allorquando s'impegna a provare che il movimento de' corpi celesti e l'armonia nella musica posano sugli stessi principj di teoria.

Kirberg, autore tedesco di un'opera teoretica sulla musica, di cui racconta il Carpani, che Haydn avendolo studiato ne' suoi primi anni ne rimase poco contento, perchè parevagli che lo imbrigliasse troppo collo scrupoloso suo rigore (Lett. 3).

Kircher (Atanasio), gesuita, nato a Buchow nel principato di Fulda, fu da prima professore a Wirzburgo, poi in Avignone, e finalmente in Roma, ove morì [228] nel 1680 in età di 78 anni. Tra le molte sue opere piene d'una profonda erudizione, e notabili per le singolarità che vi accumula, due sono da rimarcarsi intorno alla musica: 1. Musurgia universalis sive ars magna consoni et dissoni, Romæ 1660, 2 Vol. in fol.; 2. Phonurgia nova de prodigiosis sonorum effectibus, et sermocinationes per machinas sono animatas, Kempten 1682, in fol. “Quest'uomo originale non si curò d'altro, che di sorprendere il pubblico con invenzioni d'ogni sorta. Acuto, ingegnoso, riflessivo, studioso in ogni genere di scienze e d'arti, non trascurò neppur la musica. Egli fu de' primi a leggere la raccolta de' greci armonici, ed a pubblicare le tavole delle loro note musicali. Meibomio che si preparava a pubblicarne la raccolta ne restò talmente sorpreso, che da furibondo grammatico si scagliò contro Kircher, e lo trattò d'impostore: ma la sua bile è fuor di proposito. Kircher nelle sue opere di musica contentossi di facilitare a' moderni contrappuntisti la loro arte, e di agevolarla ai pratici colle invenzioni di organi maravigliosi” (Requen. Prefaz.). Ma in queste sue opere alcune viste ingegnose, alcuni fatti curiosi compensano di raro l'ammasso di cattivi ragionamenti e di peggior fisica, in cui sono sommersi: niuno si fa più a leggerle, perchè quasi nulla insegnano. Lo spirito di critica che presiede oggidì allo studio e alla discussione de' fatti e de' monumenti dell'antichità ha condannato all'oblio tutte le pie visioni di Kircher, e le sue opere non hanno ottenuto tutta la confidenza, che i lunghi travagli e la vasta erudizione del loro autore meritar dovevano alle medesime. Egli era alcun poco visionario, e rimaneva contento, purchè trovasse delle cose, che niuno prima di lui aveva dinotato. Di ciò ne sia un saggio l'aver ridotto a note musicali nella sua Musurgia le diverse specie di febbri, alle quali soggiace il corpo umano. Il [229] pensamento è proprio dell'ingegno dell'A., dice Eximeno; ma io credo che i medici non vorranno far partecipi i maestri di cappella dell'usufrutto delle nostre miserie, chiamandoli per far la battuta mentre ci tastano il polso.

Kirchmaier (Teodoro), dottore in filosofia della facoltà di Wittemberga, dove nel 1673 pubblicò un'opera col titolo: Schediasma fisicum de viribus mirandis toni consoni, in 4º. È divisa in 3 capitoli, nel primo tratta del potere dell'armonia nel muovere gli affetti; nel secondo della forza che ha il suono di commuovere e fin di rompere i corpi; e nel terzo di curare i morbi.

Kirnberger (Giov. Filippo), dotto musico nato nella Turingia, e morto in Berlino in qualità di musico di camera della principessa Amalia di Prussia a 27 luglio del 1783, in età di 62 anni. Benchè non mancasse nè di gusto, nè di abilità nella pratica della sua arte, negli ultimi venti anni di sua vita non si occupò che della teoria della musica. Ecco il catalogo delle sue opere scritte da lui in tedesco: Costruzione della temperatura equilibrata, 1760. Il temperamento di Kirnberger è uno de' più cattivi, dice M. Chladni, perchè contiene 9 quinte esatte, e 'l comma pitagorico è molto inegualmente ripartito sopra 3 quinte. Bisogna notar ciò, perchè l'autorità di Kirnberger, celebre con ragione per altro come armonista, ha fatto, che molti autori hanno adottati de' falsi principj (Acoustique, p. 39). 2. L'arte della composizione pura, secondo positivi principj spiegati con esempj, 1774. Il secondo volume di quest'opera ha tre parti, 1776. 3. Principj dell'uso dell'armonia, 1773. 4. Principj del basso continuo come primi elementi della composizione, con molti rami, 1781. 5. Idee intorno a differenti metodi di composizioni, ec. 1782. Egli ha fondato una scuola in Germania, ed ha sottomesso ad un nuovo sistema tutt'i principj [230] dell'armonia. 6. Istruzione per apprendere la composizione del canto, Berlino 1782. A lui si dee finalmente la più parte degli articoli di musica, che contengonsi nel 1º vol. della teoria delle belle arti di Sulzer.

Klein (Giov. Giuseppe), avvocato e maestro di cappella ad Eisenberga, nel 1783 pubblicò a Gera Versuch ec. cioè: Saggio d'una istruzione sistematica della musica pratica. E nel 1785, Libro di musica semplice, con una introduzione su questo genere di musica e 'l suo uso nel servizio divino.

Klinghammer (J. C.). Nel 1777, aveva incominciato a pubblicare a Salzwedel, un'opera periodica sotto il titolo di Idee intorno alla musica teoretica e pratica, in tedesco: ma egli non continuò l'intrapresa.

Klockenbring (Feder. Arnoldo), secretario della cancelleria di Hannover, dove pubblicò nel 1787, in sua lingua: Dissertazioni diverse in 8vo. Le seguenti sono relative alla musica: 1. Sullo stato della musica ne' paesi nuovamente scoverti nel mare del Sud, e particolarmente sulla differenza del sistema d'intervalli di que' popoli dal nostro; 2. Lettera d'un dilettante di musica su la questione: Se le giovani persone di buona famiglia debbono apprender la musica, e come? 3. Risposta d'una dama all'autore della precedente lettera. Il primo raccomanda la teoria dell'arte; la dama, per contrario, insiste sulla pratica.

Klotz, celebre fabbricante d'instromenti, era scolare di Steiner. I suoi violini, molto apprezzati, imitano così bene la costruzione di quelli di Steiner, ch'è quasi impossibile il distinguer gli uni dagli altri.

Koch (Arrigo-Cristiano), nato a Rudostaldt, fu musico di camera di quel principe, e maestro di concerto. Nel 1782, fece quivi imprimere [231] Essai d'instruction pour l'art de la composition, 2 vol. in 8vo. Questo trattato è scritto con molto metodo e con chiarezza; il secondo volume è del 1787.

Koch (Cristoforo-Arrigo) nel 1802 pubblicò in Lipsia un Lexicon musicale, scritto in tedesco in 2 vol. in 8vo. Quest'opera puramente dogmatica ha ottenuto la stima dei teorici. L'autore ne ha dato un Compendio in un vol. in 8vo, Lipsia 1807.

Koenig (Giov. Ulrico), dopo aver terminati i suoi studj a Stuttgard e nelle università di Tubinga, e d'Heidelberga, diè le prime prove de' suoi sublimi talenti nella poesia; si rese quindi a Dresda, e conciliossi talmente il favore del re di Polonia, che lo fece consigliere di corte, e gli accordò ancora i titoli di nobiltà. Egli morì colà nel 1744. Amava molto la musica, e nel suo soggiorno in Hamburgo e a Dresda acquistato aveva delle cognizioni molto estese in quest'arte. A questa predilezione di Koenig per la musica dee la Germania due de' suoi più gran maestri, Hasse e Graun, ch'egli onorò di sua protezione. Nell'appendice delle opere di Besser vi ha di Koenig una pregevole dissertazione Sur la comparaison du rhythme dans la poesie et dans la musique.

Kolmann (A. F.), maestro di cappella di S. James a Londra, ha pubblicato nel 1809, a Offenbach un'opera in due lingue, inglese e tedesca, col titolo: A practical guide to thorough bass; cioè Guida pratica del basso generale, assai pregiata dagl'intendenti.

Kolz (Matteo), autore dell'Isagoge musicæ, ossia Introduzione alla musica. Prinz cita questo trattato fra le altre opere impresse, che a motivo della estrema lor rarità, ha egli stesso trascritto. Quest'autore è de' principj del secolo 17º.

Kozeluch (Leopoldo), maestro di cappella in Vienna, nato in Boemia nel 1753. Di nove anni fu mandato per fare i suoi studj a Praga, e [232] vi apprese nello stesso tempo il cembalo, e 'l contrappunto. Nel 1771 fece i primi saggi de' suoi talenti musicali in età di 18 anni con scrivere de' balli per quel teatro, ch'ebbero gran successo, quindi venne a stabilirsi in Vienna. Kozeluch è uno de' più stimati compositori de' nostri giorni, e deesi convenire ch'egli merita la gran riputazione che si è acquistata. Distinguonsi le sue composizioni per il brio e le grazie dello stile, per la più nobile melodia unita all'armonia più pura e 'l più aggradevole ordine per rapporto al ritmo ed alla modulazione. Egli ha scritto moltissime opere per teatro sì italiane che francesi ed allemanne, per la più parte impresse: molte sonate e concerti per cembalo assai pregiati, e molta musica strumentale d'uno squisito gusto.

Krause (Crist. Godofredo), avvocato nel senato e ne' tribunali francesi in Berlino, era figlio di un maestro di musica nella Silesia, alle cui lezioni dovette egli la sua grande abilità nell'accompagnare col violino e col cembalo. Nel 1748, egli pubblicò in Berlino: Lettre sur la difference entre la musique italienne et françoise, in 8vo. Nel 1782 De la poésie et de la musique, in 8vo. Quest'opera è stimatissima. Pensées diverses sur la musique, e trovansi inseriti ne' tomi II, e III, della Critica di Marpurg. Egli è autore in oltre di buona musica sia vocale sia strumentale impressa.

Krause (Giuseppe), morto a Stockolm nel 1792, maestro di cappella del re di Svezia: era allievo dell'ab. Vogler. Giovane studiò con gran zelo le scienze in molte università dell'Allemagna; ma il suo pendio per la musica gliele fece abbandonare del tutto. Per perfezionarsi viaggiò per quattr'anni sino al 1787, in Inghilterra, in Italia e in Francia, ove i suoi talenti lo fecero apprezzare e stimar da per tutto. [233] Egli compose l'eccellente musica della Didone, gl'intermezzi di Amfitrione, e la musica funebre per l'esequie e sepoltura di Gustavo III.

Krommer (Franc.), uno de' recenti compositori di musica stromentale che per lo studio delle divine carte di Haydn è più riuscito ad imitarne lo stile. Vi sono di lui impresse 50 opere consistenti in sonate, trio, quartetti ec. L'ultima è comparsa in Parigi nel 1805. Nelle di lui composizioni si trova dell'originalità ed una bella melodia; ma vi ha alle volte abuso di modulazioni, ed un poco di guazzabuglio armonico. Carpani lo dice uno de' scrittori dotti insieme e melodiosi. V. l'articolo di Haensel.

Kruger (Giov. Gottlieb). Nel magazzino musicale di Hamburgo del 1737, p. 363 si trova di lui una dissertazione intitolata: Anmerkungen etc., cioè: Note fisiche intorno ad alcuni soggetti relativi alla musica.

Kuhnau (Giov.), maestro di musica di S. Tommaso in Lipsia. Sin da' più teneri anni sviluppò i talenti che ricevuti avea dalla natura sì per le scienze, che per la musica. A Dresda la sua familiarità con la famiglia del maestro di cappella italiano Albrici oltre il vantaggio di studiare le costui composizioni da lui comunicategli, ebbe quello di apprender ben presto la lingua italiana, che unicamente parlavasi in quella casa. Il titolo di allievo d'Albrici fecegli gran fortuna in Lipsia, dove grandemente furono ammirate le sue composizioni. Kuhnau coltivò nello stesso tempo le matematiche, l'algebra, e le lingue greca ed ebrea in quell'università: tradusse quivi più opere dall'italiano e dal francese, e scrisse inoltre più opere sì teoriche che pratiche. Egli morì sulla medietà dello scorso secolo. Le sue opere sono: Dissert. de juribus circa musicos ecclesiasticos, in 4º, Il ciarlatano in musica, Lipsia, [234] 1700, in 12º, Tractatus de monochordo seu musica antiqua ac hodierna etc., Introductio ad compositionem musicalem, e Disputatio de triade harmonicâ: oltre molte opere di pratica.


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  ERRORI CORREZIONI
Pag.    
10 e quello a quello
24 esser da tutti esser letto da tutti
39 le Nozze di Titi le Nozze di Teti
40 quindecesimo quindicesimo
58 uno de' più, giureconsulti. uno de' giureconsulti
85 applaudisca applica
ivi Balayrac Dalayrac
88 venne a cavare venne a vacare
91 sul cammino diatonico del tuono, sul cammino diatonico del basso l'accordo convenevole a ciascun grado del tuono
104 di cui ne ha dato d di cui ne ha dato il
106 intelligibili inintelligibili.
122 a causa accusa
134 Pleyer... Bianchini Pleyel... Bianchi
141 ana una
153 profonda profondo
158 abbia potuto abbiano potuto
164 per mezzo ch'è stato per mezzo di un pendolo ch'è stato
181 traspottossi trasportarsi
199 all'art. Holfeld, dopo le parole ne fa il vero ornamento, si aggiunga: — destinato a notare e scrivere i pezzi di musica, a misura che si eseguiscono sul cembalo.
223 acciò a ciò

[236]

AVVISO A' LETTORI

Per uno sbaglio del tipografo sono stati omessi gli articoli de' due Grimaldi da Messina celebri costruttori di cembali, come ancora del rinomato nostro violinista Sig. Andrea Grimaldi, che col suo stromento fa oggidì le delizie de' buoni conoscitori di questa Capitale; si daranno però nel Supplemento dell'ultimo tomo. L'autore si è fatto in oltre un dovere di presentare a' suoi Lettori in questo volume l'Esame delle riflessioni critiche sul di lui Dizionario. Sembran elleno, a suo avviso, nate non già da una giudiziosa critica atta ad istruire, e rischiarar vie più il soggetto, ma da uno spirito di contenzione e di malevolenza. L'autore ne rimette la decisione al sano ed imparziale giudizio de' suoi Lettori.

NOTE

1. Potrebbe dimandarsi, se egli ha fatto dei rumori come Frate? e si risponderà che ne ha fatti ancora più. E come Medico? ne farà forse più grandi in appresso. Ma ciò non s'appartiene al presente argomento.

2. Un dovere di riconoscenza esigge, che io quì dichiari tutta la stima e 'l rispetto, che io ho per la religiosa società, di cui è membro il mio Censore. Ella ha il merito di avere prodotti sommi uomini nelle lettere, e nelle scienze, e molto io le devo per aver compito nelle sue scuole tutto il corso degli studj.

3. È bene il rilevar quì dei vezzi della buona lingua di questo dotto pedante. Nè Rousseau, nè Eximeno, nè altri come loro han pensato ec.

Nota del Trascrittore

Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, così come le grafie alternative (Paisiello/Paesiello, matematica/mattematica, clavicembalo/gravicembalo, strumento/istrumento/instrumento, stromento/istromento/instromento e simili), correggendo senza annotazione minimi errori tipografici. Le correzioni indicate dall'autore a pag. 235 sono state riportate nel testo.

L'ordine alfabetico non è corretto a pag. 71 (la voce "Cleaver", erroneamente scritta "Claaver" nell'originale, precede "Clamer").

Per comodità di consultazione un indice schematico è stato inserito all'inizio del volume.

Sono stati corretti i seguenti refusi (tra parentesi il testo originale):

7 nacque a Lecce [Lecci]
9 ed abate di Senones [Seuones] nella Lorena
12 Campioni [Gampioni] (Carlo-Antonio)
32 un Tanneguy Le Fèvre [in Tanneguì le Fevre]
60 sopra 21 di larghezza [lunghezza]
71 Cleaver [Claaver] (William)
158 Son questi di quei svarioni [stravioni] così singolari