Title: Annali d'Italia, vol. 7
Author: Lodovico Antonio Muratori
Release date: July 20, 2018 [eBook #57549]
Language: Italian
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ANNALI
D'ITALIA
7
DAL
PRINCIPIO DELL'ERA VOLGARE
SINO ALL'ANNO 1750
COMPILATI
DA L. ANTONIO MURATORI
E
CONTINUATI SINO A' GIORNI NOSTRI
Quinta Edizione Veneta
VOLUME SETTIMO
VENEZIA
DALL'I. R. PRIVILEGIATO STAB. NAZIONALE
DI GIUSEPPE ANTONELLI ED.
1846
[9]
Anno di | Cristo MDCLXXV. Indiz. XIII. |
Clemente X papa 6. | |
Leopoldo imperadore 18. |
L'anno fu questo del giubileo romano, aperto con gran solennità da papa Clemente X, non avendo mancato il santo padre di contribuir molte limosine in alimento de' poveri pellegrini, di lavar loro i piedi e di regalarli. Più ancora avrebbe desiderato di fare, se la nemica podagra non l'avesse per lo più sequestrato in letto. Il concorso de' popoli non fu molto, perchè in troppi paesi bolliva la guerra, ed era in certa maniera cessata da gran tempo la novità di quella santa funzione. Gran tempo ancora continuò in Roma il dibattimento della controversia insorta fra il cardinale Altieri e gli ambasciatori delle corone, per l'editto pubblicato intorno alla nuova imposta della dogana. Ma finalmente nel luglio dell'anno presente, coll'interposizione del cardinale Colonna, ebbe fine, con aver dichiarato esso Altieri, non essere mai stata sua intenzione di comprendere in quell'editto i ministri delle corone, e che il papa farebbe sapere ai lor padroni che [10] non era mai stata diversa la mente sua, con altri ripieghi di rispetto verso gli ambasciatori suddetti. La politica del mondo coll'empiastro delle bugie suol bene spesso sanar le piaghe. Si potea sulle prime terminar questa battaglia colla confessione di ciò che, detto colle labbra, ma non col cuore, sì tardi venne alla luce. Un grave sconcerto accadde nell'anno presente in Toscana. A Cosimo III gran duca avea la gran duchessa Margherita Luigia d'Orleans partoriti due principi, cioè Ferdinando primogenito e Gian-Gastone, ed una principessa, cioè Anna Maria Luigia, che fu col tempo elettrice palatina. Fra questi due nobilissimi consorti sorsero dissensioni ed amarezze tali, che passarono ad una irreconciliabil divisione. Comunemente si credette che la vedova gran duchessa madre del duca, cioè Vittoria dalla Rovere, non approvasse la libertà franzese della nuora, e movesse il figlio a far delle doglianze. Savio principe sempre fu il gran duca Cosimo. Disgustata ritirossi la giovine gran duchessa in una casa di campagna con animo risoluto di tornarsene in Francia; ma fu ivi fermata e custodita dalle guardie postevi da esso gran duca, il quale non lasciò d'interporre, quanti mai [11] seppe, ambasciatori e cardinali per rimuoverla da questo disegno, e persuaderle la riunione; ma senza che riuscisse ad alcuno di far breccia nel suo cuore.
Andarono le ragioni dell'una e dell'altra parte a Parigi; e il re, a cui non piaceva di disgustare un sovrano di tanto riguardo, e nè pur voleva abbandonare una principessa sua cugina, spedì a Firenze il vescovo di Marsiglia, sperando che alla di lui eloquenza e destrezza, sostenuta dal carattere di suo inviato, potesse riuscire di riconciliar gli animi loro. Ma questo prelato perdè la carta del navigare in tutto il suo negozio, trovandosi più che mai ostinata nel suo proponimento la gran duchessa. Sì fatte durezze cagion furono che il marito anch'egli concepì una gran ripugnanza a riunirsi con chi ne mostrava tanta verso di lui; e però venne alla risoluzione di lasciarla andare con un convenevole, cioè ricco annuo assegnamento. Ma prima restò concertato col re Cristianissimo, di consenso di lei medesima, che essa in Francia si eleggerebbe un chiostro per passarvi il resto de' suoi giorni, senza poter comparire alla corte. Sul fine dunque di giugno, servita da tre galee, arrivò questa principessa a Marsiglia, portando in Francia una rara bellezza e insieme una egual saviezza; passò dipoi a chiudersi senza rigorosa clausura nel monistero di Montmartre, dove il re e tutta la famiglia reale furono a visitarla. Questo divorzio fece poi scatenare le lingue e penne maligne degl'interpreti delle azioni altrui, imputandone chi all'una e chi all'altra parte il reato, con vitupero di principi tanto sublimi. La verità si è, che tanto essi principi che i mediatori della pace usarono la prudenza di non rivelar questo arcano; e se lo penetrarono i Fiorentini pratici di quella corte, seppero anche tirarvi sopra la cortina sì in riguardo alla carità, che pel rispetto dovuto ai proprii sovrani. Certo è altresì che mai più non si trovò maniera di riunirli: disgrazia memorabile per l'insigne [12] famiglia de Medici, che forse non sarebbe venuta meno ai nostri giorni, se quella sì giovine e feconda principessa avesse continuata la buona armonia col consorte, e prodotti altri figli atti a supplire la poca fortuna dei primi.
Sul fine del gennaio dell'anno presente terminò il suo vivere, dopo essere giunto a più di novant'anni, Domenico Contarino doge di Venezia, a cui succedette nel dì 6 di febbraio Niccolò Sagredo procurator di San Marco. Similmente ebbe Torino di che piangere per l'immatura morte di Carlo Emmanuele II duca di Savoia, succeduta nel dì 12 di giugno e da lui abbracciata con sentimenti di vera pietà e di generosa costanza. Siccome egli avea sempre studiate le maniere di farsi amar dai suoi popoli, praticando con tutti una somma affabilità e cortesia, e una gran gentilezza verso le dame, onorandole del braccio, e mostrandosi liberale, splendido e generoso in ogni sua azione; così allorchè fu agli estremi della vita, volle che si aprissero le porte, acciocchè il suo popolo potesse anche veder lui morire, ed egli godere que' pochi momenti di vita della vista dei suoi cari sudditi. Oltre una lunga memoria delle sue molte virtù, ne lasciò egli non poche altre, per aver cotanto ingrandita ed abbellita la città di Torino, formata di Monmelliano una inespugnabil fortezza, fabbricati ponti, rotte e spianate montagne per far passar le carrozze, dove con difficoltà prima passavano gli uomini. A lui succedette in età pupillare il principe di Piemonte, cioè Vittorio Amedeo, unico suo figlio, che non aveva peranche compiuto l'anno nono di sua vita, sotto la tutela e reggenza di madama reale Giovanna Maria Batista di Nemours, sua madre: principe nato per esaltare la sua real casa ai primi onori, siccome vedremo andando innanzi. Noi lasciammo la ribellata città di Messina in gravi angustie sì per la mancanza dei viveri, perchè molto vi volea a sostener tanto popolo, e sì perchè gli Spagnuoli maggiormente [13] stringevano quella città, con aver presa la torre del Faro, il Piè di Grotta ed altri passi, dove attesero a ben fortificarsi. Ma eccoti arrivar colà, nel dì 5 di gennaio, spediti dalla corte di Francia, i marchesi di Valavoir e di Valbella con diecinove vascelli, che sbarcarono molte milizie e copiosa provvisione di vettovaglie, così che rimasero assai consolati quegli afflitti cittadini. Pure poco giovò questo soccorso, perchè gli Spagnuoli non solamente andavano di mano in mano accrescendo le lor forze per terra, ma eziandio con venti vascelli da guerra e diecisette galee tenevano bloccato il porto di Messina, e tentarono anche un dì di bruciare i legni franzesi: il che loro non venne fatto. Il non poter entrare viveri nè per terra nè per mare ridusse di nuovo in miseria quel popolo, ostinato nondimeno in rifiutare il perdono esibitogli, non perchè nol desiderasse, ma perchè temeva di avere a pagarlo troppo caro.
In rinforzo d'essa città giunse, nel dì 11 di febbraio, spedito da Tolone, il duca di Vivona, conducendo anch'egli nove vascelli da guerra, una fregata leggiera, tre brulotti e otto barche cariche di viveri. Stava ancorata la flotta spagnuola, ed appena scoprì i legni nemici, che salpò, e a vele gonfie andò a far loro il chi va là. Attaccossi una battaglia che durò più ore; e già rinculavano i Franzesi come inferiori di forze, quando il signor di Valbella, avvisato di quel combattimento, uscì del porto di Messina con sei vascelli da guerra, e diede alle spalle degli Spagnuoli. Ripigliato allora coraggio i Franzesi, ricominciarono una fiera danza con tal successo, che gli Spagnuoli con buon ordine si ritirarono fino a Napoli, lasciando nondimeno in poter de' nemici un vascello di quaranta cannoni. Per lo arrivo di questo aiuto gran festa si fece a Messina, tuttochè fosse un piccolo bicchier d'acqua a chi avea tanta sete. Intanto tre mila e cinquecento Tedeschi, ai quali aveano i Veneziani difficultato il [14] passaggio per l'Adriatico, pervenuti a Pescara, di là passarono con secento altri fanti napoletani a rinforzare il campo che tenea bloccata Messina. Ma sul principio di giugno anche agli assediati arrivò un altro numeroso convoglio di più di cento vele, vegnente da Tolone, sotto il comando del signore d'Almeras e del cavaliere di Quene, che sbarcò sei mila fanti e mille cavalli con ogni sorta di munizioni. Avendo poi questa gente tentato di levar la Scaletta e un altro posto agli Spagnuoli, ed essendo anche passata ad assalir Melazzo, dove si trovava in persona il vicerè, altro non ne riportò che delle buone spelazzate. Pure s'impadronirono della città d'Augusta, e andarono poi pel resto dell'anno facendo altre picciole fazioni, che non importa riferire, se non che tornarono gli Spagnuoli ad impossessarsi della torre del Faro, e per una tempesta perderono sette de' loro vascelli. Intanto fra i Messinesi e Franzesi cominciò a scorgersi poca intelligenza: il che accrebbe agli Spagnuoli la speranza di vincere in breve quella pugna. Gran guerra fu in quest'anno in Germania e Fiandra fra i collegati dall'una parte e i Franzesi dall'altra. Non mancarono assedii, battaglie e barbarici saccheggi di paese. Il celebre maresciallo di Francia Arrigo della Torre d'Auvergne, visconte di Turrena, colpito da una palla di cannone, vi lasciò la vita nel dì 27 di luglio, essendo mancato in lui uno dei più insigni capitani del secolo presente. Carlo IV duca di Lorena, ma duca solo di nome, perchè in mano de' Franzesi era il suo ducato, s'acquistò anch'egli gran nome colla presa di Treveri, facendo quivi prigione il maresciallo franzese duca di Crequì; ma poco sopravvisse egli a questa gloria, essendo mancato di vita nel dì 17 di settembre. Ne' suoi diritti e titoli succedette Carlo V suo nipote, che col suo valore maggiormente illustrò la nobilissima sua casa.
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Anno di | Cristo MDCLXXVI. Indiz. XIV. |
Innocenzo XI papa 1. | |
Leopoldo imperadore 19. |
Non potè più lungamente reggere al peso degli anni e agl'insulti della gotta papa Clemente X, ed infermatosi in età di più di ottantasei anni, passò a miglior vita nel dì 22 di luglio dell'anno presente. Di pochi furono le lagrime che accompagnarono il di lui funerale, non già perchè alcuna delle virtù principali che illustrano la vita e la memoria d'un romano pontefice, in lui si desiderasse, perchè fu papa di bella mente, di gran pietà, di giustizia e clemenza; ma perchè l'odio, che col suo governo universalmente si avea guadagnato il cardinal Paluzzo Altieri, ridondava sopra l'innocente papa, pieno sol di massime buone. Chi avea la fortuna di poter parlare a sua santità, se le cose erano fattibili, potea sperar buon rescritto; altrimenti ne riportava un bel no; ma il cardinale godeva il concetto di esser di coloro che alla prima udienza con una sparata di carezze e promesse incantano le persone, ma ritornando queste alla seconda udienza, truovano nate delle difficoltà; alla terza poi nè pur son conosciute per quelle che sono. Però dicevasi, e spezialmente lo dicevano i Franzesi disgustati di lui, ch'esso porporato avrebbe potuto tenere scuola aperta di artifizii e raggiri in Roma stessa, la qual pure vien creduta assai addottrinata in questo mestiere. Ma quel che più avea contro di lui aguzzata la satira, fu l'invidia, per aver egli saputo profittar della fortuna ed autorità sua, con accumular ricchezze, ed ingrandire la propria casa, tuttochè poi non si potessero imputare a lui di quelle scandalose licenze che si videro in qualche precedente nepotismo. Ora entrati i porporati nel sacro conclave, dappoichè ebbero per cinquantun giorni consumata la quintessenza dei lor politici maneggi per promuovere al trono pontifizio chi lor più piaceva, finalmente, [16] mossi da lume superiore, concorsero tutti nel dì 21 di settembre all'elezione di chi sopra gli altri meritava, ma non avea mai desiderato di maneggiar le chiavi di Pietro. Questi fu il cardinal Benedetto Odescalchi Comasco, nato nel 1611, che nel precedente conclave era anche stato vicino al triregno, perchè voluto da tutti i buoni, e fece poi in questa occasione quanta resistenza mai potè, non per affettata modestia, ma per umiltà, alla santa risoluzione de' sacri elettori. Prese egli il nome di Innocenzo XI in memoria d'Innocenzo X che l'avea promosso alla sacra porpora. Non si può dir quanto applauso conseguisse così fatta elezione, perchè l'Odescalchi portò seco al trono la santità, e ne possedè molto più da lì innanzi la sostanza che il titolo: personaggio di vita illibata ed austera, di somma gravità e zelo pel ben della Chiesa; prodigo, se si può dire, verso dei poveri, secondo il costume di sua casa, abbondante di ricco patrimonio, e limosiniere al maggior segno. Nè tardò il buon pontefice e buon servo di Dio a comprovar co' fatti l'espettazion comune delle sue singolari virtù. Sotto i precedenti pontificati aveva egli adocchiato tutti i disordini procedenti dal nepotismo, e con quanta facilità si divorassero le sostanze della camera apostolica, e come avesse tanta potenza il danaro. Volle provvedervi, e l'intenzione sua era di metter freno in avvenire a tali eccessi con una bolla che fosse sottoscritta dal sacro collegio, e giurata sotto pena di scomunica da chiunque s'avesse da promuovere al cardinalato e al pontificato. Ma viveano ed aveano gran polso alcuni de' nipoti degli antecedenti papi, che fecero testa, parendo loro di sottoscrivere una sentenza contra di loro stessi, qualora sottoscrivessero la condanna del nepotismo per l'avvenire.
Giacchè dunque non potè il santo pontefice ottener questo intento, coll'esempio suo almeno si studiò di abolire il pernicioso costume. Non avea il suo [17] predecessore Clemente X nipoti proprii, e andò a cercarne degli stranieri. Innocenzo XI, all'incontro, avea un nipote di fratello, cioè don Livio Odescalchi; ma nol volle a palazzo, nè ch'egli avesse parte alcuna nel governo, nè che ricevesse visite come nipote di papa. Ed affinchè non restasse a lui di che dolersi per tanta severità, gli rassegnò tutti i suoi beni patrimoniali, che co' proprii d'esso nipote davano una rendita annua di trenta mila scudi, dicendo che questo gli bastava per trattarsi da principe, senza participar delle rugiade del pontificato. Coerentemente a questo glorioso sistema elesse per segretario di Stato il cardinale Alderano Cibò, porporato di somma integrità, di prudenza singolare e di zelo non inferiore a chi l'elesse a tal carica. Lasciò ai Paluzzi Altieri e ad altri la pompa de' titoli del generalato e d'altre cariche militari, ma con levar loro gl'ingordi stipendii che per essi pagava la camera pontificia, con dire che la Chiesa non avea guerra, nè voglia di farla, ed essere perciò mal impiegate tante paghe. Riformò la tavola pontificia, e al servigio suo non ammise se non persone di gran probità e modestia, affinchè la famiglia sua servisse di una continua predica agli altri di quel che conveniva a fare. Allo ambasciatore di un monarca, che gli disse di avere il suo padrone ricevuta sotto la sua protezione la casa Odescalchi, rispose: Ch'egli non avea casa nè letto, e che teneva in prestito da Dio quella dignità per bene non già de' suoi parenti, ma solamente della Chiesa e de' suoi popoli. E perciocchè gravissimi abusi erano succeduti in addietro a cagion delle franchigie, pretese da' ministri de' principi in Roma per l'asilo che in esse trovavano tutti i malviventi, e per li contrabbandi che tuttodì si facevano, intimò loro di rimediarvi; altrimenti, giacchè Dio l'avea messo in quel governo con obbligo di vegliare alla quiete della città e al pubblico bene, vi avrebbe egli trovato il rimedio. Tosto ancora spedì a tutti i principi [18] cristiani lettere esortatorie alla pace, esibendosi pronto ad andare in persona ad un congresso, se fosse necessario, purchè si tenesse in qualche città cattolica, a fin di procurare un tanto bene. Per lo contrario, esortò il re di Polonia Giovanni Sobieschi a sostener la guerra contro de' Turchi, finchè avesse ricuperato dalle lor mani Caminietz, e gl'inviò nello stesso tempo un sussidio di cinquanta mila scudi. Con questi passi diede principio l'incomparabile Innocenzo XI alla carriera del suo pontificato, continuamente pensando alla riforma degli abusi, al sollievo de' suoi popoli e al bene della cristianità. Qui perdè la voce Pasquino; e se internamente si lagnavano i cattivi di sì rigoroso ad austero papa, ne esultavano ben pubblicamente tutti i buoni.
Gran teatro di guerra fu in questo anno la Sicilia. Dacchè si avvide la corte di Spagna che con tutti gli sforzi suoi apparenza non v'era di snidar da Messina i Franzesi, e di rimettere alla primiera ubbidienza quella città, fece ricorso alla collegata Olanda, per aver dei soccorsi e forze tali da abbattere la flotta franzese, che ne' mari di Sicilia mantenea la ribellion de' Messinesi. Fu dunque spedita una flotta olandese composta di ventiquattro vascelli da guerra sotto il comando del viceammiraglio Ruyter, il cui solo nome valeva un'armata per le tante segnalate sue azioni in combattimenti navali. Giunsero gli Olandesi sul fine del precedente anno a Melazzo, e, congiunti con nove galee ed altri legni spagnuoli, andavano rondando per qualche impresa; quando in quei mari capitò sciolta da Tolone e Marsiglia la flotta franzese comandata dai signor di Quene, in numero di venti navi da guerra e sei brulotti. Vennero alle mani presso di Stromboli, nel dì 7 di gennaio, le due nemiche armate; gran cannonamento, gran danno seguì da ambe le parti. Dopo molte ore di fiera battaglia cessarono le offese, con ritirarsi gli Olandesi a Melazzo, ed entrare i Franzesi nel porto di Messina, dove [19] sbarcarono le munizioni da bocca e da guerra che seco aveano condotto. Seguì poscia una ben calda mischia nel dì 28 di marzo fra gli Spagnuoli e Franzesi uniti coi Messinesi; perchè avendo i primi occupato il monistero di San Basilio fuor di Messina, il marchese di Vilavoir con sei mila armati andò ad assalirli. Non solamente perderono gli Spagnuoli quel posto, ma ancora più di ottocento dei lor soldati col conte di Buquoy, che li comandava. Già dicemmo che nell'agosto dell'anno precedente s'erano impadroniti i Franzesi della città di Augusta e delle sue fortezze. Al vicerè di Sicilia stava sul cuore la perdita di quella città, e però nell'aprile passò colà per tentare di riacquistarla, e pregò l'ammiraglio olandese Ruyter di secondar l'impresa per mare, siccome egli fece spiegando le vele a quella volta colla sua flotta. Colà comparve ancora il signor di Quene comandante della dotta franzese, e nel dì 22 di aprile si attaccò di nuovo fra loro un'aspra battaglia che durò più ore con gravissimo danno dell'una e dell'altra parte, e con restar conquassati i lor legni, ed esserne alcun d'essi affondato. Ognuno si attribuì la vittoria, secondo il solito dei combattimenti dubbiosi, e massimamente del mare, dove non è facile il conoscere l'altrui danno. Ma se non altro, un grave colpo toccò agli Olandesi, perchè il loro famoso Ruyter vi restò malamente ferito, e da lì a pochi giorni terminò la vita in Siracusa, dove s'era ritirata la sua flotta, che poi passò a racconciarsi a Palermo.
Ma qui non finì la voglia di combattere. Nel dì 21 di giugno pervennero a Messina venticinque galee, partite da Marsiglia con tre vascelli da guerra. Ingagliardito da questo soccorso il duca di Vivona, viceammiraglio franzese, determinò di fare una visita senza complimenti all'armata navale olandese e spagnuola che riposava nel porlo di Palermo. Ventotto vascelli, venticinque galee e nove brulotti componevano la di lui armata. Contavansi in quella degli Olandesi [20] e Spagnuoli ventisette vascelli e diecinove galee con quattro brulotti. Nel dì 2 di giugno s'azzuffarono le nemiche flotte; le artiglierie, ma spezialmente i brulotti, portarono un grande squarcio nella flotta degli Spagnuoli, che vi perderono almen sette vascelli e due galee, colla morte di gran gente, per confession degli stessi Olandesi. Ma, secondo la relazion de' Franzesi, la perdita degli Olandesi e Spagnuoli fu di dodici de' lor migliori vascelli, di sei galee, di settecento pezzi di cannone e di cinque mila persone. In gran credito salirono per questi conflitti i Franzesi, avendo fatto conoscere che non erano invincibili gli Olandesi, tenuti in addietro per sì formidabili in mare. E certamente di simili danze non ne vollero più essi Olandesi nel Mediterraneo, e se ne ritornarono poscia a casa loro. Essendo dunque rimasti i Franzesi padroni del mare in queste parti, ed avendo ricevuto da Tolone nel settembre un rinforzo di tre mila uomini, e nell'ottobre altri mille e cinquecento fanti e cinquecento cavalli, fecero in appresso delle incursioni in Calabria; nella Sicilia s'impadronirono dell'importante piazza di Taormina colla spada alla mano; presero la Scaletta e la demolirono, e si impossessarono di alcuni piccoli luoghi di quell'isola. Ancorchè mi faccia restare perplesso l'asserzione del veneto elegante storico Giovanni Graziani, che riferisce al precedente anno la morte di Niccolò Sagredo doge di Venezia; pure, seguitando io il Vianoli ed altre memorie, non crederei d'ingannarmi, con dirla accaduta verso la metà d'agosto nell'anno presente. Un avvenimento poi insolito, o almeno da gran tempo non veduto in quella sì ben regolata repubblica, diede molto da discorrere alla gente. Secondo i riti dell'ingegnoso ballottamento che si pratica per l'elezione dei dogi, era caduta la sorte in Giovanni Sagredo, personaggio certamente degno di quella dignità. Ma allorchè fu annunziato dal balcone il suo nome al folto popolo, raunato nella [21] piazza, cominciarono pochi dell'infinita plebe a gridar con alte voci: Nol volemo; e crebbe appresso a dismisura questo tumulto. Allora i saggi nel gran consiglio giudicarono meglio non approvar la elezione del Sagredo, a cui per ricompensa conferirono poscia altri dei principali onori della patria, ed elessero doge Luigi Contarino. Seguitò ancora in questo anno l'ostinata guerra della Francia contra de' collegati, le cui principali imprese furono la presa di Filisburgo fatta dal duca di Lorena, e l'assedio di Mastrich formato da Guglielmo principe di Oranges, ma con poca riuscita, avendolo costretto i Franzesi a ritirarsi. Intanto era stata destinata Nimega per trattarvi di pace colla mediazione di Carlo II re d'Inghilterra. Benchè si trattasse d'una città sottoposta agli eretici, pure tale era la premura del pontefice per questo gran bene, che s'indusse ad inviar colà monsignor Bevilacqua, per dar braccio e calore alla concordia, per cui nondimeno s'impiegarono invano parole e ripieghi nell'anno presente: sì alte erano le pretensioni d'ambe le parti.
Anno di | Cristo MDCLXXVII. Indiz. XV. |
Innocenzo XI papa 2. | |
Leopoldo imperadore 20. |
Non rallentava i suoi pensieri lo zelante pontefice Innocenzo XI per mettere in istato l'alma città di Roma da poter servire d'esempio alle altre nella riforma de' costumi. Sopra tutto mirava egli di mal occhio il soverchio lusso, padre o fomentatore di molti vizii e divorator delle famiglie. Dopo aver preceduto colla moderazione introdotta nel proprio palazzo, dove era cessata la pompa e introdotta la modestia, nè si ammetteva se non chi portava la raccomandazione della probità di costumi, cassò anche una parte della guardia de' cavalli leggeri, perchè accresciuta senza necessità e mantenuta con troppa spesa. Poscia in concistoro fece un sensato discorso, riprendendo i cardinali, [22] che parendo dimentichi di essere persone ecclesiastiche, e personaggi posti sul candelliere per dar luce agli altri, usavano sì superbe carrozze e livree cotanto sfoggiate, raccomandando loro di regolarsi più modestamente in avvenire. Non mancavano a lui persone che di mano in mano il ragguagliavano di chi spezialmente della nobiltà menava vita dissoluta. A questi tali era immediatamente intimato lo sfratto, acciocchè il loro libertinaggio non animasse altri all'imitazione, o non servisse agli scorretti di scusa. Furono in oltre vietati tutti i giuochi illeciti, e le bische o case dove si tenevano assemblee scandalose di giuochi da invito. E perciocchè pel suddetto lusso i baroni romani, non volendo gli uni essere da meno degli altri, quanta facilità mostravano a far dei debiti, altrettanta difficoltà provavano a pagarli, con grandi sciami dei mercatanti e creditori; ne ordinò il santo padre al cardinale Cibò una esatta ricerca, e di fargli pagare con danari della camera, la qual poscia avea delle buone maniere per esigere quei crediti. E perchè si trovò non essere sufficiente un tal rimedio, continuando quei nobili a far delle spese eccessive e debiti, che in progresso di tempo condurrebbono alla rovina le lor case; con pubblico editto proibì ai bottegai, merciai, fornaci ed altri negozianti di vendere ad essi robe senza il danaro contante sotto pena di perdere i lor crediti. Erano poi in addietro giunte all'episcopato persone non assai degne di così illustre e gelosa dignità. Per ovviare a sì fatto abuso deputò il sommo pontefice quattro dei più zelanti cardinali e quattro prelati, per esaminar la vita, i costumi e il sapere di chi aspirasse al pastorale impiego in avvenire.
Quel nondimeno che teneva in non poca agitazione l'animo del saggio pontefice, era la prepotenza de' ministri ed ambasciatori delle corone, che in Roma da gran tempo tagliavano le gambe alla giustizia, ed erano giunti sì oltre, che non solamente nei lor palazzi prestavano un [23] asilo più sicuro che quel dei luoghi sacri a gran copia di sgherri, dì scellerati e malviventi; ma pretendeano eziandio che si stendessero i lor privilegii ed esenzioni anche a qualsivoglia lor dipendente e patentato, e a tutte le case adiacenti e vicine ai lor palazzi. Fece di gran doglianze Innocenzo XI per questo alle varie corti, ma senza frutto; nè volendo sofferire che coll'arrogarsi tanta autorità gli stranieri ministri si scemasse ed avvilisse la propria, cominciò con petto forte ad opporsi a sì fatto abuso. Fu il primo passo quello di vietar con rigoroso editto che niuno potesse alzar sopra le sue case o botteghe le armi di qualsivoglia monarca e principe secolare ed ecclesiastico, protestando di voler egli essere il padrone e l'amministratore della giustizia in Roma, come erano gli altri principi in casa loro. A quella augusta città giunto il marchese del Carpio ambasciatore del re Cattolico, quivi si diede a far leva di soldati pel bisogno della Sicilia, col pretesto che altrettanto avessero fatto i Franzesi. Ma perchè la gente ricusava di prendere partito, per la fama che non correano le paghe, e perchè si dicea maltrattato chi si arrolava; si sparse voce, per essere mancate varie persone, senza sapersi dove fossero andate, che gli Spagnuoli le avessero rapite, e poi segretamente inviate in Sicilia. Vera o falsa che fosse tal voce, la plebe romana tal odio concepì contro la nazione spagnuola, che ne facea scherni dappertutto, e ne seguirono non poche baruffe con delle morti e ferite: perlochè non osavano più gli Spagnuoli di uscir dei lor quartieri, o ne uscivano con pericolo. Ancorchè il papa si studiasse col gastigo dei più colpevoli di far conoscere la rettitudine sua e il suo rispetto alla corona cattolica, non rifiniva l'ambasciatore di far ogni dì più gravi doglianze, e di chiedere maggiori soddisfazioni. Nè gli bastò di desistere dal portarsi all'udienza del papa, ma fece anche negare dal vicerè di Napoli l'udienza al nunzio apostolico. Cagion fu questo affronto che dopo essersi [24] accorto il ministro quanta poca forza avessero le braverie contra di un pontefice, a cui la giustizia dava coraggio, allorchè in fine per suoi affari fu costretto a chiedere l'udienza dal pontefice, se la vedesse negata. Necessario dunque fu che il re Cattolico con sua lettera pregasse il santo padre di ammetterlo; e così terminò quella pendenza, con restarne maravigliato più d'uno, avvezzo al mirare quanta altura mostrassero i ministri di Spagna in Roma, e con qual riguardo procedesse verso di loro la corte pontificia. Nè si dee tacere che questo santo pontefice non sapea sofferire che nella sacra corte si vendessero gli uffizii, benchè non ecclesiastici, perchè o ne risultava danno alla camera, obbligata a pagare i frutti ai compratori, o poco onore ai papi, che per vendere ad altri quei medesimi uffizii promovevano compratori talvolta non degni a cariche più cospicue. Abolì egli dunque in quest'anno il collegio di ventiquattro segretarii apostolici, con restituir loro il già pagato danaro. Meditava anche di far cose più grandi, e a questo fine andò poi raunando grosse somme. Ma sopravvenute col tempo le guerre col Turco, che l'impoverirono, lasciò la cura di sì bella impresa ad un altro Innocenzo, che era stato suo mastro di camera, e consapevole delle sue nobili e sante idee.
Nella Sicilia in quest'anno durarono le ostilità, ma senza fatti che meritino di passare a notizia dei posteri. Quantunque gli Spagnuoli soli, rimasti alla difesa di quell'isola, si trovassero assai stanchi, poca nondimeno era anche la forza dei Franzesi, ai quali scarsamente vennero soccorsi da Tolone e Marsiglia. Ben si scorgeva non essere intenzione de' Franzesi di voler fermare il piede in quell'isola, loro unicamente premendo le terre annesse e confinanti col regno. Terminò intanto i suoi giorni il marchese di castel Rodrigo vicerè di Sicilia, e in luogo di lui prese pro interim quel governo il cardinale Portocarrero. Varie prodezze all'incontro [25] furono fatte in Fiandra e in Germania, dove sommamente prosperarono l'armi del re Cristianissimo. Riportarono i Franzesi una vittoria a Montcassel contro il principe d'Oranges nel dì 11 di aprile. S'impadronirono di Valenciennes, di Cambrai, di Sant'Omer, di Friburgo e di altri luoghi. Solo contra di tanti collegati il re Luigi XIV facea tremar tutti, e sempre più andava stendendo i suoi confini. Seguitavano intanto i ministri e i mediatori in Nimega a trattar di pace; ma perchè, secondo il costume, ognun la volea a suo modo, niun l'otteneva. Possenti erano gli uffizii di papa Innocenzo XI per dar fine a tante turbolenze, e sopra gli altri efficacemente vi si adoperava Carlo II re d'Inghilterra, il quale, chiarito oramai che le parole erano bombe vote, si diede a fare un grande armamento che recasse più vigore alla sua mediazione, minacciando chi ripugnava ad accettar le oneste condizioni d'un accordo. Ma passò anche l'anno presente senza che i popoli giugnessero a provar questo bene. Erasi nell'anno addietro, portata Laura duchessa vedova di Modena ad abitare in Roma, perchè avendo il giovane Francesco II duca suo figlio prese le redini del governo, sembrava a lei di non trovar più in Modena le convenienze sue. Con tante preghiere nondimeno la bersagliò il figlio duca, che nell'anno presente ella se ne tornò a convivere con lui.
Anno di | Cristo MDCLXXVIII. Indiz. I. |
Innocenzo XI papa 3. | |
Leopoldo imperadore 21. |
Continuava il suo soggiorno in Roma la cattolica regina di Svezia Cristina, con far divenire il suo palazzo un'accademia di tutti i letterati. Ma non poteva ella più reggere al magnifico trattamento suo fin qui mantenuto, perchè le guerre passate fra i re di Svezia e Danimarca e l'elettore di Brandeburgo aveano portato non lieve eccidio alle rendite ch'ella s'era riserbate [26] nella Pomerania. Ebbe ella ricorso al sommo pontefice, implorando il suo aiuto; nè indarno l'implorò, perchè il santo padre le fece assegnare una pensione annua di dodici mila scudi, da pagarsi alla medesima dalla camera apostolica. L'anno fu questo in cui ebbe fine la ribellion di Messina, e l'ebbe assai lagrimevole. Trattavasi, come già dicemmo, della pace in Nimega. S'avvide il re Cristianissimo che gli era forza di abbandonar la Sicilia: tante premure ne faceano gli Olandesi, non che gli Spagnuoli. Però volendo risparmiare le tante spese che gli costava il mantenimento di Messina, città che già s'avea da abbandonare, non volle aspettare il tempo della pace, ed improvvisamente spedì ordine al maresciallo della Fogliada, il quale era stato spedito colà con richiamarne il duca di Vivona, che immediatamente con tutti i suoi se ne tornasse in Francia. Dopo avere il maresciallo imbarcata quasi tutta la sua gente col pretesto di voler fare un'impresa, portò questa dolorosa nuova al senato, e rimise ai Messinesi le guardie di tutte le fortezze. Indarno fu pregato di sospendere per un po' di tempo la sua partenza. Rispose essere così pressanti gli ordini suoi, che gli conveniva far vela in quel giorno, offerendo nondimeno di ricevere nelle navi chiunque dei Messinesi volesse far partenza con lui. Uscito ch'egli fu di quel luogo, furono molti di parere che bisognava trucidar quanti Franzesi ivi erano, e voltare il cannone contro le lor navi, e mandarle a fondo. Ma a sì bestial consiglio prevalse quello dei timidi e saggi. Però ad altro non pensarono i nobili e popolari, ch'erano stati più caldi nella ribellione, che di sottrarsi all'ira e vendetta degli Spagnuoli, da loro riguardati come gente implacabile. Che terribile scena, che compassionevole spettacolo fu mai quello! che urli, che singhiozzi, che lagrime! Ben sette mila persone andarono per imbarcarsi con somma fretta, perchè non più di quattro ore fu loro [27] dato di tempo. Chi lasciava moglie e figliuoli indietro, chi seco menava la famiglia tutta, portando quel poco di meglio che poteva, ed altri nulla prendendo: tanta era la loro ansietà d'imbarcarsi. Infatti due mila, gridando invano misericordia, ne restarono in terra, perchè il maresciallo, per timore di troppo carico fece sciogliere le vele, e se ne andò.
Ciò fatto, quella città che prima avea da sessanta mila abitanti, a ragion dei già morti nella difesa, o allora fuggitivi verso la Francia, o precedentemente ricoveratisi altrove, ridotta a sole undici mila persone, trovando sprovvedute di ogni munizion le fortezze, e sè stessa impotente a poter resistere, spedì deputati al governator di Reggio, pregandolo di venire a prenderne il possesso. V'andò egli, nè molto stettero a giugnere colà da Melazzo i duchi di Bornonville e di Conzano colle regie milizie, ai quali furono consegnate le fortezze. Sopraggiunse dipoi anche il nuovo vicerè don Vincenzo Gonzaga, che rallegrò l'infelice popolo con pubblicare un perdon generale finchè venissero gli ordini della corte di Madrid. Vennero questi, e pieni di fierezza. Cioè furono confiscati i beni di chiunque era fuggito; privata d'ogni privilegio la città, distrutte case, piantate memorie infami della ribellione; bandito chiunque avea cariche dai Franzesi, con altri rigori che io tralascio: tali certamente che quella illustre città per gran tempo rimase uno scheletro, nè mai più ha potuto rimettere le penne, perchè circa trenta mila Messinesi passati ad abitare in Palermo, e quivi abituati, non vollero più mutar soggiorno. E tuttochè la benignità del regnante ora Carlo re di Sicilia, compassionando lo stato di sì bella città, abbia slargata la mano in beneficarla, difficil cosa è che mai torni al suo antico splendore, e massimamente dacchè è rimasta affatto spopolata di nuovo per l'ultima peste. Ora non si può dire in quante ingiurie e villanie [28] prorompessero i Messinesi contro la nazion franzese e contra del re Luigi XIV, chiamandolo dappertutto ad alte voci un principe senza fede, un traditore, un mostro d'inganni, e che niun più in avvenire avea da fidarsi di promesse franzesi, per aver egli lasciato quel popolo in preda all'indiscrezione e vendetta degli Spagnuoli, senza procurar loro, o almen permettere, che gli stessi Messinesi si procacciassero prima qualche indulgenza e miglior condizione dal re Cattolico. Nè ammettevano per legittima scusa il dirsi da' Franzesi, avere i Messinesi fatto credere in Francia che dava loro l'animo di far ribellare Palermo e tutto il regno; perchè somiglianti promesse sapea ben valutare per quel che pesavano l'accorto gabinetto di Francia; nè già esso si mosse per questo ad abbracciar la difesa di Messina, ma sì bene per valersi di quel troppo credulo popolo a battere gli Spagnuoli, finchè così portasse il proprio interesse.
Qual poi fosse il fine dei poveri Messinesi condotti in Francia, eccolo. Furono dispersi per varie città, e mantenuti per un anno e mezzo alle spese del re; poscia obbligati sotto pena della vita ad uscire di quel regno con tanto danaro da far viaggio fino ai confini. Laonde si ridussero anche persone nobili a mendicare il vitto; altri divennero banditi, cioè assassini di strada; e circa mille e cinquecento dei più disperati passarono in Turchia, e rinegarono la fede: Più di cinquecento altri con passaporti degli ambasciatori spagnuoli se ne ritornarono alla patria, credendosi ben in sella; ma, a riserva di quattro, gli altri dal vicerè marchese de las Navas furono condannati alla forca od al remo. Se poi fosse più lodevole ed utile sì gran rigore, oppure qualche misura di clemenza verso un popolo che s'era punito da sè stesso, lo deciderà chi ha più senno di me. Erano tuttavia in piedi i trattati di pace nel congresso di Nimega, quando il re Luigi XIV, per migliorar le sue condizioni, [29] andò nel furore del verno a impadronirsi di Gante e d'Ipri. Poi si diede a maneggiar con tante arti gli spiriti olandesi, adescandoli specialmente colla restituzione dell'importante piazza di Mastrich, e con altri vantaggi che li ridusse a far seco una pace particolare, la quale fu stipulata nel dì 10 di agosto. Curiosa cosa fu il vedere che Guglielmo principe d'Oranges fingendo di nulla saper di quella pace, o sapendolo, per altri suoi motivi andò all'improvviso ad assalire l'armata franzese comandata dal duca di Lucemburgo, che allora assediava la città di Mons. Restò indecisa la vittoria; ma gran sangue costò all'una parte e all'altra il combattimento. Allora fu che gli Spagnuoli furono forzati a dar mano alla pace, riuscita ben diversa dalle precedenti lor lusinghiere speranze; perciocchè in mano del re Cristianissimo restarono la Franca Contea, Valenciennes, Bouchain, Condè, Ipri, Santo Omer, Cambrai ed altri luoghi. Le altre terre conquistate tornarono alla Spagna. Fu sottoscritta questa pace nel dì 17 di settembre in Nimega; e se riuscisse disgustosa agli Spagnuoli, non occorre a me di dirlo. Non si pose per questo fine alla guerra dell'imperadore e di altri collegati contro la Francia; ma dappoichè era riuscito ai Franzesi di staccar dalla lega Olandesi e Spagnuoli, eglino maggiormente alzarono la testa, e non poco si pensò ad ottenere una sospension d'armi, tanto che si trovasse maniera di condurre anche questi altri ad una intera pace.
Anno di | Cristo MDCLXXIX. Indizione II. |
Innocenzo XI papa 4. | |
Leopoldo imperadore 22. |
Trionfò maggiormente in quest'anno Luigi XIV re Cristianissimo con dar la pace al resto de' principi già confederati contra di lui, e con darla da vincitore, cioè colle condizioni che a lui piacquero, e che gli altri furono necessitati ad accettare; [30] giacchè scorgevano mancar loro la forze per continuar la guerra soli contra di un re a cui tutta la dianzi gran lega non avea potuto resistere. Però l'imperadore Leopoldo nel dì 5 di febbraio per mezzo de' suoi plenipotenziarii in Nimega stabilì pace con esso re di Francia, cedendo a lui Friburgo, e ritenendo in suo potere Filisburgo. Sì dura legge fu ivi prescritta a Carlo duca di Lorena, tuttochè marito della fu regina di Polonia, sorella d'esso Augusto, ch'egli amò meglio di nulla ottenere per essa pace, che di far qualche guadagno con approvarla. Di grandi proteste furono anche fatte contra d'essa pace da altri sovrani, delle quali si può credere che ridesse il re di Francia. Seguirono poscia altre pacificazioni fra esso re Cristianissimo e il vescovo di Munster; fra la corona di Svezia ed esso re di Francia dall'una parte, e il re di Danimarca e l'elettore di Brandeburgo dall'altra, avendo la potenza della corte gallica talmente sostenuto gl'interessi dello Svezzese suo alleato, che gli fece restituire quanti Stati gli erano stati occupati da' suoi avversarii. In somma non d'altro si trattò in questi tempi che di posar l'armi, e di far fiorire dappertutto dopo tanti flagelli d'una pertinace guerra, la sospirata pace. Ma una sorda guerra intanto si esercitava in Inghilterra contra de' cattolici per una pretesa cospirazione che da quegli eretici e religionarii si attribuiva a chi seguitava la credenza della Chiesa romana: tutte cabale per impedire la succession di quel regno a Jacopo Stuardo cattolico duca di Yorch, dacchè il re Carlo II suo fratello mancava di legittima prole. Fu perciò consigliato esso duca di Yorch di ritirarsi fuori del regno colla duchessa sua consorte Maria Beatrice d'Este, finchè si calmasse la mossa persecuzione contra di loro. Vennero essi all'Haya, e poscia a Brusselles, dove anche si portò la duchessa vedova di Modena, Laura, per visitar la figlia, ed assisterla nel conflitto di quelle tribolazioni. Fermossi dipoi essa duchessa [31] di Modena in Brusselles fino all'anno 1684, per essere più alla portata dei bisogni della suddetta sua figlia.
Godeva intanto anche l'Italia un'invidiabil quiete, ed attendeva il sommo pontefice Innocenzo XI alla riforma del clero e de' costumi, mantenendosi in buona armonia con tutti i potentati. Non mancavano zelanti che lo spronavano a farsi rendere conto dal cardinale Altieri del maneggio suo nel precedente pontificato, per cui si vociferava che avesse patito non lieve discapito anche la camera apostolica. Non vi si potè egli indurre, siccome quegli che non amava, qualora si scoprissero delle magagne in quel porporato, che queste ridondassero in discredito del sacro collegio. E però al tribunale di Dio rimise questo rendimento di conti. Nella corte di Mantova ne' tempi presenti avea la dissolutezza preso un gran piede. Molto prima d'ora al piissimo imperadore Leopoldo erano state portate doglianze della poco lodevol condotta della duchessa vedova Isabella Chiara di Austria sua cugina, e madre del giovine duca di Mantova Ferdinando Carlo Gonzaga. Per prestarvi rimedio, aveva egli sotto pretesto d'altri affari spedito a Mantova il conte di Vindisgratz con ordine di prendere segrete informazioni. Saggiamente eseguì il conte le sue commissioni, ed avea già concertato di condurre il giovinetto duca e la duchessa a Casale per visitar quella piazza, e di rompere in tal congiuntura senza rumore le tresche passate. Ma, scopertosi il segreto disegno, all'improvviso la duchessa andò a ritirarsi nel monistero di Sant'Orsola, e il conte Bulgarini prese l'abito di San Domenico; e questo bastò per quetar le premure della corte cesarea. Già dicemmo presa in moglie dal suddetto duca Ferdinando Carlo Isabella Gonzaga principessa di Guastalla. Se ne svaghì egli ben tosto, e diedesi in preda ad altri amori, non solo illeciti, ma sconvenevoli anche di troppo alla sua dignità: al qual fine si portava egli di tanto in tanto a [32] Venezia, lasciando ivi la briglia sul collo alle sensuali sue cupidità, che si veggono anche descritte in libri stampati. Avvenne che Ferrante Gonzaga duca di Guastalla suocero suo cessò di vivere, lasciando solamente dopo di sè due figlie. Per essere marito della primogenita, il duca di Mantova volò a prendere il possesso di quegli Stati, reclamando indarno don Vincenzo Gonzaga cugino del defunto duca, ch'era vicerè in questi tempi di Sicilia, ed ordinariamente abitava nel regno di Napoli, dove la sua linea godeva i nobili feudi di Melfi e d'Ariano, credendosi egli chiaramente chiamato dalle investiture cesaree al ducato di Guastalla coll'esclusion delle femmine. Dispiacque non poco questa occupazione ai duchi di Modena e di Parma, e fecero de' forti maneggi a Milano e a Madrid, per sostener le ragioni di don Vincenzo; nè gli Spagnuoli trascurarono questo emergente sulla speranza d'ingoiar essi Guastalla, e contentar poscia esso don Vincenzo con altri Stati nel regno suddetto. Spedirono per questo a Mantova un ministro; ma vi trovarono orecchie sorde. Cominciarono dunque a rallentar la mano pel pagamento del presidio di Casale di Monferrato; del che si dolse il duca alle corti di Vienna e di Madrid. Quindi fu creduto che fin d'allora cominciasse il duca un monopolio per vendere Casale al re di Francia: risoluzione eseguita nei seguenti anni, siccome vedremo.
Anno di | Cristo MDCLXXX. Indizione III. |
Innocenzo XI papa 5. | |
Leopoldo imperadore 23. |
Tante imprese, tanti acquisti fatti dal re Luigi XIV nelle passate campagne; lo aver egli data la pace a tanti suoi nemici con tanto suo vantaggio; ridotta la sua potenza e il suo gabinetto formidabile ad ognuno; e portata oramai la Francia ad un'altezza tale, che parea già tendere alla monarchia universale: stupore cagionavano ed encomii riscuotevano da tutti gli [33] amatori di quella gran monarchia. Nè più tardarono i suoi popoli ad accordare il glorioso titolo di Grande ad un re che per tante ragioni ben sel meritava. Ma non mancavano persone che avrebbono desiderato in quel monarca più giustizia e moderazione, senza di che non potea mai tenersi per assai limpido e giusto il titolo suddetto. Bolliva in questi tempi una gran lite tra esso re e la corte di Roma, per aver egli con suo editto stesa la regalia (cioè il preteso diritto di disporre delle rendite e de' benefizii delle chiese vacanti) sopra tutte le chiese di nuova conquista, e sopra altre del regno che non erano mai state sottoposte a questo peso dalla corona di Francia. Pretendeva all'incontro il sommo pontefice Innocenzo XI che questa fosse un'usurpazione manifesta; e tanto più perchè la stessa regalia, tal quale è di presente, s'è andata fondando a forza di abusi, e contro le determinazioni degli antichi canoni. Ma il re Luigi, che stimava aver più forza i suoi cannoni che i sacri canoni, tenne saldo; ed inviò a Roma nell'anno presente il focoso cardinal Etrè, non già per soddisfare il papa, ma per condurlo ad acquetarsi al regio volere. Sostennero anche i vescovi di Francia le pretensioni del re, e scrissero al pontefice con pregarlo di rilasciar su questo punto il rigore de' canoni, giacchè si trattava d'un re che più degli altri promoveva i vantaggi della Chiesa cattolica, spezialmente coll'abbassamento dell'eresia. E ciò scrissero in tempo appunto ch'essi faceano di molte premure a quel potentissimo re per liberar la Francia dal peso degli ugonotti, siccome egli fece dipoi. Queste amarezze fra la corte di Roma ed il re Cristianissimo partorirono, siccome diremo, degli altri sconcerti che diedero di moleste agitazioni allo zelantissimo pontefice di questi tempi. Nè si vuole ommettere, che, quando si credeano per la pace di Nimega poste a dormire le spade, i fucili e le artiglierie, si risvegliò dalla Francia un'altra specie [34] di guerra; perchè si sviscerarono gli archivii del parlamento di Metz e de' vescovi di quella città, e di Tull e Verdun, e della camera di Brisach, e si fecero muovere infinite pretensioni di feudi e luoghi, o infeudati o alienati o usurpati anticamente; pretensioni, dico, per la maggior parte rancide e distrutte dalla prescrizione, ma che in mano di sì potente re divennero armi di mirabil forza. Se ne dolevano a più non posso gli Spagnuoli, alcuni elettori ed altri confinanti, fra' quali anche il re di Svezia pel ducato di Due Ponti; ma conveniva ad ognuno chinare il capo. Per questa via si mise in possesso il re di varie piazze e paesi nella diocesi de' suddetti vescovati e nella bassa Alsazia; e ne patirono forte gli elettori Palatino e di Treveri, allegando essi indarno le paci precedenti. Giunse in quest'anno esso re Cristianissimo fino a proporre per re dei Romani il Delfino suo figlio, che ne' tempi presenti sposò la principessa Maria Anna Cristina, sorella del giovine elettor di Baviera.
Accadde nella corte di Savoia, parte nell'anno presente e parte nel susseguente, un imbroglio ch'io racconterò tutto in un fiato: imbroglio, dico, di cui non ben si conobbero le circostanze, tale nondimeno che fece grande strepito nelle corti. Avea fin qui tenuto il governo di quel ducato madama reale Maria Giovanna Batista di Nemours, vedova duchessa di Savoia, e fattasi conoscere per una delle più saggie principesse del secolo suo: tanta era stata la sua prudenza e giustizia, e tale la sua costanza in non lasciarsi mai smuovere dall'arti franzesi e spagnuole, per entrare in impegni di guerra. Essendo già il duca Vittorio Amedeo suo figlio pervenuto alla età di quindici anni, pensò ella a provvederlo di moglie. E siccome parte per politica e parte per genio, perchè nata in Francia, si mostrava assai divota di quella corona, così lasciò regolarsi dalle insinuazioni della corte di Parigi, per [35] istabilire il maritaggio del figlio coll'infanta di Portogallo, la quale si credea che, per mancanza di maschi, avesse da ereditar quel regno. Per quante pratiche avesse dianzi fatte il re Cristianissimo a fine di ottenerla in moglie al Delfino suo figlio, non potè conseguire l'intento, avendo avuto più forza i maneggi degli Spagnuoli, ai quali non potea piacere di vedere un giorno unito il regno di Portogallo col troppo potente di Francia. Studiossi dunque la corte di Francia di strignere il trattato di matrimonio fra essa infanta e il giovinetto duca di Savoia, co' fini politici (secondochè fu creduto) di avere in questo principe, se diveniva re di Portogallo, chi fosse ben affetto alla corona di Francia, e di promuoverlo anche al regno di Spagna, qualora il re Carlo II mancasse senza prole: nel qual caso avrebbe egli facilmente compensata l'assistenza de' Franzesi, con cedere loro la Navarra, oppure il ducato di Savoia e del Piemonte. E già erano concluse in Portogallo queste nozze, quando all'improvviso andò tutto in fascio con istupor della gente il concertato maritaggio. De' motivi che tagliarono l'ordita tela parlarono molto gli speculatori de' gabinetti principeschi. Altro non so dir io, se non che i grandi della Savoia e del Piemonte aspramente si dolevano di questo trattato, perchè fatto e sottoscritto senza menoma lor participazione e consenso; e molto più perchè lo consideravano di sommo detrimento a quegli Stati, tanto in riguardo al pubblico che al privato interesse. Però animosamente si presentarono alla duchessa, rappresentandole la dubbiosa eventualità della succession del Portogallo perchè poteano nascere maschi a quel re, ed erano assai forti le pretensioni del re di Spagna su quel regno. Aggiugnevano, che dovendosi mantenere il duca lungi da' suoi Stati, per le grosse somme che annualmente converrebbe somministrargli, tutti diventerebbero poveri. Peggio dipoi avverrebbe per quegli Stati, qualora passasse [36] nel duca la corona di Portogallo, perchè diverrebbero provincie; del che peggio non può avvenire a chi per sua fortuna ha il principe proprio; e che allora la Savoia e il Piemonte, oltre alla disgrazia di rimanere spolpati per le rendite ducali che passerebbono a Lisbona, facilmente ancora andrebbero in preda alla insaziabilità de' Franzesi.
Nulla si profittò con queste querele. Madama reale ne fece consapevoli i Franzesi, e questi si rinforzarono di gente a Pinerolo. Disperati que' nobili aspettarono un dì che la duchessa fosse uscita di città, e, presentatisi al duca Vittorio Amedeo, gl'intonarono le medesime riflessioni, con aggiugnere che si trattava della sua rovina, avendo la madre fatto tutto quel monopolio solamente per soddisfare alla propria ambizione, e poter continuare nella di lui lontananza il suo imperio; e doversi temere che i Franzesi il volessero lungi da' suoi Stati per ingoiarli, o riceverli senza fatica da una principessa che chiudeva in seno un cuor tutto franzese. Restò attonito il giovinetto principe, e dimandò tosto che rimedio vi fosse. Non altro, risposero essi, che di mettere in una fortezza la duchessa, la quale cotanto in pregiudizio del figlio si abusava della sua autorità. E senza dargli tempo di maggiormente riflettere, gli cavarono dalle mani un ordine da lui sottoscritto, benchè colle lagrime agli occhi, per l'arresto della madre. Ritiratosi poi il duca, e ripensando a questo caso, non sapea trovar posa, quando ecco arriva la duchessa al palazzo, e il truova tutto pensoso e malinconico; e chiestone il perchè, il vede prorompere in un dirotto pianto. Tanto colle carezze e coi baci si adoperò la valente duchessa, che gli trasse di bocca il segreto e il pentimento. Però, dopo averlo ben imbevuto del retto suo operare, ordinò che si rinforzassero le guardie del palazzo, mandò a prendere alcune poche compagnie di soldati da Pinerolo, e successivamente fece prendere i principali della congiura, facendo spargere [37] voce ch'eglino avessero tramato di dare in man degli Spagnuoli la persona del duca. Andò poscia in fumo tutto il trattato delle nozze suddette, e fu creduto, che per questa ripugnanza de' popoli si sciogliesse il contratto. Venuto colla flotta portoghese il duca di Cadaval a Nizza nel giugno dell'anno seguente, per condurre in Portogallo il duca Vittorio Amedeo, il trovò per disgrazia infermo, e durò la sua creduta finta indisposizione sino all'ottobre, in cui la flotta portoghese se ne tornò a Lisbona, ed allora il duca di Savoia ricuperò tosto la sua sanità. Ma, a riserva de' ministri, non arrivò alcuno a sapere il netto di quelle risoluzioni. E perciocchè niun processo fu fatto di que' nobili, nè si videro essi punto gastigati, inchinarono molti a credere che tutta quell'orditura fosse un colpo di destrezza di madama reale per rompere il matrimonio promosso con troppa forza da' Franzesi, ma troppo mal veduto dagli Spagnuoli e da' Piemontesi, e ch'ella con questo ripiego si facesse merito colla corte di Spagna, senza perdere per questo la buona armonia con quella di Francia, giacchè in tal congiuntura avea data a conoscere la sua confidenza con essi Franzesi. Nè ci volea meno d'una principessa di gran senno come era questa, per saper navigare fra Scilla e Cariddi. Merita bene che si faccia qui menzione che nel dì 17 d'ottobre di quest'anno venne a morte il conte Raimondo Montecuccoli cavalier modenese, che per tanti anni stato generale dello imperadore, immortalò il suo nome con tante sue segnalate imprese, ed anche colle sue memorie, le quali poi date alle stampe, son riguardate come un capo di opera nel genere suo per istruzione di chi si applica al mestier della guerra.
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Anno di | Cristo MDCLXXXI. Indizione IV. |
Innocenzo XI papa 6. | |
Leopoldo imperadore 24. |
La pace della Francia coi potentati cristiani non valea meno della guerra al re Luigi XIV ne' tempi presenti. Il terrore dell'armi sue, che dopo le passate sperienze faceano tremare tutti i confinanti, prestava tal forza ad ogni sua pretensione, che niuno osava di contraddire, se non con parole e proteste inutili, mentre esso re Cristianissimo operando di fatto, e con isfoderar sole decrepite pergamene, e con interpretare in suo favore le paci antecedenti, si andava a mettere in possesso dei paesi ch'egli pretendeva a sè dovuti. Però in quest'anno ancora diede varie pelate agli Spagnuoli nella Fiandra e nel Lucemburghese. Arrivò fino a pretendere di sua ragione Lucemburgo stesso. Indarno strepitavano i ministri di Spagna e dell'imperadore. La luna seguita a far suo viaggio, senza mettersi pena dell'abbaiar de' cani. Nella stessa guisa trattava egli Innocenzo XI, pontefice costante in sostenere i canoni e i diritti della Chiesa, che non volea cedere per le controversie della regalia. Vero è che il cardinale di Etrè rilevava nella corte romana i meriti singolari del re Luigi, che in questi tempi promoveva a tutto potere nei suoi regni la religione cattolica colla depressione della mala razza degli ugonotti, ai figliuoli dei quali, giunti che fossero all'età di sette anni, fu permesso di abbracciar la fede della Chiesa romana. Ma, oltre al sapersi che anche per motivi politici il re era dietro a sterminar quegli eretici, non conveniva già ch'egli si facesse pagare per questo atto pio con altri atti pregiudiciali alle chiese. Quel nondimeno che maggiormente sorprese ognuno in questi tempi, fu il segreto felicissimo maneggio della corte di Francia per impadronirsi di Strasburgo, ossia di, Argentina, capitale dell'Alsazia, una delle più belle, delle più forti, delle più ricche città di Europa, e [39] repubblica allora di protestanti. Ciò che non possono parole, persuasive e ragioni, lo sa fare infine l'oro ben adoperato dal gabinetto franzese. Con questo si espugnarono prima gli animi dei principali di quella città, e poscia coll'apparenza della forza; giacchè all'improvviso essendosi portate sotto la medesima piazza numerose schiere e squadroni di Franzesi, giunse il re Cristianissimo ad impossessarsi nel fine di settembre di quell'importante città, e di rimettervi l'esercizio della religione cattolica, senza pregiudizio dei privilegii della protestante. Riuscì ben disgustoso a Cesare e ai principi della Germania questo colpo, ma ne esultò in Roma ed altrove qualsivoglia vero amatore del cattolicismo; e gran plauso ne riportò l'industria del re, che senza adoperar la violenza unì un sì nobile acquisto al suo dominio.
Nel medesimo tempo un altro colpo di non minore riguardo venne fatto in Italia da quel monarca, la cui indefessa vigilanza, aiutata da un insigne primo ministro, cioè dal marchese di Louvois, si stendeva dappertutto. Era gran tempo che esso re amoreggiava la città e fortezza di Casale di Monferrato, posseduta, come vedemmo, in altri tempi dall'armi franzesi. Accadde che Ferdinando Carlo duca di Mantova cominciò a risentir delle amarezze contro gli Spagnuoli, che gli contrastavano il dominio di Guastalla, con sostener le ragioni di don Vincenzo Gonzaga, a cui esso duca ingiustamente aveva usurpato quel ducato. Non era egli men disgustato della corte di Vienna, perchè Carlo duca di Lorena, al vedere il Mantovano mancante di prole, non solamente per le ragioni della regina Leonora di Austria sua moglie cominciò a muovere delle pretensioni sul Monferrato, ma anche, vivente esso duca Ferdinando, cercava di entrarne in possesso. Pertanto cadde in pensiero al suddetto duca di Mantova di armarsi colla protezion della Francia contra degli Austriaci. Ercole Mattioli Bolognese, suo confidente, quegli fu che in [40] Venezia mosse parola coll'abbate di Strada, ambasciatore del re Cristianissimo, d'introdurre in Casale presidio franzese, e l'ambasciatore non tardò ad informare ed invogliar la corte di questo boccone. Succederono dipoi varie commedie in esso affare. Imperciocchè, avendo spedito il duca a Parigi esso Mattioli, non con altro fine, siccome egli protestava, che per far paura agli Austrici, costui, valendosi d'un mandato che non si stendeva a Casale, stabilì con quella corte le condizioni della consegna della cittadella d'essa città. Penetrarono gli Spagnuoli questo segreto, e colle buone e colle brusche indussero il duca a riprovar l'operato del suo ministro. E infatti, o perchè dal Mattioli fosse veramente stato tradito, o perchè si fosse pentito del patto imprudente fatto, sopra di lui voltò tutta la colpa; e fu anche preteso ch'esso Mattioli, in passando per Milano, con rilevar quel fatto al governatore, avesse toccato un regalo di cinquecento scudi d'oro. Il bello fu che contuttociò fu egli con titolo d'inviato spedito a Torino, ma lasciatosi attrappolar dai Franzesi, che il chiamarono a Pinerolo, quivi terminò i suoi giorni in una prigione.
Seguitò nulladimeno il re Cristianissimo a pretendere che si eseguisse il concordato suddetto, ed inviò a Mantova il signor di Gaumont per incalzare il duca, il quale all'incontro spedì l'abbate di Santa Barbara a Parigi per placare sua maestà, facendole conoscere di non essere tenuto ad un contratto troppo irregolarmente stipulato da un infedel ministro. Finalmente nell'anno presente d'ordine del re venne a Mantova l'abbate Morello, e contuttochè i ministri dell'imperadore e di Spagna non omettessero diligenza alcuna per iscavalcarlo, pur seppe trovar maniera di vincere il punto. Fama corse ch'egli guadagnasse con regali i consiglieri del duca, e molto più coll'esibizione di cinquecento mila lire di Francia il duca medesimo, il quale, scialacquando le sue rendite in mille sfoghi d'intemperanza [41] di lusso, di sgherri, di musici, musichesse e buffoni, non ostante che vendesse tuttodì titoli di marchese e conte, privilegii ed esenzioni a chiunque ne volea, si trovava per lo più in necessità di danaro. Fatto segretamente il contratto in Mantova, o pure in Parigi, dal marchese Guerrieri ministro del duca, se ne vide tosto l'effetto. Erano calati nella state in gran copia i Francesi a Pinerolo. Fu chiesto il passo al duca di Savoia Vittorio Amedeo, uscito già di minorità; ed ottenutolo, il marchese di Bouflers si mosse colla vanguardia di circa quattro mila cavalli, e gli tenne dietro il signor di Catinat con otto mila fanti. Nel dì 30 di settembre il Bouflers arrivò a Casale, e fece la chiamata alla cittadella, che non si fece pregare a rendersi con uscirne la guernigione italiana di secento uomini. Sopraggiunse poi la fanteria franzese, che entrò nella città, ma non tardò poscia a ritornarsene in Piemonte, restando governatore della cittadella il Catinat, e il governo civile in mano del duca di Mantova. Ancorchè ad alcuni principi d'Italia non dispiacesse il mirare in man dei Franzesi l'importante piazza di Casale, perchè questa serviva di briglia agli Spagnuoli, soliti in addietro a voler dar la legge ad ognuno; pure sommamente detestarono questa viltà del duca di Mantova per altri motivi la corte di Savoia e la veneta repubblica; e molto più ancora l'imperadore e il re Cattolico. Ora il duca Ferdinando Carlo facea mille proteste, che contro sua volontà era seguito il fatto; che i suoi ministri l'aveano tradito; fece anche mettere prigione il marchese Guerrieri, benchè poi questa prigionia poco durasse. In oltre detto fu ch'egli in Venezia giurasse sull'ostia sacra di non aver per Casale tirato un soldo dalla Francia: proteste nondimeno che ebbero la disgrazia di non trovar fede presso i più, e meno presso i saggi Veneziani, i quali da lì innanzi il disprezzarono, gli tolsero il commercio coi lor nobili, e alla di lui gente negarono ogni rispetto ed esenzione; ancorchè egli non lasciasse [42] per questo di portarsi a Venezia nei tempi di carnevale a procacciarsi la gloria di superar tutti nella ricerca de' piaceri.
Anno di | Cristo MDCLXXXII. Indiz. V. |
Innocenzo XI papa 7. | |
Leopoldo imperadore 25. |
Benchè fosse pace per tutta l'Europa, pure la corte di Francia non lasciava godere pace ad alcuno, continuamente attendendo a rendersi formidabile a tutti. Il maresciallo duca di Crequì, d'ordine del re Cristianissimo, formò una specie di blocco intorno alla importante città di Lucemburgo, di modo che impedendo l'entrata dei viveri in essa, timore insorse che pensasse ad impadronirsene: il che recò somma gelosia non solo agli Spagnuoli padroni di essa, ma anche all'Inghilterra ed Olanda, le quali interposero i loro uffizii per far desistere la Francia da quella novità, siccome in fatti avvenne. Era parimente inquieta la corte di Vienna, perchè dopo essersi studiata di quetare i torbidi dell'Ungheria, commossi dal Techelì e da altri malcontenti e ribelli, quando men sel pensava, vide coloro più che mai contumaci muovere aperta guerra alla casa d'Austria coll'impossessarsi di varie città in essa Ungheria. Gravi sospetti (per non dire di più) correano che l'oro della Francia fomentasse quella cancrena. Anzi essendosi udito che il gran signore de' Turchi facesse un incredibil armamento con disegno di venir egli in persona contra di Cesare nel prossimo venturo anno, non pochi si figurarono che a tal guerra fosse commossa la Porta dai medesimi Franzesi; tuttochè la stessa corte di Francia quella fosse che scoprisse ai ministri di Cesare e degli altri principi cristiani il disegno di quegl'infedeli: il che non si accordava col suddetto supposto. Era intanto arrivata al colmo l'insolenza de' corsari algerini; dolevasi ogni nazion cristiana della lor pirateria; e nel precedente anno aveano avuto l'ardire di dichiarar la guerra alla Francia. A questo [43] affronto, proveniente da quella canaglia, si mosse lo sdegno del re Luigi; e però contra di loro inviò in quest'anno una flotta di dodici vascelli da guerra, quindici galee e cinque galeotte, sotto il comando del signor di Quene. Arrivò questi davanti ad Algeri nel dì 23 di luglio, e salutò quella città nel seguente mese con alquante centinaia di bombe, che non poco danno cagionarono in quel popolo, non avendo esso con tutta la furia e copia delle sue artiglierie potuto impedir que' disgustosi saluti. Ma perchè il mare ingrossò, non potè quel generale far di più, e riserbò all'anno seguente il resto del gastigo.
Perchè poi continuava lo zelante papa Innocenzo XI a non voler accordare al re Cristianissimo l'estensione della regalia, questi, già avvezzo a risolutamente volere tutto quanto era di sua volontà ed interesse, fece raunar nell'anno presente l'assemblea di quei vescovi, che più degli altri erano disposti a secondare i suoi voleri, e colla loro autorità regolò essa regalia per l'avvenire, senza far più caso delle vive preghiere e forti doglianze del pontefice. Nè qui si fermò lo spirito di dispetto e di vendetta che avea preso luogo nel cuore di quel monarca; imperciocchè fece accettare e pubblicar da esso clero nel dì 23 di marzo quattro proposizioni che crudelmente ferivano i diritti e privilegii della santa Sede, molto prima disseminate dai Sorbonisti sotto lo specioso titolo di libertà della Chiesa gallicana. Cioè, che il romano pontefice non ha autorità diretta o indiretta sopra il temporale de' principi, nè può deporre essi sovrani, nè assolvere dal giuramento di fedeltà i loro sudditi. Che i concilii generali sono superiori ad esso pontefice. Che l'autorità dei decreti della Sede apostolica spettanti alla disciplina riceve la sua forza dal consenso delle altre chiese. E che nelle quistioni di fede non sono infallibili le sentenze della santa Sede, e solamente tali divengono quando vi concorre l'approvazion della Chiesa. Se così ardite [44] proposizioni dispiacessero al sommo pontefice e a tutta la corte di Roma, non occorre che io lo dica. Fu incitato più volte il santo padre ne' tempi susseguenti a condannarle; ma egli non vi si lasciò mai indurre, affinchè non credesse la nazion francese, che egli più avesse ascoltata la passione che la giustizia in sì fatta condanna. Però nè lasciò la cura ai suoi successori. Furono solamente da varii dotti scrittori confutate quelle opinioni, e questa battaglia si è rinnovata anche negli ultimi nostri tempi. Fu in pericolo l'Italia nell'anno presente del flagello della peste, che dopo essere stata a Vienna, in Boemia ed in altri luoghi della Germania, era giunta fino a Gorizia e ad altri confini dello Stato veneto. Tale nondimeno fu la solita vigilanza di quella provvida repubblica, che non potè fare ulteriore progresso questo fiero malore. Maggiore apprensione intanto si ebbe per li gran preparamenti d'armi e di gente che facea la Porta ottomana per terra e per mare. L'imperadore Leopoldo, perchè più minacciato degli altri, si diede anch'egli a far gente ed altre provvisioni, ma colla lentezza tedesca; fece anche aggiugnere delle fortificazioni alla sua capitale, giacchè essa non andava esente dal timore per la vicinanza di tante piazze, occupate in addietro nell'Ungheria dalla potenza de' Musulmani. Cominciò in oltre esso Augusto a trattar varie leghe col principi più potenti, le quali furono poi conchiuse solamente nell'anno seguente, ma che nulla frastornarono il terribile tentativo dei Turchi, di cui parleremo fra poco.
Anno di | Cristo MDCLXXXIII. Indiz. VI. |
Innocenzo XI papa 8. | |
Leopoldo imperadore 26. |
Se mai ci fu anno che tenesse la cristianità in agitazione, i corrieri in moto, e l'universal curiosità in un continuo all'arme, certamente fu questo. Imperciocchè finalmente si avverò il sospetto [45] che il gran signore aspirasse a cose inusitate in danno dell'augusta casa d'Austria, essendo uscito in campagna il gran visir Mustafà Carà con un'armata che più il timore che la verità fece ascendere a trecento mila persone. Generalissimo dell'armi cesaree, ma armi troppo allora deboli per resistere a sì gran torrente, fu dichiarato il prode duca di Lorena Carlo V cognato dello stesso imperador Leopoldo. Spedito egli per contrastare il passo al potentissimo nemico esercito, ebbe per grazia di potersene tornare indietro salvo, colla perdita nondimeno di alcuni insigni uffiziali e di parte del bagaglio. Aveano trovato i Turchi il varco per istradarsi alla volta di Vienna. Tale costernazione perciò entrò in questa città allo scorgerne imminente l'assedio, che l'Augusto Leopoldo con tutta la sua corte mossosi di là nel dì 7 di luglio, si ritirò a Lintz, e poscia a Passavia, senza potersi esprimere la terribil confusione di que' benestanti, per fuggire anch'essi con quante carrozze e carra mai poterono trovare. Governatore di Vienna restò il valoroso conte Ernesto di Staremberg, che si preparò a ben ricevere gl'infedeli. Già erano stati atterrati i vasti e deliziosi borghi di quell'augusta città; e intanto precorrendo gl'incendiarii Turchi rovinarono col fuoco un amplissimo tratto dell'Austria, distruggendo villaggi, palazzi, case e delizie. Circa dieci mila bravi soldati formavano la guernigion di Vienna, oltre a tutti i cittadini rimasti nella città, che, deposto il timore presero l'armi, concorrendo anche i preti, i frati, le donne e i ragazzi a piantar le palizzate, a cavar terreno, ove bisognava, e a prestare ogni altro possibile aiuto. Entro la città furono poi spinte dal duca di Lorena alcune altre migliaia di difensori. Nel dì 14 di luglio comparve l'esercito turchesco, e cinse Vienna di assedio. Diedero costoro principio agli approcci, a gittar bombe ed altri fuochi artificiali nella città, a bersagliar colle batterie i baluardi, e a lavorar di [46] mine: al quale uffizio abbondavano di gente sperta, cioè di molti rinegati; laddove Vienna si trovava quasi affatto priva di contraminatori. Non mi fermerò io a far la descrizione di questo memorabile assedio, per cui tutta anche l'Italia restò sbigottita, nè d'altro parlava che d'un sì formidabile avvenimento. Tutti perciò correano alle orazioni, avendo il pontefice pubblicato un solenne giubileo in tal congiuntura per implorar la misericordia e la benedizione di Dio. Dirò dunque in succinto che continuò per tutto l'agosto lo sforzo dell'armi turchesche sotto Vienna, e giunsero esse a prendere il cammin coperto; a far più mine e breccie nelle mura, a dar più e più furiosi assalti; ma che maraviglie di valore fecero nella difesa anche i cristiani, sì col rispingere i nemici, sì col far vigorose sortite, non risparmiando il sangue proprio, e con tal felicità e bravura, che le migliaia di Turchi lasciarono ivi le vite. Ma già aveano gli ostinati musulmani fermato il piede nella punta d'un baluardo; e fu creduto che la città non si sarebbe più potuta sostenere, se il gran visire avesse con un generale assalto voluto sacrificar più gente. Forse fu ritenuto dalla speranza di cogliere per sè i tesori della città, ottenendola a patti; perchè col prenderla per assalto sarebbono le ricchezze cadute in mano dei soldati vogliosi del sacco. Ma incoraggiti i difensori dal sicuro avviso del vicino soccorso, più che mai attesero a nuove tagliate, sortite, ed altre azioni coraggiose, per prolungare il più possibile l'avanzamento de' nemici.
Avea ne' primi mesi di quest'anno l'Augusto Leopoldo conchiuse varie leghe, o per quiete o per difesa dell'imperio e degli Stati suoi nella preveduta gran tempesta onde era minacciato. Spezialmente per interposizione dello zelante pontefice Innocenzo XI seguì una confederazione fra lui e Giovanni Sobieschi re di Polonia nel dì 31 di marzo. Quanto più vide esso Augusto crescere il pericolo, [47] e poi formato l'assedio della sua capitale, tanto più affrettò i principi e i circoli della Germania, e il re suddetto di Polonia ad accorrere in aiuto. La causa era comune. Caduta Vienna, dovea tremare ogni principe e città di quei contorni. Concorsero dunque a sì urgente bisogno il prode re polacco con circa trenta mila dei suoi nazionali; Massimiliano Emmanuele elettor di Baviera e Giorgio elettor di Sassonia, e molti principi volontarii, fra i quali quattro della casa di Sassonia, due di Neoburgo cognati dell'imperadore, Eugenio principe di Savoia, due di Wirtemberg, due d'Olstein, quei di Analt e di Bareit, e il principe di Waldech generale delle milizie dei circoli. Unironsi quest'armi col generalissimo di Cesare, cioè coll'invitto Carlo V duca di Lorena, il quale durante l'assedio non era mai stato in ozio, ed avea battuto più corpi di Turchi, che portavano viveri e munizioni al campo loro. Fecesi l'union de' cristiani tedeschi e polacchi a Krems di là dal Danubio, e prese che furono le più savie risoluzioni, passò di qua dal fiume il poderoso esercito, consistente in ottantacinque mila combattenti, tutti ansanti di combattere per la fede e per la pubblica salute contro i nemici del nome cristiano. Divisa in tre corpi l'armata, con bella ordinanza calò dalla montagna di Kalemberg nel felicissimo dì 12 di settembre. Andava avanti il terrore, perchè i Turchi da' loro alloggiamenti scoprivano sì fiorito e ben ordinato esercito animosamente scendere dal monte al loro eccidio. Non fu lunga la resistenza fatta da coloro; perchè il primo visire Mustafà Carà, ritiratosi in luogo alquanto distante dalla battaglia, insegnò agli altri essere miglior partito il fuggire che il menar le mani. Lasciarono dunque gl'infedeli in preda ai vittoriosi Cristiani tutte le loro artiglierie, munizioni, viveri, insegne, tende e bagagli. Al re polacco, che conducea l'ala sinistra, e ai suoi toccò la fortuna di cogliere il quartiere [48] del primo visire, nel cui superbo padiglione trovò un immenso tesoro di arredi e contanti, e lo stendardo principale dell'armata turchesca: il che produsse poi invidia e doglianze nel resto dell'armata, perchè i soli Polacchi quei furono che principalmente si arricchirono.
L'avere impiegato i soldati gran tempo nello spoglio, cagion fu che non inseguirono i fuggitivi nemici. Entrarono nel seguente giorno 13 di settembre i trionfanti generali cristiani in Vienna, cioè il re di Polonia, i duchi di Baviera, Sassonia e Lorena, e gli altri principi, e alla vista de' mirabili lavori degli assedianti ed assediati rimasero attoniti. Nel dì appresso giunse alla medesima città, venuto pel Danubio, l'imperador Leopoldo (il che raddoppiò l'allegrezza), e non perdè tempo la maestà sua a rendere grazie a Dio col far cantare un solenne Te Deum per così insigne vittoria. Certo non si può esprimere il giubilo che si diffuse per tutta l'Italia all'avviso di quella sempre memorabil giornata. Le lingue d'ognuno si sciolsero in inni di gioia e di ringraziamenti a Dio, e massimamente in Roma, dove il pontefice Innocenzo XI con molte migliaia di scudi dati in limosina a' poveri, e con aprir le carceri e liberar tutti i prigioni non capitali, soddisfacendo egli del suo pei debitori, attestò la sua gratitudine al donator d'ogni bene. E perciocchè il santo padre riconobbe sì felice successo dall'intercession della Vergine santissima, essendo succeduta tal vittoria correndo l'ottava della sua Natività, istituì dipoi la festa del Nome di Maria in quella ottava. Fu poi dal re di Polonia inviato lo stendardo maggiore de' Turchi alla santità sua: spedizione che fruttò al regio segretario portator d'esso ricchi regali del papa, del cardinal Francesco Barberino e del principe di Palestrina. Coronarono l'armi di Cesare, comandate dal duca di Lorena, la presente campagna con una vittoria riportata contro i Turchi a Parcam, e coll'acquisto dell' importante città di Strigonia nel dì 27 [49] d'ottobre. Lo strepito di queste gloriose azioni talmente sgomentò i dianzi ribelli Ungheri seguaci del conte Emerico Techelì, che buona parte di que' comitati inviarono a rendere ubbidienza al legittimo loro augusto sovrano. Diede molto da discorrere, anzi da mormorare, in questi tempi la condotta del re Luigi XIV, il quale di dì in dì minacciava nuova guerra alla Spagna, insisteva nelle precedenti pretensioni, e ne sfoderava delle nuove; ed oltre a ciò tenendo una potente armata ai confini della Germania, tuttochè mirasse in tanto rischio la città di Vienna, e sì vicini i Turchi alla depression de' cristiani; pure non alzò un dito per dar soccorso al pericolante Augusto. E non è già ch'egli non l'esibisse alla dieta di Ratisbona, ma ne voleva essere ben pagato, con pretendere prima la cessione di Lucemburgo. Di sì generosa esibizione non vollero prevalersi i ministri della dieta, perchè il pagamento sarebbe stato certo; e qual fine potesse poi avere il lasciar entrare armato in Germania un re sì potente e sì vago di conquiste, non appariva assai chiaro. Certamente non sì potè levar di capo alla gente ch'esso monarca non avesse, non dirò commossa la Porta ottomana contro di Cesare, ma desiderata la caduta di Vienna, affinchè il corpo germanico si fosse poi trovato in necessità d'implorar la sua protezione ed assistenza, la qual forse sarebbe riuscita più pericolosa, che la guerra col Turco. Tali erano le speculazioni dei politici d'allora: se ben fondate, io nol so.
Sul fine di maggio in quest'anno tornò esso re Cristianissimo ad inviare il signor di Quene con una flotta ad Algeri, per gastigar quell'insolente nazione che nulla avea profittato della lezion precedente. Tal terrore, tal danno recarono a quella città le bombe, che i barbari inviarono a chiedere pace. Rispose loro il comandante franzese di non poterne parlare se prima non restituivano tutti gli schiavi cristiani. Nel termine di quattro giorni (era il fine di giugno) [50] ne condussero più di cinquecento. Ve ne restarono moltissimi altri; contuttociò il signor di Quene diede luogo al trattato della pace, e dimandò gli ostaggi. Uno d'essi fu Mezzomorto ammiraglio degli Algerini. Costui, perchè alte erano le pretensioni de' Franzesi, nè si concludeva l'accordo, dimandò di rientrare nella città, facendo credere di poter levare gli ostacoli alla pace. Altro non fece costui che commuovere a sedizione la milizia algerina; e fatto assassinare Baba Hassan dei, ossia bei, ossia re d'Algeri, ottenne di esser egli proclamato signore. Quindi ricominciò dopo la metà di luglio la guerra, e con più furore di prima volarono le bombe, che cagionarono la rovina di gran parte di quella città. Fecero que' Barbari alcune vigorose sortite, ma furono sempre respinti. Se ne tornò poi nel settembre la flotta franzese in Francia, senza avere stabilito accordo alcuno. Ma perciocchè nell'anno seguente 1684 ebbe avviso il Mezzomorto che in Francia si facea un più gagliardo apparecchio contra d'Algeri, spedì a muovere proposizioni di pace, e questa poi si ultimò nel dì 23 di aprile dell'anno suddetto con delle condizioni affatto onorevoli e vantaggiose per la corona di Francia. Nel dì 30 di luglio dell'anno presente terminò i suoi giorni Maria Teresa d'Austria infanta di Spagna e regina di Francia, che riempì di cordoglio tutto quel regno: tanta era la sua pietà, la sua carità verso i poveri, la sua inclinazione a tutte l'opere virtuose, la sua prudenza, e la sua mirabil pazienza e disinvoltura, senza mai risentirsi de' pubblici scandalosi adulterii del re consorte.
Anno di | Cristo MDCLXXXIV. Indiz. VII. |
Innocenzo XI papa 9. | |
Leopoldo imperadore 27. |
Altro non s'udiva in questi tempi che doglianze degli Spagnuoli contra la Francia, la quale ogni dì si metteva in possesso di qualche luogo e signoria con [51] pretensioni di dipendenze, feudi ed altri titoli, che in mano di sì gran potenza diventano sempre irrefragabili. Si vede una lista di città, villaggi, castella ed altri luoghi occupati con questa muta guerra dall'armi franzesi dopo la pace di Nimega, lista ben lunga, e tale, che cagiona anche oggidì stupore e compassione verso chi restava sì fieramente pelato, senza osare di far altra opposizione che di lamenti. Intanto gli eserciti del re Luigi XIV erano sempre ai confini, cercando pur motivi di nuova guerra. Gli Spagnuoli in Fiandra non potendo più reggere a tanta oppressione, cominciarono le ostilità contra de' Franzesi fin l'anno precedente. Si fecero ridere dietro, perchè nè forze proprie aveano, nè collegati per sostener questo impegno. Non altro che questo sospirava la Francia; e però in esso anno passate l'armi del Cristianissimo all'assedio di Courtrai, s'impadronirono di quella città e di Dismuda. E mentre nell'anno presente i buoni Olandesi si sbracciavano in un congresso tenuto all'Haia per trattare di pace, o almeno di tregua, il re, che da gran tempo facea l'amore all'importante città di Lucemburgo, e conobbe il tempo propizio, trovandosi allora impegnate l'armi di Cesare contro il Turco, nel dì 28 di aprile mandò l'armata sua all'assedio di quella città. Era questa creduta inespugnabile, ma i marescialli di Crequì e d'Humieres disingannarono la gente, con aver obbligato alla resa quel presidio nel dì 4 di giugno. Dopo un sì bell'acquisto non ebbe difficoltà il re d'accordare, nel dì 29 di esso mese, una tregua di venti anni coll'Olanda, la qual poscia, per non poter di meno, fu accettata anche dal re di Spagna e dall'imperadore: con che il re Cristianissimo restò in possesso della città e ducato di Lucemburgo, con obbligarsi di restituire alla Spagna le città di Courtrai e Dismuda, spogliate prima di fortificazioni. Ma le paci e tregue della Francia in questi tempi non erano che sonniferi per addormentar le potenze, e duravano [52] fintanto che si presentava occasione di nuovi acquisti. Pareva poi alla corte di Francia che il giovinetto duca di Savoia Vittorio Amedeo II mostrasse più incitazione a Madrid che a Parigi. Però, quantunque madama reale bramasse di dare al figlio in moglie la principessa di Toscana Anna Maria figlia del gran duca Cosimo III, pure tante batterie ebbe dai ministri di Francia, che le convenne accomodarsi ad un altro accasamento. Fu dunque in Versaglies, nel dì 9 d'aprile, stipulato il maritaggio d'esso duca di Savoia colla principessa Anna figlia di Filippo duca d'Orleans, fratello unico del re Cristianissimo. Si mise in viaggio ben tosto questa principessa con accompagnamento assai nobile, e fu ricevuta ai confini dal duca suo sposo.
A queste allegrezze tenne dietro, nel seguente maggio, una dolorosa tragedia, che un nuovo campo aprì alle mormorazioni contro la prepotenza de' Franzesi, che avea fissato il punto massimo della sua gloria in farsi ubbidire da tutti, e in far tremare ognuno. Gran tempo era che non sapea sofferir quella corte di mirar la repubblica di Genova, secondo l'inveterato suo costume, cotanto aderente a quella di Spagna, e posta sotto il patrocinio del re Cattolico. Andava perciò cercando motivi di lite con essi Genovesi; e mancano forse mai ragioni al lupo, allorchè vuol divorare l'agnello? Pretesero i Franzesi di tenere un magazzino di sale in Savona, per provvederne Casale di Monferrato: novità che tornava in grave pregiudizio alle finanze della repubblica, e però non si voleva accordare. Quattro nuove galee aveano fabbricato essi Genovesi: diritto che niuno aveva mai contrastato alla loro sovranità e libertà. Col pretesto che queste avessero da servire per gli Spagnuoli, fu loro intimato di disarmarle. Più e più affronti si videro fatti dalle navi franzesi a quelle de' Genovesi e alle loro riviere; pure tollerava tutto la paziente repubblica. Fu poi spedito a Genova con titolo di residente [53] il signor di Saint Olon, e poco si stette a conoscere mandato a cagionar dei garbugli, avendo egli cominciato a proteggere i delinquenti, e a defraudar le gabelle (benchè assegnato a lui fosse un regalo annuo di mille e cinquecento pezze per sicurezza della dogana) e a far portare armi a' suoi dipendenti, che impunemente ogni dì facevano delle insolenze. Ma, per venire al punto principale, la corte di Francia, che prima coll'esempio d'Algeri, ed ora con quel di Genova, voleva imprimere in chicchessia il terrore della sua potenza, spedì con una flotta il signor di Segnelay, figlio del celebre signor di Colbert, mancato di vita nel precedente anno, che, presentatosi nel dì 17 di maggio sotto Genova, intimò alla repubblica la disgrazia e i risentimenti del re, se immediatamente non gli consegnavano i fusti delle quattro nuove galee, e non inviavano al re quattro consiglieri a chiedere perdono, e ad assicurare la maestà sua della loro intera sommessione agli ordini suoi. Perchè non si vide pronta ubbidienza a questa intimazione, cominciarono le palandre franzesi nel seguente giorno a flagellar quella bellissima città colle bombe. Sino al dì 28 del mese suddetto seguitò quell'infernale pioggia; nel qual tempo fecero i Franzesi anche uno sbarco di gente in terra, sperando forse in quella costernazione della città di potervi mettere il piede. Ma i Genovesi rinforzati da varii corpi di truppe regolate che loro inviò il governatore di Milano, ed animati dall'amor della patria e della libertà, renderono inutile ogni altro sforzo de' nemici, i quali nel suddetto dì 28 fecero vela verso la Provenza, e passarono dipoi ad esercitare la loro bravura contra degli Spagnuoli in Catalogna. Gravissimi furono i danni recati alla città di Genova e a San Pier d'Arena, per essere rimaste incendiate e diroccate varie chiese, palazzi, monisteri e case; ma non sì grande fu quell'eccidio come la fama lo decantò. E intanto ben molto soffrì nel suo materiale e nello [54] scompiglio del popolo quella repubblica, ma intatta seppe essa conservare la gemma della sua sovranità. Qual fine poi avesse questa tragedia, detestata da chiunque senza parzialità pesava le cose, lo diremo all'anno seguente.
Compiè la carriera del suo vivere nel dì 15 di gennaio dell'anno presente Luigi Contarino doge di Venezia, a cui, nel dì 25 di esso mese, fu sostituito Marco Antonio Giustiniano. Passavano in questi tempi controversie fra papa Innocenzo XI e la repubblica veneta, perchè, non volendo più soffrire il pontefice i tanti disordini che si sovente accadevano in Roma per le franchigie pretese dagli ambasciatori delle corone, avea dichiarato a tutti di voler libero il corso della giustizia contra dei malviventi e di chi facea contrabbandi. Per questa contrarietà aveano i Veneziani richiamato il loro ministro, ed altrettanto avea fatto il papa per conto del suo nunzio, che si ritirò da Venezia a Milano patria sua. Contuttociò il buon pontefice, in cui prevaleva ad ogni altro riguardo il zelo della religione e il bene della cristianità, con sommo vigore si adoperò per unire in lega contro il nemico comune l'imperadore Leopoldo, Giovanni Sobieschi re di Polonia e la veneta repubblica. Restò conchiusa questa alleanza nel dì 5 di marzo dell'anno presente. Quanto al re polacco, gli riuscì di ricuperare la città di Coccino, ma senza poter fare altra impresa di considerazione. Nè pur si mostrò molto favorevole alle armi cesaree la fortuna in quest'anno. S'era determinato nel consiglio di guerra d'imprender l'assedio della regale città di Buda. A questo fine, essendo uscito in campagna il duca Carlo di Lorena, prima s'impadronì di Vicegrado, poscia mise in isconfitta il bassà di Buda, uscito per contrastargli il passo; e dopo aver presa Vaccia, e forzati i Turchi a ritirarsi da Pest, valicò sopra più ponti il Danubio, e nel dì 14 di luglio mise l'assedio a Buda. Tentò più d'una volta il saraschiere di dar soccorso all'assediata città, ma sempre [55] fu respinto; anzi nel dì 25 di luglio uscito dalle trincee esso duca di Lorena col principe Luigi di Baden, col generale conte Caprara Bolognese, e la maggior parte della sua armata, andò ad assalir quella del saraschiere suddetto, e le diede una rotta con istrage e prigionia di molti Turchi, ed acquistò di molte bandiere ed artiglierie. Nel dì 9 di settembre arrivò anche l'elettor di Baviera sotto Buda, il cui assedio ostinatamente fu proseguito sino al fine d'ottobre; ma sostenuto con estremo vigore dagl'infedeli, che fecero continue sortite, e lavorarono forte di mine e contramine. Intanto per la perdita di molta gente negli assalti, e più per le malattie, essendo scemata assaissimo l'armata cesarea, si vide sul principio di novembre forzata a ritirarsi da quell'assedio, e a cercare riposo nei quartieri d'inverno. Si stese all'incontro la benedizione di Dio nell'anno presente sull'armi venete. S'era fortunatamente ritiralo da Costantinopoli il bailo di quella repubblica, travestito da marinaro, ed ella avea fatto un bel preparamento di milizie e navi, con eleggere capitan general Francesco Morosino, già celebre per molte sue segnalate precedenti azioni. Il pontefice Innocenzo XI somministrò quel danaro che potè in aiuto dei Veneti, e non solamente spedì ad unirsi colla lor flotta cinque sue galee, ma sette ancora di Malta, e ne ottenne quattro altre da Cosimo III gran duca di Toscana. La prima fortunata impresa che fecero i Veneziani, fu quella dell'isola di Leucate, dove, nel dì 6 d'agosto, s'impadronirono dell'importante fortezza di Santa Maura, e poscia di Vonizza, Seromero ed altri luoghi. Di là passarono ad assediare l'altra non men gagliarda fortezza della Prevesa, che costrinsero alla resa. Nello stesso tempo anche i Morlacchi occuparono Duare in Dalmazia. Con questo bel principio si dispose la repubblica a cose maggiori.
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Anno di | Cristo MDCLXXXV. Indiz. VIII. |
Innocenzo XI papa 10. | |
Leopoldo imperadore 28. |
Nel dì 16 di febbraio del presente anno per colpo di apoplessia mancò di vita Carlo II re d'Inghilterra; e morì, secondochè han creduto non pochi storici, nella comunion della Chiesa e religion cattolica. A lui succedette Giacomo II suo fratello, professore anch'egli, e pubblico, della stessa religione. Si diferì poi la coronazione del novello re, e di Maria Beatrice d'Este sua consorte fino al dì 3 di maggio; e questa fu celebrata con incredibil solennità e pompa. Al mirare sul trono della Gran Bretagna un re cattolico, si dilatò l'allegrezza in tutte le provincie del cattolicismo per la conceputa speranza di veder cessare il funestissimo scisma di quel fiorito regno, e riunita un dì alla Chiesa sua vera madre quella potente nazione. Ribellaronsi al re Giacomo i conti d'Argile e il duca di Montmouth, figlio bastardo del re defunto; ma egli ebbe la fortuna di atterrarli amendue e di assodarsi sul trono. In quest'anno il re Luigi XIV prese a gastigar l'insolenza de' corsari tripolini con ispedire il maresciallo d'Etrè alla lor città, il quale così ben regalò di bombe quel popolo, che l'astrinse, nel dì 29 di giugno, a chiedere misericordia, a restituir tutti gli schiavi franzesi, e a pagar per emenda di tante prede da lor fatte cinquecento mila lire di Francia. Riportò il plauso d'ognuno questo gastigo, perchè troppo meritato da que' ladroni infedeli. Ma restò all'incontro disapprovato il rigore con cui quel monarca diede la pace alla repubblica di Genova con una capitolazione sottoscritta in Versaglies nel dì 22 di febbraio, per la quale fu obbligato quel doge, cioè Francesco Maria Imperiali, con quattro senatori a portarsi in Francia ai piedi del re per attestare alla maestà sua il dispiacere di avere incontrata la sua indignazione. Furono anche [57] obbligati i Genovesi a disarmar le quattro nuove galee, a dar congedo alle milizie spagnuole, e a rifare i danni cagionati dalle bombe franzesi a tutte le chiese e luoghi sacri della lor città. Per tale aggiustamento s'era adoperato vivamente il nunzio pontifizio Ranucci d'ordine del sommo pontefice, e perciò alla medesima santità sua fu rimesso il lassare il pagamento intimato alla repubblica pel suddetto risarcimento. Obbligò eziandio esso re, nel dì 30 d'agosto, i corsari tunisini alla restituzion degli schiavi franzesi, con altre condizioni vantaggiose alla Francia, anzi a qualunque cristiano che navigasse sotto la bandiera franzese. Ma quel che fece maggiormente risonare il nome del Cristianissimo monarca, fu l'editto da lui pubblicato nell'ottobre di quest'anno con cui rivocò ed annullò l'editto di Nantes del 1598, vietando in avvenire ne' suoi regni l'esercizio della setta calviniana. Che lamenti, che esagerazioni facesse tutto il partito de' protestanti per questa risoluzione del re Cristianissimo, non si potrebbe esporre se non con assaissime parole. Declamarono essi sopra tutto contro alcuni eccessi commessi nella conversion di quegli ugonotti, che o non vollero o non poterono uscir di Francia. Rumoreggiarono altri contro la poca economia del re, il quale lasciò partir dai suoi regni tante migliaia di famiglie eretiche, e con esso loro tanti milioni d'oro, e tanti artisti che andarono ad arricchir paesi stranieri. Ma il re volle preferire al proprio interesse il ben della sua monarchia, la quale, per gli esempli passati, non si trovava mai sicura, nutrendo nel seno gente di religion diversa; che non cessava di tentar di nuocere, e teneva sempre in sospetto la corona. In somma presso i cattolici sì pia e generosa azione di Luigi XIV tale fu, che basterà sempre a rendere glorioso ed immortale il suo nome.
Nella campagna dell'anno presente fu risoluto dall'esercito cesareo, comandato da Carlo duca di Lorena, di formar [58] l'assedio di Neukaisel, una delle piazze più forti che possedesse l'ottomana potenza nell'Ungheria. A dì 7 di luglio si diede principio alle ostilità contra di quella piazza. A questo avviso il saraschiere, forte di sessanta mila persone si portò a Vicegrado e se ne impossessò, e passò poi a stringere d'assedio la città di Strigonia. Allora il duca di Lorena, lasciato il generale conte Enea Caprara sotto Neukaisel, preso il meglio dell'esercito cristiano, andò per affrontarsi col saraschiere. Costui, ritiratosi da Strigonia, non voleva il giuoco; tanto fece il duca, che il tirò a battaglia, e lo sconfisse con acquisto de' padiglioni e di molte artiglierie, bandiere e munizioni. Animati da questo buon successo i cristiani, giacchè era fatta la breccia a Neukaisel, nè a tempo i Turchi presero la risoluzione di rendersi, v'entrarono a forza, e tagliarono a pezzi tutto quel presidio. Impadronissi dipoi il maresciallo Caprara di Eperies, Tokai e Kalò; e venne all'ubbidienza sua anche la città di Cassovia. Così ai generali Mercy ed Heisler riuscì di prendere la fortezza di Zolnoch, e di disfare il ponte d'Essech. Altre prosperose azioni si fecero in Bossina e Corbavia dall'armi cristiane. A queste imprese concorsero ancora da Parigi i principi di Contì e di Roccasurion fratelli, e il principe di Turrena, con lasciar ivi non pochi segni della lor intrepidezza. Quanto a' Veneziani, inferiore non fu la felicità delle lor armi sotto il comando di Francesco Morosino capitan generale. Nelle loro armate generale della fanteria era il principe Alessandro fratello di Ranuccio II duca di Parma. Militava parimente il principe Massimiliano di Brunwsich alla testa d'alcuni reggimenti del duca suo padre. Tra molti volontarii si contò anche Filippo principe di Savoia. Vi spedì papa Innocenzo XI le sue cinque galee, otto ne inviò la religion di Malta, e quattro il gran duca di Toscana. Rivoltesi pertanto le mire dei Veneziani al Peloponneso, che oggidì porta il nome di Morea, passarono all'assedio [59] della città di Corone. Non solamente gran resistenza fecero Turchi e Greci abitanti in quella città, ma forza fu di combattere più fiate con un esercito turchesco, che nelle vicinanze trincierato andava tentando di soccorrere la piazza. A costoro fu data una rotta nel dì 7 di agosto: il che fatto, più coraggiosamente si continuarono gli approcci e le offese contra di Corone. L'ostinazion de' difensori giunse a tanto, che i cristiani a viva forza sboccarono nella città, mettendo a fil di spada quanti incontrarono, e poscia a sacco tutte le abitazioni. Vi si trovarono cento ventotto pezzi di cannone, tra i quali ottantasei di bronzo, con abbondanti munizioni da bocca e da guerra. Rinforzata di poi l'armata veneta da tre mila Sassoni, prese Zernata, e poi Calamata, Chiefalà, Gomenizze ed altri luoghi. Con tali felici avvenimenti, che sparsero il giubilo per tutte le contrade d'Italia, ebbe fine la presente campagna.
Anno di | Cristo MDCLXXXVI. Indiz. IX. |
Innocenzo XI papa 11. | |
Leopoldo imperadore 29. |
Si moltiplicarono in quest'anno le allegrezze per tutta l'Italia a cagion dei continuati progressi dell'armi cristiane, tanto cesaree che venete contro il comune nemico. Città italiana non c'era, dove giugnendo di mano in mano le felici nuove di questi avvenimenti, non si facessero falò ed innumerabili fuochi di gioia, con giubilo de' popoli, i quali non d'altro parlavano che di Turchi sconfitti e di città conquistate. Allora fu che il nome dell'imperadore ricuperò ancora in Italia il genio e l'amore dei più delle persone. Diede principio alle militari azioni degl'imperiali il generale conte Mercy, con rompere i Turchi e Tartari nei contorni di Seghedino. Il generale Antonio Caraffa s'impadronì del castello di San Giobbe. Tanta era la fiducia del prode duca di Lorena, che fu risoluto di nuovo l'assedio di Buda. Colà passato [60] l'esercito, trovò abbandonata la picciola città di Pest, e dopo aver valicato il Danubio sopra un ponte, cinse d'intorno quella città capitale dell'Ungheria. Trovata poca resistenza nella città bassa, tutte le forze si rivolsero contro il fortissimo secondo recinto. Carcasse, bombe, artiglierie faceano un orrido fuoco; erano frequenti e vigorose le sortite dei nemici, ora contro i Brandeburghesi e cesarei, ed ora contro i Bavari comandati dal loro elettore, con felice o pur con infelice riuscita. Si venne a più assalti, che costarono gran sangue, più sempre agli assalitori che agli assaliti. Aveano già i cristiani preso posto nel terzo recinto, quando si avvicinò il primo visire con un'armata di circa sessanta mila combattenti, voglioso di dar soccorso alla piazza. Fece costui molti tentativi, sacrificò anche della gente, e gli riuscì di far entrare alcune centinaia di fanti nella piazza; ma i cristiani per questo non rallentarono punto le offese. Uscì il duca di Lorena delle trincee con animo di far giornata col Barbaro, il quale giudicò meglio di ritirarsi; e però nel felicissimo dì 2 di settembre, dato un generale furioso assalto, colla forza entrarono i valorosi cristiani nell'ultimo recinto, e tutta restò in lor potere quella regal città. Grande fu la strage dei musulmani, a cui tenne dietro il saccheggio dato dalle avide milizie vincitrici. Ritrovaronsi nella città e castello almen trecento cannoni di bronzo, sessanta mortari, oltre ad una gran copia di attrezzi militari. Vi si trovò anche non lieve parte della suntuosa biblioteca, già ivi formata dal re Mattia Corvino, i cui manoscritti passarono di poi all'augusta libreria di Vienna. Che strepito facesse sì glorioso acquisto, non si può abbastanza esprimere. Parve che Dio avesse rivelato questo fortunatissimo giorno al santo pontefice Innocenzo XI, perchè egli nello stesso dì rallegrò infinitamente Roma colla tanto differita e tanto sospirata promozione di ventisette cardinali. Nel dì 9 [61] del suddetto mese giunse a Roma il corriere con sì lieta nuova; e però nel dì 12 col suono di tutte le campane, colla salva di tutte le artiglierie, con fuochi innumerabili di gioia, e poscia con solenne messa si celebrò il rendimento di grazie a Dio. Continuarono dipoi gran tempo ancora cotali allegrezze, non sapendo il popolo romano far fine al giubilo. Altrettanto ancora avvenne in assaissime altre città. Nè qui si fermò il corso delle vittorie cesaree. Venne sottomessa dal generale conte Federigo Veterani la ricca e mercantile città di Seghedino sul Tibisco. Occupò il principe Luigi di Baden Cinque Chiese, Siclos e Dardo al Dravo. In somma non v'era settimana che non portasse qualche nuovo motivo di letizia agli amatori del nome cristiano.
Veniva poi questa mirabilmente accresciuta da altri felici progressi delle armi venete in Levante. Erasi il capitan bassà nella primavera presentato sotto Chiefalà nella Morea con forte speranza di ricuperarla. Arrivò a tempo il capitan generale Morosini; ma quando si credea di dover cacciare colla forza que' Barbari dal loro accampamento, trovò che col benefizio della notte se n'erano fuggiti lasciando indietro l'artiglierie. Avea la repubblica eletto per primario generale delle sue armate di terra il conte Ottone Guglielmo di Konigsmarch Svezzese; e dopo aver presa i generali la risoluzione di passar contra di Navarino, a quelle spiagge approdarono nel sacro dì della Pentecoste. Due sono i Navarini cioè il vecchio e il nuovo. Il primo non volle liti, e con buoni patti immantenente si arrendè; però passò il campo intorno al nuovo, piazza assai forte, contro la quale si diede principio a un terribil fuoco di bombe e artiglierie. Avvicinossi il saraschiere con un corpo d'armata per tentare il soccorso. Usciti i cristiani, con tal bravura andarono a trovarlo, che il costrinsero a prendere la fuga, lasciando indietro cinquecento padiglioni, fra' quali il suo composto di sette cupole [62] e varie stanze, che occupava trecento passi di giro. A questa vittoria tenne dietro la resa di Navarino. Di là senza perdere tempo si voltarono i Veneti addosso alla città di Modone, che non fece lunga difesa. Quindi impresero l'assedio di Napoli di Romania, dove si trovò gran resistenza. In que' contorni allora comparve il saraschiere; ma non gli diedero tempo i cristiani di afforzarsi; perciocchè, iti a trovarlo, fecero di nuovo menar le gambe alla sua gente; dopo di che s'impadronirono ancora d'Argo, abbandonata da' Turchi. Perduta la speranza del soccorso, anche Napoli capitolò la resa. Oltre a ciò, Arcadia e Termis vennero all'ubbidienza della repubblica. Restò anche espugnata in Dalmazia la considerabil fortezza di Sign dal generale Cornaro nel mese di ottobre. Per questi avanzamenti delle cristiane armate giubilava il pontefice Innocenzo XI, sviscerandosi intanto per inviar quanti mai potea soccorsi di danaro all'imperadore Veneziani e Polacchi, tuttochè questi ultimi nulla di rilevante operassero contra del comune nemico.
Un'altra singolar consolazione provò il santo padre e Roma tutta per l'arrivo colà nel precedente anno del conte di Castelmene, spedito ambasciatore da Jacopo II re cattolico della Gran Bretagna alla santa Sede. Un'ambascieria tale, dopo quasi un secolo e mezzo di disunione di quella nazion potente, veniva considerata da tutto il cattolicismo come un grandioso regalo della divina provvidenza, se non che quel ministro procrastinava il mettersi in pubblico. Parimente nel dì 9 di aprile di quest'anno comparve a Roma Ferdinando Carlo duca di Mantova, i cui lunghi colloquii col papa diedero non poca gelosia ai Franzesi, che erano in rotta colla santità sua. Colà poscia pervenne ancora nel novembre di quest'anno Francesco II duca di Modena coll'accompagnamento di molta nobiltà e famiglia, per visitare la duchessa Laura madre sua e della regina d'Inghilterra, che tornata a [63] quell'augusta città, avea quivi fissata l'abitazione sua. Ancorchè il santo padre, per cagion della podagra che il tenea per lo più confinato in letto, desse poche udienze, pure ne diede una di quattro ore a questo principe, compartendogli ogni possibil onore e dimostrazione di amore e di stima. Passò dipoi esso duca per sua ricreazione anche alla gran città di Napoli, dove il marchese del Carpio vicerè sorpassò l'espettazione d'ognuno nelle tante finezze che praticò con questo sì illustre pellegrino. Un solo intrico era quello che teneva in grave agitazione l'animo del buon pontefice Innocenzo. Era mancato di vita nel precedente anno il cattolico Carlo conte palatino, ed elettore del Reno, senza succession maschile; e ne' suoi Stati, per dritto proprio, e in vigore ancora del suo testamento, era succeduto il duca di Neoburgo Filippo Guglielmo, fratello di Leonora Maddalena moglie augusta dell'imperador Leopoldo. Mosse tosto pretensioni sopra l'eredità del defunto elettore la duchessa d'Orleans Elisabetta, sua sorella, tenendosi ella chiamata a quegli Stati, o almeno a tutti i beni allodiali: laddove il duca di Neoburgo sosteneva il suo punto colle leggi dell'imperio, esclusive nelle femmine, e col testamento suddetto. Non fu pigro a prendere la protezion della cognata il re Lodovico XIV, e fin d'allora si cominciò a prevedere inevitabile una guerra a cagion di questo emergente. Contuttociò il re Cristianissimo con rara moderazione consentì di rimettere tal pendenza alla decisione del regnante pontefice; ma, questi dopo aver fatto esaminar le ragioni, sentendo troppo alte le pretensioni delle parti, non osava di discendere a laudo alcuno, per la chiara conoscenza che disgusterebbe l'una delle parti, e forse anche amendue. Siccome padre comune, e sommamente bramoso di conservar la pace fra i principi cristiani, in tempo spezialmente che procedeva sì felicemente la guerra contra de' Turchi, forte s'affliggeva per questo litigio, e moveva tutti i principi, [64] affinchè, interponendo i loro uffizii, non si venisse a rottura. Dalle premure del re Cristianissimo fu mosso in quest'anno Vittorio Amedeo II duca di Savoia a pubblicare un editto, per cui si comandava l'esercizio della sola religion cattolica nelle quattro valli abitate dai Valdesi, ossia dai Barbetti eretici: editto che niun buon esito produsse. Portossi dipoi questo sovrano sul fine dell'anno presente a Venezia, per godervi di quel carnevale, e ricevette da quel saggio senato tutti i maggiori attestati di stima. I curiosi politici immaginarono in tale andata non pochi misteri.
Anno di | Cristo MDCLXXXVII. Indiz. X. |
Innocenzo XI papa 12. | |
Leopoldo imperadore 30. |
Col taglio di una pericolosa fistola al re Luigi XIV salvò in quest'anno la vita un valente chirurgo. Avrebbe ognun creduto, che quel monarca, avvisato con questo malore della fragilità della vita umana avesse da deporre o almen da moderare la sua fierezza. Ma non fu così. Anzi più che mai risentito, dopo aver fatto provar la sua potenza a tanti inferiori, volle anche farla sperimentare a chi meno egli dovea, cioè all'ottimo pontefice Innocenzo XI. Siccome più volte abbiam detto, era gran tempo che gli ambasciatori delle teste coronate si erano messi in possesso delle franchigie in Roma, pretendendo esenti dalla giustizia ed autorità del pontefice non solamente i lor palagi, ma anche un'estensione di molte case nei contorni, che servivano di sicuro ricovero a tutti i malviventi e banditi. Con questi indebiti asili non si potea nè esercitar la giustizia, nè mantener la pubblica quiete in quella nobilissima città. Perchè il pontefice avea dichiarato di non volere riconoscere nè ammettere all'udienza ambasciatore alcuno, se non rinunziava alla pretension delle franchigie, non si trovava più in Roma alcun d'essi, a riserva del duca d'Etrè ambasciatore [65] del re Cristianissimo, in riguardo di cui avea il santo padre promesso di chiudere gli occhi durante solo la di lui ambasceria. Venne questi a morte, e il papa ordinò tosto, che i pubblici esecutori liberamente entrassero nelle strade e case già pretese immuni. Nè pure in Madrid in questi medesimi tempi si volea più sofferire un somigliante eccesso degli stranieri ministri. Ma il re Luigi, a cui certo non piaceva che in Parigi alcun degli ambasciatori facesse in questa maniera da padrone, era nondimeno intestato che fosse un diritto della sua corona la franchigia del suo ministro in Roma, la quale, quantunque dovuta a lui e alla sua famiglia, pure irragionevole cosa era il pretendere che si avesse a stendere a quella esorbitanza che praticavasi allora in Roma sotto gli occhi del pontefice sovrano. Ma se Innocenzo XI era inflessibile su questo punto, con essere anche giunto a pubblicare una bolla che vietava sotto pena della scomunica le franchigie, anche dal canto suo Luigi XIV si mostrava costante in voler sostenere sì fatto abuso; nè per quante ragioni sapesse adurre il cardinal Ranucci nunzio apostolico, si lasciò smuovere da sì ingiusta pretensione.
Ora quel monarca, risoluto di far tremare anche Roma, scelse per suo ambasciatore Arrigo Carlo marchese di Lavardino; e quantunque sapesse le proteste del papa di non ammetterlo come ambasciatore, qualora non precedesse la rinunzia delle franchigie, pure lo spedì nel settembre di quest'anno alla volta di Roma con trecento persone di seguito. Fece anche imbarcare a Marsiglia e Tolone sino a quattrocento cinquanta tra uffiziali e guardie, che sul Fiorentino s'unirono col Lavardino. Con questo accompagnamento, come in ordinanza di battaglia, entrò in Roma il marchese nel dì 16 di novembre, essendo tutte in armi quelle centinaia di uffiziali e guardie, e con questo fasto andò egli a prendere il possesso del palazzo Farnese e di tutti gli adiacenti quartieri. Fece chiedere udienza al papa, [66] nè la potè ottenere; e siccome egli pubblicamente contravveniva alla bolla pontifizia, così tenuto fu per incorso nella scomunica. Cominciò più baldanzosamente con superbo corteggio di carrozze e di ducento guardie a cavallo, tutti uffiziali, e ben armati, a passeggiar per Roma. Teneva in oltre nella piazza del palazzo suddetto trecento guardie a cavallo con ispada sfoderata in mano, spendendo largamente per cattivarsi il popolo, e facendo ogni dì conviti e magnificenza in casa sua, ridendosi del papa, e minacciando trattamenti peggiori contra di lui: azioni tutte che non si sapeva intendere come si permettessero o volessero da chi si gloria di essere il primo figlio della Chiesa. Non mancavano persone, che consigliavano il santo padre di non tollerar questi affronti, e di far gente per reprimere tanto orgoglio; ma il saggio sofferente pontefice, risoluto di voler più tosto dimenticarsi di esser principe, come mansueto pastore non altro rispondeva, se non le parole del salmo: Hi in curribus et in equis: Nos autem in nomine Dei nostri invocabimus. Certamente fra le glorie di Luigi XIV non si può contare l'aspro trattamento da lui fatto a papa Alessandro VII. Molto meno poi si potrà lodare il più sonoro praticato coll'ottimo papa Innocenzo XI; perchè ragione non c'è da poter mai giustificare le franchigie, tali quali s'erano introdotte in Roma, nè la violenza usata dal Lavardino con evidente ingiuria alla sovranità e all'eccelso grado di chi è vicario di Cristo. Perchè poi esso Lavardino fece nel dì del Natale del Signore celebrar messa solenne nella chiesa di San Luigi, e vi assistè con tutta pompa, si vide sottoposta quella chiesa coi sacerdoti all'interdetto.
Un altro grave affanno provò in questi tempi il pontefice, per essersi scoperto in Roma autore di una pestilente setta (appellata dipoi il Quietismo) Michele Molinos prete spagnuolo, che colla sua ipocrisia s'era tirato addietro una gran copia di seguaci, anche di alto affare. Lo [67] zelantissimo pontefice, allorchè da saggi e dotti porporati restò ben informato dei falsi insegnamenti di costui, e delle perniciose conseguenze della palliata di lui pietà, ne comandò tosto la carcerazione; e di gran faccende ebbero successivamente i teologi e il tribunale della santa inquisizione per opprimere ed estirpare questa mala gramigna, che insensibilmente s'era anche diffusa per altre parti di Italia. Furono severamente proibiti i libri d'esso Molinos, e con bolla particolare del sommo pontefice nel dì 28 d'agosto fulminate sessantotto proposizioni estratte da essi libri. Si proseguì poi con severità, ma non disgiunta dalla clemenza, il processo contro l'autore di tal setta, e di chiunque l'avea o imprudentemente o maliziosamente adottata, di modo che, proseguendo le diligenze, da lì a qualche tempo se ne smorzò affatto l'incendio, e ne restò la sola memoria del nome. Non rallentò papa Innocenzo XI le sue premure per la guerra contro il Turco nell'anno presente; nè solamente inviò in aiuto de' Veneti le sue galee, ma ottenne ancora che la repubblica di Genova v'inviasse le sue. Tornossene da Roma in Inghilterra, ossia in Francia il conte di Castelmene ambasciatore del re Giacomo II. E Francesco II duca di Modena, dopo aver goduto singolari finezze in Napoli, si restituì nel febbraio ai suoi Stati, senza aver potuto condur seco la duchessa Laura sua madre, la quale nel susseguente luglio, con fama di rara pietà e saviezza, diede fine al suo vivere in Roma, lasciando lui erede de' suoi beni nel Modenese, e de' posseduti da lei in Francia la regina della Gran Bretagna Maria Beatrice sua figlia.
Mirabili furono in quest'anno ancora gli avanzamenti dell'armi cristiane contro la potenza ottomana. Nell'anno precedente s'era portato a Vienna, e poscia all'assedio di Buda, Ferdinando Carlo duca di Mantova con un copioso accompagnamento de' suoi bravi, e volle intervenire anche alla campagna dell'anno [68] presente. Della bravura di lui e de' suoi non fu parlato con gran vantaggio in Italia. Ora il valoroso generalissimo duca Carlo di Lorena e Massimiliano elettor di Baviera, risaputo che il primo visire con esercito, creduto di sessanta mila combattenti, tragittato il Savo, s'inoltrava per frastornar le imprese de' cristiani, si mossero contra di lui. Poi consigliatamente fecero una ritirata, la quale, presa per indizio di timore dal musulmano, lo animò a passare anche il Dravo. Nel dì 12 d'agosto a Moatz vennero alle mani le due possenti armate, e ne andò sconfitta la turchesca. Insigne fu questa vittoria, perchè tra uccisi dal ferro ed annegati nel Dravo vi rimasero più d'otto mila Turchi; incredibile il bottino per sessantotto cannoni, dieci mortari, immensità di provvigioni da bocca e da guerra, cavalli, buoi, bufali e cammelli, cassette d'oro e tende. Il padiglione del gran visire toccò all'elettore, che fu il primo ed entrarvi. Fu detto che tenesse un quarto di lega di giro, e quivi fu cantato un solenne Te Deum. Occuparono poscia i cesarei la città e castello di Essech; costrinsero alla resa la città di Agria, e poscia la fortezza di Mongatz. Quello che maggiormente accrebbe la gloria al duca di Lorena, fu ch'egli animosamente entrò nella Transilvania, ed obbligò la città di Claudiopoli, ossia Clausemburgo, e quella di Ermenstad capitale della provincia e tutte le altre della Transilvania ad ammettere presidio cesareo. Ritiratosi nel castello di Fogaratz l'Abaffi principe di quella contrada, si vide astretto, nel dì 27 d'ottobre, a capitolare col duca, mettendosi sotto la protezion di Cesare, ed accordando le contribuzioni e i quartieri d'inverno. Nel dì 9 di dicembre di quest'anno in Possonia tenuta fu la gran dieta del regno di Ungheria, a cui intervenne l'imperadore Leopoldo; ed ivi restò proclamato e coronato re d'Ungheria lo arciduca Giuseppe, primogenito di esso Augusto.
Colle sue benedizioni accompagnò la [69] divina clemenza anche l'armi della repubblica veneta; giunta in questo felicissimo anno a liberar tutto il regno della Morea dalla tirannia de' Turchi, e ad inalberarvi le bandiere della croce. Sbarcò l'armata veneta nel dì 20 di luglio alle spiaggie dell'Acaia, con disegno di assalire la città di Patrasso; ma perciocchè il saraschiere s'era in quelle vicinanze acquartierato, si videro i generali cristiani in necessità di rimuovere prima quest'ostacolo. Ora il conte di Konigsmarch, primo fra essi, seppe trovar maniera di passar colà, e di attaccar la mischia co' nemici, i quali dopo qualche resistenza diedero a gambe, lasciando indietro alcune centinaia di morti, artiglierie ed insegne. A cagion di questo avvenimento si ritirarono in salvo anche le guernigioni turchesche di Patrasso e del castello di Morea. Maravigliosa cosa fu il mirare, come presi da panico timore quegl'infedeli, appiccato il fuoco alle munizioni del castello di Romelia, che gran resistenza far potea, facessero saltare in aria i suoi torrioni, e poi se ne fuggissero. Giunse lo sbigottimento a tale, che si trovò abbandonata da essi la città di Lepanto, dianzi infame nido di corsari. Lo stesso saraschiere uscì coll'esercito suo di Morea; e in fine la città di Corinto, cioè la chiave di quel regno, venne senza fatica in poter de' cristiani, che vi trovarono quaranta pezzi di bronzo, parte inchiodati e parte fatti crepare. Anche Mistrà, che si crede nata dalle rovine della poco lontana Sparta, impetrò buone capitolazioni dalle vincitrici armi cristiane. Restò dipoi deliberata la conquista d'Atene e della sua acropoli, cioè della fortezza che difende quel borgo, giacchè un borgo è divenuta l'antica celebre città d'Atene. Fu colla forza ancor questa obbligata alla resa; imprese, che per tutta l'Italia, e spezialmente in Venezia, furono solennizzate con incessanti feste. Nè qui si fermarono le glorie venete. Oltre all'avere il generale Cornaro fatti ritirare i Turchi dall'assedio della fortezza di Sign, invogliò [70] il senato veneto di liberar l'Adriatico da un barbarico asilo di corsari, coll'acquisto di Castel nuovo in Dalmazia. A questo fine fu ottenuto che le galee del papa e di Malta concorressero all'impresa, ed ivi s'impiegarono anche due mila e cinquecento soldati oltramontani che erano destinati per l'armata di Levante: risoluzione di non lieve detrimento, perchè, a ragion di questa mancanza, siccome diremo, finì poi male la conquista di Negroponte, saggiamente ideata dal capitan generale Morosino. Con centoventi legni sul fine di agosto si presentarono i Veneziani sotto la suddetta riguardevol città e fortezza di Castelnuovo. Di gran fatiche costò la sua espugnazione, ma in fine ne uscirono i presidiarii e gli abitanti, lasciandone il possesso ai cristiani, che vi trovarono gran copia di munizioni e cinquantasette cannoni di bronzo. Ora tanto abbassamento della potenza ottomana cagionò sollevazioni in Costantinopoli, fu deposto il sultano Maometto, e sollevato al trono suo fratello. Non mancò la Porta in questi tempi di muovere a Vienna proposizioni di pace, e v'inclinavano alcuno de' consiglieri cesarei, giacchè si prevedeva vicino lo scoppio di nuove guerre dalla parte del re Cristianissimo. Ma prevalse il sentimento del duca di Lorena, a cui sembrava molto disdicevole il deporre le armi in mezzo al corso di tante vittorie, e mentre sì invitti e sgomentati si trovavano i dianzi sì orgogliosi musulmani.
Anno di | Cristo MDCLXXXVIII. Indiz. XI. |
Innocenzo XI papa 13. | |
Leopoldo imperadore 31. |
Più feroce che mai si scoprì il re Luigi XIV nell'anno presente contra del buon pontefice Innocenzo XI, sperando pure col moltiplicare le violenze di ottenere ciò che egli non dovea pretendere, perchè contrario alla giustizia, alla pietà e alla riverenza professata dai re Cristianissimi alla Sedia apostolica. Ordinò dunque [71] al marchese di Lavardino di far ben conoscere al popolo romano il suo disprezzo per le censure pontifizie, di sostener più che mai vigorosamente il possesso delle franchigie, e di camminare per Roma con più fasto che mai, come se si trattasse di città sottoposta ai gigli, e in cui avesse da prevalere all'autorità del pontefice sovrano quella del re di Francia. Il santo padre mirava tutto senza scomporsi, risoluto di vincere colla pazienza l'indebita persecuzione. Gli furono proposte leghe; ma egli riponeva tutta la sua difesa nella protezion di Dio e nella giustizia della sua causa. Portossi una mattina il Lavardino colla guardia di trecento uffiziali da trionfante alla basilica Vaticana, ed ebbe non so se il contento, oppure il rammarico di veder fuggire i sacerdoti dagli altari, per non comunicare con chi era aggravato di censure. Non contento di passi cotanto ingiuriosi il re Luigi, fece interporre dal parlamento di Parigi un'appellazione al futuro concilio contro la pretesa ingiustizia del papa, il quale non altro intendea che di poter esercitare la giustizia in casa sua, come usano nelle loro città gli altri principi, e massimamente la corte di Francia. Richiamato da Parigi il nunzio pontifizio cardinal Ranucci, il re non volle lasciarlo partire, e gli mise intorno le guardie col pretesto della sua sicurezza. Tanto innanzi andò l'izza di quel monarca, tuttochè fregiato del titolo di Cristianissimo, che mandò le sue armi a spogliare il pontefice del possesso di Avignone, come se questi avesse imbrandite l'armi per far guerra alla Francia. Al punto di sua morte non si sarà certamente rallegrato quel gran re di avere così maltrattato il capo visibile della religione da lui professata, e per una pretensione che niun saggio potrà mai asserire appoggiata al giusto.
Nella primavera di quest'anno arrivò al fine de' suoi giorni Marc'Antonio Giustiniano doge di Venezia. Tale era il merito acquistatosi dal capitan generale [72] Francesco Morosino in tante sue passate prodezze, che i voti di tutti concorsero a conferirgli quella dignità, unita al comando dell'armi: unione troppo rara in quella prudente repubblica. Mentre egli dimorava nel golfo di Egina, gli arrivò questa nuova nel dì primo di giugno, e gran feste ne fece tutta l'armata. Otto galee di Malta comparvero in aiuto dei Veneti con un battaglione di mille fanti, e poscia quattro altre galee, e due navi del gran duca di Toscana con ottocento fanti e sessanta cavalieri. Ma andò a male un grosso convoglio di genti e munizioni spedito nella primavera da Venezia: colpo, che fu amaramente sentito dal Morosino. Contuttociò si prese nel consiglio militare la risoluzione di tentar l'acquisto dell'importante città di Negroponte, capitale della grande e ricca penisola appellata dagli antichi Eubea, conosciuta oggidì collo stesso nome di Negroponte. Ma non furono ben conosciute le maniere per progredire in così difficile impresa, e si cominciarono gli approcci dove non conveniva. Si venne al generale assalto di un gran trincierone fabbricato dagli infedeli, e fu superato con istrage loro, ed acquisto di trentanove pezzi di cannone e di cinque mortari; ma per questo e per tanti altri assalti, e più per le malattie cagionate dall'aria cattiva essendo periti lo stesso generale conte di Konigsmarch ed assaissimi altri valorosi uffiziali con gran copia di soldati; venuto che fu l'autunno, si trovò forzato il doge Morosino a ritirarsi ben mal contento da quello sfortunato assedio, senza poter fare altra impresa nella campagna presente. Maggior fortuna si provò in Dalmazia, dove il provveditor generale Girolamo Cornaro s'impadronì della fortezza di Knin, benchè armata di tre recinti, e poscia di Verlicca, Zounigrad, Grassaz e delle torre di Norin. Tali acquisti non compensarono già l'infelice successo di Negroponte, per cui rimase sommamente afflitta la veneta repubblica.
Ebbe all'incontro la corte cesarea [73] motivi di singolar allegrezza per la prosperità delle sue armi nell'anno presente. Alba Regale città dell'Ungheria, che può contendere il primato colla regal città di Buda, fu bloccata nella primavera; ed allorchè quel bassà e presidio videro giunte le artiglierie da Giavarino, il dì 10 di maggio si esentarono da maggiori perigli, cedendo quella città ai cristiani con assai onorevoli condizioni. Si formò in questi tempi anche il blocco di Zighet e Canissa, piazze di molta conseguenza. Spedito eziandio il conte Caraffa alla città di Lippa, dacchè ebbe alzate le batterie e formata la breccia, vi entrò, essendosi ritirati tutti i Turchi nel castello, il quale bersagliato dalle bombe, da lì a poco ottenne di rendersi con buoni patti; siccome ancora fece Titul. Nè pure il general conte Caprara stette in ozio, avendo col terrore fatto fuggire dalle due fortezze di Illoch e Petervaradino i nemici. Nella stessa maniera l'importante posto di Karancebes, chiave della Transilvania, fu preso dal general Veterani. In somma davanti ai passi delle cesaree armate marciava dappertutto la vittoria. Imprese più grandi meditava intanto il prode elettor di Baviera, giunto nel dì 29 di luglio all'esercito primario di Cesare, che era composto di quaranta mila bravi Alemanni, oltre agli Ungheri del partito austriaco. Le mire sue erano contro l'insigne città di Belgrado capitale della Servia. Passò felicemente di là dal Savo la coraggiosa armata, ancorchè in faccia le stesse il saraschiere con circa dodici mila cavalli e alcuni corpi di Tartari ed Ungheri ribelli, comandati dal Tekely. Quindi s'inoltrò a Belgrado, con trovare abbandonata da coloro una gran trincea, che potea far lunga difesa, e dati alle fiamme tutti i borghi della città, dove si contavano migliaia di case. Accostavasi il fine d'agosto, quando giunsero da Buda le artiglierie, le quali tosto cominciarono a fracassar le mura della città. Nel dì 6 di settembre tutto fu all'ordine pel generale assalto, a cui inanimato ciascuno dalla [74] presenza e dalle voci dell'intrepido elettore, allegramente volò. Superata la breccia, vi restava un interno fosso; ma nè pur questo trattenne l'ardor dei soldati, che penetrarono vittoriosi nel cuor della piazza, e sfogarono dipoi la rabbia, la sensualità e l'avidità della roba coi miseri abitanti. Restituita la croce in quella nobil città, nel dì 8 d'esso mese quivi si renderono grazie a Dio per sì maravigliosi successi. Passò dipoi con magnifico corteggio e passaporto un'ambasceria del nuovo gran signore Solimano all'imperador Leopoldo, per chieder pace. Anche nella Schiavonia in questi tempi Luigi principe di Baden, generale di gran grido, si rendè padrone di Costanizza, Brodt e Gradisca al Savo, e diede appresso una rotta al bassà di Bossina, o, come altri dicono, Bosna. Sicchè per tanti felici avvenimenti ben parea dichiarato il cielo in favore dell'armi cristiane, nè da gran tempo s'erano vedute sì ben fondate le speranze dei fedeli per iscacciar dall'Europa il superbo tiranno dell'Oriente.
Ma, bisogna pur dirlo: fu parere di molti che sempre sarà invincibile la potenza ottomana, non già per le proprie forze, ma per la protezione d'una potenza cristiana che non ha scrupolo di sacrificare il riguardo della religione, affinchè troppo non s'ingrandisca l'imperador de' cristiani. Almen comunemente fu creduto, che per reprimere cotanto felici progressi dell'armi cesaree contro del Turco, il re Luigi XIV movesse in questo anno l'armi sue contro la Germania. Se vere o apparenti fossero le ragioni del re suddetto di turbar la quiete della cristianità, meglio ne giudicheranno altri che io. Le pretensioni della cognata duchessa d'Orleans, almen sopra i beni allodiali del fu suo padre e fratello, erano tenute in Francia per giuste; ma non per motivi da mettere sossopra la Germania. Volea quella corte sostener le ragioni del cardinale Guglielmo di Furstemberg, eletto alla chiesa di Colonia da una parte dei canonici in concorrenza del principe [75] Clemente di Baviera fratello dell'elettore; benchè al primo mancasse il breve dell'eligibilità e si trattasse d'un affare spettante al corpo germanico, e che si sarebbe dovuto decidere dal romano pontefice e dal capo dell'imperio. Si fecero anche gravi querele dal re Luigi, perchè l'imperadore, il re di Spagna e molti principi della Germania, nei dì 28 di giugno del 1686, in Augusta avessero formata una lega a comune difesa. Veniva questa considerata a Versaglies per un delitto. Pertanto nel settembre di quest'anno esso re, pubblicato un manifesto, a cui fu poi data buona risposta, improvvisamente mosse l'armi contra dell'imperatore, le cui forze si trovavano impegnate in Ungheria, senza che fosse preceduta offesa o ingiuria alcuna dalla parte di Cesare. Filisburgo fu preso; s'impadronirono le armi franzesi di Magonza, Treveri, Bonna, Vormazia, Spira e di altri luoghi. Penetrarono nel Palatinato, occupando Heidelberga, Manheim, Franckendal ed ogni altra piazza di quell'elettorato. Avvegnachè la maggior parte di quegli abitanti fossero seguaci di Calvino, pur fecero orrore anche presso i cattolici le crudeltà ivi usate, perchè ogni cosa fu messa a sacco, a ferro e fuoco, con desolazion tale, che le più barbare nazioni non avrebbero potuto far di peggio. Stesesi questo flagello anche a varie città cattoliche, dove, benchè amichevolmente fossero aperte le porte, neppure gli altari e i sacri templi e i sepolcri, non che le case dei privati, andarono esenti dal lor furore. Per atti tali, accaduti in tempo che niun pensava alla difesa, e contra di tanti innocenti popoli, coi quali niuna lite avea la Francia, un gran dire dappertutto fu della prepotenza franzese.
Ma qui non finirono le tragedie dell'anno presente. Avea, nel dì 18 di giugno, la regina d'Inghilterra Maria Beatrice d'Este dato alla luce un principino, che oggidì con titolo di re Cattolico della Gran Bretagna e col nome di Jacopo III soggiorna in Roma. All'avviso di questo [76] parto mirabilmente esultarono i regni cattolici, per poco tempo nondimeno; perciocchè verso il fine d'autunno riuscì a Gugliemo principe d'Oranges coll'aiuto degli Olandesi di occupare il trono della Gran Bretagna, con obbligare alla fuga il cattolico re Giacomo II, il quale colla moglie e col figlio si ricoverò in Francia. Allora fu che per questo lagrimevole avvenimento maggiormente si scatenò l'universale risentimento contra del re Luigi, che collegato col suddetto re britannico, tuttochè vedesse gli Olandesi fare da gran tempo uno straordinario armamento di genti e di navi, pure niun riparo, siccome egli poteva, vi fece: tanta era la sua smania per far conquiste nella Germania, e, se lice il dirlo (giacchè universale fu questa doglianza), per salvare da maggior tracollo il nemico comune. Esibì egli veramente al re Giacomo venti mila Franzesi, che non furono accettati, perchè truppe straniere avrebbero maggiormente irritata la feroce nazione inglese. Tuttavia se il re Luigi avesse inviato un esercito a chiedere conto all'Olanda di quel grandioso preparamento d'armi, per sentimento dei saggi, non sarebbe seguita la dolorosa rivoluzione dell'Inghilterra, la quale a me basterà di averla solamente accennata. Così Dio permise, e a quel gabinetto ognun di noi dee chinare il capo. Seguì nel presente anno il maritaggio di Ferdinando de Medici principe di Toscana colla principessa Violante Beatrice, figlia di Ferdinando elettore e duca di Baviera, la quale condotta dipoi a Firenze, fu ivi accolta con sontuose solennità. Rovesciò in quest'anno un terribile tremuoto quasi tutte le fabbriche e mura di Benevento, e recò l'eccidio ad altre circonvicine città, e gravissimo danno anche a quella di Napoli. Fu considerato per miracolosa protezion del cielo che il piissimo cardinale Vincenzo Maria Orsino arcivescovo di Benevento, seppellito fra le rovine, salvasse la vita, avendolo destinato Dio a governar la Chiesa universale sulla sedia di San Pietro, siccome a suo tempo vedremo.
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Anno di | Cristo MDCLXXXIX. Indiz. XII. |
Alessandro VIII papa 1. | |
Leopoldo imperadore 32. |
Il bell'ascendente, in cui si trovavano l'armi cesaree e venete, di dare una scossa maggiore alla sbigottita e cadente potenza de' Turchi, cominciò a declinare per colpa (non si può già negare) della terribile invasione dell'armi franzesi nella Germania. Buona parte di quelle truppe e forze che l'Augusto Leopoldo avrebbe potuto impiegare contra de' Turchi, convenne rivolgerla alla difesa delle provincie germaniche. Nè i Veneti poterono far leve di gente in essa Germania, perchè ognun di quei principi pensava alla casa propria che ardeva, o pur temeva di un pari incendio. Erano venuti gli ambasciatori della Porta a Vienna per trattare di pace o di tregua, e colà ancora si portarono i plenipotenziarii di Polonia e della repubblica veneta; ma perchè troppo alte erano le pretensioni delle potenze cristiane, ad altro non servì il congresso che ad un mercato di parole. Per conto de' Veneziani, sì indebolito era l'esercito loro in Levante, che formarono bensì il blocco di Napoli di Malvasia, dove seguì qualche azion di valore, ma senza poterla soggiogare sino all'anno seguente. Sorpreso in questo mentre da febbre il doge Francesco Morosino, capitan generale dell'armata, impetrò di tornarsene a Venezia, e quivi sul finir dell'anno fu accolto con tutto l'onore, ma senza quegli applausi che pur erano dovuti a conquistatore sì glorioso, non per altro che per l'infelice esito dell'impresa di Negroponte: quasichè il merito di tante belle azioni si fosse perduto, per non averne fatta una di più. Quanto alle armi cesaree in Ungheria, comandate dal valoroso principe Luigi di Baden, non erano già esse molto vigorose; e pure tenne lor dietro la felicità con far conoscere quanto più si sarebbe potuto sperare, se non avesse dovuto Cesare accorrere [78] in Germania per impedire i maggiori progressi del re Cristianissimo. Non avea il Baden più di venti in ventiquattro mila combattenti. Con questi, dopo un ostinato blocco, forzò l'importante fortezza di Zighet a rendersi. Quindi, senza far caso che il saraschiere si fosse inoltrato con poderoso esercito, per dar animo al quale era giunto sino a Sofia lo stesso gran signore col primo visire, marciò al fiume Morava. Dacchè l'ebbe valicato, venne alle mani coi nemici, e, data loro una gran rotta, s'impadronì de' lor padiglioni e bagagli, e almeno di cento pezzi di cannone. Gli restavano solamente sedici mila soldati, ma sì valorosi, che giunto egli alla città di Nissa, ne ordinò tosto l'assalto. Furono ivi di nuovo sbaragliati i Turchi, presa la città; fatti prigioni tre mila spahì coi loro cavalli; il ricco bottino divenne premio alla bravura di sì pochi Tedeschi. Anche la fortezza di Widdin sulla riva del Danubio, attorniata dall'esercito cristiano, non si fece pregare a rendersi. Appressatosi dipoi alla città d'Uscopia, posta ai confini della Macedonia, la ritrovò vota degli abitanti: tutte testimonianze della troppo allora infievolita possanza dei Turchi, e del credito con cui marciavano gli eserciti vittoriosi.
Bolliva intanto la guerra al Reno. Carlo duca di Lorena e gli elettori di Brandeburgo e Baviera comandavano le armi cesaree. Tutto ancora l'imperio, l'Olanda e l'Inghilterra si trovavano in lega per reprimere i Franzesi. Magonza e Bonna furono ricuperate, ma a costo di assaissimo sangue. Giacomo II re cattolico della Gran Bretagna, assistito da una flotta franzese ben provveduta di munizioni, con uno sbarco in Irlanda tentò la sua fortuna; ma ritrovatala sul principio ridente, poco stette a provarla contraria. Fin qui avea passati felicemente i suoi giorni in Roma Cristina regina cattolica di Svezia, quando venne la morte a richiederle il tributo a cui son tenuti tutti i viventi. Passò all'altra [79] vita nel dì 19 d'aprile, lasciando una illustre memoria della vivacità del suo spirito, della sua magnificenza e religione: del che diede ancora un bell'attestato nell'ultimo suo testamento. L'insigne sua raccolta di manuscritti passò per la maggior parte nella Vaticana, cioè nella biblioteca la più celebre e ricca del mondo. Ordinò il buon papa Innocenzo XI che a questa principessa eroina si erigesse un convenevole sepolcro nella basilica Vaticana in faccia a quello della gloriosa contessa Matilda. Ma non tardò lo stesso pontefice a tenerle dietro nel viaggio dell'altra vita, dopo aver provata somma consolazione, perchè il re Cristianissimo avesse richiamato in Francia il marchese di Lavardino suo ambasciatore. Si partì di Roma questo ministro nel dì ultimo d'aprile, con che cessarono in quella gran città le turbolenze da lui cagionate, ma con durar tuttavia il mare turbato nella corte di Parigi. Avea questo insigne pontefice con somma pazienza sofferto anche negli anni addietro molti penosi incomodi di sanità, per cagion dei quali poco si lasciava vedere in pubblico, senza che questi nulladimeno gl'impedissero punto le applicazioni al buon governo. Nel mese d'agosto divennero sì violenti le febbri, che si cominciò a perdere ogni speranza di sua salute. Restarono vacanti dieci cappelli cardinalizii; per quanto si studiassero i porporati e palatini d'indurlo alla promozione, adducendo anche apparenti motivi di obbligazione per questo, egli stette saldo in riserbare al suo successore la scelta de' soggetti, giacchè in quello stato non sembrava a lui di godere quella serenità di mente che si richiedeva per provedere la Chiesa di Dio di degni ministri. Senza aver potuto il nipote don Livio vedere per cinquanta dì la faccia del languente pontefice, finalmente fu ammesso. Non ne riportò che saggi consigli di seguitar le pedate de' suoi maggiori in sollievo de' poverelli e degl'infermi, di non mischiarsi negli affari della [80] Chiesa, e molto meno nel futuro conclave, acciocchè restasse una piena libertà agli elettori. Gli ordinò ancora d'impegnare cento mila scudi per le opere pie, secondo la dichiarata sua mente, e il rimandò colla benedizione apostolica.
Con ammirabil costanza fra i dolori del corpo e con singolar divozione spirò egli poscia l'anima, in età di sessantotto anni, nel dì 12 d'agosto, avendo corrisposto la sua morte santa alla riconosciuta santità della sua vita apostolica. Tali certamente furono le virtù e le piissime azioni di questo buon pontefice, che unironsi le voci ed acclamazioni di tutte le spassionate persone, e massimamente del popolo romano, per crederlo degno del sacro culto sugli altari. Essendosi a questo fine formati col tempo i convenevoli processi, giusta speranza rimane di vederlo un dì maggiormente glorioso in terra, dacchè tanti motivi abbiamo di tenerlo più glorioso in cielo. Gran tempo era che nella cattedra di san Pietro non era seduto un pontefice sì esente dal nepotismo, sì zelante della disciplina ecclesiastica, sì premuroso della giustizia e del bene della cristianità, nulla avendo egli mai cercato pel comodo proprio o dei suoi, ma bensì impiegati i suoi pensieri in bene del cristianesimo, e le rendite della Chiesa in aiuto de' potentati cristiani contra de' Turchi, e in sollievo ancora de' popoli suoi. Aveva un orrendo tremuoto quasi smantellata, siccome accennammo, la città sua di Benevento, sformate varie città della Romagna, recati immensi danni anche a Napoli e ad altre città di quel regno. Sovvenne a tutti il misericordioso padre con profusione d'oro; siccome ancora verso dei poverelli non venne mai meno la sua liberalità ed amore. Però non è da meravigliarsi se il popolo romano con incredibil concorso e divozione il venerò morto, e raccomandossi alla di lui intercessione, e fece a gara per ottenere qualche reliquia di lui. Chi non potè averne, quai pegni ben cari, tenne da lì [81] innanzi in venerazione i suoi Agnus-Dei. Si contano ancora assaissime grazie impetrate da Dio per mezzo di questo incomparabil pastore della sua Chiesa. Dopo varii dibattimenti nel conclave, appena giunti i cardinali franzesi, concordemente seguì l'elezione al pontificato del cardinale Pietro Ottoboni, patrizio veneto, personaggio dei più accreditati nel sacro collegio. Prese egli il nome di Alessandro VIII. L'età sua di settantanove anni non avea punto scemato il vigore della sua mente, con cui andava unita una rara prudenza ed accortezza, e una piena conoscenza degli affari del mondo. Perciò se ne sperò un buon governo, se non che sotto di lui tornò in campo il nepotismo, avendo egli senza perdere tempo creato generale di santa Chiesa don Antonio suo nipote, e creato cardinale Pietro Ottobono suo pronipote, assai giovine, conferendogli il grado di vicecancelliere, e molte badie e benefizii vacati sotto il precedente pontefice, e poscia la legazione d'Avignone; di modo che fu creduta colata in lui una rendita di più di cinquanta mila scudi annui. Ornò eziandio della porpora e dichiarò segretario di Stato Giam-Batista Rubini vescovo di Vicenza, suo pronipote per sorella. Finalmente accasò don Marco Ottoboni altro suo nipote con donna Tarquinia principessa Altieri. Non andò molto che la corte di Francia, ben affetta a questo nuovo pontefice, riconobbe la giustizia, non mai voluta riconoscere in addietro, delle pretensioni del santo pontefice Innocenzo XI, avendo il duca di Chaulne, già spedito ambasciatore del re Cristianissimo al conclave, rinunziato alle franchigie: punto di somma quiete ed allegrezza alla città di Roma e alla santa Sede. Avea in questi tempi Ferdinando Carlo Gonzaga duca di Mantova preso a fortificar Guastalla, e fu creduto con danari della Francia. Comparve colà all'improvviso il conte di Fuensalida, governator di Milano, con armata sufficiente a farsi ubbidire, e quelle fortificazioni [82] furono demolite. Di gravi doglianze e schiamazzi fece il duca alle corti per questa violenza, ma senza riportarne altro che compatimento. Riparò egli in breve i suoi disgusti colla continuazion de' piaceri, dietro ai quali era perduto.
Anno di | Cristo MDCXC. Indiz. XIII. |
Alessandro VIII papa 2. | |
Leopoldo imperadore 33. |
Le applicazioni del novello pontefice Alessandro VIII erano tutte rivolte a rimettere la buona armonia fra la santa Sede e tutti i principi cattolici. Cessarono perciò le controversie che da gran tempo bollivano colla città di Napoli. Il re di Francia restituì Avignone con tutte le sue dipendenze al sommo pontefice, il quale dal canto suo mostrò buona propensione verso quel monarca, e si dispose ancora ad inviare a Parigi un nuovo nunzio; ma insistendo egli che i vescovi franzesi ritrattassero le proposizioni da lor pubblicate contro l'autorità dei romani pontefici, vi trovò delle difficoltà insuperabili. Intanto non mancò il santo padre di procurar la pace fra i principi cristiani, e di sovvenir con danari, e colla spedizion delle sue galee e di quelle di Malta, la veneta repubblica, le cui armi avendo ostinatamente proseguito il blocco di Napoli di Malvasia, e stretto poscia maggiormente l'assedio, finalmente ebbero la gloria di entrar vittoriosi, nel dì 12 d'agosto, in quella città. Dopo un tale acquisto il capitan generale Girolamo Cornaro pensò a quello della Vallona, fortezza, pel sito sulle rive dell'Albania, assai riguardevole. La presa del vicino forte della Canina pose tal terrore nei Turchi, che, fuggendo dalla suddetta fortezza, benchè ben fornita di artiglierie e munizioni, ne lasciarono libero il possesso ai Veneziani. Ma quivi, sorpreso poscia da malattia, lasciò la vita anche l'antedetto generale Cornaro. Terminò questa campagna coll'avere i Veneti forzata alla resa Vergoraz, situata sulla cima d'un [83] alto greppo, con che stesero il loro dominio sopra un gran tratto di quel littorale. Non si mostrò già così favorevole la fortuna all'armi di Cesare in Ungheria, anzi si provò affatto contraria. Fin qui avea Carlo V duca di Lorena, generalissimo dell'Augusto Leopoldo suo cognato, date pruove d'insigne prudenza e valore in tante conquiste fatte in Ungheria e al Reno, di maniera che il titolo di uno de' primi guerrieri e capitani del suo tempo gli era giustamente dovuto. Nel venir egli a Vienna per assistere ad un consiglio di guerra, assalito da catarro alla gola in vicinanza di Lintz, quivi in età di quarantotto anni diede fine al suo vivere, ma non già alla sua gloria, che vivrà sempre immortale nella storia.
Restò dunque appoggiato il primo comando dell'armi in Ungheria al principe Luigi di Baden; ma, per saggio che sia un capo, per valoroso che sia un general comandante, s'egli manca di braccia, a poco servirà la sua saviezza e valore. Grande armata aveano allestita i Turchi; a poco più di quindici mila Tedeschi si stendeva la cesarea in quelle parti. Essendo morto Michele Abassi principe di Transilvania, colà accorse il Techely, ed oppresso il generale Heisler, che con quattro reggimenti custodiva quelle contrade, se ne impadronì. Fu dal Baden ricuperata quella bella provincia, e lasciato ivi con sette reggimenti il generale Veterani; nel qual tempo, cioè nel mese d'agosto, il primo visire con potente esercito piombò addosso alla Servia. Obbligò Nissa a capitolar la resa, riacquistò Widdin e Semendria, e quindi prese ad assediar Belgrado, alla cui difesa stava il duca di Croy, e i conti di Aspremont ed Archino Italiani con sei mila scelti Alemanni. Forse la bravura di questi combattenti e la stagione inoltrata avrebbono potuto sostenere quell'importante città, se per malizia, come fu comunemente creduto, degli uomini non si fosse nel dì 8 di ottobre acceso il fuoco nella torre del castello, che la fe' col magazzino [84] volare in aria; e comunicato agli altri, dove giaceva polve da cannone, cagionò un vasto e deplorabil eccidio. Da sì fieri tremuoti rimasero conquassate le case della città; sopraggiunse anche il fuoco a fare del resto. In quella orribil confusione aiutati i Turchi da qualche traditore, non trovarono difficoltà ad entrar nella città, dove misero a fil di spada quanti soldati e terrazzani incontrarono, de' quali solamente settecento co' tre suddetti comandanti ebbero la fortuna di sottrarsi al furore delle loro sciable. Venne poscia alle lor mani anche l'isola di Orsova e la città di Lippa. Tante perdite sommamente afflissero la corte di Vienna, e non men quella di Roma; e il santo padre non tardò a destinar cento mila scudi in soccorso dell'imperadore, principe, la cui cassa contrastava sempre col bisogno, ed ora spezialmente che conveniva attendere anche alla guerra contro i Franzesi. Di questa io nulla parlerò, chiamandomi l'Italia a riferir ciò che più importa.
Erano già passati molti anni che in queste provincie si godeva la tranquillità della pace; ad altro non si pensava che a divertimenti e piaceri. La musica, e quella particolarmente de' teatri, era salita in alto pregio, attendendosi dappertutto a suntuose opere in musica, con essersi trasferito a decorare i musici e le musichesse l'adulterato titolo di virtuosi e virtuose. Gareggiavano più delle altre fra loro le corti di Mantova e di Modena, dove i duchi Ferdinando Carlo Gonzaga e Francesco II d'Este si studiavano di tenere al loro stipendio i più accreditati cantanti e le più rinomate cantatrici, e i sonatori più cospicui di varii musicali strumenti. Invalse in questi tempi l'uso di pagare le ducento, trecento, ed anche più doble a cadauno de' più melodiosi attori ne' teatri, oltre al dispendio grande dell'orchestra, del vestiario, delle scene, delle illuminazioni. Spezialmente Venezia colla suntuosità delle sue opere in musica e con altri divertimenti tirava a [85] sè nel carnevale un incredibil numero di gente straniera, tutta vogliosa di piaceri e disposta allo spendere. Roma stessa, essendo cessato il rigido contegno di papa Innocenzo XI, cominciò ad assaporare i pubblici solazzi, ne' quali nondimeno mai non mancò la modestia; e videsi poscia Pippo Acciaiuoli, nobile cavaliere, con tanto ingegno architettar invenzioni di macchine in un privato teatro, che si trassero dietro l'ammirazione d'ognuno, e meritavano ben di passare alla memoria de' posteri. Ma eccoti la guerra, gran flagello de' poveri mortali, che viene a sconvolgere la quiete della Italia e i suoi passatempi. Gran tempo era che il giovane duca di Savoia Vittorio Amedeo II, principe che in vivacità di mente non avea forse chi andasse al pari con lui, non sapea digerire il dominio dei Franzesi nel forte di Barraux, e in Pinerolo (fortezza situata nel cuore de' suoi Stati e sì vicina a Torino), e in Casale di Monferrato, troppo contiguo ai medesimi suoi Stati. Spine erano queste, per le quali non pareva a lui mai di poter vivere quieto in casa propria; e però ad altro non pensava che a scuotere questa specie di schiavitù. In occasione che l'imperadore, l'imperio, la Spagna, l'Inghilterra e l'Olanda erano entrati in guerra colla Francia, anch'egli si trovava impegnato nell'armi per domare i Valdesi, con altro nome chiamati Barbetti, sudditi suoi, ma eretici. Fece per questo gran leva di gente: nel qual medesimo tempo anche il conte di Fuensalida governator di Milano era occupato in un gagliardo armamento: il che diede per tempo a temere che si volesse dar principio eziandio a qualche sconvolgimento in Piemonte. Stava perciò attentissima la corte di Francia a tutti gli andamenti del duca, e il suo ministro in Torino spiava continuamente ogni sua azione. Essendosi portato esso duca in un carneval precedente a Venezia per divertirsi, non potè scostarsi dai fianchi quel ministro; e fu poi creduto che questo principe segretamente trattasse [86] in quella città coll'elettor di Baviera e con altri principi. Aveva egli anche ottenuto dall'imperadore il titolo di re di Cipri e di altezza reale, fin qui a lui contrastato da quella corte; ed anche l'investitura di ventiquattro feudi nelle Langhe, per li quali pagò cento venti mila doble alla camera cesarea. Scoprirono inoltre i Franzesi un commercio di lettere fra esso duca e Guglielmo principe di Oranges, che sedeva sul trono della Gran Bretagna, quasichè fosse un delitto al sovrano della Savoia la corrispondenza con chi era nemico della Francia.
Poco si stette a vedere quali risoluzioni producessero questi sospetti nella corte di Parigi; perciocchè, venuta la primavera, calarono in Piemonte sedici o diciotto mila Franzesi, il comando dei quali fu dato al signor di Catinat, luogotenente generale e governator di Casale. Si cominciò allora a parlar alto col duca Vittorio Amedeo, e fu creduto che questi esibisse di starsene neutrale. Ma perciocchè il Catinat (e questo è certo) richiese per sicurezza della fede del duca di mettere presidio nella cittadella di Torino e in Verrua, una briglia sì disgustosa non si sentì voglia quel principe generoso di volerla accordare, risoluto piuttosto di sacrificar tutto che di accrescere le sue catene. S'andò egli schermendo, finchè potè, per dar tempo al conte di Fuensalida di unir le sue truppe in aiuto suo, e di conchiudere i suoi negoziati di lega con altri principi. L'abbate Vincenzo Grimani Veneziano, testa da gran maneggi, quegli principalmente fu che mosse il duca ad entrare in questo impegno, e che manipolò il restante di quegli affari; perciocchè, ad istanza dei Franzesi, fu poi proscritto dal senato veneto. Non mancarono persone che credettero stabilita molto prima d'ora l'alleanza del duca coll'imperadore, Spagna, Inghilterra ed Olanda; ma i pubblici atti presso il Du-Mont ed altri ci fan vedere la sua lega col re di Spagna sottoscritta nel dì 3 di giugno del presente anno; l'altra con [87] Cesare nel dì 4 seguente, e quella con la Gran Bretagna ed Olanda nel dì 20 di ottobre. Si obbligarono i primi di somministrar possenti aiuti di milizie al duca, e gli altri la somma di trenta mila scudi per mese. Era intanto pressato il duca dal Catinat con vive minaccie, affinchè dichiarasse le sue intenzioni; e la dichiarazion sua fu di non poter ammettere le dure condizioni proposte dal re Cristianissimo, e ch'egli intendeva di volersi difendere dalle ingiuste di lui violenze. Si proclamò dunque la guerra; uscirono manifesti; accorsero a Torino sei mila cavalli ed otto mila fanti dello Stato di Milano; l'imperadore e gli elettori di Brandeburgo e Baviera fecero marciare alcuni reggimenti in Italia al soccorso suo, e tutto si vide in armi il Piemonte. Fu dichiarato il duca generalissimo delle armi collegate, e destinato il principe Eugenio di Savoia sotto di lui al comando delle truppe imperiali. Un corpo di alquante migliaia di soldati milanesi fu inviato a ristrignere la guarnigion franzese di Casale, ch'era molto ingrossata. Seguirono varie azioni di ostilità nei mesi di giugno e luglio, che io tralascio, finchè nel dì 8 d'agosto si venne ad un fatto d'armi. Ardeva di voglia il giovine duca Vittorio Amedeo di sperimentar la sua fortuna. Trovando egli il suo campo molto superiore di numero al franzese. Non aveva egli peranche imparato che alle truppe di nuova leva, quali buona parte erano le sue, e quelle dello Stato di Milano, si può far apprendere ben facilmente l'esercizio dell'armi, ma non già il coraggio. Perciocchè l'accorto Catinat avea risoluto o fatto finta di voler sorprendere Saluzzo, si mosse a quella volta anche il duca di Savoia con tutto l'esercito, e, passato il Po, trovò che il Catinat si ritirava; quando ecco, disposto un aguato di genti e di artiglierie franzesi presso la badia della Staffarda in certi paduli, diede un sì strano saluto alla vanguardia, oppure all'ala sinistra del duca, che la disordinò. Avanzatosi dipoi Catinat colla [88] cavalleria, ristringendo la nemica, che avea ai fianchi il Po, la costrinse a prender la fuga. Si combattè, ciò non ostante, per cinque o sei ore. La fanteria dello Stato di Milano attese a salvarsi; le sole truppe spagnuole e tedesche, piuttosto che cedere, salde nei loro posti, venderono ben caro le loro vite. Rimasero i Franzesi padroni del campo. Il duca Vittorio Amedeo, che non s'era mai trovato a battaglie, fece maraviglie di valore, e si ritirò poscia a Carignano con parte delle sue truppe. Circa quattro mila dei suoi rimasero estinti o annegati, e fra essi più di sessanta uffiziali; forse più di mille furono i prigioni, colla perdita di otto pezzi di cannone, di trentasei bandiere e di parte del bagaglio: se pur mai si può sapere la precisa verità delle perdite nelle giornate campali.
Le conseguenze di questa vittoria furono, che il Catinat trovò evacuato dalla guarnigion savoiarda Saluzzo, e i cittadini ne portarono a lui le chiavi. Non finì l'anno che anche la città e il castello di Susa vennero alla di lui ubbidienza. In questo mentre con altro corpo d'armata attesero i Franzesi a conquistar la Moriena e la Tarantasia. Sciamberì ancora con tutta la Savoia senza resistenza s'arrendè ai medesimi, a riserva di Monmegliano, fortezza per la sua situazione quasi inespugnabile, che restò da lì innanzi bloccata. Per questi cotanto sinistri avvenimenti era un gran dire dappertutto del duca di Savoia, censurando assaissime persone, chi per amore, chi per contrarietà di genio, la di lui condotta. Non trovavano essi prudenza nell'essersi egli imbarcato contro la formidabil potenza del re di Francia, la qual facea paura, e dava delle percosse a tutti i suoi nemici. Già parea a chi così la discorreva, di veder mendichi tutti i sudditi del duca, e lui stesso vicino ad essere spogliato di tutto il suo dominio, e ridotto colla corda al collo a chiedere quella misericordia che forse non avrebbe potuto ottenere. Lo stesso sommo pontefice, commiserando [89] il suo stato, gli esibì di trattar di pace. Ma il coraggioso principe, che ben sapea non potersi senza noviziato addestrare al mestiere dell'armi, invece di confondersi per le finora sofferte sciagure, tutto si diede a rimettere la sua armata, e ad animar le sue speranze per migliori soccorsi in avvenire. Gli giunsero infatti più di due mila Tedeschi calati dalla Germania; il Fuensalida gli spedì tosto circa quattro mila fanti; laonde in breve si trovò forte di venti mila combattenti, coi quali tornò in campagna assai vigoroso, e frastornò i maggiori progressi del Catinat. Nella dieta d'Augusta, dove si portò sul fine del presente anno l'imperador Leopoldo, fu proposta l'elezione in re dei Romani di Giuseppe re d'Ungheria, suo primogenito, ancorchè sembrasse l'età sua non peranche capace di tanta dignità. Concorsero in essa i voti degli elettori nel dì 24 di gennaio dell'anno presente, e seguì la coronazione sua con gran giubilo degli amatori dell'augusta casa di Austria. Attento sempre il pontefice Alessandro VIII a sbarbicare gli errori dalla Chiesa di Dio, procedette in questi tempi contro chiunque restava o per inavvertenza o per corrotto animo macchiato dei perversi insegnamenti di Michele Molinos. Condannò ancora in questo e nel seguente anno molte proposizioni contrarie alla sana teologia scolastica e morale, ed accrebbe la gloria della Chiesa cattolica colla canonizzazione di cinque santi. Entrò in quest'anno e prese piede la peste in Conversano e nei luoghi circonvicini; il che sparse gran terrore per tutta la Italia, e ognun si diede a precauzionarsi contra di questo formidabil nemico. Nel dì 3 d'aprile dell'anno presente Dorotea Sofia principessa di Neoburgo, che avea per sorelle un'imperadrice, una regina di Spagna ed una di Portogallo, fu sposata in Neoburgo a nome di Odoardo Farnese principe ereditario di Parma, e condotta in Italia. La magnificenza con cui il duca Ranuccio II Farnese suo padre celebrò queste nozze in Parma, [90] empiè di maraviglia chiunque ne fu spettatore, e superò l'espettazion d'ognuno; sì suntuose riuscirono le opere in musica fatte in quel gran teatro, e nel giardino della corte, sì ricche le livree, sì straordinarie le macchine, i caroselli, i balli, le illuminazioni, i conviti e il concorso dei principi e nobili forestieri. Per tante spese non s'incomodò poco quel sovrano, ma certamente fece parlare assaissimo dell'animo suo grande, benchè alcuni vi trovassero dell'eccesso.
Anno di | Cristo MDCXCI. Indizione XIV. |
Innocenzo XII papa 1. | |
Leopoldo imperadore 34. |
Tuttochè il pontefice Alessandro VIII fosse pervenuto all'età di ottantun anni, pure il vigor della sua complessione e la vivacità della sua mente faceano sperare alla gente più lungo il suo pontificato; ma non già a lui, che spesso andava dicendo di essere vicine le ventiquattro ore, e di tenere il piede sull'orlo della fossa. Infatti sul principio dell'anno presente si affollarono i malori addosso alla sua sanità, e talmente crebbero, che nel primo di febbraio con somma esemplarità egli passò ad una vita migliore. Non s'era mai stancato il suo zelo in addietro per ridurre i prelati di Francia a ritrattar le quattro proposizioni da lor pubblicate in pregiudizio dell'autorità della santa Sede, ma senza mai poter vincere la pugna. Il cardinal Fussano di Fourbin, chiamato anche di Giansone, uomo di mirabil attività e destrezza, l'avea fin qui trattenuto con belle parole e proposte di poco soddisfacenti ripieghi. Ora il santo padre, veggendosi vicino a comparire al tribunale di Dio, non volle lasciar indecisa quella controversia; e però condannò le proposizioni suddette, confermando una bolla già preparata fin sotto il dì 4 d'agosto dell'anno precedente. Inoltre un giorno prima della sua morte scrisse su questo affare un amorevole paterno breve al re Cristianissimo. [91] Nel dì 11 del suddetto febbraio si chiusero nel conclave i cardinali. Grandi ed eccessivamente lunghi furono i dibattimenti loro per l'elezione del novello pontefice, essendo spezialmente stato sul tappeto il cardinale Gregorio Barbarigo, vescovo di Padova, uomo di santa vita, desiderato dai zelanti, ma rigettato dai politici. Stanchi ormai di sì prolisso combattimento, e spronati da caldo estivo, che più si fa sentire nelle camerette di quella sacra prigione, concorsero finalmente i porporati nell'elezione d'uno de' più degni soggetti del sacro collegio, cioè nella persona del cardinale Antonio Pignatelli, patrizio napoletano, ed arcivescovo di Napoli, che s'era segnalato in varie nunziature, e mastro della camera apostolica avea raffinate le sue virtù sotto la disciplina del santo papa Innocenzo XI. Seguì la di lui elezione nel dì 12 di luglio, e fu da lui preso il nome d'Innocenzo XII in venerazion dell'insigne pontefice che l'avea promosso alla porpora nel 1681. Sì nota era la sua probità e saviezza, che ognun si promise da lui un ottimo pontificato, e niuno in ciò s'ingannò. L'età sua passava i settantasei anni; personaggio d'ottima volontà, desinteressato, dotato di dolci ed amabili maniere, pieno di carità verso i poveri, e di un costante zelo per ben della Chiesa. Nel dì 15 dello stesso luglio fu solennizzata la di lui coronazione; e quantunque trovasse esausto l'erario della camera papale, pure non tardò ad inviare quanti soccorsi mai potè al re di Polonia e alla repubblica di Venezia per la guerra che tuttavia durava contra dei Turchi. Con occhio paterno ancora rimirò le miserie di que' popoli del regno di Napoli, contra dei quali inferociva la peste, e sopra d'essi diffuse le rugiade dell'incessante sua carità. In una parola, tosto comparve aver Dio eletto colla voce degli uomini un pastore che nulla cercava per sè, nulla voleva per li suoi parenti, e solamente i suoi pensieri e desiderii impiegava a far del bene alla sua greggia.
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Nulla ebbe in quest'anno da rallegrarsi la veneta repubblica delle sue armi in Levante, anzi ebbe di che attristarsi. Era stato eletto capitan generale delle sue armate Domenico Mocenigo, che sciolse le vele de Venezia con un convoglio numeroso di milizie e provvisioni da guerra. Ma più forti di lui si trovarono poscia i Turchi, e questi risoluti di riacquistar le fortezze di Canina e Vallona. Vennero in fatti quegl'infedeli all'assedio d'esse per terra. Da che fu creduto che non si potessero sostenere, furono minate le fortificazioni di Canina, tirato il presidio colle artiglierie e munizioni nelle preparate navi. Scoppiarono le mine e fornelli, riducendo quel luogo in un mucchio di pietre. La medesima determinazione fu presa ed eseguita per la Vallona, che tutta andò sossopra; sicchè i Turchi non acquistarono che due deserti. Arrivò bensì in soccorso dei Veneziani la squadra di otto galee maltesi con mille bravi fanti da sbarco, ma non già la pontifizia, ritenuta per la succeduta morte del papa. Nulla di più operarono dipoi i Veneziani; scorsero l'Arcipelago con desiderio di affrontarsi colla nemica flotta, senza nondimeno trovare un'egual voglia in quegl'infedeli. Cagion fu questo infelice andamento di cose che la repubblica sospirasse più che mai la pace; e di essa appunto si esibì in questi tempi di trattarne l'ambasciatore d'Inghilterra alla Porta. Maggior prosperità goderono l'armate cesaree in Ungheria. Aprì la campagna il principe Luigi di Baden con forte esercito, come fu fama, di quasi sessanta mila combattenti, la maggior parte Tedeschi veterani. Superiore contuttociò di numero era il turchesco, condotto da Mustafà primo visire, glorioso per avere ricuperata la Servia con Belgrado. Sapeva costui il mestier della guerra, ed ora con gagliardi trincieramenti deludeva l'ardor dei cristiani per una battaglia; ora, dando loro delle spetezzate sì nell'offesa che nella difesa, si faceva conoscere gran capitano. Non mancavano a lui ingegneri [93] franzesi. Ridusse egli a Salankemen presso il Danubio talmente in ristretto il principe di Baden, che per mancanza di viveri si vide questi col consiglio degli altri generali costretto a tentare una battaglia, benchè con grande svantaggio, perchè s'ebbe ad assalire l'oste nemica ne' suoi trincieramenti. Il dì 18 d'agosto fu scelto per quella terribil danza. Se l'ardire dei cristiani si mostrò incomparabile nell'assalto, minore non comparve quel dei giannizzeri e spahì, che, usciti delle trincee colla sciabla alla mano fecero rinculare l'ala destra dei Tedeschi, e poco mancò che non la mettessero in rotta. Accorso con alcune truppe fresche il Baden, sostenne l'empito dei musulmani, finchè riuscì all'ala sinistra di entrare in battaglia, di superar dal canto suo le trincee, e di cominciare un orrido macello dei nemici, che sconfitti cercarono lo scampo colla fuga. La vittoria fu completa coll'acquisto di cinquanta cannoni di bronzo, delle tende e della cassa di guerra. Perì lo stesso primo visire nel conflitto insieme coll'Agà dei Gianizzeri, e con molti bassà; e la fama, ingranditrice di sì fatti successi, fece ascendere il numero degli uccisi sino a diciotto mila, oltre alla gran copia de' feriti. Non aveano da gran tempo combattuto i Turchi con tanta bravura; e però dichiarossi ben la vittoria in favor de' cristiani, ma fu da essi comperata collo spargimento di gran sangue, essendovene restati uccisi da quattro mila, ed altrettanti feriti, colla perdita di molti insigni uffiziali. Di grandi allegrezze si fecero in tutta l'Italia, e massimamente in Roma, per così gloriosa vittoria. Tuttavia restò sì indebolita l'armata cesarea, che niun vantaggioso avvenimento le tenne dietro, fuorchè quello della città di Lippa, che fu presa dal generale Veterani; poichè pel gran Varadino, assediato dal Baden, furono ben presi i due primi recinti di quella città, ma l'ostinata resistenza del terzo rendè inutili tutti gli altri di lui sforzi per impadronirsene, e convenne battere la ritirata. Perchè Belgrado si [94] trovava troppo ben guernito di gente e di munizioni, troppo pericolosa impresa fu creduto il tentarne l'acquisto.
Continuò in quest'anno ancora la guerra del Piemonte. Il principe Eugenio di Savoia con grosso corpo di gente tenea in dovere la guernigion di Casale, che facea di tanto in tanto delle sortite; e in più riscontri vi perirono da cinquecento Franzesi. Intanto il Monferrato era malmenato da' Tedeschi, con gravi doglianze di Ferdinando Carlo duca di Mantova a tutte le corti. E perchè era creduto questo principe di cuor franzese, e fece anche leva di alquante milizie, cominciò la corte di Vienna a pretendere ch'egli licenziasse da Mantova l'inviato del re Cristianissimo; con che imbrogliarono forte i di lui affari. Le prodezze dei Franzesi contro il duca di Savoia nell'anno presente consisterono in ridurre alla loro ubbidienza la città di Nizza col suo castello, e il forte di Montalbano e Villafranca, luoghi posti sulla riva del Mediterraneo. Ciò avvenne nel mese di marzo e sul principio di aprile. Inoltre verso il fine di maggio il Catinat s'impadronì d'Avigliana, distante da Torino non più di dieci miglia, e ne restò prigioniera la guernigione. Prese anche Rivoli, e, passato di là all'assedio di Carmagnola, nel dì 9 di giugno quel presidio forte di due mila persone gli rilasciò la piazza con ritirarsi a Torino. Non potea il duca Vittorio Amedeo impedir questi progressi de' Franzesi, perchè inferiore di forze. Passarono baldanzosi essi Franzesi anche sotto Cuneo, e il signor di Feuquieres governatore di Pinerolo, che comandava quell'assedio, in diecissette giorni di trinciera aperta, non ostante la gran difesa di quel presidio e de' terrazzani, s'inoltrò sì avanti con gli approcci, che sperava in breve di far cadere quella città. Avendo egli dipoi dovuto passare a mutar la guernigion di Casale, restò la direzion dell'assedio al signor di Bullonde. Mossosi in questo tempo il principe Eugenio con quattro [95] mila cavalli per dar soccorso alla quasi agonizzante piazza, il Bullonde atterrito precipitosamente levò il campo, lasciando anche indietro un cannone, tre mortari, e gran provvision di bombe, polve ed altri attrezzi di guerra, siccome ancora di pane e farine, oltre a molti uffiziali e trecento soldati malati o feriti, che erano nel convento de' minori riformati. Cagion fu questa ritirata ch'egli processato fece dipoi una lunga penitenza in prigione. Per li precedenti acquisti, e perchè i Franzesi trattavano con crudeltà il paese, era entrato il terrore fino in Torino; laonde la duchessa credette meglio di ritirarsi a Vercelli. Ma dopo la liberazion di Cuneo si rinvigorì il coraggio dei Piemontesi, e incomparabilmente più, perchè otto mila Tedeschi, cioè parte dei soccorsi che si aspettavano dalla Germania, sul principio d'agosto pervennero a Torino: con che trovossi il duca in istato di campeggiare contro i nemici. Poscia nel dì 19 d'esso mese l'elettore duca di Baviera in persona con altre milizie sì di fanteria che di cavalleria accrebbe il giubilo di quella corte e città, dove entrò accolto con sommo onore. Ascesero questi soccorsi almeno a quindici mila bravi combattenti, che diedero molto da pensare al Catinat. Anche Guglielmo re di Inghilterra, ossia principe d'Oranges, avea inviato il duca di Sciomberg, valoroso signore, perchè servisse di generale al duca di Savoia. Accresciute in questa maniera le forze de' collegati, nel dì 26 di settembre la loro armata passò il Po, e il principe Eugenio fu spedito con mille e cinquecento cavalli ad investire Carmagnola, dove poi comparve anche l'esercito intero. Continuò l'assedio sino al dì 7 d'ottobre, in cui i Franzesi capitolarono la resa, con patto di andarsene liberi colle lor armi e bagaglio. Ma perchè nell'aver essi nel precedente giugno, allorchè presero la medesima Carmagnola, contravvenuto ai patti, con avere spogliati i Valdesi che v'erano di presidio, loro fu renduta la pariglia in tal [96] congiuntura. Tolsero i Valdesi l'armi e parte del bagaglio a quella truppa, e i Tedeschi per non essere da meno, li spogliarono del resto. Ricuperò ancora l'esercito collegato Avigliana e Rivoli. Intanto il Catinat abbandonò Saluzzo, Savigliano e Fossano; e perciocchè restava tuttavia contumace nella Savoia la fortezza di Monmegliano, e volevano i Franzesi levarsi quella spina dal piede, nella notte precedente al dì 18 di novembre aprirono la trincea sotto quella piazza, che fu bravamente difesa, per quanto mai si potè, da quel governatore marchese di Bagnasco. Le artiglierie, le bombe e le mine con tal frequenza e vigore tempestarono quelle mura, case e bastioni, che nel dì 20 di dicembre con molto onorevoli condizioni convenne capitolarne la resa.
Un'altra scena sul principio di novembre accaduta nel Monferrato diede molto da discorrere ai curiosi politici. Fin qui avea tenuto Ferdinando Carlo Gonzaga duca di Mantova nella città di Casale un governatore con guernigione, restando i Franzesi padroni della cittadella. All'improvviso il marchese di Crenant, governatore d'essa cittadella, nel dì 7 del mese suddetto, chiamato a desinar seco il marchese Fassati governatore della città, il ritenne prigione, imputandogli di aver tramato col generale cesareo Antonio Caraffa di dare ai Tedeschi l'entrata in quella città. Quindi s'impossessò di tutte le porte della città medesima, e disarmò il reggimento che ivi era pel duca. Non si seppe mai bene il netto di questa faccenda. Pretesero alcuni che il duca di Mantova fosse complice di quella novità; altri ch'egli non vi avesse parte, e che il solo marchese Fassati fosse il colpevole; ed altri in fine che questa fosse una soperchieria de' Franzesi, i quali non si facessero scrupolo di anteporre il proprio interesse alla buona fede, e volessero assicurarsi che il duca di Mantova loro non facesse qualche beffa. Maggiore strepito fecero ancora le [97] novità della corte imperiale contro i principi d'Italia. Giacchè i Franzesi aveano spedito di là de' monti gran parte della lor cavalleria a' quartieri, anche le milizie cesaree, mancando di sussistenza nel desolato Piemonte, si rivolsero a cercarla ne' feudi imperiali d'Italia. Al conte Antonio Caraffa, commissario generale di Cesare, data fu l'incombenza di provvedere a tutto: uomo pien di boria, di crudeltà, di puntigli; che tale si fece conoscere anche allo stesso duca di Savoia. Poco e nulla avea egli fin qui operato in favor di quel principe; gli fu ben più facile il far da bravo con gli altri sovrani d'Italia. Intimò egli dunque non solamente i quartieri, ma anche sì esorbitanti contribuzioni al gran duca di Toscana, ai Genovesi, ai Lucchesi, ai duchi di Mantova, Modena, e agli altri minori vassalli dell'imperio, che nè pur oso io di specificarne la somma, per non denigrare, a cagion di sì barbarica risoluzione, la fama del piissimo imperador Leopoldo, benchè sia da credere ch'egli non sapesse tutto, o non consentisse in tutto a sì fiera ed insolita estorsione, per cui si sviscerarono le sostanze degl'infelici popoli.
Neppure andò esente da questo flagello Ranuccio II Farnese duca di Parma, tuttochè i suoi Stati fossero feudi della Chiesa, e dovette dar quartiere a quattro mila cavalli, avendo il Caraffa fatto valere il pretesto che quel principe riconoscesse lo Stato Pallavicino, Bardi, Campiano ed altri piccioli luoghi dall'imperio. Sovvenne il buon duca di Modena Francesco II d'Este con gran sforzo del suo erario i proprii popoli, e contuttociò convenne impegnar tutte le argenterie delle chiese, e far degli enormi debiti, perchè dalle minaccie di saccheggi andavano accompagnate le domande del barbaro ministro. Certo è che il Caraffa non altre leggi consultò in questa congiuntura che quelle della forza, le quali portate all'eccesso, se riescano di gloria ai monarchi, niuno ha bisogno d'impararlo da [98] me. Infatti il nome dell'imperadore, che dianzi per le guerre e vittorie contra dei Turchi con dolcezza si memorava per tutta l'Italia, cominciò a patire un grave deliquio, altro non sentendosi che detestazioni di sì ingiusto e smoderato rigore; e dolendosi ognuno che il sangue dei poveri Italiani avesse anche da servire, trasportato in parte a Vienna, a far guerra in Germania, e a satollar que' ministri. E però il buon pontefice Innocenzo XII, commiserando l'afflizione di tanti popoli, più che mai si accese di premura, per condurre alla pace le guerreggianti potenze, e spedì calde lettere, e propose un congresso; ma senza che si trovasse per ora spediente alcuno alle correnti miserie. Esibì anche il re di Francia, a cui pesava forte la guerra d'Italia, come troppo dispendiosa, delle plausibili condizioni di pace, che non piacquero, e furono rigettate. Invece del conte di Fuensalida, che fu richiamato in Ispagna per le istanze del duca di Savoia, e portò seco le imprecazioni de' popoli dello Stato di Milano, venne al governo di quella provincia don Diego Filippo di Guzman marchese di Leganes, cavaliere che per essere di un tratto amorevole e manieroso, fu ricevuto con molto applauso. Si conchiuse in quest'anno il maritaggio della principessa Anna Luigia de' Medici, figlia di Cosimo III gran duca di Toscana, con Giovan-Guglielmo conte palatino del Reno, ed elettore. Nel dì 29 d'aprile in Firenze a nome d'esso elettore la sposò il gran principe Ferdinando suo fratello, e da lì a pochi dì seguì la sua partenza per Lamagna. Anche il duca di Baviera, perchè dichiarato governator della Fiandra, s'inviò a quella volta dall'Italia.
Anno di | Cristo MDCXCII. Indizione XV. |
Innocenzo XII papa 2. | |
Leopoldo imperadore 35. |
Tanto seppe adoperarsi l'industrioso cardinale di Fourbin, appellato anche di Giansone, che a forza di gloriose promesse [99] indusse il pontefice Innocenzo XII nell'anno presente ad accordar le bolle ad alquanti novelli vescovi del regno di Francia. Moltissime di quelle chiese da gran tempo erano vacanti, e all'ottimo pontefice troppo dispiaceva il veder tante greggie sì lungamente prive di pastore. Questa sua indulgenza fu mal intesa da alcuni, perchè non si tirò dietro alcuna soddisfazione della corte di Francia alla santa Sede; ma non lasciò d'essere lodata dai saggi. Avea desiderato il santo pontefice Innocenzo XI, tutto pieno di belle idee, di tramandare a' successori pontefici l'abborrimento da lui stesso professato al nipotismo, sul riflesso di tanti disordini provenuti in addietro dal soverchio amore de' papi ai proprii parenti. Fu anche voce costante che avesse stesa una bolla in questo proposito, ma che incontrasse delle difficoltà a sottoscriverla in alcuni cardinali, che aveano profittato in addietro di questa prodigalità, quasichè un processo anche contra di loro stessi fosse il solo provvedervi per l'avvenire. Comunque sia, il buon Innocenzo XII, degno allievo dell'XI, seriamente sempre vi pensò, e col proprio esempio preparò gli animi d'ognuno a così santa e lodevol riforma. Il bello fu che non pochi maligni politici d'allora spacciavano per una semplice velleità quest'invenzione del papa, anzi s'aspettavano ogni dì che anch'egli, a guisa di Alessandro VII, soccombesse in fine alla tentazione, e lasciasse comparir trionfanti sui sette colli i suoi nipoti. Ma era troppo ben radicato il vero pastorale e principesco zelo in questo insigne vicario di Cristo; e però, dopo aver ben preso le sue misure, e fatta sottoscrivere da tutti i cardinali la bolla con cui si vietava da lì innanzi ogni eccesso in favor de' nipoti pontificii, la pubblicò nel dì 28 di giugno dell'anno presente, con obbligar tutti i porporati presenti e futuri all'esecuzione di essa, e a ratificarla con giuramento nei conclavi, ed ogni eletto pontefice a giurarla di nuovo. Dì consenso ancora, o [100] pure d'ordine d'esso santo padre, fu impiegata la felice pena di Celestino Sfondrati abbate di San Gallo, che poi venne promosso alla sacra porpora, in esporre i mali effetti del nepotismo: il che egli animosamente eseguì, con tessere la serie di tutti quei papi che non si erano guardati dall'eccessivo e sregolato affetto verso del proprio sangue; tutte a mio credere, incontrastabili giustificazioni della libertà che ho giudicato competere anche a me, per non tacere in questi Annali un disordine che mai più da lì innanzi non ha conosciuto nè deplorato la santa Sede, e chiunque lei ama e riverisce. Per questa nobil risoluzione non si può dire quanto plauso e credito si acquistasse il pontefice Innocenzo XII presso i cattolici tutti, e fin presso i protestanti medesimi.
Venne in quest'anno a Roma, a Venezia, a Genova e agli altri principi d'Italia spedito dal re Cristianissimo il conte di Rabenac, con commissione di sollecitare ognuno ad unirsi contro l'imperadore, ch'egli rappresentava come oppressore dell'Italia colle smisurate contribuzioni e coi gravosi quartieri, dei quali abbiam favellato. Ma ebbe un bel dire; grande impegno era la tuttavia ardente guerra col Turco; troppo gagliarde in queste parti le forze cesaree, e però altro non riportò che ringraziamenti ai suoi generosi consigli. Non lasciarono il papa e i Maltesi di spedire anche per la presente campagna le squadre delle lor galee in rinforzo de' Veneziani. Desiderosi questi di qualche segnalata impresa, andarono all'assedio della Canea, città forte dell'isola di Candia, e nel dì 17 di luglio, fatto lo sbarco, diedero principio alle offese, e il capitan generale Domenico Mocenigo prese le migliori disposizioni per effettuare il disegno. Ciò non ostante, sì vigorose furono le sortite dei Turchi, sì ostinata la difesa, sì fortunati i soccorsi inviati dal saraschiere all'assediata città, che dopo molto spargimento di sangue convenne levare l'assedio; e tanto [101] più perchè il saraschiere, avendo passato lo Stretto, minacciava la Morea. Fu in fatti assediata da' Musulmani la città di Lepanto, ma ne furono essi anche respinti. Niun'altra azione di vaglia si fece dipoi. Intanto il generale cesareo Heisler ebbe ordine di mettere il campo al Gran Varadino, città e fortezza di molta importanza nella Transilvania sulle frontiere dell'Ungheria. Gran tempo e sangue si spese per arrivarne all'acquisto. Ma finalmente, nel dì 3 di giugno si videro forzati i Turchi a rendersi a buoni patti, e nel dì 5, festa solenne del Corpo del Signore, quivi s'inalberò la croce con giubilo inesplicabile degli amatori della religion cattolica. Gran festa ne fu fatta in Roma e per tutta l'Italia. Nè pur ivi altra maggiore impresa si fece nell'anno presente.
Per conto della guerra del Piemonte, dacchè fu richiamato in Germania il general Caraffa, che avea trovata la maniera di farsi pel suo orgoglio, e più per la sua crudeltà, odiar da tutti in Italia, fu spedito al comando delle truppe cesaree il maresciallo Caprara Bolognese, uomo di gran credito per tante sue belle militari azioni. S'infermò egli in Verona, nè potè prima del dì 13 di luglio arrivare a Torino. Tenutosi consiglio da tutti i generali, giacchè non fu gradito d'imprendere l'assedio di Pinerolo, fu risoluto di penetrare nel Delfinato con dieci mila cavalli e sedici mila fanti, lusingandosi i collegati di veder le migliaia di ugonotti, che, cavatasi la maschera, si unissero all'esercito loro. Scomunicate erano le strade per li dirupi delle montagne: pure la speranza di arricchir tutti coll'ideato bottino metteva l'ali ai piedi d'ognuno. I generali erano lo stesso duca di Savoia, il marchese di Leganes, il maresciallo Caprara e il principe Eugenio. Presero Guilestre sulle prime, e quindi con assedio obbligarono la poco forte città d'Ambrum a presentar loro le chiavi. Quella eziandio di Gap senza fatica venne alla loro ubbidienza, e fu poi barbaramente [102] saccheggiata, ed anche data alle fiamme; crudeltà usata dai Tedeschi per dovunque passarono. Vi fu chi credette che se fosse proceduta innanzi quest'armata, Granoble e Lione avrebbero aperte le porte. Ma caduto infermo di vaiuolo il duca Vittorio Amedeo, ed avendo il Caprara e il Leganes ordini segreti di risparmiar le truppe, all'udire che accorrevano da ogni parte Franzesi, ad altro non si pensò che a ritornarsene indietro. Per varie strade ripassò quell'armata. L'infermo duca, portato come in un letto entro agiata seggetta, giunse a Cuneo, seco avendo la duchessa consorte, che, al primo avviso del suo male, coi medici avea valicato quelle aspre montagne. Non prima del dì 4 d'ottobre giunse a Torino, e quindi in villa, dove si convertì il suo malore in quartana doppia, che divenne poi continua, di modo che più volte si dubitò di sua vita. Verso la metà di novembre ricuperò egli la sanità primiera. Ed ecco dove andò a terminare questa che ognun si credea dovesse riuscire molto strepitosa campagna. Ma se pochi allori colsero allora i Tedeschi nel Delfinato, riuscì ben più felice la guerra da loro portata di nuovo ai paesi dei principi d'Italia, che soggiacquero anche nel seguente verno ad orride contribuzioni e quartieri intimati dal conte Prainer, degno delegato del tanto abborrito in Italia conte Caraffa, che poi nel seguente anno fu chiamato da Dio a render conto del suo incredibile orgoglio, e dell'aver riposta la sua gloria nell'assassinar gl'Italiani coll'esorbitanza delle contribuzioni. Continuò similmente il Prainer quei barbarici trattamenti, per li quali convien confessare che allora troppo divenne esosa in Italia la nazione tedesca; e fin lo stesso duca di Savoia ne fece amare doglianze alla corte di Vienna, dolendosi che quegli aiuti avessero servito, non già a migliorare gl'interessi suoi, ma solamente ad arricchirsi con ispogliare nemici ed amici, e a rendere anche lo stesso duca odioso agl'Italiani, come autore di questa guerra in Italia.
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Era succeduta un tempo innanzi una ribellione del popolo di Castiglione delle Stiviere contra del principe loro signore Ferdinando Gonzaga; e questa in occasion delle imposte da lui messe in congiuntura delle contribuzioni tedesche. Saccheggiarono coloro il di lui palazzo; e s'egli non avesse avuta la fortuna di salvarsi colla principessa moglie nella rocca, non perdonavano alla sua vita. Ricorso egli al conte Caraffa, ricevè delle truppe; furono puniti i capi della ribellione; ed egli riassunse il comando. Ma essendo ricorsi a Vienna i suoi sudditi, con rappresentare nata la lor sollevazione da altri insoffribili aggravii loro imposti dal principe a cagion della moglie di casa Pico della Mirandola, affinchè ella si potesse divertire nei carnevali di Venezia, venne ordine al generale Palfi di arrestare il principe e la principessa, e si diede principio ai processi che non ebbero mai più fine. Si trattò più volte di rimettere quel principe nel suo dominio; ma perchè protestava il popolo (tanto era il suo odio) di voler piuttosto prendersi un volontario esilio, che di tornar sotto il di lui abborrito giogo, restò sempre incagliato l'affare, e resta tuttavia, dimorando oggidì in Ispagna i principi di lui figli, sovvenuti dalla generosità di quella real corte. Fu creduto che Ferdinando Carlo Gonzaga duca di Mantova soffiasse in quell'incendio; ma questo sovrano ricevette anche egli nel presente anno un man-rovescio dalla politica spagnuola. Già dicemmo occupata da lui la città di Guastalla sul Po per le mendicate ragioni della duchessa sua consorte, figlia dell'ultimo duca di Guastalla, quando per le investiture cesaree era chiamato a quel feudo il cugino d'esso defunto duca, cioè don Vincenzo Gonzaga, il quale a nome del re di Spagna avea governata la Sicilia. Assistito egli dalle milizie spagnuole e tedesche, improvvisamente fu messo in possesso di Guastalla; e datosi quindi a pretendere dal duca di Mantova le rendite indebitamente percette per tanti anni addietro, [104] col tempo ottenne che gli fossero assegnate le due terre di Luzzara e Reggiuolo coi lor fertili territorii. Così portava la giustizia; ma in cuore del duca di Mantova restò tanta amarezza, che nei tempi susseguenti, siccome vedremo, prese risoluzioni tali, che il trassero all'ultimo precipizio. Era già pervenuto all'anno trentesimo terzo di sua età Francesco II d'Este duca di Modena, senza che avesse peranche presa la risoluzion di accasarsi. Fu creduto alieno dalle nozze, perchè bene spesso languente per la sua debole complessione, e molto più per la podagra e chiragra, sue familiari compagne. La verità nondimeno è, che il principe Cesare d'Este, da cui era aiutato, ed anche più del dovere, al governo, gli sturbò tutti i trattati di maritaggio, per timore di scapitare nella sua privanza. Ma finalmente sposò egli nel dì 14 di luglio del presente anno la principessa Margherita Farnese, figlia di Ranuccio II duca di Parma, che condotta a Sassuolo fece poi la sua solenne entrata in Modena nel dì 9 di novembre.
Intanto commosso da tenerezza il cuore del pontefice Innocenzo XII al mirare lo stato lagrimevole dell'Italia per l'ostinata guerra del Piemonte, e gli oppressi e divorati popoli dalle smoderate contribuzioni e violenze di chi mostrava di essere calato di Germania per difendere dai Franzesi la libertà di queste provincie, raddoppiò le sue premure e i suoi uffizii per tutte le corti cattoliche a fin di promuovere la pace. Ma inutili furono anche per ora le sante sue intenzioni, e solamente ebbero effetto quelle che da lui solo dipendevano pel buon regolamento e vantaggio di Roma e della sacra sua corte. Con sua bolla soppresse varie giudicature straordinarie che si esercitavano per privilegio, e servivano a prolungar le liti e le sofisticherie con gravissimo danno di chi avea da litigare, rimettendo tutte le cause ai consueti giudici ordinarii. Giacchè più non serviva d'abitazione ai romani pontefici il vasto palazzo del Laterano, determinò il santo padre di farne [105] miglior uso con formarne un ospizio ai poveri invalidi, e pensò tosto a provvederlo di rendite convenienti al bisogno. Sua intenzione sulle prime fu di raccoglier ivi tutti gli storpii, ciechi ed inabili a lavorare, e di levar da Roma la molestia di tanti mendicanti oziosi, che ristretti potrebbero in buona parte guadagnarsi il pane in qualche lavoro. Ma col tempo si mutò questa idea, e lasciate le sole donne in quel palazzo, si provvide ai maschi poveri nell'insigne ospizio di Ripa, siccome accennerò a suo tempo. Con la bolla poi pubblicata nel dì 20 di maggio dell'anno seguente confermò il suddetto ospizio lateranense, e i fondi e proventi assegnati pel mantenimento di esso. Conoscendo ancora qual profitto potrebbe provenire dal porto di Cività Vecchia, se vi si stabilisse un buon commercio con varii privilegii, con fabbriche di case e magazzini, e col concorso di negozianti, si applicò a questa impresa, e diede gli ordini opportuni, acciocchè si purgassero ed accrescessero gli acquedotti, e si formassero nuove fabbriche. Fece anche alzare nella basilica Vaticana un magnifico mausoleo alla santa memoria d'Innocenzo XI suo benefattore, e preparare il proprio sepolcro, ma con poca spesa, col non volere in esso altra inscrizione che il semplice suo nome. In somma era nato questo sempre memorando pontefice per cose grandi, e dimentico di sè stesso e de' suoi, altro non avea in mente che il pubblico bene.
Anno di | Cristo MDCXCIII. Indizione I. |
Innocenzo XII papa 3. | |
Leopoldo imperadore 36. |
Per quanti passi e dibattimenti si fossero fatti fin qui, per comporre le differenze che passavano fra la corte di Roma e di Parigi a cagion delle proposizioni adottate dai vescovi di Francia in pregiudizio dell'autorità della santa Sede, nulla s'era potuto ottenere che soddisfacesse al sommo pontefice. Finalmente [106] nel presente anno d'ordine del re Luigi XIV scrissero que' prelati a papa Innocenzo XII una lettera piena di sommessione, in cui disapprovarono gl'insegnamenti suddetti; e però giacchè non s'era potuto ottenere di più, fu creduto meglio di rimettere l'armonia primiera, e di conferire il resto delle chiese vacanti nel regno di Francia. Avea nell'anno precedente l'indefesso santo Padre cominciata un'altra gloriosa impresa e le diede il pieno suo compimento nel presente. Da gran tempo per varie necessità della santa Sede s'era introdotto il vendere alcuni non ecclesiastici uffizii della curia romana, e spezialmente i posti di auditore e tesorier della camera, e de' cherici d'essa camera. Andava ben alto il loro prezzo, perchè grandi ancora n'erano i proventi. Se alcuno de' prelati compratori d'essi uffizii veniva promosso al cardinalato, restavano vacanti quegli uffizii, e si vendevano ad altri. Intorno a questi vacabili v'ha un trattato del famoso cardinale de Luca nel tomo ultimo delle sue opere. Non si potea trattener la gente maligna dall'aguzzar le lingue contra di questo costume, quasichè fosse stata questa invenzione per vendere la sacra porpora sotto colore palliato a chi potea spendere; e quantunque non si promovessero per lo più se non persone degne, prese dai posti suddetti, pure sembrava aperto l'adito anche agl'immeritevoli, purchè danarosi, di conseguire le prime dignità. Volle ancor qui l'ammirabil pontefice chiudere la bocca agli amatori della maldicenza; e però nel dì 23 d'ottobre del precedente anno suppresse le venalità dei suddetti uffizii ed avendo procurato a lieve frutto più d'un milione di scudi, restituì ai compratori tutto il danaro da essi speso in acquistarli. Ora nell'anno presente a dì 3 di febbraio pubblicò un'altra bolla, con cui ordinò che da lì innanzi gli uffizii e luoghi di monti vacabili per la promozione alla sacra porpora non si perdessero, ma o si rassegnassero o se ne continuasse [107] a tirare il frutto, di maniera che niun vantaggio risultasse alla camera apostolica dall'esaltazione di que' prelati. In pro nondimeno della stessa camera ritornò il risparmio di molte propine che dianzi godeano i prefati compratori. Immensa fu la lode che riportò per queste segnalate azioni l'ottimo pontefice, il quale in benefizio d'essa camera avea dianzi tagliate le penne anche al grado dei vice cancellieri della Chiesa romana; e poscia ancora minorò il lucro de' cardinali vicarii, e finalmente soppresse la legazion d'Avignone, applicandone i proventi alla camera apostolica.
Poichè sembrava che la fortuna non andasse d'accordo col capitan generale de' Veneziani Domenico Mocenigo, fu egli destinato pretore a Vicenza. Trattossi dipoi nel maggior consiglio per eleggere a sì riguardevol impiego altro personaggio, ed i più concorsero nello stesso doge Francesco Morosino, già stato capitano generale, e glorioso conquistatore della Morea. Si scusò egli colla sua avanzata età d'anni settantaquattro; ma rinforzate le preghiere, si trovò in fine risoluto a sacrificare il resto de' suoi giorni in servigio della patria. Di grandi preparamenti si fecero per la di lui partenza, e passò egli in Levante; ma gran tempo impiegò nel viaggio, e spese il resto in varie disposizioni per assalir Negroponte nell'anno venturo, quando sul fine dell'anno, trovandosi a Napoli di Romania, fu colto da mortale infermità, che dì 6 del seguente gennaio mise fine ai suoi giorni e a tutte le sue gradezze umane. Riuscì in quest'anno al generale cesareo Heisler di conquistare la fortezza di Gena nell'Ungheria superiore verso le frontiere della Transilvania; dopo di che il general supremo duca di Croy, avendo fatto credere al saraschiere con lettera finta di voler imprendere l'assedio di Temiswar, all'improvviso si portò a cignere di gente Belgrado. Più di quel che credeva trovò i Turchi disposti a vendere care le lor vite, ed inoltre si udì [108] venire a gran passi il primo visire col Cam de' Tartari, per tentare il soccorso; laonde, dopo avere perduto in un mese sotto quella città da due mila soldati, parve di più spediente lo sciogliere quell'assedio e ritirarsi. Facevasi intanto guerra da' Franzesi in Fiandra, al Reno, in mare e in Catalogna con felicità delle lor armi, e queste riportavano palme anche in Piemonte. Il duca Vittorio Amedeo restò ancora in quest'anno aggravato da sì pericolosa malattia, che nel dì 7 di marzo gli fu ministrato il santissimo viatico. Riavuto che fu, nel dì 30 di luglio si portò a bersagliare il forte franzese appellato di Santa Brigida, che gli costò molto sangue, e nel dì 14 d'agosto finalmente si diede per vinto. Questo fu poi smantellato. Per tre giorni ancora la città di Pinerolo restò fieramente travagliata dalle bombe. Intanto rinforzato di molte nuove truppe il maresciallo di Catinat si andò accostando colla sua alla nemica armata, e trovandosi amendue a fronte, vennero nel dì 4 d'ottobre ad una fiera battaglia in vicinanza di Orbazzano. Questa riuscì favorevole ai Franzesi, in maniera che, secondo i lor conti (a' quali si dee far la sua detrazione), vi rimasero sul campo uccisi circa otto mila dei collegati, e restarono due mila d'essi prigioni, coll'acquisto di quasi cento insegne, quattro stendardi e gran copia d'artiglierie. Due mila Franzesi vi perderono la vita. Pretesero gli altri che la perdita de' Franzesi ascendesse a sei mila persone, e ad altrettanto quella de' collegati. Dall'una parte e dall'altra grande fu il numero degli uffiziali morti o feriti; ma certo è che i collegati riceverono una fiera percossa, laonde il Catinat stese largamente le contribuzioni ed anche gl'incendii in quelle parti. Restò nulladimeno anche dopo tal perdita sì forte l'esercito alleato, che i Franzesi non poterono impadronirsi, a riserva di Revel e Saluzzo, d'alcun altro luogo di conseguenza. Ora non mancò il re Cristianissimo di prevalersi di questa congiuntura [109] per insinuar di nuovo proposizioni di pace al duca di Savoia, ma nol potè peranche smuovere dal proponimento suo. Andarono poscia a' quartieri d'inverno le truppe alemanne, attendendo a scannare anche in questa vernata il paese de' principi dell'Italia, senza commiserazione a' popoli, che gridavano alle stelle per le esorbitanti estorsioni, credendo che di peggio non avrebbero fatto i Turchi nemici del nome cristiano.
Per questi flagelli funestissimo fu l'anno presente, ed anche per un altro sommamente lagrimevole spettacolo, cioè per un tremuoto nella Sicilia, le cui scosse non son già forestiere in quella per altro fortunata isola, ma senza che vi fosse memoria fra la gente d'allora di averne mai provato un sì terribile e micidiale. Cominciò nel dì 9 di gennaio a traballar la terra in Messina, e ne' susseguenti giorni andò crescendo la violenza delle scosse, talmente che atterrò in quella città gran copia delle più cospicue fabbriche, e parte ancora delle mura d'essa città, ma con poca mortalità, perchè il popolo, avvertito dal primo scotimento, si ritirò alla campagna e a dormir nelle piazze. Le relazioni che corsero allora, alterate probabilmente dallo spavento e dalla fama, portano che in altre parti della Sicilia incredibile fu il danno. Che la città di Catania, abitata da diciotto mila persone, andò tutta per terra, colla morte di sedici mila abitanti seppelliti sotto le rovine delle case. Che Siracusa ed Augusta, città riguardevoli, restarono diroccate, colla morte nella prima di quindici mila persone, e di otto mila nell'altra, in cui anche la fortezza, per un fulmine caduto nel magazzino della polve, saltò in aria. Che le città di Noto, Modica, Taormina, e molte terre e castella al numero di settantadue furono desolate, ed alcuna abissata in maniera che non ne rimane vestigio alcuno. Che più di cento mila persone vi perirono, oltre a ventimila ferite e storpie. Che in Palermo fu rovesciato il palazzo [110] del vicerè. Che la Calabria e Malta risentirono anch'esse non lieve danno. Che il monte Etna, o sia Mongibello, slargò la sua apertura sino a tre miglia di giro. Io non mi fo mallevadore di tutte queste particolarità. Certo è solamente che miserie e rovine immense toccarono alla Sicilia per sì straordinario tremuoto, e che non si possono invidiare ai Siciliani le ricche lor campagne e delizie, sottoposte di tanto in tanto al pericolo di una sì dura pensione.
Anno di | Cristo MDCXCIV. Indizione II. |
Innocenzo XII papa 4. | |
Leopoldo imperadore 37. |
Dopo la morte del celebre Francesco Morosino fu conferita la dignità di doge di Venezia a Silvestro Valiero figlio del già doge Bertuccio. Cominciarono i Veneti quest'anno la lor campagna in Dalmazia con l'assedio di Citclut, fortezza pel sito assai considerabile, e di gran gelosia per li Turchi, perchè antemurale ad un buon tratto del loro paese. Comandava l'armi venete il provveditor generale Delfino, il quale, dopo aver sottoposto varii luoghi all'intorno, obbligò in fine il presidio turchesco a cedere la piazza, dove con giubilo de' cristiani fu ripiantata la croce. Bisogna ben credere che di molta importanza fosse quella fortezza, perchè la Porta ordinò che si facesse ogni sforzo per ricuperarla. Raunato ch'ebbe un esercito, il saraschiere ne imprese l'assedio. Fu ben ricevuto dal vigoroso presidio cristiano, e formò bensì egli le trincee, ma da più d'una sortita degli assediati furono queste rovesciate: laonde, dopo la perdita di molta gente, si vide obbligato a ritirarsi, con lasciare sul campo molti attrezzi militari. Ridussero poscia i Veneti alla loro ubbidienza un'altra ben forte rocca appellata Clobuch. Ma non passò gran tempo che i Turchi, più che mai vogliosi di torre Citclut dalle mani de' cristiani, vi tornarono sotto con oste più poderosa. Neppur [111] questa volta trovarono propizia la fortuna, e con poco lor gusto dovettero sloggiare di là. La più utile nondimeno e gloriosa impresa fatta da' Veneziani nell'anno presente, fu l'acquisto della rinomata isola di Scio. Dacchè giunsero ad unirsi colla veneta armata navale le galee pontifizie e maltesi, Antonio Zeno, dichiarato capitan generale, sciolse le vele a quella volta, e nel dì 8 di settembre vi fece lo sbarco. La città dominante di quell'isola porta lo stesso nome di Scio; intorno ad essa accampatosi l'esercito cristiano, diede principio alle offese. I vescovi latino e greco, già abitanti in quella città, n'erano usciti. Non più di otto giorni ebbero a faticar le artiglierie e le mine per prendere il castello di mare, e mettere sì fatto spavento in quegli Ottomani, che la stessa città con più di cento cannoni di bronzo e con tutti gli schiavi venne in poter de' Veneti. Che deliziosa, che fruttifera isola sia quella, e massimamente pel privilegio di produrre il mastice, è assai noto; e però di grandi allegrezze si fecero in Venezia per così vantaggiosa conquista. Nell'Ungheria troppo tardi uscirono in campagna i Tedeschi sotto il comando del maresciallo di campo conte Caprara; niuna impresa si fece degna di memoria, a riserva dell'acquisto di Giula, piazza di non lieve momento verso le frontiere della Transilvania.
Nel Piemonte le nemiche armate si andarono in quest'anno guatando di mal occhio, ma senza che alcuna d'esse si sentisse voglia di venire alle mani. Solamente fu sempre più stretto il blocco da gran tempo cominciato di Casale di Monferrato, e in quelle vicinanze tolto fu ai Franzesi il forte di San Giorgio. Venuto l'autunno, tutte le truppe tedesche si scaricarono di nuovo sui paesi de' principi italiani, con avere intimato il conte Prainer, commessario generale di Cesare, secondo il solito, insoffribili contribuzioni. A costui da lì a poco la morte anch'essa intimò di sloggiare dal mondo, e di dar [112] fine alle sue estorsioni. Tante nondimeno furono le doglianze portate alla corte di Vienna, che mosso a pietà l'Augusto Leopoldo ordinò che si sminuisse il rigore di tanti aggravii; ma non già per Ferdinando Carlo duca di Mantova, di cui si dichiaravano mal soddisfatti i Tedeschi, perchè creduto di genio franzese. Non poteano essi sofferire che dimorasse in Mantova il signor Duprè inviato del re Cristianissimo; però oppressero con aggravii i di lui sudditi, senza riguardo veruno agli ecclesiastici; e inoltre il generale cesareo conte Palfi, coll'abbate Rainoldi residente del re Cattolico, gli intimò di licenziare esso inviato franzese, e tre suoi proprii principali ministri, creduti fomentatori del di lui genio, entro il termine di quindici giorni, minacciando gravi ostilità se non ubbidiva. Ebbe il duca un bel dire, un bel gridare: gli convenne inghiottir la pillola, e congedare chi non piaceva alle corti di Vienna e di Madrid. Giacchè non potea reggere alla gotta, che passò al petto, Francesco II d'Este duca di Modena e Reggio, nel dì 6 di settembre dell'anno presente terminò la carriera del suo vivere, compianto da' sudditi suoi, perchè amorevolissimo e giusto principe, sotto di cui aveano goduto de' lieti giorni, siccome può vedersi nelle mie Antichità Estensi. Perchè non produsse alcun frutto il suo matrimonio colla principessa Margherita Farnese, a lui succedette nel governo di questo ducato il principe Rinaldo suo zio paterno, allora cardinale, che poi nell'anno seguente rinunziò la sacra porpora, ed assunse il titolo di duca. Fu parimente chiamata da Dio a miglior vita nel dì 6 di marzo Vittoria della Rovere, già moglie di Ferdinando II de Medici, gran duca di Toscana, principessa impareggiabile per le tante sue belle doti. Venne anche a morte nel dì 11 di dicembre dell'anno presente Ranuccio II Farnese duca di Parma e Piacenza, uomo de' vecchi tempi, principe di buon cuore, pio, generoso e pieno di [113] lodevoli massime, e pure più tosto temuto che amato da' sudditi suoi. Lasciò di belle memorie nella città di Parma, e nel suo ducal palazzo, e un nome degno di vivere anche ne' secoli venturi. Era premorto a lui nel dì 5 di settembre dell'anno precedente 1693 il principe Odoardo suo primogenito, soffocato, per dir così, dalla sua esorbitante grassezza; e questi dalla principessa Dorotea Sofia di Neoburgo sua consorte avea ricavato un figlio per nome Alessandro, che fu rapito dalla morte nel suddetto precedente anno. Di esso Odoardo solamente restò una principessa per nome Elisabetta, nata nel dì 25 d'ottobre del 1690, oggidì gloriosa regina di Spagna. Altri due figli viventi lasciò il duca Ranuccio II, cioè Francesco ed Antonio, il primo de' quali succedette al padre nel ducato, e nell'anno seguente con dispensa pontificia sposò la suddetta principessa Dorotea sua cognata. Funestissimo riuscì quest'anno al regno di Napoli per un furioso tremuoto, non inferiore a quel di Sicilia dell'anno precedente. Seguì nel dì 8 di settembre lo scotimento suo. Nella città di Napoli incredibil fu lo spavento, e il danno si ridusse solamente alla scompaginatura di molti palazzi, chiese, monisteri e case. Ma in terra di Lavoro alcune castella e villaggi andarono per terra. In Ariano e Avellino assaissime persone perirono, e quasi tutte le case caddero. Nella città Capoa, di Vico, Cava, e massimamente in Canosa, Conza ed altre parti, si patì gran rovina di edifizii, accompagnata dalla perdita di molte anime. Anche a quegl'infelici paesi si stese la mano misericordiosa e limosiniera del romano pontefice. Questo infortunio cagion fu che il vicerè di Napoli non potesse poi inviare quel rinforzo di genti e danari, per cui tante premure gli venivano fatte dall'armata collegata in Piemonte.
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Anno di | Cristo MDCXCV. Indizione III. |
Innocenzo XII papa 5. | |
Leopoldo imperadore 38. |
Non si stancava il magnanimo papa Innocenzo XII di pensar tuttodì a sempre nuovi ed utili regolamenti per ben della Chiesa e de' suoi Stati. Aveva egli proposto di mettere freno al soverchio lusso di Roma, che, oltre all'impoverir le famiglie, portava fuori delle contrade ecclesiastiche immense somme di danaro. A questo grandioso disegno trovò egli, più di quel che pensava, delle gagliarde opposizioni, a cagion de' forestieri che capitano a Roma, e per li contrarii maneggi non men segreti che pubblici de' Franzesi, soliti a profittar della troppa bontà per non dir balordaggine degl'Italiani, i quali provveduti dalla natura di quanto può bisognare al loro nobile trattamento, invasati della novità delle mode, e più che d'altro vaghi delle manifatture oltramontane, pagano eccessivi tributi a' principi non suoi. Un'altra insigne impresa si propose il vigilantissimo pontefice, cioè la riforma di certi ordini religiosi (e non erano pochi) scaduti dall'antica lor santa disciplina, e divenuti delle lor regole poco osservanti, spezialmente del voto della povertà. Qui ancora, più che nell'altra, si scoprirono difficoltà senza fine, ripugnando chi già era ammesso in quegli ordini a mutar maniera di vivere, e ad accettar la vita comune, perchè diceano di esser sottomessi a quelle regole, non quali furono nei tempi antichi, ma colle interpretazioni ed usanze del loro secolo. Ordinò pertanto il pontefice che non s'inquietassero i già arrolati sotto quelle bandiere, ma che niuno in avvenir si ammettesse senza professare la riforma prescritta dalla congregazione deputata da sua santità, in cui fra gli altri monsignor Fabroni, che fu poi promosso alla sacra porpora, personaggio zelantissimo, ebbe la disgrazia di tirarsi addosso l'indignazione e l'odio di moltissimi [115] cappucci. Furono anche destinati per ciascun de' suddetti ordini rilassati due conventi, nei quali si facesse il noviziato e si osservasse il rigore suddetto. Il tempo fece poi conoscere che un Lodovico XIV re di Francia seppe ben introdurre la riforma nei religiosi claustrali del suo regno; ma Roma non arrivò a tanto in Italia. Patì quella città nel verno del presente anno un'inondazione del Tevere, che si stese per le campagne, col danno di non poche fabbriche e di molto bestiame, e con servire di veicolo ad una epidemia che dipoi sopraggiunse. Diede questa disgrazia al santo padre motivo di maggiormente esercitare la sua carità verso la povera gente che si rifugiò per soccorso in Roma. Inoltre, nel dì 10 di giugno un orribil tremuoto riempiè di terrore e danno il Patrimonio e i paesi circonvicini. Bagnarea andò tutta per terra con perdita di molte persone. Quasi interamente restò smantellato Celano, Orvieto, Toscanella, Acquapendente, ed altre terre e ville di quei contorni risentirono gran danno. Il lago di Bolzena, alzatosi due picche, inondò per tre miglia all'intorno il paese. Non fu men funesto un altro simile tremuoto che si sentì nella marca trivigiana nel dì 25 di febbraio. Nella sola terra d'Asolo rimasero dai fondamenti distrutte mille e cinquecento case; più di altre mille e ducento inabitabili; i templi colle lor torri diroccati; molti uomini colle lor famiglie seppelliti sotto le rovine.
Questa sciagura parve un prognostico di molte altre che nell'anno presente afflissero non poco la veneta repubblica. Per la perdita della riguardevole isola e città di Scio si era inferocita la Porta, e fin nell'anno addietro avea ammannita gran copia di legni e di gente per ricuperarla. Con questa flotta, condotta dal saraschiere, nel dì 8 di febbraio, prima che approdasse a Scio, determinò il capitan generale Antonio Zeno di misurar le sue forze; ma furono poco ben prese le misure; laonde cantarono la vittoria i Turchi, [116] e malconcie ne restarono le navi e le galee venete. Fu cagione sì sinistro colpo, ed un altro appresso, che Scio si rilasciasse alla discrezion de' musulmani con incredibil dolore de' cristiani abituati in quel delizioso paese, che tutti elessero un volontario esilio per non soggiacere alla vendetta e rabbia de' Turchi. Al capitan general Zeno, imputato di mala condotta, siccome ancora a Pietro Quirini provveditore ordinario, toccò di finire i lor giorni in carcere. Rimasero altri assoluti, ma dopo una prigionia di tre anni. Alessandro Molino venne poi creato capitan generale. Seguirono ancora ne' mesi seguenti altre lievi battaglie tanto in mare che sotto Argo, nelle quali maggior fu la perdita degl'infedeli che de' cristiani, ma senza che alcun di questi vantaggi compensasse il gravissimo danno patito per l'abbandonamento di Scio. Del pari in Ungheria si mutò la ruota della fortuna. Avea l'Augusto Leopoldo ottenuti otto mila Sassoni dall'elettore Federigo Augusto, il quale col titolo di generalissimo delle armi cesaree s'era indotto a passare in persona contro de' Turchi. Solamente ai 10 d'agosto pervenuto esso elettore al campo, quivi trovò i marescialli Caprara e Veterani, e l'altra uffizialità con cinquanta mila guerrieri alemanni, oltre ad alcune migliaia di milizie unghere. Avrebbe ognun creduto che con sì fiorito esercito avessero i cristiani a far prodigii in quelle parti. Trovarono essi lo stesso gran signore Mustafà venuto in persona a dar calore alla poderosa sua armata, con cui sperava anch'egli di operar gran cose. In poche parole, i Turchi occuparono Lippa, e la smantellarono. Poco tempo ancora spesero ad impadronirsi della forte piazza di Titul; e trovato il suddetto conte Federico Veterani maresciallo, staccato con sette mila bravi Tedeschi dal grosso dell'esercito per coprire la Transilvania, l'andarono ad assalir con tutte le lor forze, e v'era in persona lo stesso Sultano. La difesa che fece questo valoroso comandante per più ore contro quel torrente d'armati, [117] fu delle più gloriose che mai si udissero, e costò la vita a più di quattro mila Turchi. Sopraffatto in fine dall'esorbitante superiorità de' nemici il prode generale, con buona ordinanza si ritirò; ma coprendo in persona la retroguardia, riportò varie ferite; e perchè condotto via s'incagliò in una palude il cavallo, in cui era sostenuto, quivi restò poi trucidato dai musulmani. Anche Lugos e Caransebes caddero in mano di quegl'infedeli: con che nell'anno presente ebbe fine la sventurata campagna degl'imperiali in Ungheria.
Osservavasi oramai in Italia una più che mai prossima disposizione e risolutezza di Vittorio Amedeo duca di Savoia, del marchese di Leganes governatore di Milano, e de' comandanti cesarei, per cacciar da Casale di Monferrato i Franzesi. Era quella forte città, con un castello e con una molto più forte cittadella, come spina continua nel cuore degli Spagnuoli e del duca di Savoia, per la vicinanza de' loro Stati. L'aveano essi tenuta bloccata da gran tempo; ma da che ebbero concertato coll'ammiraglio inglese Russel di tenere a bada il maresciallo di Catinat colla sua potente flotta, che minacciava ora Nizza ed ora la Provenza, il duca e il marchese suddetto col principe Eugenio di Savoia, e col millord Gallowai generale delle milizie pagate dall'Inghilterra, si presentarono coll'armata collegata verso la metà di giugno davanti ad esso Casale. Nel dì 26 del medesimo mese venendo il dì 27 fu aperta la trinciera tanto contro la città che contro la cittadella. Ancorchè il marchese di Crenant facesse una gagliarda difesa, pure meravigliosa cosa parve che dopo soli dodici giorni di offese, e colla perdita di soli secento soldati dalla parte degli assedianti, egli si vedesse obbligato ad esporre bandiera bianca. Fu segnata la capitolazione della resa nel dì 9 di luglio; ed accordato che si demolissero le fortificazioni della città, del castello e della cittadella; e che, terminato l'atterramento, ne uscisse la guernigion franzese con tutti gli onori [118] militari, otto pezzi di cannone e quattro mortari; e che tornasse quella città in pieno dominio del duca di Mantova, come era ne' tempi andati. Restò eseguita la capitolazione, e tolto dalle viscere della Lombardia quel mantice di discordie e d'incendii. Si trovarono nella città settanta pezzi d'artiglieria di bronzo, nel castello ventotto, e nella cittadella cento venti. Per sì felice impresa in Milano e Torino gran festa si fece, ed essendo solamente nel dì 18 di settembre usciti i Franzesi di Casale, non s'impegnarono l'armi cesaree in alcun'altra azione, ed unicamente pensarono a ristorar le truppe ne' quartieri d'inverno. Non si potè intanto levar di capo a certi politici, che in quell'assedio si sparassero dagli assediati i cannoni senza palle, e che quella impresa fosse concertata fra il saggio duca di Savoia e la corte di Francia; la qual ultima, se restò priva di una buona fortezza, ne privò anche d'essa l'avidità degli Spagnuoli, perchè, facendo rendere Casale al duca di Mantova, deluse le speranze di quei che probabilmente lo desideravano, e poteano pretenderlo a titolo di acquisto. Nè si vuol tacere che nel dì 9 di settembre del presente anno in Roma terminò i suoi giorni il cavaliere Gian-Francesco Borri Milanese in castello Sant'Angelo. S'era egli meritata quella prigione per essere stato eretico visionario anzi autore di una setta, che appena nata ebbe fine, e solennemente fu da lui abiurata. In essa Roma, in Milano ed in altre città d'Italia, e in Inspruch, Amsterdam, Amburgo, Copenaghen, ed altri luoghi dell'Olanda e Germania, fece egli risuonare il suo nome, spacciando miracoli segreti, e spezialmente quello che tanto adesca alcuni troppo corrivi privati, e talvolta i principi stessi, con votar d'oro le borse loro, ed empierle di fumo. A lui si ricorreva come a medico universale per ogni sorta di malattia, e fin da Parigi si vedeano passar nobili malati ad Amsterdam per isperanza d'essere guariti da lui. Gran figura aveva egli fatto in [119] quella città col magnifico equipaggio, e trattato col titolo di eccellenza. In una parola, trovossi in lui un chimico creduto impareggiabile, un gran ciarlatano, e per conseguente un bravo trafficante della semplicità de' mortali.
Anno di | Cristo MDCXCVI. Indizione IV. |
Innocenzo XII papa 6. | |
Leopoldo imperadore 39. |
Non rallentava il buon pontefice Innocenzo XII i suoi sospiri e le sue premure per rimettere la pace fra i principi cristiani; e, a fin d'impetrarla colle preghiere da Dio, pubblicò sul fine dell'anno precedente un giubileo, che nel presente per tutta l'Italia fu preso. Non lasciò ancora di eccitare i principi cattolici alla concordia, con inviar loro nuove paterne lettere; e spezialmente ne fece premura a Vittorio Amedeo duca di Savoia, il cui impegno avea tirato in Italia tanti imitatori de' Goti e de' Vandali a spolpare i miseri popoli. Sempre sono e saran da lodare le sante intenzioni dei romani pontefici per questo fine; ma l'interesse, che è il cominciator delle guerre, quello è ancora che le finisce. Che nondimeno il saggio pontefice s'internasse ancora in segreti maneggi per accordare il re Cristianissimo col duca di Savoia, comunemente fu creduto per quel che poscia accadde. Ed appunto questo principe si vide fare nel marzo del presente anno un viaggio alla santa casa di Loreto a titolo di divozione. La gente maliziosa, che non credeva cotanto divoto quel principe da scomodarsi per andar sì lontano ad implorar la protezion della Vergine, si figurò piuttosto che sotto il manto della pietà si coprisse un segreto abboccamento con qualche persona incognita intorno a' suoi affari (e questa fu, per quanto portò la fama, un ministro franzese travestito da religioso) giacchè sono talvolta ridotti i principi a somiglianti ripieghi, per deludere i ministri esteri che vanno spiando ogni menomo loro andamento e [120] parola nelle corti. Spedì ancora in questo anno il pontefice le sue galee unite a quelle di Malta in soccorso de' Veneziani; e sul principio di maggio, al dispetto dei medici, volle portarsi a Cività Vecchia, per visitar quel castello, quegli acquedotti e le fabbriche ivi fatte, giacchè gli stava fitto in capo il pensiero di fare di essa città un porto franco, libero ad ogni nazione, fuorchè ai Turchi. Per varie ragioni, e per le segrete mene del gran duca di Toscana, riuscì poi vano un siffatto disegno. Quanto ai Veneziani, perchè stava loro sul cuore la fortezza di Dolcigno, situata in Albania sopra una rupe inaccessibile, siccome infame nido di corsari infestatori dell'Adriatico, ne fu da essi risoluto l'assedio. Per quanto operassero i cristiani con varii assalti, con alquante mine, e con rispignere due volte i soccorsi inviati dai Turchi, a nulla servirono i loro sforzi, e però convenne ritirarsi. Andò intanto il capitan generale Molino colla sua flotta in traccia dell'ottomana, condotta dal Mezzomorto capitan bassà ed ammiraglio. Nel dì 9 d'agosto furono a vista le due nemiche armate, e già la veneta s'era tutta messa in ordinanza per venire a battaglia, quando si scoprì non accordarsi a questo giuoco l'astuto Mezzomorto, al quale non mancò mai l'arte di tenere a bada i cristiani, e di sempre sfuggire il combattimento. Così senza alcun vantaggio, e insieme senza danno alcuno, se la passarono i Veneziani in Levante per tutto quest'anno; ma con gravi lamenti di quel senato, veggendo inutilmente impiegati tanti convogli e tesori in quelle parti.
Cominciò in questi tempi a fare risonar il suo nome Pietro Alessiovitz czaro della Russia, che divenne poi col tempo incomparabil eroe, con aver tolto a' Turchi sul Tanai l'importante città e fortezza di Asac, ossia Asof. Propose quel principe con gran calore di entrare in lega con Cesare e co' Veneziani ai danni del comune nemico, e infatti ne furono stabiliti i capitoli in Vienna. Non [121] dissimile dalla fortuna de' Veneti fu quella degl'imperiali in Ungheria nell'anno presente. Si portò alla forte cesarea armata di nuovo l'elettor di Sassonia col titolo di supremo comandante; la direzion nondimeno delle militari operazioni era appoggiata a un capo di maggiore sperienza, cioè al maresciallo conte Caprara. Ma che? In quelle contrade comparve ancora di bel nuovo il sultano in persona, bramoso di segnalarsi in qualche impresa. Conduceva anch'egli una potente armata, qual si conveniva ad un pari suo. Invece dunque di accudire alla premeditata idea dell'assedio di Temiswar, o di Belgrado, nel consiglio militare fu preso il partito di provocare a battaglia i nemici. Si trovò attorniato da paludi e ben trincierato l'esercito musulmano, nè la furia delle cannonate potè muoverli ad uscire all'aperta campagna. Solamente seguirono alcune calde scaramucce, nelle quali il commissario generale Heisler valorosamente combattendo lasciò la vita, e qualche migliaio di soldati dall'una e dall'altra parte perì. Ritiraronsi poscia i Turchi, e senz'altro onore anche le milizie cristiane vennero ripartite ai quartieri. Assai curiosa, ma non già inaspettata, fu la scena che si rappresentò sul teatro del Piemonte nell'anno presente. Troppo rincresceva oramai alla Francia la guerra del Piemonte, perchè più dispendiosa di tutte le altre, dovendosi mandar tutto per montagne in Italia, e non potendo l'armata godere del privilegio di ballare e nutrirsi sul paese nemico. Alla riflessione del troppo impegno e dispendio si aggiunsero i premurosi impulsi del pontefice Innocenzo XII, commosso a pietà spezialmente verso i principi d'Italia, sì maltrattati dalle sanguisughe tedesche in occasione di questa guerra. Però il re Cristianissimo Luigi XIV tali esibizioni fece a Vittorio Amedeo duca di Savoia, che questo principe segretamente entrò in trattato, e coll'accortezza, che in lui fu mirabile, ne carpì dell'altre vantaggiose condizioni. [122] Leggesi presso varii autori il trattato di pace sottoscritto nel dì 29 d'agosto di quest'anno dal conte di Tessè luogotenente generale franzese, e dal marchese di San Tommaso, primo ministro del duca suddetto; certo essendo nondimeno che alcuni mesi prima era stabilito il concordato fra loro. I principali punti di esso accordo furono che in vigor d'essa pace il re Cristianissimo restituiva al duca tutti gli Stati a lui occupati della Savoia, di Nizza e Villafranca; e inoltre gli cedeva Pinerolo co' forti di Santa Brigida ed altri, con che se ne demolissero tutte le fortificazioni; e finalmente, che seguirebbe il matrimonio di Maria Adelaide principessa di Savoia, primogenita di sua altezza reale, con Luigi duca di Borgogna primogenito del Delfino, allorchè fossero in età competente; e che intanto essa principessa passerebbe in Francia, per essere ivi allevata alle spese del re. Vi ha chi scrive promessi anche quattro milioni di franchi al duca dal re Cristianissimo per compenso de' danni sofferti, ma con obbligo di tenere in piedi a spese del re otto mila fanti e quattro mila cavalli, qualora i collegati ricusassero di abbracciar quel trattato.
Accordate in questa maniera le pive, inviò il re Cristianissimo nella primavera qualche reggimento di più del solito al maresciallo di Catinat, il quale fece anche spargere voce di aver forze maggiori, e minacciava anche di rovinar Torino colle bombe. Mostravane il duca grande apprensione e paura, per colorir le risoluzioni prese e da prendersi; quando spedite furono da esso maresciallo per mezzo d'un trombetta le vantaggiose condizioni che il re Luigi XIV offeriva al duca Vittorio Amedeo per la pace di Italia. Andarono innanzi e indietro proposte e risposte; e finalmente restò accordata fra loro una sospension d'armi per quaranta giorni, cioè per tutto il mese d'agosto, che fu poi anche prorogata sino al dì 16 di settembre, a fin di proporre alle corti alleate la neutralità d'Italia [123] sino alla pace generale. Comunicata questa ai ministri di Cesare, della Spagna ed Inghilterra, esistenti in Torino, niun d'essi v'acconsentì; ma il duca come generalissimo lo volle. Allorchè giunse alle corti questa novità, si proruppe in gravi schiamazzi, e furono spedite esibizioni gagliarde al duca di Savoia, per mantenerlo in fede. Ma egli, che non isperava di acconciar sì felicemente i proprii interessi colla continuazion della guerra, come facea colla particolar sua pace coi Franzesi, stette saldo nel suo proposito. Inclinavano veramente gli Spagnuoli ad accettare la tregua, perchè scarsi di danaro, e con gli Stati esposti all'irruzion de' nemici, e nemici che con l'union del duca divenivano tanto superiori di forze; ma non mirando mai venire alcuna decisiva risposta dalle potenze confederate, attendeva il marchese di Leganes solamente a ben presidiare e fortificare le frontiere del ducato di Milano. Intanto, prima che spirasse il termine dell'accordata sospension d'armi, il maresciallo di Catinat fece nel dì 5 di settembre sfilar la sua armata, e, passato il Po, andò a trincierarsi in Casale di Monferrato. Spirato esso termine, senza che la neutralità fosse abbracciata dai collegati, eccoti unirsi le truppe di Savoia con quelle di Francia, formando un esercito di circa cinquanta mila persone. Ed ecco chi il giorno innanzi era generalissimo dell'armi collegate in Italia, uscire in campo nel dì seguente generalissimo dell'armi franzesi contra d'essi collegati, e nel dì 18 di settembre cignere d'assedio Valenza.
Mi trovava io allora in Milano, e mi convenne udire la terribil sinfonia di quel popolo contro il nome, casa e persona di quel sovrano, trattando lui da traditore, e come reo di nera ingratitudine, che si fosse servito di tanto sangue e tesoro degli alleati per accomodare i soli suoi interessi, con altre villanie che io tralascio. Ma d'altro parere si trovavano le persone assennate, considerando che egli, dopo aver liberato lo Stato di Milano [124] dalla dura spina di Casale, ora, stante la cession di Pinerolo e la ricupera dei suoi stati, serrava in buona parte la porta dell'Italia ai Franzesi: con che si scioglievano i ceppi non meno suoi che del medesimo Stato di Milano. Se in quel bollare di passioni non riconobbe la gente questo benefizio, poco stette ad avvedersene; e tanto più perchè, era incerto se, proseguendo la guerra, si fosse potuto ottenere tanto vantaggio. Certamente tutti i principi d'Italia fecero plauso alla animosa risoluzione del duca Vittorio Amedeo, non già che piacesse loro il vedere quasi chiuso in avvenire il passo in Italia all'armi franzesi per tutti i loro bisogni (e dico quasi, perciocchè restarono ai Franzesi le Fenestrelle, che essi poi fortificarono), ma perchè si veniva a smorzare un incendio che li avea malamente scottati tutti per l'insoffribile ed ingiusta avidità e violenza de' Tedeschi in succiare il sangue degli infelici popoli. Continuava intanto con vigore l'assedio di Valenza, e già quella piazza si accostava all'agonia, quando il conte di Mansfeld plenipotenziario dell'imperadore, e il marchese di Leganes governator di Milano, per evitar mali maggiori, si diedero per vinti, ed accettarono l'esibita neutralità. In Vigevano nel dì 7 di ottobre fu stabilito l'accordo con obbligarsi Tedeschi e Franzesi di evacuare quanto prima l'Italia. Ma perciocchè ai Tedeschi troppo disgustoso riusciva il dire addio ad un paese, dove aveano trovato alle spese altrui tante dolcezze, e gridavano per le paghe ritardate, e inoltre per l'avanzata stagione non si voleano muovere: altro ripiego non si trovò che di promettere loro ben più di trecento mila doble, compartendo questo aggravio sopra i principi d'Italia, cioè settantacinque mila doble al gran duca di Toscana, al duca di Mantova quaranta mila, altrettante al duca di Modena, trentasei mila al duca di Parma, quaranta mila ai Genovesi; al Monferrato venticinque mila, ai Lucchesi trenta mila; a [125] Massa quindici mila, al principe Doria sei mila, a Guastalla cinque mila, e il resto agli altri minori vassalli dell'imperio. Doveansi immediatamente pagare cento mila doble, e l'altre ducento mila e più, con respiro e in certe rate. Tutto fu puntualmente pagato e con piacere per questa volta, lusingandosi i principi e popoli di dover da lì innanzi respirare, e non soggiacere alle inudite estorsioni delle milizie imperiali. Lo stesso pontefice (tanto gli premeva l'uscita di Italia di quella nazione) non isdegnò di pagare quaranta mila scudi per accelerarne i passi. Di mala voglia, siccome dicemmo, abbandonarono i Tedeschi la Lombardia. Si dee ora aggiungere un'altra ragione, cioè, perchè tenendo l'occhio alla monarchia di Spagna, di cui si prevedeva vicina la vacanza per la poca sanità del re Carlo II, già aveano fatti i conti di piantare la picca nello Stato di Milano, e di assicurarsene per ogni occorrenza. Ma non andò loro propizia la fortuna, e bisognò tornarsene in Germania, carichi nondimeno di preda e di danari. Un impulso anche alla Francia di terminar questa guerra fu lo stesso motivo della sospirata succession del regno di Spagna. Furono poi smantellate le fortificazioni di Pinerolo e degli altri forti, restituito tutto al duca di Savoia, e tornò la quiete in Italia.
Era venuto per ambasciatore di Cesare a Roma Giorgio Adamo conte di Martinitz. Non si sa bene se per l'alterigia sua propria, o pure perchè la corte di Vienna facesse la disgustata col papa a cagione dei non continuati sussidi per la guerra contra del Turco, egli in questo anno cercò di far nascere del torbido in quella sacra corte. Contro il costume e rituale de' tempi andati pretese esso Martinitz di non voler cedere la mano al governatore di Roma nella processione del Corpo del Signore; laonde per ischivar gl'impegni, ordinò il pontefice che il governatore per quella volta si astenesse dall'intervenire alla funzione. Fecesi la [126] processione, in cui lo stesso santo padre portava il Venerabile; e l'ambasciatore all'improvviso si spinse fra i cardinali diaconi, pretendendo di andar con loro del pari. Grande imbroglio e non lieve scandalo si suscitò per questo, e cagionò che la procession si fermasse, e durasse per quattro ore, con grave incomodo del papa, mentre facea gran caldo. A queste sconsigliate bizzarrie del cesareo ministro seppe per qualche tempo mettere freno la prudenza del romano pontefice; laonde non seguì per ora altro maggior inconveniente, se non che quel ministro continuò con molto orgoglio, sino a rendersi intollerabile al mansueto pontefice in grave pregiudizio del cesareo monarca. Rinaldo d'Este già cardinale, poi divenuto duca di Modena, avea nel precedente anno conchiuso il suo matrimonio colla principessa Carlotta Felicita di Brunsvich, figlia di Gian-Federigo duca cattolico di Hannover, e di Benedetta Enrichetta di Baviera, palatina del Reno. Nel dì 28 di novembre d'esso anno seguì lo sposalizio di questa principessa con pompa nel palazzo ducale di Hannover, secondo i riti della santa Chiesa romana: con che si vennero a riunire le due linee degli Estensi d'Italia e di Germania, procedenti dal comune stipite, cioè dal marchese Azzo II, e divise circa l'anno 1070 come il celebre Leibnizio allora dimostrò, ed anche io con documenti chiarissimi provai poscia nelle Antichità Estensi. Accompagnata questa principessa dalla duchessa sua madre, e da un gran treno di famiglia e di calessi, ricevette nel Tirolo per parte dell'imperadore distinti onori, e più magnifici ancora per lo Stato veneto dalla consueta splendidezza di quella repubblica. Fece dipoi il suo ingresso in Mantova, accolta con somma solennità e varietà di divertimenti dal duca Ferdinando Carlo. Condotta finalmente pel Panaro da gran copia di superbissimi bucentori sino a Bomporto, nel dì 7 di febbraio entrò in Modena con quella grandiosità di seguito, di apparati [127] e di solazzi ch'io brevemente accennai nelle suddette Antichità Estensi. Un rigoroso editto fu pubblicato in quest'anno dal santo pontefice Innocenzo XII, con cui si proibiva a tutti i sudditi il giocare e far giocare ai lotti di Genova, Milano e Napoli, giacchè si toccavano con mano i gravi danni provenienti da queste invenzioni dell'umana malizia per succiare il sangue de' malaccorti mortali.
Anno di | Cristo MDCXCVII. Indiz. V. |
Innocenzo XII papa 7. | |
Leopoldo imperadore 40. |
Godevasi oramai la serenità della pace in Italia, per esserne partite le milizie alemanne, ed avere il duca di Savoia e il governator di Milano disarmato, con ritener solamente le truppe necessarie per le guarnigioni delle piazze. Avea anche la Francia puntualmente data esecuzione a quanto s'era stabilito col duca di Savoia, la cui primogenita condotta in Francia, e sposata col duca di Borgogna, seco per due ore stette in letto alla presenza di molti testimoni, ma con riserbare a tempo più proprio la consumazione del matrimonio. Era intanto il pontefice Innocenzo XII intento a fabbriche ed imprese che tornassero a servigio di Dio e in benefizio de' sudditi suoi. A questo fine nel mese d'aprile niuno il potè trattenere che con lieve accompagnamento non passasse a Nettuno, bramoso pure di provvedere Roma e lo Stato ecclesiastico di un buon porto nel Mediterraneo, e di far divenire questo anche porto franco. Nettuno, o per dir meglio Anzio vicino a Nettuno, gli era stato rappresentato per più comodo a Roma, e di miglior aria che Cività Vecchia. Dappertutto ricevette superbi regali da' baroni romani, e più degli altri ne profittarono i poveri. Diede egli ordine che non già a Nettuno, ma al vicino Anzio si fabbricasse il porto, ed assegnò ad opera tale delle rilevanti somme, e massimamente per fabbricarvi un forte capace di ripulsare le insolenze [128] de' corsari di Barberia. Ma mentre il santo padre era tutto occupato a promuovere i vantaggi de' suoi Stati, venne a gravemente turbarlo un passo ardito ed offensivo fatto dalla corte di Vienna e dal suo ministro. Cioè fu dal conte di Martinitz ambasciatore cesareo, nel dì 9 di giugno, pubblicato ed affisso al suo palazzo in Roma un editto, dato nel dì 29 d'aprile in Vienna dall'imperador Leopoldo, in cui supponendosi molti feudi imperiali in Italia usurpati, ed altri, dei quali da lungo tempo i possessori non aveano presa l'investitura, s'intimava a tutti l'esibire i documenti per legittimare i lor possessi, e di prenderne o rinnovarne l'infeudazione nel termine di tre mesi. Altamente ferito restò l'animo del buon pontefice e di tutta la sacra corte per questa novità, non solo perchè lesiva della sovranità pontificia, ma perchè assai si scorgeano le segrete intenzioni di Cesare di eccitar nuove turbolenze in Italia, ed anche nello Stato pontificio. Però il santo padre, oltre all'aver con altro editto, dato fuori dal cardinale Altieri camerlengo nel dì 17 dello stesso giugno, dichiarato nullo l'editto cesareo ed intimate pene a chi vi si sottoponesse, nello stesso tempo fece passar le sue doglianze all'Augusto Leopoldo per sì grave attentato. Le ragioni addotte dal nunzio Santa croce, la disapprovazione di quella novità mostrata dal re Cattolico e dal duca di Savoia, in tempo massimamente che si trattava la pace universale, cagion furono che Cesare desistesse per allora dal mosso impegno, e facesse delle rispettose scuse al sommo pontefice. Nondimeno anche nell'anno seguente durarono le scintille di questo incendio.
Un gran moto si diede in fatti il re di Francia Luigi XIV nell'anno presente per condurre alla pace le potenze alleate contra di lui; e benchè sì potente monarca, e fin qui gran conquistatore, da accorto come era, fu egli stesso che corse dietro ai nemici con ingorde esibizioni di lasciar [129] buona parte delle prede fatte. Troppo gli stava a cuore l'affare della già cadente monarchia di Spagna, ch'egli forte amoreggiava. Guadagnò segretamente prima degli altri Guglielmo principe di Oranges, con offerirsi pronto a riconoscerlo per re della Gran-Bretagna, e ad abbandonar la protezione del detronizzato re Giacomo Stuardo. Però si aprì il congresso in Olanda presso al castello di Riswich, e quivi i plenipotenziarii dei sovrani colla mediazione di Carlo XI, e poi di Carlo XII, regi di Svezia, diedero principio al duello delle lor pretensioni; e intanto il re di Francia continuava le sue conquiste in Catalogna e in America. Finalmente la concordia seguì, essendosi sottoscritta, nel dì 20 di settembre, la pace, prima coll'Olanda, poi con Guglielmo III re della Gran-Bretagna, e con Carlo II re delle Spagne. Restarono tuttavia renitenti i plenipotenziarii imperiali; ma dacchè videro restar solo in ballo l'augusto loro padrone, giudicarono meglio d'abbracciar anch'essi la desiderata quiete, e nel dì 30 di ottobre sottoscrissero i capitoli della pace. Ampia fu la restituzion di città, fortezze e paesi, che fece in tale occasione il re Cristianissimo alla Spagna, all'imperadore, al duca Leopoldo di Lorena, al palatino del Reno e ad altri principi. Venne ivi eziandio ratificato in favore del duca di Savoia il trattato di Vigevano dell'anno precedente. Nominò poscia il re Luigi per compresi in questa pace i principi d'Italia, e spezialmente il romano pontefice, il cui ministro per l'opposizione dei protestanti non avea potuto intervenire a quella pace.
Pacificati in questa maniera fra loro i principi cristiani, restava tuttavia nel suo fervore la guerra dell'imperadore e de' Veneziani contra del Turco; e questa nel presente anno fu assistita dalla mano di Dio. Giacchè l'elettor di Sassonia si trovava tutto applicato a conseguir la vacante corona di Polonia, al qual fine, abiurato il luteranismo, avea fatta professione della religion cattolica romana; [130] e il principe di Baden, a cagione della poca sanità, si era ritirato ai suoi stati, e il maresciallo Caprara Bolognese per l'avanzata suo età si scusava di non poter sostenere il comando delle armi in Ungheria; l'Augusto Leopoldo, come si può presumere, ispirato da Dio, scelse per supremo comandante di quella sua armata il principe Eugenio Francesco di Savoia, nato nell'anno 1665 a dì 18 di ottobre da Eugenio Maurizio di Savoia, conte di Soissons. Più di un saggio di sua prudenza e valore avea dato questo principe nell'ultima guerra d'Italia, comandando le armi cesaree; ma il suo nome non era forse conosciuto finora alla Porta Ottomana, ancorchè avesse già militato dianzi nella stessa Ungheria. Colà si portò egli, affrettato dal grandioso preparamento d'armi, di munizioni e di flotta nel Danubio, fatti dal sultano Mustafà II, che, gonfio di speranze per le favorevoli campagne dei due precedenti anni, volle anche nel presente condurre in persona il poderoso esercito suo, promettendosi nuovi allori, e ridendosi degli avvisi che si trattava la pace della Francia coi potentati della cristianità. Nel dì 27 di luglio arrivò al campo cesareo il principe Eugenio, e colle truppe venute dalla Transilvania trovò dipendente da' suoi cenni un esercito di circa quarantacinquemila Alemanni, gente veterana, che conosceva ben le ferite, ma non la paura. Inoltratosi poi il Gran signore col suo, si appigliò al consiglio del Tekely d'imprendere l'assedio di Peter-Waradino, e dopo avere occupato Titul, s'inviò a quella volta. Gli conveniva prima impadronirsi di Seghedino: e a questo fine formato un ponte sul Tibisco, lo passò. Avvertito dalle spie il principe Eugenio, marciò coi principi di Commercy e di Vaudemont, e col conte Guido di Staremberg, e con tutte le sue forze, per impedir gli ulteriori progressi al nemico; e nel dì 11 di settembre pervenne a Zenta, terra sul Tibisco, trovandola incendiata dai Turchi. Si era trincierato alla testa del suo ponte l'esercito musulmano, quando [131] il Gran signore, avvertito essere l'oste cristiana più forte di quel che gli era stato supposto, determinò di ripassare il Tibisco; e infatti nel dì e notte precedente lo ripassò egli con alcune migliaia di fanti e cavalli, lasciando di qua il rimanente dell'armata che dovea seguitarli.
Non restavano più che tre ore e mezza di giorno quando l'avveduto principe di Savoia, scoperta la situazion dei nemici, coraggiosamente spinse i suoi all'assalto de' trincieramenti; e superato il primo, poscia il secondo, entrò la sua gente con furia nel campo nemico. Allora immensa fu la strage degl'impauriti infedeli, che tentarono colla fuga pel ponte di sottrarsi alle sciable tedesche; ma imbarazzato il ponte dalla folla e da quei che cadevano, loro chiuse in breve il varco. Però incalzati da' vincitori, altro scampo non restò ad essi che di gittarsi nel fiume, nelle cui acque trovarono ciò che temeano d'incontrare in terra. Più relazioni portarono che dei Turchi tra uccisi ed annegati più di venti mila perderono ivi la vita. Altri scrissero fino a trenta mila, e fra questi il primo Visire, l'Agà dei giannizzeri, e dicisette bassà. Furono presi settantadue pezzi di cannone, sei mila carrette di munizioni da bocca e da guerra, ottantasei tra bandiere e cornette; e gran bottino fecero i soldati, dappoichè tornarono indietro dall'inseguire i fuggitivi nemici, giacchè solamente allora fu data dal saggio capitano ad essi licenza di raccogliere le spoglie. Il sultano colla testa bassa, e con alcune poche compagnie di cavalli, spronando forte se ne tornò a Belgrado assai disingannato della bravura e fortuna de' suoi. Una vittoria sì segnalata non s'era riportata fin qui sopra i Turchi, e il più mirabil fu, che non costò ai cristiani che mille morti ed altrettanti feriti. Voltò poscia il principe Eugenio le armi vittoriose addosso alla Bossina, e prese Dobay, Maglay ed altre castella. La mercantile città del Serraio, abbandonata da' Turchi, fu messa a sacco ed [132] incendiata; ma non si potè prendere il castello. Anche il generale conte Rabutin sottomise a forza d'armi Vilpanca e Ponzova, e un gran tratto di paese saccheggiato rallegrò di nuovo le cristiane milizie. Quanto salisse in alto per sì gloriosa campagna il nome del principe Eugenio ognun sel può immaginare.
L'armi venete in Levante, assistite anche in quest'anno dalle galee del papa e di Malta, altro non fecero che tentar di combattere senza mai potere ridurre le turchesche ad accettar daddovero la disfida. In tre siti e in tre diversi tempi venne la veneta flotta contro l'ottomana, e furono anche principiate le offese, ma senza considerabil vantaggio delle parti; e si vide l'astuto capitan bassà Mezzomorto sempre cedere il campo a' cristiani e ritirarsi. Giubilò in questo anno il vecchio papa Innocenzo XII, sì per la pace universale conchiusa in Riswich, come ancora per l'insigne vittoria riportata in Ungheria contra de' Turchi. Per terzo motivo di allegrezza si aggiunse l'avere Federigo Augusto elettor di Sassonia professata pubblicamente la religion cattolica; il che servì a lui di scala per salire sul trono della Polonia. Solenne ringraziamento a Dio fu fatto in Roma per la vittoria suddetta, e diede questa motivo al pontefice di ammettere alla sua udienza il conte di Martinitz, che per le sue disobbliganti maniere e per le violenze passate n'era da gran tempo escluso. Attento il santo padre a tutto ciò che riguardava l'aumento della fede cattolica, assegnò nell'anno presente un fondo considerabile per le missioni della Etiopia, giacente nel cuor dell'Africa, giacchè gli erano state date speranze di rimettere di nuovo la concordia di quei cristiani scismatici colla Chiesa romana. Intenzione sommamente lodevole, per essere quei paesi di smisurata estensione, ben popolati e forniti da Dio di molti beni, e poco nella credenza lontani dal cattolicismo; ma intenzione fin qui priva di effetto, parte per l'odio conceputo da [133] quei popoli contro gli Europei, e parte perchè le conquiste fatte da' Turchi rendono troppo difficile oggidì e pericoloso l'accesso a quelle contrade. Liberò anche il papa i suoi popoli da alcune imposte, spezialmente sopra il grano; acquistò con danaro la città d'Albano per la camera apostolica; e da' cardinali zelanti si lasciò indurre a comperare il teatro di Tordinona, per impedir le recite delle commedie. Pensando il gran duca Cosimo III de Medici di provvedere al matrimonio finora sterile del gran principe Ferdinando suo figlio, conchiuse in quest'anno il maritaggio di Anna Maria Francesca figlia di Giulio Francesco ultimo duca di Sassen-Lavemburg, che portava gran dote, col principe Gian-Gastone suo secondogenito. Seguì tale sposalizio nel dì 2 di luglio, e questo principe passò ad abitare dipoi con poca felicità in Germania. Nè si dee tacere, che circa questi tempi Pietro Alessiovitz czaro di Moscovia, ossia della Russia, principe di mirabil comprensione, e di straordinarie massime, prese a viaggiare incognito, ma cognito quando voleva, per imparar le arti europee, e spezialmente quelle della marinaresca. Comparve come uno dei suoi ambasciatori in Prussia, in Olanda, in Inghilterra e a Vienna. Sua mente era eziandio di visitare l'inclita città di Venezia; ma mentre vi si disponeva, gli convenne tornarsene in fretta alle sue contrade, chiamato dalle sedizioni contra di lui macchinate da que' popoli barbari, instabili, e non per anche ridotti alla civiltà ch'ora si mira in quelle parti.
Anno di | Cristo MDCXCVIII. Indizione VI. |
Innocenzo XII papa 8. | |
Leopoldo imperadore 41. |
Dopo la memorabil vittoria riportata dall'armi imperiali a Zenta colla fuga dello stesso Gran signore Mustafà II, ognun si aspettava maggiori progressi di Cesare in Ungheria; tanta era la costernazione de' Turchi e la lor debolezza. [134] Tempo ancora più favorevole di questo non potea darsi, dacchè l'Augusto Leopoldo, sbrigato dalle guerre colla Francia, si trovava in istato di operar con braccio forte contro il comune nemico, e a ciò l'animavano i Veneziani, e lo zelantissimo pontefice prometteva gagliardi soccorsi in danaro. Ma in Vienna si macinavano altre idee, stante la vacillante sanità di Carlo II re di Spagna, colla cui morte, appresa sempre per vicina, verrebbe a vacare quella gran monarchia per difetto di prole. A tal successione aspirava l'imperadore per l'arciduca Carlo suo secondogenito, sì perchè retaggio dell'augusta casa d'Austria, e sì perchè la linea austriaca di Germania era chiamata a quei regni da' testamenti dei precedenti re dell'altra linea di Spagna. L'Inghilterra e l'Olanda, siccome interessate anche esse nella preveduta mutazion di cose, non cessavano d'ispirare a Cesare la necessità di prepararsi a questo grande avvenimento, acciocchè l'oramai troppo possente corona di Francia non ne profittasse. Quindi nacque nell'Augusto monarca il desiderio di pacificarsi colla Porta; e però la corte di Inghilterra, che s'era esibita di trattarne, spedì ordini premurosi al milord Paget suo ambasciatore a Costantinopoli, di farne l'apertura col primo visire Cussein, da cui fu ben ricevuta sì fatta proposizione. Il piano di questa pace o tregua si riduceva ad un punto solo, cioè che tanto l'imperadore, Veneziani, Moscoviti e Polacchi, quanto i Turchi, restassero possessori di tutto quanto aveano conquistato negli anni addietro. Se ne mostrò pago il divano, e per conseguente furono eletti i plenipotenziarii di tutte le potenze, e scelto per luogo del congresso Carlowitz posto fra Salankement e Peter-Waradino, dove si cominciarono colla mediazione degl'Inglesi e Olandesi a spianare le difficoltà occorrenti che consistevano in determinare i confini, e in pretendere la demolizione d'alcuni forti e piazze. Si andò per tutto quest'anno [135] combattendo fra i plenipotenziarii, nè si potè smaltire tutto sino al gennaio dell'anno seguente, che pose fine alle lor contese, e sigillò, siccome diremo, la tregua fra loro. Intanto sì i Veneziani che Cesare continuarono, più in apparenza che in sostanza, la guerra anche nell'anno presente. Per quanto potè si studiò il capitan generale Delfino di tirare a battaglia il Mezzomorto bassà comandante della flotta turchesca, ma costui cauto andò sempre schivando il cimento, se non che nel dì 21 di settembre si attaccarono l'armate nemiche. E pure il Musulmano seppe a tempo battere la ritirata e sottrarsi al periglio. Altro dipoi non operarono i Veneziani, che bruciare il paese nemico per terra, ed esigere contribuzioni colle scorrerie di mare in varie contrade de' Turchi.
Intanto nei gabinetti segretamente si lavorava per prevenire un nuovo sconvolgimento di cose, qualora mancasse di vita Carlo II re di Spagna. Massimamente ne trattò con gli Inglesi ed Olandesi il ministro di Francia; e all'Haia, nel dì 11 d'ottobre fu sottoscritto un trattato di partaggio della monarchia di Spagna, rapportato dal Lunig, dal Du-Mont e da altri; per cui, venendo il caso suddetto, al principe elettorale figlio di Massimiliano elettor di Baviera e dell'arciduchessa Antonia, cioè di una figlia dell'imperator Leopoldo, e di Margherita Teresa sorella del regnante suddetto re Carlo, fu assegnata la successione dei regni di Spagna, siccome più prossimo dei discendenti dal re Filippo IV, eccettuati alcuni pezzi di essa monarchia. A Luigi Delfino primogenito del re Cristianissimo per le ragioni della regina sua madre e dell'avola, amendue spagnuole, furono riservati i regni di Napoli e Sicilia, colle fortezze poste nella maremma di Siena, il marchesato del Finale, e la provincia di Guipuscoa colle piazze di San Sebastiano e Fonterabia. Similmente all'arciduca Carlo secondogenito dell'imperadore, in compenso delle pretensioni delle auguste due linee, [136] avea da toccare il ducato di Milano. In caso poi che mancasse prima del tempo il principe elettoral di Baviera, fu dichiarato a parte, che l'elettore suo padre succederebbe nella suddetta monarchia, colle riserve sopra espresse. Il gran concetto in cui è il gabinetto di Francia di superar tutti gli altri in accortezza, fece credere alla gente sensata, che il re Luigi XIV contuttociò tendesse ad assorbire l'intera monarchia di Spagna per uno dei suoi nipoti, e che non ad altro fine acconsentisse a quello spartimento, che per tirar dalla sua con questo spauracchio i ministri della corte di Spagna, conosciuti troppo abborrenti da ogni divisione dei lor dominii. E certamente ben seppero i Franzesi far giocare questa carta in Ispagna, dove in questo mentre il lor ambasciatore non lasciava indietro diligenza e dolcezza alcuna, per guadagnarsi il cuore di chiunque era più potente presso al re Carlo e alla regina sua moglie. All'incontro il conte di Harrach, ambasciatore cesareo alla corte di Madrid, non sapea trovar la carta del navigare, e commise vari passi falsi ed errori, de' quali è da vedere il primo tomo della storia di Europa del marchese Francesco Ottieri: libro saggiamente composto, e pure sì indegnamente trattato, per aver solamente detto quell'autore, che nell'elezione di Augusto re di Polonia, l'abate di Polignac, poscia cardinale, non aprì ben gli occhi in tal occasione. Era stato richiamato in Ispagna il marchese di Leganes, e destinato al governo di Milano Carlo principe di Vandemont della casa di Lorena, il cui figlio militava nelle truppe dell'imperadore. Giunse questo principe a Milano colla principessa sua moglie nel dì 24 di maggio, e cominciò un trattamento superiore a quello de' suoi predecessori. Fra le altre sue pompe uscendo egli per la città, era tirato il suo cocchio da otto maestosi cavalli. Si applicò egli tosto a liberar lo stato dagli assassini, che in gran copia infestavano le strade e gli abitanti.
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Nel giugno dell'anno presente fu presa da gran costernazione la città di Napoli per l'orribile strepito che faceva il monte Vesuvio. Vomitò esso da lì a poco sì sterminata quantità di cenere, che scurò l'aria, e coprì i tetti e le piazze di quella città all'altezza di un piede. Quindi sfogò la sua collera con una gran pioggia di sassi, e con cinque fiumane di fuoco, composte dì materie bituminose a guisa di ferro fuso. Da questi torrenti, che scesero alla Torre del Greco in mare, non solo restò ridotto come un deserto quel luogo, ma i contorni ancora colle deliziose vigne e palazzi andarono tutti in rovina. Più di seimila persone, avendo prima presa la fuga, si rifugiarono in Napoli, e furono ben accolte e alimentate dalla singolar pietà del cardinal Cantelmo arcivescovo. Un altro non men grave flagello toccò nel dì 20 di giugno alla cittadella di Torino. Svegliatosi per aria un gran temporale sul far del giorno, da un fulmine figlio della terra o delle nuvole, venne attaccato il fuoco al magazzino della polve, coperto in maniera da potere resistere alle bombe: disavventura, a cui sono soggetti i ricettacoli di molta polve da fuoco. Sì orribile fu lo scoppio, che rovesciò tutte le fabbriche di essa cittadella colla morte di dodici ufiziali e di quattrocento soldati, oltre ai feriti. Si scossero tutte le case della città; ogni finestra e gran copia di mobili andò in pezzi, s'aprirono le porte delle chiese, e si credettero gli abitanti di essere al fine dei lor giorni. Il danno recato dalla violenza di questo accidente si fece ascendere a tre milioni di lire; e maggiore incomparabilmente sarebbe stato, se il fuoco del magazzino non avesse volto verso la campagna lo scagliamento delle pietre. Per segnali dell'ira di Dio e per preludi di maggiori sciagure furono presi questi sì funesti avvenimenti. E certamente era ben seguita la pace, ma già si scorgea non doversene sperare se non breve la durata, stando ognuno in apprensione di maggiori sconvolgimenti in Europa, [138] a cagion della monarchia di Spagna vicina a restar vedova. E già la Francia e il duca di Savoia Vittorio Amedeo faceano grandi armamenti, per essere pronti alle rivoluzioni, che non poteano mancare, mancando di vita il re Carlo II. Nel dì 2 di luglio di questo anno a Rinaldo d'Este duca di Modena nacque il suo primogenito Francesco Maria, oggidì duca, con somma consolazione dei popoli suoi. Era vacato in Roma per la morte del cardinal Paluzzo Altieri il riguardevol posto di camerlengo della santa romana Chiesa, posto in addietro venale e di gran lucro. Con sua bolla pubblicata nel dì 24 d'agosto il pontefice Innocenzo XII soppresse e vietò per l'avvenire la venalità di questa carica, con applicar buona parte de' frutti d'essa all'ospizio dei poveri, o alla stessa camera apostolica.
Anno di | Cristo MDCXCIX. Indiz. VII. |
Innocenzo XII papa 9. | |
Leopoldo imperadore 42. |
Nel dì 26 di gennaio dell'anno presente fu finalmente stabilita in Carlowitz una tregua di venticinque anni fra l'Imperadore Leopoldo e il sultano de' Turchi Mustafà II, siccome ancora la pace fra i Polacchi e lo stesso Gran-signore. Perchè insorsero controversie fra i ministri della Porta, e Carlo Ruzini plenipotenziario della repubblica di Venezia, mentre questi differiva l'acconsentire ad alcuni punti, i plenipotenziarii cesareo e polacco, e i mediatori inglese ed olandese, stipularono essi la concordia fra essa repubblica e il sultano nella forma che si potè ottenere, con gloria nondimeno e vantaggio del nome veneto. Il maneggio di questa concordia, per quel che riguarda i Veneziani, vien descritto nella Storia Veneta del senatore Pietro Garzoni, e in quella del pubblico lettore di Padova Giovanni Graziani, e presso il Du-Mont se ne legge la dichiarazione o strumento, senza che fosse specificato a quanto tempo si dovesse stendere la tregua con essi: il che [139] solamente dopo alquanti mesi restò conchiuso, dopo essere stato il senato in un gran batticuore a cagion di tanta dilazione. Per questo accordo restarono i Veneziani in possesso e dominio del regno della Morea, colle isole d'Egina e di Santa Maura, di Castelnuovo e Risano, e delle fortezze di Knin, Sing, Citelut, e Gabella nella Dalmazia, con altre particolarità ch'io tralascio. Fu poi ratificata questa tregua dal senato di Venezia nel dì 7 di febbraio, siccome ancora furono destinati da tutte le potenze i commessarii per regolare e determinare i confini coll'imperio ottomano: cosa che portò seco gran tempo, somme applicazioni e dispute, prima che se ne vedesse il fine. Di grandi allegrezze si fecero in Venezia per sì glorioso fine di sì lunga guerra, e del pari in Vienna, essendo restato Cesare padrone dell'Ungheria e Transilvania a riserva di Temiswar; siccome ancora in Polonia, per essere tornato quel regno in possesso dell'importante fortezza di Gaminietz. Avea preventivamente anche il czaro Pietro Alessiovitz conchiusa coi Turchi una tregua di due anni, che poi con altro atto, nel 1702, fu prorogata a trent'anni.
Non solamente era riuscito a Massimiliano elettor di Baviera e governator della Fiandra, di far concorrere il re Cristianissimo Luigi XIV e le potenze marittime nell'esaltazione del figlio suo Ferdinando alla corona di Spagna; ma eziandio con gravissime spese e regali avea in guisa guadagnati i ministri della corte di Madrid, che lo stesso re Carlo II giunse a dichiararlo erede dei suoi regni nel suo testamento: la qual nuova portata a Vienna avea servito a conchiudere con precipizio la suddetta pace o tregua di Carlowitz. Dovea anche esso principe elettorale fra pochi mesi passare a Madrid, per essere allevato in quella corte all'uso spagnuolo in espettazione di tanta fortuna. Ma chi non sa a quali vicende e peripezie sieno sottoposti i gran disegni e le imprese dei mortali? Dacchè si seppe la destinazion [140] di questo principe fanciullo al trono di Spagna, non passarono tre mesi, che eccoti venir la morte a rapirlo nel dì 5 di febbraio dall'anno presente: colpo che trafisse d'inestimabil dolore il cuore dell'elettor suo padre; e tanto più, perchè non mancò gente maligna, che seminò sospetti di veleno, cioè quella calunnia che si è da noi trovata sì facile, allorchè i principi soggiacciono ad una morte immatura. Restarono perciò sconcertate tutte le misure prese dal re Cattolico dall'una parte, e dalla Francia, Inghilterra ed Olanda dall'altra, di modo che si videro necessitate queste tre potenze a ricorrere ad altro ripiego, e si cominciò di nuovo nelle corti a trattar della maniera di conservare la tranquillità nell'inevitabil deliquio della monarchia spagnuola. Ma intorno a ciò quei potentati non arrivarono ad accordarsi insieme, se non nell'anno susseguente, siccome vedremo. Da gran tempo pensava l'augusto Leopoldo di provvedere di una degna consorte Giuseppe re dei Romani suo primogenito. Fu in qualche predicamento Leonora Luigia Gonzaga principessa di Guastalla; ma le determinazioni della corte cesarea terminarono nella principessa Amalia Guglielmina di Brunsvich, figlia del fu duca di Hannover Gian-Federigo, e sorella di Carlotta Felicita duchessa di Modena. Abitava questa principessa nei tempi presenti in essa corte di Modena colla duchessa sua madre Benedetta Enrichetta di Baviera, nata palatina del Reno. Qui appunto, nel dì 15 di gennaio di quest'anno seguì lo sposalizio di questa principessa con indicibil pompa e solennità. Videsi allora piena di nobiltà straniera, di ambasciatori e d'inviati la città e corte di Modena, e fra gli altri vi comparve in persona con insigne corteggio il cardinale Francesco Maria de Medici, e poscia il cardinale Jacopo Boncompagno, arcivescovo di Bologna, con titolo di legato apostolico, e con suntuosissima corte, a complimentare la novella regina. Le splendide feste in tal occasione [141] fatte dal duca Rinaldo, e il viaggio della stessa regina alla volta della Germania, coi grandiosi trattamenti che ella ricevette da Ferdinando Carlo Gonzaga duca di Mantova, e dalla splendidissima repubblica di Venezia, perchè io gli ho abbastanza accennati nelle Antichità Estensi, mi dispenso ora dal rammemorarli.
Non fu minor la consolazione e gioia della corte di Torino in questi tempi per la nascita del primogenito principe di Piemonte, succeduta sul principio di maggio, che con grandi allegrezze venne dipoi solennizzata. Gli fu posto il nome del padre, cioè di Vittorio Amedeo. Era nell'età sua giovanile principe di grande aspettazione; ma nel dì 22 di marzo del 1715, fu poi rapito dalla morte con immenso cordoglio del padre e di tutti i sudditi suoi. Di grandi faccende avea avuto la sacra corte di Roma negli anni addietro per le forti premure del re Luigi XIV, acciocchè fosse esaminato il libro delle Massime dei Santi, già pubblicato dal celebre monsignor di Fenelon arcivescovo di Cambrai. Molte congregazioni di cardinali e teologi furono tenute per questo affare in Roma, e un esatto esame ne fu fatto. Finalmente nel dì 12 di marzo pubblicò il santo padre una bolla, in cui furono condennate ventitrè proposizioni di esso libro, riguardanti la vita interiore. Gran lode riportò quel dottissimo prelato, per avere con tutta umiltà e sommessione accettato il giudizio della santa Sede, e ritrattate sul pulpito le stesse sue sentenze. Dopo questo dibattimento poco stette a venire in campo un'altra controversia di maggiore e più strepitosa conseguenza, cioè quella dei riti cinesi praticati dai neofiti cristiani nel vasto imperio della Cina, e pretesi idolatrici da una parte di quei missionarii. Acri e lunghe dispute furono per questo, ma non giunse papa Innocenzo XII a deciderlo, e ne restò la cura al suo successore, siccome diremo. Avea risoluto la vedova regina di Polonia Maria Casimira de la Grange, già moglie del re Giovanni Sobieschi, e figlia del cardinale di [142] Arquien, ad imitazione di Cristina già regina di Svezia, di venire a terminare il resto de' suoi giorni nell'alma città di Roma. Arrivò essa colà nel dì 24 di marzo, e prese il suo alloggio nel palazzo del principe don Livio Odescalchi duca di Sirmio Bracciano. Distinti onori furono a lei compartiti dal pontefice e da tutta quella sacra corte. In questi tempi esso santo padre, sempre ansioso di nuove belle imprese in profitto de' popoli suoi, concepì il grandioso disegno di seccar le Paludi Pontine; e fece anche i preparamenti per eseguirlo. Ma a lui tanto di vita non rimase da poter compiere sì gloriosa risoluzione. Si applicò eziandio alla correzione di quegli ecclesiastici che in Roma non viveano colla dovuta regolarità di costumi, e ne fece far esatte ricerche, e volle lista di chiunque era creduto bisognoso d'emenda. Questo solo bastò, perchè la maggior parte di queste persone prendesse miglior sesto, senza aspettar da più efficaci persuasioni la riforma del vivere. Finalmente rinnovò ed ampliò una rigorosa bolla contro il ricevere pagamenti e regali per le giustizie e grazie della sedia apostolica, sotto pena delle più gravi censure e di altri gastighi. Continuavano intanto le amarezze di sua santità contra del conte di Martinitz, perchè questi, oltre alla pretension de' feudi, teneva imprigionato nel suo palazzo un uomo, sospettato reo di aver voluto assassinare la balia di una sua figlia: esempio di prepotenza da non tollerarsi da chi era padrone in Roma. S'era interposto, per troncar queste pendenze, Rinaldo duca di Modena con sì buona maniera, che il Martinitz avea inviato il prigione a Modena. Ma questo ripiego non soddisfece al papa, perchè non veniva soddisfatto al suo diritto sopra la giustizia; e però si negava l'udienza a quel ministro. Fu egli poi richiamato a Vienna, e nel gennaio seguente giunse a Roma il conte di Mansfeld nuovo ambasciatore cesareo, e il suo antecessore se ne andò senza aver potuto ottenere udienza. Similmente [143] in questi tempi il pontefice raccoglieva gente armata, inviandola ai confini del Ferrarese. Altrettanto faceva il duca di Medina Celi vicerè nel regno di Napoli, conoscendo d'essere l'Europa alla vigilia di qualche strepitoso sconcerto per chi dovea succedere nella monarchia di Spagna.
Anno di | Cristo MDCC. Indizione VIII. |
Clemente XI papa 1. | |
Leopoldo imperadore 43. |
Voleva Rinaldo d'Este duca di Modena con solennità magnifica celebrare il battesimo del principe Francesco Maria suo primogenito, nato nel precedente anno, ed ottenne che l'imperador Leopoldo il tenesse al sacro fonte, e che fosse destinato a sostener le veci di sua maestà cesarea Francesco Farnese duca di Parma, il quale a questo fine si portò a Modena colla duchessa Dorotea sua consorte nel dì 16 di febbraio. Con più di cento carrozze a sei cavalli, e fra alcune migliaia di soldati schierati per le strade, e al rimbombo di tutte l'artiglierie della città e cittadella, furono accolti questi principi, e trovarono nella città la notte cangiata in giorno; sì grande era l'illuminazione dappertutto. Seguì nel dì 18 la funzion del battesimo con somma magnificenza, e nei giorni seguenti si variarono le feste e le allegrie, che rimasero poi coronate nel dì 22 da un suntuosissimo carosello, che riempiè di maraviglia e diletto tutti gli spettatori e la gran nobiltà forestiera concorsavi. Al qual fine s'era formato nel piazzale del palazzo ducale un vasto ed altissimo anfiteatro di legno, capace di molte migliaia di persone. Di simili grandiosi spettacoli niuno ne ha più veduto l'Italia. Di più non ne dico, per averne detto quel che occorre nelle Antichità Estensi. Diede fine nel dì 5 di luglio al suo vivere Silvestro Valiero doge di Venezia, a cui in quella dignità fu sostituito il senatore Luigi Mocenigo. Era già pervenuto all'età di ottantacinque [144] o pure ottantasei anni papa Innocenzo XII, e spezialmente nell'anno antecedente per varii incomodi di sanità avea fatto dubitar di sua vita. Tuttavia si riebbe alquanto dalla debolezza sofferta, ma non potè contener le lagrime per non aver potuto avere il contento d'aprir egli in persona nella vigilia del santo Natale il giubbileo di quest'anno, che fu poi celebrato con gran concorso e divozione dai pellegrini e popoli accorsi dalle varie parti della cristianità a conseguir le indulgenze di Roma. Tuttochè poca bonaccia godesse il santo padre da lì innanzi, pure continuò indefesso le applicazioni al governo, e tenne varii concistori, e provò anche consolazione in vedere Cosimo III de Medici, gran duca di Toscana che con esemplar divozione incognito sotto nome di conte di Pitigliano si portò nel mese di maggio a visitar le basiliche romane. Ricevette il papa questo piissimo principe con paterna tenerezza, il creò canonico di San Pietro, gli compartì ogni possibil onore, e fra gli altri regali gli concedette l'antica sedia di santo Stefano I papa e martire, che passò ad arricchire la cattedrale di Pisa. Non s'ingannarono i politici che s'immaginarono unito alla divozione del gran duca qualche interesse riguardante il sistema d'Italia, minacciato da disastri per la sempre titubante vita del re cattolico Carlo II. Infatti fu progettata una lega fra il papa, i Veneziani, il duca di Savoia, il gran duca di Mantova e il duca di Parma, per conservar la quiete dell'Italia. Al duca di Modena non ne venne fatta parola sulla considerazione d'esser egli cognato del re de' Romani. Ma non andò innanzi un tale trattato, o per le consuete difficoltà di accordar questi leuti, o perchè si volea prima scorgere in che disposizione fossero le corone, o fosse perchè venne intanto a mancare di vita il sommo pontefice.
Con più calore intanto si maneggiavano questi affari dai ministri di Francia, Inghilterra ed Olanda, per trovare un [145] valevole antidoto ai mali che soprastavano all'Europa. Tante furono le arti e tanti i mezzi adoperati dal gabinetto di Francia, che gli riuscì di guadagnare Guglielmo re d'Inghilterra, con introdurre lui e le Provincie Unite ad un altro partaggio della monarchia spagnuola. Fu questo sottoscritto in Londra nel dì 15, e all'Haia nel dì 25 di marzo, e stabilito che a Luigi Delfino di Francia si darebbono i regni di Napoli e Sicilia coi porti spettanti alla Spagna nel littorale della Toscana, il marchesato del Finale, la provincia di Guipuscoa coi luoghi di qua dai Pirenei, e in oltre i ducati di Lorena e Bar; in compenso dei quali si darebbe al duca di Lorena il ducato di Milano. In tutti poi gli altri regni di Spagna colle Indie e colla Fiandra avea da succedere l'arciduca Carlo secondogenito dell'imperador Leopoldo. Si provvedeva ancora a varii casi possibili ch'io lascio andare. Fece il tempo conoscere quanto fina fosse la politica del re cristianissimo Luigi XIV; perciocchè se a tal divisione acconsentivano Cesare e il re Cattolico, già si facea un accrescimento notabile alla potenza franzese; e quand'anche dissentissero da questo accordo Cesare e il re Cattolico, la forza de' contraenti ne assicurava l'acquisto al Delfino. Ma il bello fu che in questo mentre la corte di Francia era dietro a procacciarsi l'intera monarchia di Spagna, e si studiava di non cederne un palmo ad altri, poco scrupolo mettendosi se con ciò restava beffato chi si credeva assicurato dalla convenzione suddetta. Conosceva essa, per le relazioni del marchese di Harcourt ambasciatore a Madrid, non potersi dare al ministero e ai popoli di Spagna un colpo più sensitivo della division della monarchia; e volendo gli Spagnuoli evitarla, altro ripiego non restava loro che di gittarsi in braccio ai Franzesi, con prendere dalla real casa di Francia un re successore. Risaputosi infatti a Madrid il pattuito spartimento, fecero i ministri di Spagna le più alte doglianze di un sì violento procedere [146] a tutte le corti, e massimamente con tali invettive in Inghilterra, che il re Guglielmo venne ad aperta rottura. Acremente ancora se ne dolsero a Parigi, ma quella corte con piacevoli maniere mostrò fatti quei passi per le gagliarde ragioni che competevano al Delfino sopra tutto il dominio spagnuolo.
Intanto l'Harcourt in Madrid colla dolcezza, colla liberalità e con altre arti più secrete si studiava di tirar nel suo partito i più potenti o confidenti presso il re Cattolico. Chiamata colà anche la moglie, seppe questa insinuarsi nella grazia della regina Marianna, a cui si facea vedere un palazzo incantato in lontananza, cioè il suo maritaggio col vedovo Delfino, allorchè ella restasse vedova. Ma perciocchè il re Carlo II tenea saldo il suo buon cuore verso l'augusta casa di Austria di Germania, e le sue mire andavano sempre a finire nell'arciduca Carlo, per quante mine e trame si adoperassero, niuna pareva oramai bastante a fargli mutar consiglio. Venne il colpo maestro, per quanto fu creduto, da Roma. Imperciocchè gl'industriosi Franzesi, rivoltisi a quella parte, rappresentarono al pontefice Innocenzo XII in maniere patetiche cosa si potesse aspettare dalla casa di Austria germanica, se questa entrava in possesso di Napoli e Sicilia, e dello Stato di Milano con ricordare le avanie praticate nell'ultima guerra dagli imperiali coi popoli d'Italia, e le violenze usate in Roma dal conte di Martinitz. Tornar più il conto agl'Italiani che questi Stati coll'intera monarchia passassero in uno dei nipoti del re Cristianissimo, che niun diritto porterebbe seco per inquietare i principi italiani. Tanto in somma dissero, che il pontefice piegò nei lor sentimenti, e tanto più, perchè considerò questo essere il meglio dei medesimi Spagnuoli, i quali potrebbero conservare uniti i lor dominii, e liberarsi in avvenire dalle vessazioni della Francia, che gli avea ridotti in addietro a dei brutti passi. È dunque stato preteso che dalla corte di [147] Roma fosse dipoi insinuato al cardinale Lodovico Emmanuele Portocarrero, arcivescovo di Toledo, d'impiegare i suoi migliori uffizii in favore della real corte di Francia; ed essendo avvenute mutazioni nella corte di Madrid, ed anche sollevazioni in quel popolo, e poscia una malattia al re Cattolico, che fu creduta l'ultima, e poi non fu; il porporato ebbe apertura per parlare confidentemente al re, e di proporgli, non già sfacciatamente, un nipote del re Cristianissimo, ma destramente le ragioni della casa di Francia, perchè non mancavano dotti teologi che sostenevano invalide le rinunzie fatte dalle infante spagnuole passate a marito a Parigi, e che si poteva schivare la troppo odiata unione delle due corone in una sola persona. Attonito rimase il re Carlo II a queste proposizioni; e di una in altra parola passando, si lasciò persuadere che sarebbe stato ben fatto l'udire intorno a ciò il venerabil parere della Sede apostolica. Saggi cardinali e dottissimi legisti per ordine del papa esaminarono il punto; e ponderate le ragioni, e massimamente le circostanze del caso, giudicarono assai fondata la pretensione dei Franzesi. Di più non vi volle perchè il Portocarrero sapesse a tempo e luogo quetar la coscienza del re Cattolico, il quale fin qui si era creduto obbligato a preferire la linea austriaca di Germania; e tanto più al cardinal suddetto riuscì facile, quanto che i ministri e grandi di Spagna per la maggior parte o erano guadagnati, o aveano sacrificata l'antica antipatia della lor nazione contro la franzese all'utilità o necessità presente della monarchia, sperando essi di mantenere in tal guisa l'unione dei regni, e di avere in avvenire non più nemica, ma amica e collegata la Francia.
Pertanto nel dì 2 d'ottobre spiegò il re Cattolico l'ultima sua volontà, e la sottoscrisse, in cui dichiarò erede Filippo duca d'Angiò, secondogenito del Delfino di Francia; a lui sostituendo in caso di mancanza il duca di Berry terzogenito, e [148] a questo l'arciduca Carlo d'Austria e dopo queste linee il duca di Savoia. Stavano intanto addormentate le potenze marittime dall'accordo del partaggio stabilito col re Cristianissimo; e per conto dell'imperadore, egli si teneva in pugno la succession della Spagna pel figlio arciduca, affidato da quanto andava scrivendo il re Cattolico, non solo al duca Moles suo ministro in Vienna, ma allo stesso Augusto, della costante sua predilezione verso gli Austriaci di Germania. Mancò poscia di vita il re Carlo II nel dì primo di novembre dell'anno presente: principe di ottima volontà e di rara pietà, ma sfortunato nel maneggio dell'armi e ne' matrimonii, e che per la debolezza della sua complessione lasciò per lo più in luogo suo regnare i ministri. Volarono tosto i corrieri, e si conobbe allora chi con maggiore accortezza avesse saputo vincere il pallio e deludere amici e nemici in sì grave pendenza. Nel consiglio del re di Francia non mancarono dispute, se si avesse da accettare il testamento suddetto, pretendendo alcuni, anche dei più saggi, che più vantaggiosa riuscirebbe alla corona di Francia la division concordata colle potenze marittime, perchè fruttava un accrescimento notabile di Stati alla Francia: laddove, col dare alla Spagna un re, nulla si acquistava, nè si toglieva l'apprensione di avere un dì lo stesso re padron della monarchia spagnuola, o pure i suoi discendenti per emuli e nemici, come prima della franzese. Pure prevalse il sentimento e volere del re Luigi XIV, preponderando in suo cuore la gloria di vedere il sangue suo sul trono della Spagna, e con ciò depressa di molto la potenza dell'augusta casa d'Austria. Perciò nel dì 16 di novembre, Filippo duca d'Angiò, riconosciuto per re di Spagna in Parigi, e susseguentemente anche in Madrid nel dì 24 d'esso mese, s'inviò nel dì 4 di dicembre con suntuoso accompagnamento alla volta di Spagna, e giunse pacificamente a mettersi in possesso non solamente di quei [149] regni, ma eziandio della Fiandra, del regno di Napoli e Sicilia, e del ducato di Milano, non essendosi trovata persona che osasse di ripugnare agli ordini del re novello. Era già stato guadagnato il principe di Vaudemont, governatore di Milano; e quali amarezze covasse contra dell'imperadore l'elettor di Baviera Massimiliano, s'è abbastanza accennato di sopra. Storditi all'incontro rimasero l'Augusto Leopoldo, il re d'Inghilterra Guglielmo e la repubblica d'Olanda, per un avvenimento sì contrario alle loro idee e desiderii, e massimamente si esaltò la bile degl'Inglesi ed Olandesi, per vedersi così sonoramente burlati dalle arti de' Franzesi; e quantunque il re Cristianissimo adducesse varie ragioni per giustificar la sua condotta, niuno potè distornarli dal pensare ad una guerra che con tanto studio aveano fin qui studiato di schivare. Nulla di più aggiugnerò intorno a questo strepitoso affare, di cui diffusamente han trattato fra i nostri Italiani il senatore Garzoni, il marchese Ottieri e il padre Giacomo Sanvitali della compagnia di Gesù nelle loro Storie.
Si vide in quest'anno una cometa, e i visionarii, in testa de' quali hanno gran forza le volgari opinioni, si figurarono tosto che questa micidiale cifra del cielo predicesse la morte di qualche gran principe, e finivano in credere minacciata la vita o del re di Spagna Carlo II, o del sommo pontefice Innocenzo XII: predizion poco difficile d'un di loro o di amendue, giacchè il re era quasi sempre infermiccio, e il papa decrepito. Infermossi più gravemente del solito nel settembre di quest'anno il santo padre, e gli convenne soccombere al peso degli anni e del male. Merita ben questo glorioso pastore della Chiesa di Dio che il suo nome e governo sia in benedizione presso tutti i secoli avvenire: sì nobili, sì lodevoli furono tutte le azioni sue. Miravasi in lui un animo da imperadore romano, non già per pensare ai vantaggi proprii o de' suoi, perchè s'è veduto [150] aver egli tolto con eroica munificenza la venalità delle cariche, e quanto egli abborrisse il nepotismo, e quai freni vi mettesse; ma solamente per procacciar sollievo e profitto agli amati suoi popoli. Specialmente avea egli in cuore i poverelli, i quali usava chiamare i suoi nipoti. Ad essi destinò il palazzo Lateranense colla giunta d'una vigna da lui comperata per loro servigio. Concepì in oltre la magnifica idea di ridurre in un ospizio, e di far lavorare tutti i fanciulli ed invalidi questuanti: al qual fine fabbricò anche un vasto edifizio a San Michele di Ripa, che venne poi ampliato dal suo successore, e dotollo di molte rendite. Questo sì animoso istituto di ristrignere i poveri oziosi e di sovvenir loro di limosine, senza che le abbiano essi a cercare con tanta molestia del pubblico, si dilatò per alcune altre città d'Italia, benchè col tempo simili provvisioni, a guisa degli argini posti ad impetuosi torrenti, non si possano sostenere. Per utile parimente dello Stato ecclesiastico avea formato il disegno, e già fatte di gravi spese, a fin di stabilire un porto franco a Cività Vecchia, dove, a riserva de' Turchi, potessero approdar tutte le nazioni. Ma nol compiè per le tante ruote segrete che seppe muovere Cosimo III gran duca di Toscana, al cui porto di Livorno dall'altro sarebbe venuto un troppo grave discapito. Rialzò e fortificò il porto d'Anzio presso Nettuno, e in Roma il palazzo di monte Citorio, magnifico edifizio a cagion degli aggiunti uffizii pei giudici e notai che prima stavano dispersi in varie abitazioni della città. Fabbricò eziandio la dogana di terra, e quella di Ripa Grande. Insomma questo immortal pontefice, forte nel sostener la dignità della santa Sede, pieno di mansuetudine e d'umiltà, e ricco di meriti, fu chiamato da Dio a ricevere il premio delle sue incomparabili virtù nel dì 27 di settembre, compianto e desiderato da tutti, e onorato col glorioso titolo di padre de' poveri.
Entrati i cardinali nel conclave, diedero [151] principio ai lor congressi, e alle consuete fazioni, per provvedere la Chiesa di un novello pontefice, desiderosi nello stesso tempo di accordare col maggior bene del cristianesimo anche i proprii interessi. Non mancavano porporati degnissimi del sommo sacerdozio; e pure continuava la discordia fra loro, quando giunse il corriere colla nuova del defunto re Cattolico. Si scosse vivamente a questo suono l'animo di chiunque componeva quella sacra assemblea; e di tale occasione appunto si servì il cardinale Radulovic da Chieti per rappresentare la necessità di eleggere senza maggior dimora un piloto atto a ben reggere la navicella di Pietro, giacchè si preparava una fiera tempesta a tutta l'Europa, e massimamente all'Italia; e dovea la santa Sede studiarsi a tutta possa di divertire, se fosse possibile, il temporal minaccioso; e non potendo, almeno vegliare, perchè non ne patisse detrimento la fede cattolica. Commossi da questo dire i padri, non tardarono a convenire coi loro voti in chi punto non desiderava, e molto meno aspettava il sommo pontificato. Questo fu il cardinale Gian-Francesco Albani da Urbino, alla cui elezione quantunque si opponesse l'età di soli cinquantun anni, sempre mal veduta dai cardinali vecchi, e in oltre la moltiplicità dei parenti; pure niun di questi riflessi potè frastornare il disegno di quei porporati, perchè troppo bel complesso di doti e virtù concorreva in questo soggetto, sì per l'integrità de' suoi costumi e per l'elevatezza della sua mente, come per la letteratura, per la pratica degli affari, e per l'affabilità e cortesia con cui avea sempre saputo comperarsi la stima e l'amore d'ognuno. Spiegata a lui l'intenzione de' sacri elettori, proruppe egli in iscuse della sua inabilità, in lagrime; e in una non affettata ripugnanza a questo peso, come presago dei travagli che poi gli accaddero; e insistendo perciò che in tempi sì pericolosi e scabrosi si dovea provveder la Chiesa di Dio di più sperto e forte rettore. Che parlasse [152] di cuore, i fatti lo dimostrarono, avendo egli combattuto per tre giorni a prestar l'assenso: il che non fa chi aspira al triregno per timore che nella dilazione si cangi pensiero. Nè arrivò ad accettare, se prima non fu convinto dai teologi, i quali sostennero, lui tenuto ad accomodarsi alla voce di Dio, espressa nel consenso degli elettori, e se prima non fu certificato non essere contraria alla esaltazione sua la corte di Francia. A questo fine convenne aspettar le risposte del principe di Monaco ambasciatore del re Cristianissimo, che s'era ritirato da Roma su quel di Siena, perchè i cardinali capi d'ordine non aveano voluto lasciar impunita una prepotenza usata dal principe Guido Vaini, pretendente franchigia nel suo palazzo, per essere stato onorato dell'insigne ordine dello Spirito Santo. Restò dunque concordemente eletto in sommo pontefice il cardinale Albani nel dì 23 di novembre, festa di san Clemente papa e martire, da cui prese egli motivo di assumere il nome di Clemente XI. Straordinario fu il giubilo in Roma per sì fatta elezione, perchè allevato l'Albani in quella città, ed amato da ognuno, prometteva un glorioso pontificato; e ognuno si figurava di avere a partecipar delle rugiade della sua beneficenza.
Anno di | Cristo MDCCI. Indizione IX. |
Clemente XI papa 2. | |
Leopoldo imperadore 44. |
Non sì tosto fu assiso sulla cattedra di San Pietro Clemente XI, che diede a conoscere quanto saggiamente avessero operato i sacri elettori in confidare a lui il governo della Chiesa di Dio e dello Stato ecclesiastico. Mirava già egli in aria il fiero temporale che minacciava l'Europa, e siccome padre comune mise immediatamente in moto tutto il suo zelo e la singolar sua eloquenza per esortar i potentati cristiani ad ascoltar trattati di pace prima di venire alle armi. A questo oggetto spedì brevi caldissimi, fece parlare i [153] suoi ministri alle corti, esibì la mediazione sua, e quella eziandio della repubblica veneta. Predicò egli a' sordi; e tuttochè l'imperadore inclinasse a dar orecchio a proposizioni d'accordo, non si trovò già la medesima disposizione in chi possedeva tutto, e nè pure un briciolo ne volea rilasciare ad altri. Grande istanza fecero i ministri del nuovo re di Spagna Filippo V, secondati da quei del re Cristianissimo Luigi XIV, per ottenere l'investitura dei regni di Napoli e Sicilia, siccome feudi della santa romana Chiesa. Fu messo in consulta co' più saggi dei cardinali questo scabroso punto; e perciocchè una pari richiesta veniva fatta dall'imperadore Leopoldo, a tenore delle sue pretensioni e ragioni: il santo padre, per non pregiudicare al diritto di alcuna delle parti, sospese il giudizio suo; e per quante doglianze e minaccie impiegassero Franzesi e Spagnuoli, non si lasciò punto smuovere dal proponimento suo. Diedero intanto principio gl'imperiali alla battaglia con dei manifesti, ne' quali esposero le ragioni dell'augusta famiglia sopra i regni di Spagna, allegando i testamenti di que' monarchi in favore degli Austriaci di Germania, e le solenni rinunzie fatte dalle due infante Anna e Maria Teresa, regine di Francia. Fu a questi dall'altra parte risposto, aver da prevalere agli altri testamenti l'ultima volontà del regnante re Carlo II, nè doversi attendere le rinunzie suddette; non potendo le madri privar del loro gius i figliuoli: pretensione che strana sembrò a molti, non potendosi più fidare in avvenire d'atti somiglianti, e restando con ciò illusorii i patti e i giuramenti. Ma non s'è forse mai veduto che le carte decidano le liti de' principi, se non allorchè loro mancano forze ed armi per sostenere le pretensioni loro, giuste od ingiuste che sieno. Però ad altro non si pensò che a far guerra, come già ognun prevedeva; e la prima scena di questa terribil tragedia toccò alla povera Lombardia.
Per gli uffizii della corte cesarea era già stato appoggiato il governo della Fiandra [154] a Massimiliano elettor di Baviera, sulla speranza di trovare in lui un buon appoggio nelle imminenti contingenze. Fece il tempo vedere ch'egli più pensava a sostener le ragioni del figlio suo che le altrui; e rapitogli poi dalla morte questo suo germe, crebbero sempre più le amarezze sue contro la corte di Vienna, la quale non ebbe maniera di torgli quel governo, perchè più numerose erano le di lui milizie in Fiandra che le spagnuole. Misero tosto i Francesi un amichevole assedio a questo principe, e con obbligarsi di pagargli annualmente gran somma di danaro, e con promesse di dilatare i suoi dominii in Germania, il trassero nel loro partito; e si convenne che, movendosi le armi, egli sarebbe dei primi in Baviera a far delle conquiste. Ciò fatto, ebbero maniera le truppe franzesi d'entrar quetamente nelle piazze di Fiandra, ove gli Olandesi tenevano guernigione, con licenziarne le loro truppe. Rivolse nello stesso tempo il gabinetto di Francia le sue batterie a Vittorio Amedeo duca di Savoia, per guadagnarlo. Ben conosceva questo avveduto principe che, caduto lo Stato di Milano in mano della real casa di Borbone, restavano gli Stati suoi in ceppi, ed esposti a troppi pericoli per l'unione o fratellanza delle due monarchie. Ma sicuro dall'una parte che non gli sarebbe accordata la neutralità, e dall'altra, che ricalcitrando verrebbe egli ad essere la prima vittima del furore franzese, giacchè il re Cristianissimo s'era potentemente armato, e l'Augusto Leopoldo avea trovato all'incontro assai smilze le sue truppe, e troppo tardi sarebbero giunti in Italia i suoi soccorsi: però con volto tutto contento contrasse alleanza colle corone di Francia e Spagna; e si convenne che il re Cattolico Filippo V prenderebbe in moglie la principessa Maria Lodovica Gabriella sua secondogenita; ch'egli sarebbe generalissimo dell'armi gallispane in Italia; somministrerebbe otto mila fanti e due mila e cinquecento cavalli; e ne riceverebbe pel mantenimento mensualmente [155] cinquanta mila scudi, oltre ad uno straordinario aiuto di costa per mettersi decorosamente in arnese. Qui non si fermarono gl'industriosi Franzesi. Spedito a Venezia il cardinale d'Etrè, gli diedero commissione di trarre in lega ancor quella repubblica; ma più di lui ne sapea quel saggio senato, risoluto di mantenere in questi imbrogli la neutralità: partito pericoloso per chi è debile, ma non già per chi ha la forza da poterla sostenere, quali appunto erano i Veneziani. Fornirono essi le lor città di copiose soldatesche, lasciando poi che gli altri si rompessero il capo. Non così avvenne a Ferdinando Carlo Gonzaga duca di Mantova, che si trovava a' suoi divertimenti in Venezia. Oltre all'avere il cardinal suddetto guadagnati i di lui ministri con quei mezzi che hanno grande efficacia nei cuori venali, tanto seppe dire al duca, facendo valere ora le minaccie, ora gli allettamenti di promesse ingorde, che non seppe resistere; e massimamente perchè in suo cuore conservava un segreto rancore contra di Cesare per cagion di Guastalla, a lui tolta con Luzzara e Reggiuolo, e perchè sempre abbisognava di danaro, secondo lo stile degli altri scialacquatori pari suoi. Per dar colore a questa sua risoluzione inviò a Roma il marchese Beretti suo potente consigliere, acciocchè pregasse il pontefice di voler mettere presidio papalino in Mantova, affine di non cederla ad alcuno. E a ciò essendo condisceso il santo padre, poco si stette poi a scoprire essere seguito accordo fra lui e i Franzesi ed essere una mascherata quella del suo inviato a Roma; il perchè fu questi licenziato con poco suo piacere da quella sacra corte. Comunemente venne detestata questa viltà del duca, essendo Mantova città che anche fornita di soli miliziotti si potea difendere, oltre al potersi credere che i Franzesi non sarebbono giunti ad insultarlo, se avesse resistito. Ne fece ben egli dipoi un'aspra penitenza. In vigore del suddetto concordato, sul principio di aprile, circa quindici mila Franzesi, [156] ch'erano già calati in Italia, si presentarono sotto il comando del conte di Tessè alle porte di Mantova, minacciando, secondo il concerto, di voler entrare colla forza in quella forte città; e però il duca, mostrando timore di qualche gran male, cortesemente ricevette quegli ospiti novelli, e gridò poi dappertutto (senza però che alcuno glielo credesse) che gli era stata usata violenza.
Verso il principio della primavera cominciarono a calare in Italia le truppe franzesi a fin di difendere lo Stato di Milano; giunse anche a Torino nel dì 4 di aprile il maresciallo di Catinat, con dimostrazioni di gran giubilo accolto da quel real sovrano che il trattò da padre, e più volte gli disse di voler imparare sotto di lui il mestier della guerra, e a guadagnar battaglie. Nacque appunto nel dì 27 del mese suddetto al duca il suo secondogenito, a cui fu posto il nome di Carlo Emmanuele, oggidì re di Sardegna e duca di Savoia. Accresciuta poi l'armata franzese da altre milizie che sopravvennero, e decantata secondo il solito dalla politica guerriera più numerosa di quel ch'era, il Catinat sul principio di maggio passò con essa sul veronese, e andò a postarsi all'Adige, armando tutte quelle rive per impedire il passo ai Tedeschi, i quali si credeva che tenterebbono il passo stretto della Chiusa. Erano in questo mentre calati dalla Germania quanti cavalli e fanti potè in fretta raunare la corte cesarea, e se ne facea la massa a Trento. Al comando di questa armata fu spedito il principe Eugenio di Savoia, non senza maraviglia della gente, che non sapeva intendere come un principe di quella real casa imbrandisse la spada contro lo stesso duca di Savoia generalissimo de' Gallispagni. Seco venivano il principe di Commercy e il principe Carlo Tommaso di Vaudemont (tuttochè il di lui padre al servigio della Spagna governasse lo Stato di Milano) e il conte Guido di Staremberg. Allorchè fu all'ordine un competente corpo d'armata, il principe [157] Eugenio, prima che maggiormente s'ingrossasse l'esercito nemico (già più poderoso del suo) con truppe nuove procedenti dalla Francia, e con quelle del duca di Savoia, si mise in marcia per isboccar nelle pianure d'Italia. Trovò impossibile il cammino della Chiusa, e presi tutti i passi superiori dell'Adige. Se i Tedeschi non hanno ali, dicevano allora i Franzesi, certo per terra non passeranno. Ma il principe a forza di copiosi guastatori si aprì una strada per le montagne del Veronese e Vicentino, e all'improvviso comparve al piano con qualche pezzo d'artiglieria. Per un argine insuperabile era tenuto il grossissimo fiume dell'Adige; e pure il generale Palfi, nel dì 16 di giugno, ebbe la maniera di passarlo di sotto a Legnago. Il che fatto, i Franzesi a poco a poco si andarono ritirando, e gli altri avanzando. Nel dì 9 di luglio seguì sul veronese a Carpi un fatto caldo, e di là sloggiati con molta perdita i Gallispani, furono in fine costretti a ridursi di là dal Mincio, dove si accinsero a ben custodir quelle rive. Perchè in rinforzo loro colle sue genti arrivò Vittorio Amedeo duca di Savoia, ed erano ben forniti di gente e cannoni gl'argini di esso fiume, allora sì che parve piantato il non plus ultra ai passi dell'armata alemanna. Ma il principe Eugenio, nulla spaventato nè dalla superiorità delle forze nemiche, nè dalle gravi difficoltà dei siti, nel dì 28 di luglio animosamente formato un ponte sul Mincio, lo valicò colla sua armata, non avendo il Catinat voluto aderire al sentimento del duca di Savoia, di opporsi, perchè credea più sicuro il giuoco, allorchè fosse arrivato un gran corpo di gente a lui spedito di Francia. Prese questo maresciallo il partito di postarsi di là dal fiume Oglio, lasciando campo al principe Eugenio d'impadronirsi di Castiglion delle Stiviere, di Solferino e di Castel Giuffrè nel dì 5 d'agosto: con che le sue truppe cominciarono a godere delle fertili campagne del Bresciano, e a mettere in contribuzione lo Stato di Mantova con [158] alte grida di quel duca, che cominciò a provar gli amari frutti delle sue sconsigliate rivoluzioni. Trovaronsi in questi tempi molto aggravati dalle nemiche armate i territorii della repubblica veneta. Ma essa nè per minaccie, nè per lusinghe si volle mai dipartire dalla neutralità saggiamente presa, tenendo guernite di grosse guernigioni le sue città, che per ciò furono sempre rispettate.
Era, non può negarsi, il maresciallo di Catinat, maestro veterano di guerra, non men provveduto di valore che di prudenza; ma dacchè si cominciò a scorgere che più anche di lui sapea questo mestiere il principe Eugenio, tuttochè non pervenuto ancora all'età di quarant'anni, giudicò il re Cristianissimo col suo consiglio che agli affari d'Italia, i quali prendeano brutta piega, occorreva un medico di maggior polso e fortuna. Fu perciò risoluto di spedir in Lombardia il maresciallo duca di Villeroy, con dargli il supremo comando dell'armata, senza pregiudizio degli onori dovuti al duca di Savoia generalissimo. Nuove truppe ancora, oltre le già inviate, si misero in cammino, affinchè la maggior copia dei combattenti, aggiunta alla consueta bravura franzese, con più felicità potesse promettersi le vittorie. Nel dì 22 d'agosto giunse il Villeroy al campo gallispano, menando seco il marchese di Villars, il conte Albergotti Italiano, tenenti generali, ed altri uffiziali, accolto colla maggiore stima dal duca di Savoia e da tutta l'ufficialità. Le prime sue parole furono di chiedere, dov'era quella canaglia di Tedeschi, perchè bisognava cacciarli di Italia: parole che fecero strignere nelle spalle chiunque l'udì. Per li sopraggiunti rinforzi si tenne l'esercito suo superiore quasi del doppio a quel de' Tedeschi: laonde il principe Eugenio ebbe bisogno di tutto il suo ingegno per trovar maniera di resistere a sì grosso torrente; e siccome egli era mirabile in divisare e prendere i buoni postamenti, così andò ad impossessarsi della terra di [159] Chiari nel Bresciano, non senza proteste e doglianze del comandante veneto; e quivi si trincierò, facendosi specialmente forte dietro alcune cassine e mulini. Ardeva di voglia il Villeroy di venire alle mani col nemico, perchè si teneva in pugno il trionfo; e però valicato l'Oglio a Rudiano, a bandiere spiegate andò in traccia dell'armata tedesca, con risoluzion di assalirla. Era il dì primo di settembre, in cui arrivato a Chiari ordinò la presa di quel luogo, sulla credenza che ivi fosse una semplice guernigione, e non già tutta l'oste nemica. Ma vi trovò più di quel che pensava, cioè cannoni e gente che non si sentiva voglia di cedere. Lasciarono i Tedeschi ben accostare gli assalitori, e poi cominciarono un orrido fuoco; e per quanti sforzi facessero i Franzesi, sacrificarono ben sul campo di battaglia le lor vite, ma o non poterono forzar quei ripari, o appena ne forzarono alcuno, che indi a poco fu ripigliato dai coraggiosi cesarei. Tanta resistenza fece in fine prendere al Villeroy il partito di battere la ritirata col miglior ordine possibile, riportando seco un buon documento di un più moderato concetto di sè medesimo, e il dispiacere di aver data occasion di dire ch'egli era venuto per la posta in Italia, per aver la gloria da farsi battere. Tre mila persone si credette che costasse a' Franzesi quella azione tra morti e feriti, e pochissimi dalla parte degl'imperiali.
Vittorio Amedeo duca di Savoia in quel combattimento si segnalò nello sprezzo di tutti i pericoli; e o fosse una cannonata, come a me raccontò persona bene informata, o pur colpo di fucile, corse rischio della vita sua. E fu in questa occasione ch'egli si affezionò agli strologhi perchè un d'essi avea dagli Svizzeri due mesi prima scritto ad un confidente di esso principe che nel dì primo di settembre sua altezza reale correrebbe un gran pericolo. Per quanto false da lì innanzi egli trovasse le sue predizioni, non perdè mai più la stima di quell'arte vana [160] ed ingannatrice. Accostandosi il verno, richiamò esso sovrano le sue milizie in Piemonte; e il Villeroy veggendo ostinati a tener la campagna i Tedeschi, giudicò meglio di ritirarsi egli il primo, e di ripartire a' quartieri massimamente sul Cremonese la maggior parte delle soldatesche sue; con che ebbero agio i Cesarei d'impadronirsi di Borgoforte, di Guastalla, d'Ostiglia e di Ponte-Molino e d'altri luoghi. Aveano già saputo col mezzo delle minaccie i Gallispani mettere il piede sui principii di quest'anno entro la fortezza della Mirandola. Seppe così ben concertare anche il principe Eugenio colla principessa Brigida Pico le maniere di cacciarli, che quella città vi ricevette presidio cesareo. A cavallo del Po spezialmente se ne stavano le milizie imperiali, invigorite ultimamente da nuovi soccorsi calati dalla Germania; s'impossessarono ancora di Canneto e di Marcaria; e giacchè, a riserva del castello di Goito e di Viadana non restavano più Franzesi sul Mantovano, diede principio esso principe Eugenio ad un blocco lontano intorno alla stessa città di Mantova, fornita d'un vigoroso presidio di Franzesi. Essendo oramai i cesarei in possesso di tutto il Mantovano, non s'ha da chiedere se facessero buon trattamento a que' poveri popoli; e tanto più perchè il loro duca era stato dichiarato ribello del romano imperio.
E fin qui la sola Lombardia avea sostenuto il peso della guerra, quando nel dì 25 di settembre scoppiò un turbine anche nella città di Napoli. Non mancavano in quella gran metropoli dei divoti del nome austriaco sì nella nobiltà che nel popolo. Negli eserciti dell'imperadore Leopoldo e del re Carlo II molti di quei nobili, militando in addietro, aveano pel loro valore conseguito dei gradi ed onori distinti. Questa fazione, valutando non poco l'essersi finora negata dal sommo pontefice l'investitura di quel regno al prelodato re Filippo, teneva per lecito l'aderire all'augusta casa d'Austria, e [161] macchinava sollevazioni, senza nulla atterrirsi per le frequenti prigionie che faceva il vicerè duca di Medina Celi dei chiamati inconfidenti. Dimorava in questi tempi il cardinal Grimani veneto in Roma, accurato ministro della corte cesarea, e andava scandagliando i cuori di quei Napoletani, nei quali prevaleva l'amore verso del sangue austriaco, e che già aveano attaccati cartelli per le piazze di Napoli colle parole usate giù dal giudaismo, e riferite nel Vangelo: Non habemus regem, nisi Caesarem. Quando a lui parve assai disposta la mina, per la sicurezza che avea di molti congiurati, e sperandone molti più allorchè le si appiccasse il fuoco, spedì travestito a Napoli di barone di Sassinet segretario dell'ambasciata cesarea. Costui nel giorno suddetto, presa in mano una bandiera imperiale, uscì in pubblico, ed unitasi a lui gran copia di quei lazzari, cominciò a gridare: Viva l'imperadore. Crebbero a migliaia i sollevati, e s'impadronirono della chiesa di San Lorenzo, della torre di Santa Chiara e di altri posti. Lor condottiere fu don Carlo di Sangro nobile napoletano e uffiziale nelle truppe cesaree. Era stato fatto credere al buon imperadore Leopoldo, tale essere l'amore degl'Italiani, e massimamente nel regno di Napoli e Stato di Milano, che bastava alzare un dito, perchè tutti i popoli si sollevassero in favor suo. Ma questi non erano più i tempi dei Ghibellini, quando agguerriti i popoli d'Italia, e agitati dall'interno fermento delle fazioni, troppo facilmente tumultuavano e spendevano la vita per soddisfare alle loro passioni. Si trovavano ora i popoli inviliti; talun d'essi oppresso dai principi allevati nella quiete, e alieni da azzardare quanto aveano in tentativi pericolosi.
Alzatosi dunque il romore, la maggior parte della nobiltà napoletana corse ad esibirsi in difesa del vicerè, e non tardò lo stesso eletto del popolo con ischiere numerose di quei popolari ad assicurarlo della sua e lor fedeltà. Il perchè uscite le guernigioni spagnuole in armi, ed unite [162] con quattrocento di quei nobili e più migliaia del popolo, non durarono gran fatica a dissipare i sollevati, a riacquistare i luoghi occupati, e a far prigione il barone di Sassinet e don Carlo di Sangro con altri nobili che non ebbero la fortuna di salvarsi colla fuga. Ad alcuni segretamente nelle carceri tolta fu la vita; pubblicamente mozzo il capo al Sangro; rasato il palazzo di Telesa di casa Grimaldi; e il Sassinet venne poi da lì a qualche tempo condotto in Francia. Calmossi tosto quella mal ordita sollevazione; e per maggior sicurezza di quella città, vi furono per terra e per mare spediti dal re Cristianissimo abbondanti rinforzi di milizie e di munizioni; e il duca d'Ascalona passò dal governo della Sicilia a quello di Napoli. Intanto non cessava la corte cesarea di perorar la sua causa in quelle delle amiche potenze, mettendo davanti agli occhi d'ognuna qual rovina si potea aspettare dall'oramai sterminata possanza della real casa di Borbone, per essersi ella piantata sul trono della Spagna. Di queste lezioni non aveano gran bisogno gl'Inglesi ed Olandesi per conoscere il gran pericolo a cui anch'essi rimanevano esposti; ed aggiuntovi il dispetto di essere stati beffati dal re Cristianissimo colle precedenti capitolazioni, non fu in fine difficile il trarli ad una lega difensiva ed offensiva contro la Francia. Fu questa sottoscritta all'Haia nel dì 7 di settembre dai ministri di Cesare, di Guglielmo re della Gran Bretagna, e dall'Olanda; laonde ognuno si diede a preparar gli arnesi per uscir con vigore in campagna nell'anno appresso. Ma nè pur dormiva il re Cristianissimo, e di mirabili preparamenti fece anche egli per ricevere i già preveduti nemici. Nel settembre di quest'anno seguì in Torino lo sposalizio della principessa Maria Luigia, secondogenita del duca di Savoia, col re di Spagna Filippo V; ed ella appresso si mise in viaggio per andare ad imbarcarsi a Nizza e passare di là in Ispagna.
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Anno di | Cristo MDCCII. Indizione X. |
Clemente XI papa 3. | |
Leopoldo imperadore 45. |
Mentre lo zelante pontefice Clemente XI non rallentava le sue premure per introdurre pensieri di pace fra i principi guerreggianti, e prevenire con ciò l'incendio che andava a farsi maggiore in Europa, non godeva egli quiete in casa propria, perchè combattuto da' ministri d'esse potenze, pretendendolo cadaun di essi troppo parziale dell'altra parte. Spezialmente si scaldava su questo punto la corte cesarea. Non s'era già ella doluta perchè il santo padre avesse spedito il cardinale Archinto arcivescovo di Milano con titolo di legato a latere a complimentare la novella regina di Spagna; ma fece ben di gravi doglianze, perchè in Roma venisse pubblicata sentenza contro il marchese del Vasto, principe aderente alla corona imperiale, per aver egli preteso che il cardinale di Gianson avesse voluto farlo assassinate. Unironsi a questi in appresso altri più gravi lamenti per le dimostrazioni fatte dal papa al re Filippo V. Prevalse in Madrid e Parigi, benchè non senza contraddizione di molti, il sentimento di chi consigliava quel giovane monarca di venire alla testa dell'esercito gallispano in Italia, non tanto per dar calore alle azioni della campagna ventura e conciliarsi il credito del valore, quanto ancora per confermare in fede i popoli titubanti colla sua amabil presenza, e coll'aspetto della sua singolar pietà, saviezza e genio inclinato alla generosità e clemenza. Finchè fosse in ordine la possente sua armata in Lombardia, verso la quale erano in moto molte migliaia di combattenti spedite da Francia e Spagna, fu creduto bene ch'egli passasse a Napoli a farsi conoscere per quel principe che era, degno dell'ossequio ed amore di ognuno. Arrivò questo grazioso monarca per mare a quella metropoli nel dì 16 di aprile, cioè nel giorno solenne di Pasqua, [164] accolto con sontuosissimi apparati e segni di gioia da quella copiosa nobiltà e popolo. Se egli si mostrò ben contento ed ammirato della bella situazione, grandezza e magnificenza di quella real città e de' suoi abitatori, non fu men contenta di lui quella cittadinanza, o, per meglio dire, il regno tutto, per le tante grazie che gli compartì il benefico suo cuore, di modo che in lontananza mal veduto da molti, si partì poi di colà amato ed adorato quasi da tutti. Gli spedì in tal congiuntura il papa Clemente il cardinale Cario Barberini, ornato del carattere di legato a latere, ad attestargli il suo paterno affetto, e a presentargli dei superbi regali, preziosi per la materia e più per la divozione. Questa spedizione, tuttochè approvata come indispensabile dai saggi, e che non perciò portava seco l'investitura dei regni di Napoli e Sicilia, pure cotanto spiacque al conte di Lamberg ambasciatore di Cesare, che col marchese del Vasto si allontanò da Roma. Bolliva intanto nella sacra corte la gran controversia dei riti cinesi; e perchè sulle troppo contrarie relazioni venute di colà non si poteano ben chiarire i fatti, determinò il prudente pontefice d'inviar fino alla Cina un personaggio non parziale, e per la sua dottrina cospicuo, che sul fatto osservasse ciò che esigesse correzione, con facoltà di rimediare a tutto. A questo importante affare di religione fu prescelto monsignor Tommaso di Tournon Piemontese, che con titolo di vicario apostolico, portando seco molti regali da presentare all'imperador cinese, imprese quello sterminato viaggio per mare, ed egregiamente poi soddisfece all'assunto suo. Fu ancora in quest'anno a dì 17 di febbraio terminata dal santo padre con una sentenza la lite lungamente stata fra la duchessa di Orleans e l'elettore palatino, già da gran tempo compromessa nella santità sua.
Non fu bastante il rigore del verno nell'anno presente a frenar le operazioni militari del principe Eugenio. Fin qui Rinaldo d'Este duca di Modena avea goduta [165] la quiete nei suoi Stati, risoluto di non prendere impegno in mezzo alle terribili dissensioni altrui. Ma troppo facilmente vengono falliti i conti ai principi deboli, che in mezzo alla rivalità di potenti eserciti si lusingano di potere salvarsi colla neutralità. Aveva egli ben munito Brescello, fortezza di somma importanza, perchè situata sul Po, guernita di settanta pezzi di cannone di bronzo, di copiose munizioni da bocca e da guerra, e di un competente presidio. A nulla aveano servito fin qui le istanze del cardinale d'Etrè, nè dei generali cesarei per levargliela dalle mani; ma avvenne che il tenente general franzese conte Albergotti lasciossi vedere in quei contorni, ed abboccatosi ancora col comandante della piazza, tentò, ma inutilmente, la di lui fede con grandiose esibizioni. Risaputosi ciò dai Tedeschi acquartierati nella vicina Guastalla, e nata in loro diffidenza, si servirono di questo pretesto per obbligare il duca a consegnar loro quella fortezza. In quelle vicinanze adunque fece il principe Eugenio unire un corpo di circa dodici mila soldati, e nello stesso tempo spedì a Modena il conte Sormanni a chiedere in deposito la piazza suddetta. Nel dì 4 di gennaio seguì l'intimazione, fiancheggiata da minaccie, in caso di ripugnanza; laonde il duca non senza pubbliche proteste contro sì fatta violenza s'indusse a cederla. Crederono dipoi i Franzesi ciò seguito di concerto, o al men si prevalsero di questa apparente ragione per procedere ostilmente contro il medesimo duca. Ottenuto Brescello, si stesero sul Parmigiano l'armi cesaree, e nella stessa maniera pretesero di obbligare Francesco Farnese duca di Parma ad ammettere guernigione imperiale nelle sue città. Ma quel principe con allegare che i suoi Stati erano feudi della Chiesa, e di non poterne disporre senza l'assenso del papa, di cui aveva inalberato lo stendardo, seppe e potè difendersi sotto quell'ombra; anzi, per assicurarsi meglio dalle violenze in avvenire, trasse poi le truppe pontifizie [166] a guernir di presidio le suddette sue città. Ma questo non impedì che le soldatesche imperiali non occupassero da lì innanzi Borgo S. Donnino, Busseto, Corte Maggiore, Rocca Bianca ed altri luoghi di quel ducato.
Grande strepito fece in questi tempi un impensato gran tentativo ideato dall'indefesso principe Eugenio per sorprendere la città di Cremona, tuttochè allora provveduta di parecchi reggimenti franzesi, e colla presenza del maresciallo duca di Villeroy, che aveva quivi stabilito il suo quartiere. Teneva esso principe intelligenza secreta in quella città col proposto di Santa Maria Nuova, spasimato fautore dell'augusta casa d'Austria, la cui chiesa ed abitazione confinava colle mura della città. Sotto la di lui casa passando un condotto che sboccava nella fossa, gli fece lo sconsigliato prete conoscere che si poteva di notte introdurre gente, ed avventurare un bel colpo. Non cadde in terra la proposizione, e il principe prese tutte le sue misure per accostarsi quetamente alla città nella notte antecedente al dì primo di febbraio con alquante migliaia de' suoi combattenti. Per la chiavica suddetta s'introdussero in Cremona alcune centinaia di granatieri e di bravi uffiziali con guastatori, che trovati i Franzesi immersi nel sonno, ebbero tempo di forzare ed aprire due porte, per le quali entrò il grosso degli altri Alemanni. Svegliata la guarnigion franzese, diede di piglio all'armi, e si attaccò una confusa crudel battaglia. Uscito di casa il maresciallo di Villeroy per conoscere che romor fosse quello, andò a cader nelle mani de' Tedeschi, e fu poi mandato prigione fuori della città con altri uffiziali. Non posso io entrare nella descrizione di quel fiero attentato, e basterammi di dire che seguì un gran macello di gente dall'una e dall'altra parte perchè si menavano le mani con baionette e sciable. In fine soppraffatti i Tedeschi dai Franzesi, e massimamente dalla bravura degl'Irlandesi, furono obbligati a ritirarsi il meglio che [167] poterono. Con loro salvatosi il prete, passò poi in Germania, dove trovò buon ricovero. A questa disavventura degli Austriaci sopra tutto influì il non aver potuto il giovine principe Tommaso di Vaudemont, come era il concerto, giugnere a tempo pel Parmigiano al Po, e valicarlo; e questo a cagion delle strade rotte e dei fossi che vi ebbero a passare, oltre all'aver anche trovato rotto il ponte dai Franzesi, pel quale pensava di transitare il fiume. Fu creduto che la parte cesarea vi perdesse più di settecento uccisi, e più di quattrocento rimasti prigioni, fra i quali il baron di Mercy; e che più di mille fra morti e feriti furono i Franzesi, oltre a rimasti cinquecento prigionieri, fra i quali il luogotenente generale marchese di Crenant con altri non pochi uffiziali, e lo stesso maresciallo di Villeroy. Gloriosa si riputò l'impresa per gli assalitori, ma più gloriosa certamente riuscì per li difensori.
Andossi poi sempre più di giorno in giorno ingrossando l'esercito gallispano, sicchè si fece poi ascendere sino a circa cinquanta mila armati, laddove l'oste nemica appena arrivava alla metà, non essendo mai calate di Germania le desiderate reclute, perchè si attendeva alla guerra mossa in altre parti. Al comando dell'armi gallispane fu spedito da Parigi il duca di Vandomo Luigi Giuseppe, principe dei più esperti nel magistero militare, in cui gran nome s'era già procacciato. Arrivò egli in Italia dopo la metà di febbraio, e da che vide l'esercito suo rinforzato dalle tante milizie venete di Francia, uscì in campagna nel mese di maggio, con intenzione spezialmente di liberare la città di Mantova, oramai ridotta a molti bisogni e strettezze pel lungo blocco de' Tedeschi. Ritirò il principe Eugenio da varii siti le genti sue, e poi con alto e lungo trincieramento si fortificò dalla banda del serraglio in faccia a quella città. Entrò il Vandomo in Mantova con quanta gente volle, e ricuperò colla forza Castiglion delle Stiviere; e già [168] s'aspettava ognuno ch'egli con tanta superiorità di forze non volesse sofferire in sì gran vicinanza a Mantova i nemici. Ma passò il giugno senza azione alcuna di riflesso, perchè a superare il postamento degli Alemanni si potea rischiar molto. Il vero motivo nondimeno di quella inazione fu l'avere il re Cattolico scritto da Napoli al Vandomo, che portasse bensì a Mantova il soccorso, ma che non tentasse altra maggiore impresa sino all'arrivo suo. Cioè riserbava questo monarca a sè tutte le palme e gli allori che si aveano da raccogliere dalla presente campagna. Nel dì 2 di giugno imbarcatosi il re Filippo V, fece la sua partenza da Napoli, e nel passar da Livorno fu visitato e superbamente regalato dal gran duca Cosimo III de Medici, dal gran principe Ferdinando e dalla gran principessa Violante di Baviera sua zia. Andò a sbarcare al Finale, e venuto ad Acqui nel Monferrato, ebbe la visita di Vittorio Amedeo suocero suo, e nel dì 18 con gran pompa fece la sua entrata in Milano. In questo mentre il principe Eugenio attese a fortificar Borgoforte, e a formare di qua e di là dal Po un ben munito accampamento. E da che intese che il re Cattolico marciava pel territorio di Parma alla volta del Reggiano col maggior nerbo della sua armata, inviò il generale marchese Annibale Visconti con tre reggimenti di corazze a postarsi a Santa Vittoria, sito vantaggioso, perchè circondato da canali e dal fiume Crostolo. Se ne stavano questi Alemanni con gran pace in quel luogo, con poca guardia, senza spie, coi cavalli dissellati al pascolo, credendo che i Franzesi tuttavia si deliziassero nel Parmigiano: quand'ecco nel dopo pranzo del dì 26 di luglio si videro comparire addosso il conte Francesco Albergotti tenente generale dei Franzesi, o pure lo stesso duca di Vandomo con quattro mila cavalli e due mila fanti. La confusione loro fu eccessiva; fecero essi quella difesa che poterono in tale improvvisa e cattiva disposizione; ma in fine convenne [169] loro voltar le spalle, e lasciare alla balìa dei vincitori il bagaglio, quattordici stendardi, due paia di timbali e cento cavalli. Trecento furono i morti, altrettanti i prigioni, e il re Filippo sopraggiunto ebbe il piacere di mirare il fine di quella mischia.
Non avendo più alcun ritegno i Franzesi, dieci mila d'essi nel dì 29 di luglio si presentarono sotto la città di Reggio, e non trovarono gran difficoltà ad impadronirsene; avvenimento che fece intendere a Rinaldo d'Este duca di Modena qual animo covassero contra di lui i re di Francia e di Spagna. Però nel giorno seguente con tutta la sua corte s'inviò alla volta di Bologna, lasciando il popolo di Modena in somma costernazione. Giunse nel primo dì d'agosto sotto questa città il conte Albergotti con un grosso corpo di cavalleria e fanteria, che dimandò la cittadella a nome del re Cattolico. La consulta lasciata dal duca, con facoltà di operare ciò che credesse più a proposito in sì scabrose congiunture, con assai onorevole capitolazione si sottomise alla forza dell'armi. Lo stesso avvenne a Carpi, Correggio e al rimanente degli Stati del duca, eccettuata la Garfagnana di là dall'Apennino che ricusò di ubbidire. L'aspetto di questi progressi dell'esercito franzese quel fu che in fine obbligò il principe Eugenio a ritirar le sue truppe dal Serraglio di Mantova, e a lasciar libera quella città, per accudire al di qua dal Po, dove alla testa sul Correggiesco s'era accampato il re Cattolico colla sua grande armata, che venne in questi tempi accresciuta da buona parte delle truppe, colle quali il vecchio principe di Vaudemont dianzi campeggiava in difesa di Mantova. Essendosi presa la risoluzione dai Gallispani di marciare alla volta di Borgoforte, per qui venire a giornata campale, si mosse la loro armata nella notte precedente al dì 15 di agosto alla sordina, e s'inviò alla volta di Luzzara, dove si trovò un comandante tedesco che, all'intimazion della resa, non [170] rispose se non col fuoco de' fucili. Camminavano i Franzesi spensieratamente coll'immaginazione in capo di trovare il principe Eugenio sepolto ne' trincieramenti di Borgoforte; quando all'improvviso si accorsero che il coraggioso principe, marciando per gli argini del Po, veniva a trovarli, e diede infatti principio ad un fiero combattimento, sulle cui prime mosse perdè la vita il generale cesareo principe di Commercy. Era già suonata la ventun'ora, quando si diede fiato alle trombe, e si accese il terribil conflitto. Durò questo fino alla notte con gran bravura, con molta mortalità dell'una e dell'altra parte, e restò indecisa la vittoria, benchè ognun dal suo canto facesse dipoi intonare solenni Te Deum, ed amplificasse la perdita de' nemici, e sminuisse la propria: il che fa ritener me dal riferire il numero dei morti e feriti. Quel ch'è certo, a niun d'essi restò per allora il campo della battaglia, e non lieve preda fecero i cesarei. Per altro in quella notte stettero quiete in vicinanza le due armate, e credevasi che, fatto il giorno, si azzufferebbono di nuovo, e che, o gli uni o gli altri volessero veder la decisione delle loro contese. Attese il duca di Vandomo, essendo alquanto rinculato, ad assicurare il suo campo dall'invasion del nemico con buoni argini e trincieramenti, e con formare un ponte sul Po per mantener la comunicazione col Cremonese. Gli era restata alle spalle Guastalla, e ne fece l'assedio; e forzato, dopo nove giorni di trincea aperta, il general Solari a renderla nel dì 9 di settembre, mise in possesso di quella città Ferdinando Carlo Gonzaga duca di Mantova. Cinse ancora di stretto blocco la fortezza di Brescello del duca di Modena. In questi tempi furono veduti novecento cavalli usseri e tedeschi, condotti dall'Eberzeni, Paolo Diak e marchese Davia bolognese, passare pel Reggiano fin sul Pavese, esigendo contribuzioni dappertutto. Entrarono poi fin dentro Milano, e vi gridarono: Viva l'imperadore; e [171] salvi poi pel Mantovano si ridussero al loro campo.
Stettero dipoi nei divisati postamenti l'una in faccia all'altra l'armate nemiche, facendosi solamente guerra colle cannonate e con qualche scaramuccia, finchè venne il verno, con grande onore del principe Eugenio, il quale con tanta inferiorità di forze seppe sì lungamente tenere a bada nemici cotanto poderosi. L'ultimo trofeo che riportò in questa campagna il giovine re Filippo V, fu, siccome dicemmo, la presa di Guastalla. Dopo di che pensò a ritornarsene in Ispagna, chiamato colà dai bisogni ed istanze de' suoi regni. Fermossi in Milano alcune settimane, da dove, nel dì 6 di novembre, si mosse alla volta di Genova, ricevuto ivi con incredibile splendidezza da quella nobiltà e popolo; e di là fece poi vela verso la Catalogna. Accostandosi il verno, ricuperò l'armata delle due corone Borgoforte, e prese i quartieri in Mantova, e la maggior parte in Modena, Reggio, Carpi, Bomporto ed altri luoghi dello Stato di Modena. Il principe Eugenio, dopo avere distribuiti i suoi nelle terre e ville del basso Modenese contigue alla Mirandola, e nel Mantovano di qua dal Po, con ritenere un ponte sul Po ad Ostiglia, s'inviò alla corte di Vienna, per rappresentar lo stato delle cose e il bisogno di gagliardi soccorsi. Dopo lo spaventoso tremuoto dell'anno 1688 si erano riparate le rovine della città di Benevento; ma nell'aprile ancora di quest'anno si rinnovò nella stessa un quasi pari disastro. Sollevatosi quivi un temporale sì fiero, che sembrava voler diroccare la terra da' fondamenti, cagion fu che gli abitanti scappassero fuori dell'abitato. Succedette poscia un terribile scotimento, che rovesciò buona parte della città bassa, e il palazzo dell'arcivescovo e la cattedrale. Ducento cinquanta persone rimasero sfracellate sotto le rovine. Anche le città d'Ariano, Grotta, Mirabella, Apice ed altre di que' contorni ebbero di che piagnere, perchè quasi interamente [172] distrutte. Altre non men funeste scene di guerra si videro nell'anno presente in Germania, Fiandra ed altri paesi bagnati dal Reno, giacchè l'imperadore e le potenze marittime aprirono anch'esse il teatro della guerra in quelle parti contro la Francia. Di grandi preparamenti avea fatto l'Inghilterra per questo, quando venne a mancar di vita nel dì 19 di marzo il loro re Guglielmo principe di Oranges, e fu dipoi alzata al trono la principessa Anna, figlia del già defunto cattolico re della Gran Bretagna Giacomo II, e moglie di Giorgio principe di Danimarca, la quale con più ardore ancora del suddetto re Guglielmo incitò quella nazione ai danni della real casa di Borbone, ed inviò per generale dell'armi britanniche nei Paesi Bassi milord Giovanni Curchil conte di Marlboroug, col cui valore si mosse poi sempre collegata la fortuna.
All'incontro la Francia trasse nel suo partito gli elettori di Baviera e Colonia fratelli. Varii assedii furono fatti al basso Reno; risonò spezialmente la fama per quello di Landau nell'Alsazia, eseguito con gran sangue dall'armata cesarea comandata dallo stesso re de' Romani Giuseppe. In esso tempo il Bavaro collegatosi co' Franzesi mosse anch'egli le armi sue, con sorprendere la città d'Ulma, Meninga ed altre di quei contorni, e con accendere un gran fuoco nelle viscere della Germania, dove i circoli di Franconia, Svevia e Reno accrebbero il numero dei collegati contro della Francia. Ma ciò che diede più da discorrere ai novellisti in quest'anno, fu il terrore e danno immenso recato alle Coste della Spagna dalla formidabile armata navale degl'Inglesi ed Olandesi, guidata dall'ammiraglio Rooc inglese, dall'Alemond olandese e da Giacomo duca d'Ormond generale di terra. Verso il fine d'agosto approdò questa a Cadice (antica Gades dei Romani), emporio celebre e doviziosissimo della monarchia spagnuola sull'Oceano. Superati alcuni di quei forti, v'entrarono gli Anglolandi, [173] e diedero un fiero sacco alla terra, asportandone qualche milione di preda, ma con aspre doglianze di tutti i mercatanti stranieri, e con accrescere negli Spagnuoli l'odio immenso verso le loro nazioni. Capitarono in questo dall'America i galeoni di Spagna carichi d'oro, d'argento e di varie merci, e scortati da quindici vascelli e da alcune fregate franzesi. All'udire le disavventure di Cadice, si rifugiarono questi ricchi legni nel porto di Vigo in Galizia. Colà accorsa anche la flotta anglolanda, ruppe la catena del porto. Alquanti di que' vascelli e galeoni rimasero incendiati; lo sterminato valsente parte fu rifugiato in terra, parte venne in poter de' nemici; sette vascelli e quattro galeoni salvati dalle fiamme mutarono padroni. Gran flagello, gran perdita fu quella.
Anno di | Cristo MDCCIII. Indizione XI. |
Clemente XI papa 4. | |
Leopoldo imperadore 46. |
Ebbe principio quest'anno con una inondazione del Tevere in Roma stessa, a cui tenne dietro un fiero tremuoto, che alla metà di gennaio con varie scosse per tre giorni si fece sentire in quell'augusta città, riempendola di tal terrore, che tutto il popolo corse ad accomodar le sue partite con Dio; molti si ridussero ad abitar sotto le tende; e il pontefice Clemente XI prescrisse varie divozioni per implorar la divina misericordia. Per questo scotimento della terra la picciola città di Norcia colle terre contigue si convertì in un mucchio di pietre; e quella di Spoleti con varie terre del suo ducato patì gravissimi danni. Grandi rovine si provarono in Rieti, in Chieti, Monte Leone, ed altre terre e borghi dell'Abbruzzo. La città dell'Aquila vide a terra gran parte delle sue fabbriche colla morte di molti. Cività Ducale restò subissata con gli abitanti. Fu creduto che nei suddetti luoghi perissero circa trenta mila persone; nè si può esprimere lo scompiglio e spavento che fu in Roma e [174] per tante altre città in tal congiuntura, perchè sino all'aprile, maggio e giugno altre scosse di terra si fecero sentire; ed ognun sempre stava in allarmi, temendo di peggio. Non mancavano intanto altre fastidiose cure al santo padre in mezzo alle pretensioni delle potenze guerreggianti; nè si esigeva meno che la sua singolar destrezza per navigare in mezzo agli scogli, e sostenere la determinata sua neutralità. Contuttociò il partito austriaco lo spacciava per aderente al Gallispano, e spezialmente fece di gran querele, perchè avendo l'Augusto Leopoldo padre e Giuseppe re de' Romani figliuolo, nel dì 12 di settembre dell'anno presente, ceduto all'arciduca Carlo ogni lor diritto sopra la monarchia della Spagna, con che egli assunse insieme col titolo di re di Spagna il nome di Carlo III, dal pontefice fu proibito che il ritratto di questo nuovo re pubblicamente si esponesse nella chiesa nazional de' Tedeschi in Roma.
Erano restate in una gran decadenza le armi cesaree in Lombardia, perchè alle diserzioni e malattie, pensioni ordinarie dell'armate, non si suppliva dalla corte di Vienna con reclute e nuovi soccorsi, trovandosi Cesare troppo angustiato per li continui progressi di Massimiliano elettor di Baviera, le cui forze alimentate finora dall'oro franzese, e poscia accresciute da un esercito d'essa nazione, condotto dal maresciallo di Villars, faceano già tremar l'Austria e Vienna stessa. Contuttociò il conte Guido di Staremberg, generale di molto senno nel mestier della guerra, lasciato a questo comando dal principe Eugenio, tanto seppe fortificarsi alle rive del Po e della Secchia, che potè sempre rendere vani i tentativi della superiorità dell'esercito franzese. Intanto la fortezza di Brescello sul Po, che per undici mesi avea sostenuto il blocco formato dalle truppe spagnuole, si vide forzata a capitolar la resa. Cercò quel comandante imperiale che questa piazza fosse restituita al duca di [175] Modena, ma non fu esaudito. Vi trovarono i Franzesi un gran treno di artiglieria, di bombe, granate, polve da fuoco, e di altri militari attrezzi; la guernigione restò prigioniera di guerra. Tanto poi si adoperò Francesco Farnese duca di Parma, benchè nipote del duca di Modena Rinaldo d'Este, che nell'anno seguente impetrò dalla Francia e Spagna che si demolissero tutte le fortificazioni di quella piazza, con dolore inestimabile di esso duca di Modena, il quale dimorante in Bologna si trovava perseguitato dalle disgrazie, e conculcato fin dai proprii parenti. Seppe il valoroso conte di Staremberg difendere Ostiglia dagli attentati de' Franzesi; e nel dì 12 di giugno essendo giunto il general franzese Albergotti a Quarantola sul Mirandolese, ebbe una mala rotta da' Tedeschi, e gli convenne abbandonare il finale di Modena. Ciò non ostante, crebbero vieppiù da lì innanzi le angustie dell'esercito alemanno in Italia, perchè l'elettor bavaro cresciuto cotanto di forze entrò nel Tirolo, e giunse ad impossessarsi della capitale d'Inspruch. L'avrebbe bene accomodato il possesso e dominio di quella provincia confinante ai suoi Stati; ma si aggiugnevano due altre mire, l'una di togliere ai Tedeschi quella strada per cui solevano spignere in Italia i soccorsi di milizie, e l'altra di aprirsi un libero commercio coll'esercito franzese, esistente in Italia, affin di riceverne più facilmente gli occorrenti sussidii.
Mossesi infatti il duca di Vandomo nel mese d'agosto dalla Lombardia con parte del suo esercito alla volta del Trentino, sperando di toccar la mano ai Bavaresi, che avevano da venirgli incontro. Marciarono i Franzesi per Monte Baldo e per le rive del lago di Garda, e cominciarono ad aggrapparsi per quelle montagne, con impadronirsi delle castella di Torbole, Nago, Bretonico e d'altre, che non fecero difesa, a riserva del castello d'Arco, il quale per cinque giorni sostenne l'empito de' cannoni nemici, con [176] fatiche incredibili fin colà strascinati. Giunse poi sul fine d'agosto dopo mille stenti l'esercito franzese alla vista di Trento, ma coll'Adige frapposto, e con gli abitanti nell'opposta riva preparati a contrastare gli ulteriori avanzamenti dei nemici. Nè le minaccie del Vandomo, nè molte bombe avventate contro la città atterrirono punto i Trentini, e massimamente dacchè in aiuto loro accorse con alcuni reggimenti cesarei il generale conte Solari. All'aspetto di questi movimenti, comune credenza era in Italia che in breve si avessero a vedere in precipizio gli affari dell'imperadore, fatta che fosse l'unione del Bavaro col duca di Vandomo. Stettero poco a disingannarsi al comparire all'improvviso mutata tutta la scena. I Tirolesi d'antico odio pregni contra de' Bavaresi, e massimamente i bravi lor cacciatori, sì fattamente cominciarono a ristrignere e tempestar coi loro fucili le truppe nemiche, prendendo spezialmente di mira gli uffiziali, che altro scampo non ebbe l'elettore, se non quello di ritirarsi alle sue contrade. Medesimamente non senza maraviglia dei politici fu osservato ritornarsene il duca di Vandomo in Italia, dopo aver sacrificato inutilmente di gran gente e munizioni in quella infelice spedizione. Ora ecco il motivo di sua ritirata.
Non avea mai potuto Vittorio Amedeo duca di Savoia, siccome principe di mirabile accortezza, e attentissimo non meno al presente che ai futuri tempi, mirar senza ribrezzo la tanto accresciuta grandezza della real casa di Francia, e parevagli fabbricato il mortorio alla sua sovranità, dacchè il ducato di Milano era caduto in mano d'un monarca sì congiunto di sangue colla potenza franzese. Portò la congiuntura dei tempi ch'egli si avesse a collegar colle due corone, tuttochè scorgesse così fatta lega troppo contraria ai proprii interessi; ma stava egli sempre sospirando il tempo di poter rompere questa catena; e parve ora venuto, dacchè era vicino a spirare il tempo del contratto impegno della sua lega coi [177] re di Francia e di Spagna. Non lasciava la corte cesarea di far buona cera a questo principe, benchè in apparenza nemico, nè sul principio della rottura scacciò da Vienna il di lui ministro, come avea praticato con quello del duca di Mantova. Spedì eziandio nel luglio dell'anno presente a Torino (per quanto pretesero i Franzesi) il conte di Aversbergh travestito per intavolare con lui qualche trattato, ma senza sapersi se ne seguisse conclusione alcuna finora. Quel che è certo, non avea voluto il duca permettere che le sue truppe passassero verso il Trentino. Ora i forti sospetti conceputi nella creduta vacillante fede del duca Vittorio Amedeo diedero impulso al re Cristianissimo di richiamare in Lombardia il duca di Vandomo. Tornato questo generale colle sue genti a San Benedetto di Mantova di qua dal Po, già da lui scelto per suo quartier generale, nel dì 28 oppure 29 di settembre, messo in armi tutto l'esercito suo, fece disarmar le truppe di Savoia che si trovavano in quel campo ed altri luoghi, ritenendo prigioni tutti gli uffiziali e soldati. Non erano più di tre mila; altri nondimeno li fecero ascendere a quattro o a cinquemila. Per questa impensata novità e violenza alterato al maggior segno il duca, principe di grande animo, ne fece alte doglianze per tutte le corti; mise le guardie in Torino agli ambasciatori di Francia e Spagna; occupò gran copia d'armi spedite dalla Francia in Italia, ed imprigionò quanti Franzesi potè cogliere nei suoi Stati. Quindi si diede precipitosamente a premunirsi e a mettere in armi tutti i suoi sudditi, per resistere al temporale che andava a scaricarsi sopra i suoi Stati; giacchè non tardò il duca di Vandomo a mettere in viaggio buona parte dell'esercito suo contro il Piemonte. Saltò fuori in tal guisa un nuovo nemico delle due corone, e un nuovo teatro di guerra in Italia.
Nel dì 5 di dicembre pubblicamente dichiarò il re di Francia Luigi XIV la guerra contra di esso duca di Savoia, i [178] il quale nel dì 25 di ottobre, come scrisse taluno, o piuttosto nel dì 8 di novembre, come ha lo strumento rapportato dal Lunig, avea già stretta lega coll'imperadore Leopoldo. In esso strumento si vede promesso al duca Vittorio Amedeo tutto il Monferrato, spettante al duca di Mantova con Casale, e inoltre Alessandria, Valenza, la Valsesia e la Lomellina, con obbligo di demolir le fortificazioni di Mortara. Promettevano inoltre le potenze marittime un sussidio mensile di ottanta mila ducati di banco ad esso principe, durante la guerra. Fu poi aggiunto un altro alquanto imbrogliato articolo della cessione ancora del Vigevanasco, per cui col tempo seguirono molte dispute colla corte di Vienna. Per essersi trovato il duca colto all'improvviso dallo sdegno franzese, e specialmente sprovveduto di cavalleria, gli convenne ricorrere al generale conte di Staremberg, il quale, desideroso di assistere il nuovo alleato, mise improvvisamente in viaggio, nel dì 20 di ottobre, mille cinquecento cavalli sotto il comando del generale marchese Annibale Visconti. Benchè sollecita fosse la lor marcia, più solleciti furono gli avvisi al duca di Vandomo del lor disegno; laonde ben guernito di milizia il passo della Stradella, Serravalle ed altri siti, allorchè colà giunsero gli affaticati Alemanni, trovarono un terribil fuoco, e andarono presto in rotta. Molti furono gli uccisi, molti i prigioni, ed a quei che colla fuga si sottrassero al cimento, convenne dipoi passare fino a San Pier di Arena presso Genova, e valicare aspre montagne per giugnere in Piemonte. Questo picciolo rinforzo, e l'essere stati i Franzesi, a cagion del suddetto passaggio, impegnati in varii movimenti, servì di non lieve respiro al duca di Savoia; ma non già a preservarlo dagl'insulti a lui minacciati dal potente nemico. Il perchè determinò in fine il saggio conte Guido di Staremberg un'arditissima impresa, che, per essere felicemente riuscita, riportò poscia il plauso d'ognuno. Quando [179] si pensava la gente che l'esercito suo, postato sul Modenese e Mantovano di qua da Po, si fosse ben adagiato nei quartieri d'inverno e pensasse al riposo, all'improvvisa con circa dieci mila fanti e quattro mila cavalli, seco menando sedici cannoni, nel giorno santo del Natale passò esso Staremberg la Secchia, e pel Carpigiano s'indirizzò alla strada maestra chiamata Claudia, prendendo pel Reggiano e Parmigiano con marcie sforzate il cammino alla volta del Piemonte, senza far caso dei rigori della stagione, delle strade rotte e di tanti fiumi gravidi di acqua che conveniva passare. Era già tornato il duca di Vandomo al campo di San Benedetto di Mantova. Al primo avviso di questo impensato movimento dei nemici, raunate le sue truppe, si diede ad inseguirli con forze, chi disse minori, e chi maggiori, ma senza poter mai raggiugnerli, oppure senza mai volerli raggiugnere, per poca voglia di azzardare una battaglia. Si contarono bensì alcune scaramucce ed incontri, nei quali lasciarono la vita i due valorosi generali Lictenstein Tedesco e Solari Italiano; ma questi non poterono impedire al prode comandante di felicemente superar tutti i disagi, e di pervenire ad unirsi col duca di Savoia nel dì 13 del seguente gennaio, con infinita consolazione di lui e de' sudditi suoi.
Presero in questi tempi, cioè nel dì 8 di dicembre, i Franzesi dimoranti in Modena il pretesto di confiscare al duca Rinaldo d'Este tutte le sue rendite e mobili, perchè il suo ministro in Vienna, trovandosi nell'anticamera della regina de' Romani, in passando l'arciduca Carlo, dichiarato re di Spagna, l'inchinò. A chi vuol far del male, ogni cosa gli fa giuoco. Entrato nel novembre il maresciallo di Tessè nella Savoia, s'impadronì di Sciambery sua capitale, e poscia strinse con un blocco la fortezza di Monmegliano. Riuscì in quest'anno alle potenze marittime e all'imperatore Leopoldo di ritirar seco in lega un'altra potenza, cioè Pietro II re di Portogallo. Gli articoli di questa alleanza [180] furono sottoscritti nel dì 16 di maggio, e fatte di grandi promesse a quel monarca, fondate nondimeno sugli incerti avvenimenti delle guerre. Di qui sorsero speranze ne' collegati di potere un dì detronizzare il re di Spagna Filippo V, al qual fine creduto fu non solamente utile, ma necessario, che lo stesso arciduca Carlo, proclamato re di Spagna col nome di Carlo III, passasse in persona colà per dar polso ai Portoghesi, e per animare l'occulto partito austriaco che si conservava tuttavia nei regni di Spagna. Pertanto questo savio, affabile e piissimo principe, preso congedo dagli augusti lagrimanti suoi genitori e dal fratello Giuseppe re de' Romani, si mise nel settembre in viaggio alla volta dell'Olanda, con ricevere immensi onori per dovunque passò. Pertanto ecco oramai gran parte dell'Europa in guerra per disputare della monarchia di Spagna; nel qual tempo anche il Settentrione ardeva tutto di guerra per la lega del Sassone re di Polonia collo czar della Russia contro il re di Svezia, che diede lor delle aspre lezioni. Presero in quest'anno i Franzesi Brisac, ricuperarono Landau, diedero una rotta ai Tedeschi sotto esso Landau; e all'incontro gli Anglolandi s'impadronirono di Bona, Huz e Limburgo.
Anno di | Cristo MDCCIV. Indizione XII. |
Clemente XI papa 5. | |
Leopoldo imperadore 47. |
Veggendosi Rinaldo d'Este duca di Modena sì maltrattato ed oppresso dai Franzesi, altro ripiego non trovò che di ricorrere a papa Clemente XI per implorare i suoi paterni uffizii appresso le due corone, o, per dir meglio, alla corte di Francia, che sola dirigeva la gran macchina, e sotto nome del re Cattolico sola signoreggiava negli Stati d'esso duca. Si portò a questo fine incognito a Roma, e vi si fermò per più mesi. Giacchè non volle indursi a gittarsi in braccio a' Franzesi, non altro in fine potè ottenere che [181] una pensione di dieci mila doble; e questa ancora gli convenne comperare con cedere ad essi Franzesi il possesso della provincia della Garfagnana, situata di là dall'Apennino colla fortezza di Montalfonso; unico resto de' suoi dominii, finora sostenuto nel suo naufragio: dopo di che si restituì a Bologna ad aspettare senza avvilirsi lo scioglimento dell'universal tragedia. Ma alle sue disavventure si aggiunse in quest'anno la demolizione della sua fortezza di Brescello, fatta dai Parmigiani: tanto pontò il duca di Parma, per levarsi quello stecco dagli occhi. Furono asportate parte a Mantova, parte nello Stato di Milano tutte quelle artiglierie e attrezzi militari. Cominciarono in quest'anno a declinar forte in Italia gli affari dell'imperadore e del collegato duca di Savoia. L'incendio commosso in Ungheria dai sollevati, e in Germania da Massimiliano elettor di Baviera, siccome quello che più scottava la corte di Vienna, a lei non permetteva di alimentar la sua armata in Italia coi necessari rinforzi di truppe e danaro. Nulla all'incontro mancava al general franzese duca di Vandomo. Da che fu egli maggiormente rinvigorito dalle nuove leve spedite dalla Provenza per mare, divise l'esercito suo in due, ritenendo per sè le forze maggiori a fine di far guerra al duca di Savoia; e dell'altra parte diede il comando al gran priore duca di Vandomo suo fratello, acciocchè tentasse di cacciar d'Italia il corpo di Tedeschi che assai smilzo restava nel Mantovano di qua da Po, e teneva forte tuttavia la terra di Ostiglia di là da esso fiume. Allorchè i Franzesi s'avviarono, sul fine dell'anno precedente, dietro al conte Staremberg, aveano gli Alemanni occupato Bomporto e la Bastia sul Modenese, con far prigioniere il presidio di questa ultima. Tornato che fu a Modena il generale signor di San Fremond, non perdè tempo a ricuperare, sul principio di febbraio, quei luoghi: sicchè si ritirarono i Tedeschi alla Mirandola, e attesero a fortificarsi [182] in Revere, Ostiglia ed altri siti lungo il Po di qua e di là, con istendersi ancora sul Ferrarese a Figheruolo.
Venuto il mese d'aprile, si mosse il gran priore di Vandomo col grosso delle sue milizie per isloggiare i Tedeschi da Revere. Non l'aspettarono essi, e si ridussero di là da Po ad Ostiglia: con che venne a restar separata la Mirandola dal campo loro. Allora fu che il giovane Francesco Pico duca di essa Mirandola, accompagnato dal principe Giovanni suo zio, e da don Tommaso d'Aquino Napoletano, suo padrigno, e principe di Castiglione, comparve a Modena, con dichiararsi del partito delle due corone, e con pubblicare un manifesto contra dei cesarei. Fu bloccata da lì innanzi quella città da' Franzesi; fu anche, sul fine di luglio, regalata da una buona pioggia di bombe, ma senza suo gran danno, e senza che se ne sgomentasse punto il conte di Koningsegg comandante in essa. Pensavano intanto i troppo indeboliti Tedeschi, ridotti di là dal Po, a mantenere almeno la comunicazione colla Germania; al qual fine fortificarono Serravalle, Ponte Molino, e varii posti sotto Legnago negli Stati della repubblica veneta. Di qua dal Po stavano i Franzesi, cannonando incessantemente Ostiglia nell'opposta riva. Il gran priore passò dipoi ad assediar Serravalle. Ma perciocchè non men le sue truppe di qua dal fiume suddetto e i Tedeschi dall'altra parte si stendevano sul Ferrarese, diede ciò motivo al sommo pontefice di farne gravi querele per mezzo del cardinale Astalli legato di Ferrara, intimando agli uni e agli altri di sloggiare, e nello stesso tempo minacciando di unir le sue truppe colla parte ubbidiente per iscacciarne la disubbidiente. Sì questi che quelli si mostrarono pronti ad evacuare il Ferrarese, e in fatti si ritirarono i Franzesi dalla Stellata, e gli Alemanni consegnarono Figheruolo agli uffiziali del papa, con promesse di ritirarsi sul Veneziano. Mentre si allestivano a partire, nella notte [183] precedente la natività di san Giovanni Batista, avendo i Franzesi raunata gran copia di barche, o trovate in Po, o fatte venir dal Panaro, alcune migliaia di essi, imbarcati alle Quadrelle, quetamente passarono di là dal fiume, ed ottenuto il passo dalle guardie pontificie, diedero addosso agli Alemanni, i quali, in vigore dell'accordo fatto se ne stavano assai spensierati e quieti. Alquanti ne furono uccisi, gli altri colla fuga scamparono; restò il loro bagaglio in man de' Franzesi. Fu cagion questo colpo ch'eglino poscia abbandonassero Ostiglia, Serravalle e Ponte Molino, e che il picciolo loro esercito, valicato l'Adige, andasse a mettersi in salvo sul Trentino. Proruppe la corte di Vienna in escandescenze per questo fatto, con pretendere di aver pruove chiare che fosse seguito di concerto coi ministri del papa, perchè nello stesso tempo era andato il conte Paolucci generale pontificio ad abboccarsi col gran priore, e per altre ragioni che non importa riferire. Commosso dalle amare doglianze di Cesare, il pontefice spedì a Ferrara monsignor Lorenzo Corsini, che fu poi cardinale e papa, acciocchè ne formasse un processo. Nulla risultò da questo che i pontifizii avessero consentito o contribuito alla cacciata de' Tedeschi; ma non perciò si potè levar di capo alla corte cesarea che il papa, assicurato oramai della fortuna favorevole ai Gallispani, avesse data mano ad essi per cacciare lungi da' suoi Stati quel molesto pugno di gente. Da che si trovarono rinforzati gli Alemanni da alquante milizie calate dal Tirolo, dopo la metà di settembre calarono di nuovo nel Bresciano, fortificandosi a Gavardo e Salò sul lago di Garda, e in altri luoghi. Poche son le nazioni e i principi che nelle prosperità sappiano conservar la moderazione. Cadde allora in pensiero ai Franzesi di parlar alto, e di obbligar la repubblica veneta ad impedire la calata e la dimora delle soldatesche alemanne ne' suoi stati. E perciocchè la saviezza veneta, risoluta [184] di conservare la già presa neutralità, rispose con non minore coraggio, e vieppiù rinforzò i presidii delle sue piazze, allora il gran priore per forza entrò in Montechiaro, Calcinato, Carpanedolo, Desenzano, Sermione ed altri luoghi, e non si guardò di far altre insolenze e danni a quelle venete contrade, finchè arrivò il verno che mise freno alle operazioni militari.
Quanto al Piemonte, avea bene il duca Vittorio Amedeo, con varie leve fatte nei suoi Stati e negli Svizzeri, accresciuto di molto l'esercito suo, ma per la gran copia di Franzesi, venuta per mare al duca di Vandomo, si trovò sempre di troppo inferiore alle forze nemiche. Sul principio di maggio contò esso Vandomo circa trentasei mila combattenti nell'oste sua, e però, con isprezzo degli alleati postati a Trino, passò in faccia di essi il Po, e gli obbligò a ritirarsi con qualche loro perdita. Poi imprese l'assedio di Vercelli, città che, quantunque presidiata da sei mila persone, non fece che una misera difesa; ed ostinatosi il Vandomo a voler prigioniera di guerra quella guernigione a fine di sempre più tagliar le penne al duca di Savoia, trovò comandanti ed uffiziali che condiscesero a cedergli la piazza con sì dura condizione. Ordine emanò ben tosto di spogliar quella città di ogni fortificazione nel dì 21 di luglio. Calato intanto anche il duca della Fogliada dal Delfinato con dieci mila combattenti, dopo essersi impossessato della città di Susa, mise l'assedio a quel castello; espugnò la Brunetta e il forte di Catinat; e nel dì 12 di luglio costrinse il presidio del suddetto castello di Susa a rendersi con patti molto onorevoli. Obbligò dipoi colla forza i Barbetti abitanti nelle quattro valli ad accettare la neutralità. Andò quindi ad unirsi sotto la città d'Ivrea col Vandomo, il quale sedici giorni impiegò a sottomettere quella città. Ritiratosi il comandante nella cittadella, poscia, nel dì 29 di settembre, dovette cedere, con restar prigioniere egli e tutti i suoi. Vi restava in quelle [185] parti la città d'Aosta renitente alla fortuna; ma nè pur essa potè esimersi dall'ubbidire ai Franzesi insieme col forte di Bard: con che restò precluso al duca di Savoia il passo per ricevere soccorsi dalla parte della Germania e degli Svizzeri. E pure qui non finirono le imprese dell'infaticabil duca di Vandomo. Si avvisò egli, al dispetto della contraria stagione che si appressava, d'imprendere l'assedio di Verrua, fortezza non solo pel sito, perchè posta sul Po sopra un dirupato sasso ma eziandio per le fortificazioni aggiunte, creduta quasi inespugnabile; e tanto più perchè il duca di Savoia unito al maresciallo di Staremberg colla sua armata stava postato di là dal Po a Crescentino nella riva opposta del fiume, e mercè di tre ponti manteneva la comunicazione con Verrua. Oltre a ciò, davanti a Verrua si trovava il posto di Guerbignano ben trincerato e difeso da cinque mila fra Tedeschi e Piemontesi. Non si atterrì per tutte queste difficoltà il Vandomo, e alla metà di ottobre andò a piantare il campo contro di Guerbignano. Intanto perchè sì fattamente calarono le acque del Po, che si poteano guadare, finse, o pure determinò egli di voler passare col meglio delle sue genti, ed assalire il campo di Crescentino. Ne fu avvisato a tempo il duca di Savoia, che perciò richiamò la maggior parte della gente posta alla difesa di Guerbignano. Tra la partenza di queste truppe e il fuoco di molte mine che fecero saltare i trincieramenti di quel posto, il Vandomo se ne impadronì, e dipoi si diede agli approcci e alle batterie contro Verrua, continuando pertinacemente l'assedio pel resto dell'anno; assedio memorabile non men per le incredibili offese degli uni, che per l'insigne difesa e bravura degli altri.
Era mancata di vita nell'anno precedente Anna Isabella duchessa di Mantova, moglie di Ferdinando Carlo Gonzaga duca regnante: principessa che per la somma sua pietà, carità e pazienza meritò vivendo e morta gli encomii d'ognuno. [186] Volle in quest'anno esso duca portarsi alla corte di Parigi, dove non gli mancarono onori e carezze quante ne volle. Ottenne anche il titolo di generalissimo delle armate in Italia di sua maestà Cristianissima. O il suo desiderio di lasciar dopo di sè qualche posterità legittima, giacchè di questa era privo, o le premure dei suoi domestici, e fors'anche della corte stessa di Francia, lo invaghirono di passare alle seconde nozze. Si fermarono i suoi voti sopra Susanna Enrichetta di Lorena, figlia di Carlo duca di Elboeuf, principessa dotata al pari di beltà che di saviezza. Tornato poi in Italia, arrivò nel dì 28 d'ottobre al campo del duca di Vandomo, ricevuto ivi con sommo onore qual generalissimo, e applaudito dal rimbombo di tutte le artiglierie. Condotta la novella sua sposa per mare da quattro galee di Francia, corse gran rischio, perchè malamente salutata da più cannonate di due armatori inglesi presso Genova. Si celebrò poscia il suo maritaggio in Toscana nel dì 8 di novembre coll'assistenza del principe e principessa di Vaudemont suoi parenti. Ma il duca, che avea logorata la sua sanità nei passati disordini, nè pur trasse prole da questa degna principessa. Ora mentre l'Italia mirava in ben cattiva situazione l'armi cesaree e savoiarde, con prevalere cotanto le franzesi, cominciò la fortuna a mutar volto in Germania. Avea l'elettor di Baviera slargate molto l'ali, con essersi impadronito anche di Ratisbona, Augusta, Passavia ed altri luoghi, e minacciava conquiste maggiori: quando con segreta risoluzione fu spedito da Anna regina d'Inghilterra il suo generale milord Marlboroug con isforzate marcie ad unir le sue forze colle cesaree, comandate dal principe Eugenio in Germania. Non mancò il re Cristianissimo d'inviare anch'egli in aiuto del Bavaro il maresciallo di Tallard con ventidue mila combattenti. Occuparono i due prodi generali anglocesarei la città di Donavert con un combattimento, in cui grande fu il macello dei [187] vinti, e forse non minore quello dei vincitori.
Erano le due armate nemiche forti ciascuna di quasi sessanta mila persone, e nel dì 13 d'agosto in vicinanza di Hogstedt vennero alle mani. Da gran tempo non era seguita una sì terribil battaglia; dall'una parte e dall'altra si combattè con estremo valore e furore; ma in fine si dichiarò la vittoria in favore degl'imperiali ed Inglesi. Secondo le relazioni tedesche d'allora, dieci mila Gallo-Bavari vi perderono la vita, sei mila se ne andarono feriti, e dodici o quattordici mila rimasero prigioni, la maggior parte colti separati dall'armata e stretti dal Danubio, che furono forzati a posar le armi. Fra essi prigionieri si contò il maresciallo di Tallard. Il duca di Baviera e il maresciallo di Marsin, colla gente che poterono salvare, frettolosamente marciarono alla volta della Selva Nera e della Francia. Anche l'esercito vittorioso lasciò sul campo circa cinque mila estinti, e a più di sette mila ascese il numero de' feriti. Le conseguenze di sì gran vittoria furono la liberazion d'Augusta, Ulma ed altre città della Germania, e l'acquisto di nuovo di quella di Landau in Alsazia. La Baviera, che dianzi facea tremar Vienna stessa, venne in potere di Cesare con patti onorevoli per la elettrice, che si ritirò poi a Venezia, essendo passato l'elettore consorte al suo governo di Fiandra. Al primo avviso di quella sanguinosa battaglia portato in Italia, si adirarono forte i Franzesi, con chi riferiva essersi rendute prigioniere tante migliaia de' lor nazionali senza fare difesa. Si accertarono poi della verità con loro grande rammarico. Ed ecco la prima amara lezione che riportò delle sue vaste idee il re Cristianissimo Luigi XIV. Fu ancora gran guerra in Portogallo, dove era giunto il re Carlo III con rinforzi di milizie inglesi ed olandesi. Andò in campagna lo stesso re Filippo V; riportò di molti vantaggi sopra de' Portoghesi, e se ne tornò glorioso a Madrid; se non che [188] le sue allegrezze restarono amareggiate dall'avere gl'Inglesi occupata la città di Gibilterra, posto di somma importanza nello stretto, ma posto mal custodito dagli Spagnuoli in sì pericolosa congiuntura. Tentarono essi di ricuperarlo con un vigoroso assedio, che durò sino all'anno seguente, ma senza poterne snidare di colà i nemici, che anche oggidì ne conservano il dominio. Seguì parimente una fiera battaglia circa il fine d'agosto verso Malega fra le flotte franzese ed anglolanda. Sì gli uni che gli altri solennizzarono dipoi col Te Deum la vittoria, che ognun si attribuì, e niuno veramente riportò. Nel dì 23 di febbraio di quest'anno mancò di vita in Roma il cardinale Enrico Noris Veronese, ben degno che di lui si faccia menzione in queste memorie. Militò egli nell'ordine dei frati agostiniani, fu pubblico lettore in Pisa, e custode della biblioteca Vaticana; poi promosso alla sacra porpora nel 1695; personaggio che pel sodo ingegno, raro giudizio e profonda erudizione non ebbe pari in Italia ai tempi suoi, come ne fanno e faran sempre fede le opere da lui date alla luce.
Anno di | Cristo MDCCV. Indizione XIII. |
Clemente XI papa 6. | |
Giuseppe imperadore 1. |
Fu questo l'ultimo anno della vita di Leopoldo Austriaco imperadore, morto nel dì 5 di maggio: monarca, ne' cui elogii si stancarono giustamente le penne di molti storici. La pietà, retaggio singolare dell'augusta casa d'Austria, in lui principalmente si vide risplendere, e del pari la clemenza, la affabilità e la liberalità massimamente verso dei poveri. Mai non si vide in lui alterigia nelle prospere cose, non mai abbattimento di spirito nelle avverse. Parea che nelle disavventure non gli mancasse mai qualche miracolo in saccoccia per risorgere. Lasciò un gran desiderio di sè, e insieme due figli, l'uno Giuseppe, re da molti anni [189] de' Romani, e Carlo III appellato re di Spagna, il primo di temperamento focoso, e l'altro di una mirabil saviezza. A lui succedette il primo con assumere, secondo il rito, il titolo d'imperador de' Romani, ed accudire al pari, anzi più del padre defunto, al proseguimento della guerra contro la real casa di Francia. Pubblicò nel luglio di quest'anno il pontefice Clemente XI una nuova bolla contra de' giansenisti. Ma sotto il novello imperadore Giuseppe crebbero le amarezze della corte pontificia, di maniera che il conte di Lemberg ambasciatore cesareo in Roma se ne partì, passando in Toscana, e fu licenziato da Vienna monsignore Davia Bolognese nunzio di sua santità. Gran tempo era che il magnanimo pontefice pensava ad accrescere un nuovo ornamento alla città di Roma coll'erezione della colonna Antoniana; perciò diede l'ordine che fosse disotterrata. Nel dì 25 di settembre fu questo bel monumento solamente cavato dal terreno per opera del cavalier Fontana; e gran somma d'oro costò sì nobile impresa.
In Piemonte continuò ancora gran tempo la forte piazza di Verrua a sostenersi contro le incessanti offese del campo franzese. Nel dì 26 di dicembre dell'anno precedente un gran guasto fu dato alle trincee degli assedianti da quel presidio, rinforzato segretamente dal duca di Savoia da due mila persone, giacchè egli manteneva tuttavia la comunicazion colla fortezza mediante il ponte di Crescentino: ma senza comparazione più furono i periti nel campo d'essi Franzesi a cagion dei gravi patimenti di un assedio ostinatamente sostenuto in mezzo ai rigori del verno, ancorchè non ommettesse il duca di Vandomo diligenza alcuna per animarli con profusion di danaro e di alimenti. Intanto innumerabili furono gli sforzi delle artiglierie, bombe e fuochi artifiziali contro l'ostinata piazza per li mesi di gennaio e febbraio. Frequenti erano ancora le mine e i fornelli sì dell'una che dall'altra parte. [190] Ma perciocchè si conobbe troppo difficile il vincere questa pugna, finchè il duca Vittorio Amedeo potesse dall'opposta riva del Po andare rinfrescando quella fortezza di nuovi combattenti, viveri e munizioni; nel primo dì di marzo il Vandomo improvvisamente spinse un grosso distaccamento ad occupar l'isola e forte del Po, a cui si atteneva il ponte nemico; e così tagliò ogni comunicazione con Verrua. Ritirossi allora il duca di Savoia col maresciallo di Staremberg a Civasso, lasciando Crescentino in poter de' Franzesi. Si trovò in breve il valoroso comandante di Verrua obbligato a cedere; ma prima di farlo, co' fornelli preparati mandò in aria i recinti e bastioni, e poi si rendè nel dì 10 di marzo a discrezione, rimproverato poscia e insieme lodato dal Vandorno per sì lunga e gloriosa difesa. Presero dopo tale acquisto le affaticate milizie franzesi riposo fino al principio di giugno, ed allora, uscendo in campagna, si mossero con disegno di assediare Civasso; e di aprirsi con ciò il campo fino a Torino, già meditando offese contra di quella capitale. Stava accampato in quelle vicinanze il duca di Savoia con lo Staremberg, e di là diede molte percosse alle truppe franzesi, ma senza poter impedire l'assedio di Civasso. Si sostenne questa picciola piazza sino al 29 di luglio, in cui esso duca alla sordina fece di notte evacuarla, per quanto potè, di artiglierie e munizioni, e la lasciò in potere del duca della Fogliada, comandante allora di quell'armata franzese, giacchè il duca di Vandomo avea dovuto accorrere al basso Po contro l'armata cesarea, siccome diremo.
Di grandi ed incredibili preparamenti fece dipoi esso Fogliada, passato sino alla Veneria, per mettere l'assedio a Torino; ma perchè sopraggiunsero ordini dal re Cristianissimo di differire sì grande impresa all'anno seguente, portò egli la guerra altrove. Avea questo general franzese molto prima, cioè nel dì 10 di marzo, obbligata a rendersi la picciola città di [191] Villafranca sulle rive del Mediterraneo. Lasciato poscia un blocco intorno a quella cittadella, che poi si arrendè nel dì primo di aprile, andò ad aprir la trincea sotto la città di Nizza. Se ne impadronirono i Franzesi, ma non vedendo maniera di forzare quel castello, l'abbandonarono di poi con rovinare le fortificazioni. Da che queste furono alquanto ristorate dal marchese di Caraglio governatore, sul principio di novembre comparve colà di nuovo con forze maggiori il duca di Berwich, ed entratovi nel dì 14 di esso mese, si accinse poi a far giocare le batterie contra di quel castello, il quale non meno pel sito che per le fortificazioni atto era a far buona resistenza. Aveano, per non so qual ordine male inteso, i Franzesi ritirata la lor guarnigione da Asti verso la metà d'ottobre. Vi accorse tosto il maresciallo di Staremberg, e piantò quivi il suo quartiere. Tanto ardire non piacendo al duca della Fogliada, andò ad accamparsi in quei contorni; con poca fortuna nondimeno, perchè usciti gli Alemanni con tal bravura li percossero, che vi restò ucciso il general franzese conte d'Imercourt con alquante centinaia de' suoi; laonde fu giudicato miglior consiglio il ritirarsi. Verso la metà di dicembre la fortezza di Monmegliano in Savoia, vinta non dalla forza ma da un ostinato blocco d'un anno e mezzo, si trovò in fine obbligata a capitolare con condizioni onorevoli. Per ordine poi del re Cristianissimo ne furono smantellate tutte le fortificazioni. Così andavano moltiplicando le perdite e sciagure addosso al duca di Savoia, il quale non avea cessato di tempestare la corte di Vienna e le potenze marittime per ottenere gagliardi soccorsi.
Con occhio certamente di compatimento miravano gli alleati l'infelice positura di questo sì fedele sovrano; e però fu presa la risoluzione di rispedire in Italia con forze nuove il principe Eugenio, in cui concorrendo un raro valore e saper militare, e di più la stretta attinenza [192] di sangue colla real casa di Savoia, si potea perciò da lui promettere ogni maggiore studio per la causa comune. Ma non gli furono consegnate forze tali, che potessero per conto alcuno competere colle franzesi. Ne presentì la venuta il duca di Vandomo; e per assicurarsi che egli non pensasse alla da tanto tempo bloccata Mirandola, ordinò che il signor di Lapurà tenente generale degli ingegneri alla metà d'aprile passasse ad aprir la trincea sotto quella fortezza. Benchè si trovasse fornito di tenue presidio il conte di Koningsegg ivi comandante cesareo, pur fece una bella difesa sino al dì 10 di maggio, in cui si arrendè co' suoi prigioniere di guerra. Arrivò in questo mentre in Italia il prode principe Eugenio; e da che ebbe raunato un sufficiente corpo d'armata, costeggiando il lago di Garda, giunse a Salò. Quivi fu egli indarno trattenuto dalla opposta nemica armata, perchè seppe aprirsi il passo al piano della Lombardia, e far poi molti prigioni dei nemici. A Cassano sul fiume Adda si trovarono poscia a fronte le due nemiche armate nel dì 16 di agosto, e vennero a giornata campale. Erano maestri di guerra i due generali, piene di valoroso ardire le truppe di amendue, e però ciascuna delle parti menò ben le mani, ma con lasciare indecisa la vittoria, avendo la notte posto fine agli sdegni. Si studiò poi ciascuna delle parti, secondo il privilegio dei guerrieri, di fare ascendere a più migliaia la mortalità de' nemici, e tanto meno la propria, di modo che si intesero da lì a poco intonati due contrarii Te Deum. Forse maggiore fu la perdita dei Franzesi, ma certo compensata dell'avere i Tedeschi compianta la morte di più loro generali, oltre a quella del principe Giuseppe di Lorena. Perchè l'uno e l'altro esercito restò infievolito da sì copioso salasso, pensò di poi più al riposo che ad ulteriori militari fatiche, ed altra impresa non succedette pel resto dell'anno in quelle parti.
Anche nell'alto Reno, alla Mosella e [193] al Brabante non mancarono azioni militari e sanguinose, e fra queste specialmente rimbombò l'avere il milord Marlboroug forzate, nel dì 19 di luglio, le linee franzesi del Brabante, con far prigioni circa mille e cinquecento Gallispani, fra i quali due generali, e con prendere alquanti cannoni, bandiere, stendardi e qualche parte del bagaglio. Lo strepito nondimeno maggiore della guerra fu in Ispagna. Qualche picciolo acquisto fecero i Portoghesi, assistiti dagli Anglolandi. Assediarono anche Badaios; ma entrato colà un buon soccorso di Spagna, meglio si stimò di lasciare in pace quella città. All'incontro la potentissima flotta combinata degl'Inglesi ed Olandesi con gente da sbarco, e collo stesso re Carlo III in persona si presentò davanti Barcellona. Al nome austriaco in gran copia concorsero colà i Catalani armati: dal che rinvigoriti gli Anglolandi formarono, l'assedio di quella città, e ne furono direttori il principe di Darmstadt e il milord Peterboroug. Dopo essersi gli assedianti impadroniti de' forti del Mongiovì, nella quale impresa quel valoroso principe lasciò la vita, strinsero maggiormente la città, e finalmente indussero, sul principio d'ottobre, il vicerè Velasco a capitolare, con accordargli tutti gli onori militari. Ma andò per terra la capitolazione, perchè prima di effettuarla si mosse a sedizione il popolo di Barcellona, e v'entrarono gli Austriaci, accolti con festosi ed incessanti viva. L'acquisto della capitale fu in breve seguitato da Lerida, Tarragona, Tortosa, Girona ed altri luoghi della Catalogna. Tumultuarono parimente i popoli del regno di Valenza, e questa città con Denia, Gandia ed altre terre alzò le bandiere del re Carlo III. Per quanti sforzi facessero nell'anno presente gli Spagnuoli per ricuperare Gibilterra con un pertinace assedio, non furono assistiti dalla fortuna, perchè padroni del mare gli Anglolandi, colà introdussero di mano in mano quante forze occorrevano per la difesa. Nel novembre [194] dell'anno presente avvenne una memorabil rotta del Po sul Mantovano di qua, che rotti gli argini della Secchia e del Panaro, e seco unite quelle acque, recò incredibili danni a tutta quella parte del Mantovano, al Mirandolese, a parte del Modenese, e ad un gran tratto del Ferrarese sino al mare Adriatico. Arrivarono le acque sino alle mura di Ferrara, atterrarono un'infinità di case e fenili rurali, colla morte di gran copia di bestie e di non poche persone.
Anno di | Cristo MDCCVI. Indizione XIV. |
Clemente XI papa 7. | |
Giuseppe imperadore 2. |
Se mai fu anno alcuno in Italia, anzi in Europa, fecondo di avvenimenti militari e di strane metamorfosi, certamente è da dire il presente. Fra i gran pensieri che agitavano la corte di Francia per sostenere la monarchia spagnuola lacerata o minacciata in tante parti dalle armi collegate, uno dei principali si scoprì essere quello di ultimar la distruzione di Vittorio Amedeo duca di Savoia, principe che colle sue ardite risoluzioni avea fin qui obbligato il re Cristianissimo Luigi XIV a mantenere in Italia una guerra che gli costava non pochi milioni ogni anno. Oppresso questo coraggioso principe, si credea facile il mettere le sbarre ad ulteriori tentativi della Germania contra lo Stato di Milano. Già avea per cinquantacinque giorni il marchese di Caraglio sostenuto il castello di Nizza, benchè flagellato continuamente da cannoni e mortari del duca di Berwich, quando si vide ridotto all'estremo, e ridotto a capitolarne la resa con tutti gli onori militari nel dì 4 di gennaio. Fu poscia condannato quel castello a vedere uguagliate al suolo tutte le sue fortificazioni. Tanti preparamenti andava in questo mentre facendo il duca della Fogliada, che poco ci voleva a comprendere tendenti le sue mire all'assedio di Torino. Perciò il saggio duca attese a ben premunire [195] quella capitale e cittadella di quanto potea occorrere in sì fiero emergente; e da che vide cominciare le offese, con passaporti del nemico general franzese spedì a Genova la real sua famiglia, ed anch'egli si mise poi alla larga per maggior sicurezza, riducendosi a Cuneo e ad altri luoghi fin qui preservati dalle nemiche violenze. Ora non sì tosto ebbe il suddetto Fogliada ricevuta nuova gente da Francia con promessa ancora di maggiori rinforzi, che passata la metà di maggio accostatosi a Torino, diede principio alla circonvallazione intorno a quella cittadella, dove il prode conte Daun, lasciato dal duca per governator di Torino insieme col marchese di Caraglio, avea messo un forte presidio de' suoi Tedeschi. Venuto poscia il giugno, aprì la trincea sotto quella fortezza, contando dopo l'acquisto di essa presa anche la città, benchè nè pure ommettesse le offese contro la città medesima. Orrendo spettacolo era il gran fuoco dì circa ducento tra cannoni e mortari continuamente impiegati dai Franzesi a gittar palle, bombe e sassi contro di essa città, e più contro della cittadella; e un pari trattamento lor faceano i tanti bronzi e fuochi degli assediati. Nello stesso tempo non lasciò il Fogliada di marciare con alcune migliaia di fanti e cavalli per voglia di cogliere, se gli veniva fatto, lo stesso duca di Savoia. Ma egli vigilante, ora scorrendo in un luogo ed ora in un altro, seppe sempre schermirsi dai nemici, e dar loro anche qualche percossa, finchè si ritirò nella valle di Lucerna, dove trovò assai fedeli e arditi alla sua difesa que' Barbetti. L'essersi perduti in questa diversione i Franzesi, cagion fu che non progredisse l'assedio di Torino con quel vigore che richiedeva la positura dei loro affari.
Tornato nella primavera il principe Eugenio sul Trentino, quivi attese a far massa dei rinforzi a lui promessi, che, secondo il solito dei Tedeschi, con poca fretta andavano calando dalla Germania. Più sollecito il duca di Vandomo, dappoichè [196] fu ritornato anch'egli da Parigi, passata la metà di aprile, uscì in campagna con venticinque mila combattenti (altri han detto molto meno) a motivo di cacciar dal piano della Lombardia quelle brigate alemanne che vi erano restate, e di ristringere le loro speranze fra le montagne delle Alpi. Ben lo previde il principe Eugenio, e per non perdere l'adito in Italia, ordinò al generale Reventlau di postarsi fra Calcinato e Lonato con dodici mila tra fanti e cavalli alla Fossa Seriola, che gli avrebbe servito di antemurale. Furono malamente eseguiti gli ordini suoi, avendo quel generale trascurato di ben fortificarsi dalla parte di Lonato. Ora ecco, nel dì 19 d'aprile, sopraggiugnere il Vandomo dalla parte di Montechiaro, e poi di Calcinato il quale si spinse contro l'accampamento nemico. Aspro fu il conflitto, ma in fine i meno cedettero ai più, e gli Alemanni in rotta si ritirarono il meglio che poterono a Gavardo. Esaltarono i Franzesi questa vittoria, pretendendo che restassero prigionieri circa tre mila imperiali, ed altrettanti freddi sul campo; laddove gli altri contavano solamente ottocento gli estinti, e circa mille e cinquecento i prigioni e feriti. Certo è che i Franzesi acquistarono alquanti pezzi di cannone, molte baudiere e stendardi, e fecero bottino del bagaglio e delle provvisioni. Dopo questa percossa il principe Eugenio, vedendo chiusi i passi del Bresciano, andò a poco a poco ritirando dalle rive del lago di Garda le sue truppe, e a suo tempo improvvisamente sboccò di nuovo sul Veronese. Gravissimi danni avea patito nel precedente anno la repubblica veneta sul Bresciano, calpestato dalle due nemiche armate; maggiori li provò nel presente, perchè il Vandomo venne colle maggiori sue forze ad accamparsi in vicinanza di Verona, e stese le sue genti lungo l'Adige, per impedirne il passaggio agli imperiali. Con pretesto che dai Veneziani si prestasse o potesse prestare aiuto alle truppe cesaree, alzò dei fortini contro la città [197] di Verona, non solamente minacciando essa, ma fino il senato stesso, se non usciva di neutralità. Spinti da sì fatte violenze quei saggi signori, accrebbero il loro armamento, e risposero di buon tuono ai Franzesi, senza mai dipartirsi dalla presa risoluzione di non voler aderire a partito alcuno. Aveano stretta a questo fine, nel dì 12 di gennaio, una lega colle città svizzere di Berna e Zurigo. Intanto con finte marcie andava il principe Eugenio imbrogliando l'avvedutezza franzese, finchè, nel dì 6 di luglio, riuscì a un corpo di sua gente di valicar l'Adige alla Pettorazza, e di afforzarsi nell'opposta riva: il che aprì l'adito al passaggio di tutta la sua armata, che, per quanto si figurò la gente, ascendeva a trenta mila persone, benchè la fama la facesse giugnere sino a quaranta mila. Curiosa cosa fu il vedere come i dianzi sì baldanzosi Franzesi battessero una frettolosa ritirata senza mai voler mirare il volto dell'esercito nemico, finchè si ricoverarono di qua e di là dal Po sul Mantovano.
Fu in questi tempi che il re Cristianissimo, per bisogno di un eccellente generale in Fiandra, richiamò il duca di Vandomo, e in luogo suo a comandar l'armi in Italia spedì Luigi duca d'Orleans suo nipote, principe che se non potea competere coll'altro nella sperienza militare, certo l'uguagliava nei valore, e il superava nella penetrazione e vivacità della mente. Venuto questo generoso principe col maresciallo di Marsin a Mantova, dove il Vandomo gli rassegnò il bastone del comando, passò dipoi a riconoscere i varii siti e tutte le forze franzesi. Trovò egli con suo rammarico ben diversa la faccia delle cose da quello che gli era stato supposto, talmente che si vide forzato a richiamar dal Piemonte alquante brigate per premura di opporsi all'avanzamento dell'oste nemica, e intanto si andò a postare a San Benedetto sul Mantovano di qua dal Po. Ma il principe Eugenio, al cui cuore non permetteva posa alcuna il pericolo dell'assediato Torino, e l'urgente [198] bisogno del parente duca di Savoia, animosamente proseguiva il suo viaggio. Nel dì 17 di luglio passò il Po alla Polesella, e quasi che le sue truppe avessero l'ali, si videro nel dì 19 comparire sino al Finale di Modena alcuni suoi ussari e cavalli leggieri. Sul fine del mese valicò l'armata cesarea il Panaro e la Secchia a San Martino, e giunta sotto Carpi, costrinse cinquecento Franzesi a rendersi prigionieri, ed ivi prese riposo, finchè colà giungesse tutta la sua artiglieria. Nel dì 13 d'agosto entrò il principe Eugenio nella città di Reggio, con farvi prigione quel presidio franzese, e lasciar ivi tutti i suoi malati con sufficiente guernigione di sani. Altra gente lasciò egli all'Adige, Po, Panaro ed altri luoghi, per mantener la comunicazione con lo Stato veneto. Progrediva in questo mentre il memorabile assedio di Torino, e maraviglie di valore facevano tutto dì non meno gli aggressori che i difensori. Le artiglierie, le bombe, le mine giocavano continuamente da ambe le parti, e gran sangue costavano le sortite che di tanto in tanto si facevano ora dalla città ed ora dalla cittadella. Pure sollecitando il duca della Fogliada i lavori e le offese, si vide in fine spalancata un'ampia breccia nelle mura d'essa cittadella, ed aperto il varco agli ultimi tentativi dell'armi franzesi. Furono ben fatti nel di dentro non pochi argini e ripari; ma in fine conveniva confessare ridotta all'agonia quella forte piazza, perchè di troppo sminuito per le malattie e ferite il presidio, e consumate oramai quasi tutte le munizioni da guerra. Erano dunque riposte tutte le speranze nell'avvicinamento del soccorso cesareo, condotto dal principe Eugenio, e nel potersi sostenere tanto ch'egli giugnesse.
Ora mentre esso principe marciava coll'esercito suo di qua dal Po alla volta del Parmigiano e Piacentino, il duca di Orleans, dopo aver lasciato un corpo di truppe al tenente generale Medavì, affinchè si opponesse sul Bresciano ai disegni delle truppe assiane che calavano in Italia, valicò [199] a Guastalla il Po coll'esercito suo, e cominciò dall'altra parte di quel fiume a costeggiare i nemici, perchè non si sentiva voglia di affrontarsi con loro, se non avea sicuro il giuoco. Continuò l'armata cesarea i suoi passi senza mettersi apprensione delle angustie della Stradella, e di aver da passare per paese guernito di piazze nemiche. Era già sul fine di agosto, quando il duca di Savoia tutto pien di giubilo, e scortato da alcune centinaia di cavalli, giunse a consolar gli occhi suoi colla vista del tanto sospirato soccorso, e della presenza del principe Eugenio, con cui cominciò a divisare quanto occorreva nell'imminente bisogno. Ciò che recava loro non lieve affanno, era la mancanza dei viveri in paese sbrollo per sì lunga guerra e qualche scarsezza di munizione da guerra. Ma di questo si prese cura la fortuna, perchè nel dì 5 di settembre venne loro avviso che dalla valle di Susa calava un grosso convoglio di ottocento e forse più muli e bestie da soma, che conducevano al campo franzese polve da fuoco, farine, armi ed altre munizioni, sotto la scorta di cinquecento cavalli. Non è da chiedere se di buona voglia accorsero colà i Tedeschi. A riserva di ducento bestie che si salvarono colla fuga, il resto fu preso in un punto, e poco dopo anche il castello di Pianezza, in cui furono fatti prigioni da ducento Franzesi, fra' quali molti uffiziali, con trovarsi ivi anche altra copia di vettovaglie. Avendo poscia il duca di Savoia unite all'esercito cesareo quelle poche truppe regolate che gli restavano, e comandata l'occorrente copia di milizie forensi e di guastatori, fu determinato nel consiglio di avventurar la battaglia nel dì 17 di settembre. Intanto era giunto il duca di Orleans ad unirsi col duca della Fogliada sotto Torino. Tenuto fu un gran consiglio dai generali, per fissar la maniera di accogliere la visita dell'esercito imperiale. Il sentimento del duca generalissimo, sostenuto da più ragioni, e da non pochi uffiziali applaudito, era di abbandonar le trincee, e, uscendo in aperta campagna, [200] di far giornata campale co' nemici. Di diverso parere fu il maresciallo di Marsin, dato come per aio al duca d'Orleans insistendo egli che non si avesse in un momento a perdere il frutto di tante fatiche per ridurre agli estremi la cittadella di Torino; essere tanta la superiorità delle proprie forze, sì ben muniti e forti i trinceramenti, che il tentare i Tedeschi di superarli era un cercare l'inevitabil loro rovina. Ma persistendo il duca d'Orleans nel suo proponimento, diede fine il Marsin alla disputa con isfoderare un ordine della corte di non abbandonare le trincee: il che ebbe a far disperare il duca, che ad alta voce predisse l'esito infelice della sconsigliata risoluzione; ma convenne ubbidire.
Appena spuntò in cielo l'alba del dì 7 di settembre, che tutto il cesareo esercito con gran festa, impaziente di combattere, corse all'armi, e, secondo le disposizioni fatte, s'inviò in ordinanza, ma senza toccar tamburi o trombe verso i trinceramenti nemici formati fra la Dora e la Stura. Alti erano gli argini, profonde le fosse, guernite le linee tutte d'artiglieria e moschetteria, che con terribil fuoco e furor di palle cominciarono a salutare gli arditi aggressori. Ma a sì scortese ricevimento s'era preparato il coraggio tedesco. Per due ore continuò il sanguinoso combattimento, studiandosi gli uni di entrar nelle trincee, e gli altri di ripulsarli. Fu creduto che circa due mila imperiali vi perdessero la vita prima di poter superare que' forti ostacoli. Ma in fine li superarono, e data ne fu la gloria ai Prussiani condotti dal principe di Anhalt, che de' primi sboccarono nella circonvallazione nemica. Per la troppo lunga estension delle linee era distribuita, anzi dispersa la milizia de' Gallispani. Però non sì tosto vi penetrò il grosso corpo dei Prussiani, che si sparse il terrore e la costernazione per gli altri vicini postamenti. Fecero bensì vigorosa resistenza alcuni corpi di riserva, o pure riuniti, sì fanti che cavalli, ma in fine rimasero rovesciati dall'empito de' nemici; [201] e da che furono da' guastatori spianate molte di quelle barriere, il resto dell'esercito cesareo entrato potè menar le mani. Allora non pensarono più i Gallispani che a salvarsi; e chi potè fuggire, fuggì. Al duca d'Orleans toccarono alcune ferite, dalle quali fu obbligato a ritirarsi per farsi curare. Il maresciallo di Marsin gravemente ferito fu preso, ma nel dì seguente morì, risparmiando a sè stesso il dispiacere di comparire a Parigi colla testa bassa per iscusare l'infelicità dei suoi consigli. A udire le relazioni de' vincitori, più di quattro mila e cinquecento furono i Gallispani rimasti uccisi nel campo; più di sette mila i fatti prigioni, parte nel campo stesso, e parte alla Montagna e a Chieri, colla guernigion di Civasso, fra i quali almeno ducento uffiziali. A sì fatta lista si può ben far qualche detrazione. Certo è che vennero in mano del vittorioso duca Vittorio Amedeo più di cento cinquanta pezzi di cannone e circa sessanta mortai. Il doppio si legge nelle relazioni suddette. Oltre a ciò, un'immensa quantità di bombe, granate, palle, polveri da fuoco ed altri militari attrezzi, con forse due o più mila tra cavalli, muli e buoi. Gran bagaglio, molta argenteria e tutte le tende rimasero in preda dei soldati, e fu detto che fin la cassa di guerra entrasse nel ricco bottino. Non finì la giornata che il duca di Savoia col principe Eugenio fece la sua entrata in Torino fra i viva del suo festeggiante popolo, e a dirittura si portò alla cattedrale a tributare i suoi ringraziamenti all'Altissimo, dalla cui clemenza e protezione riconosceva sì memorabil vittoria. Il poco di polve che oramai restava al conte Daun per difesa di Torino servì a solennizzare quel Te Deum col rimbombo di tutte le artiglierie. E tale fu quella famosa giornata e vittoria, che tanto più riempiè di stupore l'Europa tutta, non che l'Italia, perchè non potea l'oste cesarea ascendere a più di trenta mila persone, e forse nè pur vi arrivava per li tanti malati lasciati indietro, e per [202] li tanti staccamenti rimasti nel Ferrarese, al Finale di Modena, a Carpi, Reggio ed altri luoghi, affine di assicurarsi la ritirata in caso di bisogno. Laddove nell'esercito Gallispano, secondo la comune credenza, si contavano circa cinquanta mila combattenti, se non che i Franzesi dopo sì gran percossa ne sminuirono di molto il numero; e veramente tenevano anche essi qua e là de' presidii, e già dicemmo che un corpo d'essi stato era spedito in rinforzo al conte di Medavì, di cui ora convien fare menzione.
Era calato in Italia Federico principe d'Hassia Cassel con cinque mila e secento soldati tra fanti e cavalli di sua nazione, e andò ad accoppiarsi con altri quattro mila fanti e secento cavalli cesarei comandali del generale Vetzel. Dopo aver egli espugnato Goito sul Mantovano, passò ad assediare Castiglion delle Stiviere, e, presa la terra, bersagliava il castello. Ma nel dì 19 di settembre colà giunse il tenente general franzese conte di Medavì con egual nerbo, e forse maggiore, di gente, e gli diede battaglia. Se ne andò sconfitto l'hassiano con perdita di più di due mila persone (i Franzesi dissero molto più), di alquante bandiere e stendardi, dell'artiglieria grossa e minuta, delle munizioni e bagaglio. Di questa vittoria avrebbe saputo prevalersi il Medavì, se non avesse atteso a liberar la terra di Castiglione, e non gli fosse giunto il funesto avviso della liberazion di Torino, due giorni prima accaduta. Corso egli colla sua gente a Milano; il principe di Hassia andò poscia ad unire il resto delle sue truppe col principe Eugenio, e il generale Vetzel colle sue venne a formare una specie di blocco alla città di Modena. Non bastò alla fortuna di mostrar sì favorevole il volto ai collegati in Italia colla vittoria di Torino; avvenne anche un'altra mirabil contingenza, che servì a coronare quella gran giornata. Se i Franzesi nella fuga avessero volte le gambe verso il Monferrato e Stato di Milano, tanti ne restavano tuttavia di [203] loro, tante piazze da loro dipendenti (giacchè comandavano agli Stati di Mantova e Modena, a tutto il Milanese e Monferrato, e quasi a tutto il Piemonte), che potevano lungamente contrastare ai cesarei il dominio di quegli stati, e forse anche ristringere il duca di Savoia e il principe Eugenio, sprovveduto di tutto, ne' contorni di Torino. Ma i fuggitivi Gallispani presero le strade che guidano in Francia; e sembrando loro di aver sempre alle reni le sciable tedesche, affrettarono i passi per valicar l'Alpi. Raccolti ch'ebbe il duca d'Orleans quanti potè de' suoi, tenuto fu consiglio se si avesse a marciare verso la Francia o verso Milano. Il passaggio alla volta del Milanese non parve sicuro, giacchè, oltre alla gran diserzione, si trovavano le truppe col timore in corpo per la patita disgrazia; più facile dunque il ricoverarsi nel Delfinato, dove già tanti di essi s'erano incamminati. Così fecero; laonde restò più libero il campo all'armi collegate per cogliere il frutto dell'insigne loro vittoria.
Non perdè tempo il duca Vittorio Amedeo col principe Eugenio dopo la presa di Civasso a ripigliare Ivrea, Trino Verrua, Crescentino, Asti, Vercelli ed altri luoghi del Piemonte. Entrate le lor truppe nello Stato di Milano, Novara nel dì 20 di settembre aprì loro le porte. Erasi ritirato da Milano a Pizzighittone, con poscia passare a Mantova il principe di Vaudemont governatore; e però i magistrati veggendo avvicinarsi alla suddetta metropoli di Milano il principe Eugenio, nel dì 24 di esso mese spedirono i loro deputati ad offerirgli le chiavi. Vi entrarono poscia gli imperiali; fu cantato solenne Te Deum, e posto il blocco a quel castello, fortissimo bensì di mura e bastioni, ma mal provveduto di viveri. Lodi, Vigevano, Cassano, Arona, Trezzo, Lecco, Soncino, Como ed altri luoghi vennero anch'essi all'ubbidienza di Carlo III re di Spagna. Sollevatosi il popolo dell'importante città di Pavia, al vedere aperta [204] la trincea dai Tedeschi sotto la lor città, obbligò quella guernigion gallispana a capitolar la resa nel principio d'ottobre. Fu dipoi posto l'assedio a Pizzighittone, a cui intervenne anche il duca di Savoia. Ma a lui premendo sopra ogni altra cosa l'acquisto d'Alessandria, perchè, secondo i patti, dovea questa passare in suo dominio col Monferrato, Mantovano, Valenza e Lomellina, colà inviò il principe Eugenio, e fece aprir la trincea sotto quella città. Non vi fu però bisogno di breccia; questa fu fatta ben larga da un magazzino di polve che era sulle mura della città, a cui o per accidente o per manifattura di uomini, fu attaccato il fuoco. Per sì orrendo scoppio andarono a terra moltissime case, e sopra tutto un convento vicino, o pur due, di religiose, e sotto le rovine rimasero seppellite circa mille persone. Perciò il general conte Colmenero si trovò forzato a rendere la città nel dì 21 d'ottobre. Perchè egli poi conseguì l'importante governo del castello di Milano sua vita natural durante, ebbe origine la fama ch'egli avesse comperato quel posto col sacrifizio della suddetta città d'Alessandria, cioè col detestabile incendio di quel magazzino. Poco prima erano entrati i cesarei nella città di Tortona; e ritiratosi quel presidio di ducento uomini nella cittadella, perchè si ostinò nella difesa, un giorno entrativi gli assedianti con un feroce assalto, li misero tutti a fil di spada. Nel dì 29 di ottobre la guernigion franzese di Pizzighittone capitolò la resa, e se ne andò a Cremona. Passarono dipoi il duca Vittorio Amedeo e il principe Eugenio, già dichiarato governator di Milano, sotto Casale di Monferrato. Venne la città, nel dì 16 di novembre, all'ubbidienza di esso duca, che ne prese per sè il possesso, e fu riconosciuto per signore del Monferrato da quella cittadinanza. Nella notte precedente al dì 20 di novembre i cesarei, che teneano bloccata la città di Modena, assistiti da alcune migliaia di contadini armati, entrarono in essa, acclamando [205] i nomi dell'imperadore e del duca Rinaldo d'Este; e tosto formarono il blocco di quella cittadella, siccome ancora di Mont'Alfonso e Sestola, due altre fortezze d'esso duca di Modena. Fu anche messo da' collegati l'assedio a Valenza. Qualche altro migliaio di Franzesi, nel perdere le suddette piazze, restò prigioniere degli Alemanni o del duca di Savoia. Circa mille e ottocento nel solo Casale vennero in loro potere. Oggetto di gran meraviglia fu presso gl'Italiani il mirar tanti effetti di una sola vittoria, e il rapido acquisto fatto in sì poco tempo da' collegati.
Non furono in quest'anno meno strepitose le scene della guerra in altri paesi. Uscirono di buon'ora in campagna l'elettor di Baviera e il maresciallo di Villeroy, già rimesso in libertà, coll'esercito franzese in Fiandra. Non dormiva il duca di Marboroug generale della lega in quelle parti; e poste anch'egli in ordine le sue forze, marciò contro i nemici, e si trovarono a fronte le due armate presso di Rameglì nel dì 25 di maggio, cioè nella domenica di Pentecoste. Mentre i collegati erano dietro a forzar quella terra, si attaccò una fiera battaglia che durò più di due ore. Finalmente, trovandosi i Franzesi inferiori nel numero della cavalleria, bisognò che cedessero all'empito della contraria, e andarono in rotta, inseguiti poi per due altre ore da' vincitori. Fu creduto che in quel terribile conflitto perdessero la vita quattro mila Franzesi, ed altrettanti fossero feriti colla perdita di molte artiglierie, bandiere e stendardi. Più di tre mila con ducento uffiziali rimasero prigionieri; ma forse il maggior loro danno provenne dalla smoderata diserzione, di modo che quell'armata restò per qualche tempo in una somma fiacchezza, e convenne rinforzarla con truppe tirate dall'Alsazia, ma senza che ella potesse da lì innanzi arrestare il torrente de' nemici. Anche questa vittoria si tirò dietro delle straordinarie conseguenze. Lovanio e Brusselles tardarono poco [206] a riconoscere per loro signore Carlo III re di Spagna. Altrettanto fecero Bruges, Dam e Odenard. Pareva che la ricca e nobil città d'Anversa non volesse il giogo, perchè presidiata da dodici battaglioni gallispani; ma quella cittadinanza e il comandante della cittadella, ben affetti al nome austriaco, tanto operarono, che nel dì 6 di giugno, avendo quel presidio ottenuto onorevoli patti, ne fece la consegna all'armi de' collegati. Fu posto l'assedio ad Ostenda, e in meno di otto giorni, cioè nel dì 6 di luglio, entrarono in possesso pel re Carlo III gli Anglolandi, siccome ancora fecero nel dì seguente in Neoporto, e poscia in Coutrai. La forza fu quella che fece piegare il collo a Menin, piazza, in cui si trovò gran resistenza. Dendermonda ed Ath vennero anch'esse alla loro ubbidienza, di modo che anche in quella parte ebbero un terribile scacco l'armi delle due corone. Nè fu pur loro più propizia la fortuna in Ispagna. Stava sul cuore del re Filippo V la perdita della riguardevol città di Barcellona, al cui esempio s'era ribellata quasi tutta la Catalogna e il regno di Valenza. Per ricuperarla non perdonò a spesa e diligenza alcuna; raunò un buon esercito di Spagnuoli; ebbe dal re Cristianissimo avolo suo un poderoso rinforzo di truppe, condotto dal duca di Noaglies. Ciò fatto, siccome principe generoso, volle in persona intervenire a quell'impresa, per maggiormente accalorarla. Si mosse da Madrid verso il fine di febbraio, e giunse sotto Barcellona, al cui assedio fu dato principio. Dentro vi era lo stesso re Carlo III, che, veggendo la città sfornita di soldatesche, ed aperte tutte le breccie dell'anno precedente, fu in forse se dovea ritirarsi. Tale nondimeno a lui parve l'asserzione e il coraggio di quel popolo, che determinò di non abbandonarlo. Mirabili cose fecero que' cittadini, sì uomini che donne, ed anche i religiosi claustrali, per preparar ripari, per difendersi sino all'ultimo fiato, ben consapevoli che colla perdita della città andavano a perdere [207] i tanti lor privilegii, e correano pericolo le loro stesse vite. Tutti i loro sforzi non poteano impedire la grandine delle bombe e i frequenti, anzi continui, tiri delle batterie nemiche: offese che rovesciarono gran copia di case, e già formavano considerabili breccie nelle mura. Di peggio vi fu, perchè riuscì agli assedianti d'insignorirsi dei due forti del Mongiovì, dove perirono quasi tutti quei pochi Inglesi ed Olandesi ch'erano ivi alla difesa. Si trovò allora agli estremi la città; e contuttochè i fedeli Catalani mai nè per le morti nè per le incredibili fatiche si avvilissero, pure fu dai più consigliato il re Carlo a sottrarsi alla rovina imminente con tentare la fuga per mare, benchè la flotta franzese tenesse bloccato quel porto. Ma più potè in lui l'amore conceputo verso i poveri cittadini che il proprio pericolo. S'egli si ritirava, la città tosto era perduta. Arrivò in fine, nel dì 8 di maggio, il sospirato soccorso della flotta anglolanda, che fece ritirar la franzese a Tolone, e sbarcò in Barcellona più di cinque mila combattenti, con inesplicabil gioia di quella cittadinanza. Sì poderoso aiuto, e il restare aperto il mare ad altri soccorsi, fecero risolvere il re Filippo V a sciogliere quell'assedio, e a ritirarsi non già per l'Aragona, ma pel Rossiglione in Francia. Accadde la levata del campo nella mattina del dì 12 di maggio, in cui seguì uno dei maggiori ecclissi del sole tre ore prima del mezzo giorno: avvenimento che notabilmente accrebbe il terrore nell'armata che si ritirava in gran fretta. Lasciarono gli Spagnuoli nel campo più di cento cannoni con ventisette mortari, cinque mila barili di polve, due mila bombe, con gran quantità di altri militari attrezzi, e di munizioni da bocca e da guerra. Furono poi nella marcia inseguiti, flagellati e svaligiati da una continua persecuzione de' Micheletti alla coda e ai fianchi. Passò il re Filippo per Perpignano e per la Navarra, e si restituì sollecitamente a Madrid.
Ma mentre sotto Barcellona si trovava [208] impegnato esso monarca, il milord Gallovay, che comandava le truppe inglesi nel Portogallo, benchè poco si accordasse il suo parere con quello dei generali portoghesi, pure tanto fece, che unitamente passarono sotto Alcantara, e la presero. Apertasi con ciò la strada fino a Madrid, colà dipoi s'incamminò il loro esercito, e pervenne al celebratissimo monistero dell'Escuriale. Non si credè sicuro allora in Madrid il re Filippo, e però, scortato con quattro mila cavalli e cinque mila fanti dal duca di Bervic, si ritirò altrove con tutta la corte. Nel dì 2 di luglio fu solennemente proclamato nella città di Madrid Carlo III per re di Spagna. S'egli sollecitava il suo viaggio a quella capitale, e se l'armata dei collegati avesse senza dimora inseguito il re Filippo, forse restavano in precipizio gli affari della real casa di Borbone in quelle parti. Ma il re Carlo, udita la sollevazione d'Aragona in suo favore, volle passar prima a Saragozza, per ricevere ivi gli omaggi di quei popoli. Intanto rinforzato il re Filippo dai soccorsi spediti dal re Cristianissimo, dopo aver fatto ritirar gli alleati inferiori di forze, rientrò nella scompigliata città di Madrid. Corse dei gravi pericoli il re Carlo, perchè abbandonato dai Portoghesi; pure ebbe la fortuna di scampare a Valenza, dove con gran plauso fu ricevuto da quel popolo. L'odio inveterato che passa fra i Castigliani e Portoghesi, e il maggiore che professavano i primi contro gli Anglolandi per la diversità della religione, sommamente giovarono al re Filippo, e nocquero all'emulo suo. Intanto anche Cartagena ed Alicante, per timor della flotta possente dei collegati, alzò la bandiera del re Carlo. In questa confusione restarono nel presente anno le cose della Spagna. In esso ancora ad una fiera calamità fu sottoposto l'Abbruzzo per un orribil tremuoto, che nel dì 3 di novembre interamente desolò una gran quantità di terre colla morte di assaissimi di quegli abitanti, e con recare gravissimi danni [209] eziandio a molte altre. Di tal disavventura partecipò anche la Calabria. Parea che in questi tempi un tal flagello fosse divenuto cosa familiare. Di gravi contribuzioni esigerono i Tedeschi nel verno dai principi d'Italia; e non esentarono da esse, e nè pur dai quartieri gli Stati di Parma e Piacenza, ancorchè protetti dalle bandiere di San Pietro. L'accordo fatto dal duca Francesco Farnese, nel dì 14 di dicembre, di pagare novanta mila doble agl'imperiali, fu dipoi riprovato dal sommo pontefice, che passò anche a fulminar censure contra di quei bravi esattori: il che maggiormente alterò la corte di Vienna contro la romana.
Anno di | Cristo MDCCVII. Indizione XV. |
Clemente XI papa 8. | |
Giuseppe imperadore 3. |
Per tutto il gennaio di quest'anno era durato il blocco della cittadella di Modena, quando giunsero artiglierie, colle quali fu risoluto di farle un più aspro trattamento. Erette le batterie, cominciarono, nel dì 31 di esso mese, a flagellare le mura, ed era già formata la breccia. Arrivò improvvisamente in questo tempo da Bologna lo stesso duca di Modena Rinaldo d'Este, che agevolò ai Franzesi con vantaggiose condizioni la resa della piazza. Nel dì 7 di febbraio se ne andò quella guernigione con tutti gli onori; e giacchè anche Mont'Alfonso capitolò nel dì 25 di esso mese, e Sestola nel dì 4 di marzo, rientrò il duca in possesso di tutti i suoi Stati. Continuò ancora per questo verno il blocco del castello di Milano, il cui comandante, perchè le tavole degli uffiziali scarseggiavano di viveri, obbligò quella città colle minaccie dei cannoni a somministrarne. Non si può dire quanto restasse dipoi sorpresa la pubblica curiosità, allorchè si propalò un accordo stipulato in Milano nel dì 13 di marzo fra i ministri dell'imperador Giuseppe e del re Carlo III suo fratello, e quei del re Cristianissimo Luigi XIV, [210] per cui fu convenuto che i Franzesi evacuerebbono tutta la Lombardia. Ritenevano essi tuttavia il castello di Milano, Cremona, Mantova, la Mirandola, Sabbioneta, Valenza e il Finale di Spagna; di tutto fecero cessione agli Austriaci fratelli: risoluzione che parve strana alle picciole teste d'alcuni, ma che molto ben convenne alla saviezza del gabinetto di Francia. È incredibile la spesa che facea il re Cristianissimo per mantenere la guerra in Italia; senza paragone più gli sarebbe costato questo impegno, da che le vittoriose armi cesaree e savoiarde gli aveano o serrati o troppo difficultati i passi in Italia. Troppe città e piazze si erano perdute. Contuttochè il conte di Medavì conservasse ancora nel Mantovano circa dodicimila soldati, pure un nulla era questo al bisogno. Alla Francia sopra tutto premeva di ricuperar le truppe esistenti in Lombardia, e le migliaia ancora di quelle che erano restate prigioniere: punto che le fu accordato con tutti i comodi ed onori militari, affinchè potessero tali milizie passar sicure in Francia. Sicchè la real casa di Borbone, poco anzi padrona dei ducati di Milano, di Modena, di Mantova, Guastalla, del Monferrato, del Finale, di varii luoghi nella Lunigiana, e della maggior parte del Piemonte, eccola di repente spogliata di tutto, prendere la legge dalla fortuna, e da chi poc'anzi non avea nè pure un palmo di terreno in Italia. Per sostenere la sola guerra d'Italia, che poi nulla fruttò, impiegò il re Cristianissimo più di settanta milioni di luigi d'oro. Parrà cosa incredibile, ma io la tengo da chi dicea di saperla da buon luogo. Restarono dunque in man dei Franzesi solamente la Savoia, Nizza e Villafranca, e la lor gran potenza fu astretta a consegnar la città di Mantova col suo ducato, e insieme la Mirandola all'armi di Cesare, lasciando i duchi di quelle città pentiti, ma tardi, d'aver voluto senza necessità sposare il loro partito. All'incontro il generoso e insieme fortunato Vittorio Amedeo duca di Savoia, dopo essersi [211] trovato in sì pericoloso giuoco alla vigilia di perdere in una giornata anche la sua capitale, quasi unica tavola del suo naufragio; all'improvviso ricuperò tutti i suoi stati di Lombardia, e inoltre dall'Augusto Giuseppe ricevette l'investitura di Casale col Monferrato Mantovano, e di Alessandria, Valenza, Lomellina, Valsesia e varii feudi delle Langhe, con glorioso accrescimento alla real sua casa. Abbandonarono i Franzesi l'Italia, ma ci lasciarono una funesta eredità dei loro insegnamenti ed esempli, perchè s'introdusse una gran libertà di commercio fra l'uno e l'altro sesso; e l'amore del giuoco anche nel sesso femmineo si aumentò, e si diè bando ai riguardi e rigori dell'età passata.
Essendosi gagliardamente invigorito di truppe il duca di Savoia, si pensò quale impresa si avesse da eleggere per far guerra alla Francia in casa sua, giacchè la Francia più non pensava a farla a casa altrui nelle parti d'Italia. Volevano il duca Vittorio Amedeo e il principe Eugenio che si portassero l'armi contro il Delfinato e Lionese, siccome più pratici dei paesi; ma d'uopo fu che si accomodassero alla risoluta volontà degl'Inglesi, ai quali sembrava più utile ed anche facile l'acquisto di Tolone, porto di tanta importanza nella Provenza, perchè sarebbe l'assedio di esso secondato dalla flotta anglolanda. Sapevano i principi di Savoia quanto male in altre occasioni precedenti fossero riusciti i conti e i tentativi dell'armi cesaree e savoiarde in quelle parti; pure loro malgrado consentirono a sì fatta spedizione. Incredibili fatiche, stenti e spese costò il condurre l'esercito per l'aspre montagne di Tenda, e per le vicinanze di Nizza e Villafranca occupate da' Franzesi. Si scarseggiava dappertutto di viveri e di foraggi; pure, ad onta dei tanti disagi, per li quali mancò nel cammino molta gente, pervenne l'oste collegata per Cagnes, Frejus, Arce e Sauliers in vicinanza di Tolone nel dì 26 di luglio. Ma due giorni prima il vigilante maresciallo di Tessè con [212] marcie sforzate correndo, avea introdotto in quella città piuttosto un esercito che una guernigione, e s'era affaccendato in formare ripari e fortificazioni a tutti i siti. Sicchè fu ben dato principio alle offese contra Tolone, ma con poca o niuna speranza di buon esito; tanta era la copia dei difensori. S'impadronirono bensì gli alleati di due forti, spinsero bombe nella piazza; ma chiariti che si gittava la polve e il tempo; che ogni dì più s'ingrossava l'esercito del Tessè; che veniva gente fino di Spagna; che i duchi di Borgogna e Berrì erano in moto per venire alla testa delle lor milizie; e che la flotta anglolanda più avea da combattere coi venti che colla terra; finalmente fu preso il partito di sloggiare e di tornarsene in Italia. Con buon ordine fu eseguita la ritirata nella notte precedente al dì 22 di agosto; e passato felicemente il Varo, si restituì l'armata alleata in Italia, minore di quel ch'era prima, perchè di trentasei mila combattenti appena la metà si salvò. Ora qui si aprì il campo alle dicerie dei politici, che sognarono misteri segreti nel duca di Savoia, senza far mente alle vere cagioni dell'infelice riuscita di quella impresa. Giunti in Piemonte i collegati, poco stettero in ozio. Restava tuttavia in man de' Franzesi la città di Susa, corteggiata da alcuni forti, alzati da essi sulle alture dei monti che attorniano quella valle. S'impadronirono essi collegati, nel dì 22 di settembre, della città, e nel dì 4 di ottobre anche della cittadella, con farne prigioniere il presidio. Presero anche di assalto il forte di Catinat, restando parte di quella guernigione tagliata a pezzi. Con queste imprese terminò la campagna in Piemonte.
Comune opinione fu che l'infelice spedizione dell'armi collegate in Provenza producesse almen questo vantaggio; che la Francia impegnata alla propria difesa non inviasse soccorso al regno di Napoli, minacciato dall'imperador Giuseppe. A tale acquisto ardentemente pensava la corte di Vienna, animata spezialmente da [213] segrete relazioni che i popoli di quel regno, oltre al concetto di essere amanti di nuovo governo, a braccia aperte aspettavano chi venisse a ristabilir ivi il dominio austriaco, con iscacciarne la real casa di Borbone. Non l'intendevano così gli Anglolandi per altri loro riflessi; ma Cesare stette forte nel suo proponimento, considerando, fra le altre cose, che parte della sua cavalleria resterebbe oziosa in Piemonte, siccome avvenne, per non potere esporsi a troppi patimenti nell'aspro passaggio verso la Provenza. Fu dunque scelto per condottiere d'una picciola armata, consistente in cinque mila fanti e tre o forse più mila cavalli (benchè la fama ne accrescesse molto più la dose) il valoroso conte Daun per marciare alla volta di Napoli; giacchè si giudicavano bastanti così poche forze a conquistare un regno dove mancavano difensori, le fortezze erano sprovvedute, e l'amore dei popoli serviva di sicurezza per un esito favorevole. Nel dì 12 di maggio si mise in marcia questo distaccamento, passando per Romagna e per la Marca; ad Ancona ricevette un treno di artiglieria, e verso la metà di giugno per Tivoli e Palestrina nel dì 24 pervenne ai contini del regno. Avea per tempo il duca di Ascalona vicerè fatti quei preparamenti che a lui furono possibili per opporsi a questo temporale. Poche truppe regolate si trovavano al suo comando; ne arruolò molte di nuove; diede l'armi al popolo di Napoli, mostrando confidenza in esso; ma in fine modo non appariva di uscire in campagna, e d'impedire l'ingresso ai nemici nel regno. Contuttociò don Tommaso d'Aquino principe di Castiglione, don Niccola Pignatelli duca di Bisaccia, ed altri uffiziali con alcune migliaia di armati si postarono al Garigliano; ma, al comparire degli Alemanni, considerando meglio essi che nulla si poteano promettere da gente collettizia, si ritirarono a Napoli. Perciò senza colpo di spada vennero in poter dei Tedeschi Capoa ed Aversa; e l'esercito, senza trovare ostacolo [214] alcuno, si presentò, nel dì 7 di luglio alla città di Napoli, essendosi ritirato il duca di Ascalona a Gaeta.
Portate dai deputati le chiavi di essa metropoli al conte di Martinitz dichiarato vicerè, entrò egli colla fanteria nella città fra le incessanti acclamazioni del popolo la cui sfrenata allegrezza passò fino a mettere in pezzi la bella statua equestre di bronzo eretta al re Filippo V, e a gittarla in mare. Da li a pochi giorni i tre castelli di Napoli si arrenderono; la guernigion di Castelnuovo prese partito fra gli Austriaci. Con gran solennità fu poi preso possesso di quella gran città a nome del re Carlo III. Ritiratosi il principe di Castiglione verso la Puglia con circa mille cavalli, trovò in quel di Avellino barricate le strade. Rivoltosi a Salerno, ed inseguito dalla cavalleria cesarea, quivi fu preso, e la sua squadra parte si sbandò, parte restò prigioniera. L'esempio di Napoli si tirò dietro il resto delle città e provincie di quel regno, a riserva dell'Abbruzzo, che fece qualche resistenza, a cagione del duca d'Atri; ma speditovi il generale Vetzel con truppe, ubbidì ancora quella contrada, se non che il presidio di Pescara si tenne saldo fino ai primi dì di settembre. La sola città di Gaeta, dove con circa tre mila soldati si era rifugiato ed afforzato il duca d'Ascalona, sembrava disposta a fare una più lunga e vigorosa difesa, giacchè era anch'essa assistita per mare dalle galee del duca di Tursi. Sotto d'essa andò ad accamparsi il conte Daun, e disposte le batterie, queste arrivarono in fine a formare una ben larga breccia nelle mura, di modo che nel dì 30 di settembre fu risoluto di salire per essa. Ossia che l'Ascalona poco si intendesse del mestier della guerra, o che troppo confidasse nella più che mediocre bravura de' suoi guerrieri, e in un argine di ritirata alzato dietro la breccia, si lasciò sconsigliatamente venire addosso il torrente. Montarono i cesarei intrepidamente la breccia, e quando si credeano di aver fatto assai con prender ivi posto, [215] avvedutisi del disordine dei difensori, seguitarono innanzi, e furiosi entrarono nell'infelice città. Andò essa tutta a sacco con tutte le conseguenze di somiglianti spettacoli, essendo solamente restate esenti dal furor militare le chiese e i conventi. Fu creduto ascendere il bottino a più di un milione di ducati. Gran macello fu fatto di presidiari. Il mal accorto duca d'Ascalona, cagione di tanta sciagura, covava sempre la speranza del suo scampo nelle suddette galee; ma per disavventura erano esse quel dì ite a caricar vettovaglie, e però gli convenne ritirarsi colla gente, che potè sottrar alle sciable tedesche, nel castello. Fu poi obbligato di rendersi a discrezione insieme col duca di Bisaccia e col principe di Cellamare, che pubblicamente furono condotti prigionieri fra gli improperii del popolo, minacciante all'Ascalona come cosa degna di lui, la forca, pel sangue dei Napoletani da lui sparso in occasion della congiura, già maneggiata e malamente eseguita contra del re Filippo V. Fu poi richiamato in Germania il conte di Martinitz, e il governo di Napoli restò al conte Daun.
Di questo felice passo proseguivano in Italia gli affari del re Carlo III, mentre in Ispagna andavano a precipizio. L'arrivo di poderosi rinforzi mandati dai Franzesi, e de' ricchi galeoni venuti dall'America, prestarono al re Filippo il comodo di unire una buona armata, e di spedirla contro l'emulo Carlo III. Era dall'altra parte uscito in campagna milord Gallovai colle truppe anglolande e catalane; e quantunque caldamente fosse stato consigliato dal conte di Peterboroug e da altri ufficiali di tenersi unicamente sulla difesa, pure, sedotto dai contrarii impetuosi consigli del generale Stenop, ardentemente bramava di venir ad un fatto d'armi, lusingandosi che nulla potesse resistere al valore de' suoi. Si trovarono in vicinanza le due nemiche armate nel dì 22 d'aprile, non lungi dalla città d'Almanza nel regno di Valenza. Voleva il duca di Bervich, generale del re [216] Filippo, differir le operazioni, finchè il duca d'Orleans, spedito da Parigi a Madrid con titolo di generalissimo, arrivasse al campo, per lasciare a lui l'onore della sperata vittoria; ma non gli diede il Gallovai tanto di tempo, perchè nel dì 25 d'esso aprile andò ad attaccare la zuffa. Non erano forse disuguali nel numero le schiere de' contendenti; pure l'armata de' collegati si trovava inferiore di cavalleria, e le truppe portoghesi non sapeano che brutto giuoco fossero le battaglie. Si combattè con gran vigore da ambe le parti, e gl'Inglesi fecero maraviglie, sostenendo per grande spazio di tempo il peso del conflitto; ma in fine sbaragliati cederono il campo ai vincitori Gallispani. Si calcolò che degli alleati restassero ben cinque mila estinti, oltre ad una copiosa quantità di feriti, e che i rimasti prigionieri ascendessero al numero di quattro mila. Gran sangue ancora costò ai Gallispani questa felice giornata, perchè v'ebbero da quattro mila tra morti e feriti. Ma in mano loro venne tutta l'artiglieria nemica e il minuto bagaglio con assai bandiere e stendardi. Lamentaronsi forte gl'Inglesi della vana spedizione fatta da' cesarei e Piemontesi in Provenza; perchè se le truppe inutilmente consumate in quella impresa fossero state spedite in Ispagna, come essi ne facevano istanza, si lusingavano di stabilir ivi senza dubbio il trono del re Carlo.
Gran tracollo diede questa sconfitta alla fortuna d'esso re Carlo. Imperocchè, giunto al campo il duca d'Orleans, non perdè tempo a ricuperare Valenza ed altri luoghi di quel regno, che provarono il gastigo della loro affezione al nome austriaco. Lasciato poi il corpo maggior dell'armata al duca di Bervich e al general Asfeld, affinchè seguitassero le conquiste nel Valenziano e Murcia, egli con otto o dieci mila combattenti marciò alla volta dell'Aragona, e trovati que' popoli atterriti per la rotta d'Almanza, facilmente li ridusse all'ubbidienza del re [217] Filippo V, da cui furono poi privati di tutti i privilegii, spogliati d'armi, e severamente puniti in altre guise. A tante contentezze della corte di Madrid si aggiunse, nel dì 25 d'agosto, l'aver la regina Maria Gabriella di Savoia dato alla luce un figlio maschio, a cui fu posto il nome di Luigi, e dato il titolo di principe d'Asturias. Fu poi nell'autunno costretta dal duca d'Orleans l'importante città di Lerida con un vigoroso assedio a rendersi. Fermossi in quest'anno il re Carlo III in Barcellona, per animare i suoi Catalani nelle disgrazie, mangiando intanto il pane del dolore; perciocchè, oltre al non venirgli alcun nuovo soccorso nè dalle potenze marittime, nè dall'Italia, da ogni parte fioccavano famiglie nobili di Valenza ed Aragona sue parziali, che a lui si rifugiavano, cercando di che vivere. In Fiandra e al Reno continuò anche nell'anno presente la guerra, ma senza che succedessero fatti od imprese, delle quali importi al lettore che io l'informi.
Anno di | Cristo MDCCVIII. Indizione I. |
Clemente XI papa 9. | |
Giuseppe imperadore 4. |
Attese in quest'anno il conte Daun vicerè di Napoli a rimettere sotto il dominio del re Carlo III le piazze spettanti alla Spagna nelle maremme di Siena. Spedito colà un corpo di truppe, il generale Vetzel non ebbe a spendere gran tempo e fatica per ridurre alla resa Santo Stefano ed Orbitello, fortezza pel sito assai riguardevole. Da lì a non molto venne ai suoi voleri anche la città di Piombino col suo castello. Ma in Porto Ercole e Portolongone si trovarono difensori risoluti di custodire in quei porti la signoria di Filippo V. Convenne dunque trasportar colà da Napoli artiglierie e munizioni per adoperare la forza. Ma verso il principio di novembre il comandante di Porto Longone, sbarcata gente ad Orbitello, col nembo di molte [218] bombe fece provare il suo sdegno a quella piazza. Era già stata destinata in moglie al re Carlo III la principessa Elisabetta Cristina di Brunsvich della linea di Wolfembutel, che a questo fine abbracciò la religione cattolica. Si mosse di Germania nella primavera del presente anno questa graziosissima principessa, dichiarata regina di Spagna, e calò in Italia. Suo condottiere era il principe di Lorena vescovo di Osnabruch. Magnifico ricevimento le fece per li suoi Stati la veneta repubblica. Nel dì 26 di maggio furono ad inchinarla in Desenzano Rinaldo d'Este duca di Modena, e il principe don Giovanni Gastone, spedito dal gran duca Cosimo de Medici suo padre, e poscia in Brescia Francesco Farnese duca di Parma. Passata essa regina a Milano, ed ivi accolta con gran pompa e solennità, fu poi a visitar le deliziose isole Borromee, e nel dì 7 di luglio s'inviò a San Pier d'Arena, dove imbarcata nella flotta inglese nel dì 15 sciolse le vele verso Barcellona. Dappoichè la memorabil vittoria degl'imperiali sotto Torino sconvolse tutte le misure de' Franzesi per conto dell'Italia, destramente sul principio del precedente anno aveano essi consigliato Ferdinando Carlo Gonzaga duca di Mantova di passare per sua maggior sicurezza a Venezia. Elesse più tosto la duchessa sua moglie di ritirarsi in Francia, che di seguitarlo, e portatasi a Parigi, quivi, nel dì 19 di dicembre del 1710, mancata di vita, liberò quella corte dall'obbligo di pagarle un'annua convenevol pensione. Portò seco il duca a Venezia un'incredibile afflizione, che crebbe poi a dismisura all'udire caduta in mano dell'imperadore la sua capitale, e al trovarsi spogliato di tutti i suoi Stati. Nè a mitigar questa piaga serviva punto la promessa del re Cristianissimo di pagargli ogni anno quattro cento mila franchi, e di rimetterlo in casa alla pace. Il laceravano continuamente i rimorsi delle sue sconsigliate risoluzioni, e la notizia di non esser compatito da alcuno; laonde cominciò a patire oppressioni [219] di cuore, con pericolo di soffocarsi, allorchè si metteva a giacere. Ora in Venezia ed ora a Padova cercando rimedii ai mali non men del corpo che dell'animo, si ridusse in fine agli estremi. Stava la corte di Vienna con l'occhio aperto al di lui vacillante stato, e prima ch'egli prendesse congedo dal mondo fulminò contra di lui una fiera sentenza, dichiarando lui reo di fellonia, e decaduti i suoi Stati al fisco cesareo. L'ultimo dì della vita di questo infelice principe fu il dì 5 di luglio dell'anno presente in Padova; e corse tosto fama che il veleno gli avesse abbreviati i giorni, quasichè in tanti disordini della sua vita licenziosa in addietro e i succeduti crepacuori non avessero assai possanza per condurlo al sepolcro in età di cinquantasette anni. Non lasciò dopo di sè prole legittima; e quantunque Vincenzo Gonzaga duca di Guastalla facesse più e più istanze e ricorsi per succedere nel ducato di Mantova, siccome chiamato nelle investiture, ed anche per patti confermati dal fu Augusto Leopoldo, nè allora nè di poi potè conseguire il suo intento. Solamente gli venne fatto di riportare il possesso e dominio del principato di Bozzolo, di Sabbioneta, Ostiano e Pomponesco. Avrebbe dovuto il popolo di Mantova compiagnere tanta mutazione di cose, e la perdita de' proprii principi, che seco portava la dolorosa pensione di divenir provincia, con altre assai gravi conseguenze, che non importa riferire. E tanto più perchè l'estinto duca trattava amorevolmente e con discreti tributi i sudditi suoi, e teneva in feste quella allor ben popolata città. Contuttociò la sfrenata libidine sua, per cui non era in sicuro l'onor delle donne, e massimamente delle nobili; e i tanti sgherri ch'egli manteneva per far delle vendette, spezialmente se gli saltavano in capo ghiribizzi di gelosie, tale impressione lasciarono, non dirò in tutti, ma nella miglior parte del popolo, che o non deplorarono, o giudicarono anche fortuna ciò che gli altri Stati han considerato, [220] e tuttavia considerano, per una delle loro maggiori sventure. E quivi si provò che un solo principe cattivo fece perdere, per così dire, la memoria e il desiderio di tanti illustri e saggi suoi predecessori, che aveano in alto grado nobilitata, arricchita e renduta celebre dappertutto la città di Mantova. Cento si richieggono ad edificare, un solo basta a distruggere tutto.
Non poche differenze ancora insorsero fra la corte imperiale e Vittorio Amedeo duca di Savoia a cagione del Vigevanasco, già promesso a questo principe nei precedenti patti, ma senza che il consiglio aulico di Vienna sapesse mai condiscendere a questa cessione. Indarno si mossero Inglesi e Olandesi a sostenere le di lui ragioni, vieppiù perchè il duca si mostrava renitente ad uscire in campagna, se non era soddisfatto. Tante belle parole nondimeno e promesse furono spese in tale occasione, che il duca nel mese di luglio si mosse coll'armi sue e collegate. Il conte di Daun fu richiamato da Napoli al comando delle truppe cesaree in Piemonte, e in suo luogo con titolo di vicerè passò il cardinal Vincenzo Grimani Veneto a quel governo, e ne prese il possesso nel dì 4 di luglio. Parevano risoluti gli alleati di penetrare colle lor forze nel Delfinato, dove il maresciallo di Villars, benchè inferiore di gente, avea prese le possibili precauzioni per la difesa. Ma le mire del duca di Savoia erano di torre ai Franzesi quelle fortezze che aprivano loro il passaggio verso l'Italia. Perciò, dopo essersi avanzata l'armata collegata per quelle aspre montagne, cioè per la Morienna, per la Tarantasia, per la valle d'Aosta e pel Monsenisio, minacciando la Savoia, all'improvviso sul principio di agosto, voltato cammino e faccia, tagliò ai Franzesi l'ulterior comunicazione coi forti della Perosa, di Exiles e delle Fenestrelle. Fu nel medesimo tempo impreso l'assedio dei due primi, ed ambedue nei dì 11 e 12 d'agosto esposero bandiera bianca, restando prigioniere quelle guernigioni. Di là si passò [221] a strignere le Fenestrelle, fortezza di maggior nerbo, ma che bersagliata fieramente dalle nemiche batterie, nel dì 21 del mese suddetto capitolò la resa, con restare ivi ancora prigioniere di guerra il presidio. Ciò fatto, si ritirò quell'armata a Pinerolo, e con tali imprese ebbe fine in esse parti la campagna, non essendosi fatto altro tentativo, sì perchè, cadendo di buona ora le nevi in quei monti, impediscono i passi alle operazioni militari, e sì perchè l'armi cesaree erano richiamate in Italia per un'altra scena, a cui s'era dato principio.
Ancorchè nelle presenti scabrose contingenze con somma prudenza e da padre comune si fosse governato il pontefice Clemente XI, senza prendere impegno alcuno fra le potenze guerreggianti; pure provò quanto sia difficile il soddisfare a tutti, e il conservare il credito e vantaggio della neutralità in mezzo a due contrarii fuochi. Dichiarossi infatti malsoddisfatta di lui la corte di Vienna, sì per l'affare di Figheruolo, come dicemmo all'anno 1704, e sì per le scomuniche fulminate dal santo padre nel dì primo di agosto del precedente anno contro i ministri cesarei a cagion delle contribuzioni esatte dal ducato di Parma e Piacenza, come ancora varii altri atti di questo pontefice, geloso mantenitore dell'immunità ecclesiastica. Ora da che l'imperadore Giuseppe si vide forte in Italia per l'espulsione dell'armi delle due corone, non tardò a far provare i suoi risentimenti alla corte di Roma, ordinando che non passassero a Roma le rendite dei beni ecclesiastici del regno di Napoli, e risvegliando le pretensioni già mosse dall'Augusto suo padre, per li feudi e Stati imperiali dell'Italia. Uno di questi pretendeva il consiglio aulico che fosse la città di Comacchio, posta sull'Adriatico fra Ravenna e Ferrara, colle sue ricche valli pescareccie, siccome quella che la casa d'Este fin dall'anno 1354 riconosceva dal sacro romano imperio per investiture continuate fino al regnante duca di Modena Rinaldo [222] d'Este; e che quantunque non compresa nel ducato di Ferrara, pure fu occupata dal papa Clemente VIII nel 1598, ed era tuttavia detenuta dalla camera apostolica, non ostante i reclami fatti più volte dai principi estensi. Similmente eccitò le pretensioni cesaree sopra Parma e Piacenza, ancorchè per due secoli la Sede apostolica ne fosse in possesso, e ne desse pubblicamente le investiture alla casa Farnese. Adunque verso la metà di maggio si fece massa di milizie imperiali sul Ferrarese, e senza far novità contro la città stessa di Ferrara, passò nel dì 24 di esso mese un corpo di Tedeschi ad impossessarsi della città di Comacchio. Venne anche ordine da Vienna e da Barcellona al senato di Milano d'intimare al duca di Parma di prendere fra quindici giorni la investitura di Parma e Piacenza come feudi imperiali e dipendenze dello Stato di Milano.
Da tali novità commosso il sommo pontefice, giudicò debito suo di mettersi in istato di ripulsar colla forza gli attentati degli Alemanni, e a sì fatta risoluzione lo animarono spezialmente i ministri di Francia e Spagna, impiegando larghe promesse di soccorsi, che poi non si videro mai comparire. Però avuto ricorso al tesoro di castello Sant'Angelo, e trovate altre maniere di accumular pecunia, si fece in Roma e per gli Stati della Chiesa un armamento di circa venti mila soldati, dei quali fu dato il comando a Ferdinando Marsili Bolognese, generale dell'imperadore, e famoso ancora per la sua singolar letteratura. Passarono queste truppe a guernir i posti del Ferrarese, Bolognese e Romagna, e seguirono anche ostilità nelle ville confinanti a Comacchio. Il duca di Modena Rinaldo per sua precauzione fece anch'egli di molta gente. Ora intenzione della corte cesarea non era già di far guerra al papa, ma solamente di tirarlo a qualche convenevole aggiustamento; pure, vedendo sì grande apparato d'armi, ordinò al conte Wirico di Daun, suo primario generale in Italia, [223] di cercare colle brusche ciò che i suoi ministri in Roma non poteano ottener col maneggio. Calati dunque varii reggimenti verso il Ferrarese, il suddetto generale Daun, nel dì 27 d'ottobre, marciò contro Bondeno, e vi fece prigionieri più di mille soldati pontifizii, liberò dal blocco Comacchio, e s'impadronì di Cento. Appresso andò quasi tutto il resto dell'armata imperiale a prendere quartieri di verno sul Ferrarese e Bolognese, e formò una specie di blocco alla stessa città di Ferrara e a Forte Urbano. Inoltrossi ancora ad Imola e Faenza, da dove sloggiarono presto le milizie pontificie, che aveano dianzi determinato di far quivi piazza d'armi. Intanto anche le penne cominciarono la guerra, avendo la corte romana pubblicate le ragioni del suo dominio in Comacchio, alle quali contrappose tosto altre scritture il duca di Modena, che istruirono il pubblico del diritto imperiale ed estense sopra quella città. Oltre a questi sì strepitosi sconcerti, provò papa Clemente XI nel presente anno molti affanni e cure a cagion de' riti cinesi, da che intese che monsignore di Tournon da lui inviato per visitatore alla stessa Cina, ed ultimamente creato cardinale, avea incontrato delle gravissime traversie nell'esecuzione dell'apostolico suo ministero.
Nel maggio di quest'anno fece il re Cristianissimo Luigi XIV la spedizione del giovine cattolico re della Gran Bretagna Giacomo III verso la Scozia con poderosa flotta, per suscitare in quelle parti qualche incendio. Ma sì opportune e gagliarde furono le precauzioni prese dalla corte di Londra e dagli Olandesi, che lo sventurato principe fu astretto a ritornarsene a Dunquerque, contento di avere scampato il grave pericolo, a cui fu esposta insieme colla flotta la sua real persona. Con grandi forze entrarono dipoi i Franzesi in campagna nell'anno presente, giacchè i lor desiderii e trattati di pace coi ministri delle potenze collegate s'erano sciolti in fumo, ed improvvisamente [224] si fecero padroni di Gante e di Bruges. Al comando di quell'armata passò lo stesso duca di Borgogna colla direzione del valoroso duca di Vandomo; ed erasi già accampata l'oste loro presso Odenard, dove si trovò il comandante ben risoluto alla difesa. Allora fu che gli insigni due generali dell'esercito alleato, cioè il principe Eugenio di Savoia, e milord duca di Marlboroug, s'affrettarono di venire alle mani co' Franzesi. Nel dì 11 di luglio attaccarono essi la battaglia con tal maestria e vigore, che ne riportarono vittoria. La notte sopraggiunta favorì non poco la fuga o ritirata dei Franzesi. Contuttociò, se si ha da credere alla relazion de' vincitori, d'essi Franzesi restarono sul campo quattro mila estinti, laddove, secondo il conto dei vinti, nè pur giunsero a due mila. S'accordarono bensì le notizie in dire che rimasero prigionieri sette mila di essi, fra' quali cinquecento uffiziali. Si portò dipoi il principe Eugenio all'assedio dell'importante città di Lilla, fortificata al maggior segno dal famoso ingegnere Vauban. Costò gran sangue l'espugnazion di sì gran fortezza, difesa con sommo valore dal maresciallo di Bouflers; e secondo lo scandaglio degl'intendenti vi perirono degli offensori circa diciotto mila persone, senza parlar dei feriti. Nel dì 22 d'ottobre la città si rendè; nel dì 9 di dicembre la cittadella. In questo mentre, per fare una diversione, Massimiliano duca di Baviera mise l'assedio a Brusselles; ma accorsi i due generali de' collegati, il fecero precipitosamente ritirar di là; dopo di che ricuperarono Gante e Bruges, coronando con sì gloriose imprese la presente campagna.
Nella Spagna non furono men considerabili gli avvenimenti di guerra. Arrivò a Barcellona spedito dall'Italia il saggio maresciallo conte Guido di Staremberg al comando dell'armata del re Carlo III in Catalogna; ma colà ben tardi andarono capitando i rinforzi di gente italiana e palatina inviati per mare. Di questa lentezza non lasciò di profittare il vigilante [225] duca d'Orleans generalissimo dell'armi delle due corone. Verso il dì 21 di giugno mise l'assedio a Tortosa, e la costrinse alla resa. Anche nel Valenziano i porti di Denia e d'Alicante ritornarono per forza all'ubbidienza del re Filippo V. Ma queste perdite furono compensate da altri acquisti. Imperciocchè, avendo la flotta inglese sbarcato nell'isola di Sardegna verso la metà d'agosto un grosso corpo di milizie austriache, trovò quei popoli portati dall'antica affezione verso la casa d'Austria, che non solo niuna resistenza fecero, ma con festa inalberarono tosto le bandiere del re Carlo III. Il vicerè spagnuolo non tardò a capitolar la resa di Cagliari, con ottener tutto quanto desiderò di onori militari. Amoreggiavano da gran tempo anche gl'Inglesi l'isola di Minorica, per brama di mettere il piede in Maone, porto dei più riguardevoli e sicuri del Mediterraneo, e di quivi fondare una buona scala al loro commercio. Nel dì 14 di settembre il generale inglese Stenop sbarcò in quell'isola più di due mila combattenti, e gli abitanti corsero a soggettarsi. Nel dì 26 marciò contro il castello e porto di Maone, e fra due giorni se ne impossessò: perdita che sommamente increbbe al re Filippo per l'importanza di quel porto, caduto in mano di chi sel terrebbe caro. Come il Garzoni storico sì accurato metta nel libro XIII la presa di Minorica nell'anno 1707, se non anche nel precedente, non l'ho saputo intendere. Intanto nel dì primo d'agosto fece il suo solenne ingresso in Barcellona la novella sposa del re Carlo III con gran tripudio e festa dei Catalani.
Anno di | Cristo MDCCIX. Indizione II. |
Clemente XI papa 10. | |
Giuseppe imperadore 5. |
Il verno di quest'anno fu dei più rigorosi che si sieno mai provati in Italia, perchè gelò il Po con altri fiumi, e colle carra si passava francamente per l'alveo [226] suo fortemente agghiacciato. Fin la lacuna di Venezia si congelò tutta, con grave incomodo di quella gran città, a cui su pel ghiaccio si dovea portar tutto ciò che con tanta facilità si portava in altri tempi per barca. Si seccarono perciò le viti, gli ulivi, le noci ed altri alberi, e nel Genovesato gli agrumi. Se ne stava, ciò non ostante, tutta l'armata cesarea dolcemente accampata sul Ferrarese, Bolognese e Romagna, godendo un buono, cioè un indiscreto quartiere d'inverno alle spese di quei poveri popoli, benedicendo essi Tedeschi il papa, che non era fin qui condisceso ad alcuno accomodamento coll'imperadore, e dava campo ad essi di deliziarsi in quelle ubertose campagne. Erasi portato a Roma il marchese di Priè plenipotenziario cesareo a fine d'indurre il pontefice ad eleggere non la pericolosa via delle armi, ma la pacifica del gabinetto, per venire ad un accordo. Nè pure il re Cristianissimo trascurò allora di spedir colà il maresciallo di Tessè per fomentare gli spiriti guerrieri nell'animo di sua santità, e frastornare ogni concordia con Cesare, spendendo largamente promesse e sicurezze di poderosi aiuti. Ma questi aiuti erano lontani, erano anche dubbiosi; e intanto il santo padre avea sulle spalle troppo pesante fardello dell'armamento proprio, che a lui, forse più di quel che avesse fatto ad altri, costava una gravissima spesa. Aveva egli anche fatto grosse rimesse agli Svizzeri e ad Avignone, per tirar da quelle parti un buon nerbo di gente. Il peggio era che le truppe cesaree, con ridersi delle truppe papaline, ogni dì più si stendevano per la Romagna, e minacciavano di voler passare, e non già per divozione, sino a Roma stessa. Dalla parte ancora del regno di Napoli si accostavano milizie ai confini dello Stato ecclesiastico. Trovavasi perciò in gravi angustie il buon pontefice; dall'una parte l'agitava la paura di maggiori violenze, e l'amore paterno dei minacciati e già aggravati suoi sudditi; e dall'altra il timore di mancare all'uffizio [227] suo in cedere alcun dei diritti della santa Sede per gli affari di Parma e Piacenza e di Comacchio, giacchè anche per le due prime città era uscito manifesto di Cesare, che le pretendeva quai membri dello Stato di Milano. S'aggiugneva l'insistere il ministro cesareo che la santità sua riconoscesse per re di Spagna Carlo III; punto di gran dilicatezza, al cui suono strepitavano forte i ministri delle due corone Cristianissima e Cattolica. Ma finalmente la paura è una dura maestra, e il saggio si accomoda ai tempi. E però, dopo avere il santo padre con pubbliche preghiere implorato lume dai cielo, nel dì 15 di gennaio del presente anno stabilì l'accordo con Cesare, promettendo egli di disarmare, e il cesareo ministro di ritirar dagli Stati della Chiesa le truppe cesaree, e di obbligare il duca di Modena a non inferire molestia alcuna alle terre della Chiesa. Fu convenuto che in amichevoli congressi, da tenersi in Roma fra i ministri pontificii e cesarei, si esaminerebbono le pendenze insorte per gli Stati di Parma, Piacenza e Comacchio, e similmente le ragioni del duca di Modena sopra Ferrara, per conchiudere ciò che esigesse la giustizia. Durante il dibattimento di queste cause fu accordato che l'imperadore restasse in possesso di Comacchio. Segretamente ancora fu convenuto che sua santità riconoscerebbe per re Carlo III. Fece quanta resistenza mai potè il pontefice; pure in fine s'indusse ad un sì abborrito passo.
A questo accomodamento non mancò la lode ed approvazione della gente più savia, considerato il pericolo di mali incomparabilmente maggiori, se la santità sua non si arrendeva. Ma non l'intesero così le corti di Francia e Spagna, pretendenti che il pontefice dovesse sacrificar tutto, e soffrire l'eccidio dei suoi Stati, più tosto che condiscendere al regio titolo di Carlo III. Però, quantunque Roma facesse conoscere che in alcuni tempi erano stati riconosciuti per re due contendenti, e lo stesso re Cristianissimo [228] avea nello stesso tempo riconosciuto per re della Gran Bretagna Giacomo II e Guglielmo III; pure a nulla giovò. Vennero ordini che il maresciallo di Tessè, l'ambasciatore cattolico duca d'Uceda e il marchese di Monteleone plenipotenziario del re Filippo V si partissero da Roma, con premettere una protesta di nullità dell'atto suddetto. Fu ancora licenziato da Madrid il nunzio Zondedari, vietato agli ecclesiastici il commercio con Roma, e fermato il corso di tutte le rendite provenienti dalla Spagna alla dateria apostolica: violento consiglio, di cui durò poscia l'esecuzione per molti anni appresso. Dirò qui in un fiato che si diede poi principio nell'anno seguente in Roma ai congressi promessi per le controversie di sopra accennate di Parma, Piacenza, Comacchio e Ferrara, intervenendovi il marchese di Priè con gli avvocati di Cesare e del duca di Modena; ma dopo una ben lunga discussione delle vicendevoli ragioni, non si venne a decisione alcuna, e restarono le pretensioni nel primiero vigore, senza che alcuna delle parti cedesse. Si conchiuse bensì, che chi non ha altre armi che ragioni e carte per torre di mano ai potenti qualche Stato occupato, altro non è per guadagnare che fumo. Era venuto sul fine del precedente anno a Venezia Federigo IV re di Danimarca, principe provveduto di spiriti guerrieri, per godere di quel delizioso carnevale, e, benchè incognito, ricevette distinti onori e suntuosi divertimenti da quella sempre magnifica repubblica. Passò dipoi a Firenze, dove dal gran duca Cosimo de' Medici fu accolto con cortesissime dimostrazioni di stima, che a taluno parvero eccessi. Si fermò in quella corte non poco tempo con aggravio d'esso sovrano, o, per dir meglio, dei sudditi suoi, che furono poi obbligati ad una contribuzione per le tante spese fatte in quella congiuntura. Credevasi ch'esso re passerebbe a Roma per godere delle rarità di quella impareggiabil dominante. Forse non si accordò il ceremoniale; e venuta anche [229] nuova che si trattava alla gagliarda di pace fra le potenze guerreggianti, verso il fine d'aprile si mosse di Toscana per ritornare ne' suoi Stati, e giunto nel dì 25 d'esso mese a Modena, trovò qui un accoglimento, qual si conveniva alla sua dignità e merito. Nel dì 6 del seguente maggio cessò di vivere Luigi Mocenigo doge di Venezia, e fu poi esaltato a quel trono Giovanni Cornaro. Già era perduta la speranza che Ferdinando de' Medici, principe ereditario di Toscana dopo tanti anni di sterile matrimonio arricchisse di prole la sua casa; il perchè il gran duca suo padre maneggiò e conchiuse l'accasamento del cardinale Francesco Maria suo proprio fratello con Leonora Gonzaga figlia di Vincenzo duca di Guastalla. Pertanto, avendo questo principe rinunziata la sacra porpora, nel principio di luglio sposò la suddetta principessa, che nel dì 14 d'esso mese arrivò a Firenze: rimedio procurato ben tardi alla cadente insigne casa de' Medici, essendo già questo principe pervenuto all'età di cinquant'anni, e debilitato da qualche incomodo della sua sanità.
Avea nel precedente anno il re Cristianissimo Luigi XIV per mezzo de' suoi emissarii sparsa cotanto per l'Olanda la sua sincera disposizione alla pace, che si cominciò a dar orecchio a sì lusinghevol proposta, e se ne trattò seriamente fra i ministri delle potenze collegate. Maggiormente si scaldò questa pratica nel verno e nella primavera dell'anno presente, nè v'era persona che non credesse risoluta la Francia di volere ad ogni costo la pace. Non si può dire in quanta miseria si fosse ridotto quel florido regno per sì lunga guerra, per sì numerosi eserciti mantenuti in tante parti. Restavano incolte molte campagne per le tante leve di gente; insoffribili gli aggravii; le milizie per gl'infelici avvenimenti degli anni addietro scorate; superiori di forze i nemici, e già vicini ad aprirsi il varco nella Francia stessa. A questi mali si aggiunse una terribil carestia, per cui fu obbligato il re [230] con immense spese a procurar grani forestieri, e a sminuir le gravezze: con che sempre più rimase esausto l'erario suo. Perciò pubblicamente il re Cristianissimo fece istanza per la pace; se ne trattò all'Haia; e quanto più miravano i plenipotenziarii de' collegati che i ministri franzesi cedevano alle restituzioni richieste, tanto più si aumentavano le lor dimande e pretensioni. Ciò che fece tenere per immancabile la pace, fu l'avere il re spedito all'Haia lo stesso suo segretario di Stato marchese di Torsy, il quale benchè si contorcesse, pure veniva accordando ogni punto proposto da' collegati. Si giunse al dì 28 di maggio, in cui furono stesi i preliminari, co' quali essi intendevano di dar la pace alla Francia. Doveva il re Filippo cedere al re Carlo III la monarchia, di Spagna; e ricusando, avea da impegnarsi il re Luigi XIV avolo suo di unirsi con gli alleati per iscacciarlo di Spagna. Una gran restituzione di piazze in Fiandra e al Reno e di tutta l'Alsazia era prescritta, con altre condizioni di gran vantaggio per chiunque avea pretensioni contro la Francia. Sicchè quei gran politici, a riserva del principe Eugenio, si tenevano oramai in mano la pace, e pace tanto vantaggiosa; ma poco tardarono ad accorgersi che questo era stato un tiro di mirabil finezza della corte di Francia. Se riusciva il tentativo della pace, di cui veramente abbisognava la corte e nazion franzese, gran bene era questo; se no, serviva l'aver trattato per guadagnar tempo e premunirsi, e molto più per muovere i popoli a sostenere il peso della guerra e delle contribuzioni, e a somministrare aiuti, da che si facea conoscere nello stesso tempo la gran premura del re per la pace, e la soverchia ingordigia de' suoi nemici.
Infatti dal re furono rigettati e poi pubblicati quegli stessi preliminari che commossero a vergogna e sdegno la nazione tutta, amantissima del re e del proprio decoro; e cagion furono che i grandi e mercatanti a gara portassero argenti e danari [231] all'erario reale: con che si provvide all'urgente bisogno. Rimasti all'incontro gli alleati colle mani piene di mosche, maggiormente s'irritarono contro la Francia; e giacchè questa unicamente pensava alla difesa, e il maresciallo di Villars s'era postato in sì buona forma, che non si potea forzare a battaglia, i due prodi generali principe Eugenio e duca di Marlboroug spinsero l'esercito all'assedio di Tournai. Dopo ventun giorni di trincea aperta, nel dì 29 di luglio quella guernigione cedette la città, ritirandosi nella cittadella, che dopo una terribil difesa si rendè in fine anch'essa nel dì 3 di settembre. Trovaronsi poscia a fronte le due nemiche armate. Quantunque il Villars si fosse ben trincierato, ardevano di voglia i generali de' collegati di far battaglia campale; ma prima di venire al gran cimento, scrivono alcuni che il principe Eugenio si abboccò sul campo col maresciallo di Bouflers, per veder pure se i Franzesi inclinavano ad accettare i già proposti preliminari. Trovò che questi maggiormente restrignevano le condizioni, detestando spezialmente quella di dovere il re Cristianissimo unirsi coi nemici contra del nipote Filippo V. Però nel dì 11 di settembre, da che ebbero i collegati disposte le cose per l'assedio di Mons, diedero all'armi contro l'esercito Franzese nel luogo di Malpacquet, contuttochè il Villars avesse le sue forze ben assicurate da due boschi e da molte trincee. Fu questa una delle più ostinate e sanguinose battaglie che occorressero nella presente guerra, e durò più di sei ore. Restò veramente il campo con alquanti cannoni in potere de' collegati, essendosi ritirati per quanto poterono ordinatamente i Franzesi, ma non lasciò di essere dubbiosa la lor vittoria. Se i vincitori guadagnarono bandiere e stendardi, altrettanto fecero anche i Franzesi. Per la mortalità pretesero i Franzesi che la loro ascendesse a soli otto mila tra morti e feriti; laddove, secondo la relazion contraria, si vollero estinti de' Franzesi sette [232] mila con cinquecento uffiziali e dieci mila feriti, fra' quali lo stesso maresciallo di Villars gravemente colpito da palla di fucile nel ginocchio. All'incontro fu confessato che almeno sei mila fossero gli uccisi dell'esercito alleato, e quattordici mila i feriti. Di gente rimasta prigioniera altro non fu detto se non che la sterminata copia de' Franzesi lasciati feriti sul campo fu permesso che fosse ritirata al campo loro, e contata per prigioniera di guerra. Intervenne a quel terribil conflitto Giacomo III Stuardo re Cattolico d'Inghilterra, che diede gran pruove di intrepidezza, e ne riportò anche alcune lievi ferite. Ciò che servì a maggiormente contestare per vincitori i collegati, fu l'aver eglino immediatamente stretta di assedio la fortissima città di Mons, con obbligare quel presidio nel dì 20 di ottobre ad uscirne con tutti gli onori militari.
Poche imprese si fecero nel presente anno in Italia. Era disgustato Vittorio Amedeo duca di Savoia della corte di Vienna, perchè gli contrastava il Vigevanasco e alcuni feudi confinanti col Genovesato, benchè a lui accordati ne' patti. Fecero gagliarde istanze gl'Inglesi ed Olandesi presso l'imperador Giuseppe in suo favore, e le fecero indarno. Perciò non volle il duca uscire in campagna. Vi uscì il maresciallo di Daun co' suoi tedeschi, e passato il Mon-Cenis, penetrò fino in Savoia, e s'impossessò di Annicy. Ma avendo il duca di Bervich ben muniti i passaggi, ed accostandosi le nevi, il conte di Daun giudicò meglio di tornarsene a cercar buoni quartieri in Italia. Lentamente ancora procederono al Reno gli affari della guerra. In Ispagna riuscì al maresciallo conte di Staremberg di sottomettere la città di Belaguer, ma senza far altro progresso. Perchè regnava la discordia fra i comandanti franzesi e spagnuoli, il re Filippo V si portò in persona all'armata; e dopo aver composte le differenze, tentò di venire a battaglia col nemico esercito; ma lo Staremberg, [233] uno de' più cauti generali del suo tempo, non sentendosi voglia di azzardare tutto in una giornata, non volle dar questo piacere alla maestà sua. Nei confini del Portogallo ebbero maggior fortuna gli Spagnuoli, perchè il marchese di Bay diede una rotta ai Portoghesi, con prendere varii loro cannoni ed insegne, ed impadronirsi di alcune castella.
Anno di | Cristo MDCCX. Indizione III. |
Clemente XI papa 11. | |
Giuseppe imperadore 6. |
Ebbe in quest'anno il pontefice Clemente XI varii insulti alla sua sanità, che fecero dubitar non poco di qualche pericolo di sua vita; ma appena egli si rimise in migliore stato, che, siccome principe di grande attività, tornò ad ingolfarsi nell'uno e nell'altro governo, ben per lui scabroso ne' correnti tempi, sì per cagion de' riti cinesi, e della persecuzione mossa contro il cardinale di Tournon, detenuto come prigione in Macao, come ancora per la nimicizia dichiarata dal re Cattolico Filippo V alla corte di Roma a cagion della ricognizione del re Carlo III. Contuttociò qualche calma si godeva non meno in Roma che nel resto d'Italia, a riserva delle contribuzioni intimate da' Tedeschi, e di chi sofferì i loro quartieri. Fu anche travagliato da varii malori di sanità con tutta la sua famiglia Vittorio Amedeo duca di Savoia, che gl'impedirono l'uscire in campagna, oltre all'averne egli poca voglia per le già dette controversie colla corte di Vienna, ostinata in non voler dare esecuzione al pattuito. Pertanto più tosto apparenza di guerra, che guerra guerreggiata fu nel Piemonte. S'incamminò bensì il maresciallo conte di Daun a mezzo luglio verso la valle di Barcellonetta col forte dell'armata collegata, mostrando di aver delle mire contra di Ambrun e Guilestre; ma avendo trovato ai confini il duca di Bervich assistito da un potente esercito, e apprendendo l'avvicinamento delle [234] nevi a quelle montagne, si ritirò presto alle pianure del Piemonte: il che diede un gran comodo ai Franzesi di spignere buona parte delle lor soldatesche ai danni del re Carlo III in Catalogna, e di riportar due vittorie, siccome diremo. Era già stato con sentenza del consiglio aulico in Vienna dichiarato ribello e decaduto da' suoi Stati Francesco Pico duca della Mirandola; ed avendo l'imperador Giuseppe somma necessità di danaro per l'urgente bisogno delle sue armate, mise in vendita il ducato della Mirandola e marchesato della Concordia, dappoichè non potè esso duca pagar la tassa a lui prescritta per ricuperar quello Stato. Molti furono i concorrenti a questo incanto o mercato. Rinaldo d'Este duca di Modena, per timore che gli venisse ai fianchi con quell'acquisto qualche troppo potente persona, si affacciò anch'egli, e fu preferito agli altri. Più di ducento mila doble costò a lui quel paese, di cui poscia, col consenso degli elettori, fu investito nell'anno seguente da sua maestà cesarea. Ma nel dì 28 di settembre grande afflizione provò esso duca di Modena per la morte della duchessa Carlotta Felicita di Brunsvich sua consorte, e sorella della regnante imperadrice Amalia.
Avea nel precedente anno il re Cristianissimo Luigi XIV, per far credere alle potenze collegate di voler egli abbandonare gl'interessi del re Filippo V suo nipote, richiamate di Spagna le sue milizie. Non atterrito per questo quel generoso monarca, tali misure d'economia e tali ripieghi prese, che formò un poderoso esercito di nazionali e Valloni, alla testa di cui sul principio di maggio uscì egli stesso in campagna, ardendo di voglia di far giornata coll'oste dell'emulo re Carlo III. S'era postato nelle vicinanze di Belaguer l'avveduto maresciallo di Staremberg, finchè gli arrivassero i soccorsi aspettati dall'Italia. Arrivati questi, anche il re Carlo passò all'armata, e marciò contra gli Spagnuoli. Presso ad Almenaro, nel dì 27 di luglio, seguì un caldo [235] fatto d'armi, in cui fu astretto il re Filippo a battere la ritirata con perdita di varii stendardi e bandiere e di molto bagaglio. Peggio gli sarebbe avvenuto, se la notte sopraggiunta non metteva freno ai vincitori. Dopo l'acquisto di Bolbastro, Huesca ed altri luoghi dell'Aragona, s'inviò il re Carlo col suo esercito alla volta di Saragozza capitale di quel regno. Nel dì 20 di agosto si trovarono di nuovo a fronte le nemiche armate in vicinanza di quella città, e si venne alla seconda battaglia, in cui rimasero totalmente disfatti gli Spagnuoli con perdere quasi tutta l'artiglieria, quindici stendardi e più di cinquanta bandiere. La fama portò che due mila fra gli estinti e feriti fossero quei della parte austriaca vincitrice, e cinque mila i morti e tre mila i rimasti prigioni dall'altra parte. Se non furono tanti, certo è almeno che si trovò sommamente estenuata l'armata del re Filippo, e che dopo sì felice avvenimento il re Carlo trionfante entrò in Saragozza fra gl'incessanti plausi di quel popolo. Se egli avesse dipoi seguitato il saggio parere dello Staremberg, il quale insisteva che si avesse ad inseguire il fuggitivo re Filippo ritirato a Vagliadolid, forse gran piega prendevano le sue speranze alla corona di Spagna. Ma prevalse il sentimento dell'umore gagliardo dell'Inglese Stenop, che si avesse a marciare a Madrid. Occupata la reggia, più facilmente cadrebbe il resto.
In quella real città si lasciò vedere il re Carlo, ma ricevuto senza gran segnale di amore in quel popolo, e non venne dal cuore quel poco giubilo che se ne mostrò. Diede egli con ciò assai tempo al re Filippo di rinforzarsi di gente, e di provveder la sua armata di un generale di primo grido, cioè del duca di Vandomo, che comparve dopo la metà di settembre a Vagliadolid col duca di Noaglies. Intanto nello sterile territorio di Madrid mancarono le provvisioni per l'armata del re Carlo, e nella città alzarono forte la testa i partigiani del re Filippo. Vennero [236] spediti potenti rinforzi di gente al nipote dal re Cristianissimo, e all'incontro mai non vennero i Portoghesi ad unirsi col re Carlo, il quale perciò, all'accostarsi del verno, determinò di ritirarsi verso la Catalogna. Con sì mal ordine seguì la ritirata, che il re Filippo, già rientrato in Madrid, si mosse per assalire gl'Inglesi, che marciavano molto separati dagli Alemanni, e li raggiunse al grosso borgo di Briguela o sia Brihuega. Dato l'assalto a quelle miserabili mura, e mancate le munizioni agl'Inglesi, furono essi costretti a rendersi prigionieri in numero di più di tre mila collo stesso orgoglioso Stenop. Al romore del pericolo degl'Inglesi con isforzate marcie era accorso il maresciallo di Staremberg, e benchè non consapevole della lor disavventura, pure coraggiosamente arrivato a Villa Viziosa nel dì 20 di dicembre volle attaccar battaglia coll'esercito gallispano. Il valore dell'una e dell'altra parte fu incredibile, e la notte sola diede fine al macello, con restare gli Austriaci padroni del campo e di molte insegne, ma colla perdita di circa tre mila morti nel conflitto. Maggior fu creduto il numero degli uccisi dall'altra parte. Nulladimeno diversamente contarono i Gallispani questa sanguinosa battaglia, con attribuirsene la vittoria, e fu cantato perciò il Te Deum a Parigi. Ed è la verità che anche gli Spagnuoli presero molte bandiere, e fecero bottino di molto bagaglio; e che lo Staremberg, trovando sì infievolito il suo picciol corpo di gente, e mancante affatto di vettovaglia, fu obbligato a ritirarsi frettolosamente verso l'Aragona, e a lasciar indietro tutto il cannone: il che servì non poco a giustificare la relazione contraria. E perciocchè un'armata di venti mila Franzesi venuta dal Rossiglione avea impreso l'assedio di Girona in Catalogna, lo Staremberg abbandonò Saragozza e quanto aveva acquistato nell'Aragonese, e si ritirò a Barcellona a scrivere compassionevoli lettere a tutti i collegati per ottenere soccorsi. Ed ecco quante varie scene [237] e vicende vide in quest'anno la Spagna fra le sanguinose dispute dei due competitori monarchi.
Aspirava pure il re Cristianissimo alla pace, e non lasciò di stuzzicar di nuovo gli Olandesi per mezzo del Pettecun, residente del duca di Holstein all'Haia, adoperato anche nell'anno precedente per mezzano in così scabroso affare, affinchè dessero orecchio alle proposizioni, per mettere una volta fine al sangue di tanta gente, e alla desolazione de' regni. Tuttochè sentissero tuttavia gli alleati il bruciore di essere stati burlati nell'anno addietro dal gabinetto di Francia, pure s'indussero ad entrar di nuovo in un congresso, con destinare a tal fine la città di Gertrudemberga. Gran contrasto fu ivi; saldo il re Cristianissimo in non voler prendere le armi contro il re nipote; discordi gli alleati nelle lor pretensioni, perchè gli Anglolandi consentivano a rilasciare al re Filippo V una porzione della monarchia spagnuola; laddove il conte di Zizendorf plenipotenziario cesareo negava qualsivoglia smembramento della medesima. Per più mesi durò la battaglia di quelle teste politiche, e in fine tutto andò in fascio, senza potersi in guisa alcuna ottenere nè dagli uni nè dagli altri il loro intento. Giovò nondimeno alla Francia quest'altro tentativo per seminar gelosie e discordie fra le potenze nemiche: del che seppe ben ella profittare nel tempo avvenire. Imputò intanto ciascuna delle parti all'altra la colpa di lasciar continuare la guerra; e questa in fatti anche nel presente anno fu ben calda in Fiandra, dove alla primavera fu posto l'assedio dal duca di Marlboroug alla città di Douai. La difesa di quella piazza fatta dal tenente generale conte Albergotti fiorentino, accrebbe al sommo la gloria del suo nome. Indarno tentò il maresciallo di Villars di soccorrerla, e però colla più onorevol capitolazione nel dì 26 di giugno quella città col forte della Scarpa fu ceduta all'armi dei collegati. Passarono poi questi col campo sotto Bettunes, piazza assai provveduta [238] di fortificazioni regolari, con trovarvisi alla difesa il celebre luogotenente generale Vauban, che la sostenne sino al dì 29 di agosto, in cui ne seguì la resa. Quindi si presentò l'oste nemica sotto San Venanzio ed Aire. La prima di queste piazze fece resistenza solamente dodici giorni; ma l'altra per cinquantotto dì faticò gli assedianti con grave lor perdita, e in fine il dì 9 di novembre si lasciò vincere. Nè si dee tacere che in quest'anno succederono notabili mutazioni di ministri nella corte d'Inghilterra, e gran bollore di animi si trovò in Londra fra i due contrarii partiti dei Toris e de' Vigt. In favore de' primi pubblicamente predicò un dottore Sacheverel, che maggiormente accese il fuoco, gran partigiano dell'appellata Chiesa anglicana. Queste novità molto poscia influirono a condurre la regina Anna nei voleri della Francia, siccome vedremo. Essendo mancato di vita sul fine di settembre il cardinale Vincenzo Grimani Veneto, vicerè di Napoli, si trovò nelle cedole dell'Interim nominato a quella illustre carica il conte Carlo Borromeo Milanese, che verso la metà del seguente mese comparve in quella metropoli, e fu appresso confermato dal re Carlo III nel possesso di sì nobile impiego.
Anno di | Cristo MDCCXI. Indizione IV. |
Clemente XI papa 12. | |
Carlo VI imperadore 1. |
Fece la morte in quest'anno moltiplicar le gramaglie nell'Europa, perchè nel dì 3 di febbraio rapì dal mondo Francesco Maria de Medici, fratello del gran duca Cosimo, e principe da noi veduto cardinale nei precedenti anni, che non lasciò alcun frutto del suo matrimonio colla principessa Leonora Gonzaga di Guastalla. Poscia nel dì 14 d'aprile mancò di vita pel vaiuolo Luigi Delfino di Francia, unico figlio del re Luigi XIV, principe degno di più lunga vita: con che il duca di Borgogna suo primogenito assunse il titolo di Delfino. Ma ciò che più mise in [239] agitazione i pensieri di tutti i politici interessati e non interessati nel teatro delle correnti guerre, fu l'immatura morte di Giuseppe imperadore, accaduta nel dì 17 del mese suddetto d'aprile. Questo monarca, che in vivacità di spirito, in affabilità e in altre belle doti superò moltissimi dei suoi gloriosi antenati, non avea ben saputo reggere il suo fuoco, portato ai piaceri; e contuttochè l'impareggiabile augusta sua consorte Amalia Guglielmina di Brunsvich si studiasse, per quanto potè, di tenerlo in freno, non reggeva questo freno all'empito delle sue voglie. Mancò veramente anch'egli di vaiuolo, ma fu creduto che gli strapazzi della sua sanità aiutassero di molto quel male a levarlo di vita. Niun discendente maschio lasciò egli dopo di sè, ma solamente due arciduchesse, cioè Maria Gioseffa e Maria Amalia, che poi passarono a fecondar le elettorali case di Baviera e Sassonia. Questo inaspettato colpo delle umane vicende non si può dire quanto sconcertasse le misure delle potenze collegate contro la real casa di Borbone; perchè si pensò ben tosto, e si fecero tutti gli opportuni negoziati per far cadere la corona imperiale in testa del re Carlo III suo fratello; ma tosto ancora si conobbe che questo passo verrebbe ad assodar quella di Spagna sul capo del re Filippo V. Nè pure agli stessi collegati, non che alla Francia, compliva il vedere uniti in una sola persona l'imperio e i regni di Spagna e della casa di Austria. Però si cominciarono nuove tele, persistendo nondimeno tutti nella determinazione di continuar più vigorosamente che mai le ostilità contra dei Franzesi.
Prese dopo la morte dell'augusto figlio l'imperadrice Leonora Maddalena le redini del governo, e con replicate lettere si diede a tempestare il re Carlo III, acciocchè, lasciata la troppo pericolosa, anzi disperata, impresa della Spagna, venisse alla difesa e al godimento de' suoi Stati. Trovossi allora il buon principe in un ben affannoso labirinto; perchè dall'una parte il bisogno dei proprii Stati e la premura [240] di salire sul trono imperiale non gli permettevano di fermarsi in Ispagna, e dall'altra non sapeva indursi ad abbandonare i miseri Barcellonesi e Catalani alla discrezione dell'irato Filippo V. Avea anche sulle spalle un'esorbitante copia di nobiltà spagnuola e di famiglie rifugiate sotto l'ombra sua per isfuggire i castighi della pretesa ribellione; e tutti dimandavano pane. Fu preso il ripiego di lasciar la regina sua sposa in Barcellona per pegno del suo amore, e per sicurezza degli sforzi ch'era per fare nella lor difesa. Scelta pertanto una parte dei rifugiati Spagnuoli che seco venissero, nel settembre s'imbarcò, e felicemente sbarcò alle spiagge di Genova, e senza perdere tempo s'inviò alla volta di Milano. Alla Cava nel dì 13 d'ottobre fu complimentato da Vittorio Amedeo duca di Savoia, e un miglio lungi da Pavia da Rinaldo duca di Modena. Arrivata che fu la maestà sua a Milano, poco stette a ricevere la lieta nuova che nel dì 12 del predetto mese, di comune consenso degli elettori, era stato proclamato imperador de' Romani. Le universali allegrezze dei popoli d'Italia solennizzarono sì applaudita elezione; il pontefice destinò il cardinale Imperiale con titolo di legato a latere a riconoscere in lui non meno la dignità imperiale che il titolo di re Cattolico. Comparvero ancora a questo fine a Milano pompose ambasciate delle repubbliche di Venezia, Genova e Lucca. Saputosi poi in Madrid come si fossero contenuti in tal occasione i principi d'Italia, il re Filippo ordinò che i loro pubblici rappresentanti sloggiassero da' suoi regni. Fermossi in Milano l'augusto sovrano sino al dì 30 di novembre, in cui si mosse alla volta dell'Alemagna. Nel dì 12 fu di nuovo ad inchinarlo il duca di Modena in San Marino di Bozzolo. Mantova qualche giorno godè della graziosa presenza di questo monarca; e ai confini dello Stato veneto gli fecero un soprammodo magnifico accoglimento gli ambasciatori di quell'inclita repubblica; [241] dopo di che inviatosi egli a dirittura per la via di Trento e del Tirolo, nel dì 20 giunse ad Inspruch, dove prese riposo. Fattosi intanto in Francoforte il suntuoso preparamento per la sua coronazione, questa dipoi si effettuò nel dì 22 di dicembre con solennissima festa. Portò egli al trono imperiale un complesso di sode e rare virtù, quale non sì facilmente si trova in altri regnanti, e cominciò da lì innanzi ad essere chiamato Carlo VI Augusto.
Nulla di notabile operarono in questo anno gli alleati in Piemonte, e da alcuni ne fu attribuita la cagione al trovarsi tuttavia mal soddisfatto Vittorio Amedeo duca di Savoia della corte di Vienna, che con varie scuse gli negava il possesso tante volte promesso del Vigevanasco. Contuttociò quel sovrano col maresciallo Daun sul principio di luglio con potente esercito si mosse e valicò i monti, e passate le valli di Morienna e Tarantasia, calò nella Savoia, impadronendosi della città di Annicy, Chiambery, ed altre di quella contrada. S'aspettava il duca di Bervich che questo torrente s'incamminasse verso il Lionese; e però, dopo aver muniti i passi, fermò il suo campo sotto il forte di Barreaux. Intenzione del conte di Daun era di assalire i Franzesi in quel sito; ma insorta dissensione di pareri, finì tutta la campagna in sole minaccie contra dei Franzesi. E perchè l'armata non avrebbe potuto sussistere pel verno nella Savoia, divisa allora dall'Italia per cagion delle nevi, abbandonati di nuovo que' paesi, se ne tornarono tutti a cercare stanza migliore in Lombardia. Qualora i Tedeschi avessero tenuto più contento il sovrano di Savoia, forse in altra guisa sarebbero camminate le faccende in quelle parti. Erano di molto prosperate in Ispagna l'armi del re Filippo V col riacquisto della Castiglia e dell'Aragona, e coll'avere ristretti gli alleati nell'angusto paese della Catalogna. Ebbe egli ancora il contento nel gennaio di quest'anno di veder superata Girona dal duca di Noaglies, [242] che con venti mila Franzesi ne avea formato l'assedio. Ma niun'altra impresa degna di osservazione si fece in quelle parti, se non che il duca di Vandomo nel mese di dicembre spedì il conte di Muret con grosso corpo di gente sotto Cardona. S'impossessò questo generale del Borgo, e ritiratasi la guernigion nel castello, cominciarono le artiglierie a tormentarlo. Vi fu spedito dallo Staremberg un buon soccorso di gente, che rovesciò le trincee dei nemici, ed entrati colà cinquecento uomini, fecero prendere al Muret la risoluzione di ritirarsi. Nè pure in Fiandra alcuno strepitoso fatto avvenne, altro non essendo riuscito ai collegati che di sottomettere la forte città di Bauchain, giacchè il maresciallo di Villars non lasciava ai nemici adito per azzuffarsi seco: cotanto sapea egli l'arte dei buoni accampamenti, per non venire a battaglia se non quando vi trovava i suoi conti.
Parea dunque che si cominciasse a raffreddare il bollore di questa guerra, nè se ne intendeva allora il perchè; ma a poco a poco si venne poi svelando il mistero. Convien confessarlo: sanno egregiamente i Franzesi combattere con armi di ferro, ma egualmente ancora valersi di armi d'oro per espugnare chi alla lor potenza resiste. Già dicemmo accaduta in Londra non lieve mutazione nel ministero, ed essere toccata la superiorità al partito dei Toris. La regina Anna, che fin qui tanto ardore avea mostrato contro la real casa di Borbone, cominciò, per quanto fu creduto, a sentire rialzarsi in suo cuore la non mai estinta affezione al proprio sangue stuardo, siccome figlia del fu cattolico re Giacomo II. Mossa da compassione verso l'abbattuto vivente suo fratello Giacomo III, re solamente di nome della Gran Bretagna, concepì dei segreti desiderii ch'egli divenisse tale di fatto, e fosse anteposto all'elettoral casa di Brunswich, a cui già per gli atti pubblici del parlamento era stato assicurata la successione del regno, qualora mancasse la regina medesima. All'avveduta corte del re Cristianissimo [243] trasparì qualche barlume del presente sistema di quella di Londra; e il maresciallo di Tallard, detenuto prigioniere nella città di Notingam, fu creduto che suggerisse buoni lumi per giugnere a guadagnare il cuore d'essa regina. Segretamente dunque il re Luigi XIV ebbe maniera di far introdurre per mezzo del milord Halei, che poi divenne conte d'Oxford, e di qualche altra persona favorita dalla regina, parole di pace fiancheggiate da rilevanti vantaggi in favore della nazione inglese. Se riusciva al gabinetto franzese di staccare quella potenza dalla grande alleanza, ben si conosceva terminata la memorabil tragedia della guerra presente. Gustò la regina il dolce di quelle proposizioni, e cominciarono ad andare innanzi e indietro segrete lettere e risposte per ismaltire le difficoltà, e stabilire i principali articoli dell'accomodamento. Di queste mene si avvidero bensì gli Olandesi e la corte di Vienna, e si studiarono di fermarle; ma senza profitto alcuno. Troppa impressione aveano fatto nella regina Anna le offerte della Francia, cioè la cessione di Gibilterra e di Porto Maone all'Inghilterra (punto di gran rilievo pel commercio di quella nazione), l'Assiento, cioè la vendita de' Mori per servigio dell'America Spagnuola, che si accorderebbe per molti anni agl'Inglesi; la demolizione di Dunquerque: una buona barriera di piazze per sicurezza degli Olandesi; all'imperador Carlo VI la Fiandra, lo Stato di Milano, Napoli e Sardegna. Già divenuto come impossibile il cavar dalle mani del re Filippo V la Spagna, restava questa monarchia divisa dalla franzese: a che dunque consumar più tanto oro e sangue, se nulla di più si potea ottener colla guerra di quel che ora si veniva a conseguir colla pace? Passò per questo in Inghilterra nel gennaio seguente il principe Eugenio, nè altro gli venne fatto che d'indurre la regina a procedere senza fretta e con gran cautela in sì importante affare. Intanto gli Olandesi si videro astretti a consentire [244] ad un luogo per dar principio ai congressi, e fu scelta per questo la città d'Utrecht, dove nel gennaio seguente avessero da concorrere i plenipotenziarii delle parti interessate. E tali furono i primi gagliardi passi per restituire la tranquillità all'afflitta Europa.
Anno di | Cristo MDCCXII. Indizione V. |
Clemente XI papa 13. | |
Carlo VI imperadore 2. |
Fin dall'anno precedente era penetrata dall'Ungheria in Italia la mortalità de' buoi, flagello di cui non v'ha persona che non intenda le funestissime conseguenze in danno del genere umano. Ma nel presente così ampiamente si dilatò pel Veronese, Bresciano, Mantovano e Stato di Milano, che fece un orrido scempio di sì utile, anzi necessario, genere di animali. Anche il regno di Napoli e lo Stato della Chiesa soffrì immensi danni per questa micidiale epidemia. Correndo il mese di settembre, fu detto che in esso regno fossero periti settanta mila capi di buoi e vacche, e nel solo Cremonese più di quattordici mila; e il male progrediva a gran passi nelle vicinanze. Nel presente anno venne a visitar l'Italia Federigo Augusto, principe reale di Polonia ed elettorale di Sassonia, e ricevette in Modena ogni maggior dimostrazione di stima dal duca Rinaldo. Di là passò a Bologna, dove, abiurato il luteranismo, abbracciò la religione cattolica, che servì poscia a lui di gradino per salire, dopo la morte del padre, sul trono della Polonia, in cui ora gloriosamente siede. Restava nelle Maremme della Toscana Porto Ercole tuttavia ubbidiente al re Filippo V. Passò nella primavera un grosso corpo di cesarei a mettere colà il campo; e dappoichè fu giunta l'occorrente artiglieria da Napoli, si cominciò a bersagliare i forti della Stella e di San Filippo. Ridotti quei presidii a rendersi a descrizione, anche il porto cadde in loro mano. Nel Piemonte gran freddo si trovò nel duca di [245] Savoia per le azioni militari, essendo più che mai malcontento quel sovrano della corte cesarea, che, non ostante l'interposizion premurosa delle potenze marittime, sempre andò fuggendo l'adempimento delle promesse fatte di cedergli il Vigevanasco, o di dargli il compenso in altre terre. Oltre a ciò, nacquero in lui politici riguardi, da che vide sul tappeto trattati di pace; e non gli era ignoto che in tutte le maniere la corte d'Inghilterra la voleva. Anzi si crede che in questi tempi il conte di Oxford, tutto intento a sbrancare alcuno de' principi dalla grande alleanza, coll'inviare a Torino il conte di Peterboroug, s'industriasse di tirar esso duca ad una pace particolare colla vistosa esibizione (per quanto fu creduto) del regno di Sicilia e restituzione di tutti i suoi Stati. Non dispiacque a quel sovrano un sì bel regalo, che seco anche portava il titolo di re; ma conoscendone egli la poca sussistenza, quando non vi concorresse il consenso di Cesare, il quale non solo da questo si sarebbe mostrato, ma ancora dalla pace si mostrava troppo alieno, ravvisò tosto la necessità di star forte nella lega, finchè si maturassero meglio le cose. Però non volle punto staccarsi da' collegati, e solamente ricusò di uscire in campagna colle sue truppe. Vi uscì co' suoi Tedeschi il maresciallo di Daun, perchè il duca di Bervich era calato da Monginevra nella valle di Oulx; ma altro non fece che difendere i posti in quella contrada.
Intanto sul fine di gennaio nella città olandese di Utrecht s'era aperto il congresso, a cui intervennero i plenipotenzarii di Francia, Inghilterra, Olanda e Savoia. Vi comparvero ancora, ma come forzati, quei dell'imperadore, siccome consapevoli che la corte di Londra venduta a Versaglies, dopo avere assicurati i proprii vantaggi, più avrebbe promossi quei della real casa di Borbone che dell'austriaca. Sulle prime se smisurate apparvero le dimande e pretensioni della Francia, più alte ancora e vaste si scoprirono [246] quelle degli alleati. Gli stessi parlamenti d'Inghilterra andavano poco d'accordo colle segrete voglie della regina, perchè non miravano assicurata la pubblica tranquillità con tutte le belle esibizioni fatte in loro pro dal re Cristianissimo. Allora il conte d'Oxford mise in campo due ripieghi; l'uno che dal re Luigi XIV fosse fatto uscire di Francia il pretendente, cioè il re Giacomo III Stuardo; e l'altro, che si provvedesse in maniera tale, che non mai in avvenire si potessero unir insieme le due monarchie di Francia e Spagna. A questo oggetto fu proposto che il re Filippo V rinunziasse ogni sua ragione sopra la Francia in favore de' principi chiamati dopo di lui, e che, mancando la di lui linea, succedesse ne' regni di Spagna la casa di Savoia, siccome chiamata ne' testamenti de' precedenti monarchi. Difficile troppo si trovò quest'ultimo punto, perchè chiaramente dichiarò il gabinetto di Francia che simili rinunzie non potevano mai togliere il diritto naturale di successione ai principi e figli chiamati, e che sarebbono nulle ed invalide: del che si hanno ben da ricordare i lettori, per quello che poi avvenne, e potrebbe molto più un giorno avvenire. Contuttociò, per soddisfare al tempo presente, si vollero sì fatte rinunzie dal re Filippo V e da' principi di Francia per le loro pretensioni sopra la Spagna, e con inorpellamenti si studiarono le unite corti di Francia e d'Inghilterra di quetare i rumori de' parlamenti, e le loro forti istanze perchè in un solo capo non si avessero mai ad unire le due corone. In ricompensa di questo grande, ma apparente, sacrifizio, al re Cristianissimo riuscì d'indurre la regina Anna ad un armistizio delle sue milizie ne' Paesi Bassi, che per un pezzo si tenne segreto. Troppo abbisognava di questo presentaneo rimedio agl'interni mali del suo regno quel per altro potentissimo e sempre intrepido monarca.
Per confessione degli stessi storici franzesi, non ne potea più la Francia: sì [247] lunga, sì pesante e dispendiosa era stata fin qui una sì universal guerra, sostenuta quasi tutta colle proprie forze. Esausto si trovava l'erario, divenuti impotenti i popoli a pagare gl'insoffribili aggravii. Tanta gente era perita in assedii, battaglie e malattie delle passate campagne, che restavano senza coltivatori le terre, e mancava la maniera di reclutar le armate. All'incontro in Fiandra non s'era fin qui veduto un sì fiorito e poderoso esercito delle nemiche potenze; piazze più non restavano che impedissero l'ingresso delle lor armi nel cuor della Francia: di maniera che quel nobilissimo regno si mirava alla vigilia d'incredibili calamità. A questa infelice situazione dei pubblici affari si aggiunsero altre lagrimevoli disavventure della real prosapia, che avrebbero potuto abbattere qualsisia animo, ma non già quello di Luigi XIV, principe sempre invitto. Nei primi mesi del presente anno infermatasi di vaiuolo o di rosolia Maria Adelaide principessa di Savoia Delfina di Francia, passò a miglior vita nel dì 12 di febbraio. Per l'assistenza prestata alla dilettissima sua consorte anche il Delfino Luigi, principe di mirabil espettazione, contrasse la stessa infermità, e nel dì 18 dello stesso mese si sbrigò da questa vita. Due principi avea prodotto il loro matrimonio; il primo di essi, già duca di Bretagna, e poco fa dichiarato Delfino aggravato dal medesimo vaiuolo, si vide soccombere alla malignità del male nel dì 8 di maggio. L'altro principe, cioè Luigi duca di Angiò, soggiacque anch'egli alla medesima influenza, accompagnata da violenta febbre; pure Dio il donò ai desiderii e alle orazioni de' suoi popoli, ed oggidì pieno di gloria siede coronato sul trono de' suoi maggiori. Trovavasi Carlo duca di Berry, terzo nipote del re Luigi, sul fiore de' suoi anni; fu anch'egli rapito dalla morte nel suddetto maggio, senza lasciar discendenza, benchè accasato con una delle figlie del duca d'Orleans. Tanta folla di sventure domestiche, le quali [248] fecero straparlare i maligni, quasichè la mano degli uomini avesse cooperato a sì grave eccidio, si rovesciò sopra quel gran re, che non avea conosciuto per tanti anni addietro se non la felicità, e gustato il piacere di conquistar provincie e di far tremare chiunque si opponeva ai suoi voleri. Sotto la mano di Dio convien poi che si accorgano di stare anche i più potenti monarchi della terra. Ma quello stesso Dio che avea ridotta in sì compassionevole stato la Francia, non ne volle permettere il già vicino suo precipizio. Per essersi vinto il cuore della regina inglese, da ciò venne la salute di tanti popoli, e si disposero le cose a dovere per la pace universale.
Venne il mese di giugno. Essendo stato già richiamato in Inghilterra il celebre capitano duca di Marlboroug (tanto poterono le batterie del conte d'Oxford), fu sostituito al comando dell'armi inglesi in Fiandra il duca d'Ormond, ma con ordini segreti di nulla operar contro i Franzesi, anzi d'intendersela con loro. Ben se ne avvedevano i collegati: ciò non ostante, il principe Eugenio nel mese suddetto animosamente mise l'assedio a Quesnoi, piazza forte, e nel dì 4 di luglio obbligò alla resa quella guernigione, consistente fra sani e malati quasi in tremila persone. Ottenne intanto la regina Anna di ricevere dai Franzesi in ostaggio Dunquerque, e di mettervi suo presidio, per demolirne poi le fortificazioni. Avuto questo pegno in mano, allora ordinò al duca d'Ormond di pubblicar l'armistizio delle truppe inglesi colla Francia: il che fu eseguito con rabbia inestimabile e querele senza fine de' collegati; e tanto più perchè l'Ormond andò a mettersi in possesso di Gante e di Bruges. Restava tuttavia al principe Eugenio un possente esercito, capace di far qualche bella impresa, e già la meditava egli, nulla atterrito dall'abbandonamento degl'Inglesi. Mise pertanto l'assedio a Landrecy; ma il valente maresciallo di Villars, le cui forze erano cresciute collo scemar delle [249] altre, improvvisamente, nel dì 25 di luglio, si spinse addosso al conte d'Arbemale, che staccato dal principe Eugenio con un picciolo esercito custodiva le linee di Dexain. Alla piena di tante armi non potè resistere quel generale, andò in rotta tutta la sua gente; più furono gli estinti nel fiume Schelda, per essersi rotto il ponte, che i trucidati dal ferro. Dopo questa vittoria parve un fulmine il Villars; ricuperò Saint Amand, Mortagna, Marchiones ed altri luoghi, dove trovò ricchissimi magazzini d'artiglieria, munizioni da guerra e viveri. Ritiratosi dall'assedio di Landrecy il principe Eugenio, col cui valore solamente in quest'anno la fortuna non andò d'accordo, il Villars passò all'assedio della vigorosa città di Douai e del forte della Scarpa. Nel termine di venticinque giorni s'impadronì dell'una e dell'altro; e contuttochè, per le pioggie dirotte che sopravvennero, finite si credessero le sue imprese; pure al dispetto della stagione egli continuò le conquiste col ridurre all'ubbidienza del re Cristianissimo Quesnoi e Bouchain. Dopo di che carico di palme se ne tornò a Parigi. Per tali fatti quanto si rialzò il credito dell'armi franzesi, altrettanto si infievolì quello de' collegati.
Stesesi anche nella Spagna l'armistizio degl'Inglesi, e però il maresciallo di Staremberg rimasto snervato di forze, non potè tentare impresa alcuna di considerazione; e tantomeno dappoichè un grosso corpo di gente, finita la campagna in Piemonte, s'inviò a quella volta pel Rossiglione, dal maresciallo di Bervich, che non fu pigro a soccorrere Girona, assediata già dai cesarei, introducendovi soccorsi di gente e di munizioni. Si trovò lo Staremberg con sì poche forze, perchè abbandonato dagl'Inglesi e Portoghesi, che non potè impedire gli avanzamenti de' Franzesi sino ai contorni di Barcellona: il che l'obbligò sempre a ritirarsi ne' luoghi forti, per aspettare miglior costellazione alle cose sue. Intanto gravissimi erano i dibattimenti nelle conferenze d'Utrecht per le tante pretensioni dei principi interessati [250] in questa gran guerra. Tutti chiedevano o restituzioni o aumento di Stati. Per brighe succedute fra i lacchè dei plenipotenzarii di Francia e di Olanda insorsero gravi puntigli che accrebbero le dissensioni e gli sdegni, ed interruppero i congressi. Pure col vento in poppa continuava la navigazion dei Franzesi, perchè tutto per loro era il conte d'Oxford con gli altri ministri da lui dipendenti. Ma ricalcitravano gli Olandesi, e più senza paragone la corte di Vienna a quanto veniva proposto per giugnere alla pace. Tuttavia i primi, allo scorgere l'Inghilterra assai disposta a stabilire una pace particolare colla Francia, cominciarono a parlar più dolce, con ridursi in fine, siccome vedremo, ad entrar nelle misure prese dalla corte di Londra.
Anno di | Cristo MDCCXIII. Indizione VI. |
Clemente XI papa 14. | |
Carlo VI imperadore 3. |
Anno felice fu il presente per la pace che cominciò a spiegare le ali per molte parti dell'Europa; e se tutta non la pacificò di presente, dispose almen le cose a veder, dopo qualche tempo, restituita dappertutto la pubblica tranquillità. Dopo il dibattimento di tante contrarie pretensioni ed opposizioni, finalmente venne fatto alla corte di Francia di stabilir la pace coll'Inghilterra, Olanda, re di Prussia e duca di Savoia. Nel dì 14 di marzo aveano già i plenipotenziarii inglesi indotte le potenze collegate a convenire nell'armistizio d'Italia, e nell'evacuazione della Catalogna dell'armi alleate. Fu anche, nel dì 26 d'esso mese, accordato dal re Filippo V agl'Inglesi il desiderato privilegio dell'Assiento, e fatta solenne rinunzia dei diritti spettanti ad esso monarca sulla Francia, colla ratificazione di tutti gli Stati de' suoi regni. Dopo questi preliminari nel dì 11 di aprile in Utrecht furono sottoscritti i capitoli della pace fra le corone di Francia e d'Inghilterra; fu riconosciuta la regina Anna per dominante [251] della Gran Bretagna; convalidata la succession della linea protestante in quel regno; accordata la demolizion delle fortificazioni di Dunquerque, ceduta agl'Inglesi l'isola di Terra Nuova nella novella Francia, con altri luoghi dell'Acadia nell'America Settentrionale. Altre capitolazioni furono fatte col re di Portogallo, col re di Prussia, e colle Provincie Unite dell'Olanda; ed altre in fine con Vittorio Amedeo duca di Savoia. Contenevasi in questa, che la Francia restituiva ad esso sovrano tutta la Savoia, le valli di Pragelas, e i forti di Exiles e delle Fenestrelle con altre valli, e castello Delfino, e il contado di Nizza, con altri regolamenti per li confini alle sommità delle Alpi. E perciocchè alla corte d'Inghilterra premeva forte che qualche maggiore ricompensa si desse a questo principe, che avea messo a repentaglio tutti i suoi Stati per sostenere la causa comune; tanto si adoperò, che il re Cattolico Filippo s'indusse a cedergli il regno di Sicilia, e di tal cessione si fece garante anche il re Cristianissimo. Fu anche stipulato, che venendo a mancare la linea del re Filippo, la real casa di Savoia succederebbe nei regni di Spagna; e furono approvati gli acquisti fatti da esso duca nel Monferrato e Stato di Milano. Nel dì poscia 10 di giugno solennemente approvò esso re Cattolico in Madrid la cessione del suddetto regno di Sicilia in favore delle linea della casa di Savoia, conservando solamente il diritto della riversione di quel regno alla corona di Spagna, in caso che mancassero tutte le linee suddette. Finalmente, nel dì 13 di agosto, in Utrecht fu sottoscritta la pace fra sua maestà Cattolica e il prefato duca di Savoia, con ratificar la cessione della Sicilia, e la successione della casa di Savoia nei regni di Spagna, caso mai che mancasse la discendenza del re Filippo V.
In vigore dunque di tali atti il duca Vittorio Amedeo nel dì 22 di settembre venne solennemente riconosciuto in Torino per re di Sicilia con varie feste ed [252] allegrie di quella corte e città; e il principe di Piemonte Carlo Emmanuele prese il titolo di duca di Savoia. Fu allora messo in disputa dai politici, se di gran vantaggio riuscirebbe alla real casa di Savoia un sì nobile acquisto. E non v'ha dubbio che di sommo onore a quel sovrano fu l'avere aggiunto ai suoi titoli il glorioso di re, non immaginario, come quello di Cipri, ma sostanziale col dominio d'una isola felicissima per varii conti, e la maggiore del Mediterraneo, per cui si apriva il campo ad un rilevante commercio marittimo. Contuttociò ad altri parve che se ne veniva un grande onore, non corrispondesse la potenza e l'autorità, per essere troppo staccato quel regno dagli Stati del Piemonte, per l'obbligo di tenervi continuamente gran guernigione sul timore dei vicini Tedeschi padroni del regno di Napoli; giacchè non era un mistero che l'Augusto Carlo VI s'ebbe sommamente a male che fosse a lui tolta la Sicilia per darla ad altri. Io qui tralascio altre loro riflessioni, per dire che i principi ben provveduti di saviezza cesserebbero di essere tali, se, per apprensione delle possibili eventualità, rimanessero di accettar quei dominii che presenta loro la fortuna. Possono anche dopo un acquisto succedere più favorevoli emergenti; e quando anche avvenissero in contrario, ciò che fu fatto sulle prime con prudente riflesso, non può mai divenire taccia d'imprudenza. Ora il nuovo re di Sicilia pensò tosto a portarsi in persona a prendere il possesso di quel regno. Fatti suntuosi preparamenti, passò egli, sul fine di settembre, colla regina moglie, con tutta la sua corte e con molte truppe a Nizza, e quivi sulla squadra dell'ammiraglio inglese Jennings imbarcatosi, nel dì 3 di ottobre indirizzò le vele alla volta di Palermo. Giunto a quel porto, nel dì 10 ricevette dal marchese de los Balbases la consegna delle fortezze, e nel dì seguente fra i giulivi suoni delle campane e gli strepiti delle artiglierie, e fra gli archi trionfali si portò alla cattedrale, dove fu [253] cantato solenne Te Deum. Grandi spese fece per tal viaggio il re Vittorio Amedeo, e tuttochè ricevesse un riguardevol dono gratuito dai Siciliani, pure l'utile non uguagliò il danno; e la sua camera e il Piemonte si risentirono per qualche tempo della felicità del loro sovrano. Seguì poi in Palermo nel dì 21 di dicembre la solenne inaugurazione del re e della regina. Tre giorni dopo si fece la lor coronazione dall'arcivescovo di Palermo, assistito da alcuni vescovi.
Alle paci fin qui accennate desiderava ognuno che si accomodasse anche l'imperador Carlo VI; ma s'era troppo inasprita la corte di Vienna al vedere come abbandonata sè stessa a' collegati, e camminar con vento sì prospero i negoziati della Francia e Spagna; tolta ad esso Augusto la Sicilia; e trovarsi egli forzato ad abbandonare la Catalogna, senza poter ottenere remissione alcuna per quegl'infelici popoli, che rimasero poi sacrificati all'ira del re Cattolico Filippo V. Perciò l'Augusto Carlo, senza considerare ad accordo alcuno colle due nemiche corone, restò solo in ballo, e si diede a studiar i mezzi per non lasciarsi soperchiare dalla potenza e fortuna dei Franzesi, sperando pure di ricavar qualche vantaggio per li Catalani suddetti. Giacchè s'era convenuto ch'egli ritirasse l'armi sue dalla Catalogna, la prima sua cura fu di mettere in salvo l'imperadrice sua consorte, lasciata in Barcellona per ostaggio della sua fede ai Catalani. L'ammiraglio inglese Jennings colla sua squadra di navi andò per condurla in Italia. Giornata di troppo gravi cordogli e di aspri lamenti fu quella in cui l'augusta principessa prese congedo da quel povero popolo. Di grandi speranze, di belle promesse spese ella in tale occasione per calmare l'affanno e lo sdegno dei cittadini facendo specialmente valere il restar ivi il maresciallo di Staremberg colle sue truppe, ch'erano ben poche, e doveano anche fra poco imbarcarsi per venire in Italia. Nel dì 20 di marzo sciolse [254] le vele da Barcellona la flotta inglese, e nel dì 2 d'aprile sbarcò l'imperadrice a Genova, dove con superbi regali e sommo onore fu accolta da quella repubblica. Entrò poscia in Milano nel dì 10 d'esso mese, e quivi, dopo aver preso riposo fino al dì 8 del seguente maggio, ripigliò il viaggio alla volta di Mantova, dove si fermò per tre giorni, e comparve a complimentarla Rinaldo d'Este duca di Modena. Inviossi dipoi verso Lamagna, ricevuta dai Veneziani, e dappertutto dove passò, con insigne magnificenza. Nel dì 22 di giugno il maresciallo di Staremberg stabilì una capitolazione coi commissarii del re Cattolico, per evacuar la Catalogna; e poi ritirate le sue truppe da Barcellona cominciò ad imbarcarle sopra le navi inglesi. Gran copia di barche napoletane furono a quest'effetto spedite colà, e si videro poi giugnere esse milizie a Vado nella Riviera di Genova nel dì 8 e 16 del mese di luglio, da dove passarono a ristorarsi nello Stato di Milano. In essi legni venne ancora gran numero di Spagnuoli, anche delle più illustri case, che tutto abbandonarono, per non rimanere esposti a mali peggiori, cioè alla vendetta del fortunato re Filippo V. Non si può esprimere in che trasporti di rabbia e di querele prorompessero i Catalani, al trovarsi in tal maniera lasciati alla discrezione dello sdegnato monarca. Andò sì innanzi la lor collera, che presero la disperata risoluzion di difendersi a tutti i patti, benchè abbandonati da ognuno, contro la potenza del re Cattolico, e fecero per questo dei mirabili preparamenti. Molto più ne fece la corte di Madrid, la cui armata passò in quest'anno a bloccare la stessa città di Barcellona. A me non occorre dirne di più.
Fra le altre memorabili virtù dell'imperator Carlo VI sempre si distinse quella della gratitudine. Avea egli pertanto portato seco dalla Spagna un generoso affetto verso chiunque s'era in quelle parti dichiarato del suo partito, e dimostrollo poi, finchè visse, verso chiunque [255] si rifugiò sotto le sue ali in Italia o in Germania, con sostenere migliaia di Spagnuoli esuli, non ostante il gravissimo dispendio dell'imperiale e regia camera sua. Pieno di compassione verso gli abbandonati Catalani, bramava pure di sovvenir loro nella presente congiuntura, ed abbisognava eziandio di pecunia per sostenere sè stesso contro le superiori forze del re Cristianissimo, a cui altro nimico non era restato che il solo imperadore. O progettassero i suoi ministri, o ne movesse la repubblica di Genova le dimande, venne egli alla risoluzione di vendere ad essi Genovesi il marchesato del Finale, già feudo dei marchesi del Carretto, e poi passato in potere dei re di Spagna. Fu stabilito questo contratto nel dì 20 di agosto del presente anno, con pagare in varie rate essa repubblica a sua maestà cesarea un milione e ducento mila pezze, ciascuna di valore di cinque lire, o sia di cento soldi moneta di Genova; e con dichiarazione che continuasse quella terra colle sue dipendenze ad essere feudo imperiale. Non si tardò a darne il possesso ai medesimi Genovesi con fama che fossero accolti mal volentieri que' nuovi padroni dai Finalini, e che la real corte di Torino si mostrasse malcontenta di tal novità. Avrebbe essa ben esibito molto di più per ottenere uno Stato tale, non grande al certo, ma di rivelante comodo ai suoi interessi, massimamente dopo l'acquisto della Sicilia. Fu preteso che l'imperadore si fosse riservato il diritto di ricuperare quel marchesato, restituendo la somma del danaro ricevuto; ma di questo non v'ha parola nell'investitura conceduta ad essa repubblica. Gioioso in questi tempi il re Cristianissimo Luigi XIV per essersi sbrigato da tanti suoi potenti nemici, rivolse tutti i suoi pensieri ad obbligar colla forza l'imperadore Carlo VI ad abbracciar la pace, giacchè egli solo vi avea ripugnato fin qui. Unite dunque le sue forze, spinse il valoroso maresciallo di Villars addosso alla rinomata fortezza di Landau nell'Alsazia. Dopo una vigorosa [256] difesa fu costretta quella piazza, nel dì 22 d'agosto, a rendersi, con restar prigioniera di guerra la guernigione. Verso la metà di settembre passò il medesimo maresciallo il Reno, ed imprese l'assedio di Friburgo. Il comandante di quella piazza nel dì primo di novembre si ritirò ne' castelli, lasciandola aperta ai Franzesi, che intimarono tosto ai cittadini la contribuzione d'un milione per esentarsi dal sacco. Nel dì 16 d'ottobre anche le fortezze si renderono ai Franzesi con tutte le condizioni più onorevoli. Dopo tali acquisti si posarono l'armi e cominciarono ad andare innanzi e indietro proposizioni di pace, a cui Cesare non negò l'orecchio, perchè oramai persuaso di non poter solo sostenere sì grande impegno.
Benchè gli affari correnti cospirassero a restituire la pubblica tranquillità all'Europa, e non solamente fossero cessate in Italia le turbolenze della guerra, ma si assodasse maggiormente la quiete per l'incamminamento di varii cesarei reggimenti verso la Germania; pure non mancavano affanni a queste contrade. Dall'Ungheria e Polonia era passata a Vienna la peste, con istrage non lieve delle persone, e cominciò sì fatto orrendo malore a stendere le ali per l'Austria, Baviera ed altre parti della Germania. Attentissima sempre la veneta repubblica alla sanità dell'Italia, e a tener lungi questo morbo desolatore, interruppe tosto ogni commercio col Settentrione, e seco s'unì per li suoi Stati il sommo pontefice. Ma non potè fare altrettanto lo stato di Milano ed altri principi: il che cagionò un grave disordine nel commercio per l'Italia. Volle Dio che prima di quel che si sperava cessasse dipoi questo flagello; laonde cessarono ancora le prese precauzioni. Ebbe in quest'anno materia di lutto la corte di Toscana per la morte del gran principe Ferdinando de Medici, figlio del gran duca Cosimo III, accaduta nel dì 30 del suddetto mese d'ottobre, senza lasciar frutti del suo matrimonio colla [257] principessa Violante Beatrice figlia di Ferdinando elettor di Baviera. Di maravigliose prerogative d'ingegno era ornato questo principe. Non fosse egli mai andato molti anni addietro a gustare i divertimenti del carnevale a Venezia. Fu creduto ch'egli ivi si procacciasse un tarlo alla sua sanità, da cui finalmente fu condotto alla morte. Trovavasi sovente infestato il pontefice Clemente XI dagl'insulti dell'asma, e da altri incomodi di sanità; pure, siccome principe di rara attività, continuamente accudiva ai negozii, e questi non erano pochi. Passavano calde liti fra quella sacra corte e il già duca di Savoia ora re di Sicilia, siccome ancora coi Genovesi e col regno di Napoli, e massimamente coi reggenti dell'appellata monarchia di Sicilia. Il santo padre, siccome zelantissimo della immunità ecclesiastica e dei diritti della santa sede, fulminava monitorii, interdetti e scomuniche: con che effetto, lo dirà a suo tempo la storia della Chiesa.
Ma le occupazioni dell'indefesso pontefice furono interrotte in questi tempi per un imbroglio succeduto in Francia. Forse non piacendo al cardinale di Noaglies arcivescovo di Parigi che il re Luigi XIV avesse preso per suo nuovo confessore un certo religioso, avvertì sua maestà che questi avea spacciato in un suo libro alcune proposizioni poco sane in difesa dei riti cinesi. Ne parlò il re al confessore, il quale rispose, maravigliarsi che il porporato accusasse altrui, quando egli aveva approvato il libro del padre Quesnel, intitolato Il Nuovo Testamento, ec., in cui si trovava gran copia di sentenze giansenistiche. Rapportò il re questa risposta al cardinale, ed egli disse che l'opera del Quesnel era stata corretta, confessando nondimeno che vi restavano tuttavia dieci o dodici proposizioni meritevoli di correzione, e che egli col celebre vescovo di Meaux Bossuet era dietro a prestarvi rimedio. Ciò inteso dal confessore, disse al re: Come, dieci o dodici proposizioni di cattivo metallo? [258] ve n'ha più di cento. E preso l'impegno di mostrarlo, ricavò da quel libro cento ed una proposizioni. Furono poi queste spedite a Roma dal re; e dappoichè sua santità n'ebbe fatto fare un rigoroso esame, le condannò tutte nel dì 10 di settembre del presente anno colla famosa bolla Unigenitus, che poi riuscì seminario d'incredibili dissensioni, appellazioni ed altri sconcerti nel regno di Francia, intorno ai quali io rimetto il lettore ai tanti libri pubblicati su questo emergente. Continuò ancora in quest'anno il male pestilenziale delle bestie bovine, ed assalì varii altri paesi d'Italia. Penetrò nello Stato ecclesiastico e nella Calabria, ed entrò anche nel basso Modenese. Non arrivò questo flagello a cessare, se non nell'anno seguente. Dopo essere dimorato gran tempo in Italia il principe reale ed elettorale di Sassonia, finalmente verso la metà d'ottobre si partì da Venezia, dove avea ricevuti tutti gli onori e divertimenti possibili, inviandosi verso i suoi Stati.
Anno di | Cristo MDCCXIV. Indizione VII. |
Clemente XI papa 15. | |
Carlo VI imperadore 4. |
Con tutti i progressi delle sue armi nell'anno precedente non rallentò il re Cristianissimo Luigi XIV le sue premure, per dar totalmente la pace alla Europa, col condurre in essa anche l'Augusto Carlo VI. Abbisognava eziandio l'imperatore di troncar questo litigio, perchè troppo pericoloso scorgeva il voler solo mantener la guerra con chi s'era potuto sostenere contro tante potenze unite, ed avea ormai ottenuto l'intento di stabilire il nipote in Ispagna. Comunicò il re Luigi le sue premure agli elettori di Magonza e Palatino; e questi mossero la corte di Vienna ad ascoltar le proposizioni della desiderata scambievole concordia. Fu eletto per luogo del trattato il palazzo di Rastat, spettante al principe di Baden, e nel dì 26 di novembre [259] del precedente anno colà comparvero il principe Eugenio per sua maestà cesarea, e il maresciallo di Villars per sua maestà Cristianissima. Per due mesi frequenti furono le conferenze; e non trovandosi maniera di accordar le pretensioni, già parea che si avesse a sciogliere in nulla l'abboccamento, con essersi anche ritirato il principe Eugenio per preparar le armi; quando finalmente si raggruppò l'affare, e nel dì 6 di marzo si giunse a segnar gli articoli della pace, o sia i preliminari della concordia; perciocchè non si poterono smaltire tutte le differenze, e volle l'imperadore che anche l'imperio concorresse alla stabilità d'un atto di tanta importanza. Discese la corte di Francia dall'alto di molte sue pretensioni, perchè ben conosceva vacillanti gli affari in Londra, essendosi mostrati quei parlamenti mal soddisfatti della regina Anna e de' suoi ministri, nè gl'Inglesi ed Olandesi avrebbero in fine sofferto che Cesare restasse vittima della potenza francese. I principali capitoli d'essa pace di Rastat consisterono nella restituzione di Friburg, del forte di Kel e di altri luoghi fatta dalla Francia, che ritenne Argentina, Landau ed altre piazze, indarno pretese da Cesare. Gli elettori di Baviera e di Colonia furono restituiti nel possesso dei loro Stati. I regni di Napoli colle piazze della Toscana e Sardegna, la Fiandra e lo Stato di Milano, a riserva del ceduto al duca di Savoia, restarono in poter dell'imperadore. Fu poi scelta la piccola città di Bada, o sia di Baden, posta negli Svizzeri in vicinanza di Zurigo, per quivi terminar le altre differenze. A poco si ridusse il risultato di quell'assemblea; ed avendo l'imperadore ricevuta la plenipotenza dalla dieta di Ratisbona, non lasciò di conchiudere ivi la pace nel dì 5 di settembre a nome dell'imperio, colla conferma di quanto era stato stabilito in Rastat.
Videsi in tale occasione ciò che tante volte si è provato e si proverà, che chi dei principi minori entra in aderenze [260] coi maggiori nel bollor delle guerre, lusingato di accrescere la propria fortuna, si ha da consolare in fine, e contare per gran regalo, se ottiene la conservazione del proprio; perchè va a rischio anche della perdita di tutto, attendendo i monarchi al proprio vantaggio, e poca cura mettendosi degli aderenti. Perdè il duca di Mantova tutti i suoi Stati. Al duca di Guastalla dovea pervenire il ducato di Mantova: si trovarono più forti le ragioni di chi n'era entrato in possesso. Giuste pretensioni promosse ancora il duca di Lorena sul Monferrato. Con un pezzo di carta, che prometteva l'equivalente, fu pagata la di lui parte. Il duca della Mirandola vide venduto il suo Stato al duca di Modena, e sè stesso costretto a rifugiarsi in Ispagna a mendicar il pane da quella real corte. Fu intimato a Giacomo III Stuardo re cattolico d'Inghilterra di uscire del regno di Francia; e ricoveratosi egli nella Lorena, nè pur ivi trovò sicuro asilo, con ridursi in fine a cercare il riposo fra le braccia del sommo pontefice nella sede primaria del cattolicismo. Si erano mostrati liberali i Gallispani verso di Massimiliano duca ed elettore di Baviera, ora investendolo dei Paesi Bassi da loro perduti, ora di Lucemburgo e di altri paesi, ed ora proponendo di farlo re di Sardegna. In ultimo dovette ringraziar Dio di aver potuto ricuperare gli aviti suoi Stati, ma desolati, e che per un pezzo ritennero la memoria degli sfortunati tentativi del loro sovrano.
A queste metamorfosi finalmente restò soggetta anche la Catalogna, da cui fu forzato l'Augusto Carlo VI di ritirar le sue armi con suo ribrezzo e rammarico indicibile per la compassione a que' popoli, che con tanto vigore e fedeltà aveano sostenuto il partito suo. Già nell'anno addietro avea spedito il re Filippo V l'esercito suo, comandato dal duca di Popoli, a bloccare la città di Barcellona, dove trovò que' cittadini molto afforzati di milizia, e risoluti di spendere piuttosto la vita colle armi in mano, che di tornare sotto [261] l'offeso monarca, da cui temeano ogni più acerbo trattamento. Furono memorabili le imprese da lor fatte in propria difesa, e passò il verno senza veruna speranza che una sì feroce e disperata nazione si avesse da rimettere all'ubbidienza. Fama fu ch'essi Catalani progettassero fino di darsi più tosto alle potenze africane, che di tornare sotto il giogo castigliano. D'uopo anche fu che il re Cattolico Filippo V implorasse l'assistenza dell'avolo re Cristianissimo. Il maresciallo di Bervich, inviato da Parigi a Madrid per condolersi della morte di Maria Lodovica di Savoia regina, accaduta nel febbraio di questo anno, ebbe ordine di offerirsi al servigio di sua maestà Cattolica, che volentieri l'accettò per comandante; e più volentieri ricevette l'esibizione d'un grosso rinforzo, anzi, per dir meglio, di un esercito di milizia franzese. Cominciò nel maggio il formale assedio di Barcellona, e proseguì con calore fino al luglio, in cui, arrivati i Franzesi, maggiormente crebbe il teatro di quella guerra. Alle terribili offese con incredibil coraggio corrisponsero i difensori. Gran sangue costò ogni menomo acquisto di quelle fortificazioni, nè mai quella cittadinanza trattò di rendersi, se non quando vide sboccati nella stessa città gli aggressori. Convenne dunque esporre bandiera bianca; e da che fu promessa l'esenzione dal sacco e la sicurezza della vita, fu consegnata la città ai voleri del re Cattolico. Qual fosse il trattamento fatto a quei cittadini e popoli, non occorre che io lo rammenti. L'isola di Maiorica non per questo volle sottomettersi, e necessaria fu la forza a soggiogarla. Restarono solamente in dominio degl'Inglesi Gibilterra e l'isola di Minorica, dove è Porto Maone, con averne il re Cattolico nel solenne trattato di pace fra la maestà sua e la regina Anna d'Inghilterra, stipulato nel dì 13 di luglio dell'anno precedente, sottoscritta la cessione ad essi Inglesi.
Nel dì 28 d'aprile di quest'anno passò all'altra vita don Vincenzo Gonzaga duca [262] di Guastalla in età di ottant'anni, ed ebbe per successore il principe Antonio Ferdinando suo primogenito. A gravi turbolenze rimase esposta Anna Stuarda regina della Gran Bretagna dopo la conclusione della pace, dichiarandosi mal soddisfatti di lei e del suo ministero i parlamenti per li passati maneggi, e massimamente perchè si credette, o si seppe, ch'ella desiderava per suo successore nel trono il re Giacomo III suo fratello. Cadde perciò in odio e disprezzo di quella nazione, e seguirono in Londra varii tumulti e mutazioni; ma venne la morte a liberarla dai guai presenti nel dì 12 d'agosto; e però pacificamente fu riconosciuto per re di quel potente regno Giorgio Lodovico duca di Brunsvich ed elettore, della cui nobilissima origine e comune stipite colla casa d'Este ho io assai parlato nelle Antichità Estensi. Essendo rimasto vedovo Filippo V re di Spagna, pensò egli di passare alle seconde nozze, e pose gli occhi sopra la principessa Elisabetta Farnese, nata nel dì 25 di ottobre del 1690 da Odoardo principe ereditario di Parma. Oltre a molte rare prerogative d'animo e d'ingegno, e specialmente di pietà, portava questa principessa in dote delle forti pretensioni sopra il ducato di Parma e di Piacenza, ed anche sopra la Toscana, siccome discendente da Margherita de Medici figlia di Cosimo II gran duca. Stabilitosi dunque il reale accasamento, per opera spezialmente dell'abbate Alberoni, residente allora in Madrid pel duca zio di lei, seguì nel dì 16 di settembre in Parma il suntuoso sposalizio d'essa principessa, avendovi assistito il cardinale Ulisse Gozzadini Bolognese, spedito a questo effetto dal papa Clemente XI con titolo di legato a latere, e con accompagnamento magnifico di più centinaia di persone. Francesco Farnese duca di Parma suo zio la sposò a nome di sua maestà Cattolica. Fu poi condotta la novella regina a Sestri di Levante; e quivi preso l'imbarco, senza poter sostenere gl'incomodi del mare sdegnato, fece dipoi la maggior parte del [263] viaggio per terra, e passò in Ispagna a felicitare quella real prosapia. Giunse a Madrid solamente sul fine dell'anno, e nel viaggio diede gran motivo di parlare alla gente, per aver ella animosamente licenziata ed inviata in Francia la duchessa Orsini, che il re le avea mandato incontro con titolo di sua dama d'onore. Quali conseguenze portasse poi questo matrimonio, andando innanzi lo vedremo. Dopo avere Vittorio Amedeo re di Sicilia lasciati in quell'isola molti bellissimi regolamenti pel governo del nuovo regno, ed accresciute le forze tanto di terra quanto di mare in esse contrade, e dopo avere restituita la quiete a quelle terre, dianzi infestate da gran copia di licenziosi banditi, tornossene colla real consorte in Piemonte nell'ottobre di quest'anno, e con gran solennità nel dì primo di novembre fece la sua entrata in Torino. Duravano intanto, anzi ogni giorno maggiormente si accendevano le controversie fra la santa Sede e quel real sovrano, sostenitore risoluto dell'appellata monarchia di Sicilia. Nel novembre di questo anno fece il santo padre pubblicar due formidabili bolle contro i pretesi diritti di quel tribunale. Cagion fu questa lite che non pochi Siciliani si ritirassero a Roma con aggravio non lieve della camera apostolica. Gravissime occupazioni ancora ebbe in questi tempi il sommo pontefice per li torbidi suscitati in Francia dalla bolla Unigenitus, dei quali a me non appartien di parlare.
Anno di | Cristo MDCCXV. Indiz. VIII. |
Clemente XI papa 16. | |
Carlo VI imperadore 5. |
Appena aveva incominciato l'Italia a respirare da tanti disastri, dopo l'universal pace de' monarchi cristiani, sperando giorni ormai felici, quando la repubblica veneta mirò da lungi cominciato fin l'anno addietro un fiero temporale che la minacciava in Levante. Questo era un gran preparamento di [264] gente e di navi che facea la Porta Ottomana, con ispargere varii pretesti di disgusto contra di essi Veneziani; giacchè di questa mercatanzia ne truova sempre nei suoi magazzini chi ha possanza e voglia di far guerra ad altrui. E tanta più ne trovò il sultano de' Turchi, perchè principe non v'ha che, dopo avere suo malgrado perduto qualche Stato, non si senta agitato da interne convulsioni, cioè da un continuo desio di ricuperarlo, se può. Aveano nelle precedenti guerre i Musulmani perduto il regno della Morea, e fattane cessione alla veneta repubblica. Perchè i giannizzeri tuttodì moveano sedizioni, fu creduto da quel divano che alle loro insolenze si metterebbe fine coll'impegnarli in qualche guerra; e che coloro prendessero di mira la suddetta Morea, si vociferava dappertutto. Questa voce nondimeno tal forza non ebbe da addormentare il cauto gran maestro di Malta. Diedesi egli perciò a ben premunire quella città ed isola fortissima, col chiamare colà tutti i cavalieri d'Italia e di altre nazioni, e con fare ogni necessaria provvisione di munizioni da bocca e da guerra, affinchè il Turco, che altre volte avea finta un'impresa, e ne avea poi fatta un'altra, sapesse che si vegliava in quella parte contro i suoi tentativi. Ora in quell'angustia di tempo non lasciarono i Veneziani di far tutto l'armamento possibile per accrescere le lor genti d'armi e le lor forze di mare, e per tutta la Germania si studiarono di ottener leve di gente, non perdonando a spesa e diligenza veruna. Anche il pontefice Clemente XI, commosso dal grave pericolo della cristianità, ricorse all'aiuto del cielo; prescrisse preghiere e orazioni per tutta l'Italia; somministrò sussidii di danaro ai Veneziani e Maltesi, ed approntò le sue galee, per accorrere dove fosse maggiore il bisogno. E perchè parimente veniva minacciata la Polonia, in soccorso di quella inviò dieci mila scudi d'oro. Una anche delle sue prime cure fu di ricorrere a tutti i monarchi cattolici, esortandoli [265] colle più efficaci lettere di concorrere alla difesa de' fedeli contra del tiranno d'Oriente. Intanto si tirò il sipario, e scoprironsi rivolti i disegni del sultano Acmet contra dei Veneziani, con aver egli ingiustamente rotta la tregua stabilita a Carlovitz nel 1699, e per mare e per terra piombò una formidabile armata di Turchi sul Peloponneso, ossia sopra la Morea. Videsi allora una ben dolorosa scena, cioè che nello spazio di un mese la potenza ottomana s'impadronì di tutto quanto la veneta in più anni con tanto dispendio e fatiche avea in quelle contrade acquistato. Corinto, Napoli di Romania, Napoli di Malvasia, Corone, Modone e l'altre piazze di quel regno, tutte caddero in mano degl'infedeli. Fecero alcune buona difesa; ma sì fieri furono gli assalti turcheschi, che sopra gli ammontati cadaveri de' suoi giunsero que' Barbari a superar le fortezze. Altre poi fecero poca o niuna difesa, e i Greci stessi congiurati si gittarono in braccio de' Turchi. Provò allora la repubblica veneta quello ch'è accaduto a tanti altri, cioè che le braccia tradiscono talvolta gli ordini saggi del capo. Si avvide ella, ma tardi, che alcuni dei suoi ministri nella Morea non aveano impiegato il pubblico danaro, come doveano, nel tener completi i presidii e provvedute le piazze del bisognevole. Quel bel paese, quel felice e caldo clima, non si può dire quanto inclini ai piaceri e alla corruttela de' costumi. Senza freno viveano quivi molti degl'Italiani, e di loro si mostravano poco contenti alcuni di que' popoli. Tutto concorse a far perdere sì presto quel delizioso regno; la principal cagione però fu l'esorbitante forza de' Musulmani, a cui non s'era potuto provvedere di alcun valevole ostacolo fin qui. Non finì quest'anno, che, profittando i Turchi dell'amica fortuna, s'impadronirono di altri luoghi ed isole nell'Arcipelago. Parimente i corsari africani, prevalendosi dello scompiglio in cui si trovava l'Italia colle isole adiacenti, [266] ne infestarono più che mai i lidi, e condussero in ischiavitù assaissimi cristiani.
In questi medesimi turbati tempi una altra guerra apertamente si faceva in Sicilia a cagion del tribunale della monarchia. Avendo il sommo pontefice fulminate le censure contro molti di quegli uffiziali e contro altri del regno siciliano, e messo l'interdetto a varii luoghi, il re Vittorio Amedeo, risoluto di sostenere gli antichi usi od abusi che s'erano per più secoli mantenuti dai re suoi antecessori, ordinò che non si rispettassero gli ordini di Roma. Chi negò di farlo trovò pronto il gastigo delle prigioni o dell'esilio. Più di quattrocento ecclesiastici, oltre ad altre persone, o volontariamente o per forza uscirono di quell'isola, rifugiandosi a Roma. Il pontefice in sussidio loro impiegò più di sessanta mila scudi; e tuttochè anche amendue i monarchi di Francia e Spagna con forti uffizii sostenessero le pretensioni del re Vittorio, pure l'intrepido papa nel gennaio e febbraio del presente anno pubblicò due altre costituzioni, colle quali abolì il tribunale suddetto della monarchia di Sicilia: passo che maggiormente accrebbe gli sconvolgimenti di quel regno, e cagionò non lieve affanno al novello re di quell'isola, che abbisognava di quiete per ben assodarsi in quel dominio. Intanto per male di vaiuolo in età di diecisette anni venne a morte in Torino Vittorio Amedeo duca di Savoia suo primogenito nel dì 22 di marzo del presente anno, della qual perdita fu per lungo tempo inconsolabile il re suo padre. Perchè gli strologhi gli aveano predetta la guarigion del figlio, che non si effettuò, ne cadde la colpa sopra i medici, che perciò perderono la grazia del sovrano. Ma Dio gli preservò il secondogenito, cioè Carlo Emmanuele, oggidì re di Sardegna, che gareggia nelle virtù coi più rinomati principi della reale sua casa. Non era meno affaccendata in questi tempi la sacra corte di Roma per le opposizioni insorte in Francia contro la costituzione Unigenitus, e per le controversie [267] de' riti cinesi, proibiti a quei nuovi cristiani. Intorno a questi punti pubblicò l'indefesso pontefice altre costituzioni, dettate dal suo zelo per la purità della dottrina cattolica.
Si godeva intanto il re Cristianissimo Luigi XIV il contento di avere assicurata sul capo del nipote Filippo V la corona di Spagna, e di avere restituita al suo regno la desiderata pace, quando venne Dio a chiamarlo all'altra vita. Era egli giunto all'età di settantasette anni; ne avea regnato settantatrè oltre il costume dei suoi antecessori. Il dì primo di settembre fu l'ultimo del suo vivere, ed egli con intrepidezza mirabile, con sentimenti di viva cristiana pietà e pentimento dei suoi falli lasciò ai suoi discendenti quelle massime più giuste di governo ch'egli talvolta in sua vita dimenticò. Nel bollore spezialmente dei suoi anni gli aveano presa la mano l'incontinenza, lo spirito conquistatorio, senza misurarlo talvolta colla giustizia, e l'ansietà di far tremare ciascuno coi fulmini della sua potenza. Ciò non ostante, pregi sì rilevanti si raunarono in questo monarca per la sua gran mente, per aver nel suo regno procurata la gloria delle lettere, l'accrescimento delle arti e l'utilità del traffico, per la magnificenza delle fabbriche, per aver dilatati ampiamente i confini del suo regno, e sopra tutto protetta la religione de' suoi maggiori, con espurgare dalla gramigna ugonottica i suoi Stati, senza far caso della perdita di tanti sudditi, di tante arti e di tanto oro, in tale occasione asportati, che, secondo l'estimazione comune, giustamente si meritò il titolo di Grande. A questo rinomatissimo monarca succedette il pronipote Luigi XV, oggidì glorioso re di Francia, ma in età troppo tenera, e però incapace di governo, e bisognoso di tutori. Ebbe maniera Filippo duca d'Orleans, nipote ex fratre del re defunto, e primo principe del real sangue, di far annullare dal parlamento di Parigi il regio testamento, e di assumere egli la tutela del picciolo re. Trovò questo principe [268] esausto il regio erario, incolte molte campagne, impoveriti i popoli per le tante guerre passate, ingrassati non pochi colla mala amministrazione delle regie finanze; e siccome pochi si potevano uguagliare a lui nell'elevatezza della mente, si applicò tosto a curare e saldare le piaghe del regno. Ma intorno a ciò a me non conviene di dirne di più. Fece nell'ottobre di quest'anno Giacomo III Stuardo re cattolico della Gran Bretagna un tentativo per rimettersi sul trono della Scozia, con avere il pontefice somministrati quegli aiuti che potè per quell'impresa. Convien chinare gli occhi davanti agli occulti disegni di Dio. Cominciò egli con prosperità, ma terminò con infelicità un sì importante affare. Dopo essersi dichiarata in favor degl'inglesi la fortuna in una giornata campale se ne tornò lo sventurato principe in Francia a deplorar le sciagure di chi s'era dichiarato del suo partito.
Anno di | Cristo MDCCXVI. Indizione IX. |
Clemente XI papa 17. | |
Carlo VI imperadore 6. |
In gravissimi timori ed affanni si trovò immersa l'Italia nel presente anno, che la divina provvidenza fece poi risolvere nel progresso in feste ed allegrezze. Divenuta più che mai orgogliosa la Porta Ottomana per le conquiste con tanta facilità fatte nell'anno precedente, meditava già voli più elevati; e si seppe col tempo che avea formati disegni fin sopra la stessa Roma, essendosi esibito il perfido marchese di Langallerie, ribello del re di Francia, di dar mano all'iniqua impresa. Per farsi scala ai danni dell'Italia, determinò il gran signore Acmet che l'armi sue passassero nell'isola di Corfù, posta in faccia alle estremità del regno di Napoli, e sito comodo per effettuar altre maggiori determinazioni. Quaranta mila tra fanti e cavalli turcheschi fecero sbarco in quella fortunata, ed allora troppo infelice isola, ed impresero tosto l'assedio [269] della capitale, secondati da una sterminata flotta per mare. Aveano anche i Veneziani allestita una poderosa armata navale, ma scarseggiavano di gente, perchè le leve per loro fatte in varii luoghi d'Italia ed oltramonti tardavano a comparire. In questo mentre il pontefice Clemente XI, che aveva già commossi colle più calde preghiere i re di Spagna e Portogallo al soccorso dei Veneti, ebbe sicuri avvisi che il primo invierebbe sei vascelli e cinque galee alle sue spese contra del comune nemico; e il Portoghese fece sciogliere le vele a sei grossi vascelli, e ad altrettanti minori per unirsi alle vele pontificie. Accrebbe il pontefice la sua squadra navale di due galee e di quattro vascelli, coi quali congiunsero ancora i cavalieri di Malta le loro forze, e il gran duca Cosimo III unì con esse quattro galee, due la repubblica di Genova. Impose il pontefice una contribuzione al clero d'Italia; e quanto danaro potè somministrar la camera pontificia e i più facoltosi cardinali, tutto andò in aiuto de' Veneziani e in soccorso dell'imperador Carlo VI. La speranza appunto maggiore del santo padre, dopo la protezione e l'aiuto di Dio, era risposta nelle forze del piissimo Augusto. Certo è che la maestà sua con compassione mirava il terribile spoglio fatto e vicino a farsi dai Turchi delle provincie venete; mirava anche minacciato il suo regno di Napoli dai loro ulteriori progressi; ma non sapea perciò risolversi a sfoderar la spada contra di loro, per sospetto che la corte di Spagna, prevalendosi della congiuntura, in veder impegnate l'armi imperiali in Ungheria, facesse qualche solenne beffa ai suoi Stati d'Italia. Per rimuovere questo ostacolo si affaccendò non poco il sommo pontefice, ed essendogli finalmente riuscito di ricavare del re Cattolico un'autentica promessa di non molestare alcun degli Stati posseduti dall'imperadore durante la guerra col Turco, sua santità si fece garante mallevadore alla corte di Vienna della sicurezza dei cesarei dominii in Italia.
[270]
Con questa fidanza l'Augusto Carlo VI, nel dì 25 di maggio stretta coi Veneziani una lega difensiva ed offensiva non tardò più a dichiarar la guerra al sultano. Un fiorito esercito di gente veterana teneva Cesare tuttavia in piedi, e questo a poco a poco andò sfilando in Ungheria sino ai confini del dominio turchesco. Il comando dell'armata fu dato al celebre principe Eugenio di Savoia, la cui mente, credito e perizia militare si contava per un altro esercito. Trovarono i cristiani un'oste più poderosa di Turchi preparata ai confini, sotto il comando del primo visire, e non solo ben animata alla resistenza, ma che s'inoltrò sino a Petervaradino, e baldanzosamente intimò quel presidio la resa. Furono in quei contorni a vista le due nemiche armate nel dì 5 d'agosto, festa della Beata Vergine ad Nives; e nel tempo stesso che in Roma si facea una solenne processione per implorare il braccio di Dio in favore delle armi cristiane, si venne ad una gran battaglia. Fama fu che l'esercito turchesco contasse centocinquanta mila combattenti, fra i quali quaranta mila giannizzeri e trenta mila spahì. Si azzuffarono dunque nel dì suddetto le due armate nemiche, e si videro i Turchi con ordinanza non più osservata in addietro e con immenso vigore essere i primi all'assalto. Sì fiero fu l'urto loro, che piegarono i reggimenti cesarei, e non mancò apparenza che l'esercito cristiano fosse vicino ad andare in rotta. Ma sostenuto quel primo feroce empito, il prode principe Eugenio fece con tal ordine avanzar le altre schiere, che i nemici, dopo aver fatta una lunga e sanguinosa resistenza, non potendo più reggere alla bravura degli Alemanni, diedero a gambe. Insigne e compiuta fu quella vittoria. Restarono i cristiani padroni del campo, di tutte le tende, di centottanta cannoni di bronzo, di circa altrettante insegne, della cassa militare e della segreteria del primo visire. Del ricco bottino non vi fu soldato alcuno che non partecipasse. Ascese [271] a molte migliaia il numero dei musulmani estinti, poco fu quello dei prigioni. Dal padiglione d'esso visire, che per le ferite andò a morire il dì seguente a Carlowitz, il vittorioso principe Eugenio scrisse tosto e spedì la lietissima nuova all'augusto monarca, il quale poscia mandò a Roma in dono al sommo pontefice quattro delle più ricche bandiere prese ai nemici. Non istette gran tempo a gustarsi del frutto di questa vittoria.
S'erano già inoltrati di molto gli approcci de' Turchi sotto la città di Corfù, ed aveano essi senza risparmio di sangue superate le più delle fortificazioni esteriori. Entro stava alla difesa il conte di Schulemburg, primo generale dell'armi venete, che mirabili pruove diede del suo saper militare, a cui corrispondeva con egual valore la guarnigione cristiana con disputare a palmo a palmo ogni progresso dei nemici. Contuttociò assai si prevedeva che a lungo andare non si potea sostenere una piazza assalita con incredibile sprezzo della morte dagl'infedeli, e priva di speranza di soccorso. Perciocchè s'era ben volta a quelle parti l'armata navale combinata de' Veneziani e degli ausiliarii; ma, per la conoscenza delle forze superiori de' nemici, non sapevano i più dei generali indursi a battaglia, ed ognuno facea conto delle sue belle navi. La mano di Dio vi rimediò. Appena giunse agli assediatori di Corfù l'infausto avviso della grande sconfitta de' suoi in Ungheria, che entrato in essi un terror panico, come se avessero alle reni il sì lontano vittorioso esercito, subito presero la fuga. Lasciarono indietro artiglierie, cavalli, bagagli e munizioni; solo si pensò a salvare le vite. Gran dire fu, perchè la flotta cristiana in quel grave scompiglio degli atterriti musulmani non volasse ad assalirli, giacchè sicura ne parea la vittoria. La verità nondimeno si è, che si allestirono bensì i collegati per inseguire i fuggitivi, ma in tempo che, sorta una fiera burrasca, convenne pensar più a difendere sè stessi dall'ira del mare che ad [272] offendere altrui. Per lo felice scioglimento di questo assedio non si può dire quanta allegrezza si diffondesse nel cuore di tutti gl'Italiani ben conoscenti che terribili conseguenze avrebbe portato seco la perdita di un'isola forte, sì contigua alle contrade d'Italia. Ricuperarono dipoi i Veneti Butintrò e Santa Maura.
Qui nulladimeno non terminò il comune giubilo dei fedeli. Erano passati cento sessanta anni che la città di Temiswar sofferiva il giogo turchesco, città attorniata da paludi, munita di buone fortificazioni, custodita da un numeroso presidio. A cagion di quelle appellate Palanche difficilissimo compariva l'accesso alla piazza. Pure nulla potè ritenere l'invitto principe Eugenio dall'imprenderne l'assedio, a cui fu dato principio nel primo dì di settembre. Nel dì 23 si presentò un esercito turchesco per dar soccorso alla piazza; ma ritrovati ben trincierati gli assedianti, se ne tornò indietro, sminuito molto di numero. Bisognò impiegare il resto del mese per disporre tutto a superar la Palanca, cioè il sito paludoso, fortificato da grossissimi pali, per cui convien passare alla città. Se ne impadronirono i cristiani nel dì primo di ottobre non senza spargimento di molto sangue, e si diedero poi a bersagliare la città e il castello, cinto da doppia fossa piena di acqua. Nel dì 13 di esso mese, perduta ogni speranza di soccorso, non volle quel presidio differire la resa, ed ottenne libera l'uscita per sè e per tutti gli abitanti col loro avere: capitolazione che fu religiosamente osservata, con essersi provveduto a quel popolo un migliaio di carra per asportar le loro sostanze. Ne uscirono dodici mila armati, e trovaronsi in quella piazza cento trentasei pezzi di cannone e dieci mortari, con abbondante raccolta di munizioni da guerra. Per sì gloriosa campagna Roma e tutta l'Italia si videro tripudianti di gioia, e dappertutto si tessevano elogii all'invincibile principe di Savoia, al quale il pontefice nel dì 8 di novembre fece presentare in Giavarino [273] la spada benedetta in riconoscenza ed onore del suo incomparabil valore. Coll'acquisto di Temiswar, a cui tenne dietro quello di Panscova, Vipalanca e Meadia, tutto quel riguardevol bannato venne in potere di Cesare. Fu in questo, anno che calò in Italia incognito Carlo Alberto principe elettorale di Baviera, cioè il medesimo che da qui ad alcuni anni noi vederem poi conseguire la corona imperiale. Dopo avere nel mese di marzo ricevuto questo principe in Modena dal duca Rinaldo di Este ogni dimostrazione di onore, passò a Bologna per visitare la gran duchessa Violante sua zia, che s'era apposta portata colà. Andò egli poscia a Roma dove il santo padre colle maggiori finezze lo accolse.
Anno di | Cristo MDCCXVII. Indizione X. |
Clemente XI papa 18. | |
Carlo VI imperadore 7. |
Se nell'anno precedente s'era mostrata sì avversa la fortuna all'armi turchesche, sperò ben nell'anno presente il sultano Acmet di riparare i danni sofferti; al qual fine impiegò tutto il verno e la primavera per adunare un potentissimo esercito, a cui da gran tempo non s'era veduto l'uguale. Dal suo canto anche l'Augusto Carlo VI notabilmente rinforzò le sue armate in Ungheria, inferiori senza paragone nel numero, ma superiori in disciplina militare e in coraggio ai nemici. Minore non fu la vigilanza della repubblica veneta, per aumentar le sue forze di mare. Loro somministrò papa Clemente XI la squadra delle sue galee con quelle di Malta e del gran duca, ed ottenne di nuovo da Giovanni re di Portogallo undici grossi e ben corredati vascelli. Anche il re Cattolico Filippo V fece credere d'inviare in soccorso dei Veneziani sedici suoi vascelli, che poi si scoprirono destinati ad altra impresa. Tardi giunsero ad unirsi gli ausiliarii colla flotta veneta, la quale perciò sola fu obbligata a sostener tutto il peso della guerra, [274] e ciò nonostante s'impadronì della Prevesa, di Vanizza e d'altri luoghi, già occupati dai Turchi. Nel maggio e poscia nel luglio vennero essi Veneti alle mani coi nemici, e si combattè con gran sangue e valore da ambe le parti, senza che la vittoria si dichiarasse per alcuna di esse. Tanto almeno si guadagnò, che l'orgoglio turchesco calò, e restò precluso ogni adito agl'infedeli, per far nuove conquiste contra dei Veneti. Non così avvenne alle felicissime armi cesaree in Ungheria, guidate dall'impareggiabil generale di questi tempi, cioè dal principe Eugenio di Savoia. Meditava già il magnanimo eroe l'assedio di Belgrado, capitale della Servia; però nel dì 15 giugno sollecitata l'unione e marcia del prode cristiano esercito, per prevenire quello dei Turchi, felicemente passò il Danubio, e nel dì 19 arrivò ad accamparsi intorno a quella città, fortissima per la situazione e per le fortificazioni sue, e che sembrava inespugnabile per l'aggiunta di un presidio che più ragionevolmente si potea chiamare un esercito. Si formarono ponti sul Danubio e sul Savo; si fecero le linee di circonvallazione, e si cominciò a disputar coi nemici tanto nel gran fiume, dove essi abbondavano di galere e saiche, quanto per terra, facendo quei di dentro impetuose sortite. Solamente nel dì 23 luglio cominciarono le artiglierie e i mortari le terribili offese contro la città; e perciocchè le sue contrade sono strette, e le case mal fabbricate, il fuoco delle bombe cagionava frequenti gl'incendii.
Ma eccoti giungere lo sterminato esercito de' Musulmani, creduto ascendere a ducento mila combattenti, sul principio di agosto, e piantare il suo campo per gran tratto di paese, arrivando dal Danubio quasi fino al Savo, con occupare, in faccia dell'armata cristiana, tutto il piano e le colline. Era un bel vedere in lontananza disposte le innumerabili loro tende rosse e verdi con quantità immensa di gente, cavalli e carriaggi. In vece che di recar terrore ai cristiani, [275] quello spettacolo accresceva loro la gioia per la speranza di divenir padroni di tutto. S'era ben trincierato l'esercito cesareo, e, a riserva delle scaramuccie giornaliere, niun movimento faceva quello de' Turchi. Indarno si sperò che per mancanza di foraggi si ritirasse quella gran moltitudine di cavalli; e intanto le dissenterie cominciarono a far guerra alle milizie cristiane, talmente che ogni dì le centinaia si portavano al sepolcro. Di ottanta mila guerrieri alemanni, che dianzi era l'armata, si vide essa ridotta a sessanta. Fu in questo tempo che non solo i saccenti in lontananza, ma non poca parte degli uffiziali dell'oste cesarea, non sapendo intendere i segreti pensieri del principe Eugenio, o ne condannarono in lor cuore la condotta, o ne predissero sinistre conseguenze. Miravano essi l'imperiale esercito in quella inazione, posto fra due fuochi, cioè fra un'armata nemica in campagna tanto superiore di forze dall'un lato, e dall'altro una piazza che teneva impegnato un gran corpo di truppe cristiane nell'assedio. Maniera di vincere Belgrado non appariva; intanto ogni di più veniva scemando l'esercito cesareo; grande il numero de' malati; troppo pericoloso il tentare una battaglia contro di oste sì poderosa e ben trincierata, e con avere alle spalle l'esorbitante guernigion di Belgrado, che potea mettere in forse ogni tentativo dall'altra parte. Non erano occulti al generoso principe questi divisamenti, e le doglianze sotto voce di chi invidiava la sua gloria, o odiava la sua autorità. Lasciava egli dire, e come gran capitano sapeva le ragioni di così operare. Spacciavano i Turchi per debolezza il sì lungo ozio dell'armata cesarea, e si seppe che già meditavano essi di venirla ad assalire nel suo accampamento, quando all'improvviso si trovò ella assalita e sorpresa fra i suoi forti trincieramenti.
Il dì 16 di agosto fu destinato dal principe Eugenio, e secondato da' favori del cielo, per fiaccare le corna all'orgoglio [276] ottomano. Nel cristiano esercito militavano il principe elettoral di Baviera Carlo Alberto, già ritornato dall'Italia, il principe Ferdinando suo fratello, il principe Emmanuello di Portogallo, il conte di Charolois, il principe di Dombes Franzesi, ed altri principi di Sassonia, di Anhalt, di Holstein e di Wirtemberg. La mattina per tempo furono in ordinanza tutte le schiere, e si mossero alla volta del campo infedele. L'essere insorta una folta nebbia, per cui non veduti pervennero i cristiani fin presso alle nemiche trincee, fu non ingiustamente attribuito alla protezion del cielo. Attaccossi il terribil conflitto; per cagion dell'oscurità nè gli uni nè gli altri intendevano bene ciò che fosse vantaggioso o dannoso; quando tornò il sereno, e s'avvidero i cesarei che i Turchi usciti da' trincieramenti aveano tagliata la comunicazione fra le due ale della loro armata; allora con grande empito si scagliarono i valorosi cristiani contro di loro; rovesciarono fanti e cavalli; s'impadronirono delle loro batterie. Ve ne restava una di diciotto pezzi sostenuta da venti mila giannizzeri e da dieci mila spahì. Tutto cedette alla bravura de' cesarei; i Turchi non pensarono da lì innanzi che a menar le gambe. Usciti del campo si tornarono a raggruppare; ma, vedendo disperato il caso, ripigliarono la fuga. Aveva ordinato il saggio cesareo generale sotto rigorose pene che niuno attendesse a bottinare, promettendo la conservazion di tutto ai soldati, da che fosse terminata con sicurezza l'impresa. Mantenne la parola; e per schivare il disordine, ordinò che si facesse partitamente il sacco. Vi si trovò il ben di Dio. Spese incredibili avea fatto il sultano per provveder quella grande armata. A Cesare restarono cento e trenta cannoni, trenta mortari, tre mila bombe, con altra gran copia di attrezzi, di munizioni, di stendardi. Non si seppe, o non curò alcuno di sapere, quanta fosse la perdita de' nemici. Probabilmente fu molta. Chi scrisse uccisi più di venticinque [277] mila Turchi e fatta gran copia di prigioni, prestò troppa fede alla fama, solita ad ingrandire le cose. Solamente sappiamo essere restati sul campo circa due mila cesarei, e che ascese a più di tre mila il numero de' feriti. Con questa insigne vittoria spirò entro la città di Belgrado ogni speranza di soccorso; e però nel dì seguente 17 di agosto la guernigion turchesca e gli abitanti dimandarono capitolazione. Niuna difficoltà si trovò ad accordar loro quanto richiesero di onore e di comodo; e conseguentemente nel dì 22 ne uscirono venticinque e più mila armati, o capaci di portar le armi, colle lor famiglie e sostanze. Trovaronsi nella città e castello cento settantacinque cannoni di bronzo, venticinque di ferro, cinquanta mortari; sopra le fregate e saiche cento e due cannoni di bronzo, e ottantaquattro di ferro, oltre ad altri restati nell'isola, senza parlare di altre munizioni da guerra. Non tardarono i Turchi ad abbandonare Semendria, Ram, Sabatz ed Orsova, lasciando ancora in que' luoghi non poca artiglieria. Non mancarono censori, perchè non mancavano invidiosi ed emuli, al glorioso principe Eugenio, a cagion della battaglia suddetta, quasichè egli avesse esposto ad evidente pericolo di perdersi tutto il nerbo delle forze cesaree. Avrebbero detto lo stesso di Alessandro Magno, che con meno di gente fece tante prodezze. Nè pure il principe di Savoia avea bisogno d'imparar da costoro il mestier della guerra.
Tanta felicità dell'armi cesaree in Ungheria incredibil consolazione recò a chiunque ha interesse nella depressione del comune nemico. Ma questa venne stranamente turbata da un emergente, per cui gran romore fu per tutta l'Europa. All'abbate Giulio Alberoni piacentino era tenuta la regina Cattolica Elisabetta Farnese per la sua assunzione a quel talamo e trono: sì destramente e fortunatamente seppe maneggiarsi alla corte di Madrid. Compensava questo personaggio [278] la bassezza de' suoi natali coll'elevazion della mente, piena di grandi idee, intraprendente, costante nell'esecuzion de' suoi disegni. L'energia del suo spirito, e più la parzialità della regina lo aveano perciò portato alla confidenza e al principal maneggio del real gabinetto. A colmarlo d'onore gli mancava la sola porpora cardinalizia, e per ottenerla indusse il re Cattolico a rimettere in pristino tutti i diritti della pontificia dateria, e il commercio fra la santa Sede e la Spagna, interrotto da molti anni. Fece inoltre sperare al pontefice Clemente XI un magnifico stuolo di navi spagnuole in soccorso de' Veneti contra del Turco. In ricompensa di queste belle azioni il santo padre promosse alla sacra porpora l'Alberoni, benchè nel sacro concistoro declamasse forte contra di lui il cardinale Francesco del Giudice, troppo disgustato, perchè cacciato per opera di lui dalle Spagne. Sul principio di quest'anno vennero avvisi che il re Cattolico Filippo V facea grande armamento, con accrescere le sue forze di terra e di mare. A qual fine non si sapea. Si fece credere a Roma essere le mire di quel monarca contra de' Mori, per ricuperare Orano, e far altri progressi in Africa: con che quella corte ottenne le decime del clero per tutti i suoi regni. Insospettito nulladimeno il papa di questa novità, ne fece doglianze; ma assicurato da Francesco Farnese duca di Parma, e da' cardinali Acquaviva ed Alberoni, che niuna novità si farebbe contra di Cesare, si quetò. Ma che? quando pure s'aspettava di giorno in giorno dal pontefice, che comparisse la flotta spagnuola nei mari d'Italia per passare in Levante, essa nell'agosto voltò le prore alla Sardegna, e si appigliò all'assedio di Cagliari, capitale di quella isola. Trovaronsi quivi deboli i presidii cesarei, perchè, affidati i ministri alla parola del papa, niun timore concepivano per quella parte; però, fattasi poca difesa da quella città, tutto il resto dell'isola si vide inalberar le insegne del re Filippo.
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Qui fu che si scatenarono le lingue di tutti gli zelanti del bene della cristianità, gridando essere questo un enorme attentato della corte cattolica contro le promesse fatte al romano pontefice, che s'era renduto mallevadore di ogni sicurezza per gli Stati austriaci. E perciocchè esso re Cattolico prese motivo di rompere la guerra dall'essere stato nei precedenti mesi in Milano fatto prigione monsignor Giuseppe Molines, dichiarato supremo inquisitor di Spagna, che alla buona, e senza aver cercato alcun passaporto da Roma, era passato colà, creduto da' ministri cesarei per cervello imbrogliatore; gridavano i politici essere questo un mendicato pretesto, perchè tanto prima avea con sì grande armamento la corte di Madrid fatto conoscere il suo disegno di prevalersi contro l'augusto monarca della opportunità, mentre l'armi di lui si trovarono impegnate contra del Turco, nè potere il privato interesse del Molines giustificare la pubblica rottura, e che si avea a fare ricorso al papa, per rimediare a quella privata controversia. I più finalmente prorompevano in indignazioni contra di un re Cattolico, quasichè egli, dimentico della sua innata pietà, sembrasse essere divenuto collegato col Turco e fosse dietro a frastornare la prosperità dell'armi cristiane contra del comune nemico. Andavano poi a finir tutte le esclamazioni addosso al cardinale Alberoni, primo ministro, siccome creduto autore di questo tradimento fatto alla cristianità e al sommo pontefice. Ma intanto la Sardegna andò, e la corte di Spagna più che mai s'invogliò di maggiori progressi. Nel marzo dell'anno presente arrivò a Modena, sotto nome di cavalier di San Giorgio, il cattolico re inglese Giacomo III Stuardo, essendogli convenuto ritirarsi fuori del regno di Francia. Dopo avere ricevuto le maggiori dimostrazioni di stima e di affetto dal duca Rinaldo d'Este suo zio materno, passò a ricoverarsi negli Stati della santa Sede, e per albergo [280] suo gli fu assegnata dal sommo pontefice la città d'Urbino.
Anno di | Cristo MDCCXVIII. Indizione XI. |
Clemente XI papa 19. | |
Carlo VI imperadore 8. |
Per le inaspettate novità fatte dal re Cattolico coll'acquisto del regno di Sardegna, s'era vivamente alterata la corte di Vienna contra del sommo pontefice, dalla cui parola confortato avea l'Augusto Carlo VI impugnate l'armi a difesa della cristianità. Anzi traspirava nei ministri cesarei qualche sospetto, che lo stesso pontefice camminasse d'accordo con gli Spagnuoli, sì per le decime loro concedute, come anche per essere nell'anno 1716 venuto improvvisamente da Madrid a Roma monsignore Aldrovandi Bolognese, nunzio apostolico, quasichè fosse stato spedito per concertare quanto dipoi era avvenuto in pregiudizio dell'imperadore. Aggiugnevano, non essere probabile che esso nunzio ignorasse i disegni di quella corte: e perchè non avvisarne il gabinetto pontifizio? All'onoratezza del santo padre fu ben sensibile ed insieme ingiurioso un sì fatto sospetto. Ora non tardarono a comparire i segni dello sdegno di Cesare contro la sacra corte di Roma. Al nunzio apostolico di Vienna fu vietato l'accesso alla corte, e il trattar di negozii con quei ministri. A monsignor Vicentini, altro nunzio in Napoli, dal vicerè fu intimato l'uscire di quella metropoli e del regno nel termine di ventiquattro ore; si precluse affatto ogni esercizio di quella nunziatura; e quel che maggiormente allarmò e riempiè di lamenti Roma, fu, che vennero sequestrate le rendite di tutti i benefizii che varii cardinali e molti prelati non nazionali, ed abitanti in Roma, godevano nel regno di Napoli. Nè in questa sola tempesta si trovava il buon pontefice Clemente XI. Anche in Francia nei tempi presenti una brutta piega aveano preso gli affari della costituzione Unigenitus. Fioccavano da ogni parte le appellazioni [281] ai futuro concilio, e tutto era permesso a chi non voleva sottomettersi ai decreti della santa Sede. Oltre a ciò, perchè nel precedente anno milord Peterborough coll'andare girando per gli Stati della Chiesa, avea fatto sorgere sospetti di macchinar qualche violenza contra del cattolico re britannico Giacomo III Stuardo, soggiornante in Urbino, e fu perciò dal cardinale Origo legato di Bologna mandato prigione in forte Urbano, benchè fosse fra poco liberato, pure la nazione inglese suscitò per tale affronto di gravi querele contra del santo padre. Minacciavano essi, se non si dava loro un'adeguata soddisfazione, e di bombardare Cività Vecchia, e d'inferire altri danni al litorale ecclesiastico e alla stessa Roma. Anche dalla parte della Spagna si mosse un'altra burrasca. Avea l'adirato Augusto fatta istanza al pontefice che si richiamasse di Spagna il cardinale Alberoni a render conto dei pretesi perniciosi consigli dati al re Cattolico Filippo V, e dell'inganno fatto alla santa Sede nell'anno addietro. Tali forze non aveva il pontefice per tirar di colà l'Alberoni; e se le avea, non gli parve spediente di adoperarle nelle presenti congiunture. Fece nondimeno comparire il suo sdegno contra di lui. Conosceva esso porporato di avere il vento in poppa, e volea prevalersene. Già avea conseguito il vescovato di Malega. Poco era questo al suo merito; si fece nominare dal re Cattolico al ricco arcivescovato di Siviglia; ma il santo padre stette saldo in negargliene le bolle. Se ne offese quel monarca; vietò anch'egli ogni commercio colla sua corte al nunzio apostolico Aldrovandi, il quale senza licenza del papa si ritirò in Italia alla patria sua. Richiamò per mezzo del cardinale Acquaviva tutti gli Spagnuoli dimoranti in Roma; proibì ai suoi sudditi il cercare alcun benefizio o pensione dalla Sede apostolica con esorbitante danno della dateria. Non ci volea meno di Clemente XI, cioè di un piloto di grande animo, e di non minor saviezza, per navigare in mezzo a tanti [282] scogli e a sì contrarii venti. Ma egli confidato in Dio non punto si atterriva, e seguitava con vigore continuo ad applicarsi agli affari con isperar giorni migliori.
Fin l'anno addietro tal costernazione era entrata nel turchesco divano per la perdita di Belgrado, e per l'apprensione delle vittoriose armi cesaree, che cominciò il sultano Acmet a muovere parola di pace con sua maestà cesarea. Il ministro del re britannico Giorgio alla Porta fu incaricato di trattarne. Vi prestò orecchio l'imperador Carlo; ma suo malgrado, perchè gli stava sul cuore la rottura della guerra dalla parte degli Spagnuoli, nè si potea credere che alla loro avidità e fortuna fosse sufficiente preda la Sardegna. Si osservò nondimeno sul fine dell'anno presente scemato di molto l'ardore dei Turchi per la progettata pace, o vogliam dire tregua; e non per altro se non per gli avvisi colà giunti di avere il re Cattolico dato all'armi contro dell'augusto monarca. Contuttociò da che seppe il sultano il magnifico preparamento di forze guerriere fatto in quest'anno ancora non meno da Cesare che dalla Veneta repubblica, per continuare più che mai la guerra, ripigliarono con calore i negoziati della pace colla mediazione dei ministri d'Inghilterra e d'Olanda. Per luogo del congresso fu scelto Passarovitz nella Servia, dove si raunarono i plenipotenziarii dell'imperadore, della suddetta repubblica e della Porta. Al compimento di questo negoziato non si potè giungere se non nel dì 27 di giugno, nel qual giorno furono sottoscritti gli articoli della concordia di Cesare e dei Veneziani colla Porta Ottomana, consistenti in una tregua di ventiquattro anni. Restò l'imperadore in possesso di tutte le conquiste fin qui da lui fatte, cioè della Servia con Belgrado, di Temisvar, di una particella della Valacchia, con altri vantaggi, che a me non occorre di rammentare. Ai Veneziani restarono Butintrò, la Prevesa, Vonizza, Imoschi, le isole di Cerigo, con altri vantaggi, ma non compensanti [283] in menoma parte la perdita del bel regno della Morea. Fino ai nostri giorni dura l'indignazione dei cristiani zelanti contra di chi obbligò l'Augusto Carlo VI e la repubblica veneta alla pace o tregua suddetta. Da gran tempo non s'era veduta più bella apparenza di dare una forte scossa all'imperio ottomano. Avea Cesare in piedi una fioritissima armata con un generale incomparabile, colle milizie tutte incoraggite per le precedenti vittorie; laddove i Turchi erano spaventati, avviliti e sull'orlo di maggior precipizio.
Fama corse che il principe Eugenio avesse meditato, non già d'inviarsi alla volta di Costantinopoli, ma d'inoltrarsi per quella strada, e poi rivolgersi verso Tessalonica, o sia Salonichi, per darsi mano coi Veneziani, e tagliar fuori un buon pezzo del paese turchesco. Se ciò è vero, e se questo fosse riuscito, si può disputarne; ma bensì è fuor di dubbio che dalla mossa dell'armi spagnuole provenne la necessità di pacificarsi colla Porta, mentre era minacciato d'invasione tutto il dominio austriaco in Italia. Perchè fu differita per molte settimane la pubblicazion della pace suddetta, il generale de' Veneziani Schulemburg si portò all'assedio di Dolcigno, nido infame di corsari. Nel dì 24 di luglio convenne desistere dalle ostilità, perchè giunse l'avviso della pace. Ma nel volersi ritirare, i Veneti furono inseguiti dai Dulcignotti, e bisognò menar ben le mani. Crebbe in questi tempi la mormorazione contra del cardinal Alberoni, perchè furono pubblicate alcune lettere, che si dissero intercette, scritte al principe Ragozzi, ribello e nemico di Cesare, affinchè fosse mezzano a stabilire una lega fra il re Cattolico e il sultano Acmet, di modo che dalla parte ancora de' Turchi si facesse guerra all'imperador de' Romani. Chiunque riputava esso porporato di forte stomaco, e portato ad ogni maggior risoluzione che potesse influire all'ingrandimento della corona di Spagna, non ebbe difficoltà [284] a tener per certo quel progetto di alleanza. Ma ad altri parve esso troppo inverisimile, perchè contrario al pregio della pietà che risplendeva nel cattolico monarca Filippo V, e all'uso lodevole dei gloriosi suoi antecessori, i quali mai non hanno voluto tregua, non che lega, con un nemico del nome cristiano.
Intanto proseguiva la corte di Spagna il suo grandioso armamento, e in Sardegna si facea massa delle genti, artiglierie, munizioni e navi. Verso qual parte avesse a piombare la preparata tempesta, niun lo poteva prevedere di certo. Chi credea per li porti della Toscana posseduti da Cesare, chi per Napoli, e chi per lo Stato di Milano. Spezialmente si dubitò dell'ultimo, perchè il re Vittorio Amedeo avea fatto venir di Sicilia un grosso convoglio di munizioni e truppe; campeggiava anche con molta gente ai confini del Milanese; e non era occulto che passava fra lui e il re Cattolico non lieve intrinsichezza; s'era anche combinato fra loro un trattato di lega. Ma niun si trovò più deluso dello stesso re di Sicilia, perchè all'improvviso s'intese che l'armata navale spagnuola, alzate le ancore, dalla Sardegna era passata alla Sicilia stessa per insignorirsene. Risvegliossi allora un gran bisbiglio, gridando i poco parziali della Spagna, vedersi oramai quanto possa in cuore di alcuni potenti del secolo la smoderata voglia del conquistare. Non essere gran tempo che con solenne pace e solenni giuramenti avea la corte di Spagna ceduta la Sicilia al re Vittorio; nulla avere mancato questo real sovrano ai patti; e pure senza scrupolo alcuno, e dopo le maggiori dimostrazioni di amicizia, essere procedute l'armi spagnuole a spogliarlo di quel regno. Se così si opera (andavano essi dicendo), dove è più la pubblica fede, e chi ha più da credere ai regnanti? Fece anche questa novità sempre più sparlare del porporato primo ministro di Spagna, a cui si attribuivano tutti gl'impegni di quella corte. Tuttavia non mancò essa corte di pubblicare [285] un manifesto, con cui studiò di dare qualche colore alla presa risoluzione sua, ma intorno a cui non appartiene a me di proferir giudizio. Ora nel dì ultimo di giugno pervenuta l'armata spagnuola in faccia di Palermo, giacchè non v'era luogo alla difesa di quella fedelissima città, i magistrati ne portarono le chiavi al generale spagnuolo, e con incessanti acclamazioni di gioia fu quivi proclamato il re Filippo V. Erasi quivi ritirato il conte Annibale Maffei Mirandolese, vicerè di quel regno, con lasciar presidio nel castello, che fra pochi dì venne in poter degli Spagnuoli. Rinforzò esso conte colle milizie ricavate da Palermo, Cattania ed Agosta i presidii di Siracusa, Messina, Trapani e Melazzo, e fece ricoverare in Malta le galee del suo padrone. Essendo ritornata in Sardegna la flotta spagnuola per imbarcare il resto delle milizie, con esse sbarcò dipoi in Sicilia il marchese di Leede Fiammingo, generale di terra del re Cattolico, che poi fece maraviglie di condotta e valore in quell'impresa. Intanto Cattania col castello fu presa, e bloccata la città di Messina, dove, dopo essere entrate l'armi spagnuole, cominciarono le ostilità contra di quei castelli. Fu anche messo il blocco a Melazzo e a Trapani. In somma pareano disposte tutte le cose, per vedere in breve tornata tutta la Sicilia sotto la signoria del re Cattolico; e sarebbe succeduto, se non fossero entrati in iscena altri potenti a rompere le misure della Spagna.
Non dormiva l'imperador Carlo VI, e molto meno i suoi ministri di Napoli e Milano, i quali dacchè cominciò a scoprirsi il mal animo degli Spagnuoli, non aveano cessato di far gente e di preparar munizioni per ben accogliere chi si fosse presentato nemico. S'erano anche mosse le potenze marittime come garanti della cessione della Sicilia, ed obbligate a sostener anche l'imperadore negli acquisti suoi. A nome del re britannico Giorgio I fece lo Stenop suo ministro a Madrid varie doglianze e proteste, con rappresentare [286] sopra tutto l'obbligo e la determinazione dell'Inghilterra di difendere i suoi collegati; al qual fine si preparava una poderosa squadra di vascelli. Più alto, all'incontro, parlò il cardinale Alberoni, e diede assai a conoscere che poca impressione in lui faceano somiglianti bravate. Servirono poscia le altrui minaccie a far maggiormente affrettare la spedizione contro la Sicilia, colla speranza di vederla conquistata tutta prima che comparissero in quelle parti le vele inglesi. Intanto il re Vittorio Amedeo si rivolse tutto all'imperadore e alle suddette potenze marittime. Trattossi in Londra della maniera di mettere fine a queste turbolenze; e perciocchè si conobbe non aver forza esso re Vittorio per la difesa della Sicilia, nè l'imperadore si sentiva voglia, per far piacere a lui, di sposar questo impegno; e massimamente perchè egli s'era avuto a male che quell'isola, tanto necessaria alla conservazion del regno di Napoli, fosse a lui tolta, e data a chi non vi avea sopra ragione alcuna, nel dì 2 d'agosto fu formato in Londra il piano d'una pace da proporsi al re Cattolico, la quale se non fosse accettata, tutte quelle potenze s'impegnavano di adoperare l'esorcismo della forza per farla accettare. In questa risoluzione concorse ancora il Cristianissimo re Luigi XV, o, per dir meglio, Filippo duca d'Orleans reggente di Francia; giacchè la corte di Madrid avea già cominciato a sfoderar pretensioni contro la tutela del piccolo re, e a dichiarare inefficaci e nulle le rinunzie fatte dal re Filippo ai proprii diritti sulla corona di Francia: cose tutte che alterarono forte esso duca reggente, e gli altri principi del sangue reale. Portavano le risoluzioni della proposta concordia, fra l'altre cose, che la Sicilia si avesse da cedere a sua maestà cesarea, e che, in ricompensa di tal cessione, si dovesse cedere il regno di Sardegna al re Vittorio Amedeo: cambio sommamente svantaggioso, a cui quel real sovrano per un pezzo non seppe accomodarsi, ma [287] che in fine, consigliato dalla prudenza, la quale si ha da conformare alle condizioni dei tempi, per non potere di meno, egli approvò. Trattossi quivi parimente della eventual successione dei ducati di Parma e Piacenza, in mancanza di eredi legittimi, per un figlio della regina di Spagna Elisabetta Farnese.
Intanto sul principio d'agosto cominciò a comparire nei mari di Napoli la forte squadra inglese, condotta dall'ammiraglio Bing, che, servendo di scorta a molti legni da trasporto carichi di milizie alemanne, fece poi vela alla volta di Messina. Cercò bene l'ammiraglio Castagnedo Spagnuolo d'entrar colle sue navi nel porto d'essa Messina; ma il gran fuoco fatto dal forte di San Salvatore e della cittadella non glielo permise, e furono obbligati i suoi legni a ritirarsi con grave danno. Giunta dipoi la flotta inglese nel molo di Messina, felicemente sbarcò le truppe, ed allora quelle fortezze, battute dal marchese di Leede, inalberarono lo stendardo imperiale. Circa altri dieci mila soldati cesarei marciarono da Napoli verso Reggio di Calabria, per passare in Sicilia. Andò poscia il Bing in traccia della nemica armata navale, consistente in ventisei navi da guerra, sette galee e molti legni da carico, per significare all'ammiraglio le commissioni della sua corte. La trovò schierata in ordine di battaglia, nè tardò molto a udire il fischio delle palle dei lor cannoni, essendo stati gli Spagnuoli i primi a sparare. Si venne dunque nel dì 15 d'agosto a battaglia, ma battaglia di poco contrasto, perchè gli Spagnuoli batterono tosto la ritirata. Diedero loro la caccia gl'Inglesi, s'impadronirono di varii loro vascelli, altri ne bruciarono, e fecero di molti prigioni: laonde la flotta spagnuola rimase poco men che disfatta. L'ammiraglio Castagnedo si ritirò a Cattania a farsi curare le ferite ricevute. Ma queste disgrazie in mare nulla intiepidirono le azioni del generale spagnuolo marchese di Leede. Ancorchè si fosse accresciuto di molto il presidio della cittadella [288] di Messina, pure gli convenne rendersi al valore degli assedianti nel dì 29 di settembre, insieme col forte di San Salvatore: con che restò tutta Messina in potere degli Spagnuoli, che passarono dipoi all'assedio di Melazzo. Essendo poi sbarcato un grosso corpo di Tedeschi in vicinanza di questa piazza, i generali Caraffa e Veterani nel dì 15 d'ottobre tentarono di farne sloggiare gli Spagnuoli. Sulle prime favorevole fu loro la fortuna, ma non finì la faccenda che rimasero sbaragliati. I fuggitivi si ritirarono in Melazzo, che alzò allora la bandiera imperiale. Il nerbo maggiore degli Alemanni passati in Sicilia si afforzò verso la Scaletta in vicinanza di Messina. In tale stato restarono gli affari di quell'isola sino all'anno vegnente.
Era già passato a miglior vita fin dall'anno 1701, nel dì 16 di settembre, Giacomo II Stuardo re della Gran Bretagna, che già vedemmo spogliato del suo regno. Nell'anno presente a dì 7 di maggio giunse ancora al fine de' suoi giorni la regina sua consorte Maria Beatrice Eleonora d'Este in San Germano nell'Aia, presso a Parigi, principessa a cui aveano formata una più illustre corona le sue insigni virtù. Al di lei figlio Giacomo III, dimorante in Italia sotto nome del cavalier di San Giorgio, avea il pontefice Clemente XI procurata in moglie Clementina Sobieschi, figlia del principe Giacomo, nato da Giovanni III re di Polonia. Veniva questa principessa in Italia, ma restò trattenuta in Inspruch per ordine dell'imperadore, a fine di far conoscere a Giorgio I re d'Inghilterra ch'egli non approvava quel matrimonio. Si trovò col tempo il ripiego di lasciarla fuggire travestita, con aver l'Augusto Carlo VI serrati gli occhi; laonde in Monte Frascone nell'anno seguente fu accoppiata col suddetto re Giacomo dopo il suo ritorno dalla Spagna, di cui parleremo fra poco. Superbi regali fece il santo padre ad amendue, e fatto lor preparare in Roma un palazzo con ricchi [289] arredi, ed assegnata loro un'annua pensione di dodici mila scudi, colla lor presenza accrebber poscia il lustro di Roma.
Anno di | Cristo MDCCXIX. Indizione XII. |
Clemente XI papa 20. | |
Carlo VI imperadore 9. |
Videsi in quest'anno uno spettacolo forse non mai veduto, cioè le principali potenze dell'Europa unite in guerra contro la Spagna; e la Spagna sola senza sgomentarsi far fronte a tutti. Avea già il re Vittorio Amedeo nel dì 18 ottobre dell'anno precedente abbracciata la lega di Cesare, Francia ed Inghilterra, consentendo al cambio della oramai perduta Sicilia colla Sardegna, che pure stava in mano del re Cattolico. Però questi potentati cominciarono maggiormente a disporsi per condurre colla forza la corte di Madrid a quella pace, che colle amichevoli esortazioni non si potea da essa ottenere. Aveano essi fatto proporre al re Filippo V le determinazioni prese dalla quadruplice alleanza per restituire la quiete all'Europa, ma con poca fortuna a cagion di certe condizioni contrarie ai desiderii e alle speranze del gabinetto spagnuolo. Ora quasi nel medesimo tempo tanto il re britannico Giorgio I, quanto il Cristianissimo Luigi XV, o sia sotto nome di lui il reggente duca d'Orleans, dichiararono la guerra alla Spagna. Nel dì 9 di gennaio del presente anno fu pubblicata in Parigi questa dichiarazione, e in Londra nel 28 del precedente dicembre, il qual giorno all'inglese vien quasi a cadere in quello della Francia. Sì gli uni che gli altri sovrani imputavano tutti questi sconcerti al solo cardinale Alberoni primo ministro della corte di Madrid; e spezialmente di lui si dolse il ministero della corte di Francia in un manifesto che fu nella stessa occasion divulgato. Ma se queste potenze vollero per cagione di questo porporato far guerra alla Spagna, anche il porporato la facea loro nel medesimo tempo, e nel cuore dei loro regni. [290] Manipolò sollevazioni in Iscozia che presero fuoco. Oltre al duca d'Ormond esiliato dall'Inghilterra, che si era ricoverato in Ispagna, chiamò colà anche il cavalier di San Giorgio, o sia il re Giacomo III, il quale nel febbraio del presente anno colla maggior possibile segretezza si partì da Roma, ed ebbe poi la fortuna di arrivar sano e salvo a Madrid. Seguirono varie commozioni degli Scozzesi; e se una crudel tempesta non dissipava una flotta mossa di Spagna con genti ed armi, forse l'incendio in quelle parti si sarebbe maggiormente aumentato. Fu cagione questa sciagura che pochi Spagnuoli pervenissero a sostenere la rivoluzion della Scozia, e che in fine perduta la speranza di questo colpo, ed affinchè esso cavalier di San Giorgio non fosse di ostacolo alla pace, si congedò questo principe dal re Cattolico, e tornossene ben regalato nell'autunno in Italia, dove, siccome abbiamo detto di sopra, dopo avere sposata la principessa Clementina Sobieschi, passò poi con essa ad abitare in Roma.
L'altra guerra che fece l'intrepido cardinale Alberoni alla Francia, fu quella di suscitar le pretensioni del re Filippo V intorno alla reggenza di quel regno, durante la minorità del re Luigi XV, sostenendola dovuta a sè come al più prossimo alla successione nel regno di Francia. Le rinunzie dalla maestà sua fatte si dicevano invalide e nulle; e non si taceva, che se fosse mancato il piccolo re, intendeva il re Cattolico di far valere i suoi diritti sopra la monarchia franzese. Andavano tali stoccate a ferire il cuore di Filippo d'Orleans duca reggente, e degli altri principi della real casa, giacchè, secondo la pace di Utrecht, e in vigore de' patti e delle rinunzie precedenti, la casa d'Orleans aveva acquistato ogni diritto al regno con esclusione della linea di Spagna. E perciocchè si venne a scoprire che il principe di Cellamare, ambasciatore del re Cattolico in Parigi, fabbricava delle mine segrete per muovere [291] sedizioni e guerra civile in Francia, fu obbligato a sloggiare. Pubblicossi ancora un biglietto dell'Alberoni, comprovante queste occulte trame, facendo il duca reggente valer tutto per giustificare l'intimazion della guerra contro la Spagna, e per far delle amare querele contra di esso cardinale, trattato da nemico della quiete dell'Europa, ed oppressore della monarchia di Spagna. Ora nell'aprile del presente anno cominciò l'esercito franzese verso la Navarra le ostilità contra degli Spagnuoli; e, dopo aver preso alcuni forti, mise l'assedio a Fonterabbia, e vi concorsero a sostenerlo per mare alquanti vascelli inglesi. Fu ben difesa quella piazza fino al dì 16 di maggio, in cui quel presidio con capitolazione onorevole la consegnò ai Franzesi. Passò di poi il maresciallo duca di Bervich nel dì 29 del mese di giugno ad assediare San Sebastiano. Per la gagliarda resistenza degli Spagnuoli, solamente nel dì 2 di agosto entrarono l'armi franzesi in quella città, essendosi ritirata la guarnigione nella cittadella, che poi nel dì 17 con buoni patti si ritirò anche di là. Fu creduto consiglio del cardinale Alberoni l'aver fatto venire sino a Pamplona il re Cattolico, per dar calore alle sue armi in quelle parti; ma egli poscia ne' suoi manifesti più tosto derise questa andata di sua maestà Cattolica; e in fatti, ad altro essa non servì che per far udire più presto a quel monarca la nuova delle perdute sue piazze. Quel che è certo, perchè si temeva che i Franzesi passassero fino alla stessa Pamplona, quella real corte giudicò miglior partito il ritornarsene, ed anche in fretta, a Madrid. Fecero poi essi Franzesi dalla parte del Rossiglione un'invasione nella Catalogna colla presa di alquanti luoghi. Così passava la guerra di Francia contro gli Spagnuoli; nel qual tempo ancora si rappresentò in Parigi la strepitosa commedia del Mississipì, di cui, e degl'imbrogli di Giovanni Laws Scozzese autore di quelle scene, il qual poi nel 1729 terminò [292] in Venezia i suoi giorni, a me non conviene di dirne altro. Quivi non finirono le percosse date in quest'anno alla Spagna. Anche l'armata degl'Inglesi nel dì 10 di ottobre arrivata al porto della città di Vigo, s'impadronì fra poco della medesima, e poi della cittadella nel dì 24 di esso mese.
Più aspra guerra intanto si faceva in Sicilia. Proseguivan quivi gli Spagnuoli il blocco di Melazzo, ed erano pure in quelle vicinanze i Tedeschi, con patire grave incomodo sì l'una che l'altra parte. Scarseggiava forte di vettovaglia quella piazza; ma verso il fine di gennaio varie navi inglesi felicemente approdate a quel porto vi recarono tanta copia di vettovaglie, che il presidio si rise da lì innanzi de' nemici. Non cessavano il conte Daun, vicerè di Napoli, e il generoso cavaliere conte Coloredo, ultimamente inviato al governo di Milano per la morte accaduta del principe di Levenstein, di ammassar gente e provvisioni per iscacciar dalla Sicilia gli Spagnuoli. Circa cinquecento vele nel dì 23 di maggio si mossero da Baia, cariche di dieci mila combattenti, di cannoni, mortari ed altri militari attrezzi, e scortate da alcuni vascelli inglesi. Nel dì 28 del seguente mese questo gran convoglio felicemente sbarcò in Sicilia presso Patti. A tale avviso il generale spagnuolo marchese di Leede frettolosamente levò il campo da Melazzo, con lasciare in preda ai nemici alcuni migliaia di sacchi di farina, ed altre provvisioni, e secento soldati infermi, e si ritirò verso Francavilla. Impadronironsi frattanto i cesarei dell'isola di Lipari. Era il marchese di Leede maestro di guerra, e gareggiava in lui la prudenza col valore; sapea risparmiare il sangue, far con giudizio i postamenti, e alle occorrenze ben assalire e meglio difendersi. Se non fossero a lui mancate le forze, difficilmente gli avrebbono tolta di mano la Sicilia. All'incontro era arrivato ai comando dell'armi cesaree in quell'isola il generale conte di Mercy, personaggio pien di fuoco guerriero, allievo [293] dell'invitto principe Eugenio, ma non imitatore della sua prudenza. Uso suo fu di mandare al macello per qualsivoglia sua idea le truppe, e di comperar tutto a forza di sangue: il che col tempo gli tirò addosso l'odio di tutto l'esercito. Nel dì 20 di giugno andò questo focoso generale ad assalire l'oste nemica, guardata alla fronte dal fiume Roselino, e riparata da un forte trincieramento. Furioso fu l'assalto, ma con sì gran vigore lo sostennero i valorosi Spagnuoli, che il Mercy, dopo avere sacrificato almen quattromila de' suoi, fu forzato a retrocedere, con aver solamente tolto alcuni posti ai nemici. Restò egli stesso ferito in quella calda azione. Cercarono le relazioni di dar qualche buon colore a questo suo infelice sforzo, ma fu creduto che in Ispagna ed altrove con ragione si cantasse il Te Deum, come per vera vittoria riportata dal prode lor generale, benchè ancora dal canto suo non poca gente vi perisse. Se anche gl'imperiali l'attribuivano a sè stessi, niuno potè loro impedire un sì fatto gusto. Provossi in questa ed altre occasioni che non pochi Siciliani bravamente sostenevano il partito spagnuolo.
Ma quanto andavan calando le forze del re Cattolico in Sicilia, altrettanto crescevano quelle degl'imperiali per li possenti rinforzi o passati da Reggio o condotti da Napoli per mare colà. Con questa superiorità di gente non fu difficile ai cesarei di passare sotto Messina, avendo prevenuto con una marcia gli Spagnuoli, incamminati anch'essi a quella volta. Da che ebbero preso castello Gonzaga, e fu dagli Spagnuoli abbandonato il forte del Faro, la città stessa nel dì 9 di agosto venne alla loro ubbidienza, essendosi ritirata la guarnigione nella cittadella. Insoffribil contribuzione fu imposta a quei cittadini, perchè molti di loro avevano impugnata la spada in favor degli Spagnuoli. Non tardarono a rendersi i due castelli di Matagriffone e del Castellaccio; con che restò renitente la sola cittadella, contra di cui si diede principio alle ostilità. [294] Cagion fu la presa di Messina che i Siciliani, stati fin qui molto parziali alla corona di Spagna, presero altro consiglio, e vennero a soggettarsi all'imperadore; ed intanto il marchese di Leede, giacchè conobbe di non poter dar soccorso all'assediata cittadella, si ritirò infin verso Agosta. Così gagliarda difesa fece don Luca Spinola col presidio spagnuolo nella cittadella di Messina, che solamente nel dì 18 di ottobre giunse ad esporre bandiera bianca, e restò nel dì seguente convenuto che gli Spagnuoli con tutti gli onori militari ne uscissero liberi, e nello stesso tempo consegnassero anche il forte di San Salvatore. Fu allora che il duca di Monteleone Pignatelli, entrato in Messina, prese per sua maestà cesarea il possesso della carica di vicerè di Sicilia. Si renderono poscia agl'imperiali le città di Marsala e di Mazzara con altri luoghi; e già comparivano segnali che il marchese di Leede pensava ad evacuar la Sicilia, stante l'aver egli spediti fuori di essa i suoi equipaggi. Aveva appena il conte di Gallas fatto il suo ingresso in Napoli, come vicerè di quel regno, che la morte venne a trovarlo, ed ebbe fra poco per successore il cardinale di Scrotembach. Fu in quest'anno che Vittorio Amedeo re di Sardegna chiamò tutti i suoi vassalli a presentare i titoli dei loro feudi, e seguirono poi gravi doglianze di molti che ne restarono spogliati. Perchè tuttavia bollivano in Roma le controversie dei riti cinesi, nè bastavano a chiarir cose cotanto lontane le scritture discordi dei contendenti, venne il saggio pontefice Clemente XI in determinazione di spedire colà un nuovo vicario apostolico e visitatore, per prendere le più accertate informazioni in sì importante materia. Fu scelto per sì faticoso impegno monsignor Carlo Ambrosio Mezzabarba, nobile pavese, che colla compagnia di molti missionarii e con superbi regali destinati all'imperador cinese si mise in viaggio verso quelle tanto remote contrade. Fece anche il santo padre, nel dì 29 di novembre [295] una promozione di dieci egregi personaggi alla sacra porpora.
Finì il presente anno con una scena, che gran romore fece non solamente in Ispagna, ma anche per tutta l'Europa. Primo ministro del re Cattolico Filippo V era da qualche anno divenuto il cardinale Giulio Alberoni, e per mano sua passavano tutti gli affari. Convien fare questa giustizia all'abilità e singolare attività sua, che il regno di Spagna s'era rimesso in un bel sistema mercè de' suoi regolamenti, ed era giunto a ricuperar quelle forze e quello splendore che sotto gli ultimi precedenti re parea ecclissato: tanto avea egli accudito al buon maneggio delle regie finanze, a rimettere le forze di terra e di mare, ad istituire la posta per le Indie Occidentali, a fondare una scuola di gentiluomini per istruirli nella navigazione, e in ogni affare della marina, e a levare i molti abusi che da gran tempo tenevano snervata quella potente monarchia. Cose anche più grandi meditava egli per accrescere la popolazion della Spagna, per introdurre il traffico, le manifatture e la cultura delle terre in quelle contrade, e per fare che i tesori delle Indie Occidentali e le lane preziose di Spagna servissero ad arricchire in vece degli stranieri i nazionali spagnuoli. Buon principio avea anche dato a tali idee con profitto del regno. Tutte le mire sue in una parola tendevano all'esaltazion di quella gran monarchia, e tutto si potea promettere dalla sua costanza in ciò ch'egli intraprendeva. Ma questo personaggio in più maniere si era tirata addosso la disavventura di essere mirato di mal occhio dalle principali potenze dell'Europa sì pel già operato contra dell'imperatore, della Francia, dell'Inghilterra e del re di Sardegna, e sì pel sospetto che uomo gravido di sì alte idee non pregiudicasse maggiormente ai loro interessi in avvenire. Si univano perciò le premure di tutti questi collegati a detronizzare questo poderoso e intraprendente ministro, nè altra via trovando, [296] si rivolsero a Francesco Farnese duca di Parma, zio della regina Elisabetta. Gli esibirono il governo di Milano ed altri vantaggi, se gli dava l'animo di atterrare l'odiato cardinale. Trovossi che il duca era anch'egli disgustato di lui, perchè non rispediva mai i suoi corrieri, ed esigeva che gli affari suoi non arrivassero al re, se prima non si presentavano a lui, e non ne riceveano la sua approvazione. Non era similmente ignoto al duca, essere poco soddisfatta del porporato la regina, per certe imperiose risposte a lei date da esso ministro. Però animosamente incaricò il marchese Annibale Scotti suo ministro in Madrid di rappresentare a dirittura al re Cattolico i gravissimi danni ch'erano vicini a risultare ai suoi regni per cagione di questo ministro, con dipingerlo per uomo impetuoso, violento e imprudente, che avea imbarcata la maestà sua in troppo pericolosi impegni, e potea col tempo far di peggio colla rovina del regno. Essere nelle congiunture presenti necessaria la pace, e questa non si avrebbe mai, se non si allontanava un ministro di consigli e pensieri sì turbolenti, e capace di dar fuoco a tutte le parti del mondo (del che egli stesso si vantava), senza riflettere alle cattive conseguenze delle troppo ardite risoluzioni. Di queste e di altre ragioni imbevuto il conte Scotti, animato ancora da' ministri di Francia e d'Inghilterra, rivelò alla regina la sua incumbenza; ed essa, siccome principessa di gran senno, gli ordinò di parlarne al re in ora tale, in cui anch'ella mostrerebbe di sopraggiugnere, come persona nuova, al colloquio. Così fu fatto; il ministro diede fuoco alla mina; sopravvenne la regina, che, potendo molto nel cuore del re, accrebbe il fuoco in maniera, che il re si diede per vinto, oramai persuaso avere gli smisurati disegni del cardinal ministro, coll'inimicar tante potenze, esposti a troppo gravi danni e pericoli non meno i suoi regni che il proprio onore.
Adunque nel dì 5 di dicembre di questo [297] anno dal segretario di Stato don Michele Duran fu presentato all'Alberoni un ordine scritto di pugno dello stesso re, con cui gli proibiva d'ingerirsi più negli affari del governo; e gli veniva ordinato di non presentarsi al palazzo, o in alcun altro luogo dinanzi alle loro maestà, o ad alcun principe della casa reale; e di uscire di Madrid fra otto giorni, e dagli Stati del dominio di sua maestà nel termine di tre settimane. Si espresse anche il re di essere venuto a tal determinazione spezialmente per levare un ostacolo ai trattati della pace da cui dipendeva il pubblico bene. Pertanto nel dì 11 del mese suddetto, ottenuti prima i passaporti dal re e dagli ambasciadori di Francia e d'Inghilterra, si partì l'Alberoni da Madrid alla volta dell'Italia, con disegno di passare a Genova. Di rilevanti scritture e memorie portava egli seco; vi fece riflessione alquanto tardi il gabinetto di Madrid; fu nondimeno a tempo per ispedir gente, che della maggior parte il privò. Fu anche occupato in Madrid molto oro, da lui lasciato a un suo confidente; ma non caddero già in loro mano quelle grosse somme di danaro, ch'egli da uomo prudente avea tanto prima inviate ne' banchi d'Italia, per valersene contro le vicende e i balzi preveduti della fortuna in caso di disgrazia: somme tali che servirono poscia a lui per vivere con tutto decoro il resto di sua vita in queste contrade. Salvò ancora qualche carta che servì alla sua giustificazione. Quanto si rallegrassero per la caduta di sì abborrito ministro le potenze componenti la quadruplice alleanza, ed anche molti grandi di Spagna, che prima relegati, furono tosto rimessi in libertà, non si può abbastanza esprimere. Furono anche fatti per questo fuochi di gioia in alcuni luoghi di Spagna. Ed allora fu che i ministri di esse potenze e gli Olandesi mediatori rinforzarono le lor batterie per indurre il re Cattolico alla pace. Di questa appunto si trattò per tutto il seguente inverno.
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Anno di | Cristo MDCCXX. Indizione XIII. |
Clemente XI papa 21. | |
Carlo VI imperadore 10. |
Contuttochè mirasse il Cattolico Filippo V come quasi svanite le sue speranze sul regno di Sicilia, e minacciata la stessa Spagna da mali più gravi, pure l'animo suo generoso non sapeva accomodarsi al dispotico volere della quadruplice alleanza, che, senza ascoltar le ragioni sue, intendeva di dargli la legge, con avere stese nel dì 2 d'agosto dell'anno 1718 le condizioni di una pace universale. Fece pertanto nel gennaio dell'anno presente proporre dal suo ambasciatore marchese Beretti Landi agli stati generali altri articoli, secondo i quali avrebbe accettata la pace proposta. Sì contrarii parvero questi alle risoluzioni già prese, che in Parigi nel dì 14 d'esso mese i ministri di Cesare e dei re di Francia, Inghilterra e Sardegna reclamarono forte, e conchiusero di continuare più ardentemente che mai le ostilità contro la Spagna, se il re non si arrendeva al trattato suddetto di Londra. Aveano esse potenze già prescritto tre mesi di tempo alla cattolica maestà per risolvere; laonde il piissimo re, desideroso anch'egli di restituir la pace all'Europa, nel dì 16 del suddetto gennaio abbracciò interamente il predetto trattato di Londra con tutte le sue condizioni; e questa sua real volontà, esposta nel dì 17 di febbraio all'Haia, riempiè di consolazione tutti gli amatori della pubblica quiete. Vero è che il re cattolico Filippo V cedette all'Augusto Carlo VI ogni sua pretensione e diritto sopra la Sicilia, coll'annullare ancora il partito della reversione, in caso della mancanza di maschi, nell'austriaca famiglia. Parimente vero è, che cedette al re Vittorio Amedeo il regno della Sardegna; ma questi regni non li possedeva esso re Cattolico prima della presente guerra. All'incontro, in favore d'esso monarca fu stabilito, che venendo a vacare per mancanza [299] di discendenti maschi il gran ducato di Toscana, e i ducati di Parma e Piacenza, in essi succederebbero i figli maschi legittimi e naturali della regina Elisabetta Farnese, moglie di sua maestà Cattolica, escludendone solamente chi di essi e loro discendenti arrivasse ad essere re di Spagna; con patto nondimeno che tali ducati fossero riconosciuti per feudi imperiali; e che intanto per maggior sicurezza vi si mandassero presidii di Svizzeri. Parve a molti cosa strana che i potentati dell'Europa disponessero con tanto dispotismo degli Stati altrui, e viventi anche i lor principi naturali, coll'imporre in oltre ad essi il giogo de' suddetti presidii. Se ne lagnarono, spezialmente il sommo pontefice Clemente XI, che allegava tante ragioni della camera apostolica sopra Parma e Piacenza; e a questo fine il santo padre, nel febbraio di quest'anno, spedì alla corte di Vienna monsignore Alessandro Albani suo nipote, con commissione di difendere i diritti della santa Sede. Pretendeva altresì il gran duca di Toscana Cosimo III, che il dominio fiorentino non fosse soggetto a leggi feudali dell'imperio, e che a lui stesse ad eleggere il successore. Gran dibattimento era stato per questo in Firenze, dove quei ministri pensavano di poter risuscitare il nome e la libertà dell'antica repubblica. Dichiarò pertanto il gran duca, che, mancando di vita don Giovanni Gastone gran principe, unico suo figlio maschio, a lui succederebbe la vedova elettrice palatina Anna Maria Luigia parimente figlia sua. Spedì anche un ministro a tutte le corti per reclamare e rappresentar le sue ragioni. Ma dappertutto si trovarono orecchie sorde, e al gran duca convenne prendere la legge dagli altri potentati, i quali, con disporre di quegli Stati, si crederono di esentar l'Italia da altre guerre e disavventure.
In vigore dunque della pace suddetta il cesareo generale conte di Mercy avea fatto intendere al marchese di Leede generale spagnuolo, che conveniva disporsi [300] ad evacuar la Sicilia; ma perchè il Leede si mostrava tuttavia allo scuro del conchiuso trattato, nel dì 28 di aprile il Mercy si mosse contro il campo spagnuolo in vicinanza di Palermo. Furono presi alcuni piccioli forti, che coprivano le trincee nemiche; ma essendo in procinto i cesarei nel dì 2 di maggio, di maggiormente svegliare gli addormentati Spagnuoli, marciando in ordinanza contra di essi: tanto dal campo loro che dalle mura della città si cominciò a gridar Pace, pace. Pertanto, nel dì 6 di esso mese fra i due generali, coll'intervento dell'ammiraglio inglese Bing, fu stabilito e sottoscritto l'accordo, cioè pubblicata una sospension d'armi, e regolato il trasporto delle truppe spagnuole fuori della Sicilia e Sardegna sulle coste della Catalogna. Dopo di che nei giorni concertati presero le truppe imperiali il possesso della real città di Palermo, del Molo e di Castello a Mare fra le incessanti acclamazioni di quel popolo. Anche le città di Agosta e di Siracusa a suo tempo furono consegnate agli uffiziali cesarei. Poscia nel dì 22 di giugno cominciarono le milizie spagnuole imbarcate nei legni di loro nazioni a spiegar le vele verso Barcellona. Circa cinquecento Siciliani presero anche essi l'imbarco per non soggiacere ad aspri trattamenti o a funesti processi; e i lor beni furono perciò confiscati, a cagione del loro operato contro dell'imperadore. Tornò dunque a rifiorire la quiete in quel regno. Essendo stato spedito in Sardegna il principe d'Ottaiano di casa Medici, sul principio di agosto prese il possesso di quell'isola a nome dell'Augusto monarca, con rilasciarla poscia ai ministri del re Vittorio Amedeo, le cui truppe, da che ne furono ritirate le spagnuole, entrarono in quelle piazze. Venne intanto a scoppiare in Provenza una calamità che diffuse il terrore per tutta l'Italia. La poca avvertenza del governo di Marsilia lasciò approdare al suo porto la peste, secondo il solito portata colà dai paesi turcheschi. Tanto si andò temporeggiando [301] a confessarla tale, che essa prese piede, e poi fieramente divampò fra quell'infelice popolo. A sì disgustoso avviso commossi i principi d'Italia, e massimamente i litorali del Mediterraneo, vietarono tosto ogni commercio colla Provenza; e il re di Sardegna più degli altri prese le più rigorose precauzioni ai confini dei suoi Stati, affinchè il micidial malore non valicasse i confini dell'Alpi. A lui principalmente si attribuì l'esserne poi rimasta preservata l'Italia.
Fin l'anno precedente avea Rinaldo d'Este duca di Modena ottenuta in isposa del principe Francesco suo primogenito madamigella di Valois Carlotta Aglae figlia di Filippo duca d'Orleans, reggente di Francia. Sul principio di dicembre fu pubblicato nella real corte di Versaglies questo matrimonio, dopo di che se ne procurò la dispensa dal sommo pontefice. Scelto fu il dì 12 di febbraio del presente anno, giorno penultimo di carnevale, per effettuarla. Solennissima riuscì la funzione nella real cappella, essendovi intervenuto il re Luigi XV con tutti i principi e principesse del sangue e colla più fiorita nobiltà. A nome del principe ereditario di Modena fu essa principessa sposata da Luigi duca di Chiartres suo fratello, oggidì duca di Orleans, colla benedizione del cardinale di Roano. Siccome a questa principessa furono accordate le prerogative di figlia di Francia, e nella di lei persona concorreva il pregio di essere nata da chi in questi tempi era l'arbitro del regno; così onori insigni ricevette ella in tutto il viaggio fino a Marsilia, dove non trovò peranche sentore alcuno di peste. Fu condotta da una squadra di galee franzesi, comandate dal gran priore suo fratello, sino a San Pier d'Arena. Non lasciò indietro la magnifica repubblica di Genova dimostrazione alcuna di stima per onorar lei, e in lei il reggente di Francia. Ricevette dipoi, nel suo passaggio per lo Stato di Milano, ogni maggior finezza dal conte Colloredo governatore, cavaliere, dotato di singolar gentilezza [302] e probità, e per quelli di Piacenza e Parma dalla corte Farnese. Fece finalmente essa principessa nel dì 20 di giugno la sua solenne entrata in Modena con grandiosa solennità, e per più giorni si continuarono i solazzi e le feste tanto qui che in Reggio. Nel gennaio dell'anno presente passò il cardinale Alberoni per la Linguadoca e Provenza alla volta del Genovesato; e fu detto che egli, irritato dall'aspro trattamento a lui fatto nel suo viaggio, inviasse una lettera al duca di Orleans reggente, in cui si offeriva di somministrargli i mezzi per perdere interamente e in poco tempo la Spagna; e che il reggente inviasse questo foglio al re Cattolico. Verisimilmente inventata fu una tal voce da chi gli voleva bene: che di questa mercatanzia abbonda il mondo, massimamente in tempo di discordie e di guerra. Andò egli a prendere riposo in Sestri di Levante; mentre che ognuno si credea aver da essere Roma il termine de' suoi passi, a lui fu presentata una lettera dal cardinale Paolucci segretario di Stato, in cui gli veniva vietato di farsi consecrare vescovo di Malega, benchè ne avesse ricevuto le bolle, e susseguentemente giunse altro ordine, che non osasse metter il piè nello Stato ecclesiastico.
Era esacerbato forte l'animo di papa Clemente XI contra di questo porporato, pretendendo sua santità di essere stata tradita da lui col consigliare ed incitar la corte di Spagna a muovere l'armi contro l'imperadore, dappoichè gli era stata data sì espressa parola e promessa di non toccarlo durante la guerra col Turco. Tanto più si accendeva al risentimento il pontefice, per annientare i sospetti corsi contro la sincerità e l'onor suo, quasichè egli fosse con doppiezza proceduto d'accordo col gabinetto di Spagna per burlare sua maestà cesarea. Scrisse pertanto premuroso breve al doge di Genova, incaricandolo di assicurarsi della persona del cardinale Alberoni, ad effetto di farlo poi trasportare e custodire in castello Santo [303] Angelo. Si mandarono in fatti le guardie a fermarlo in Sestri; ma sì gran copia di parziali si era procacciato nell'auge della sua fortuna in Genova, che da lì a pochi giorni prevalse in quel consiglio la risoluzione di lasciarlo fuggire; siccome avvenne, avendo poi finto que' magistrati di farlo cercare dovunque egli non era. Creduto fu che il cardinale si fosse ritirato presso uno dei liberi vassalli nelle Langhe, suo gran confidente; e forse fu così, dacchè egli sul principio scampò da Sestri: ma la verità è, ch'egli si ricoverò negli Svizzeri. Sdegnossi non poco per questo avvenimento il sommo pontefice contra dei Genovesi, i quali perciò spedirono uno de' lor nobili a Roma per placarlo, e per giustificare la lor condotta. Fu dato principio intanto ad una congregazione di cardinali, a fin di formare un rigoroso processo contra dell'Alberoni, con pretenderlo reo di sregolati costumi, di prepotenze usate verso gli ecclesiastici, e di essere stato autore dell'ultima guerra, con animo di levargli il cappello, qualora si potessero provare somiglianti reati. Ma non si perdè di animo il porporato. Scrisse varie sensate lettere (date poi alla luce, e meritevoli di essere lette) a più di uno di que' cardinali, mostrando che egli non solamente non avea approvato il disegno della guerra suddetta, ma di esservisi fortemente opposto. E giacchè egli non ebbe difficoltà di lasciar correre colle stampe una risposta datagli dal padre Daubanton confessore del re, nè pure sarà a me disdetto il ripeterla qui. Cioè esponeva esso cardinale il dolore che proverebbe il santo padre per vedersi deluso in affare di tanta importanza: al che il religioso rispose, che egli dovea consolarsi per non avervi colpa, aggiugnendo di più queste parole: Non v'inquietate, monsignore, forse il papa non ne sarà sì disgustato, come voi credete. Ma il papa appunto per tali dicerie vieppiù gagliardamente fece proseguire l'incominciato processo. Avrebbono potuto il re Cattolico ed esso padre confessore, mettere in chiaro [304] la verità o falsità di quanto asseriva il porporato in sua discolpa intorno a questi fatti; ma non si sa che la saviezza di quella real corte volesse entrare in questo imbroglio, e decidere. Solamente è noto che esso monarca passò a gravi risentimenti contro la repubblica di Genova, per aver lasciato uscir di gabbia questo personaggio, il quale intanto attese colla penna sua e de' suoi avvocati a difendersi, e ad aspettare in segreto asilo la mutazion dei venti. Le sue avventure in questi dì recavano un gran pascolo alle pubbliche gazzette e alla curiosità degli sfaccendati politici.
Anno di | Cristo MDCCXXI. Indiz. XIV. |
Innocenzo XIII papa 1. | |
Carlo VI imperadore 11. |
Fin qui avea retto con sommo vigore e plauso la Chiesa di Dio il pontefice Clemente XI, quando piacque a Dio di chiamarlo ad un regno migliore. Avea egli in tutto il tempo del suo pontificato combattuto sempre coll'asma e con altri malori di petto e delle gambe, e più volte avea fatto temere imminente il suo passaggio all'altra vita; ma Iddio l'avea pur anche preservato al timone della sua nave in tempi tanto burrascosi per la cristianità. Appena si riaveva egli d'una infermità, che più ardente che mai tornava agli affari e alle funzioni del suo ministero non men sacro che politico. Arrivò in fine il perentorio decreto della sua partenza. Infermatosi, fra due giorni con somma esemplarità di devozione, in età di settantaun anni e quasi otto mesi, placidamente terminò il suo vivere nel dì 19 di marzo del presente anno, correndo la festa di san Giuseppe. Il pontificato suo era durato venti anni e quasi quattro mesi. Avea egli ne' giorni addietro ricevuta la consolazione di vedere riaperta in Ispagna la nunziatura, e ristabilita una buona armonia con quella real corte. Tali e tanti pregi personali e virtù cospicue s'erano unite in lui, sì riguardevoli e numerose furono le sue belle [305] azioni, che si accordano i saggi a riporlo tra i più insigni e rinomati pontefici della Chiesa di Dio. Quanto più scabrosi erano stati gli affari del governo ecclesiastico e secolare ne' giorni suoi, tanto più servirono questi a far risplender l'ingegno, la costanza, la destrezza e la vigilanza sua. Incorrotti e dati alla pietà erano stati fin dalla puerizia i costumi suoi; maggiormente illibati si conservarono sotto il triregno. Niuno andò innanzi a lui nell'affabilità ed amorevolezza. Con istrette misure amò il fratello e i nipoti, obbligandoli a meritarsi colle fatiche gli onori; e videsi in fine che più di lui si mostrarono benefici i susseguenti pontefici verso la casa Albani. Loro ancora insegnò la moderazione, col congedar da Roma la moglie del fratello, la quale si ricordava troppo di aver per cognato un pontefice romano. Grande fu la sua profusione verso dei poveri; più di ducento mila scudi impiegò in lor sollievo. Rinovò il lodevol uso di san Leone il Grande col comporre e recitare nella basilica Vaticana, in occasion delle principali solennità, varie omelie, che saran vivi testimonii anche presso i posteri della sua sacra eloquenza. Amatore dei letterati, promotore delle lettere e delle belle arti, accrebbe il lustro alla pittura, alla statuaria e all'architettura; introdusse in Roma l'arte dei musaici, superiore in eccellenza agli antichi, e la fabbrica degli arazzi, che gareggia coi più fini della Fiandra. Arricchì di manuscritti greci e d'altre lingue orientali la Vaticana; istituì premii per la gioventù studiosa; ornò d'insigni fabbriche Roma ed altri luoghi dello Stato ecclesiastico. Che più? fece egli conoscere quanto potea unita una gran mente con una ottima volontà in un romano pontefice. Il di più delle sue gloriose azioni si può raccogliere dalla Vita di lui con elegante stile latino composta e pubblicata dall'abbate Pietro Polidori; giacchè all'assunto mio non è permesso di dirne di più.
Entrarono in conclave i cardinali elettori, e colà comparve ancora il cardinale [306] Alberoni. Non s'era mai veduta sì piena di gente la piazza del Vaticano, come quel dì, in cui egli fece la sua entrata nel conclave. Concorsero poscia nel dì 8 di maggio i voti dei porporati nella persona del cardinale Michel Angelo dei Conti di nobilissima ed antichissima famiglia romana, che avea dato alla Chiesa di Dio altri romani pontefici ne' secoli addietro, il di cui fratello era duca di Poli, e il nipote duca di Guadagnola. Prese egli il nome d'Innocenzo XIII. Indicibile fu il giubilo di Roma tutta al vedere sul trono pontifizio collocato un suo concittadino, e non minore fu il plauso di tutta la cristianità per l'elezione d'un personaggio assai rinomato per la sua saviezza e pietà, per la pratica degli affari ecclesiastici e secolari, e per l'inclinazione sua alla beneficenza e clemenza. Nel dì 18 del suddetto mese con gran solennità nella basilica Vaticana ricevette la sacra corona, e quindi si applicò con attenzione al governo, e pubblicò un giubileo. Da che mancò di vita il buon Clemente XI, siccome dicemmo, uscì da' suoi nascondigli il cardinale Giulio Alberoni, secondo le costituzioni anch'egli invitato all'elezione del futuro pontefice, e non meno a lui che al cardinale di Noaglies fu inviato salvocondotto, affinchè liberamente potessero intervenire al conclave. Vi andò l'Alberoni; e, terminata la funzione, si fermò come incognito a Roma, e ricusò d'uscirne, benchè ammonito. Non tardò il novello pontefice per conto di questo porporato a far conoscere la sua prudenza congiunta insieme coll'amore della giustizia, con dire ai cardinali deputati della congregazione per processarlo: che se aveano pruove tali da poterlo condannare, tirassero innanzi, perchè darebbe mano al gastigo. Ma che se tali pruove mancassero, ordinava che si mettesse a riposare quel processo. Così in fatti da lì a qualche tempo avvenne: laonde l'Alberoni e la sua fortuna in faccia del mondo in fine nel 1723 risorse.
Diede molto da discorrere in questi [307] tempi un altro personaggio, cioè l'abbate Du-Bois, arcivescovo di Cambrai, primo ministro e favorito del duca d'Orleans reggente in Francia, che nel dì 16 di luglio venne promosso al cardinalato. Come per forza fu condotto il santo padre a conferire la sacra porpora ad uomo tale, perchè i di lui costumi tutt'altro meritavano che questo sacro distintivo del merito. Tanta nondimeno fu la pressura del duca reggente per questo suo idolo, che il buon pontefice, affinchè nei tempi correnti colla ripulsa non peggiorassero gli affari della religione in Francia, e colla speranza di ricavarne vantaggi per essa, s'indusse a sacrificare ogni riguardo all'intercessione ed impegno di sì rispettabil promotore. Chi ebbe a presentare la berretta cardinalizia a questo nuovo porporato, esegui l'ordine del santo padre di leggergli il catalogo delle azioni della sua vita passata, siccome ben note alla santità sua, con poscia dirgli che il pontefice sperava da lì innanzi un uomo nuovo nella sua persona, e che il viver suo corrisponderebbe alla dignità e al santo impiego di vescovo e cardinale. La risposta del Du-Bois fu, che il santo padre nè pur sapeva tutti i trascorsi di lui, ma che in avvenire tali sarebbero le operazioni sue, che il mondo s'accorgerebbe d'aver egli con gli abiti esterni cangiati ancora gl'interni. Come egli mantenesse la parola, nol so dir io; convien chiederlo agli storici franzesi. Certo è ch'egli divenne allora primo ministro della corte di Francia, e che il piissimo pontefice ritenne sempre come una spina nel cuore la memoria di questa sua forzata risoluzione. Poco per altro godè delle sue fortune il Du-Bois, perchè la morte venne a terminarle nell'agosto del 1725. Fece all'incontro il pontefice Innocenzo XIII risplendere la sua gratitudine verso il defunto papa Clemente XI, di cui era creatura, col conferire la sacra porpora a don Alessandro Albani, fratello del cardinale Annibale camerlengo.
Intanto continuarono i timori dell'Italia [308] per la peste di Marsilia, che dopo aver fatto strage grande in quella città, secondo il solito, quivi andò cessando. Ma s'era già estesa per tutta la Provenza, con penetrar anche nella Linguadoca, e far gran paura a Lione. Le città di Arles, Tolone, Avignone, Oranges ed altre ne rimasero fieramente afflitte. Fortuna fu che questo flagello accadesse in tempo esente dalle guerre, cioè dal passaporto, per cui esso troppo facilmente si diffonde sopra i vicini; e però tanto la corte di Francia che quella di Torino e la repubblica di Genova, con gli altri potenti, sì saggi regolamenti di forza e di precauzione adoperarono, che di questo morbo desolatore non parteciparono le altre provincie entro e fuori d'Italia. Nel dì 17 di settembre in Parigi terminò i suoi giorni in età di settantasette anni Margherita Luigia figlia di Gastone duca d'Orleans, cioè di un fratello di Luigi XIII re di Francia, e gran duchessa di Toscana. Noi vedemmo questa principessa maritata nel 1661 col gran duca Cosimo III de Medici, poscia per dispareri fra loro insorti ritirata in Francia, senza voler più rivedere la Toscana. Cessò per la sua morte un'annua pensione di quaranta mila piastre, che le pagava il gran duca, principe che in questi tempi combatteva colla vecchiaia, e fece più d'una volta temer di sua vita. Gran solennità fu in Roma nel dì 15 di novembre nel possesso preso dal sommo pontefice della chiesa Lateranese. Di questa suntuosa funzione goderono anche il principe ereditario di Modena Francesco d'Este, e la principessa Carlotta Aglae di Orleans sua consorte, i quali in quest'anno andarono girando per le città più cospicue d'Italia. Fu ancora in questi tempi pubblicato il matrimonio di madamigella di Monpensier, sorella di essa principessa di Modena, con Luigi principe di Asturias, primogenito di Filippo V re di Spagna; siccome ancora gli sponsali dell'infanta primogenita di Spagna col Cristianissimo re Luigi XV. Non avea questa ultima principessa che circa quattro anni di età, [309] laonde fu conchiuso di mandarla in Francia, per essere quivi educata, finchè fosse atta al compimento di questo matrimonio. Nel dì 13 di giugno seguì un trattato di pace e concordia fra il re Cattolico e Giorgio I re d'Inghilterra, senza che espressamente fosse ceduto alla corona d'Inghilterra il dominio dell'isola di Minorica e di Gibilterra. Ma agl'Inglesi bastò che tal cessione costasse dalla pace di Utrecht, confermata in questo trattato. Nello stesso giorno ancora si stabilì una lega difensiva fra le suddette due potenze e quella di Francia.
Anno di | Cristo MDCCXXII. Indiz. XV. |
Innocenzo XIII papa 2. | |
Carlo VI imperatore 12. |
Godevansi in questo tempo i frutti della pace in Italia, e spezialmente le città maggiori sfoggiavano in divertimenti e solazzi, se non che durava tuttavia l'apprensione della pestilenza, che andava serpeggiando per la Provenza e Linguadoca, scemandosi nondimeno di giorno in giorno il suo corso o per mancanza di essa, o per le buone guardie fatte dai circonvicini paesi. In Roma e in altre città dai ministri di Francia e Spagna grandi allegrezze si fecero per li matrimonii del re Cristianissimo coll'infanta di Spagna, e del principe di Asturias colla figlia del duca reggente. Fu fatto nel dì 9 di gennaio il cambio di queste principesse ai confini dei regni nell'isola dei Fagiani; e l'infanta, tuttochè non per anche moglie, cominciò a godere il titolo di regina di Francia. Fece poi essa il suo ingresso a Parigi nel dì primo di marzo con quella ammirabil magnificenza che massimamente nelle funzioni straordinarie suol praticare quella gran corte. Pensò in questi tempi il re di Sardegna Vittorio Amedeo di accasare anch'egli l'unico suo figlio Carlo Emmanuele duca di Savoia, e scelse per consorte di lui Anna Cristina principessa palatina della linea de' principi di Sultzbac, figlia di Teodoro conte [310] palatino del Reno, la quale portò seco in dote, oltre alla bellezza, ogni più amabile qualità. Seguì in Germania questo illustre sposalizio, e nel mese di marzo comparve essa principessa in Italia, con ricevere per gli Stati della repubblica di Venezia e di Milano ogni più magnifico trattamento. Giunta a Vercelli, ivi trovò il re e la regina di Sardegna, che l'accolsero con tenerezza. Suntuose allegrezze dipoi decorarono il suo arrivo a Torino. Vennero nel marzo suddetto a Firenze i principi di Baviera, cioè Carlo Alberto principe elettorale, il duca Ferdinando e il principe Teodoro a visitar la gran principessa Violante loro zia, governatrice di Siena; e di là passarono i due primi a Roma, a Napoli, a Venezia e ad altre città, con ricevere dappertutto singolari onori, ancorchè secondo l'etichetta viaggiassero incogniti. Diede fine al suo vivere nel dì 12 di agosto dell'anno presente Giovanni Cornaro doge di Venezia, a cui nella stessa dignità succedette nel dì 28 di esso mese Sebastiano Mocenigo. Suntuoso armamento per terra e per mare fece in questi tempi la Porta Ottomana; e perchè insorsero non lievi sospetti nell'isola di Malta che quel turbine avesse da scaricarsi colà, il gran maestro non ommise diligenza alcuna per aver ben fortificata e provveduta di tutto il bisognevole quella città e fortezze. Chiamò colà ancora i cavalieri, ed implorò dal sommo pontefice un convenevol soccorso. Si videro poi rondare per il mare di Sicilia alquanti vascelli turcheschi, e questi anche tentarono di sbarcar gente nell'isola del Gozzo; ma ritrovata quivi buona guarnigione, il bassà comandante si ridusse a chiedere con minaccie al gran maestro la restituzione di tutti gli schiavi turchi. Ne ricevette per risposta, che questa si farebbe, qualora i corsari africani rendessero gli schiavi cristiani, ch'erano in tanto maggior numero. Se ne andarono que' Barbari, e cessò tutta l'apprensione. In fatti non pensava allora il gran signore a Malta, [311] ma bensì alle terribili rivoluzioni della monarchia persiana, che in questi tempi maggiormente bolliva per la ribellione del Mireveis. Di esse voleva profittare la Porta, ed altrettanto meditava di fare il celebre imperadore della Russia Pietro Alessiowitz.
Niun principe cattolico v'era stato che non si fosse compiaciuto dell'esaltazione del cardinale Conti al trono pontifizio. Più degli altri se ne rallegrò il re di Portogallo, giacchè in addietro non solamente era egli stato nunzio apostolico a Lisbona, ma anche nel cardinalato protettore della sua corona in Roma. Poco nondimeno stette a nascere non piccolo dissapore fra la santa Sede e quel monarca. Avea il pontefice, in vigore dei suoi saggi riflessi, richiamato dalla corte di Portogallo monsignor Bichi nunzio apostolico; ma intestossi quel regnante di non voler permettere che il Bichi se ne andasse, se prima non veniva decorato della sacra porpora, per non essere da meno dei tre maggiori potentati della cristianità, dalle corti de' quali ordinariamente non partono i nunzii senza essere alzati al grado cardinalizio. Parve al sommo pontefice sì fatta pretensione poco giusta, nè andò esente da sospetto di qualche reità lo stesso peraltro innocente nunzio Bichi, quasichè egli contro le costituzioni apostoliche volesse prevalersi della protezione di quel monarca per carpire a viva forza un premio che dovea aspettarsi dall'arbitrio e dalla prudenza del pontefice suo sovrano. Perciò s'imbrogliarono sempre più le faccende, e il papa, risoluto di conservare la sua dignità, stette saldo in richiamare il Bichi, avendo già inviato colà monsignor Firrao, il quale presentò il breve della sua nunziatura, senza prima avvertire se il predecessore lasciava a lui libero il campo. Costume fu del re di Portogallo, giacchè non poteva coll'angusta estensione del suo regno uguagliar le principali potenze della cristianità, di superarle colla magnificenza de' suoi ministri. Godeva specialmente [312] Roma della profusione de' suoi tesori, sì perchè l'ambasciator portoghese sfoggiava nelle spese, e sì ancora perchè il re, invogliatosi di avere nel suo patriarca dell'Indie un ritratto del sommo pontefice, si procacciava con man liberale ogni dì nuovi privilegii dalla santa Sede. Ora si avvisò l'ambasciatore portoghese di far paura al papa, e ito all'udienza, da che vide di non far breccia nel cuore di sua santità colle pretese ragioni, diede fuoco all'ultima bomba con dire: Che se gli era negato quella grazia o giustizia, avea ordine dal re di partirsi da Roma. A questa sparata il saggio pontefice, senza alcun segno di commozione, altra risposta non diede, se non: Andate dunque, e ubbidite al vostro padrone. Non era fin qui intervenuta una pace ben chiara che sopisse tutte le controversie vertenti fra l'imperadore e l'Inghilterra dall'un canto, e il re Cattolico dall'altro. Cioè non avea peranche l'Augusto Carlo VI autenticamente rinunziato alle sue pretensioni sopra il regno di Spagna, e nè pure il re Filippo V alle sue sopra i regni di Napoli, Sicilia, Fiandra e Stato di Milano. Per concordare questi punti si era convenuto di tenere nel presente anno un congresso in Cambrai; ma non vi si sapea ridurre il re Cattolico, patendo talvolta i monarchi troppo ribrezzo a cedere fin le speranze, non che il possesso di ogni anche menomo Stato: sì forte è l'incanto del Dominamini nel loro cuore. Faceva in questo mentre gran premura Cesare per ottener dalla santa Sede l'investitura di Sicilia e di Napoli: al che non si era saputo indurre papa Clemente XI, nè fin qui il regnante Innocenzo XIII, per l'opposizione che vi facea la corte di Spagna. Prevalsero infine i pareri della sacra corte in favore d'esso Augusto, giacchè ai diritti di lui s'aggiungeva il rilevante requisito del possesso. Pertanto nel dì 9 di giugno dell'anno presente, secondo la norma delle antiche bolle, fu data all'imperadore l'investitura dei regni suddetti: risoluzione, che quanto piacque [313] alla corte cesarea, altrettanto probabilmente dispiacque a quella di Spagna.
Anno di | Cristo MDCCXXIII. Indizione I. |
Innocenzo XIII papa 3. | |
Carlo VI imperatore 13. |
Era già pervenuto all'età di ottantun anni e due mesi Cosimo III de Medici gran duca di Toscana, mercè della sua temperanza, perchè nella virilità divenuto troppo corpolento, abbracciata poi una vita frugale, potè condurre sì innanzi la carriera del suo vivere. Ma finalmente convien pagare il tributo, a cui son tenuti i mortali tutti. Nel dì 31 di ottobre dell'anno presente passò egli a miglior vita, con lasciare un gran desiderio di sè nei popoli suoi: principe magnifico, principe glorioso per l'insigne sua pietà, pel savio suo governo, con cui sempre fece goder la pace ai sudditi in tante pubbliche turbolenze, e procurò loro ogni vantaggio; siccome ancora per la protezion della giustizia e delle lettere, e per le altre più riguardevoli doti che si ricercano a costituire i saggi regnanti. Mirò egli cadente l'illustre sua casa per gli sterili matrimonii del fu suo fratello principe Francesco Maria, e del già defunto gran principe Ferdinando suo primogenito, e del vivente don Giovanni Gastone suo secondogenito. Vide ancora in sua vita esposti i suoi Stati all'arbitrio dei potentati cristiani, che ne disposero a lor talento, senza alcun riguardo alle alte ragioni di lui e della repubblica fiorentina, che inclinavano a chiamare a quella successione il principe di Ottaiano, discendente da un vecchio ramo della casa de Medici. Al duca Cosimo intanto succedette il suddetto don Giovanni Gastone, unico germoglio maschile della casa de Medici regnante, la cui sterile moglie Anna Maria Francesca, figlia di Giulio Francesco duca di Sassen Lawemburg, viveva in Germania separata dal marito. Mancò parimente di vita in questo anno a dì 12 di marzo Anna Cristina [314] di Baviera principessa di Sultzbach, moglie di Carlo Emmanuele duca di Savoia, dopo aver dato alla luce un principino, che venne poi rapito dalla morte nel dì 11 d'agosto del 1725. Gran duolo che fu per questo nella real corte di Torino, e sopra i medici si andò a scaricare il turbine, quasi che per aver fatto cavar sangue al piede della principessa, l'avessero incamminata all'altro mondo. Arrivò nell'aprile di quest'anno a Roma monsignor Mezzabarba, già spedito negli anni addietro alla Cina con titolo di vicario apostolico, per esaminare sul fatto i tanto contrastati riti che dai missionarii si permettevano a quei novelli cristiani. Portò seco alcuni ricchi regali, inviati da quell'imperadore al santo padre, ed insieme in una cassa il cadavero del cardinal di Tournon, già morto in Macao. Perchè restò accidentalmente bruciata una nave, su cui venivano assaissimi arredi e curiosità della Cina, Roma perdè il contento di vedere tante altre peregrine cose di quel rinomato imperio.
Godevansi per questi tempi in Italia le dolcezze della pace universale, segretamente nondimeno turbate dal tuttavia ondeggiante conflitto degl'interessi e delle pretensioni dei potentati. Ad altro non pensava la corte di Spagna che a spedire in Italia l'infante don Carlo, primogenito del secondo letto del re Filippo V, affinchè si trovasse pronto, in occasion di vacanza, a raccogliere la succession della Toscana e di Parma e Piacenza, che nei trattati precedenti gli era stata accordata. Ma perchè non compariva disposto il re Cattolico alle rinunzie che si esigevano dall'imperador Carlo VI, nè al progettato congresso di Cambrai, per ultimar le differenze, davano mai principio i plenipotenziarii di Spagna; pericolo vi fu che il suddetto Augusto spingesse in Italia un'armata per disturbare i disegni del gabinetto spagnuolo. Medesimamente in gran moto si trovava la corte di Toscana, siccome quella che non sapea digerire la destinazion di un erede di quegli Stati fatta dal [315] volere ed interesse altrui, e molto meno il progetto di metter ivi presidii stranieri durante la vita dei legittimi sovrani. Non era inferiore l'alterazione della corte pontificia per l'affare dei ducati di Parma e Piacenza, che, in difetto dei maschi della casa Farnese, aveano da ricadere alla camera apostolica; e pure ne aveano disposto i potentati cristiani in favore dei figli della Cattolica regina di Spagna Elisabetta Farnese, con anche dichiararli feudi imperiali. Non mancò il pontefice Innocenzo XIII di scrivere più brevi e doglianze alle corti interessate in questa faccenda. Fece anche fare al congresso di Cambrai per mezzo dell'abbate Rota, auditore di monsignor Massei nunzio apostolico nella corte di Parigi, una solenne protesta contro la disegnata investitura di quegli Stati. Ma è un gran pezzo che la forza regola il mondo; ed è da temere che lo regolerà anche nell'avvenire. Attendeva in questi tempi il magnifico pontefice ad arricchir di nuove fabbriche il Quirinale per comodo della corte, mentre la fabbrica del corpo, infestata da varii incomodi di salute, andava ogni di più minacciando rovina. Dopo avere il gran mastro dei cavalieri di Malta fatto di grandi spese per ben guernire l'isola contro i tentativi dei Turchi, e ottenuta promessa di soccorsi dal papa e dai re di Spagna e Portogallo, finalmente si avvide che a tutto altro mirava il gran signore col suo potente armamento. La Persia lacerata da una terribil ribellione era l'oggetto non men della Porta Ottomana che di Pietro insigne imperador della Russia, essendosi sì l'una che l'altro preparati per volgere in lor pro la strepitosa rivoluzion di quel regno, che in questi tempi era il più familiar trattenimento dei novellisti d'Italia. Nel dì 2 di dicembre dell'anno presente da morte improvvisa fu rapito Filippo duca d'Orleans reggente, e poi ministro del regno di Francia: principe che in perspicacia di mente e prontezza d'ingegno non ebbe pari. Coll'aver conservato la vita del re Luigi XV, e fattolo coronare, smontò [316] ogni calunnia inventata contro la sua fedeltà ed onore. Colse il duca di Borbone il buon momento, e portata al re la nuova della morte d'esso duca di Orleans, ottenne di essere preso per primo ministro.
Anno di | Cristo MDCCXXIV. Indizione II. |
Benedetto XIII papa 1. | |
Carlo VI imperadore 14. |
Grande strepito per Italia fece nell'anno presente l'atto eroico del Cattolico re Filippo V. Questo monarca fin da' suoi primi anni imbevuto delle massime della più soda pietà, che egli poi sempre accompagnò colle opere, stanco e sazio delle caduche corone del mondo, prese la risoluzione di attendere unicamente al conseguimento di quella corona che non verrà mai meno nel regno beatissimo di Dio. Perciò, dopo avere scritta a don Luigi principe di Asturias suo primogenito una sensata ed affettuosissima lettera, in cui espresse i principali doveri d'un saggio re cristiano, nel dì 16 di gennaio solennemente gli rinunziò il governo dei regni, dichiarandolo re. Riserbossi il solo palazzo e castello di Sant'Idelfonso col bosco di Bulsain, e una pensione annua di cento mila doble per sè e per la regina sua moglie Elisabetta Farnese. Di convenevoli appannaggi provvide gl'infanti figli, cioè don Ferdinando, don Carlo e don Filippo. Grande animo si esige per far somiglianti sacrifizii, maggiore per non se ne pentire. Con somma saviezza e plauso continuava il suo pontificato Innocenzo XIII, ed era ben degno di più lunga vita, quando venne Dio a chiamarlo ad una vita migliore. Infermatosi egli sul principio di marzo, terminò poi nella sera del dì 7 d'esso mese i suoi giorni con dispiacere universale, e massimamente del popolo romano. Benchè egli fosse modestissimo ed umilissimo, pure amava la magnificenza, e niun più di lui seppe conservare la dignità pontificia. Maestoso nel portamento, senza mai adirarsi o scomporsi, con poche parole, ma gravi, [317] e sempre con prudenza, rispondeva e sbrigava gli affari. In lui si mirava un vero principe romano, ma di quei della stampa vecchia. Resta perciò tuttavia una vantaggiosa memoria del saggio suo governo; governo bensì breve, ma pieno di moderazione, e che potè in parte servir di esempio a' suoi successori.
Aprissi dipoi il sacro conclave, e non pochi furono i dibattimenti e gl'impegni per provvedere d'un nuovo pastore la greggia di Cristo. Videsi anche allora come i consigli umani cedono all'occulta provvidenza che governa il mondo e la Chiesa sua santa; perciocchè caddero tutti i pretendenti a quella suprema dignità, e andò a terminare inaspettatamente la concorde elezione in chi non pensava al triregno, nè punto lo desiderava, anzi fece quanta resistenza potè per non accettarlo, e sarebbe anche fuggito, se avesse potuto. Fu questi il cardinale Vincenzo Maria Orsino, di una delle più illustri famiglie romane, che quattro sommi pontefici avea dato nei secoli addietro alla Chiesa di Dio. Suo nipote era il duca di Gravina. Nato egli nel febbraio del 1649, conservava tuttavia gran vigore di mente e di corpo. Nell'ordine dei predicatori aveva egli fatto professione, ed anche attese a predicare la parola di Dio. In età di ventitrè anni era stato promosso alla sacra porpora da Clemente X. Fu prima vescovo di Siponto, poi di Cesena, e in questi tempi si trovava arcivescovo di Benevento. Ciò che mosse i sacri elettori ad esaltare quasi in un momento questo personaggio, fu il credito della sua sempre incolpata vita, della sua incomparabil pietà e zelo ecclesiastico, e del suo sapere: doti singolari, delle quali avea dato di grandi pruove in addietro nel suo pastoral governo. Convenne chiamare il generale dei domenicani, riconosciuto sempre da lui per superiore, acciocchè gli ordinasse in virtù di santa ubbidienza di accettare il papato. Prese egli il nome di Benedetto XIII in venerazione di Benedetto XI, pontefice di santa vita e dello stesso ordine [318] di San Domenico. La sua gratitudine verso tutti i cardinali concorsi all'elezione sua maggiormente attestò le qualità dell'ottimo suo cuore; spezialmente stese la beneficenza sua verso i due cardinali Albani.
Correano già molti anni che il fisco imperiale si manteneva in possesso della città di Comacchio e suo distretto. Agitata in Roma la controversia di chi ne fosse legittimo padrone, o la camera apostolica o il duca di Modena (la cui nobilissima casa estense da più secoli riconosceva quella città dalle investiture cesaree, e non già dalle pontificie), tuttavia restava pendente. Fece il saggio pontefice Innocenzo XIII ogni sforzo per ricuperarne il possesso, ben consapevole di che conseguenza sia, in materia massimamente di Stati, questo vantaggio, ed avea già disposta la corte imperiale a sì fatta cessione. Ma non potè esso papa godere il frutto dei suoi maneggi, perchè rapito troppo presto dalla morte. Diede compimento a questo affare il suo successore Benedetto XIII nel dì 25 di novembre dell'anno presente, con accordare a sua maestà cesarea le decime ecclesiastiche per tutti i suoi regni, con rilasciare tutte le rendite percette, e poscia premiare con un cappello cardinalizio il figlio del conte di Sinzendorf, primo ministro cesareo, che avea cooperato non poco all'accordo. Fu dunque conchiusa in Roma fra i cardinali Paolucci e Cinfuegos plenipotenziarii delle parti la restituzione del possesso di Comacchio alla santa Sede, con espressa dichiarazione nondimeno: Possessionem Comacli a sacra Caesarea majestate eo dumtaxat pacto dimitti, ut in eamdem Sedes apostolica restituatur, ut prius, ita scilicet, ut neque eidem Sedi apostolicae per hanc restitutionem aliquid novi juris tributum, neque Imperio, vel domui Atestianae quidquam juris sublatum esse censeatur; sed sacrae Caesareae majestatis, et Imperii, domusque Atestinae jura omnia tam respectu possessorii, quam petitorii, salva remaneant, neminique ex hoc actu praejudicium [319] ullum irrogatum intelligatur, usquedum cognitum fuerit, ad quem Comaclum pertineat. Fu poi data esecuzione a questo trattato nel dì 20 di febbraio dell'anno seguente. Se ne rallegrò tutta Roma; non così la casa d'Este. Correndo il dì 25 di marzo di quest'anno arrivò al fine di sua vita in Torino madama reale Maria Giovanna Batista figlia di Carlo Amedeo duca di Nemours e d'Aumale, e madre del re di Sardegna Vittorio Amedeo, in età d'anni ottanta. Non volle ulteriormente differire quel real sovrano il nuovo accasamento del duca di Savoia Carlo Emmanuele suo figlio, e gli scelse per moglie Polissena Cristina figlia di Ernesto Leopoldo langravio di Assia-Rheinfelds Rotemburgo; e venuto il luglio del presente anno, si mise essa in viaggio alla volta d'Italia. Portatosi il re Vittorio col figlio e con tutta la corte in Savoia, accolse, dopo la metà di agosto, la nuora in Tonon, e colla maggior solennità la introdusse a suo tempo in Torino.
Videsi intanto un'impensata vicenda delle cose del mondo nella corte di Spagna. Sorpreso dai vaiuoli il re Luigi, dopo aver goduto per poco più di sette mesi il regno, terminò in età di diecisette anni il corso della vita, e fu dalle lagrime d'ognuno onorato il suo funerale. Avrebbe, secondo le costituzioni, dovuto a lui succedere il principe don Ferdinando suo fratello; ma trovandosi egli in età non peranche capace di governo, il real consiglio supplicò il re Filippo V di ripigliar le redini, richiedendo ciò la pubblica necessità. Volle sua maestà ascoltare anche il parer dei teologi, e trovatolo non conforme al sentimento del consiglio, restò in grande perplessità. Contuttociò prevalsero le ragioni che il richiamarono al regno, e però nel dì 6 di settembre pubblicò un decreto, ossia una protesta di riassumere lo scettro, come re naturale e proprietario, finchè il principe di Asturias don Ferdinando fosse atto al governo, riserbandosi nulladimeno la facoltà di continuare nel regno, se così portasse il pubblico [320] bene; siccome dipoi avvenne, avendo egli governato, finchè visse, con somma saviezza ed attenzione i suoi regni. Giacchè il seguente anno era destinato al solenne giubileo di Roma, già intimato alla cristianità, il santo pontefice Benedetto XIII ne fece con tutta divozion l'apertura verso il fine di dicembre, cioè nella vigilia del santo Natale. Pubblicò ancora la risoluzione sua di celebrare nella domenica in Albis del seguente anno un concilio provinciale nella basilica Lateranense, con invitarvi i vescovi compresi nella provincia romana, e tutti i suggetti a dirittura alla santa Sede.
Anno di | Cristo MDCCXXV. Indizione III. |
Benedetto XIII papa 2. | |
Carlo VI imperadore 15. |
Con gran concorso di pellegrini divoti fu celebrato nel presente anno in Roma il solenne giubileo, e fra gli altri cospicui personaggi concorse a partecipar di queste indulgenze la vedova gran principessa di Toscana Violante di Baviera, la quale se ricevette le maggiori finezze dal sommo pontefice e da tutta quella nobiltà, lasciò anch'ella ivi un'illustre memoria della sua insigne pietà e liberalità. Grande occasione fu questo giubileo al santo padre Benedetto XIII di esercitar pienamente le tante sue virtù, delle quali parleremo andando innanzi. E siccome egli era indefesso in tutto ciò spezialmente che riguarda la religione, così nel dì 15 di aprile diede principio nella basilica Lateranense al concilio provinciale, a cui intervenne gran copia di cardinali, vescovi ed altri prelati. Vi si fecero bellissimi regolamenti intorno alla disciplina ecclesiastica, essendo state prima ben ventilate le materie in varie congregazioni dei più assennati teologi. Volle il sommo pontefice che i vescovi non sentissero il peso della lor dimora in Roma, con far somministrar loro le spese dalla camera apostolica. Nel dì 5 di giugno fu posto fine a quella sacra assemblea, ammirata e benedetta [321] da tutto il popolo romano, che da tanti anni indietro non ne avea mai goduta la maestà. In questi medesimi giorni il Campidoglio romano rinovò un'illustre cerimonia non più veduta dopo il tempo di Francesco Petrarca. Cioè dal senatore e dai conservatori del popolo fu con gran solennità conferita la corona d'alloro al cavalier Bernardino Perfetti Senese, poeta rinomato pel possesso delle scienze migliori, e massimamente per la sua impareggiabile facilità ad improvvisare in versi italiani, e versi pieni di sugo e non di sole frasche. Onorarono quella funzione parecchi porporati e la suddetta gran principessa di Toscana. Non trascurò intanto il buon pontefice alcun mezzo per frastornare i disegni dei potentati sopra Parma e Piacenza; ma con poca fortuna, essendo improvvisamente scoppiata una pace stabilita in Vienna fra l'imperadore e il re Cattolico, senza che vi s'interponessero coronati mediatori, e senza aver cura degl'interessi dei principi alleati. Come questa nascesse, gioverà saperlo.
S'era fin qui nel congresso di Cambrai fatto un gran cambio di parole e ragioni fra i ministri delle corone per giugnere ad una vera pace universale. Ma una remora troppo possente era sempre l'affare di Minorica e Gibilterra; pretendendone gli Spagnuoli la restituzione, benchè ne avessero fatta in Utrecht la cessione, e negandola gl'Inglesi; di modo che apparenza non v'era di sciogliere questo nodo, per cui tutti gli altri restavano sospesi. Avvenne che il baron di Ripperda Giovanni Guglielmo, uomo ardito olandese, che, come i razzi, fece dipoi una luminosa ma assai breve comparsa nel teatro del mondo, segretamente mosse parola in Vienna di una pace privata fra l'imperador Carlo VI e il re Cattolico Filippo V; e questa non cadde in terra. Premeva a sua maestà cesarea di mettere fine ad ogni pretension della Spagna sopra gli Stati di Napoli, Sicilia, Milano e Fiandra. Più era vogliosa la corte di Spagna di risparmiare una chiara rinunzia a [322] Gibilterra e Minorica, e di assicurare all'infante don Carlo la succession della Toscana e di Parma e Piacenza: al che spezialmente porgeva continui impulsi la regina Elisabetta Farnese, intenta al bene degli infanti suoi figli; e tanto più per udirsi infestata da molti incomodi la sanità del gran duca Giovanni Gastone de Medici. Posta tale vicendevole disposizione d'animi, non riuscì difficile lo strignere l'accordo. Fu esso stipulato in Vienna nel dì 30 di aprile, e l'impensata sua pubblicazione sorprese ognuno: tanta era stata la segretezza del trattato. La sostanza principale di quegli articoli consisteva nella rinunzia fatta da Cesare a tutti i suoi diritti sulla corona di Spagna, con ritenerne il solo titolo, sua vita durante; e a stabilire che essa corona non si avesse mai ad unire con quella di Francia. All'incontro anche il re Cattolico Filippo V rinunziava in favore dell'augusta casa d'Austria tutte le sue ragioni sopra Napoli, Sicilia, Stato di Milano e Fiandra, siccome anche annullava il patto della reversione pel regno di Sicilia. Un altro importantissimo punto ancora si vide assodato. Nel dì 6 di dicembre dell'anno precedente avea l'imperadore Carlo VI formata e pubblicata una prammatica sanzione, per cui, in difetto di maschi, era chiamata all'intera successione di tutti i suoi regni e Stati l'arciduchessa Maria Teresa sua primogenita con vincolo di fideicommisso e maggiorasco: decreto che venne poi accettato e confermato da tutti i tribunali dei suoi dominii. Ora anche il re Cattolico accettò la stessa prammatica sanzione, obbligandosi di esserne garante e difensore. Finalmente fra le parti fu accordato, che venendo a mancare la linea mascolina del gran duca di Toscana, e del duca di Parma e di Piacenza, si devolverebbono i loro Stati colla qualità di feudi imperiali all'infante don Carlo primogenito della regina di Spagna Elisabetta Farnese, restando il porto di Livorno libero sempre, come si trovava in questi tempi. Seguì parimente una lega [323] e un trattato di commercio fra i suddetti sovrani. Nel dì 7 di giugno di quest'anno con altri atti fu confermata la suddetta concordia, accolta precedentemente con isdegno da chi ne era rimasto escluso; e massimamente perchè Cesare si obbligò di non opporsi, in caso che la Spagna tentasse di ricuperar colla forza Minorica e Gibilterra. Quei nobili Spagnuoli che aveano seguitato l'Augusto Carlo in Germania, e in vigore di questa pace se ne tornarono in Ispagna a godere i lor beni liberati dalle unghie del fisco, trovarono pregiudiziale la mutazion del clima; perchè infermatisi, in men di un anno cessarono di vivere.
Nella primavera dell'anno presente diede la corte di Francia non poco da discorrere ai politici. Un'infermità sopraggiunta al giovane re Luigi XV in grande apprensione ed affanno avea tenuto tutti i sudditi suoi, amantissimi sopra gli altri popoli de' loro monarchi. Perfettamente si riebbe la maestà sua; ma questo pericolo fece conoscere al suo ministero la necessità di non differir maggiormente di procurare al re una consorte che conservasse e propagasse la sua discendenza. Dimorava in Parigi l'infanta di Spagna, a lui destinata in moglie, che già per tale speranza godeva il titolo di regina; ma questa principessa avea solamente nel dì 31 di marzo compiuto l'anno settimo dell'età sua, e troppo perciò conveniva aspettare, acciocchè fosse atta alle funzioni del matrimonio. Fu dunque presa la risoluzione di rimandarla con tutto decoro in Ispagna; nè si tardò ad eseguirla. Per atto sì inaspettato restarono talmente amareggiati il re e la regina di Spagna, che richiamarono tosto da Parigi i lor ministri, e rimandarono anch'essi in Francia madama di Beaujolais, figlia del fu duca d'Orleans reggente, la quale avea da accoppiarsi in matrimonio coll'infante don Carlo; e questa poi s'unì nel viaggio colla sorella, vedova del defunto re di Spagna Luigi, la qual parimente se ne tornava a Parigi. Contribuì [324] non poco questa rottura ad accelerar la pace suddetta fra l'imperadore e il re Cattolico. Fu allora che la gente curiosa prese ad indovinare qual principessa avrebbe la fortuna di salire sul trono di Francia; ma niuno vi colpì. Con istupore d'ognuno s'intese dipoi che il re, o, per dir meglio, il duca di Borbone primo ministro avea prescelta la principessa Maria figlia di Stanislao re di Polonia, ma di solo nome. Videsi questa principessa, nel mese di settembre, condotta con gran pompa da Argentina al talamo reale. Attendendo in questi tempi il pontefice Benedetto XIII non meno al pastoral governo che all'economia de' suoi Stati, pubblicò nel dì 15 d'ottobre una utilissima bolla intorno all'annona di Roma e all'agricoltura di que' paesi. Non così fu applaudita nel giugno di questo anno la promozione alla sacra porpora da lui fatta di monsignor Niccolò Coscia, prevedendo già i più saggi che questo personaggio, favorito non poco dall'ottimo pontefice, si sarebbe col tempo abusato della confidenza e bontà del santo padre, il quale non mai dicendo basta alla gratitudine sua, volle premiare l'antica servitù di questo soggetto, e col tempo gli procacciò anche il ricco arcivescovato di Benevento. S'egli fosse meritevole di tanti favori, ce ne avvedremo andando innanzi.
Anno di | Cristo MDCCXXVI. Indizione IV. |
Benedetto XIII papa 3. | |
Carlo VI imperadore 16. |
Da che fu alzato alla dignità pontifizia il cardinale Orsino, uno spettacolo insolito, che tirava a sè gli occhi d'ognuno, era la sua maniera di vivere. Non solamente il pontefice nulla avea sminuito dell'umiltà, virtù la più favorita di Benedetto XIII, ma parea che l'avesse accresciuta. Non sapeva egli accomodarsi a quella pompa e magnificenza che vien creduta un ingrediente necessario per maggiormente imprimere ne' popoli il [325] rispetto dovuto a chi è insieme sommo pontefice e principe grande. Sui principii bramò egli d'uscir di palazzo senza guardie, e come povero religioso in una chiusa carrozza, per andare alle frequenti sue visite delle chiese e degli spedali, oppure al passeggio. Gli convenne accomodarsi al ripiego de' più saggi, cioè di portarsi alle sue divozioni accompagnato da un semplice cappellano con poche guardie, recitando egli nel viaggio la corona ed altre orazioni. Cassò nondimeno, come creduta da lui superflua, la compagnia delle lancie spezzate. Chi entrava nella camera sua penava a trovarvi un romano pontefice, perchè non v'erano addobbi o tappezzerie, ma solamente sedie di paglia ed immagini di carta con un Crocefisso. Andava talvolta a pranzo nel refettorio de' padri domenicani della Minerva, come un di essi, altra distinzion non ammettendo di cibo o di sedia, se non che stava solo ad una delle tavole. Al generale d'essi religiosi, ch'egli riguardava sempre come suo superiore, non isdegnava di baciar la mano. Non volle più che gli ecclesiastici, venendo alla sua udienza, gli s'inginocchiassero davanti. Intervenne talvolta al coro coi canonici in San Pietro, o pure nel coro dei religiosi; senz'altra distinzione che di sedere nel primo luogo sotto piccolo baldacchino.
Lungo sarebbe il registrare i tanti atti dell'umiltà sì radicata in lui, che sembravano forse eccessi agli occhi di chi era avvezzo a mirar la maestà e splendidezza de' suoi antecessori, ma non già agli occhi di Dio. Eminente ancora si facea conoscere in questo pontefice il suo staccamento dai legami del sangue e dell'interesse. Amava molto il duca di Gravina suo nipote, e qualche poco anche il di lui fratello Mondillo; ma troppo abborriva il nepotismo. Niun d'essi volle egli al palazzo, molto meno gli mise a parte alcuna del governo; tuttochè, per giudizio de' saggi, meglio fosse stato per la santità sua il valersi del primo, cioè [326] d'un degno e virtuoso signore, che di altre persone alzate agli onori, le quali, unicamente curando i proprii vantaggi, trascurarono affatto l'onore e la gloria del loro benefattore. Solamente promosse all'arcivescovato di Capoa il nipote minore; e questo non per suo genio, ma per le tante batterie di chi favoriva la casa Orsina, e stette più forte contro tante altre usate per impetrargli il cardinalato. Amantissimo della povertà il santo padre, non per altro cercava il danaro che per diffonderlo sopra i poveri, o per esercitar la sua liberalità e gratitudine. Al cattolico re d'Inghilterra Giacomo III Stuardo accrebbe l'appannaggio, e donò tutti i magnifici mobili del pontefice suo predecessore, ascendente al valore di trenta mila scudi. Per far limosine avrebbe venduto, se avesse potuto, fino i palagi; e intanto egli dedito alle penitenze e ai digiuni, non volendo che una povera mensa, convertiva in sovvenimento degl'infermi e bisognosi i regali e le rendite particolari che a lui provenivano. Faceva egli nel medesimo tempo l'uffizio di vescovo e parroco, conferendo la cresima e gli ordini al clero, benedicendo chiese ed altari, assistendo ai divini uffizii e al confessionale, visitando non solamente i cardinali infermi, ma talvolta ancora povera gente, e comunicando di sua mano la famiglia del palazzo. Queste erano le delizie dell'indefesso e piissimo successore di san Pietro, non lasciando egli perciò di accudire al buon governo politico de' suoi Stati, e alla difesa ed aumento della religione.
Abitava da gran tempo in Roma il suddetto re Giacomo, favorito dai pontefici ed onorato da ognuno per l'alta qualità del suo grado. L'aveva Iddio arricchito di due figliuoli, principi di grande espettazione. Ma erano sopravvenute in addietro dissensioni fra lui e la regina sua consorte Clementina Sobieschi, a cagione delle quali questa piissima principessa s'era ritirata nel monistero di Santa Cecilia, pretendendo che il marito avesse da licenziar [327] dalla sua corte alcune persone per giusti sospetti da essa non approvate. Si erano interposti i più attivi e manierosi porporati, e principi e principesse, per la riunione d'essi, ma con sempre inutili sforzi. Lo stesso pontefice Benedetto XIII non avea mancato d'impiegare i suoi più caldi uffizii a questo fine; negava anche l'udienza al re, persuaso che la ragione fosse dal canto della regina. Ora quando la gente credea rinata fra loro la pace, giacchè era seguito un abboccamento di questi reali consorti, all'improvviso si vide partir da Roma nel mese di ottobre il re coi figli, e passar ad abitare in Bologna, dove prese un palazzo a pigione. Però la compassion di ognuno si rivolse verso l'afflitta regina sua moglie, e il papa cominciò a negare al re la rata della pensione a lui accordata. Motivi all'incontro di somma allegrezza ebbe in questi tempi la real corte di Torino, per aver la duchessa moglie di Carlo Emmanuele duca di Savoia, e nuora del re Vittorio Amedeo, dato alla luce nel dì 26 di giugno un principe, che oggidì col nome di Vittorio Amedeo Maria, primogenito del re suo padre, gareggia mercè delle sue nobili qualità coi più illustri suoi antenati. All'incontro fu in quest'anno la nobilissima città di Palermo, capitale della Sicilia, un teatro di calamità. Nel principio della notte nel dì primo di settembre si udì quivi nell'aria un mormorio terribile e continuo, che durato per un quarto d'ora, cagionò uno spavento universale, atteso che il cielo era sereno, senza vento e senza apparenza alcuna di tempo cattivo. Furono anche vedute in aria due travi di fuoco, che andarono poi a sommergersi in mare. Erano le quattro ore della notte, quando un orribil tremuoto per lo spazio di due Pater noster a salti fece traballare tutta la città. Fu scritto, che la quarta parte d'essa fu rovesciata a terra. File intere di case e botteghe si videro ridotte ad un mucchio di sassi; assaissime altre rimasero sommamente danneggiate e minaccianti rovina. Spezialmente ne patì il palazzo reale, [328] di cui molte parti caddero, talmente che restò per un tempo inabitabile. La cattedrale ed alcun'altra chiesa gran danno ne soffrirono; e dalle rovine di quella città furono tratte ben tre mila persone o morte o ferite. Corse per l'Italia la relazione di sì funesto spettacolo che metteva orrore in chiunque la leggeva; ma persone saggie di Palermo a me confessarono, aver la fama accresciuto di troppo le terribili conseguenze di quel tremuoto, ed essere stato minore di quel che si diceva, l'eccidio. Intento sempre lo augusto monarca Carlo VI al bene e vantaggio dei suoi sudditi d'Italia, procurò in quest'anno, coll'interposizione della Porta Ottomana la pace e libertà del commercio fra i suoi Stati, e il bey o dey di Tunisi, e la reggenza di quella città. Gli articoli ne furono conchiusi nel dì 23 di settembre. Altrettanto ancora ottenne egli dalla reggenza di Tripoli, in modo che le navi di sua bandiera doveano in avvenire andar sicure dagl'insulti di quei corsari. Con qual fedeltà poi essi Barbari, troppo avvezzi al mestiere infame della pirateria, eseguissero somiglianti trattati, lo sanno i poveri cristiani. Sempre sarà (non si può tacere) vergogna dei potentati della cristianità sì cattolici che protestanti, il vedere che in vece di unir le lor forze per ischiantar, come potrebbono, quei nidi di scellerati corsari, vanno di tanto in tanto a mendicar da essi con preghiere e regali, per non dire con tributi, la loro amistà, che poscia alle pruove si trova sovente inclinare alla perfidia. Tante vite di uomini, tanti milioni s'impiegano dai cristiani per far guerra fra loro: perchè non volgere quell'armi contro i nemici del nome cristiano, turbatori continui della quiete e del commercio del Mediterraneo? Di più non ne dico, perchè so che parlo al vento.
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Anno di | Cristo MDCCXXVII. Indizione V. |
Benedetto XIII papa 4. | |
Carlo VI imperadore 17. |
Giunse al fine di sua vita il dì 26 di febbraio dell'anno presente Francesco Farnese duca di Parma e Piacenza, nato nel dì 19 di maggio del 1678; principe che avea acquistato il credito di rara virtù e di molta prudenza nel governo dei suoi popoli. Ancorchè, per esser difettoso di lingua, ammettesse pochi all'udienza sua, pure, non meno per sè che per via d'onorati ministri, accudì sempre all'amministrazion della giustizia, e mantenne la quiete nei suoi Stati, avendogli servito non poco a conservarlo immune dai guai fra i pubblici torbidi la parzialità e riguardo che aveano per lui le corti d'Europa, a cagione della generosa regina di Spagna Elisabetta sua nipote ex fratre, e figlia della duchessa Dorotea sua propria moglie. A lui succedette nel ducato il principe Antonio suo fratello, nato nel dì 29 di novembre del 1679. A questo principe (giacchè il fratello duca avea perduta la speranza di ricavar successione dal matrimonio suo) più volte s'era progettato di dar moglie, affinchè egli tentasse di tenere in piedi la vacillante sua nobil casa; ma sempre in fumo si sciolse ogni suo trattato, per non accordarsi i fratelli nell'appannaggio che egli pretendeva necessario al suo decoro nella mutazion dello stato. Così i poco avveduti principi d'Italia, per volere ristretta nella sola linea regnante la propagazion del loro sangue, e col non procurare che una linea cadetta possa ammogliandosi supplire i difetti eventuali della propria, han lasciato venir meno la nobilissima lor prosapia con danno gravissimo anche de' popoli loro sudditi. Erano assai cresciuti gli anni addosso al duca Antonio, aveva egli anche ereditata la grassezza del padre; pure tutti i suoi ministri, e del pari la corte di Roma, l'affrettarono tosto a scegliersi una consorte abile a rendere frutti. Fu [330] dunque da lui prescelta la principessa Enrichetta d'Este figlia terzogenita di Rinaldo duca di Modena, avendo anche questo principe sacrificato ogni riguardo verso le figlie maggiori per la premura di veder conservata la riguardevol casa Farnese. Dugento mila scudi romani furono accordati in dote a questa principessa, e sul fine di luglio si pubblicò esso matrimonio, con ottenere la necessaria dispensa da Roma per la troppa stretta parentela. Ognun si credeva che grande interesse avesse il duca Antonio di unirsi senza perdere tempo colla disegnata sposa; pure con ammirazione e dolor di tutti si vide differita questa funzione sino al febbraio del seguente anno.
Al marchese di Ormea, ministro di rara abilità di Vittorio Amedeo re di Sardegna, riuscì in quest'anno di superar tutte le difficoltà che fin qui aveano impedito l'accordo delle differenze vertenti fra la sua corte e quella di Roma. Il buon pontefice Benedetto XIII, nel cui cuore non allignavano se non pensieri e desideri di pace, non solamente condiscese a riconoscere per re di Sardegna esso sovrano, ma eziandio gli accordò non poche grazie e diritti, contrastati in addietro dai suoi due predecessori. Era poi gran tempo che questo papa ardeva di voglia di portarsi a Benevento, parte per consacrar ivi una chiesa fabbricata in onore di San Filippo Neri, alla cui intercessione si protestava egli debitor della vita, allorchè restò seppellito sotto le rovine del tremuoto di quella città; e parte per consolare colla sua presenza il popolo beneventano, per cui egli conservò sempre un amore che andava anche agli eccessi; e tanto più perchè riteneva tuttavia quell'arcivescovato. Per quanto si affaticassero i porporati per attraversare questo suo dispendioso disegno, non vi fu ragione che potesse distornarlo dalla presa risoluzione. Dopo aver dunque fatto un decreto, che, in caso di sua morte, il sacro collegio tenesse il conclave in Roma, nel marzo di quest'anno si mise [331] in viaggio a quella volta con picciolo accompagnamento di gente, ma con gran copia di sacri ornamenti e regali per le chiese di Benevento, e gran somma di danaro per riversarlo in seno dei poveri. Due corsari, informati del suo viaggio, sbarcarono a Santa Felicita; ma il colpo andò fallito, e si sfogò poscia il lor furore sopra que' poveri abitanti. Giunse a Benevento il santo padre nel dì primo di aprile. Gran concorso di popolo fu a vederlo ed ossequiarlo; e siccome egli di nulla più si compiaceva, che delle funzioni episcopali, così impiegò ivi il suo tempo in consecrar chiese ed altari, in predicare, in amministrare sacramenti, in servire i poveri alla mensa, e in altri piissimi impieghi del genio suo religioso. Nel dì 12 di maggio fece poi partenza di colà, e pervenuto a San Germano nel dì 18, quivi con gran solennità consecrò la chiesa maggiore. Fu in Monte Casino, dove, come se fosse stato semplice religioso, gareggiò coll'esemplarità e pietà di que' monaci, assistendo anch'egli al coro della mezza notte. Gran consolazione si provò in Roma all'arrivo della santità sua in quella capitale, succeduto nel dì 28 del mese suddetto.
Miravansi intanto gli affari dei potentati cristiani in un segreto ondeggiamento. Disgustata era la corte di Spagna con quella di Francia per la principessa rimandata a Madrid. Più grave ancora si conosceva la discordia sua con quella d'Inghilterra a cagione di Minorica e Gibilterra. Un altro affare sturbò la buona armonia fra Cesare e gli Anglolandi; imperciocchè l'interesse, cioè il primo mobile del gabinetto dei regnanti, avea servito ai consiglieri cesarei per indurre l'Augusto Carlo VI ad istituire, o pure ad approvare una grandiosa compagnia di commercio in Ostenda: il qual progetto se fosse andato innanzi, minacciava un colpo mortale al commercio dell'Inghilterra ed Olanda. Pretendeano quelle potenze un sì fatto istituto contrario ai patti delle precedenti leghe, tacciando [332] anche d'ingratitudine sua maestà cesarea, che aiutata da tanti sforzi di gente e danaro da esse marittime potenze per ricuperar la Fiandra, si volesse poi valere della medesima conquista in sommo loro danno e svantaggio. Ma i ministri di Vienna, siccome partecipi delle rugiade provenienti da Ostenda, teneano saldo il buon imperadore nel sostegno di quella compagnia. Se n'ebbe ben egli col tempo a pentire. Per opporsi dunque al proseguimento di quella compagnia, si formò in Annover nel 1725 una lega fra la Francia, Inghilterra e Prussia, a cui poscia si accostarono anche gli Olandesi. S'era all'incontro l'Augusto Carlo maggiormente stretto col re di Spagna. Aveano in questi tempi gl'inglesi con una squadra dei lor vascelli sequestrata in Porto Bello la flotta che dovea portare i tesori in Ispagna. Da tale ostilità commossi gli Spagnuoli, oltre all'essersi impadroniti del ricchissimo vascello inglese chiamato principe Federigo, andarono a mettere, nel febbraio di quest'anno, l'assedio a Gibilterra. Gran vigore mostrarono gli offensori, ma molto più i difensori; laonde perchè non v'era apparenza di sottomettere quella piazza, e perchè intanto furono sottoscritti in Parigi alcuni preliminari di aggiustamento fra i potentati cristiani, al che spezialmente si erano affaticati i ministri del papa, e più degli altri monsignor Grimaldi nunzio pontifizio in Vienna, quell'assedio, dopo alcuni mesi inutilmente spesi, terminò in nulla. Venne intanto nel dì 22 di giugno a mancar di vita, colpito da improvviso accidente verso Osnabruk nel passare ad Hannover, Giorgio I re della Gran Bretagna, e a lui succedette in quel regno, concordemente ricevuto da quei parlamenti, Giorgio II principe di Galles, suo primogenito.
Stava attento ad ogni spirar d'aura in quelle parti il Cattolico re Giacomo III Stuardo; e verisimilmente isperanzito che avesse in Inghilterra per la morte di quel regnante da succedere qualche cangiamento [333] in suo favore, all'improvviso si partì da Bologna, e passò in Lorena, con ridursi poscia ad Avignone. Scandagliati ch'egli ebbe gli affari dell'Inghilterra, trovò preclusa ogni speranza ai proprii, e però quivi fermò i suoi passi. Aveva egli lasciati in Bologna i due principi suoi figli; e giacchè in fine s'era ridotto ad allontanare dal suo servigio il Lord Eys, e sua moglie, la regina Clementina Sobieschi, consigliata dal papa e dai più saggi porporati, alla metà del mese di luglio sen venne a quella città, dove abbracciò i figli con tal tenerezza, che trasse le lagrime dagli occhi di tutti gli astanti. Fermossi ella di poi in essa città, attendendo continuamente alle sue divozioni, giacchè per le visite e per li divertimenti non era fatto il suo cuore. Passava questa santa principessa le giornate intere in orazioni davanti il santissimo Sacramento. Nel novembre di questo anno venne in Italia il principe Clemente elettor di Colonia, fratello dell'elettor di Baviera e della gran principessa di Toscana Violante, con animo di farsi consecrare arcivescovo dal pontefice Benedetto XIII. Per cagion dell'etichetta romana non trovava la di lui dignità i suoi conti nel portarsi fino a Roma. Lo umilissimo santo padre, tuttochè dissuaso dai sostenitori del decoro pontifizio, pure non ebbe difficoltà di passar egli a Viterbo per ivi consecrare quel principe. Riuscì maestosa la funzione, e corsero suntuosi regali dall'una e dall'altra parte; ma senza paragone superiori furono quei dell'elettore, perchè consistenti in sei candellieri d'oro arricchiti di pietre preziose; in una croce d'oro; in una corona di grosse perle orientali, i cui pater noster erano di smeraldi incastrati in oro; in una croce di diamanti di gran valore, e in una cambiale di ventiquattro mila scudi per le spese del viaggio del santo padre. Altri presenti toccarono alla famiglia pontifizia. Passò dipoi esso elettore colla principessa Violante a Napoli, per vedere le rarità di quella metropoli, e [334] di là venne dipoi ad ammirar le impareggiabili di Roma. Due padri carmelitani scalzi avea lo stesso pontefice, oppure il suo predecessore, inviati negli anni addietro alla Cina con ricchi donativi e lettere all'imperadore di quel vasto imperio. Riportarono essi nel presente anno due risposte di quel regnante al papa, accompagnate da una bella lista di donativi, consistenti nelle cose più rare e stimate di quei paesi.
Con sommo dispiacere intanto udiva il buon pontefice le risoluzioni prese dall'imperadore di concedere Parma e Piacenza all'imperador don Carlo, come feudi imperiali, in grave pregiudizio de' diritti della santa Sede, che per più di due secoli avea goduto pubblicamente il sovrano dominio e possesso di quegli Stati. Intimò pertanto al nuovo duca Antonio Farnese di prenderne, secondo il solito, l'investitura dalla Chiesa romana. Ma ritrovossi questo principe in un duro imbroglio, perchè nello stesso tempo anche da Vienna gli veniva ordinato di prestare omaggio per esso ducato a Cesare, da cui si pretendea di dargli l'investitura. Fu poi cagione questo vicendevole strettoio che il duca non la prese da alcuno. Fece perciò varie proteste la corte di Roma; e all'incontro più forte che mai seguitò l'imperadore a sostener quegli Stati, come membri del ducato di Milano. E perciocchè nell'anno 1720 avea papa Clemente XI fatto esporre al pubblico due libri contenenti le ragioni della Chiesa romana sopra Parma e Piacenza, in quest'anno parimente comparve alla luce un grosso volume, che comprendea le opposte ragioni dell'imperio sopra quelle città, dove, oltre al vedersi rivangati i principii del dominio pontifizio nelle medesime, si venne anche a scoprire che i duchi Ottavio ed Alessandro Farnesi aveano riconosciuto sopra Piacenza i diritti dell'imperio e del re di Spagna, padrone allora di Milano. Non bastò al saggio imperadore Carlo VI di aver procacciala a' suoi sudditi di Napoli, [335] Sicilia e Trieste una spezie di amicizia o tregua coi corsari di Tripoli e Tunisi. Rinforzò egli i suoi maneggi per istabilire un simile accordo col dey e reggenza di Algeri, cioè coi più poderosi e dannosi corsari del Mediterraneo, valendosi dell'interposizione della porta ottomana amica. Si fecero coloro tirar ben bene gli orecchi prima di cedere, perchè pretendeano che l'imperadore facesse anche egli desistere dall'andare in corso i Maltesi. Se ne scusò Cesare, con dire di non aver padronanza sopra quell'isola, e molto meno sopra de' cavalieri gerosolimitani. Finalmente nel dì 8 di marzo dell'anno presente si stipulò in Costantinopoli l'accordo suddetto, per cui spezialmente gran feste ne fece la città di Napoli, benchè prevedessero i saggi che poco capitale potea farsi di una pace con gente perfida e troppo ghiotta di quello infame mestiere. Cominciarono in fatto a verificarsi nell'anno seguente queste predizioni.
Ma nel dì 7 di novembre si cangiò in pianto tutta l'allegrezza de' Napoletani. Perciocchè, dopo avere il Vesuvio gittato per due giorni delle continue fiumane di bitume infocato, verso la sera del dì suddetto con orribili tenebre si oscurò il cielo, e dopo un terribile strepito di tuoni e fulmini, cadde per lo spazio di quattro ore una sì straordinaria pioggia, che recò gravissimi danni e sconcerti a quella città e al suo territorio. Quasi non vi fu casa che non restasse inondata da sì esorbitante copia d'acqua, con lasciar tutte le cantine e luoghi sotterranei ripieni d'acqua e di fango; e non se ne andò esente chiesa alcuna. Dalla montagna scendevano furiosi i torrenti, che atterrarono gran numero di case e botteghe, seco menando gli alberi divelti dal suolo, e i mobili della povera gente. Gli acquedotti e canali tutti rimasero rimpiuti di terra. Immenso ancora fu il danno che ne patì la città d'Aversa colle terre di Giuliano, Piamura, Paretta ed altre. Se abbondano di delizie quelle [336] contrade, a dure pensioni ancora son elleno soggette. Gloriosa memoria lasciò in quest'anno lo zelantissimo pontefice Benedetto XIII con una sua bolla del dì 12 d'agosto, in cui severamente proibì per tutti i suoi Stati il già introdotto ed affittato lotto di Genova, Napoli e Milano, gran voragine delle sostanze de' mortali poco saggi e troppo corrivi; e ciò per avere la Santità sua conosciuti gli enormi disordini che ne provenivano per le tante superstizioni, frodi, rubamenti, vendite dell'onestà, e impoverimento delle famiglie. E perchè, ciò non ostante, alcuni, poco curanti delle pene spirituali e temporali, osarono poscia di continuar questo giuoco, contra di essi procedè la giustizia, condannandoli al remo; nè poterono ottenere remissione dal papa, risoluto di voler liberare i suoi popoli da sanguisuga cotanto maligna. La borsa pontificia ne patì, ma crebbe la gloria di questo santo pontefice.
Anno di | Cristo MDCCXXVIII. Indiz. VI. |
Benedetto XIII papa 5. | |
Carlo VI imperadore 18. |
Finalmente nel dì 5 di febbraio dell'anno presente con molta solennità in Modena seguì lo sposalizio della principessa Enrichetta d'Este con Antonio Farnese duca di Parma, di cui fu mandatario il principe ereditario di Modena Francesco fratello d'essa. Dopo molti nobili divertimenti s'inviò la novella duchessa nel dì 7 alla volta di Parma, dove trovò preparate suntuose feste pel suo ricevimento. Chiarito ormai il re Cattolico Giacomo III della tranquillità che si godeva in Inghilterra, e non esservi apparenza che alcun vento propizio si svegliasse in suo favore, sul principio del gennaio di quest'anno si restituì a Bologna. Videsi allora la sospirata riunione di lui colla regina Clementina sua consorte, la cui incomparabil pietà e divozione non meno stupore, che tenerezza cagionava in tutto quel popolo. E ben [337] ebbe la città di Bologna motivi di grande allegrezza in questi tempi, per avere il sommo pontefice Benedetto XIII nel dì 30 di aprile pubblicato per uno dei cardinali riserbati in petto monsignor Prospero Lambertini arcivescovo di Teodosia, vescovo d'Ancona, segretario della congregazion del concilio, e promotor della fede, di nobile ed antica famiglia bolognese, prelato d'insigne sapere, spezialmente ne' sacri canoni e nell'erudizione ecclesiastica. Nel qual tempo ancora fu promosso alla sacra porpora il padre Vincenzo Lodovico Gotti parimente Bolognese, eletto già patriarca di Gerusalemme, e teologo rinomato per varii suoi libri dati alla luce. Noi vedremo, andando innanzi, portato il primo di essi dal raro suo merito alla cattedra di san Pietro.
Durava tuttavia la spinosa pendenza, fra la corte pontifizia e quella di Lisbona, per la pretensione mossa da quel re di voler promosso alla dignità cardinalizia, il nunzio apostolico Bichi, prima che egli si partisse da Lisbona, e nei presenti tempi maggiormente si vide incalzato il santo padre dai ministri portoghesi su questo punto. A tante pressure di quel re, stranamente forte in ogni suo impegno, avrebbe facilmente condisceso il buon pontefice, siccome quegli che cercava la pace con tutti. Ma costituita sopra questo affare una congregazion di cardinali, alla testa de' quali era il cardinal Coradini, uomo di gran petto, fu risoluto di non compiacere quel monarca, perchè niuno metteva in disputa che il principe possa, quando e come vuole, richiamare i suoi ministri dalle corti altrui; nè si dovea permettere un esempio di tanta prepotenza in pregiudizio dell'avvenire. A tal determinazione il mansueto pontefice si accomodò, ed attese più che mai a dar nuovi santi alla Chiesa di Dio, e ad esercitarsi nelle consuete sue azioni pastorali. Ma se n'ebbe forte a dolere il popolo romano, perchè tanto il cardinal Pereira che l'ambasciatore di quel re, e i prelati portoghesi, [338] anzi qualsivoglia persona di quella nazione, ebbero ordine di levarsi da Roma, e da tutto lo Stato ecclesiastico, e di tornarsene in Portogallo. Il che fu eseguito, seccandosi con ciò una ricca fontana di oro che scorrea per tutta Roma. Parve poco questo allo sdegnato re. Comandò che uscisse dai suoi Stati monsignor Firrao, da lui non mai riconosciuto per nunzio, nè volle lasciar partire monsignor Bichi, tuttochè chiamato coll'intimazion delle censure in caso di disubbidienza, e desideroso di obbedire. Oltre a ciò, nel mese di luglio vietò a chicchessia dei suoi sudditi il mettere piede nello Stato ecclesiastico, il cercar dignità o benefizii dalla santa Sede, il mandare o portar danaro a Roma: con che restò affatto chiusa la nunziatura e dateria per li suoi Stati. Finalmente cacciò dal suo regno ogni Italiano suddito del papa, con proibizione che alcun di essi non entrasse nei suoi territorii. Altro ripiego non ebbe la corte romana, per tentare un rimedio a questa turbolenza, che di raccomandarsi all'interposizione del piissimo re Cattolico Filippo V, stante la buona armonia di quella corte colla portoghese, a cagion del doppio matrimonio stabilito fra loro.
In mezzo nondimeno a sì fatti imbrogli Dio fece godere un'indicibil consolazione per altra parte al santo pontefice. Siccome uomo di pace, non avea ommesso uffizio o diligenza alcuna in addietro per vincere l'animo del cardinale di Noaglies arcivescovo di Parigi, fin qui pertinace in non volere accettare la bolla Unigenitus. Finalmente cotanto poterono in cuore di quel porporato le amorose esortazioni del buon pontefice, e il concetto della di lui sanità, e l'aver questo dichiarato che la dottrina di essa bolla non contrariava a quella di santo Agostino, che il cardinale s'indusse ad abbracciarla. Per l'allegrezza di questa nuova, e di una lettera tutta sommessa di quel porporato, non potè il santo padre contenere le lagrime, e non finì l'anno ch'egli annunziò nel sacro consistoro [339] questo trionfo della Chiesa, per cui il Noaglies fu ristabilito in tutti i suoi diritti e preminenze. Due nobili bolle e molte provvisioni pubblicò nell'anno presente l'indefesso pontefice pel buon regolamento della giustizia, affin di troncare il troppo pernicioso allungamento delle liti, e levare molti altri abusi del foro, degli avvocati, procuratori, notai ed archivii: regolamenti, i quali sarebbe da desiderare che si estendessero ad ogni altro paese, e, quel che importa, che si osservassero; perciocchè ordinariamente non mancano buone leggi, ma ne manca l'osservanza, e chi abbia zelo per questo. Da molti anni si trovavano in grande scompiglio i tribunali ecclesiastici della Sicilia a cagion di quella appellata monarchia, abolita da papa Clemente XI. Facea continue istanze l'imperador Carlo VI che si mettesse fine a questo litigio; e il santo padre, amantissimo della concordia con ognuno, vi condiscese con pubblicare nel dì 30 d'agosto una bolla e concordia, che risecò gli abusi introdotti in quel regno, e prescrisse la maniera di trattar quivi e definir le cause ecclesiastiche in avvenire.
Comparvero in questi tempi i potentati Cristiani dell'Europa tutti vogliosi di stabilire una pace universale. La sola Spagna quella era che teneva questo gran bene pendente per le sue pretensioni contro gl'Inglesi, e per alcune difficoltà nell'effettuare quanto era stato accordato all'infante don Carlo, spettante alla successione in Italia della Toscana e di Parma e Piacenza. Non la sapeva intendere il gran duca Giovanni Gastone, che vivente lui si avesse a mettere presidio straniero nei suoi dominii, e ricalcitrava forte. Ma da che furono accordati i preliminari della pace, l'Augusto Carlo VI nel dì 13 d'aprile rilasciò ordini vigorosi, comandando a' popoli della Toscana di ricevere e riconoscere il suddetto don Carlo per principe ereditario, e di prestargli quella sommessione ed ubbidienza che occorreva, senza pregiudizio del vivente [340] gran duca, affinchè, estinguendosi la linea mascolina dei gran duchi, fosse sicuro il real principe di prenderne il pieno desiderato possesso, cessando intanto la disposizione fatta di quegli Stati dal gran duca Cosimo III in favore della vedova elettrice palatina sua figlia. In vigore dunque di tali premure si aprì dipoi un congresso dei plenipotenziarii di tutte le potenze in Soissons, per ismaltire ogni altro punto concernente la progettata pace, avendo il cardinale di Fleury, primo ministro del re di Francia, desiderato quel luogo vicino a Parigi per teatro di sì importante affare, a fine di potervi intervenire anch'egli in persona, e recare più possente influsso alla concordia. Il bello fu che quei ministri più si lasciavano vedere alle conferenze in Parigi che in Soissons, per minore incomodo del cardinale, direttor di ogni risoluzione. Fu in questi tempi dall'imperadore dichiarata Messina porto franco con sommo giubilo di quegli abitanti. E nel dì 26 d'agosto diede fine al suo vivere Anna Maria regina di Sardegna, figlia di Filippo duca d'Orleans, cioè del fratello di Lodovico XIV re di Francia, e moglie del re Vittorio Amedeo, in età di cinquantanove anni. Aveva ella vedute due sue figlie regine di Francia e di Spagna.
Anno di | Cristo MDCCXXIX. Indiz. VII. |
Benedetto XIII papa 6. | |
Carlo VI imperadore 19. |
L'attenzione di tutta l'Italia, anzi di tutta l'Europa, fu in quest'anno rivolta al congresso di Soissons, che dovea decidere della pubblica tranquillità, e stabilir la successione dell'infante don Carlo nella Toscana e in Parma e Piacenza. Ma si venne scoprendo che Soissons era una fantasma di congresso, e che il vero laboratorio, dove si lambiccavano le risoluzioni politiche per la pace, stava nel gabinetto di Francia, e molto più in quello del re Cattolico. Videsi quest'ultimo monarca con tutta la sua corte incamminato [341] a Badajos, dove ai confini del Portogallo si fece cambio delle principesse di Asturias e del Brasile: nella quale occasione indicibil fu la pompa e la suntuosità delle feste. Ciò fatto, la corte cattolica, tirandosi dietro gli ambasciatori ed inviati dei principi, passò a Siviglia, a Cadice e ad altri luoghi, trattenendosi in quelle parti per tutto l'anno presente con gravi doglianze della città di Madrid. E intanto, mentre ognun si aspettava il lieto avviso della pace, altro non si mirava che preparativi di guerra: sì grandioso era l'armamento di vascelli spagnuoli e l'accrescimento delle truppe in quel regno, talmente che da un dì all'altro sembrava imminente un nuovo assedio di Gibilterra. Non faceva di meno dal canto suo Giorgio II re della Gran Bretagna, coll'adunare una potente e dispendiosa flotta, non senza richiami di quella fazione del parlamento che non intendeva le segrete ruote del ministero, nè qual forza abbia per ottener buona pace l'essere in istato di far gagliarda guerra. Quasi per tutto il presente anno s'andarono masticando nei gabinetti le vicendevoli pretensioni, nè anno mai fu, in cui tante faccende avessero i corrieri, come nel presente. Andò poscia a terminar questo conflitto di teste politiche principalmente in gloria e vantaggio della corona di Spagna, che per lungo tempo diede non solo la corda alle altre potenze, ma anche in fine la legge alle medesime con ritardare più e più mesi la distribuzion della flotta delle Indie, felicemente giunta in Ispagna, in cui tanto interesse aveano i mercatanti d'Italia e di altre nazioni. Finalmente nel dì 9 di novembre venne sottoscritto in Siviglia un trattato di pace e lega difensiva fra i re di Francia, Spagna ed Inghilterra, in cui susseguentemente, nel dì 21 d'esso mese, concorsero anche le Provincie Unite. Allorchè saltò fuori questa concordia, inarcarono le ciglia gli sfaccendati politici al vedere che non si parlava dell'imperadore; e che la Spagna, dianzi collegata con [342] esso, s'era gettata nel partito delle lega di Hannover. Tanto rumore s'era fatto dagl'Inglesi affinchè il re Cattolico chiaramente cedesse le sue ragioni e diritti sopra Minorica e Gibilterra; pure nulla si potè ottenere di questo: il che nondimeno non ritenne il re d'Inghilterra dall'abbracciar quell'accordo, giacchè, in vigor della pace d'Utrecht, tali acquisti erano autorizzati in favor degl'Inglesi, e il re Cattolico accettava in esso accordo le precedenti paci. Tralasciando io gli altri punti, solamente dirò, essersi ivi stabilito, che per assicurare la successione dell'infante don Carlo in Toscana, Parma e Piacenza, si avessero da introdurre non più Svizzeri, ma sei mila soldati spagnuoli in Livorno, Porto Ferraio, Parma e Piacenza, con patto che tali truppe giurassero fedeltà ai regnanti gran duca, e duca di Parma e Piacenza, e con obbligarsi la Francia e l'Inghilterra di dar tutta la mano per l'effettuazione di questo articolo, tacitamente facendo conoscere di voler ciò eseguire anche contro la volontà di Cesare. Ed ecco il motivo per cui la corte cesarea ricusò d'entrare nel trattato suddetto di Siviglia, giacchè nelle precedenti capitolazioni era stabilito che le guarnigioni suddette fossero di Svizzeri, e non di altra nazione parziale. Probabilmente ancora provò il conte di Koningsegg, plenipotenziario cesareo in Ispagna, della ripugnanza a concorrere in quell'accordo, perchè non vide riconosciuti quegli Stati per feudi imperiali, come portavano i patti. Certamente non si legge in esso trattato parola che indichi soggezione all'imperial dominio. Nè si dee tacere che appunto per questo la corte di Roma tentò di prevalersi di tal congiuntura per far valere le sue ragioni sopra Parma e Piacenza, senza nondimeno essersi finora osservato ch'ella abbia guadagnato terreno. Ora il ministero di Vienna restò non poco amareggiato, perchè il re Cattolico avesse dimenticato così presto l'obbligata sua fede nel trattato di Vienna del 1725, con alterare [343] in condizioni così importanti il tenore di essa, e declamava contra questa sì facile infrazione dei pubblici trattati e giuramenti. Per conseguente ricusò quella corte di aderire al trattato di Siviglia; ma non lasciarono per questo i collegati contrarii di Hannover di far tutte le disposizioni per condurre in Italia don Carlo, ad onta ancora dell'imperadore; maneggiandosi intanto perchè il gran duca Gian Gastone ed Antonio Farnese duca di Parma, accettassero di buona voglia le guarnigioni spagnuole.
Non poterono nè pure in quest'anno i cardinali ritenere il sommo pontefice Benedetto XIII ch'egli nella primavera non ritornasse a Benevento, per far ivi le funzioni della settimana santa e di Pasqua. L'amore d'esso santo padre verso quella città, anzi verso tutti i Beneventani, passava all'esorbitanza; e tanta copia di quella gente s'era introdotta in Roma, sempre intenta alla caccia di posti, di grazie e di benefizii, che lieve non era la mormorazione per questo. Restituissi dipoi nel dì 10 di giugno la santità sua a Roma ed attese per tutto il resto dell'anno alle solite funzioni ecclesiastiche e alle consuete opere di pietà, e a canonizzar santi. Da Bologna parimente ritornarono a Roma i cattolici re e regina d'Inghilterra in buon accordo, ed ivi fissarono di nuovo il loro soggiorno. In essa Roma, in Genova ed altre città, dove si trovavano ministri pubblici della corte di Francia, suntuose feste si videro solennizzate per la tanto desiderata e già compiuta nascita di un Delfino, accaduta nel dì 4 di settembre dell'anno presente: principe che oggidì fiorisce, e grande espettazione dà ai suoi popoli per la felicità del suo talento. Si fecero in tal congiuntura quasi dissi pazzie di tripudii ed allegrezze per tutto quel regno, e fino i più poveri paesi sfoggiarono in dimostrazioni di giubilo: tanto è l'amore inveterato di que' popoli verso i loro monarchi. Soprattutto in Roma il cardinale di Polignac si tirò dietro l'ammirazione [344] d'ognuno per la magnificenza delle feste e delle invenzioni, colle quali celebrò la nascita di questo principino. Troppo era portato alla beneficenza e alle grazie il generoso e disinteressato animo del pontefice Benedetto XIII. Di questa sua nobile, ma talvolta non assai regolata inclinazione sapeva anche profittare qualche suo ministro, non senza lamenti degli zelanti che miravano esausto l'erario pontifizio, e accresciuti gli aggravii alla camera apostolica, in guisa tale che si rendevano oramai superiori le spese alle rendite annue della medesima. Non era questo un insolito malore. Anche sotto altri precedenti papi, o per necessità occorrenti, o per capricci e fabbriche dei regnanti, o per l'avidità dei non mai contenti nipoti, sovente sbilanciavano i conti in pregiudizio della medesima camera. Al disordine dei debiti fatti si rimediava col facile ripiego di crear nuovi luoghi di monti e vacabili: con che vennero crescendo i tanti milioni di debiti, dei quali anche oggidì si trova essa camera gravata. Ne' tempi del nepotismo niuno ardiva di aprir bocca; ma sotto sì umile pontefice animosamente i ministri camerali vollero nel mese di aprile rappresentar lo stato delle cose, affinchè dal di lui buon cuore non si aggiugnessero nuove piaghe alle precedenti. Gli fecero dunque conoscere che prima del suo pontificato l'entrata annua della camera, per appalti, dogane, dateria, cancelleria, brevi, spogli ed altre rendite, ascendeva a due milioni settecento sedici mila e secento cinquanta scudi, dico scudi 2.716,650. Le spese annue, computando i frutti de' monti, vacabili, presidii, galere, guardie, mantenimento del sacro palazzo, de' nunzii, provisionati, ec., solevano ascendere a due milioni, quattrocento trentanove mila e trecentotto scudi, dico scudi 2.439,308, laonde la camera restava annualmente in avanzo di scudi 277,342. Ma avendo esso pontefice abolito un aggravio sulla carne e il lotto di Genova, creati due mila luoghi di monti, accordate non poche [345] esenzioni e diminuzioni negli appalti (fatti senza le solite solennità), assegnati o accresciuti salarii ai prefetti delle congregazioni, legati, tribunali, prelati, ed altre persone, con altre spese che io tralascio, veniva la camera a spendere più de' tempi addietro scudi trecento ottantatrè mila e secento ottantasei, dico scudi 383,686; e però restava in uno sbilancio di circa scudi centoventi mila per anno. Però si scorgeva la necessità di moderar le spese, e di ordinare un più fedele maneggio degli effetti camerali, tacitamente insinuando le trufferie di chi si abusava della facilità del papa; poichè, altrimenti facendo, conveniva imporre nuove gabelle; dal che era sì alieno il pietoso cuore del pontefice; o pur si vedrebbe incagliato il pagamento de' frutti dei monti: il che sarebbe una sorgente d'innumerabili lamenti e mormorazioni, screditerebbe di troppo la camera, e sommamente intorbiderebbe il politico commercio. Qual buon effetto producesse questa rimostranza, converrà chiederlo agl'intendenti romani: io non ne so dire di più.
Occorse in quest'anno, nel dì 12 di agosto, un terribil fenomeno nel Ferrarese di là da Po. Dopo le venti ore cominciò ad apparire sopra la terra di Trecenta ed altre ville contigue il cielo tutto ricoperto di folte nubi nere e verdi, con alquante striscie come di fuoco in mezzo ad esse. Dopo la caduta di una gragnuola, due contrarii venti impetuosissimi si levarono, che spinsero le nuvole a terra, e fecero come notte, uscendone fuoco che si attaccò a qualche casa e fenile, e cagionando un fumo denso e rossigno che riempiè di tenebre e di orrore tutto quel tratto di paese per dodici miglia sino a Castel Guglielmo. Il principal danno provenne dalla furia impetuosa del vento, che atterrò in Trecenta circa cento ventotto case colla morte di molte persone; portò via il tetto e le finestre della parrocchiale; troncò il campanile di un oratorio, e fece altri lagrimevoli danni. Per la campagna [346] si videro portati via per aria i tetti di molti fenili, e fino uomini, carra e buoi, trovati per istrada o al pascolo, alzati da terra, e furiosamente trasportati ben lungi. Immensa fu la quantità degli alberi di ogni sorta che rimasero svelti dalle radici, o troncati all'altezza di un uomo, e spinti fuora del loro sito. Di questa funestissima e non mai più provata sciagura parteciparono le ville di Ceneselli, di Massa di sopra e di altri luoghi di que' contorni, i cui miseri abitanti si crederono giunti alla fine del mondo. Trovossi in questi tempi il gran duca di Toscana in gravi imbrogli a cagion del trattato di Siviglia; perchè pulsato dall'una parte dalla Spagna e dagli alleati di Hannover per ammettere le guarnigioni di don Carlo nelle sue piazze, e dall'altra battuto da contrarie massime e pretensioni della corte imperiale. Nel dì 19 di aprile dell'anno presente per impensato accidente mancò di vita Antonio Ferdinando Gonzaga, duca di Guastalla e principe di Bozzolo, senza prole, e a lui succedette Giuseppe Maria suo fratello, benchè poco atto al governo.
Anno di | Cristo MDCCXXX. Indiz. VIII. |
Clemente XII papa 1. | |
Carlo VI imperadore 20. |
Per tutto quest'anno stette l'Italia in un molesto combattimento fra timori di guerra e speranze di pace. Non sapea digerire l'Augusto Carlo VI che, dopo avere la Spagna e tutti gli altri alleati di Hannover nei solenni precedenti trattati riconosciuto per feudi imperiali la Toscana, Parma e Piacenza, e stabilita la qualità dei presidii, avessero poi nel trattato di Siviglia disposto altrimenti di quegli Stati senza il consenso della cesarea maestà sua. Non già che gli negasse o intendesse impedire la successione dello infante don Carlo in quei ducati, ma perchè pretendeva di ammettervelo nella maniera prescritta concordemente dalla quadruplice alleanza. E perciocchè crescevano [347] le disposizioni del re Cattolico Filippo V e delle potenze marittime, per introdurre esso infante in Toscana, si cominciò a vedere un contrario apparato dalla parte dell'imperadore, per opporsi a tal disegno. In fatti ecco a poco a poco calare in Italia circa trenta mila Alemanni, che si stesero per tutto lo Stato di Milano e di Mantova con aggravio considerabile di que' paesi. Ne fu destinato generale il conte di Mercy. Alcune migliaia d'essi passarono ad accamparsi nel ducato di Massa e nella Lunigiana, per essere alla portata di saltare in Toscana, qualora si tentasse lo sbarco delle truppe spagnuole. Non lasciò indietro diligenza alcuna il gran duca Gian Gastone per esimere i suoi Stati dall'ingresso dell'armi straniere; e perchè lo imperadore, con pretendere di non essere più tenuto ad osservare gl'infranti primieri trattati, fece vigorose istanze, affinchè esso gran duca prendesse da lui la investitura di Siena, bisognò accomodarsi, benchè con ripugnanza, a tal pretensione. A sommossa eziandio della corte di Vienna esso gran duca dichiarò al ministro di Spagna di non poter acconsentire all'ingresso delle truppe spagnuole ne' suoi Stati. Non sapevano intendere i politici come il solo imperadore prendesse a far fronte a tante corone collegale, massimamente trovandosi egli senza flotte per sostener Napoli e Sicilia. Ma ossia che la corte di Vienna si facesse forte sul genio del cardinale di Fleury, primo ministro di Francia, inclinato non poco alla pace; o pure che sperasse col maneggio dei ministri nelle corti, e colla forza dei suoi guerrieri apparati, di ridurre gli alleati a condizioni più convenevoli all'imperial sua dignità: certo è ch'esso Augusto animosamente procedè nel suo impegno; spinse non poche truppe nei regni ancora di Napoli e Sicilia; e fece quivi e nello Stato di Milano ogni possibil preparamento di fortificazioni e munizioni per difesa ed offesa, come se fosse la vigilia di una indispensabil guerra. [348] Passò nondimeno tutto il presente anno senza che si sguainassero le spade, ma con batticuore d'ognuno per questa fluttuazione di cose.
Giunse intanto alla meta de' suoi giorni il buon pontefice Benedetto XIII. Il dì 21 di febbraio quello fu che il fece passare ad una vita migliore nell'anno ottantuno di sua età, dopo un pontificato di cinque anni, otto mesi e ventitrè giorni. Tali virtù erano concorse nella persona di questo capo visibile della Chiesa di Dio, che era riguardato qual santo, e tale si può piamente credere che egli comparisse agli occhi di Dio. Pari non ebbe la somma sua umiltà, più stimando egli di esser povero religioso, che tutta la gloria e maestà del romano pontificato. Nulla cercò egli per li suoi parenti, staccatissimo troppo dalla carne e dal sangue. Insieme col mirabil disinteresse suo accoppiava egli non lieve gradimento di donativi, ma unicamente per esercitare l'ineffabil sua carità verso de' poverelli. Per questi aveva una singolar tenerezza, e fu veduto anche abbracciarli considerando in essi quel Dio, di cui egli serbava in terra le veci. Le sue penitenze, i suoi digiuni, la sua anche eccessiva applicazione alle funzioni ecclesiastiche, il suo zelo per la religione, e tant'altre belle doti e virtù, gli fabbricarono una corona che non verrà mai meno. E perciocchè singolare fu sempre la sua pietà, la sua probità, la sua rettitudine, si videro anche relazioni di grazie concedute da Dio per intercession di questo santo pontefice tanto in vita che dopo la sua morte. Solamente in lui si desiderò quell'accortezza, che è necessaria al buon governo politico ed economico degli Stati, sì per sapere scegliere saggi ed incorrotti ministri, e sì per guardarsi dalle frodi ed insidie de' cattivi. Questo solo mancò alla compiuta gloria del suo pontificato, essendosi trovati i ministri della sua maggior confidenza che stranamente si abusarono dell'autorità loro compartita, e con ingannevoli insinuazioni corruppero non di rado le sante intenzioni di lui, attendendo [349] non già all'onore dell'innocente santo padre, ma solamente alla propria utilità, e per vie anche sordidissime. Nè già è credibile che i buoni disapprovassero la beneficenza di questo pontefice verso le chiese del regno di Napoli, ch'egli, a norma del santo pontefice Innocenzo XII, esentò dagli spogli; e molto meno l'aver egli proibito il lotto di Genova, cioè una gran propina della borsa pontificia; nè l'aver vietato l'imporre pensioni alle chiese aventi cure d'anime, tuttochè poi cessassero con lui così lodevoli costituzioni; e nè pure altre simili sue beneficenze. Quello che non si potè sofferire, fu l'avere gli avvoltoi beneventani intaccata in varie biasimevoli maniere la camera apostolica, vendute le grazie e favori, contro il chiaro divieto delle sacre ordinanze, e defraudata in troppe occasioni la retta mente del buon pontefice; il quale, benchè talvolta avvertito dei loro eccessi, tentò bene di provvedervi, ma indarno, non essendo mancati mai artifizii a que' cattivi strumenti per far comparire calunnie le vere accuse.
Ora appena si seppe avere il buon pontefice spirata l'anima, che si sollevò poca plebe contra degli odiati Beneventani, incitata, come fu creduto, da mano più alta, allorchè vide due familiari del cardinal Coscia condotti alle pubbliche carceri. Saputosi che lo stesso porporato, cioè chi maggiormente avea fatta vendemmia sotto il passato governo con assassinio della giustizia e delle leggi più sacrosante, s'era ritirato in un palagio, corse colà, e minacciollo d'incendio. Ebbe maniera il Coscia di salvarsi, e andò a ritirarsi in Caserta presso di quel principe. Furono trasportate in castello Sant'Angelo le di lui argenterie, suppellettili e scritture. Accordatogli poscia un salvocondotto, tornò egli a Roma; e, per timore del popolo, nascosamente entrò in conclave, dove non gli mancarono attestati dello sprezzo universale di lui. Non pochi furono i Beneventani che colla fuga si sottrassero all'ira del popolo e alle ricerche [350] della giustizia. Si accinse dipoi il sacro collegio a provveder la Chiesa di Dio di un nuovo pastore. Per più di quattro mesi durò la dissensione e il combattimento fra que' porporati, e videsi con ammirazione di tutti che, oltre alla fazione imperiale e a quella dei Franzesi e Spagnuoli, saltò su ancora la non mai più intesa fazione de' Savoiardi, capo di cui era il cardinale Alessandro Albani. Sarebbe da desiderare che quivi non altro tenessero davanti agli occhi i sacri elettori, se non il maggior servigio di Dio e della Chiesa, e che restasse bandito dal conclave ogni riguardo od interesse particolare. Per cagion di questo nel maggior auge abbattuti si trovarono i cardinali Imperiale, Ruffo, Corradini e Davia, che pur erano dignissimi del triregno. Si trovò sulle prime scavalcato per l'opposizione dei cesarei anche il cardinale Lorenzo Corsini, di ricca e riguardevol casa fiorentina; ma raggruppatosi in fine il negoziato per lui, fu nel dì 12 di luglio concordemente promosso al sommo pontificato. Pervenuto all'età di settantanove anni, non lasciava egli di esser robusto di mente e di corpo; porporato veterano nei pubblici affari, di vita esemplare, e ben fornito di massime principesche. Prese egli il nome di Clemente XII, in venerazion del gran Clemente XI suo promotore. Nè tardò egli a far conoscere l'indignazione sua contra del cardinale Coscia, privandolo di voce attiva e passiva, e vietandogli l'intervenire alle congregazioni. Altri prelati e ministri del precedente pontificato furono o carcerati o chiamati ai conti, come prevaricatori e rei di avere tradito un pontefice di tanta integrità, e recato non lieve danno alla camera apostolica. Deputò egli per questo una congregazione dei più saggi e zelanti cardinali, con ampia autorità di procedere contra di sì fatti trasgressori, ad esempio ancora dei posteri. Vietò al suddetto cardinale di uscire dello Stato ecclesiastico, e gl'interdisse l'esercizio di tutte le funzioni arcivescovili in Benevento, [351] con insinuargli eziandio di rinunziar quell'insigne mitra, di cui s'era egli mostrato sì poco degno. Per questa severità, e per tanto amore alla giustizia, gran credito sulle prime si acquistò il novello pontefice, se non che ebbe maniera il Coscia di ottenere la protezion della corte di Vienna, che col tempo impedì che egli non fosse punito a misura dei suoi demeriti.
Fra i più illustri principi che si abbia mai avuto la real casa di Savoia, veniva in questi tempi conceduto il primo luogo a Vittorio Amedeo re di Sardegna, siccome quegli che, portando unita insieme una mente maravigliosa con un raro valore e una corrispondente fortuna, avea cotanto dilatati i confini de' suoi Stati, e portata una corona e un regno nella sua nobilissima famiglia. S'era questo generoso principe, pieno sempre di grandi idee, ma regolate da una singolar prudenza, tutto dato alla pace, a far fiorire il commercio ed ogni arte nel suo dominio, a fortificar le sue piazze, ad accrescere le forze militari e gl'ingegneri, e massimamente a fabbricare con grandi spese la quasi inespugnabil fortezza della Brunetta, e ad abbellire ed accrescere di abitazioni Torino. Con un corpo di leggi avea prescritto un saggio regolamento alla buona amministrazione della giustizia ne' suoi tribunali e a molti punti riguardanti il bene de' sudditi suoi. Aveva anche ultimamente atteso a far fiorire le lettere col fondare una insigne università, a cui chiamò de' rinomati professori di tutte le scienze: nella qual congiuntura con istupore d'ognuno levò le scuole ai padri della compagnia di Gesù, e agli altri regolari ancora in tutti i suoi Stati di qua dal mare, per istabilire una connessione e corrispondenza di studii fra l'università di Torino e le scuole inferiori con un migliore insegnamento per tutti i suoi Stati d'Italia. Mentre egli era intento ad altre gloriose azioni, eccolo nel presente anno determinarne una che ben può dirsi la più eroica e mirabile che [352] possa fare un regnante. Era questo sempre memorabil sovrano giunto all'età di sessantaquattro anni, e provava già più d'un incomodo alla sua sanità per le tante passate applicazioni della mente. Sul principio di settembre fatto chiamare Carlo Emmanuele principe di Piemonte, unico suo figlio, a lui spiegò la risoluzione di rinunziargli la corona e il supremo governo de' suoi Stati; perchè intenzion sua era di riposare oramai, e di liberarsi da tutti gl'imbarazzi, per prepararsi posatamente alla grande opera dell'eternità. Restò sorpreso il giovane figlio a questa proposizione; e per quanto seppe, con gittarsi anche in ginocchioni, il pregò, quando pure volesse sgravarsi d'un peso, di cui era più la maestà sua che esso figlio capace, di dichiararlo solamente luogotenente generale, con ritenere la sovranità e il diritto di ripigliar le redini, quando trovasse ciò più utile al bisogno de' sudditi: No (replicò il re), verisimilmente io potrei talvolta disapprovare quel che faceste: però o tutto, o nulla. Io non vo' pensarvi in avvenire.
Convenne cedere alla paterna determinazione e volontà. E però nel dì 3 del suddetto mese, convocati al palazzo di Rivoli i ministri e molta nobiltà, dopo aver detto ch'egli si sentiva indebolito dall'età e dalle cure difficili di tanti anni del suo governo, rinunziava il trono al principe suo figlio amantissimo, colla soddisfazione di rimettere la sua autorità in mano di chi era egualmente degno di essa, che atto ad esercitarla. Aver egli scelto Sciambery per luogo del suo riposo; e perciò ordinare a tutti, che da lì innanzi ubbidissero al figlio, come a lor legittimo sovrano. Di questa rinunzia seguirono gli atti autentici, e nel giorno appresso Vittorio Amedeo non più re, benchè ognuno continuasse anche da lì innanzi a dargli il titolo di re, andò a fissare il suo soggiorno nel castello di Sciambery, con quella stessa ilarità di animo con cui altri saliscono sul trono. Un gran dire fu per questa novità. Chi immaginò [353] presa tal risoluzione da lui perchè avesse dianzi contratto degl'impegni con gli alleati di Hannover, e che, vedendo cresciute cotanto con pericolo suo l'armi di Cesare nello Stato di Milano, trovasse questa maniera di disimpegnar la sua fede. Sognarono altri ciò proceduto dall'aver egli sposata nel dì 12 del precedente agosto la vedova contessa di San Sebastiano della nobil casa di Cumiana, dama di cinquant'anni, per avere chi affettuosamente assistesse al governo della sua sanità, e non per altro motivo; ed affinchè un tal matrimonio non potesse per le precedenze alterar la buona armonia colla real principessa sua nuora, aver egli deposta la corona. Tutte immaginazioni arbitrarie ed insussistenti di gente sfaccendata: quasichè alle supposte difficoltà non avesse saputo un sovrano di tanta comprensione facilmente trovare ripiego, e ritenere tuttavia lo scettro in mano. La verità fu, che motivi più alti mossero quel magnanimo principe a spogliarsi della temporale caduca corona, per attendere con più agio all'acquisto di un'eterna, e tanto più perchè certi interni sintomi già facevano apprendere non molto lungo il resto del suo vivere. Passò dipoi a Torino colla corte il nuovo re Carlo Emmanuele, e ricevette il giuramento di fedeltà da chi dovea prestarlo. Convien confessarlo: incredibil fu il giubilo o palese o segreto di que' popoli per tal mutazione di cose, perchè il re Vittorio Amedeo pareva poco amato da molti, ed era temuto da tutti; laddove il figlio, principe di somma moderazione e di maniere affatto amabili, facea sperare un più dolce e non men giusto governo in avvenire.
A questa scena dell'Italia un'altra ancora se ne aggiunse che grande strepito fece sui principii, e maggiore andando innanzi. Più secoli erano che la repubblica di Genova signoreggiava la riguardevol isola e regno della Corsica. Si contavano varie sollevazioni o ribellioni di quei feroci e vendicativi popoli nei [354] tempi addietro, quetate nondimeno o dalla prudenza o dalla forza de' medesimi Genovesi. Ma nella primavera dell'anno presente da piccoli principii nacque una sedizione in quelle contrade, pretendendo essi popoli d'essere maltrattati dai governatori della repubblica. Uniti i malcontenti coi capi dei banditi, andarono ad assediar la Bastia; ma sì buone parole o promesse furono adoperate, che si ritirarono, con restar nondimeno in armi circa venti mila persone, le quali maggiormente si accesero alla ribellione, perchè si avvidero di non corrispondere i fatti alle promesse. Non mancavano a quegli ammutinati motivi di giuste doglianze, che cadevano nondimeno la maggior parte contra de' governatori, intenti a far fruttare il loro ministero alle spese della giustizia e dei sudditi. Pretendevano lesi i lor privilegii, divenuto tirannico il governo genovese, e sfoderavano una lista di tanti aggravii finora sofferti, che intendevano di non più sofferire da indi avanti. Nel consiglio di Genova fu udito il parere di Girolamo Veneroso, il quale sostenne che a guarir quella piaga si avessero da adoperar lenitivi, e non ferro e fuoco; e però i saggi, sapendo quanto quel gentiluomo nel suo savio governo si fosse cattivato gli animi dei Corsi, giudicarono bene di appoggiare a lui questa cura. Ma frutto non se ne ricavò, perchè senza saputa sua attrappolato un capo dei sediziosi, fu privato di vita: il che maggiormente incitò in quei popoli le fiamme dell'ira. E tanto più perchè prevalse poi in Genova il partito de' giovani, ai quali parve che l'uso delle armi e del gastigo con più sicurezza ridurrebbe al dovere i sediziosi. Se n'ebbero ben a pentire. Circa cinque mila soldati furono dipoi spediti dai Genovesi in Corsica, creduti bastante rinforzo agli altri presidii per ismorzare quell'incendio. Nella primavera di quest'anno la piccola città di Norcia, patria di san Benedetto, situata nell'Umbria, per un terribil tremuoto restò quasi interamente smantellata [355] e distrutta. A riserva di due conventi e del palazzo della città, le altre fabbriche andarono per terra, con restar seppellite sotto le rovine più centinaia di que' miseri abitanti. Si ridussero i rimasti in vita a vivere nella campagna, e gravissimo danno ne risentirono anche le terre e i villaggi circonvicini.
Anno di | Cristo MDCCXXXI. Indizione IX. |
Clemente XII papa 2. | |
Carlo VI imperadore 21. |
Non mancarono faccende in questo anno al sommo pontefice Clemente XII. Nulla valsero le forti insinuazioni fatte fare dalla santità sua al cardinal Coscia di rinunziare l'arcivescovato di Benevento. Egli con tutta la mala grazia negò questa soddisfazione al santo padre; e però continuarono i processi contro di lui nella congregazion de' cardinali appellata de Nonnullis. Fu carcerato monsignor vescovo di Targa di lui fratello, con altri Beneventani, gente mischiata negli abusi accaduti sotto il precedente governo. Il cardinal Fini venne privato di voce attiva e passiva in ogni congregazione. Fu dipoi intimata al Coscia la restituzione di ducento mila scudi alla camera apostolica e alla tesoreria: somma indebitamente da lui percetta. Questa fu la più sensibile stoccata all'interessato cuore di quel porporato, e la sordida avidità sua, che l'avea consigliato a fare in tante illecite maniere quell'ingiusto bottino, gli suggerì ancora il ripiego per conservarlo. Portato il buon pontefice dalla sua natural clemenza, non avea voluto mai condiscendere ad assegnare una stanza in castello Sant'Angelo a questo porporato. Però, trovandosi egli in libertà, seppe con falsi supposti ottenere dal cardinale Cinfuegor ministro dell'imperadore un passaporto, e poscia se ne fuggì nel dì 31 di marzo, e travestito ora da cavaliere, ora da abbate ed ora da frate, arrivò felicemente fin presso a Napoli, con implorare la protezione del vicerè [356] conte d'Harrach. Da Vienna, ove fu spedito un corriere, venne poi la permissione ch'egli potesse dimorare ovunque gli piacesse nel regno. Svegliossi in cuore del santo padre un vivo risentimento per questa fuga, presa con dispregio degli ordini e divieti precedenti; e però nel dì 12 di maggio fu pubblicato un monitorio, con cui al Coscia s'intimava, che non tornando a Roma entro lo spazio di quel mese, resterebbe privo di tutti i suoi benefizii: e se continuasse in quella disubbidienza sino al primo d'agosto, verrebbe degradato dalla dignità di cardinale. Furono poi nel dì 28 di maggio fulminate le scomuniche, gl'interdetti ed altre pene contro di lui, che intanto facea volar da per tutto dei manifesti in sua difesa; pretendendosi indebitamente aggravato dalla congregazione suddetta. Chiamò poi in suo aiuto una forte gota, spalleggiata dall'attestato veridico dei medici, acciocchè gli servisse di scusa, se entro i termini prescritti non compariva in Roma. Fu in questa occasione che il pontefice spedì ai principi cattolici copia del processo formato contro del Coscia, dov'erano ben caratterizzate le sue ribalderie; ma processo che fu poi processato da molti, perchè dopo l'essersi rilevati tanti capi di reato, e dopo tanti tuoni, si vide tuttavia la porpora ornare un personaggio che le avea recato sì gran disonore. Vedrem nondimeno che non mancarono gastighi alle colpe sue.
Dietro ad altro affare si scaldò medesimamente lo zelo di questo pontefice. Cioè nel dì 8 di gennaio in una allocuzione fatta ai cardinali nel concistoro segreto scoprì il santo padre l'intenzion sua di disapprovare l'accordo già conchiuso fra il suo predecessore e Vittorio Amedeo re di Sardegna. A molti capi si stendeva quella concordia, riguardanti l'immunità ecclesiastica, la nomina a varie chiese e benefizii, e l'esercizio della giurisdizione dei vescovi. Si aggiungeva la controversia per diversi feudi posti nel Piemonte e Monferrato, e spezialmente [357] Cortanze, Cortanzone, Cisterna e Montasia, sopra i quali intendeva il re di esercitare sovranità, laddove il pontefice pretendeva appartenere ai diritti della santa Sede, come feudi ecclesiastici. Citati i nobili vassalli di que' luoghi a prestare il giuramento di fedeltà al re, aveano ubbidito. Roma all'incontro tali atti dichiarò nulli, e intimò le censure ed altre pene a chi per essi feudi riconoscesse la regia camera di Torino. In una parola s'imbrogliò forte l'armonia fra le due corti, e scritture di qua e di là uscirono, e le controversie durarono sino al principio dell'anno 1742, siccome vedremo. A me non occorre dirne di più; siccome nè pure di altre rilevanti liti che in questi stessi giorni ebbe la santa Sede con gli avvocati e col parlamento di Parigi. Ma ciò che maggiormente tenne in esercizio la vigilanza di esso sommo pontefice in questi tempi, fu Parma e Piacenza. Quando si sperava che Antonio Farnese duca di quella città avesse dal matrimonio suo da ricavar frutti, per li quali si mantenesse la principesca sua casa, e restassero frastornati e delusi i conti già fatti su quei ducati dai primi potentati dell'Europa: eccoti l'inesorabil morte nel dì 20 di gennaio del presente anno troncar lo stame di sua vita, ed estinguer insieme tutta la linea mascolina della casa Farnese, che tanto splendore avea recato in addietro all'Italia. La perdita sua fu compianta da tutti i suoi sudditi, perchè già provato principe amorevole, splendido e di rara bontà; anzi di tale bontà, che se più in lungo avesse condotto il suo vivere, fu creduto che il suo patrimonio sarebbe ito sossopra, sì inclinato era egli alle spese e alla beneficenza. Maggiore fu il duolo, perchè già si prevedeva la gran disavventura di que' paesi, che, perduto il proprio principe, correano pericolo di diventare provincia. Nel testamento fatto da esso duca negli ultimi periodi di sua vita, lasciò erede il ventre pregnante della duchessa Enrichetta d'Este sua moglie, [358] e, in difetto di figli, l'infante don Carlo.
Avea già il conte Daun governator di Milano, all'udire l'infermità del duca, ammanito un corpo di truppe per introdurlo in Parma e Piacenza; e però, accaduta che fu la morte di lui, il generale conte Carlo Stampa, come plenipotenziario cesareo in Italia, nel dì 25 del suddetto gennaio venne a prendere il possesso di quegli Stati sotto gli auspicii dell'imperadore a nome del suddetto infante di Spagna, senza mettersi fastidio degli stendardi pontifizii, che si videro inalberati per la città. In tal congiuntura non mancò il pontefice ai suoi doveri per sostenere i diritti della Chiesa sopra Parma e Piacenza. Scrisse lettere forti a Vienna, Parigi e Madrid. Perchè la corte di Vienna sosteneva il cominciato impegno, richiamò da Vienna il cardinale Grimaldi. Fu spedito a Parma il canonico Ringhiera, che ne prese il possesso colle giuridiche formalità a nome del papa, e insieme monsignor Oddi commissario apostolico, a cui non restarono vietati molti atti di padronanza in quella città. Parimente in Roma si fecero le dovute proteste contro qualsivoglia attentato fatto o da farsi dall'imperadore e dalla Spagna per conto di que' ducati. Restavano intanto incagliati gli affari per la pretesa gravidanza della duchessa Enrichetta. Se ne mostrava sì persuaso chi la desiderava, che avrebbe per essa scommesso quanto avea di sostanze. Dopo alquanti mesi visitata quella principessa da medici e mammane, si videro attestati corroborati dal giuramento che quel monte avea da partorire. Ridevano all'incontro altri di opposto partito, ancorchè mirassero preparato il suntuoso letto, dove con tutte le formalità dovea seguire il parto, con essere anche destinati i ministri che aveano in tal congiuntura da imparare il mestier delle donne. Ma venuto il settembre, e disingannata la duchessa, onoratamente essa in fine protestò di non essere gravida. Stante nondimeno l'incertezza [359] di quell'avvenimento, in Vienna s'erano fatti non pochi negoziati fra i ministri dell'imperadore, quei del re Cattolico e quei del re della Gran Bretagna, per istabilire una buona concordia. Questa in fatti restò conchiusa nel dì 22 di luglio fra le suddette potenze, con avere l'Augusto Carlo VI non solamente confermata la successione dell'infante don Carlo nei ducati di Toscana Parma e Piacenza, ma eziandio condisceso che si potessero introdurre sei mila Spagnuoli, parte in Livorno e Porto Ferraio, e parte nelle suddette due città: conformandosi nel resto al trattato della quadruplice alleanza del dì 2 d'agosto del 1718 e alla pace di Vienna del dì 7 di giugno del 1725. A questa nuova respirò l'Italia, stata finora in apprensione di nuove guerre. Fu poi preso dal generale conte Stampa un'altra volta il possesso formale dei ducati di Parma e Piacenza a nome del real infante, e nel dì 29 di dicembre esatto da quei popoli il giuramento di fedeltà e di omaggio. Ma nel giorno seguente monsignor commissario Oddi per parte del sommo Pontefice fece una contraria solenne protesta in Parma; e così andavano balleggiando questi ministri, nel mentre che l'infante don Carlo si preparava per venire in Italia, anzi s'era già messo in viaggio, e parte delle milizie spagnuole, pervenuta a Livorno, avea preso quartiere in quella città. Quanto al gran duca Gian Gastone de Medici, e alla vedova palatina Anna Maria Luigia, nel dì 21 di settembre dichiararono di accettare il trattato di Vienna del dì 22 di luglio dell'anno presente. Prima ancora di questo tempo, cioè nel dì 25 di luglio, aveano stabilita una convenzione colla corte di Madrid, in cui fu convenuto che il reale infante don Carlo non solamente succederebbe negli Stati di Toscana, ma anche in tutti gli allodiali, mobili, giuspatronati, ed altri diritti della casa de' Medici. Per tutori d'esso principe, a cagion della sua minorità furono da Cesare deputati il suddetto gran duca per la Toscana, [360] e la duchessa vedova Dorotea Sofia, avola materna di lui, per Parma e Piacenza.
Si cominciarono a scorgere di buona ora dei rincrescimenti per l'eletto soggiorno di Sciambery nel fu re di Sardegna Vittorio Amedeo. Non vedeva egli più chi andasse a corteggiarlo, o a chiedere grazie; e il piacere di comandare, provato in addietro sopra tanti popoli, si ristringeva nella sola sua domestica famiglia. Questo abbandonamento, questa solitudine facevano guerra continua e cagionavano malinconia ad un principe avvezzo sempre a grandi affari; e a lui parea gran disgrazia il vedere confinati i suoi vasti pensieri nell'augusto recinto, cioè in un angolo della Savoia. Aggiungasi che sul principio di quest'anno egli fu preso da un accidente capitale, per cui gli rimase sempre qualche sensibile impedimento alla lingua, e gli sopraggiunse poi anche una qualche confusione d'idee. Andò allora il re Carlo Emmanuele a vederlo per testimoniargli il suo filiale affetto, e vi tornò anche nella state colla regina sua moglie. Verso poi la fine di agosto, attribuendo il re Vittorio il suo poco buono stato all'aria troppo sottile di Sciambery, volle ritornare in Piemonte, e andò a piantar la sua corte a Moncalieri in vicinanza di tre miglia da Torino. Nulla sospettava sulle prime di lui il re Carlo Emmanuele; ma da che si avvide ch'egli contro il concertato ambiva l'autorità nel governo, ordinò che si tenessero gli occhi aperti addosso a lui. E tanto più dovette quella corte allarmarsi, quando fosse vero quanto allora si disse, cioè avere esso Vittorio Amedeo minacciato che farebbe anche tagliare il capo ad uno dei primi e più confidenti ministri del re figlio; e che crebbero poscia i sospetti di qualche meditata mutazione, da che egli, parlando col conte Del Borgo, gli fece istanza dell'atto della sua rinunzia, fatto nel precedente anno, che con tutta sommessione gli fu negato. Aggiugnevano, che da lì [361] a poco tempo egli scrivesse un biglietto al governatore della cittadella di Torino con avvisarlo dell'ora in cui egli intendeva di andare a spasso entro di essa cittadella: o pure, ch'egli effettivamente si portasse in persona alla porta segreta, per entrarvi, ma con trovar il governatore che se ne scusò, con dire di non aver ordine dal real sovrano di riceverlo. Tutti questi fatti contemporaneamente si divulgarono, ma senza fondamento. La verità si è, che avendo il re Vittorio dopo il suo ritorno in Piemonte dato segni non equivoci di volere aver parte all'autorità del governo, il re Carlo Emmanuele fu in caso di far vegliare sui di lui discorsi; e tanto più da che seppe che il re padre parlava con diverse persone dell'atto dell'abdicazione, come di un atto che fosse in sua balìa di rivocare.
In questo tempo essendo assai cresciute le indisposizioni del re Vittorio, e la di lui mente, anche per l'accidente patito, molto indebolita, con qualche risalto alle volte di riscaldamento e di agitazione di spirito, onde venivano poi empiti di collera, si ebbe luogo a temere qualche novità sconvenevole e pericolosa. Vedeva il re figlio con ciò esposta ad un grave cimento non solamente la real sua dignità, ma anche il suo onore medesimo e il bene dello Stato; e però sperimentati prima in vano più mezzi e spedienti per calmare lo spirito del padre, e ricondurlo a pensieri più proprii e più convenienti, chiamò a sè i più saggi ministri di toga e di spada, ed esposto il presente sistema, con protestarsi nondimeno pronto a sacrificare ogni sua particolar convenienza, qualora avesse potuto farlo, salva la sua estimazione, il bene dei sudditi e la quiete degli Stati, richiese il loro consiglio. Ben pesato ogni riguardo, concorse il parere di ognuno in credere necessario un rimedio, a fin di evitare tutte le delicate e disastrose conseguenze che prudentemente si temevano come imminenti; e però fu concordemente determinato di assicurarsi [362] dalla persona d'esso re Vittorio. Nella notte adunque del dì 28 di settembre, venendo il dì 29, da vari corpi di truppe che l'uno non sapea dell'altro, si vide attorniato il castello di Moncalieri, e fu improvvisamente intimato al re Vittorio Amedeo di entrare in una preparata carrozza. Gli convenne cedere; e fu condotto nel vasto e delizioso palazzo di Rivoli, situato in un colle di molto salutevol aria, ma sotto le guardie, con raccomandare alle medesime di rispondere solamente con un profondo inchino a quante interrogazioni facesse loro il principe commesso alla loro custodia. La di lui moglie contessa di San Sebastiano, già divenuta marchesa di Spigno, nello stesso tempo fu condotta al castello di Ceva; ma perchè fece istanza il principe di riaverla, non gli negò il re questa consolazione. Del resto, al signorile trattamento d'esso principe fu pienamente provveduto; tolta a lui fu la sola libertà. Chiunque poi conosceva di che buone viscere fosse il re Carlo Emmanuele, e quanta virtù regnasse nell'animo suo, facilmente comprese che forti e giusti motivi il doveano avere indotto ad un passo tale con tutta la ripugnanza del suo sempre costante filiale affetto. Quelle stesse guardie che sul principio il teneano d'occhio, con saggio consiglio e per suo bene gli furono poste, affinchè osservassero che la gagliarda passione nol conducesse ad infierire contro sè stesso. Cessato il bollore, cessò anche la vicinanza d'esse guardie, ed era data licenza alle persone saggie e discrete di visitarlo e parlargli. E perciocchè fece istanza di essere rimesso in Moncalieri, perchè l'aria di Rivoli era troppo sottile, fu ricondotto colà.
Duravano in questi tempi le controversie della sacra corte di Roma col re di Portogallo cotanto alterato perchè il nunzio apostolico monsignor Bichi era stato richiamato, senza prima decorarlo colla porpora cardinalizia. Sostenne il sommo pontefice il decoro della sua dignità [363] con esigere che il prelato uscisse di Portogallo; e in fatti egli passò a Madrid, e gran tempo vi si fermò. Venne poscia in quest'anno a Firenze, e non passò oltre. Finalmente nel dì 24 di settembre fatta dal santo padre una promozione di cardinali, fu in essa compreso il Bichi; nè solo il Bichi, ma anche monsignor Firrao succeduto a lui in quella nunziatura: laonde si trattò dipoi con più facilità di rimettere la buona armonia fra la santa Sede e il re suddetto. Sempre più andava in questo mentre crescendo la ribellione dei corsi, e volavano per tutte le corti le loro doglianze per gli aggravi che pretendeano fatti ad essi dalla repubblica di Genova. A fine di smorzar questo incendio, ricorsero i Genovesi alla protezione dell'imperadore Carlo VI, e ne ottennero un rinforzo d'otto mila soldati alemanni, comandati dal generale Wachtendonck. Passò la metà di questa gente in Corsica, e fece tosto sloggiare i sediziosi dal blocco della Bastia. Ma da che verso la metà d'agosto s'inoltrò per cacciare da altri siti i Corsi, trovò in due battaglie gente che non conosceva paura. Perirono in quei combattimenti moltissimi dei Tedeschi, di maniera che fu necessario il far trasportare colà il resto dei loro compagni. Seguirono susseguentemente altre zuffe ora favorevoli ora contrarie ai malcontenti; ma spezialmente un'imboscata da loro tesa agli Alemanni nel fine di ottobre, nel passare che facevano a San Pellegrino, costò ben caro ad essi Tedeschi, perchè furono obbligati a ritirarsi dal campo di battaglia, con perdita di più di mille persone tra morti e feriti. Nel dì 30 di maggio terminò la carriera de' suoi giorni Violante Beatrice di Baviera, gran principessa di Toscana, vedova del fu gran principe Ferdinando de Medici. Era essa il ritratto della gentilezza, venerata da ognuno, e però dalle comuni lagrime si vide onorato il suo funerale. Gran compassione prima d'allora si svegliò in cuore di tutti per gli orrendi effetti d'un fierissimo tremuoto, che [364] avendo cominciato nel febbraio a farsi sentire nel regno di Napoli, infierì poi con varie altre più violenti scosse, e tenne gran tempo in una costernazione continua le provincie di Puglia, Terra di Lavoro, Basilicata e Calabria Citeriore, e in alcuni luoghi lasciò una dolorosa catastrofe di rovine. Più d'ogni altro ne provò immensi danni la città di Foggia, perchè tutta fu convertita in un monte di pietre, e più di tre mila persone rimasero seppellite sotto le diroccate case. Non restò pur uno de' sacri templi e chiostri in piedi; e frati, monache ed altri abitanti, che ebbero la fortuna di scampare, andarono raminghi per quelle desolate campagne, cercando e difficilmente trovando un tozzo di pane per mantenersi in vita. Si videro in tal congiuntura le acque alzarsi nei pozzi, ed uscirne con allagar le vigne. Barletta, Bari ed altre città furono a parte di questo spaventevol flagello; e perchè in Napoli i borghi di Chiaia e Loreto risentirono non lieve danno, buona parte di popolo, e massimamente la nobiltà col vicerè si ritirò alla campagna. Ma il piissimo cardinale Pignatelli arcivescovo non volle muoversi dal suo palazzo, e attese ad animar la plebe, e ad eccitar la misericordia di Dio con pubbliche processioni e preghiere.
Anno di | Cristo MDCCXXXII. Indizione X. |
Clemente XII papa 3. | |
Carlo VI imperadore 22. |
Quasi morirono di sete in quest'anno i novellisti bramosi di grandi avvenimenti. Fioriva la pace, che stendendo la serenità sopra tutta l'Europa, non di altro era feconda che di privati divertimenti ed allegrezze. Di queste spezialmente abbondò la Toscana; perciocchè finalmente sciolti tutti i nodi, l'infante di Spagna don Carlo si mise in viaggio per venire a far la sua comparsa nel teatro d'Italia. Imbarcossi egli ad Antibo nel dì 23 del precedente dicembre sulle galee di Spagna, unite con quelle del gran duca; ma appena ebbe [365] salpato, che si alzò una violenta burrasca che disperse tutta la flotta, e danneggiò forte non pochi di que' legni. Ad onta nondimeno dell'infuriato, elemento la capitana di Spagna nel dì 27 approdò a Livorno, e vi sbarcò l'infante. Magnifico sopra modo fu l'accoglimento fatto a questo real principe da quella città, che poi solennizzò nei seguenti giorni il suo arrivo con suntuose macchine di fuochi, conviti, musiche, illuminazioni ed altre feste. Gareggiò con gli altri l'università degli Ebrei per attestare anch'essa a questo novello sole il suo giubilo ed ossequio; e fioccavano dappertutto le relazioni di sì grandiose solennità. Dopo il riposo di più di due mesi in Livorno passò finalmente questo principe a Firenze, ove fece il suo splendido ingresso nel dì 9 di marzo, ricevuto colle maggiori dimostrazioni di stima e di affetto dal gran duca Gian Gastone e dall'elettrice vedova di lui sorella. In quella capitale ancora nulla si risparmiò di magnificenza, negli archi trionfali, ne' fuochi di artifizio, e in altre feste ed allegrie, contento ognuno di vedere con tanta felicità rifiorire nell'infante la già cadente schiatta dei principi medicei. Fu egli riconosciuto non solo come duca di Parma e Piacenza, ma ancora come gran principe e principe ereditario della Toscana. Avea già nel dì 29 dello scorso dicembre la duchessa vedova di Parma Dorotea, come contutrice, preso il possesso dei ducati di Parma e Piacenza a nome del medesimo infante dalle mani del generale conte Stampa plenipotenziario dell'imperadore. Solenne era stata quella funzione, e i magistrati e deputati delle comunità in tal congiuntura prestarono ad esso principe il giuramento di fedeltà, come a vassallo dell'imperadore e del romano imperio. Dopo di che esso generale consegnò alla duchessa le chiavi della città, e ordinò tosto alle truppe cesaree di ritirarsi, e di lasciare liberi affatto quegli Stati al nuovo signore, facendo conoscere a tutti la lealtà dell'augusto sovrano in eseguire i già stabiliti trattati [366] ed impegni. Non tralasciò il commissario apostolico monsignor Jacopo Oddi nel seguente dì 30 di dicembre di pubblicare una grave protesta contro tutti quegli atti, per preservare nella miglior possibile maniera le ragioni della santa Sede.
Fermatosi il reale infante a goder le delizie di Firenze sino al principio di settembre, finalmente determinò di consolare colla sua sospirata presenza anche i popoli di Parma e Piacenza. Nel dì 6 di esso mese si mosse egli da Firenze, e nel dì 8 entrò nello Stato di Modena, e passando fuori di questa città, fu salutato con una salva reale dalle artiglierie della medesima e della cittadella. Avea il duca Rinaldo d'Este avuta l'attenzione di fargli innaffiare le strade per tutto il suo dominio, affin di riguardarlo dagli incomodi della straordinaria polve di quell'asciutta stagione. Fu egli dipoi a complimentarlo colla sua corte un miglio lungi da Modena, dove seguirono abbracciamenti ed ogni maggior finezza di complimenti e di affetto. Nel dì 9 tutta fu in gala la città di Parma pel festoso ingresso del giovinetto duca; grande il concorso e lo sfoggio della nobiltà e dei popoli; e nelle nobili feste che si fecero dipoi, si conobbe quanto tutti applaudissero all'acquisto di un principe sì inclinato alla pietà e alla clemenza; e grazioso in tutte le sue maniere, ma con aver portato seco l'altura del cerimoniale spagnuolo. A tante allegrezze per la venuta in Italia di questo generoso rampollo della real casa di Spagna, se ne aggiunse un'altra, riguardante la felicità dell'armi del Cattolico re Filippo V suo padre. Fra i pensieri di quel monarca il primo ed incessante era quello di ricuperare, per quanto avesse potuto, tutti gli antichi dominii spettanti alla monarchia dei suoi predecessori. Una riguardevole unione ed armamento di vascelli di linea e di legni da trasporto avea egli fatto nella primavera di quest'anno, e preparati all'imbarco si trovavano sui lidi parecchi reggimenti di truppe veterane. Perchè era ignoto qual mira avesse [367] l'allestimento di flotta sì numerosa nel Mediterraneo, con gelosia ed occhi aperti stavano i vicerè di Napoli e di Sicilia; e tuttochè l'imperadore venisse assicurato della costante amicizia d'esso re Cattolico, pure non cessavano le ombre, e furono perciò ben munite le principali piazze dei regni suddetti.
Levò finalmente l'ancore quella poderosa flotta, comandata dal capitano generale conte di Montemar, e guidata da prosperi venti, improvvisamente nel dì 28 di giugno andò ad ammainar le vele davanti ad Orano nelle coste dell'Africa, piazza lontana cento cinquanta miglia da Algeri, trecento da Ceuta. Fin dall'anno 1509 dal celebre cardinale Ximenes tolta fu essa ai Mori, e sottoposta da lì innanzi alla corona di Spagna, finchè nell'anno 1708, trovandosi involto in tante guerre il re Cattolico, dopo un assedio di sei mesi gli Algerini ne ritornarono padroni. Ora, sbarcali che furono felicemente gli Spagnuoli, nel dì 30, mentre attendevano ad alzare un fortino sulla marina, eccoti piombare addosso al loro campo più di venti mila Mori, Arabi e Turchi, ed attaccare una fiera zuffa. Si distinse allora il consueto valore delle milizie spagnuole; furono con molta strage rispinti quegli infedeli, e tagliata loro la comunicazione colla fortezza. Nel dì seguente, mentre in ordine di battaglia si mette in marcia l'esercito cristiano per disporre l'assedio di quella piazza, con ammirazion di ognuno la truovano abbandonata; nè essa sola, ma ancora il creduto inespugnabile castello di Santa Croce, con quattro altri forti all'intorno. Poco fu il bottino per li soldati, perchè il meglio di quegli abitanti avea fatto l'ale. In poter nondimeno dei cristiani vennero cento trentotto cannoni, ottantatrè dei quali erano di bronzo, oltre a molte munizioni da bocca e da guerra. Per questa gloriosa e felice impresa dell'armi spagnuole tanto in Roma che in altre parti d'Italia si fecero molte allegrezze e rendimenti di grazie a Dio. Ma che? non tardarono molto gli [368] Algerini a tentare il riacquisto di quella piazza, e con grossissimo esercito vennero ad assediare nello stesso tempo Orano e il forte di Santa Croce. Governatore di Orano era stato lasciato il marchese di Santa Croce Marzenado, cavaliere di raro valore, maestro nell'arte della guerra, come anche apparisce dai suoi libri dati alla luce. Sostenne egli vigorosamente i posti contro gli sforzi de' nemici, e con suo grave pericolo e somma bravura dei suoi portò soccorso di viveri e di munizioni al forte suddetto, che si trovava in rischio di rendersi per la penuria. Ma continuando i Musulmani il lor giuoco, appena fu sbarcato nel dì 26 di novembre un riguardevole convoglio di venticinque navi da trasporto con buona scorta partito da Barcellona, che nel dì seguente il marchese con otto mila combattenti andò ad assalire i nemici, benchè forti di circa quaranta mila persone. Durò il sanguinoso combattimento per sei ore; resistenza straordinaria fecero i Barbari; ma in fine, cedendo alla bravura degli Spagnuoli, si diedero alla fuga, lasciando il campo e le artiglierie in man dei cristiani. Insigne e completa fu la vittoria, se non che restò funestata dalla morte del valoroso marchese di Santa Croce, compianta poscia da ognuno. Per quanto corse la voce, non si trovò il suo corpo, e un pezzo durò la speranza ch'ei fosse vivo e prigione; ma in fine certissima comparve la perdita di lui.
Questo fu l'unico avvenimento dell'anno presente che fece strepito in Italia. Poichè per conto di Roma, quivi si continuò a formare il processo del cardinale Coscia, ma con gran segreto, quando nei tempi addietro s'erano sparpagliati dappertutto i suoi reati. Temendo il Coscia, che passati i termini delle citazioni in contumacia si scaricasse sopra di lui il terribil decreto della perdita della porpora, giudicò meglio di tornarsene a Roma per far le sue difese: al qual fine si condusse da Napoli due avvocati, provveduti di ogni requisito per istare a fronte [369] de' più forbiti Romani. Prese l'alloggio nel convento di Santa Prassede, e gli fu intimato sotto rigorose pene di non uscirne, se non per rispondere alle interrogazioni della congregazione, le quali durarono per tutto quest'anno senza mai devenire a decisione alcuna. Mancò nell'anno presente chi nella vigilia di San Pietro pagasse alla camera apostolica il censo per li ducati di Parma e Piacenza; perlochè il fiscale della santa Sede fece pubblica protesta in difesa de' diritti pontifizii. Avea il buon pontefice Benedetto XIII, siccome dicemmo, vietato il lotto di Genova, perchè sorgente d'infiniti disordini, coll'aver fino imposta la scomunica ai ricevitori e giocatori. Col gastigo pubblicamente dato a chi avea trasgredito il bando, niun più osava di gittare con tanta facilità e sciocchezza il suo danaro, e di esporsi anche al pericolo di pagar le pene. Non senza maraviglia delle persone si vide in questi tempi risorto in Roma esso lotto, e cassata la salutevole di lui costituzione; e tanto più se ne stupì la gente, perchè, tolta la scomunica contra chi giocasse al lotto di Roma, questa si lasciò sussistere contro chi dello Stato ecclesiastico giocasse fuori d'esso Stato al medesimo giuoco. Dovettero aver delle buone ragioni di far questa mutazione, benchè tanto pregiudiziale al pubblico. Di tal provento si sa che il pontefice si servì per far limosine e belle fabbriche in ornamento di Roma. Pubblicò egli in quest'anno una lodevol costituzione, che toglieva varii abusi del conclave, ne moderava le spese eccessive, e conteneva altri utili regolamenti. Dopo penosa malattia di molti giorni passò all'altra vita, nel dì 21 di maggio di questo anno, Sebastiano (appellato da alcuni Alvise) Mocenigo doge di Venezia, a cui, nel dì primo di giugno, fu sostituito in quella dignità Carlo Ruzzini, personaggio che nei magistrati e nelle molte ambascerie avea trattato in addietro i più importanti affari della repubblica.
Andarono intanto crescendo varii [370] insulti del già re di Sardegna Vittorio Amedeo, che gli annunziavano imminente il fine de' suoi giorni. Mostrò questo principe qualche desiderio di vedere il re suo figlio, il quale non avea men premura pel medesimo oggetto. Ma nel tempo che si stava ponderando se questo abboccamento convenisse, giunse avviso essere il re Vittorio peggiorato cotanto che già si trovava agli estremi. Per questo riflesso, e per altri motivi addotti dalla regina, che in tale stato il suo incontro, lungi dal produrre alcun buon effetto, avrebbe potuto affrettar la morte all'infermo padre, e nuocere anche alla sanità del figlio, di già alterata per così disgustose circostanze, altro non si fece. Il dì 31 di ottobre fu poi quello che sbrigò da questo mondo esso principe Vittorio Amedeo, pervenuto già all'età di sessantasei anni e mezzo; ed egli ne prese il congedo con sentimenti di vera pietà ed eroica costanza. Celebre sempre durerà nelle storie e nella memoria dei posteri il nome di questo insigne sovrano, per la somma acutezza e vivacità della mente, pel suo valore, fortezza e saggia condotta in mezzo alle turbolenze dell'Europa, e ai pericolosi impegni ai quali egli s'espose, per l'accrescimento di una corona, e di non pochi altri Stati alla sua real famiglia e per tante altre gloriose azioni, tali certo, che andò innanzi ai suoi più rinomati antecessori, ed incredibile fu la stima che di lui ebbero tutti i potentati di Europa. Nel fervore della sua gioventù l'incontinenza gli avea tolta la mano; ma da che si fuggì da lui chi l'avea fatto prevaricare, colla pubblica emendazione purgò gli scandali passati, e si vedea mischiato col popolo accostarsi alla sacra mensa. Non mancò mai di custodire la principesca gravità; e pure niun più di lui si dispensò dalle formalità, con aver egli saputo essere re e insieme popolare: tanta era la sua disinvoltura. Parvero, è vero, disastrosi gli ultimi periodi di suo vivere; ma egli se ne servì per meglio prepararsi a comparire davanti a Dio, e a saldare quaggiù i [371] conti colla divina giustizia, con portar seco la contentezza di aver lasciato un figlio capace di ben regnare al pari di lui, un re pieno di moderazione, di saviezza, di coraggio, e di tante altre belle doti ornato, che il rendono amabile a tutti i sudditi suoi. Solenni esequie furono poi fatte al defunto principe, la cui moglie si ritirò in un convento di religiose a Carignano.
Poco felicemente passavano in questi tempi gli affari de' Genovesi per l'ostinata ribellione de' Corsi, nulla avendo finora giovato a mettere in dovere quella feroce gente le migliaia di Tedeschi sotto il comando del generale Wachtendonck. Per le morti e diserzioni si erano queste sminuite di molto; e però la repubblica, senza atterrirsi per le esorbitanti spese, nuove preghiere e nuovi tesori impiegò per ottenere dall'imperador Carlo VI altre forze valevoli a finir quella pugna. Un altro dunque più poderoso corpo di truppe alemanne, alla cui testa era il principe Luigi di Wirtemberg, trasportato fu in Corsica, ma con ordini nondimeno segreti del saggio Augusto di vincere non già col ferro, ma bensì colla dolcezza e colla clemenza quella brava nazione, giacchè alla corte cesarea doveano sembrare degni di compassione e non affatto ingiusti i risentimenti e le querele che aveano poste le armi in mano ad essi popoli. Propose infatti quel principe un'amnistia e perdono generale ai Corsi, ed insieme un accomodamento, con impegnare per mallevadore garante della concordia lo stesso Cesare. Allora fu che i due principali capi dei ribelli, cioè Luigi Giafferi e Andrea Ciaccaldi, ed altri lor generali entrarono in negoziato col principe e coi ministri della repubblica, e conseguentemente restò conchiusa la pace, coll'avere i Corsi conseguito onorevoli condizioni e vantaggi. Se ne tornarono poscia a poco a poco in Lombardia l'armi cesaree, ed ognun contava per terminate quelle tragiche scene; quando iti i capi di essi Corsi per umiliarsi al governo di Genova, furono all'improvviso cacciati nelle carceri, [372] per disegno formato in Genova (non già dai vecchi e saggi senatori) di dare in essi un esemplar castigo a terrore dei posteri. Per questa mancanza di fede non si può dire quanto restassero amareggiati i Corsi, e quante doglianze ne facesse in Genova e alla corte cesarea il principe di Wirtemberg. Vennero perciò pressanti ordini di sua maestà cesarea ai Genovesi di rimettere in libertà quegli uomini; e tuttochè i ministri della repubblica adducessero ragioni e pruove, che essi, per aver contravvenuto ai recenti patti, non meritavano la protezione di sua maestà cesarea, pure stette saldo l'imperadore in lor favore, di maniera che in fine, dopo molti mesi di prigionia, ricuperarono la libertà. Cagion fu questo inaspettato colpo che continuarono come prima, anzi più di prima, i Corsi a non si fidare dei Genovesi; e ben ebbe a pentirsene la repubblica, perchè vedremo risorgere la ribellione, che costò dipoi tanti altri tesori a quella ricca città, e fece spargere tanto sangue di nuovo ad ambe le parti. Erasi dilatata la pestilenza de' buoi nell'Alemagna e negli Svizzeri. Passò nell'anno precedente anche negli Stati della repubblica di Venezia, e si andava arrampicando eziandio nel Ferrarese e nella Romagna. La divina clemenza le tagliò il corso, e cessò sì deplorabil flagello. Fiera pensione è quella a cui si trova soggetto il delizioso regno di Napoli per cagione dei frequenti tremuoti. Anche nel dì 29 di novembre dell'anno presente, spaventoso fu quello che si provò nella stessa capitale, dove rimasero fracellate sotto le rovine delle case alcune centinaia di persone. Poche fabbriche si contarono che non ricevessero danno, e si fece questo ascendere a qualche milione di ducati. Peggio avvenne alle provincie di Terra di Lavoro, e dell'una e dell'altra Calabria. Ariano, Avellino, Apici, Mirabello e più di trenta villaggi furono per la maggior parte rovesciati a terra. Videsi una lunga lista di altri luoghi sommamente partecipi di sì grande sciagura, e de' periti in tale occasione. [373] Da perniciosi raffreddori fu parimente infestata l'Italia, che portarono al sepolcro gran copia di persone, anche di alta sfera. Si stese questo malore contagioso per la Francia, Alemagna ed Inghilterra.
Anno di | Cristo MDCCXXXIII. Indiz. XI. |
Clemente XII papa 4. | |
Carlo VI imperadore 23. |
Trovossi nell'anno presente agitata da parecchi imbrogli la sacra corte di Roma. Parve più volte come ridotta a fine la concordia col re di Portogallo, ma saltavano sempre in campo nuove pretensioni di quel monarca; e trovandosi egli inflessibile ne' suoi voleri, bisognava continuar la battaglia, e il negoziato con lui e col re Cattolico mediatore. Nè pure fin qui s'era trovato ripiego alle dissensioni colla corte di Torino; e però sopra quelle pendenze si vide in questi tempi una guerra di scritture, prodotte dall'una parte e dall'altra. Ma ciò che più afflisse l'animo del pontefice Clemente XII era la prepotenza de' Franzesi, i quali nell'anno addietro cominciarono, e continuarono anche per qualche mese del presente, a bloccare con molti corpi di milizie il contado d'Avignone: novità che cagionava grave penuria ed altri danni a quegli abitanti. Il pretesto o motivo di tal violenza era, perchè in quel contado si rifugiavano alcuni contrabbandieri, e vi si era vietata l'introduzione di non so quali manifatture franzesi, ed ivi si fabbricavano tele dipinte e drapperie vietate in Francia: il che non si volea sofferire; se con giustizia, altri lo deciderà. La forza e il bisogno indusse monsignor Buondelmonti vicedelegato ad un aggiustamento; e perchè questo non fu approvato da Roma, continuarono le calamità in quelle contrade. Altro spinoso affare spuntò in questi tempi, cioè la pretensione dell'infante don Carlo duca di Parma sopra il ducato di Castro e Ronciglione, tolti, siccome già vedemmo, da [374] papa Innocenzo X alla casa Farnese. Per avere esso infante fatto pubblicare non solo in Parma, ma anche in Castro un decreto che proibiva agli abitanti d'esso Castro e Ronciglione di riconoscere altro padrone che lui, non fu lieve l'agitazione della corte pontificia, siccome quella che non poteva ricorrere in questo bisogno alla Spagna e Francia troppo interessate in favor dell'infante. Duravano inoltre tuttavia in Parigi le novità fatte da quegli avvocati e dal parlamento in pregiudizio dell'autorità del romano pontefice. Finalmente dopo tanti dibattimenti si venne in quest'anno, a dì 9 di maggio, alla decision della causa del cardinale Niccolò Coscia. A cagion delle sue ruberie, frodi, estorsioni, falsità di rescritti ed altri abusi del suo ministero, e della fiducia in lui posta dall'ottimo papa Benedetto XIII, restò egli condannato nella relegazione pel corso di dieci anni in castello Sant'Angelo, privato di tutti i benefizii e pensioni; incorso nella scomunica maggiore, da cui non potesse essere assoluto se non dal papa, eccetto che in articulo mortis. Fu obbligato in oltre al pagamento di cento mila ducati di regno, e alla restituzione di altre somme da lui indebitamente percette, e tolta al medesimo la voce attiva e passiva nell'elezione d'un nuovo pontefice. Si vide egli dunque rinchiuso nel suddetto castello; e, dopo aver promesso di pagare in certo tempo trenta mila scudi, fece venir lettere di suo fratello, al quale egli avea acquistato varie terre, e il titolo di duca in regno di Napoli, asserenti la gran povertà ed impotenza della sua casa a pagare un soldo. Altro che questo non ci volea per dar meglio a conoscere che eccellenti personaggi fossero i fratelli Coscia, ai quali nondimeno la corte cesarea giunse ad accordar la sua protezione con gravi doglianze della pontificia. Trattossi in Roma nell'anno presente degli omicidi volontarii, se in avvenire avessero a godere l'asilo nelle chiese.
Stava pure a cuore all'imperadore [375] Carlo VI, sì per l'onore de' suoi ministri, che per la quiete d'Italia, che la pace data dal principe Luigi di Wirtemberg alla Corsica prendesse buone radici; e perciò nel dì 16 di marzo con solenne decreto confermò la capitolazione accordata a que' popoli dalla repubblica di Genova. Ma non passò il settembre che si trovarono in quell'isola non pochi disapprovatori delle condizioni della concordia; e sparsesi voce da altri che non era mai da fidarsi de' Genovesi, da che dopo l'amnistia e i giuramenti aveano messo in carcere i lor capi, a rimettere i quali in libertà non v'era voluto meno dell'onnipotenza e costanza dello imperadore; oltre all'aver dovuto altri de' principali uscir dell'isola, come esiliati dalla lor patria. Perciò in alcune parti della Corsica, dove più che in altre durava questo cattivo fermento, risorsero nuovi malcontenti, e si diede all'armi, con crescere di poi maggiormente la sollevazione, siccome andremo vedendo. E tanto più si animò quella gente a tumultuare, senza rispettare l'interposta autorità di Cesare per lo recente aggiustamento, perchè improvvisamente si trovò involto nell'anno presente lo stesso augusto monarca in una deplorabil guerra, che niuno si aspettava in mezzo alla pace poco fa stabilita. Misera è ben la condizion de' mortali, sottoposta all'ambizione, ai capricci, e a tante altre passioni dei regnanti, i quali niun ribrezzo pruovano a rendere infelici i proprii ed altrui paesi, col muovere sì facilmente guerra, cioè un flagello, di cui chi per sua disavventura è partecipe, sa quanto ne sia enorme il peso, quanto lagrimevoli gli effetti. Mancò di vita nel primo dì di febbraio di questo anno Federigo Augusto re di Polonia ed elettor di Sassonia, con lasciare fra le altre sue gloriose azioni spezialmente memorabile il suo nome per aver abbracciata la religione cattolica, e trasmessala nel suo generoso figlio Federigo Augusto che succedette a lui nell'elettorato. Essendosi trattato dell'elezione di [376] un nuovo re di Polonia, al Cristianissimo Luigi XV parve questo tempo propizio per rimettere su quel trono il suocero suo, cioè il principe Stanislao Leszczinskci, negli anni addietro di fatti, ed ora di solo nome re di Polonia. Passò incognito con una squadra di legni franzesi esso principe in quelle contrade, e la sua presenza assaissimo giovò per disporre que' magnati all'elezione di lui. Fu dunque di nuovo, nel dì 12 di settembre, proclamato re col voto concorde di quasi tutti quei palatini, restando nulladimeno in piedi una fazione contraria, che altri disegni covava in petto.
All'Augusto Carlo VI non potea piacere che la corona di quel regno passasse in capo ad un principe attaccato per tanti legami alla Francia. Altre mire avea parimente Anna imperatrice della Gran Russia; e però si accordarono di promuovere a quel regno il giovine Federigo Augusto elettore di Sassonia, figlio del re defunto. Altro non fece l'imperador de' Romani, che d'inviare ai confini della Polonia, senza nondimeno entrarvi, nè commettere violenza alcuna, un'armata sotto colore di proteggere la libertà de' Polacchi nell'elezione del loro capo. S'era ciò praticato altre volte in simile congiuntura. Ma i Russiani di fatto con forze gagliarde s'introdussero in quel regno: il che animò spezialmente i palatini di Lituania a dichiarare re di Polonia nel dì 5 di ottobre il suddetto elettor di Sassonia, le cui armi da lì a non molto accorsero anch'esse per sostener quello scettro in mano del loro sovrano. Ed ecco darsi principio in quei vasti paesi ad una terribil guerra civile, che si tirò dietro nell'anno seguente il memorabile assedio di Danzica, dove si era rifugiato il re Stanislao, con essersi egli in fine sottratto felicemente dalle mani de' suoi avversarii, e con aver lasciato libero il campo e il trono all'emulo suo, appellato da lì innanzi Augusto III re di Polonia, anche oggidì gloriosamente regnante. A me non occorre di dire di [377] più intorno a quelle strepitose scene, perchè a sè mi chiama l'Italia. Non si sarebbono mai figurato gl'Italiani che del sì lontano fuoco della Polonia avessero anch'essi a divenir partecipi; e pure non fu così. Appena vide la corte di Francia contrariati i disegni suoi in favore del re Stanislao dalle potenze cesarea e russiana, che ne meditò risentimenti e vendette. Troppo lontana dai tiri dei suoi cannoni si trovava la Russia; più vicini e confinanti erano gli Stati dell'Augusto Carlo VI, e però fu presa la risoluzione di muover guerra a lui, tutto che giusto non sembrasse a molti saggi il titolo di questa rottura, perchè niun atto di violenza aveano esercitato l'armi di Cesare nelle dissensioni de' Polacchi. A maggiormente incoraggire i Franzesi, per muover guerra nella congiuntura presente, servì non poco il sapere che troppo difficilmente sarebbono entrati in ballo gl'Inglesi ed Olandesi a favore dell'imperadore, siccome popoli tuttavia segretamente irritati pel tentativo fatto dalla corte di Vienna negli anni addietro di formare e fomentare la compagnia di Ostenda in grave lor pregiudizio. Ora, non sì tosto fu subodorato lo sdegno dalla Francia contro della maestà cesarea che corsero a soffiar nell'incendio, o pure furono chiamati ad accrescerlo, il re Cattolico Filippo V e il re di Sardegna Carlo Emmanuele. Per quante rinunzie avesse fatto il primo in favore dell'augusta casa d'Austria dei regni e Stati di Italia, non si dovea quella corte credere obbligata a mantenerle. Saltarono anche fuori titoli e pretesti di disgusto contra Cesare per certe soddisfazioni negate all'infante don Carlo duca di Parma. Quanto poscia al re di Sardegna, chiamavasi egli indebitamente gravato dalla corte cesarea, per non aver mai potuto ottenere Vigevano, città che pure, secondo i patti, gli dovea esser ceduta.
Varii dunque segreti maneggi si andarono facendo, e seguì un trattato fra la Francia e la Spagna, i cui articoli non si [378] sono mai ben saputi; e un altro ne conchiuse il re di Sardegna col re Cristianissimo, anch'esso finora occulto. Il bello fu che la corte di Vienna placidamente intanto dormiva, nè s'immaginava che il religioso ed amico cardinale di Fleury, primo ministro di Francia, potesse trovare in suo cuore giusti motivi per rompere i legami della pace. S'ingrossavano non solamente al Reno, ma anche in Provenza e Delfinato le milizie franzesi: nulla importava; si credeano tutti movimenti da burla, per tenere unicamente in esercizio le truppe. Molto meno diffidava la corte cesarea del re di Sardegna, stante l'amichevol corrispondenza che passava fra loro, e l'avere anche poco fa esso re chiesta ed ottenuta dall'imperadore l'investitura dei suoi Stati in Italia. Vero è che si osservava il re sardo accrescere le sue truppe, e far altri preparamenti di guerra; ma tutto veniva supposto tendere alla difesa propria e dello Stato di Milano, caso mai che i Franzesi pensassero a qualche tentativo contro l'Italia. Tanto maggiormente si confermarono in questa credenza i ministri cesarei, perchè il re di Sardegna, trovandosi sprovveduto di grano per li presenti bisogni suoi e degli aspettati Franzesi, ne ottenne alquante migliaia di sacchi, e varii arnesi da guerra dal conte Daun governatore di Milano, persuaso che fosse in servigio dell'imperadore ciò che poco dopo venne a scoprirsi contra di lui. In questo letargo non era già il conte generale Filippi, ambasciatore dell'augusto monarca a Torino, che osservava i misteriosi movimenti de' ministri di Francia e Spagna in quella corte, e la vicinanza all'Italia delle truppe franzesi, e andava scrivendo a Vienna che questo temporale avea da scoppiare in danno dello Stato di Milano. Anche il conte Orazio Guicciardi, inviato cesareo in Genova, con lettere sopra lettere informava la sua corte del poderoso armamento che per mare e per terra faceva nello stesso tempo il re Cattolico, [379] tenendo per fermo destinate quell'armi a' danni dell'Italia. Tali avvisi in Vienna passavano per ridicoli spauracchi di chi non sapea ben pesare le circostanze dei correnti affari. Restò in fine deluso anche il suddetto generale Filippi; perciocchè un dì ito a trovare il marchese d'Ormea, insigne ed accortissimo ministro del re di Sardegna, a nome della sua corte gli dimandò conto della lega fatta dal suo real sovrano coi re di Francia e di Spagna, perchè di questa si aveano buoni avvisi in Vienna. Rispose il marchese, se avea difficoltà di mettere in carta sì fatta dimanda. No, rispose l'altro; e la scrisse. Sotto quelle parole aggiunse l'Ormea di proprio pugno: Questa lega non è vera; e si sottoscrisse. Interrogato da lì a qualche tempo come avesse osato di scrivere così, rispose: Perchè niuna lega avea contratto il suo re colla Spagna, e tale era la verità. Spedito a Vienna questo biglietto, maggiormente impressionò quei ministri, che nulla v'era da temere in Italia; e però nè quella corte nè il governator di Milano presero le precauzioni opportune.
Ora mentre se ne stavano i disattenti Tedeschi in così bella estasi, verso la metà di ottobre, ecco per cinque diversi cammini calare in Italia una forte armata di Franzesi sotto il comando del vecchio maresciallo di Villars. Poco si fermò questa in Torino ed altri luoghi del Piemonte, ed unita colle schiere del re di Sardegna, dichiarato generalissimo, a gran passi e a dirittura marciò verso lo Stato di Milano, dove entrò nel dì 26 del mese suddetto. Si credeva l'imperadore di aver un buon corpo di truppe in quel paese; i ruoli e le paghe ne facevano ampia fede, ma per disgrazia non corrispondevano i fatti. Al perchè sorpreso da questo inaspettato nembo il conte Daun governatore di Milano, frettolosamente provvide di vettovaglia e di altre cose bisognevoli per una gagliarda difesa il castello di essa metropoli, ma con mancargli quello che più importava. Solamente poco più di mille [380] e quattrocento armati vi furono introdotti: presidio quasi nè pur bastante a guernire in un giorno tutti i siti e le fortificazioni di quella vasta piazza. Dopo aver egli spedito ottocento fanti di rinforzo a Novara, immaginandosi che i nemici farebbono alto prima sotto quella città, si ritirò poscia a Mantova col suo meglio, ed appresso prese le poste per Vienna, non so se per discolpare sè stesso, ma certamente per rappresentare all'augusto padrone lo stato delle cose della Lombardia, stato troppo titubante per le forze tanto superiori dell'esercito gallo-sardo. Divisosi questo in più corpi, per far più imprese nello stesso tempo, nel dì 27 d'ottobre vide venirsi incontro le chiavi della città di Vigevano, e nel dì 31 Pavia aprì anche essa le porte ai Franzesi, con essersi prima ritirato lo smilzo presidio dei Tedeschi. Inviossi di poi il re di Sardegna col marchese d'Ormea e col corpo maggiore delle truppe collegate alla volta di Milano, i cui deputati, appena ebbe egli passato sopra un ponte il Ticino, comparvero a presentargli le chiavi, con pregare la maestà sua di confermare i lor privilegii, e di preservare gli abitanti da ogni violenza. Furono ricevuti con tutto amore, rimandati con sicurezze di buon trattamento. Nella notte del dì 3 di novembre precedente alla festa solenne di san Carlo, con quiete e buona disciplina entrarono i Gallo-Sardi in Milano, e giuntovi nella mattina seguente anche il generalissimo re di Sardegna Carlo Emmanuele, seco avendo tutta l'uffizialità ed altro grosso numero di truppe, fu accolto colle maggiori dimostrazioni di onore da quella nobiltà e popolo. Fermatosi alquanto nel palazzo ducale, passò dipoi alla metropolitana, dove fu cantato solenne Te Deum. Celebrossi la festa del santo colla medesima tranquillità che nei tempi di pace. Non tardò il re a far provare la sua beneficenza a que' cittadini, con levare in tutta o in parte la diaria, cioè il pagamento di tre mila lire di quella moneta per giorno, e una gabella sopra il sale. [381] Deputato intanto all'assedio del castello di Milano il tenente generale di Coigny, diede tosto principio ad alzar terra, siccome all'incontro si dispose a far buona difesa il castellano, cioè il marchese maresciallo Annibale Visconti.
Nel mentre che varie brigate marciarono per bloccare Novara e Tortona, la città di Lodi, nel dì 7 di novembre, fu occupata dai Franzesi, e colà portossi anche il re colle forze maggiori dell'armata. Dopo aver gittato un ponte sull'Adda passò di là, e parte marciò di qua alla volta di Pizzighettone; nel qual giorno arrivò anche il maresciallo di Villars con quindici altri mila combattenti e un grosso treno di artiglieria. Incredibili spese avea fatto in addietro l'imperadore Carlo VI per formare di esso Pizzighettone una piazza fortissima, e davano ad intendere gl'ingegneri ch'essa era inespugnabile. Dalla parte di qua dell'Adda, cioè al mezzo giorno aveano piantato essi ingegneri un forte guernito di molte militari fortificazioni; ma senza ben avvertire che, preso questo, serviva esso mirabilmente per offendere la piazza posta nell'altra riva. Fu dunque risoluto dal Villars di fare il maggiore sforzo contra del medesimo forte, sotto cui in fatti nella notte nel dì 17 di novembre, venendo il dì 18, fu aperta la trincea, e lo stesso si fece nel medesimo tempo dall'altra parte sotto la piazza per tener divertiti gli assediati. In queste angustie e disavventure il principal pensiero dei comandanti cesarei era quello di provvedere e sostenere Mantova, come chiave dell'Italia. Salva questa, speravano alla primavera forze tali da reprimere il corso de' vittoriosi Gallo-Sardi. Però non sentirono ribrezzo alcuno a ritirar da Cremona il presidio, lasciandola esposta ai nemici, che poi se ne impadronirono nel dì 16 del mese suddetto. Solamente centocinquanta uomini restarono alla guardia del castello, senza obbligo al sicuro di difenderlo per lungo tempo, siccome avvenne. Con tal vigore proseguirono i Franzesi le offese contro il forte [382] di qua dall'Adda, animati sempre dal re di Sardegna, il quale tre volte ogni dì visitava gli attacchi e le batterie, che, dopo aver essi a costo di molto sangue preso il cammin coperto, e formata la breccia, videro gli assediati nel dì 28 di novembre esporre bandiera bianca. Si stentò ad accordar le capitolazioni, e due volte fu spedito al principe di Darmstat governatore di Mantova per questo; e perchè premeva forte agli Alemanni di salvare il presidio di Pizzighettone, giacchè, ostinandosi nella difesa, sarebbe rimasto prigioniere di guerra, consentirono alla resa non solamente del forte, ma anche della piazza, con aver ottenuto le più onorevoli condizioni per la truppa. Sicchè nel dì 8 di dicembre venne con gran facilità in poter de' Franzesi Pizzighettone, fortezza, che se fosse stata fornita di maggior nerbo di difensori, avrebbe potuto durar gran tempo contro gli sforzi nemici. Cento cannoni di bronzo si trovarono in quelle due fortezze. Attesero dipoi i Franzesi ad occupar i forti di Trezzo e Lecco, che non fecero difesa. La fece bensì il forte di Fuentes; ma non v'essendo più che sessanta soldati di guernigione, e giocando forte le artiglierie nemiche, furono anche essi costretti a rendersi prigionieri.
Sbrigati da quelle parti il re di Sardegna e il maresciallo di Villars, accudirono all'assedio del fortissimo castello di Milano. Alla metà di dicembre cento cannoni e quaranta mortari cominciarono un'infernale sinfonia, e senza risparmio di sangue si avanzarono le linee verso le mura. Maravigliosa fu la difesa che ne fece il maresciallo Visconti, considerata la picciolezza del presidio. Fu detto che quattordici mila cannonate e tre mila bombe s'impiegassero dai Franzesi in quella impresa, e che più di mille e secento de' lor soldati vi perissero, oltre ai feriti. Ma in fine convenne cedere, per motivo spezialmente di salvare ciò che restò illeso di quella guernigione; e nel dì 30 di dicembre vennero sottoscritte le [383] capitolazioni, in vigor delle quali nel dì 2 di gennaio dell'anno seguente con tutti gli onori della milizia gli Alemanni lasciarono libero quel castello agli assedianti, e se ne andarono a rinforzar Mantova. Convien confessarla; parve collegato il cielo coll'armi gallo-sarde, perchè da gran tempo non s'era provato un verno sì dolce ed asciutto: il che troppo favorevole riuscì alle imprese loro. Se altrimenti fosse succeduto, avrebbono i fanghi e le rotte strade probabilmente o troppo difficultato o forse anche sturbato affatto l'assedio di Pizzighettone e del castello di Milano. Ebbe anche a dire il Villars, che qualora avesse potuto indovinare una stagion sì piacevole, avrebbe cominciato le ostilità dall'assedio di Mantova. Non passò l'anno presente che anche il castello di Cremona venne all'ubbidienza de' collegati. Mentre questa danza si faceva in Lombardia, ecco discendere un altro temporale dalle parti di Spagna. Erasi collegato il re Cattolico Filippo V colla Francia, e le condizioni de' lor negoziati si raccolsero solamente dagli effetti che poi si videro. Potente flotta per mare avea preparato quel monarca, in cui s'imbarcò gran copia di reggimenti, e nel dì 30 di novembre avendo spiegate le vele, benchè patisse burrasca nel golfo di Lione, pure arrivò a quello della Spezia sul Genovesato, e quivi sbarcata la gente, s'inviò la maggior parte di essa alla volta della Toscana. Più di quattro mila cavalli, spediti per la Linguadoca, da Antibo furono trasportati anche essi per mare alla riviera di Levante dei Genovesi.
Scorgeva ognuno minacciato da questo turbine il regno di Napoli. Inviato il duca di Castro Pignano con un corpo di truppe al forte dell'Aulla, presidiato dai Tedeschi, nella Lunigiana, per aprirsi la comunicazione fra la Toscana e il Parmigiano, se ne impadronì egli nel dì 24 di dicembre, con far prigionieri cento e trenta uomini di quel presidio. Vennero in questi giorni a visitare il real infante [384] don Carlo il maresciallo di Villars, il conte di Montemar, capitan generale dell'armata spagnuola, e il duca di Liria, per concertare le imprese dell'anno seguente. Calarono anche in Lombardia alcuni reggimenti spagnuoli, che presero riposo sul Parmigiano. Fu in questi tempi che esso infante duca di Parma venne dichiarato generalissimo dell'armata spagnuola in Italia; e perciocchè egli era già pervenuto all'età di diciotto anni senza poter ottenere dalla corte di Vienna di essere dispensato dai tutori (questo fu ancora uno de' capi delle doglianze del re Cattolico), di sua autorità, e seguitando l'esempio di altri duchi di Parma suoi antecessori, dichiarò sè stesso maggiore, e prese il governo degli Stati, con ringraziare il gran duca di Toscana Gian Gastone, la duchessa Darotea avola sua, della cura che come contutori aveano finora preso di lui. Nè in Italia solamente si provò il peso della guerra nel presente anno. Massa grande di combattenti avea fatto la Francia in Alsazia, e spedito colà per generale il principe di Contì. Verso la metà di settembre egli passò il Reno, e mise l'assedio al forte di Kehl, che sul fine di esso mese fu obbligato alla resa. Siccome a questi improvvisi assalti non era punto preparata la corte di Vienna, così la fortuna accompagnò dappertutto l'armi franzesi. Godeva intanto Roma una deliziosa pace; e il pontefice Clemente XII, che, al pari de' suoi antecessori, ambiva lasciar qualche insigne memoria di sè stesso nella mirabil città di Roma, prese in quest'anno la risoluzione grandiosa di fabbricar la facciata della basilica Lateranense. Però sul principio di dicembre con molta solennità fu posta la prima pietra de' fondamenti di sì magnifico edifizio. Trovossi sottoposta in quest'anno ad un lagrimevol accidente la città d'Ancona. Svegliatosi un tempestoso vento nella notte del lunedì 15 di settembre venendo il martedì, fece inorridir tutti quegli abitanti, che si figuravano tremuoto in terra e mare. Più [385] legni, che erano in porto, si ruppero colla morte di molte persone; furono portate via le tegole delle case e i camini da fuoco, rovinate varie case, e conventi; sommamente restò danneggiata la gran fabbrica del nuovo lazzaretto, rovesciata dalla parte del molo, e nella campagna sradicati alberi, e portati via i fenili. Tutto era pianti ed urli allora in quella povera città, e scorse questo impetuoso turbine sino a Macerata e Loreto.
Anno di | Cristo MDCCXXXIV. Indiz. XII. |
Clemente XII papa 5. | |
Carlo VI imperadore 24. |
Fu quest'anno un di quelli che in grande abbondanza provvide le pubbliche gazzette e storie di novità e fatti strepitosi riguardanti massimamente l'Italia. Da me non ne aspetti il lettore che un compendioso racconto. Erano in armi contro dell'Augusto Carlo VI Franzesi, Spagnuoli e il re di Sardegna. Fece la Spagna conoscere al mondo quanta fosse la sua potenza, da che la Francia le avea dato un re, e re che vegliava ai proprii interessi. Imperciocchè insigne fu l'armamento per mare, continui i trasporti di gente, di attrezzi militari e di danaro per terra e per mare, a fine d'imprendere la conquista dei regni di Napoli e di Sicilia. Maggiori si videro gli sforzi della Francia per continuare la guerra del Reno e in Lombardia: e il bello fu che non solamente nelle corti, ma anche nei pubblici manifesti, facea quel gabinetto rimbombar dappertutto la scrupolosa intenzione sua in questi sì gagliardi movimenti d'armi, che era non già (guardi Dio) di acquistare un palmo di terreno, ma bensì di farsi render ragione da Cesare, per aver egli spalleggiato l'elettor di Sassonia al conseguimento della corona di Polonia e cooperato alla depressione del re Stanislao. Se mai per sorte con sì belle sparate si figurasse il gabinetto franzese di gittar polvere negli occhi agl'Inglesi ed Olandesi, affinchè non istendessero il [386] braccio alla difesa dell'augusta casa di Austria, non erano sì poco accorte quelle potenze, che non sapessero il vero significato di sì magnifiche e disinteressate proteste. Pure non entrarono esse potenze in verun impegno per sostener Cesare contro tanti nemici, benchè pregate e sollecitate dalla corte di Vienna: ed unica cagione ne fu lo sdegno, non peranche cessato, per avere l'augusto monarca, dopo tanti benefizii a lui compartiti, voluto piantare in detrimento loro la compagnia d'Ostenda, tuttochè questa fosse poi abolita. Si avvide allora il buon imperadore quanto l'avessero in addietro tradito i suoi troppo ingordi consiglieri e ministri; e convenne a lui di far penitenza de' mali consigli altrui, con portar quasi solo tutto il peso di questa nuova guerra. Perchè, è ben vero che gli riuscì d'indurre i circoli dell'imperio a dichiarare la guerra; ma non è ignoto qual capitale si possa fare di que' soccorsi troppo stentati e non mai concordi. Oltre di che gli elettori di Baviera, Colonia e palatino non consentirono a tal dichiarazione, e se ne stettero neutrali; anzi il primo fece un considerabile armamento con voce di mirare alla propria difesa, ma armamento tale, che tenne sempre in diffidenza e suggezione la corte cesarea, e la obbligò a guardare con assai gente i suoi confini, perchè persuasa che il solo oro della Francia manteneva in piedi la armata bavarese, ascendente a venticinque e forse più mila persone. Ora in questo verno attese vigorosamente Cesare a batter la cassa per resistere ai suoi nemici non meno in Lombardia che al Reno, dove smisurate forze si andavano raunando da' Franzesi.
In questo mentre le due restanti piazze dello Stato di Milano, cioè Novara e Tortona, venivano o bloccate o bersagliate dall'armi dei collegati. Ma nel dì 9 di gennaio fu portata a Milano la nuova che Novara, comprendendo seco la fortezza d'Arona, avea capitolala la resa con andarsene liberi que' presidii alla [387] volta di Mantova. Allora fu che si determinò di convertire in assedio il blocco di Tortona e del suo castello, che era in credito di fortezza capace di stancare un esercito. Nel dì 12 del suddetto gennaio al dispetto della fredda stagione fu aperta la trinciera sotto quella città, da cui essendosi nel dì 26 ritirato il governatore conte Palfi, lasciò campo ai Franzesi di impossessarsene nel dì 28. Non corrispose all'aspettazion della gente il presidio di quel castello, ancorchè fosse composto di due mila Alemanni; perciocchè appena cominciarono il terribile lor giuoco sessantadue pezzi di cannone e quattordici mortari da bombe, che quel comandante dimandò di capitolare, e ne uscì nel dì 9 di febbraio con tutti gli onori militari. Ad altro, siccome dissi, non pensavano in questi tempi gli uffiziali cesarei nel brutto frangente di sì impensata guerra, che di salvar la gente, per poter salvare Mantova. Tutto intanto andò lo Stato di Milano: dopo di che presero riposo le affaticate e molto sminuite truppe degli alleati. Arrivò il febbraio, e nè pure si era veduto calare in Italia corpo alcuno di Tedeschi; solamente s'intendeva che nel Tirolo, e a Trento e Roveredo, andava ogni dì crescendo il numero dei combattenti austriaci, e che per capitan generale della loro armata veniva il maresciallo conte di Mercy. Con sei mila persone arrivò finalmente questo generale sul fine di quel mese a Mantova per conoscere sul fatto lo stato delle cose, e poi se ne tornò a Roveredo per affrettare il passaggio dell'altre incamminate milizie. Ma con esso veterano e valoroso comandante parve, che si accompagnasse anche la mala fortuna, e seco passasse in Italia. Fu egli sorpreso da una grave flussione agli occhi, ed altri dissero da un colpo di apoplessia, per cui di tanto in tanto restava come cieco. Progettossi in Vienna di richiamarlo; ma perchè sempre se ne sperò miglioramento, continuò egli nel comando.
Trovandosi troppo vicino a questo [388] incendio Rinaldo d'Este duca di Modena, cominciò anch'egli a provarne le perniciose conseguenze. Sul principio dell'anno presente ecco stendersi le truppe spagnuole per li suoi Stati, e prendere quartiere nelle città di Carpi e Correggio, nelle terre di San Felice e Finale, e in altri luoghi. Perchè s'erano precedentemente ritirati dalla Mirandola gli Alemanni, esso duca di Modena avea tosto bensì guernita quella sua città col proprio presidio; ma non tardò il duca di Liria generale spagnolo nel dì 15 di gennaio a comparire colà colle sue milizie, con chiedere di entrarvi; al che non fu fatta resistenza, giacchè promise di lasciar intatta la sovranità e il governo del duca di Modena, principe risoluto di mantenere la neutralità in mezzo a queste gare. Si andava intanto ogni dì più ingrossando sul Mantovano l'armata cesarea, talmente, che secondo le spampanate dei gazzettieri, si decantava ascendesse a sessanta e più mila persone, bella gente tutta e vogliosa di menar le mani. Per impedir loro l'inoltrarsi verso lo Stato di Milano, il generalissimo re di Sardegna Carlo Emmanuele spedì il nerbo delle sue truppe a postarsi alle rive del fiume Oglio, e la maggior parte de' Franzesi venne a custodire le rive del Po nel Mantovano di qua, stendendosi da Guastalla fino a San Benedetto, a Revere, ed anche ad una parte del Ferrarese; all'incontro nelle rive di là del Po si fortificarono i Tedeschi a Governolo, Ostiglia, e nei restanti luoghi dell'Oglio. Si stettero guatando con occhio bieco per alquante settimane le due nemiche armate, studiando tutto il dì il generale conte di Mercy la maniera di passare il Po; e dopo molte finte gli venne fatto di passarlo, dove e quando men se l'aspettavano i Franzesi. Nella notte seguente al primo dì di maggio, seco menando barche sopra della carra, spinse egli sopra alcune d'esse il general di battaglia conte di Ligneville Lorenese pel Po con una man d'armati alla riva opposta in faccia [389] alla chiesa di San Giacomo, un miglio in circa distante da San Benedetto. Arrampicaronsi sugli argini quegli armati, e vi presero posto; nel qual mentre le sentinelle franzesi sparando sparsero l'avviso di questa sorpresa. Ma il Mercy, con incredibile diligenza fatto formare il ponte, non perdè tempo a spingere nuove truppe di qua, in maniera che quando sopraggiunsero le brigate franzesi, vedendo esse già passata tutta l'oste cesarea, ad altro non pensarono che a mettersi in salvo.
Grande infatti fu lo scompiglio dei Franzesi, troppo sparpagliati dietro alla grande stesa degli argini del Po; laonde, corsa la voce del passaggio suddetto, ciascun corpo d'essi colla maggior fretta possibile prese la strada del Parmigiano, lasciando indietro non pochi viveri, munizioni e parte ancora del bagaglio. Passò questo terrore al Finale, a San Felice e alla Mirandola, dove erano entrati essi Franzesi, dappoichè l'aveano abbandonata gli Spagnuoli; e tutte quelle schiere, unitesi poi con quelle di Guastalla, marciarono alla Sacca, luogo del Parmigiano sul Po. Formato quivi un ponte per mantener la comunicazione coll'Oltrepò, con alte fosse e trincee si afforzarono; e da Parma sino a quel luogo dietro al fiume appellato Parma tirarono una linea, guernendola di gran gente e cannoni, ed aspettando di vedere che risoluzion prendessero gli Austriaci. Con buona disciplina, dopo avere ripigliato il possesso della Mirandola, sen vennero questi sul territorio di Reggio; impadronironsi anche di Guastalla e Novellara, e andarono ad alzar le tende nelle ville del Parmigiano. Era ito frattanto il general Mercy a Padova, per isperanza di riportare da quegli esculapii la guarigion della sua vista; e senza di lui nulla si potea intraprendere di grande. Parve agli altri comandanti cesarei viltà il lasciare tanto in ozio il fiorito loro esercito, e però si avvisarono di cacciare i Franzesi dalla terra di Colorno. Sul principio di giugno con un grosso distaccamento si portarono [390] colà; disperata difesa fece quel presidio; sicchè tutti coloro o perderono la vita o restarono prigionieri. Ma senza paragone vi spesero gl'imperiali più sangue, essendovi rimasto ucciso il suddetto troppo ardito generale di Ligneville con altri uffiziali e molta lor gente. Videsi poi saccheggiata quella povera terra, senza perdonare nè ai luoghi sacri, nè alle delizie del palazzo e giardino de' duchi di Parma, le quali furono ivi per la maggior parte disperse od atterrate. Non riportò lode il principe Luigi di Wirtemberg, comandante allora pro interim dell'armata cesarea, perchè non s'inoltrasse con tutte le forze affine di stringere i Franzesi a Sacca. A lui bastò di mettere in Colorno due reggimenti. Ma nel dì 5 di giugno essendosi mosso il valoroso re di Sardegna con assai brigate sue e dei franzesi a quella volta, seguì una calda zuffa con vicendevole mortalità di gente; pure si trovarono obbligati i Tedeschi di abbandonare quel sito, oramai, ma troppo tardi, pentiti di avere comperato sì caro un acquisto che niun frutto e solamente molto danno loro produsse.
Da che fu ritornato da Padova il maresciallo di Mercy, non v'era chi non credesse imminente qualche gran fatto d'armi; ma con istupore d'ognuno egli si ritirò a San Martino del marchese estense a digerire la bile; e ciò perchè odiato dalla maggior parte degli uffiziali, come macellaio delle truppe, non avea trovato in essi l'ubbidienza dovuta. Se andassero bene con questi contrattempi gli affari dell'imperadore, sel può immaginare ciascuno. Placato in fine dopo molti giorni esso maresciallo, se ne tornò al campo, ed allora determinò di venire a giornata coi nemici. Sarebbe stato da desiderare ch'egli in sì pericoloso cimento fosse stato meglio servito dai suoi occhi, e che le misure da lui prese fossero state quali convengono ai più accorti generali di armate. Parve a non pochi mal conceputo disegno l'aver egli (giacchè troppo difficile era l'assalire il [391] campo contrario nelle linee ben fortificate del fiume Parma) preso un giro al mezzogiorno della città di Parma, con intenzione di azzuffarsi all'occidente, dove di fortificazioni erano privi i Franzesi; ma senza far caso di lasciare esposto un fianco del suo esercito alle artiglierie della città, e del potere la guernigione di essa città tagliargli la ritirata, in caso di disgrazie. Ma egli era portato da una ferma credenza di sconfiggere i nemici; e il vero è che pensava di trovare i Franzesi nell'accampamento loro dietro alla Parma, e non già nel sito dove succedette dipoi il terribil conflitto. All'armata gallo-sarda non si trovava più il maresciallo di Villars, perchè la sua soverchia età gli avea siffattamente infiacchita la memoria, che ora dato un ordine, da lì a poco dimentico del primo, ne spediva un altro in contrario. Laonde, richiamato alla corte, s'inviò nel dì 27 di maggio alla volta di Torino, dove, sorpreso da malattia, diede fine ai suoi giorni, ma non già alla gloria di essere stato uno dei più sperti e rinomati condottieri d'armata dei giorni suoi. Anche il generalissimo Carlo Emmanuele re di Sardegna avea dato una scorsa a Torino, per visitar la regina caduta inferma. Ora, essendo restato al comando dell'esercito gallo-sardo i due marescialli di Coigny e di Broglio, o sia che le spie portassero avviso dei movimenti degl'imperiali, o pure fosse accidente, mossero eglino il campo, per venire anch'essi al mezzo giorno, verisimilmente per coprire la città di Parma da ogni attentato.
All'improvviso dunque nella mattina del dì 29 di giugno, festa dei santi Pietro e Paolo, si scontrarono le due nemiche armate sulla strada maestra, o vogliam dire via Claudia, stendendosi i Franzesi dalla città fino per un miglio al luogo detto la Crocetta, ben difesi dagli alti fossi della medesima strada. Ancorchè si trovasse il Mercy inferiore di gente, per aver lasciato molti staccamenti indietro alla custodia dei passi, e tutta la [392] fanteria non fosse peranche giunta, pure attaccò furiosamente la battaglia con istrage non lieve de' nemici. Costò anche gran sangue l'espugnazione d'una cassina; ma il peggio fu ch'egli stesso, col troppo esporsi alle palle degli avversarii, ne restò sì malamente colto, che sul campo spirò l'ultimo fiato. Non si sa se il funerale fosse poi accompagnato dalle lagrime di alcuno. Arrivata la fanteria tutta, crebbe maggiormente il fuoco, le morti e le ferite da ambe le parti, senza nondimeno che l'una passasse nei confini dell'altra. A cagione di tanti fossi ed alberi poco o nulla potè operare la copiosa cavalleria tedesca; e i soli fucili e i piccioli cannoni da campagna, ma non mai le sciabole e baionette, fecero l'orribil giuoco. Da molti fu creduto che il principe Luigi di Wirtemberg, rimasto comandante in capo dopo la morte del Mercy, non sapesse qual regolamento avesse preso il defunto generale, e però pensasse più alla difesa che all'offesa. Ed altri immaginarono che se fosse sopravvissuto il Mercy, egli avrebbe riportata vittoria, o sacrificata la maggior parte delle sue truppe. La conclusione fu, che questo sanguinoso combattimento durò fino alla notte, la quale pose fine al vicendevol macello; ed amendue l'armate rimasero nei loro campi a considerare e compiangere le loro perdite per tanti uffiziali e soldati o uccisi o feriti, senza sapere qual destino fosse toccato alla parte contraria. Non aspetti alcuno da me d'intendere a quante migliaia ascendesse il danno dell'una o dell'altra armata, insegnando la sperienza che ognuno si studia d'ingrandire il numero dei nemici e di sminuire il numero dei proprii. Calcolarono alcuni che almen dieci mila persone tra gli uni e gli altri restassero freddi sul campo. Quel ch'è certo, ciascuna delle parti nella notte, al trovare tanta copia di morti e feriti, si credette vinta; e si sa che i comandanti franzesi, tenuto consiglio, meditavano già di ritirarsi ai confini della Sacca e a decampare [393] dai contorni di Parma; quando verso la mezza notte giunse la grata nuova che i Tedeschi, levato il campo, erano in viaggio per tornarsene verso il Reggiano. Snervati cotanto di gente si trovarono essi cesarei, e privi di vettovaglie e foraggi, e in vicinanza d'essa città nemica, che loro fu necessario di retrocedere. Era ferito anche lo stesso principe di Wirtemberg.
Videsi in questi tempi Parma tutta piena di Gallo-Sardi feriti, e una processione continua per due giorni sulla via Claudia di feriti tedeschi, non curati da alcuno, de' quali parte ancora nel viaggio andava mancando di vita: spettacolo compassionevole ed orrido a chi contemplava in essi l'umana miseria e i frutti amari dell'ambizion de' regnanti. Sul fine della battaglia per le poste, e con grave pericolo di cadere in mano dei cesarei, il re di Sardegna pervenne al campo. Fu creduto migliore consiglio il non inseguire i fuggitivi nemici, e nel dì seguente s'inviò buona parte dell'esercito gallo-sardo verso Guastalla per isloggiarne i Tedeschi. V'era dentro un presidio di mille e duecento persone, e per disattenzione dei comandanti cesarei niuno avviso fu loro inviato della succeduta catastrofe; laonde, trovandosi quella gente sprovveduta d'artiglierie, di munizioni e di viveri, fu obbligata di rendersi prigioniera. Giunse intanto l'esercito tedesco a passare il fiume Secchia, dopo aver lasciate funeste memorie di ruberie per dovunque passò; e a fin di mantenere la comunicazione colla Mirandola e col Mantovano, si diede tosto ad afforzarsi sugli argini dello stesso fiume; siccome parimente fecero i Franzesi nella parte di là, con aver posto il re di Sardegna il quartier generale a San Benedetto. Avea nella precedente primavera il maresciallo di Villars pensato a stendere la sua giurisdizione anche negli Stati di Modena, sì per assicurarsi di questa città e della sua cittadella, come anche per istendere le contribuzioni in questo paese: [394] mestiere favorito dai monarchi della terra, e praticato tanto più indiscretamente da essi, quanto più son potenti e ricchi, senza distinguere paesi neutrali ed innocenti dai nemici. Nel dì 15 d'aprile comparve a Modena il marchese di Pezè, uffiziale franzese di gran credito ed eloquenza, che fece la dimanda d'essa cittadella in deposito a nome del re Cattolico. Per quante esibizioni facesse il duca Rinaldo di sicurezze ch'egli guarderebbe quella fortezza senza darla ai nemici degli alleati, saldo stette il Pezè in esigere, e non men di lui il duca in negare sì fatta cessione. Andossene perciò senza aver nulla guadagnato quell'uffiziale, e il duca, a cagion di questo, guernì di qualche migliaio di sue milizie la cittadella predetta. Ma da che dopo la battaglia di Parma si trovarono sì infievoliti i cesarei, spedì il duca al campo gallo-sardo l'abbate Domenico Giacobazzi, oggidì consigliere di Stato e segretario ducale, ben persuaso di non poter più resistere alla tempesta, e desideroso di salvare quel più che potea nell'imminente naufragio. Disposte poscia il meglio che fu possibile le cose, nel dì 14 di luglio si ritirò il duca con tutta la sua famiglia a Bologna. Il principe ereditario Francesco suo figlio e la principessa consorte s'erano molto prima portati a Genova, e di là poi col tempo passarono amendue a Parigi.
Entrarono nel dì 13 i Franzesi in Reggio, e nel dì 20 del mese suddetto comparve alle porte di Modena il marchese di Maillebois, tenente generale di sua maestà Cristianissima, con buon distaccamento d'armati che accordò alla città e sue dipendenze un'onesta capitolazione, restando intatta la giurisdizione, dominio e rendite del duca, con altri patti in favore del popolo: patti di carta, che non durarono poi se non pochi giorni. Che intollerabili aggravii, che esorbitanti contribuzioni imponessero poscia i Franzesi agli Stati suddetti, non occorre ch'io lo ricordi, dopo averne assai parlato nelle Antichità Estensi. Divennero in oltre essi [395] Stati il teatro della guerra, tenendo i Cesarei la Mirandola e tutto il basso Modenese, e i Franzesi Modena, Reggio, Correggio e Carpi. Il fiume Secchia era quello che dividea le armate, le quali andarono godendo un dolce ozio sino alla metà di settembre, ma senza lasciarne godere un briciolo ai poveri abitanti. Al comando dell'armi imperiali era intanto stato inviato da Vienna il maresciallo conte Giuseppe di Koningsegg, signore di gran senno, che tosto determinò di svegliare gli addormentati nemici. Trovavasi in questo tempo attendato a Quistello il maresciallo franzese conte di Broglio con parte dell'esercito, guardando i passi della Secchia. Con isforzate marcie e con gran silenzio sull'alba del dì 15 di esso settembre ecco comparire il nerbo maggiori degli Alemanni, valicar la poca acqua del fiume, sorprendere i picchetti avanzati, e poi dare improvvisamente addosso al campo franzese. Non ebbero tempo colti nel sonno i soldati di prendere l'armi, non che di ordinar le schiere. Solamente si pensò alle gambe. Fuggì in camicia il maresciallo di Broglio; e il signore di Caraman suo nipote, colonnello e brigadiere d'essa armata, essendosi opposto per facilitare al zio la ritirata, restò con altri uffiziali prigioniero. Andò a sacco tutto il campo, tende, bagagli, armi, munizioni, e le argenterie de' maggiori uffiziali. Era molto splendida e copiosa quella del conte di Broglio, la cui segreteria restò anch'essa in mano dei vincitori. Per questa disavventura fu da lì innanzi esso maresciallo, benchè personaggio di gran merito e mente, guardato di mal occhio alla corte di Francia, e col tempo si vide cadere. Rimasero per tale irruzione tagliati fuori molti corpi di Franzesi, che si renderono prigioni, altri ne furono presi a letto nel campo, tal che fu creduto, che tra morti e prigioni, vi perdessero i Franzesi da tre e forse più mila persone. Maggiore senza paragone sarebbe stata la perdita loro, se non si fossero sbandati i Tedeschi dietro al ricco spoglio del campo, e non [396] avessero trovato, allorchè presero ad inseguire i nemici, varie fosse e canali, custoditi da qualche truppa franzese, che ritardarono di troppo i lor passi. Ebbe tempo il re di Sardegna di ritirarsi colla sua gente da San Benedetto, conducendo seco cannoni e bagaglio, pizzicato nondimeno per viaggio. Solamente due battaglioni restati in quel monistero con altri Franzesi capitati colà, dopo avere ottenuti patti onesti, si renderono agl'imperiali.
Ridotto in fine con gran fretta tutto l'esercito gallo-sardo a Guastalla fuori di quella città, e fra i due argini del Po e del Crostolo vecchio, si diede con gran fretta a formare alti e forti trincieramenti; nel qual tempo furono anche abbandonati Carpi e Correggio dai presidii franzesi, che si ritirarono al grosso della lor armata. A quella volta del pari trasse tutto il cesareo esercito, e poco si stette a vedere un altro spaventevole fatto d'armi. Molto fu poi disputato se a questo nuovo conflitto si venisse per accidente o pure per risoluta volontà del maresciallo di Koningsegg. Giudicarono alcuni che, per una scaramuccia insorta fra grosse partite, a poco a poco andasse crescendo l'impegno, tanto che in fine tutte le due armate entrarono in ballo. Pretesero altri che il Koningsegg, troppa fede prestando al principe di Virtemberg, asserente, come cosa certa, che la cavalleria gallo-sarda era passata oltre Po a cercar foraggi, determinasse di tentar la fortuna. Persona di credito mi assicurò, non altra intenzione avere avuto il generale cesareo, che di riconoscere il campo nemico; ma che, inoltratisi due o tre suoi reggimenti, vennero alle mani con un corpo di Franzesi: laonde la battaglia divenne a poco a poco universale. Usciti perciò dei loro trincieramenti i Franzesi in ordinanza di battaglia, nella mattina del dì 19 di settembre si azzuffarono i due possenti eserciti; e sulle prime due bei reggimenti di corazze cesaree, caduti in un'imboscata, rimasero quasi disfatti. Al primo avviso il re sardo, che si trovava [397] di là dal Po, corse a rinforzar l'armata colla sua cavalleria, e sempre colla spada alla mano in compagnia dei due marescialli di Coigny e di Broglio, attese a dar gli ordini opportuni, trovandosi coraggiosamente in mezzo ai maggiori pericoli. Giocarono in questo conflitto terribilmente le artiglierie d'ambe le parti, facendo squarci grandi nelle schiere opposte; le sciabole e baionette non istettero punto in ozio; e però sanguinosa oltremodo riuscì la pugna. Parve che il principe Luigi di Wirtemberg andasse cercando la morte: tanto arditamente si spinse egli addosso ai nemici; e infatti restò ucciso sul campo. Ora piegarono i Franzesi ed ora i Tedeschi; ma in fine, chiarito il Koningsegg che non si potea rompere l'oste contraria, prese il partito di far sonare a raccolta, e di ritirarsi colla migliore ordinanza che fu possibile. Si disse che i Franzesi l'inseguissero per un tratto di strada, ma non è certo. A quanto montasse la perdita dell'una e dell'altra parte, resta tuttavia da sapersi. Indubitata cosa è che vi perì gran gente con molti insigni uffiziali di prima riga e subalterni, e maggior fu la copia de' feriti, la quale ascese a migliaia. Si attribuirono i Gallo-Sardi la vittoria, e non senza ragione, perchè restarono padroni del campo, di quattro stendardi e di qualche pezzo di cannone e i Savoiardi riportarono in trionfo un paio di timballi. Ebbe l'avvertenza il maresciallo cesareo, nello stesso bollore del poco prospero conflitto, di spedir ordine perchè si formasse o si armasse gagliardamente il ponte di comunicazione col Mantovano sul Po, e fu ben servito. Nè si dee tacere che il marchese di Maillebois, durante la battaglia suddetta, con tre mila cavalli di là dal Po corse per sorprendere Borgoforte, ed impedire la comunicazione del ponte; ma non fu a tempo, anzi ben ricevuto, non pensò che a tornarsene indietro.
Venne nei seguenti giorni a notizia dei Franzesi altro non trovarsi nella Mirandola che lo scarso presidio di trecento [398] Alemanni con poca artiglieria. Parve questo il tempo d'impadronirsene. Scelto per tale impresa il suddetto tenente generale Maillebois, uomo di grande ardire ed attività, comparve sotto quella piazza con sei mila combattenti, con otto grossi pezzi d'artiglieria cavati da Modena, e con altri cannoni; e senza riguardi e cerimonie alzò tosto una batteria sul cammino coperto. Essendo poi corsa voce che dieci mila Tedeschi venivano a fargli una visita, con tutti i suoi arnesi fu presto a ritirarsi. Ma, scopertasi falsa questa voce, egli, più che mai voglioso e isperanzito di quell'acquisto, tornò sotto alla piazza, e con tutto vigore rinovò le offese. Fatta la breccia, si preparava già a scendere nella fossa, quando venne a sapere che il Koningsegg segretamente avea fatto sfilare alquante migliaia de' suoi a quella volta, e formato un ponte sul Po a questo effetto; però da saggio comandante nel dì 12 di ottobre sloggiò, e tal fu la fretta, che lasciò indietro tutta l'artiglieria. Niun'altra considerabile impresa fu fatta nel resto dell'anno, se non che ostinatosi il conte di Koningsegg di stare colla sua gente in campagna tra il Po e l'Oglio, gran tormento diede all'oste gallo-sarda obbligata a gravi patimenti, alloggiando e dormendo i poveri soldati non più sulla terra, ma sui fanghi e nell'acqua. Non soffrì il re di Sardegna che più durasse tanto affanno delle milizie, e decampato che ebbe, le ridusse ai quartieri di verno, ma sì mal concie, che, entrata fra loro un'epidemia, nei seguenti mesi sbrigò dai guai del mondo una parte di essi, e non solo essi, ma chiunque dei medici, chirurghi e cappellani che assisterono ad essi: come pur troppo si provò nella città di Modena. La ritirata loro aprì il campo ai Cesarei per passar l'Oglio, ed impadronirsi di Bozzolo, Viadana, Casal Maggiore ed altri luoghi. E al principe di Sassonia Hildburgausen riuscì con finti cannoni di legno di far paura al comandante di Sabbioneta, che non ebbe difficoltà di renderla a patti onorevoli. Con tali imprese [399] terminò nell'anno presente la campagna in Lombardia.
Ci chiama ora un'altra memorabile scena, parimente spettante a quest'anno e all'Italia. Siccome accennammo, era già stata presa nel gabinetto di Spagna la risoluzion di valersi del tempo propizio in cui si trovavano impegnate l'armi di Cesare al Reno e in Lombardia, per la conquista dei regni di Napoli e Sicilia. Ognun vedea che le mire degli Spagnuoli con tanti legni in mare, con tanta cavalleria e fanteria già pervenuta in Toscana, e che andava ogni dì più crescendo, tendevano a passar colà. Maggiormente ancora se ne avvide il conte don Giulio Visconti, vicerè allora di Napoli, il quale bensì per tempo si accinse a far la possibile difesa, con fortificare spezialmente Gaeta e Capoa, e provvederle di gente e di tutto il bisognevole; ma, per trovarsi con forze troppo smilze a sì pericoloso cimento, con replicate lettere facea istanza di soccorsi alla corte di Vienna. Ne ricevè molte speranze; a riserva nondimeno di alquante reclute e di altre poche milizie che dal litorale austriaco e dalla Sicilia per mare andarono capitando colà, si sciolsero tutte in fumo le altre promesse. Il quartier generale dell'esercito spagnuolo, sotto la direzione del conte di Montemar, nel gennaio di quest'anno era in Siena. A quella volta si mosse da Parma anche il real infante don Carlo; ed essendo nel dì 5 di febbraio passato in vicinanza di Modena, salutato con salva reale dalla cittadella, arrivò poi nel dì 10 felicemente a Firenze. Portò egli seco gli arredi più preziosi dei palazzi Farnesi di Parma e Piacenza, ben prevedendo che gli si preparava un più magnifico alloggio in altre parti. Anche il duca di Liria, raccolte le truppe spagnuole ch'erano sparse negli Stati del duca di Modena, e abbandonata la Mirandola, andò ad unirsi all'esercito sul sanese. Da che sul fine di febbraio si fu messo alla testa di sì bella e poderosa armata esso reale infante, tutti si mossero alla volta di Roma, e nel dì 15 passarono [400] sopra un preparato ponte il Tevere. Nello stesso tempo per mare capitò a Cività vecchia la numerosa flotta di Spagna, ed otto navi di essa, veleggiando oltre, nel dì 20 s'impossessarono delle isole di Procida ed Ischia. Furono sparsi per Napoli e pel regno manifesti che promettevano per parte dell'infante diminuzion di aggravii, e privilegii e perdono a chi in addietro avea tenuto il partito imperiale contro la corona di Spagna.
Stavano intanto speculando i satrapi della politica se gli Spagnuoli troverebbero opposizioni ai confini. Niuna ne trovarono, e però avendo essi declinata Capoa, e passato il Volturno, giunsero a sant'Angelo di Rocca Canina. Era stata su questo disputa fra i due generali, Caraffa Italiano e Traun Tedesco. Pretendeva l'uno d'essi, cioè il primo, che tornasse più il conto a sguernire le piazze di presidii, e raccolta tutta la gente di armi alemanna, doversi formare un'armata che andasse a fronte della nemica, per tentare una battaglia. Succedendo questa felicemente, pareva in salvo il regno. All'incontro, col difendere i soli luoghi forti, Napoli era perduta; e chi ha la capitale, in breve ha il resto. Sosteneva per lo contrario il conte Traun il tener divise le soldatesche nelle fortezze; perchè, venendo i promessi soccorsi di venti mila armati dalla Germania, Napoli si sarebbe felicemente ricuperata. Prevalse quest'ultimo sentimento, e fu la rovina de' cesarei, che niun rinforzo riceverono, e perderono tutto. Dopo la disgrazia fu chiamato in Vienna il generale Caraffa, fedele ed onoratissimo signore, imputato di non aver ben servito l'augusto padrone. Andò egli ma non gli fu permesso di entrare in Vienna, nè di parlare a sua maestà cesarea. Per altro, portò egli seco le chiare sue giustificazioni. Fu detto che l'imperadore con sua lettera gli avesse ordinato di raunar la gente, e di venire ad un fatto d'armi, e che altra lettera del consiglio di guerra sopraggiunse con [401] ordine tutto contrario. Avea il conte don Giulio Visconti vicerè preventivamente inviata a Roma la moglie col meglio dei suoi mobili, e a Gaeta le scritture più importanti; ed egli stesso dipoi prese la strada di Avellino e Barletta, per non essere spettatore della inevitabil rivoluzione di Napoli, che tutta era in iscompiglio, e che scrisse a Vienna le scuse e discolpe della sua fedeltà, se sprovveduta di chi la sostenesse, era forzata a cedere ad un principe che si accostava con esercito sì potente per terra e per mare. Giunto pertanto nel dì 9 d'aprile il reale infante coll'oste sua a Maddalori, lungi quattordici miglia da Napoli, vennero i deputati ed eletti di quella real città ad inchinarlo, e a presentargli le chiavi, coprendosi come grandi di Spagna, secondo il privilegio di quella metropoli. Nel seguente dì 10 fu spedito un distaccamento di tre mila Spagnuoli, che pacificamente entrarono in Napoli, e l'infante passò alla città d'Aversa, fissando ivi il suo quartiere, finattantochè si fossero ridotte all'ubbidienza le fortezze della capitale. Contra di queste, preparati che furono tutti gli arnesi, si diede principio alle ostilità. Nel dì 25 si arrendè il castello Sant'Ermo, con restare prigioniera la guernigione tedesca di secento venti persone. Due giorni prima anche l'altra di Baia, dopo aver sentite alquante cannonate, si rendè a discrezione. Consisteva in secento sessanta soldati. Il castello dell'Uovo durò sino al dì 5 di maggio, in cui quel presidio, esposta bandiera bianca, restò al pari degli altri prigioniero. Altrettanto fece nel dì 6 d'esso mese Castel Nuovo.
Dappoichè fu libera dagli Austriaci la città di Napoli, vi fece il suo solenne ingresso nel dì 10 di maggio l'infante reale don Carlo fra le incessanti allegrie ed acclamazioni di quel gran popolo. Nobili fuochi di gioia nelle sere seguenti attestarono la contentezza d'ognuno, ben prevedendo che questo amabil principe, così ornato di pietà e tanto inclinato alla [402] clemenza, avea da portar quella corona in capo. In fatti nel dì 15 d'esso maggio giunse corriere di Spagna col decreto, in cui il Cattolico monarca Filippo V dichiarava questo suo figlio re dell'una e dell'altra Sicilia: avviso, che fece raddoppiar le feste ed allegrezze di un popolo non avvezzo da più di ducento anni ad avere re proprio. Tutti i saggi riconobbero quale indicibil vantaggio sia l'aver corte e re o principe proprio. Trovavansi in Bari già adunati circa sette mila soldati cesarei. Poichè voce si sparse che sei mila Croati aveano da venire ad unirsi a questa piccola armata, il capitan generale spagnuolo, cioè il conte di Montemar, a fin di prevenire il loro arrivo, col meglio dell'esercito suo, facendolo marciare a grandi giornate, corse anch'egli a quelle parti. Nel dì 27 di maggio trovò egli quella gente in vicinanza di Bitonto in ordine di battaglia, e tosto attaccò la zuffa con essi. Ma quella non fu zuffa, perchè subito si disordinarono e diedero alle gambe gl'Italiani, che erano i più, e furono seguitati dagli Alemanni. La maggior parte restò presa, e gli altri si salvarono in Bari. Non si potè poi cavar di testa alla gente che il principe di Belmonte marchese di San Vincenzo, comandante di quel corpo di truppe, non avesse prima acconciati i suoi affari con gli Spagnuoli, giacchè da lì a non molto fu osservato ben visto e favorito da loro. Anche gli abitanti di Lecce, mossa sollevazione, presero quanti Tedeschi si trovarono in quella contrada. In riconoscenza dei rilevanti servigi prestati al nuovo re di Napoli, fu il conte di Montemar dichiarato duca di Bitonto, e comandante de' castelli di Napoli con pensione annua di cinquanta mila ducati. Impadronironsi poscia gli Spagnuoli di Brindisi e di Pescara, con restar prigioni di guerra quei presidii. Ma ciò che più stava loro a cuore, era la città di Gaeta, piazza di gran polso, e ben provveduta di gente, viveri e munizioni per la difesa. Nel dì 31 di luglio si portò per mare colà il giovine re [403] don Carlo, ed allora l'esercito aprì la trinciera. A tale assedio comparve anche Carlo Odoardo principe di Galles, primogenito del cattolico re Giacomo III Stuardo, che fu accolto dal re di Napoli con dimostrazioni di distinta stima ed amore. Ma quella forte piazza, con istupore di ognuno, non resistè che pochi giorni alle batterie nemiche, e nel dì 7 d'agosto la guernigione tedesca cedette il posto alla spagnuola. Perchè quegli abitanti ricusarono di venire ad un accordo col generale dell'artiglieria, videro trasportate a Napoli tutte le lor campane, essendone restate solamente alcune picciole in due o tre conventi. Bella legge, che è questa, di punir le innocenti chiese con sì barbaro spoglio! Ciò fatto, si fecero tutte le disposizioni necessarie per passare alla conquista della Sicilia.
Nel dì 25 d'esso mese d'agosto essendosi imbarcato il capitan generale conte di Montemar, mise alla vela il gran convoglio, numeroso di circa trecento tartane, cinque galee, cinque navi da guerra, due palandre, e molti altri legni minori. In vicinanza di Palermo approdò felicemente sul fine del mese quella flotta, laonde il senato di quella metropoli, siccome privo di difensori, non tardò a far colà la sua comparsa, per attestare l'ossequio di quel popolo alla real famiglia di Spagna. Addobbi insigni, strepitose acclamazioni solennizzarono nel dì 2 di settembre l'ingresso in Palermo del suddetto Montemar di già dichiarato vicerè di Sicilia. Passò egli dipoi col forte dell'armata a Messina, i cui cittadini aveano già ottenuta licenza di rendersi, giacchè il principe di Lobcovitz comandante avea ritirati i presidii dai castelli di Matagriffone, Castellazzo e Taormina, per difendere il solo castello di Gonzaga e la cittadella. Ma poco stette a rendersi esso castello di Gonzaga con quattrocento uomini, che rimasero prigionieri; però tutto lo sforzo degli Spagnuoli si rivolse contro la sola cittadella, difesa con indicibil valore do quella guernigione. Trapani e [404] Siracusa furono nello stesso tempo assediate. Altro più non restava nel regno di Napoli che la città di Capoa, ricusante di sottomettersi all'armi di Spagna. Entro v'era il general conte Traun, che si sostenne sempre con gran vigore, e sovente si lasciava vedere ai nemici con delle sortite. Una d'esse fece ben dello strepito, perchè essendosi per le pioggie ingrossato il fiume Volturno, e rimasti tagliati fuori circa mille Spagnuoli, perchè senza comunicazione col loro campo; il Traun uscito con quasi tutta la guernigione, e con dei piccioli cannoni coperti sopra delle carra, parte ne stese morti sul suolo, altri ne fece prigionieri. Ma in fine niuna speranza rimanendo di soccorso, e volendo esso generale salvare il presidio, capitolò la resa di quella città e castello nel dì 22 d'ottobre, se in termine di sei giorni non gli veniva aiuto, o non fosse seguito qualche armistizio, con altre condizioni. Però, venuto il termine, furono scortati questi Alemanni sino a Manfredonia e Bari, per essere trasportati a Trieste. Ed ecco tutto il regno di Napoli all'ubbidienza del re Carlo, a cui nel presente anno si videro di tanto in tanto arrivar nuovi rinforzi di gente, munizioni e danaro. Fra tanti soldati fatti prigionieri nei regni di Napoli e Sicilia, la maggior parte degli Italiani, ed anche molti Tedeschi si arrolarono nell'esercito spagnuolo. Ma perciocchè essi Alemanni, tosto che se la vedevano bella, disertavano, fu preso il partito d'inviarne una parte degli arrolati e il resto dei prigioni in Ispagna. Di là poi furono trasportati in Africa nella piazza d'Orano, dove trovarono un gran fosso da passare, se più veniva lor voglia di disertare.
Maggiormente si riaccese in questo anno la ribellion de' Corsi, dove quella brava gente, già impadronitasi di Corte, sul fine di febbraio diede una rotta al presidio genovese uscito della Bastia, e nel dì 29 di marzo sconfisse un altro corpo d'essi Genovesi. Continuarono poi nel resto dell'anno le sollevazioni e le [405] azioni militari con varia fortuna in quell'isola. Roma vide in questi tempi per la protezion di Vienna, e per lo sborso di trenta mila scudi, alquanto migliorata la condizione del cardinal Coscia, che restò liberato dalle censure già promulgate contra di lui, ma non già dalla prigionia di castello Sant'Angelo. Un insigne regalo fece il pontefice Clemente XII al Campidoglio, con ordinare il trasporto colà della bella raccolta di statue antiche fatta dal cardinale Alessandro Albani, ed acquistata dalla santità sua col prezzo di sessantasei mila scudi. Ma nel dì 6 maggio si trovò tutta in conquasso essa città di Roma, per essersi verso il mezzo dì attaccato il fuoco ad un castello di legnami sulle sponde del Tevere, dirimpetto al quartiere di Ripetta e alla piazza dell'Oca. Spirava un gagliardo vento, che di mano in mano andò portando le fiamme agli altri castelli circonvicini, e ad alcuni pochi magazzini di legna, e alle case di quasi tutta quell'isola; di maniera che circa quattro mila persone rimasero senza abitazione, e vi perderono i loro mobili. Per troncare il corso a sì spaventoso incendio, fu di mestieri trasportar colà alcuni cannoni da castello Sant'Angelo, che, atterrando varie case, non permisero al fuoco di maggiormente inoltrare i suoi passi. Guai se penetrava agli altri magazzini di fieno e di legna. Incredibile fu il danno, non minore lo spavento. Fece il benefico papa distribuir tosto due mila scudi a quella povera gente. Nell'anno presente, siccome vedemmo, provò l'augusta casa d'Austria in Italia tante percosse, e nè pure in Germania potè esentarsi da altre disavventure per la troppa superiorità dell'armi franzesi. In questo bisogno di Cesare l'ormai vecchio principe Eugenio di Savoia ripigliò l'usbergo, e passò con quelle forze che potè raunare a sostener le linee di Erlingen. Quand'ecco due possenti eserciti franzesi, l'uno condotto dai marescialli e duchi di Bervich e Noaglies, e l'altro dal marchese d'Asfeld, che quasi [406] il presero in mezzo. Gran lode riportò il principe per la stessa sua ritirata, fatta da maestro di guerra, perchè seppe mettere in salvo le artiglierie e bagagli, e mostrando di voler cimentarsi, saggiamente si ridusse in salvo senza alcun cimento con tutti i suoi. Fu poi assediata l'importante fortezza di Filisburgo dai Franzesi, e con sì fatti trincieramenti circonvallata, che, ritornato il principe con oste poderosa per darle soccorso, altro non potè fare che essere come spettatore della resa d'essa nei dì 21 di luglio. Gran gente costò ai Franzesi lo acquisto di quella piazza, e fra gli altri molti uffiziali vi lasciò la vita il suddetto duca di Bervich della real casa Stuarda, uno dei più grandi e rinomati condottieri d'armate de' giorni suoi. Una palla di cannone privò la Francia di sì accreditato generale. Niun'altra considerabile impresa seguì poscia nell'anno presente in quelle parti, nulla avendo voluto azzardare il principe Eugenio, a cagion degli infausti successi dell'armi cesaree in Italia. E tal fine con tante vicende ebbe l'anno presente, in cui con occhio tranquillo stettero Inglesi ed Olandesi mirando i deliquii dell'augusta casa d'Austria, quasichè nulla importasse loro il sempre maggiore ingrandimento della real casa di Borbone. Col tempo se n'ebbero a pentire.
Anno di | Cristo MDCCXXXV. Indiz. XIII. |
Clemente XII papa 6. | |
Carlo VI imperadore 25. |
Gran cordoglio provò in quest'anno Carlo Emmanuele re di Sardegna, per avergli la morte rapita, nel dì 15 di gennaio, la real sua consorte, cioè Polissena Cristina d'Hassia Rhinfels Rotemburgo, principessa amabilissima e dotata di rare virtù, giunta all'anno ventesimo nono della sua età, con lasciar dopo di sè due principini e due principesse. Ebbe bisogno il re di tutta la sua virtù per consolarsi nella perdita di una consorte di [407] merito tanto singolare. Parimente fu colpito dalla morte in Venezia il dì 5 di gennaio Carlo Ruzzini in età d'anni ottantuno in circa; e a lui fu sostituito nella ducal dignità Luigi Pisani. A simile funesto colpo soggiacque nel dì 18 del suddetto gennaio in Roma anche la principessa Maria Clementina figlia di Giacomo Sobieschi, principe reale di Polonia, e moglie di Giacomo III Stuardo re cattolico della Gran Bretagna, da lui sposata nel settembre nel 1719 in Montefiascone. Tali furono le eroiche virtù, e massimamente l'inarrivabil pietà di questa principessa, che vivente fu da ognuno riguardata qual santa, e meritò poi che le sue insigni azioni fossero tramandate ai posteri come un esemplare delle principesse eroine. Arricchì di due figli il real consorte, cioè di Carlo Odoardo principe di Galles, nato nel dì 31 di dicembre del 1720, e di Arrigo Benedetto duca di Yorch, nato nel dì 6 di marzo del 1725. Suntuosissimo funerale, qual si conveniva ad una regina, le fu fatto per ordine del sommo pontefice Clemente XII nella chiesa de' Santi Apostoli. Portato il cadavero suo nella basilica Vaticana, disegnò esso santo padre di ergerle un mausoleo non inferiore a quello della regina di Svezia Cristina. Attendeva in questi tempi il magnanimo pontefice ad accrescere gli ornamenti di Roma colla gran facciata della basilica lateranense, e con abbellire in forma sommamente maestosa la fontana di Trevi. Nello stesso tempo erano occupate le rendite sue in provvedere di un insigne lazzaretto la città d'Ancona. Eresse parimente un magnifico seminario nella diocesi di Bisignano, affinchè servisse all'educazione de' giovani greci. Buone somme ancora di danaro spedì al cardinale Alberoni legato di Ravenna, affinchè divertisse i due fiumi Ronco e Montone, che minacciavano, per l'altezza dei loro letti, l'eccidio a quell'antichissima città.
Meraviglie di valore e di prudenza avea fatte fin qui il principe di Lobcovitz in sostenere l'assediata cittadella di Messina, [408] e più ne avrebbe fatto, se non gli fossero venuti meno i viveri e le munizioni. Costretto dunque non dalla forza delle armi, ma dalla propria penuria, finalmente nel dì 22 di febbraio espose bandiera bianca, ottenne onorevoli condizioni, e lasciò poi solamente nel fine di marzo in potere degli Spagnuoli quell'importante fortezza. Maggior fu la resistenza che fece pel suo vantaggioso sito, e per la valorosa condotta del generale marchese Roma, la città di Siracusa; ma bersagliata per mare e per terra da bombe ed artiglierie, nel dì 16 di giugno anch'essa, con patti simili a quei di Messina, si diede per vinta. Vi restava l'unica fortezza di Trapani, tuttavia difesa dagli Alemanni. Non passò il dì 21 dello stesso giugno che anch'essa piegò il collo alle armi vincitrici di Spagna; di maniera che tutta l'isola e regno della Sicilia restò pacificamente soggetta al giovane re don Carlo. S'era già fin dal mese di febbraio messo in viaggio per terra questo grazioso regnante alla volta dello Stretto, per passare colà, e prendere in Palermo, secondo l'antico rituale, la corona delle Due Sicilie. Arrivato a Messina, vi fece il suo pubblico ingresso nel dì 9 di marzo, accolto con somma allegrezza da quel popolo. Dopo molti giorni di riposo, imbarcato pervenne felicemente, nel dì 18 di maggio, a Palermo. Destinato il dì 3 di luglio, giorno di domenica, per l'incoronazione di sua maestà, con indicibil magnificenza fu eseguita quella funzione. Dopo di che, scortato da numerosa flotta, egli se ne tornò per mare alla sua residenza di Napoli, dove felicemente arrivò nel dì 12 del suddetto luglio. Per tre giorni furono fatte insigni feste in quella gran città con bellissime macchine e ricchissime illuminazioni, facendo a gara ognun per comprovare il suo giubilo al reale sovrano. Avea molto prima d'ora conosciuto il capitan generale duca di Montemar, che non occorrevano più tante truppe nel regno di Napoli, e perciò nel febbraio di quest'anno si mosse con alquante migliaia [409] d'esse, e valicato il Tevere, passò in Toscana. Sua intenzione era di levare ai tedeschi le fortezze poste nel litorale di essa Toscana. Nuovi rinforzi gli arrivarono di Spagna; laonde nell'aprile diede principio alle ostilità contra di Orbitello, e nel dì 16 a tempestare coll'artiglierie il forte di San Filippo. Perchè cadde una bomba nel magazzino della polve di questo forte, il presidio ne capitolò la resa e restò prigioniere, dopo aver sostenuto per ventinove giorni le offese dei nemici. Altrettanto fece dipoi Porto Ercole. Perchè premure maggiori chiamavano esso duca di Montemar in Lombardia, sollecitamente per la via di Fiorenzuola istradò egli le sue milizie alla volta di Bologna, avendo lasciato solamente un corpo di gente al blocco di Orbitello, piazza, che si arrendè poscia sul principio del mese di luglio.
Correva il fine di maggio, quando passò pel Modenese quest'armata spagnuola, che si faceva ascendere a venti mila persone di varie nazioni, e s'inviò verso il Mantovano di qua da Po, per cominciar la campagna unitamente co' Franzesi e Savoiardi. Era già pervenuto a Milano nel dì 22 di marzo Adriano Maurizio di Naoglies, maresciallo di Francia, in cui gareggiava la felicità della mente colla bontà del cuore, la generosità colla splendidezza, per comandare all'esercito franzese. Si tennero varii consigli di guerra fra i generali alleati, e venuto che fu a Cremona nel dì 10 di maggio Carlo Emmanuele re di Sardegna, generalissimo dell'esercito, furono regolate le operazioni che doveano fare nell'anno presente. Passato dipoi il re a Guastalla, si diede ognuno a fare gli occorrenti preparamenti d'artiglierie, barche, viveri e munizioni. Ritornato parimente era da Vienna il maresciallo conte di Koningsegg al comando dell'oste cesarea, e già arrivati a Mantova alcuni nuovi reggimenti tedeschi e molte reclute. Contuttociò non si contavano nell'esercito suo se non ventiquattro mila soldati: laddove quel de' collegati era [410] ascendente a quasi due terzi di più. Diviso questo in tre corpi che poteano chiamarsi tre poderosi eserciti, marciò sul fine di maggio verso il Mantovano. Dappoichè il Noaglies prese Gonzaga, facendo prigione quel presidio, tutte le forze degli alleati marciarono per passare il Po e il fiume Oglio. Furono i lor movimenti prevenuti dal Koningsegg, che ritirò da San Benedetto, da Revere e dagli altri luoghi i presidii, e lasciò agio agli Spagnuoli di passare nel dì 15 giugno oltre Po ad Ostiglia, che nello stesso tempo con Governolo restò abbandonata dai Tedeschi. Avendo i Franzesi valicato il Po a Sacchetta, e il re di Sardegna l'Oglio a Canneto, il Koningsegg, che non voleva essere tolto in mezzo da queste tre armate, con lodatissima provvidenza andò rinculando, e dopo aver lasciati in Mantova sei mila bravi combattenti, e mandati innanzi i bagagli, i malati, e molti cannoni ed attrezzi, s'inviò verso il Veronese. A misura che i nemici s'inoltravano, anch'egli proseguiva le sue marcie, finchè, gittato un ponte sull'Adige a Bussolengo, benchè alquanto infestato dagli Spagnuoli nella retroguardia, condusse a salvamento tutta la sua gente sul Trentino, e parte ne fece sfilare verso il Tirolo.
Altro dunque più non restava in Lombardia ai Tedeschi, se non Mantova e la Mirandola; e mentre tutti si aspettavano di veder l'assedio dell'uno e dell'altra, Mantova restò solamente bloccata in gran lontananza, e il duca di Montemar verso la metà di luglio si accinse all'espugnazione della Mirandola. Dentro vi era un valoroso comandante, cioè il barone Stenz, che quantunque si trovasse con soli novecento soldati in una città e fortezza che ne esigeva tre mila, pure si preparò ad una gagliarda difesa. Non prima del dì 27 di luglio fu aperta la trinciera sotto questa piazza; e proseguirono poi le offese col passo delle tartarughe, a cagion di alcuni fortini alzati all'intorno, che impedivano gli approcci de' nemici. Bombe ed artiglierie fecero per tutto [411] il seguente agosto grande strepito e danno, senza però che si sgomentassero punto i difensori; e tuttochè fosse formata la breccia, e col mezzo di una mina e di un assalto preso anche uno di quei fortini, pure sarebbe costato molto più tempo e sangue agli Spagnuoli quell'assedio, se il valoroso comandante della città non avesse provata la fatalità delle piazze tedesche, ordinariamente mal provvedute del bisognevole per sostenersi lungo tempo contro ai nemici. Si era egli ridotto con sole trentasei palle da cannone, e con tre o quattro barili di polveraccia; già erano consumate le vettovaglie. Però, dopo aver per più d'un mese fatta una gloriosa resistenza, nel dì 31 d'agosto, con esporre bandiera bianca, si mostrò disposto a rendersi. Restò prigioniera di guerra la guarnigione di secento uomini. Sbrigato da questa faccenda il duca di Montemar, tutto si diede a sollecitar l'assedio di Mantova, il cui blocco veramente venne più ristretto. Si stesero i Franzesi dietro la riva del lago di Garda per impedire che da quella parte non isboccassero i Tedeschi; giacchè l'armata loro si andava ogni dì più ingrossando nel Trentino e Tirolo. Ma ancorchè il Montemar facesse venir dalla Toscana gran copia di artiglierie, di barche sulle carra, e di assaissime munizioni ed attrezzi, per imprendere una volta l'assedio suddetto di Mantova (perciocchè, secondo la comune opinione, si credea che quella città conquistata dovesse restare assegnata agli Spagnuoli), pure non si vedeva risoluzione alcuna in questo affare dalla parte dei Franzesi, che aveano in piedi certi segreti negoziati; nè da quella del re di Sardegna, a cui non potea piacere che gli Spagnuoli dilatassero tanto l'ali in Lombardia. Tenuto fu un congresso fra il generalissimo di Savoia, duca di Noaglies, ed esso Montemar nel dì 22 di settembre, in cui fece il generale spagnuolo delle doglianze per tanto ritardo, e si seppe ch'egli in quella congiuntura si lagnò col Noaglies, per aver egli lasciato fuggire da Goito il maresciallo [412] di Koningsegg senza inseguirlo, come potea; al che rispose il maresciallo franzese: Signor conte, signor conte: Goito non è Bitonto; e il Koningsegg non è il principe di Belmonte. In somma tutto dì si parlava di assediar Mantova, e Mantova non si vide mai assediata, benchè molto ristretta dagli Spagnuoli, facendo solamente de' gran movimenti i collegati verso il lago di Garda e verso l'Adige per impedire il passo all'armata cesarea, che cresciuta di forze minacciava di calare di bel nuovo in Italia.
Sembrava intanto agl'intendenti che tanta indulgenza de' Franzesi verso Mantova, città di cui le morti e malattie aveano ridotto quasi a nulla il presidio tedesco, indicasse qualche occulto mistero. E questo in fatti si venne a svelare nel dì 16 di novembre, perchè il maresciallo duca di Noaglies spedì al generale Kevenhuller, a cui era appoggiato il comando dell'esercito imperiale, l'avviso d'una sospension d'armi tra la Francia e l'imperadore. Tale inaspettata nuova non si può esprimere quanto riempisse non men di stupore che di consolazione e di allegrezza tutti i popoli che soggiacevano al peso della presente guerra: cioè di milizie desolatrici de' paesi dove passano o s'annidano. Onde avesse origine questa vigilia della sospirata pace, fra qualche tempo si venne poi a sapere. Motivo di sogghignare sul principio di questa guerra avea dato agl'intendenti la corte di Francia con quella pubblica sparata di non pretendere l'acquisto di un palmo di terreno nel muovere l'armi contra l'Augusto Carlo VI, poichè altro non intendeva essa che di riportare una soddisfazione alle sue giuste querele contro chi avea fatto cader di capo al re Stanislao la corona della Polonia. Troppo eroica in vero sarebbe stata così insolita moderazione della corte di Francia in mezzo alla felicità delle sue armi. La soddisfazione dunque da lei richiesta fu la seguente. Era stata la Francia costretta nelle precedenti paci alla restituzion dei [413] ducati di Lorena e Bar; ma non cessò ella da lì innanzi di amoreggiare quei begli Stati, sì comodi al non mai abbastanza ingrandito regno franzese. Ora il cardinale di Fleury, primo ministro del re Cristianissimo Luigi XV, che per tutta la presente guerra tenne sempre filo di lettere con un ministro cesareo in Vienna, o pure con un suo emissario segreto che trattava col ministro imperiale, sempre spargendo semi di pace, allorchè vide l'augusto monarca stanco e in qualche disordine gli affari di lui, propose per ultimar questa guerra la cession dei ducati della Lorena e di Bar alla Francia, mediante un equivalente da darsi all'altezza reale di Francesco Stefano duca allora e possessore di quegli Stati. L'equivalente era il gran ducato di Toscana. Irragionevole non parve all'augusto monarca la proposizione, e venuto segretamente a Vienna con plenipotenza il signor della Baume, nel dì 3 d'ottobre furono sottoscritti i preliminari della pace, e portati a Versaglies per la ratificazione.
Restò in essi accordato che il re Stanislao godrebbe sua vita natural durante il ducato di Bar, e poi quello ancora di Lorena dopo la morte del vivente gran duca di Toscana, e che il dominio d'essi ducati s'incorporerebbe poscia colla corona di Francia. Che il duca di Lorena succederebbe nella Toscana dopo la morte d'esso gran duca Gian Gastone de Medici, e intanto si metterebbero presidii stranieri in quelle piazze. Fu riserbato ad esso duca Francesco il titolo colle rendite della Lorena, sinchè divenisse assoluto padrone della Toscana. Che la Francia garantirebbe la prammatica sanzione dell'imperadore, il quale riconoscerebbe re delle Due Sicilie l'infante reale don Carlo. Che a Carlo Emmanuele re di Sardegna Cesare cederebbe due città a sua elezione nello Stato di Milano, cioè o Novara, o Tortona, o Vigevano, e all'incontro si restituirebbe all'imperadore il rimanente dello Stato di Milano. [414] Inoltre, in compenso delle due città da cedersi al re di Sardegna, si darebbono a sua maestà cesarea quelle di Piacenza e Parma con gli annessi Stati della casa Farnese. Tralascio gli altri articoli di quei preliminari, per solamente dire che il suddetto segreto negoziato cagion fu che in questa campagna nè al Reno, nè in Lombardia si fecero azioni militari degne di memoria; e che gran tempo e fatica vi volle per indurre il duca di Lorena alla cessione de' suoi antichi ducati, e all'abbandono di que' suoi amatissimi popoli. Acconsentì egli in fine a questo sacrifizio, perchè Cesare già gli destinava un ingrandimento di gran lunga maggiore, siccome vedremo fra poco. Per questa impensata concordia, tirato che fu il sipario, secondo i particolari riguardi, chi si rallegrò e chi si rattristò. Non ne esultò già il re di Sardegna, perchè comune voce fu che la Francia nella lega gli avesse promessa la metà dello Stato di Milano, e questo già prima era stato acquistato. Tuttavia mostrò quel savio regnante con buona maniera di accomodarsi ai voleri di chi dava la legge, ed elesse poi in sua parte Novara e Tortona. Ma allorchè giunse a Madrid questa inaspettata nuova, chi sa dire le gravissime doglianze, nelle quali proruppe quella real corte contra de' Franzesi? Li trattarono da aperti mancatori di parola, mentre non solamente niun accrescimento lasciavano alla Spagna in Lombardia, ma le toglievano anche l'acquistato, cioè Parma e Piacenza; ed inoltre aveano comperata la Lorena non con altro prezzo che colla roba altrui, cioè colla Toscana, già ceduta coi precedenti trattati alla corona di Spagna. Pretendeva all'incontro il cardinale di Fleury di aver fatte giuste le parti, perchè restavano all'infante don Carlo i regni di Napoli e Sicilia, i quali incomparabilmente valevano più dei ducati della Toscana e di Parma e Piacenza. Imperciocchè, quantunque colle sole lor forze si fossero gli Spagnuoli impadroniti di quei due regni: pure [415] principalmente se ne dovea ascrivere l'acquisto agli eserciti di Francia, e a tante spese fatte dal re Cristianissimo, per tenere impegnate l'armi di Cesare al Reno e in Lombardia, senza che queste potessero accorrere alla difesa di Napoli e Sicilia. E se l'imperadore sacrificava le sue ragioni sopra quei due regni, a lui già ceduti dalla Spagna, e indebitamente poi ritolti, ragion voleva che in qualche maniera fosse compensato del suo sacrifizio.
Intorno a ciò lasciamoli noi disputare. Quel ch'è certo restò di sasso il generale spagnuolo duca di Montemar, allorchè intese questa novità, e tanto più perchè il duca di Noaglies gli fece sapere che pensasse alla propria sicurezza, giacchè egli avea ordine di non prestargli assistenza alcuna. Poco in fatti si stette ad udire che i Tedeschi calavano a furia dalla parte di Padova e Trentino, e quasi volavano alla volta di Mantova. In sì brutto frangente il Montemar ad altro non pensò che a salvarsi. Mosse in fretta le sue genti dall'Adige, lasciando indietro molti viveri e foraggi, e si ridusse di qua da Po. Ma eccoti giugnere a quello stesso fiume i cesarei; ed egli allora, dopo aver messi circa settecento uomini nella Mirandola, e spedito un distaccamento a Parma, tanto più affrettò i passi per arrivare a Bologna, credendo di trovare ivi un sicuro asilo, per essere Stato pontifizio. La disgrazia portò che qualche centinaio d'usseri nel dì 27 di novembre cominciò a comparire in vicinanza di quella città. Non volle cimentarsi con quella canaglia il generale spagnuolo, ed animati i suoi a marciare con sollecitudine, prese la strada di Pianoro e di Scaricalasino, per ridursi in Toscana. Avea egli in quel dì invitata ad un solenne convito molta nobiltà bolognese dell'uno e dell'altro sesso: e già si mettevano tutti a tavola, quando gli arrivò l'avviso che si appressava il nemico. Alzossi egli allora bruscamente, e immaginando che tutto l'esercito cesareo avesse fatto le [416] ali, preso congedo da quella nobil brigata, esortandoli a continuare il pranzo. Ma dal di lui esempio atterriti tutti, con grande scompiglio si ritirarono dalla città, lasciando che gli Spagnuoli facessero altrettanto verso la montagna. Furono questi inseguiti alla coda dagli usseri, che per buon pezzo di cammino andarono predando bagagli e imprigionando chi poco speditamente dei pedoni menava le gambe. Essendo rimasto fuori di Bologna lo spedale d'essi Spagnuoli, dove si trovavano circa mille e cinquecento malati, fu sequestrato. Non si potè poi impedire ai medesimi usseri l'entrare nella città, e il far ivi prigionieri quanti Spagnuoli poterono scoprire, che non erano stati a tempo di seguitare l'improvvisa e frettolosa marcia dell'esercito. Di questa violenza acremente si dolse il legato pontifizio; ma non per questo essa cessò. Grande strepito in somma fece questa curiosa metamorfosi di cose, e il mirare senza colpo di spada i vincitori in pochi dì comparir come vinti. Pervenuto dunque il duca di Montemar in Toscana, quivi si diede a fortificare alcuni passi, con inviare nulladimeno parte della sua gente verso il Sanese, a fine di potersi occorrendo ritirare alla volta del regno di Napoli.
In tale stato erano le cose d'Italia non restando nemicizia se non fra Spagnuoli e Tedeschi, quando il duca di Noaglies si mosse per abboccarsi con esso duca di Montemar, e per concertar seco le maniere più dolci di dar fine, se era possibile, a questa pugna. In passando da Bologna fece una visita a Rinaldo di Este duca di Modena, che intrepidamente fin qui avea sofferto l'esilio da' suoi Stati e gli diede cortesi speranze che goderebbe anch'egli in breve i frutti dell'intavolata pace. Ancorchè il Montemar non avesse istruzione alcuna dalla sua corte, pure alla persuasione del saggio Noaglies, sottoscrisse una sospension d'armi per due mesi fra gli Spagnuoli e i Tedeschi: risoluzione che fu poi accettata anche [417] dalla corte di Madrid. Aveano ben preveduto i ministri dell'imperadore e del re di Francia che gran fatica avrebbe durato il re Cattolico Filippo V ad inghiottire l'amara pillola di una pace manipolata senza di lui e in danno di lui; ed insieme aveano divisato un potente mezzo per condurre quel monarca ad approvare i preliminari suddetti, o almeno a non contrastarne l'esecuzione. Si videro perciò senza complimento o licenza alcuna improvvisamente inoltrarsi e stendersi circa trenta mila Alemanni sotto il comando del maresciallo conte di Kevenhuller per gli Stati della Chiesa Romana, cioè pel Ferrarese, Bolognese e Romagna, con giungere alcuni d'essi fin nella Marca e nell'Umbria, circondando in tal guisa gran parte della Toscana, per far intendere agli Spagnuoli, che se negassero di consentir per amore all'accordo, l'esorcismo della forza ve li potrebbe indurre. Toccò all'innocente Stato ecclesiastico di pagar tutte le spese di questo bel ripiego, perchè obbligato a somministrar foraggi, viveri, ed anche rilevanti contribuzioni di danaro. Intanto rigorosissimi ordini fioccarono da Roma, che nulla si desse a questi incivili ospiti, e il cardinale Mosca legato di Ferrara, che si ostinò gran tempo ad eseguirli ad literam, cagion fu di un incredibil danno agl'infelici Ferraresi, perchè i Tedeschi vivevano a discrezione nelle lor ville. I savii Bolognesi, all'incontro, e il cardinale Alberoni legato di Ravenna, che intendeano a dovere le cifre di quelle lettere, non tardarono ad accordarsi con gli Alemanni, mercè d'un regolamento che minorò non poco l'aggravio ai loro paesi. Voce corse in questi tempi che il duca di Montemar, consapevole del poco piacere provato dal re di Sardegna per la concordia suddetta, facesse penetrare a quel sovrano delle vantaggiose proposizioni per trarlo ad una lega col re Cattolico, e che esso re gli rispondesse di avere abbastanza imparato a non entrare in alleanza con principi che fossero più potenti di [418] lui. Si può tenere per fermo che i fabbricatori di novelle inventarono ancor questa, giacchè niun d'essi gode il privilegio di entrar nei gabinetti dei regnanti; e la corte di Torino nè prima nè poi mostrò di essere persuasa della massima suddetta. Continuò ancora nell'anno presente la ribellione de' Corsi; e perchè i ministri della repubblica di Genova esistenti in Corsica fecero un armistizio con quella gente, fu disapprovata dal senato la loro risoluzione. Giugnevano di tanto in tanto rinforzi di munizioni ed armi ai sollevati, che facevano dubitare che sotto mano qualche gran potenza soffiasse in quel fuoco. Intesesi parimente che quei popoli pareano determinati di reggersi a repubblica, ed anche aveano stese le leggi di questo nuovo governo, ma senza averne dimandata licenza ai Genovesi. Dopo aver papa Clemente XII difficultato, per quanto potè, al reale infante di Spagna don Luigi, a cagion della sua fanciullesca età, l'arcivescovato di Toledo, fu in fine obbligato ad accordargliene le rendite, e nel dì 19 di dicembre di questo anno il creò anche cardinale, tornandosi a vedere l'uso od abuso de' secoli da noi chiamati barbarici. Non potea essere più bella in quest'anno l'apparenza dei raccolti del grano, quando all'improvviso sopraggiunse un vento bruciatore, che seccò le non peranche mature spiche, e insieme le speranze dei mietitori. Perciò al flagello della guerra si aggiunse quello d'una sì terribil carestia, che non v'era memoria d'una somigliante a questa. Il peggio fu, che la maggior parte delle provincie più fertili dell'Italia soggiacquero anch'esse a questo disastro. Guai se non vi erano grani vecchi in riserbo, che convenne far venire da lontani paesi con gravi spese: sarebbe venuta meno per le strade innumerabile povera gente.
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Anno di | Cristo MDCCXXXVI. Indiz. XIV. |
Clemente XII papa 7. | |
Carlo VI imperadore 26. |
Il primo frutto che si provò della pace conchiusa fra l'imperadore e il re Cristianissimo, spuntò nell'imperiale città di Vienna. Giacchè Dio avea dato all'Augusto Carlo VI un figlio maschio, e poi sel ritolse, pensò esso monarca di provvedere al mantenimento della nobilissima sua casa coll'unico ripiego che restava, cioè di provvedere di un degno marito l'arciduchessa Maria Teresa sua figlia primogenita, già destinata alla successione della monarchia austriaca in difetto di maschi. Grande era l'affetto d'esso imperadore verso di Francesco Stefano duca di Lorena, sì per le vantaggiose sue qualità di mente e di cuore, come ancora pel sangue austriaco che gli circolava nelle vene. Questo principe fu scelto per marito d'essa arciduchessa. Era egli in età di ventisette anni, perchè nato nel dì 8 di dicembre del 1708, e l'arciduchessa era già entrata nell'anno diciottesimo, siccome nata nel dì 15 di maggio del 1717. Con tutta magnificenza ed inesplicabile allegria nel dì 12 di febbraio seguì il maritaggio di questi principi reali colla benedizione di monsignore Domenico Passionei nunzio apostolico; e continuarono dipoi per molti giorni le feste e i divertimenti, gareggiando ognuno in applaudire ad un matrimonio che prometteva ogni maggior felicità a quei popoli, e dovea far rivivere nei lor discendenti l'augusta casa d'Austria degna dell'immortalità. Ma la imperial corte ebbe da lì a non molto tempo motivo di molta tristezza per la perdita che fece del principe Francesco Eugenio di Savoia, eroe sempre memorabile dei nostri tempi. Nel dì 21 d'aprile terminò egli i suoi giorni in età di settantadue anni: principe che per le militari azioni si meritò il titolo di invincibile, e di essere tenuto pel più prode capitano che si abbia in questo secolo [420] avuto l'Europa; principe, dissi, riguardato qual padre da tutte le cesaree milizie, sicure che l'andare sotto di lui ad una battaglia lo stesso era che vincere, o almeno non essere vinto; principe di somma saviezza, di rara splendidezza, per cui fece insigni fabbriche, ed impiegò sempre gran copia di artefici di varie professioni; ed accoppiando colla gravità la cortesia, nello stesso tempo si conciliava la stima e l'amore di tutti. L'intero catalogo di tutte le altre sue belle doti e virtù si dee raccogliere dalla funebre orazione in onor suo composta dal suddetto nunzio, ora cardinale Passionei, e da più d'una storia di chi prese ad illustrare ex professo la vita e le gloriose gesta di lui. Quale si conveniva ad un principe di sì chiaro nome, e cotanto benemerito della casa d'Austria, fu il funerale che per ordine dell'augusto Carlo VI gli venne fatto in Vienna.
Era già stabilita la concordia fra i due primi monarchi della cristianità; contuttociò si penò forte in Italia a provarne gli effetti. Non sapeva digerire il re Cattolico Filippo V preliminari che privavano il re di Napoli e Sicilia suo figlio del ducato della Toscana, e spezialmente di Piacenza e Parma, città predilette della regina Elisabetta Farnese sua consorte. Conveniva nondimeno cedere, perchè così desiderava la corte di Francia, e così comandava la forza dell'armi cesaree, dalle quali si mirava come attorniata la Toscana; ma di far la cessione ed approvarla non se ne sentiva esso re di Spagna la voglia. Perciò andarono innanzi e indietro corrieri, e sempre venivano nuove difficoltà da Madrid; e guerra non era in Italia, ma continuavano in essa i mali tutti della guerra. Imperciocchè negli Stati della Chiesa s'erano innicchiati con tante soldatesche i generali cesarei; nè per quanto si raccomandasse con calde lettere il pontefice Clemente XII alle corti di Vienna e Parigi, appariva disposizione alcuna di liberar que' paesi dall'insoffribile lor peso. [421] Nella Toscana stava saldo l'esercito spagnuolo, siccome ancora negli Stati di Milano e di Modena si riposavano le armate di Francia e di Sardegna alle spese degl'infelici popoli, spolpati ormai da tante contribuzioni ed aggravii. Dal maresciallo duca di Noaglies fu spedito in Toscana il tenente generale signor di Lautrec, personaggio di gran saviezza e disinvoltura, per concertare col duca di Montemar il ritiro dell'armi spagnuole da quelle piazze, e da Parma e Piacenza; ma siccome il Montemar non riceveva dalla sua corte se non ordini imbrogliati e nulla concludenti, così neppur egli sapeva rispondere alle premure de' Franzesi, se non con obbliganti parole, scompagnate nondimeno dai fatti. Venne l'aprile, in cui i Franzesi lasciarono affatto libero agl'imperiali il ducato di Mantova; e perchè dovettero intervenir delle minaccie, agli 11 d'esso mese gli Spagnuoli si ritirarono dalla Mirandola, dopo averne estratte le tante munizioni da lor preparate pel sospirato assedio di Mantova, lasciandovi entrare quattrocento Tedeschi colà condotti dal generale conte di Wactendonk, il quale restituì ivi nell'esercizio del dominio il duca di Modena. Conoscendo del pari essi Spagnuoli che neppur poteano sostenere Parma e Piacenza, si diedero per tempo ad evacuar quelle due città, asportandone non dirò tutti i preziosi mobili, arredi, pitture, libreria, e gallerie della casa Farnese, ma fino i chiodi dei palazzi, non senza lagrime di que' popoli, che restavano non solamente privi dei propri principi, ma anche spogliati di tanti ornamenti della lor patria. Oltre a ciò, inviarono alla volta di Genova tutti i cannoni di loro ragione, e vi unirono ancora gli altri, ch'erano anticamente delle stesse città, oppure de' Farnesi. Risaputosi ciò dai Tedeschi, sul fine d'aprile il generale conte di Kevenhuller spinse in fretta colà il suo reggimento con trecento usseri, che arrivarono a tempo per fermar quelle artiglierie e sequestrarle, pretendendole [422] doti delle fortezze di Parma e Piacenza: intorno a che fu dipoi lunga lite, ma col perderla gli Spagnuoli.
Ora, affinchè non apparisse che il re Cattolico cedesse in guisa alcuna gli Stati suddetti all'imperadore, o ne approvasse la cessione, i suoi ministri, assolute che ebbero dal giuramento prestato al reale infante quelle comunità, prima che arrivassero i Tedeschi, abbandonarono Parma e Piacenza e gli altri luoghi, dei quali nel dì 3 di maggio, fu preso il possesso dal principe di Lobcovitz generale cesareo. Avea fin qui Rinaldo d'Este duca di Modena coraggiosamente sostenuto il suo volontario esilio in Bologna, nel mentre che gl'innocenti suoi popoli si trovavano esorbitantemente aggravati dai Franzesi, senza alcun titolo insignoriti di questi Stati. Non volle più ritardare il magnanimo re Cristianissimo a questo principe il ritorno nel suo ducato; e però per ordine del duca di Noaglies, nel dì 23 di maggio, lasciarono i Franzesi libera la città e cittadella di Modena, e nei giorni seguenti anche Reggio e gli altri luoghi d'esso sovrano. Pertanto nel dì 24 di esso mese se ne tornò il duca di Modena alla sua capitale, dove fu accolto con sì strepitose acclamazioni del popolo, testimoniante dopo tanti guai il giubilo suo in rivedere il principe proprio, che egli stesso, andato a dirittura al duomo, per pagare all'Altissimo il tributo dei ringraziamenti, non potè ritenere le lagrime al riconoscere l'inveterato amore dei sudditi suoi. Intanto si ridusse addosso all'infelice Stato di Milano tutto il peso delle milizie franzesi; nè via appariva, che gli Spagnuoli si volessero snidare dalla Toscana, nè i Tedeschi dagli Stati della Chiesa, essendo essi pervenuti sino a Macerata e a Foligno. Solamente si osservò che il duca di Montemar cominciò ad alleggerirsi delle tante sue milizie, inviandone parte per terra verso il regno di Napoli, e parte per mare in Catalogna. Similmente, nel mese di luglio, s'incamminarono alla volta della Germania alcuni [423] de' reggimenti cesarei che opprimevano il Ferrarese, Bolognese e la Romagna. Ma non per questo mai si vedeva data l'ultima mano alla pace, per le differenti pretensioni de' principi. Il re di Sardegna, oltre al Novarese e Tortonese, esigeva cinquantasette feudi nelle Langhe. Nel mese d'agosto venne la commissione di soddisfarlo; il che fece sciogliere l'incanto; perciocchè nel dì 26 d'esso mese i Gallo-Sardi rilasciarono agl'imperiali il possesso di Cremona, e nel dì 28 quello di Pizzighettone. Nel dì 7 di settembre, entrati che furono due reggimenti cesarei nella città di Milano, finalmente da quel castello si ritirò la guernigion franzese e piemontese, lasciandolo in potere d'essi imperiali. Già erano stati consegnati i forti di Lecco, Trezzo e Fuentes e Lodi. Poscia nel dì 9 entrarono gli Alemanni nelle fortezze d'Arona e Domodoscela, e finalmente nel dì 11 in Pavia: con che restò evacuato tutto lo Stato di Milano dalle truppe gallo-sarde. Videsi anche libero lo Stato della Chiesa dalle milizie alemanne.
Ma per conto della Toscana, benchè gran parte degli Spagnuoli fosse marciata a levante e ponente, pure niuna apparenza v'era che il conte di Montemar volesse dimettere Pisa e Livorno. Sulla speranza di entrare in quella città, o per far paura agli Spagnuoli, inviò il generale Kevenhuller un corpo di truppe cesaree in Lunigiana e sul Lucchese. Ad altro questo non servì che ad aggravar quelle contrade, ed accostandosi il verno fu egli anche obbligato a richiamarle in Lombardia senza aver messo il piede in Toscana. Duravano tuttavia le discrepanze della corte di Vienna col re delle Due Sicilie, ed anche col re Cattolico; perciocchè avea ben l'imperadore inviata la sua libera cessione de' regni di Napoli e Sicilia, ma il reale infante, nella cession sua della Toscana, Parma e Piacenza voleva riserbarsi tutti gli allodiali della casa Medicea e Farnese. Similmente pretendeva il re Cattolico che, venendo a [424] mancare in Toscana la linea mascolina del duca di Lorena, dovessero quegli Stati pervenire alla Spagna, laddove esso duca intendeva di ottenerli liberi, e senza vincolo alcuno, come erano gli Stati di Lorena da lui ceduti alla Francia. Per cagione di questi nodi arrivò il fine di dicembre senza che fossero ammesse nelle piazze della Toscana l'armi cesaree. Riuscì anche fastidioso al pontefice Clemente XII l'anno presente. La santa Sede, tanto venerata in addietro, e rispettata da tutti i principi cattolici, provò un diverso trattamento nei tempi correnti, perchè pareano congiurate le potenze a far da padrone negli Stati della Chiesa, senza il dovuto riguardo alla sublime dignità e sovranità pontificia. Già si è veduto quanti malanni sofferissero senza alcun loro demerito per tanti mesi dalle truppe cesaree le legazioni di Bologna, Ferrara e Ravenna, le cui comunità benchè dal benefico papa fossero in sì dura oppressione sovvenute con gran copia di danaro, pure rimasero estenuate e cariche di debiti, per l'esorbitante peso di tante contribuzioni.
Da disavventure d'altra sorte non andò esente neppure la stessa Roma. Quivi si erano postati non pochi ingaggiatori spagnuoli, che senza saputa, non che senza consenso del vecchio papa, per diritto o per rovescio arrolavano gente. Chi sa quel mestiere, facilmente concepirà che non pochi disordini ed avanie occorsero; perchè molti ingannati, e senza sapere qual impegno prendessero, o per propria balordaggine, o per altrui malizia, si ritrovarono venduti. Ora i padri deploravano i figli perduti, ora le mogli i mariti; e scoperto in fine onde venisse il male, i Trasteverini nel dì 15 di marzo improvvisamente attruppati in numero di cinque o sei mila persone, corsero alle case di quegl'ingaggiatori, e, dopo aver liberati a furia gl'ingaggiati, s'avviarono al palazzo Farnese, dove ruppero tutte le finestre, e gittarono a terra l'armi dell'infante don Carlo. Al primo [425] avviso di questo disordine comandò tosto il governator di Roma che gli Svizzeri, le corazze e i birri accorressero al riparo. Furono questi dalla furia di quella gente rispinti, nè si potè impedire che non passasse la sbrigliata plebe al palazzo del re Cattolico in piazza di Spagna, dove uccise un uffiziale, e seguirono altre morti e feriti. Ma nella domenica delle Palme si riaccese la sedizione, perchè i Trasteverini coi borghigiani andarono per isforzar le guardie messe ai ponti. Il più ardito d'essi fu steso morto a terra, perlochè infuriati i seguaci superarono il passo, e misero in fuga i soldati. Anche i montigiani da un'altra parte si mossero, e seguirono ferite di chi per accidente si trovò passar per le strade. Volle Dio che non poterono giugnere di nuovo al palazzo di Spagna, dove erano preparati centocinquanta fucilieri e quattro cannoni carichi a cartoccio: gran male ne seguiva. Per rimediare a questo sconcerto, furono la sera inviati il principe di Santa Croce fedele Austriaco, e il marchese Crescenzi uno de' conservatori, a parlamentare coi sollevati, i quali richiesero la libertà degl'ingaggiati del loro rione, e la liberazion di alcuni già carcerati per cagion della sollevazione, e il perdono generale a tutti. Ottennero quanto desideravano; e dappoichè videro loro mantenuta la parola, andarono poi tutti lieti gridando: Viva il papa. Si pubblicò poscia un rigoroso editto contro gl'ingaggiatori; e perchè costoro non cessavano di fare il solito giuoco, seguirono alcune altre contese, delle quali a me non occorre di far menzione.
Un disordine ne tirò dietro un altro. Per la nuova del tentativo fatto in Roma contra degli Spagnuoli, si fermarono su quel di Velletri circa tre mila soldati di quella nazione, che erano in viaggio alla volta di Napoli; e mancando loro i foraggi, si diedero a tagliare i grani in erba. Per questa cagione nel dì 21 d'aprile si mise in armi tutto quel popolo, risoluto non solo di vietare il passaggio per la loro [426] città a quelle milizie, ma di forzarle a partirsi, e si venne alle brutte. Accorse colà il cardinal Francesco Barberino, ma non potè calmare il tumulto. Per questo in Roma si accrebbe la guernigion dei soldati. Volarono intanto corrieri a Napoli e a Madrid, e si trattò in Roma col cardinale Acquaviva delle soddisfazioni richieste per l'insulto dei Trasteverini. Perchè non furono quali si esigevano, esso porporato coll'altro di Belluga si ritirò da Roma; fece levar l'armi di Spagna e di Napoli dai palazzi, e ordinò a tutti i Napoletani e Spagnuoli di uscire della città nel termine di dieci giorni. Da Napoli fu fatto uscire il nunzio del papa. Anche in Madrid grave risentimento fu fatto con obbligar quella corte il nunzio apostolico a marciare fuori del regno, con chiudere la nunziatura, e proibire ogni ricorso alla dateria, gastigando in tal maniera l'innocente pontefice per eccessi non suoi, e ai quali non avevano mancato i suoi ministri di apprestar quel rimedio che fu possibile. Peggio ancora avvenne. Nel dì 7 di maggio entrate le milizie spagnuole in Velletri, piantarono in più luoghi le forche, carcerarono gran copia di persone, e commisero poi mille insolenze e violenze contra di quel popolo, il quale fu forzato a pagare otto mila scudi per esimersi dal sacco. Una truppa eziandio di granatieri spagnuoli, passata ad Ostia, incendiò le capanne di que' salinari, saccheggiò le officine; ed altri intimarono alla città di Palestrina il pagamento di quindici mila scudi pel gran reato di aver chiuse le porte ad alcuni pochi Spagnuoli che volevano entrarvi. Altri affanni ancora provò il papa dalla parte de' Tedeschi, per essere stato carcerato un uffiziale cesareo; ed altri dalla corte di Francia, il cui ambasciatore si ritirò da Roma per cagion della nomina di un vescovo fatta dal re Stanislao, e non accettata dal papa. Bollivano parimente le note controversie colla corte di Savoia. In somma sembrava che ognun dei potentati con abuso della sua potenza [427] si facesse lecito d'insultare il sommo pontefice con tutto il suo retto operare: alle quali offese egli nondimeno altre armi non oppose che quelle della mansuetudine e della pazienza. In mezzo nulladimeno a tali burrasche si osservò, essere stato dichiarato vicerè di Sicilia il principe don Bortolomeo Corsini nipote di sua santità, personaggio dotato di singolar saviezza: il che fece maravigliare più d'uno.
Anche la Corsica in questi tempi apprestò alla pubblica curiosità una commedia, che diede molto da discorrere. Duravano più che mai le turbolenze in quell'isola con grave dispendio della repubblica di Genova; quando nell'aprile, condotto da una nave inglese procedente da Tunisi, colà sbarcò un personaggio incognito, seco conducendo dieci cannoni e molte provvisioni da guerra, ed anche danaro. Fu accolto dai sollevati con gran gioia ed onore, e preso per loro capo, anzi nel dì 15 di esso mese fu onorato col titolo di re di Corsica: cosa che non si può negare, benchè altri dicessero solamente di vicerè, perchè si pretendea che fosse stato inviato colà da qualche potenza che aspirasse al dominio di quell'isola. Sul principio non era conosciuto chi fosse questo sì ardito e fortunato campione, ma si venne poi scoprendo, e i Genovesi con un lor manifesto il dipinsero coi più neri colori di uomo senza religione, di un truffatore, di un alchimista, e come il più infame dei viventi, e pubblicarono ancora contra di lui una grossa taglia. La verità si è che costui era Teodoro Antonio barone di Newoff, nato suddito del re di Prussia, e di casa nobile, che da venturiere, dopo aver fatto di molti viaggi per le corti di Europa, ora in lieta, ora in triste fortuna, avea in fine saputo cogliere nella rete vari mercatanti affinchè l'assistessero in questa impresa, con promettere loro mari e monti, assiso che fosse sul maestoso trono della Corsica. Prese, egli con vigore quel governo, creò conti e marchesi con gran liberalità; [428] istituì un ordine militare di cavalieri appellati della Liberazione, e ne aspettava ognuno delle meraviglie. Ma non finì l'anno che parve finita anche la fortuna di questo comico regnante; e divulgossi, che dopo aver egli cominciato ad esercitare un'autorità troppo dispotica, arrivando a punire chi non eseguiva a puntino gli ordini suoi, la nazion dei Corsi non tardò a convertire l'amore in odio, e poscia in dispregio, perchè mai non comparivano quei tanti soccorsi che sulle prime aveva egli promesso. Pertanto, temendo egli della vita, segretamente imbarcatosi nel dì 12 di novembre, comparve a Livorno, travestito da frate, ed appena sbarcato prese le poste, senza sapersi per qual parte. La verità nondimeno fu, non essere stata fuga la sua, perchè egli, prima di partirsi, nel dì quarto di novembre, pubblicò un editto, con cui costituì i ministri del governo durante la sua lontananza. Andò egli per procurar nuovi rinforzi a quella nazione.
Era, siccome dicemmo, restato vedovo Carlo Emmanuele re di Sardegna, e volendo passare alle terze nozze, intavolò il nuovo suo matrimonio colla principessa Elisabetta Teresa, sorella di Francesco Stefano duca di Lorena, in cui concorrevano, oltre all'insigne nobiltà, le più rare doti di animo e di corpo. Era nata nel dì 15 di ottobre del 1711 dal duca Leopoldo Giuseppe e dalla duchessa Elisabetta Carlotta d'Orleans, sorella del già Filippo, duca di Orleans reggente di Francia. Fu pubblicato in Vienna questo maritaggio, e si andarono disponendo le parti per effettuarlo colla convenevol magnificenza. Nell'anno presente la mortalità dei buoi cominciò a serpeggiare pel Piemonte, Novarese, Lodigiano e Cremonese: il che di sommo danno riuscì a quelle contrade, e di grande spavento agli altri paesi, che tutti si misero in guardia per esentarsi da sì terribile eccidio. Provossi in varie parti del regno di Napoli e dello Stato ecclesiastico stesso flagello. Risonavano intanto per [429] Italia le prodezze dell'armi russiane contra de' Turchi, perchè dall'un canto s'impadronirono dell'importante fortezza d'Azof, e dall'altro penetrarono anche nella Crimea dove lasciarono una funesta memoria a que' Tartari, assassini in addietro della Russia e Polonia. Gran gloria per questo venne all'imperadrice russiana, se non che i progressi suoi cagion furono che la Porta Ottomana, pacificata con lo scach Nadir, o sia Tamas Kulican, re della Persia, facesse uno straordinario armamento, e dichiarasse la guerra contra di lei. Era collegato di essa imperadrice Anna l'Augusto Carlo VI, e cominciossi per tempo a scorgere ch'egli era per impugnare la spada in difesa di lei: al qual fine tutte le milizie alemanne cavate d'Italia, ed altre della Germania sfilarono verso la bassa Ungheria ai confini dei Turchi. Non meno il ministro di Francia che quei delle potenze marittime molto si adoperarono per distorre sua maestà cesarea da questo impegno; ma non ne ricavarono se non dubbiose risposte, perchè l'imperadore avea fatto esporre a Costantinopoli varie doglianze e minaccie ed aspettava se facessero frutto. Era negli anni addietro nata in Inghilterra una setta appellata dei Liberi Muratori, consistente nell'union di varie persone, e queste ordinariamente nobili, ricche o di qualche merito particolare, inclinate a solazzarsi in maniera diversa dal volgo. Con solennità venivano ammessi i nuovi fratelli a questo istituto, e loro si dava giuramento di non rivelare i segreti della società. Raunavansi costoro di tanto io tanto in una casa eletta per loro congresso, chiamata la Loggia, dove passavano il tempo in lieti ragionamenti e in deliziosi conviti, conditi per lo più da sinfonie musicali. Verisimilmente aveano essi preso il modello di sì fatte conversazioni dagli antichi epicurei, i quali, per attestato di Cicerone e Numenio, con somma giovialità e concordia passavano le ore in somiglianti ridotti. D'Inghilterra fece passaggio in Francia e in Germania [430] questo rito, e in Parigi fu creduto che si contassero sedici Logge, alle quali erano scritti personaggi della primaria nobiltà. Allorchè si trattò di creare il gran mastro, più brogli si fecero ivi che in Polonia per l'elezione d'un nuovo re. Si tenne per certo che anche in alcuna città d'Italia penetrasse e prendesse piede la medesima novità. Contuttochè protestassero costoro, essere prescritto dalle loro leggi, di non parlare di religione, nè del pubblico governo in quelle combriccole, e fosse fuor di dubbio che non vi si ammetteva il sesso femineo, nè ragionamento di cose oscene, nè vi era sentore di altra sorta di libidine: nondimeno i sovrani, e molto più i sacri pastori, stavano in continuo batticuore che sotto il segreto di tali adunanze, renduto impenetrabile pel preso giuramento, si covasse qualche magagna, pericolosa e forse pregiudiziale alla pubblica quiete e ai buoni costumi. Però il pontefice Clemente XII nell'anno presente stimò suo debito di proibire e di sottoporre alle censure la setta dei Liberi Muratori. Anche in Francia l'autorità regia s'interpose per dissipar queste nuvole, che in fatti da lì a non molto tempo si ridussero in nulla, almeno in quelle parti e in Italia. Fu poi cagione un tal divieto o rovina che più non credendosi tenuti al segreto i membri di essa repubblica, dopo il piacere di aver dato lungo tempo la corda alla pubblica curiosità, rompessero gli argini, e divulgassero anche con pubblici libri tutto il sistema e rituale di quella novità. Trovossi, terminare essa in una invenzione di darsi bel tempo con riti ridicolosi, ma sostenuti con gran gravità; nè altra maggior deformità vi comparve, se non quella del giuramento del segreto preso sul Vangelo per occultar così fatte inezie. Ridicola cosa anche fu che in una città della Germania dall'ignoranza e semplicità venne spacciato e fatto credere al popolo, autore della medesima setta chi scrive le presenti memorie.
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Anno di | Cristo MDCCXXXVII. Indiz. XV. |
Clemente XII papa 8. | |
Carlo VI imperadore 27. |
Alla per fine spuntò nell'anno presente la tanto sospirata iride di pace in Italia con allegrezza inesplicabile di tutti i popoli; e quantunque tal serenità non fosse esente da qualche nebbia per le non mai quiete pretensioni dei potentati, pure, cessando affatto lo strepito dell'armi in queste parti, giusto motivo ebbe ciascuno di rallegrarsene. Fin qui ostinatamente erano persistite in Livorno e Pisa le guernigioni spagnuole, senza voler cedere alle truppe tedesche, disposte secondo i preliminari a prenderne possesso a nome del duca di Lorena. Fu detto che seguisse in Pontremoli il cambio delle cessioni fatte da sua maestà cesarea ai regni di Napoli e Sicilia, e dal re delle Due Sicilie ai ducati di Toscana, Parma e Piacenza. Può dubitarsene, da che si seppe che il re Cattolico Filippo V non volle in quest'anno sottoscrivere essi preliminari, ed è certo che Carlo re di Napoli e Sicilia si riservò certe pretensioni che avrebbero potuto intorbidar la concordia. Comunque fosse, il generale spagnuolo duca di Montemar sul principio di quest'anno, giunta che fu a Livorno una buona quantità di legni, in quelli imbarcò il presidio d'essa città, ed altre fanterie spagnuole inviò verso le fortezze della maremma di Siena; dopo di che, senza far cessione alcuna di Livorno, nel dì 9 di gennaio abbandonò quella città, dove restò la sola guernigione del gran duca Gian Gastone. Lasciarono gli Spagnuoli nella Toscana la memoria di molti aggravii inferiti a quegli Stati. Pertanto da lì ad alquanti giorni entrato in Toscana il generale tedesco Wactendonck con alcuni reggimenti cesarei, prese, a nome del duca di Lorena, possesso di Livorno, con prestare giuramento di fedeltà al gran duca, le cui milizie insieme colle tedesche cominciarono a montare la guardia. Distribuì eziandio [432] alcune di quelle soldatesche in Siena, Pisa e Porto Ferraio, le quali osservarono miglior disciplina che le precedenti. Pochi mesi passarono che il presidio spagnuolo di Orbitello, abbisognando di legna per uso proprio e per le fortificazioni, ne fece richiesta al gran duca. Perchè risposta non veniva, un grosso distaccamento d'essi Spagnuoli passò a tagliare sul Sanese circa mille e secento alberi. Ne furono fatte doglianze, ed avrebbe questa violenza potuto cagionar delle nuove rotture, se la corte di Vienna, ossia il duca di Lorena, non si fosse ora trovato nei gravi impegni, dei quali fra poco parleremo. Colla pazienza si sopì quel disordine.
Intanto, angustiato dal male d'orina e da altri incomodi di corpo il gran duca Gian Gastone de' Medici si ridusse agli estremi di sua vita, e nel dì 9 di luglio con segni di molta pietà restò liberato dai pensieri ed affanni del mondo. Era principe di gran mente, di somma affabilità e di una volontà tutta inclinata al pubblico bene; e quantunque la sua poca sanità il tenesse per lo più ristretto in camera o in letto, pure, valendosi di saggi ed onorati ministri, mantenne sempre un'esatta giustizia, e in vece di accrescere i pesi ai suoi sudditi, più tosto cercò di sminuirli. Liberale verso la gente di merito, protettore delle lettere, e sommamente caritativo verso i poveri, tal memoria lasciò di sè, che chiunque avea sparlato di lui vivente, ebbe poi a compiangerlo morto. In lui finì la linea maschile della insigne regnante casa de' Medici, con disavventura inesplicabile dell'Italia, che seguitava a perdere i suoi principi naturali; ma senza paragone riuscì più sensibile ai popoli della Toscana, i quali indarno s'erano lusingati di poter tornare a repubblica, nè solamente restarono senza i principi Medicei, che tanta gloria e rispetto aveano fin qui procacciato a Firenze e alla Toscana, ma venivano a restar sottoposti ad un sovrano certamente benignissimo e [433] generoso, pure obbligato da' suoi interessi a fare la residenza sua fuori d'Italia. Gran fortuna è l'avere i principi proprii. L'averli anche difettosi, meglio è regolarmente che il non averne alcuno, giacchè lo stesso è che averli lontani; mentre fuori degli Stati ridotti in provincia volano le rendite, e dee il popolo soggiacere ai governatori, i quali non sempre seco portano l'amore a' paesi dove non han da fare le radici. Dopo la morte di questo principe con tutta quiete il principe di Craon e gli altri ministri lorenesi presero il possesso della Toscana a nome di sua altezza reale Francesco Stefano duca di Lorena, genero dell'imperadore, che fu proclamato gran duca. Profittò ben la Francia di questo avvenimento, perchè le cessò l'obbligo di pagare ad esso duca di Lorena quattro milioni e mezzo di Francia, finchè egli fosse entrato in possesso della Toscana. La vedova elettrice palatina Anna Maria Luigia de' Medici, sorella del defunto gran duca Gian Gastone, prese anch'ella il possesso dei mobili e allodiali della casa paterna, ascendenti ad un valsente incredibile, nè solamente degli esistenti nella Toscana, ma anche in Roma, nello Stato ecclesiastico e in altri paesi. Tuttavia non tardò a saltar fuori una scintilla, che i saggi ben previdero potere un dì produrre qualche incendio. Cioè Carlo re di Napoli e di Sicilia prese lo scorruccio per la morte di esso gran duca, ed insieme il titolo di ereditario degli allodiali della casa de Medici, siccome principe già adottato dalla medesima per figlio; ed altrettanto fece anche il Cattolico re Filippo V suo padre. A tal pretensione non s'era trovato finora ripiego. Furono fatte per questo proteste giuridiche tanto in Firenze che in Roma. Alla vedova elettrice fu esibito molto di autorità nel governo, premendo al novello gran duca di tenersi amica questa principessa, donna tanto ricca, e di mirabil talento e saviezza. Ma se ne scusò ella per cagion della sua avanzata età.
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Ebbe compimento in quest'anno il maritaggio di Carlo Emmanuele re di Sardegna colla principessa Elisabetta sorella del suddetto duca di Lorena. La funzione fu fatta in Luneville, dove il principe di Carignano sostenne le veci del re; dopo di che si mise in viaggio essa novella regina alla volta della Savoia. Nell'ultimo giorno di marzo pervenne essa a Ponte Beauvoisin sui confini; ed essendosi giù portato colà il re con tutta la corte, e con accompagnamento magnifico di guardie e milizie, fu ad incontrarla, conducendola poi a Sciambery, dove presero per una settimana riposo. Nella sera del dì 22 di aprile fecero i reali sposi il magnifico loro ingresso in Torino fra la gran folla dei sudditi e forestieri accorsi a quelle feste, e fra l'ale della fanteria e cavalleria, mentre intanto le artiglierie facevano un incessante plauso alle loro maestà. Non quella sola sera si videro illuminate le strade di Torino, ma anche nelle seguenti; nè mancarono fuochi artifiziali, ed altri suntuosi divertimenti, in sì lieta congiuntura. Passava in questi tempi non lieve disputa fra esso re di Sardegna e la corte di Vienna, giacchè egli pretendeva la terra di Serravalle per distretto di Tortona; laddove i cesarei la teneano per dominio staccato da quella città. Continuavano intanto i maneggi della sacra corte di Roma con quelle di Madrid, Portogallo, Napoli e Savoia per le controversie vertenti con esse. Rallegrossi dipoi quella gran città al vedere nel marzo di quest'anno ritornati colà i cardinali Acquaviva e Belluga con indizio di sperata riconciliazione. Per trattarne venne a Roma come mediatore il cardinale Spinelli arcivescovo di Napoli, personaggio di gran credito e di obbliganti maniere; e vi comparve ancora monsignor Galliani gran limosiniere del re delle Due Sicilie, per esporre le pretensioni di quel monarca. Finalmente nel dì 27 di settembre si vide qualche apparenza di aggiustamento fra la santa Sede e i re di Spagna e di Napoli: il che recò incredibil consolazione [435] a Roma; quantunque in questi ultimi tempi non succedesse mai discordia e concordia alcuna, in cui non iscapitasse sempre la corte pontificia. Non finirono per questo le pretensioni, nè si riaprirono per anche le nunziature di Madrid e di Napoli. Contuttociò la Dateria cominciò a far le sue spedizioni. Per le differenze di Portogallo e di Savoia ripiego alcuno finora non si trovò.
Aveano i tanti saccheggi fatti dai Tartari della Russia, col condurne schiavi migliaia di uomini, commossa in fine a risentimento Anna imperadrice d'essa Russia, non solo contra di quei masnadieri, ma contra gli stessi Turchi, i quali con tutte le querele e proteste dei Russiani mai non vollero apportarvi rimedio. Due suoi valenti generali con due possenti armate nel precedente anno aveano data una buona lezione a quegl'infedeli; il Lascì col prendere la fortezza d'Azof, e il Munich con una terribil invasione nella Crimea. Fece per questo il sultano dei Turchi, già pacifico co' Persiani, un gagliardo armamento contro i Russiani; e quantunque s'interponesse l'Augusto Carlo VI per trattar di pace, non ne riportò che belle parole, insistendo sempre i Turchi nella restituzione d'Azof. Lega difensiva era fra esso imperadore e la Russia; e però non volendo Cesare lasciar soperchiare dai musulmani l'imperadrice suddetta, avea spedito ai confini dell'Ungheria la maggior parte delle sue forze, e dichiarato generalissimo d'esso Francesco Stefano duca di Lorena, divenuto in questo anno gran duca di Toscana. La direzion dell'armi cesaree fu data al generale Seckendorf, protestante di professione, con doglianza del sommo pontefice, il quale non mancò di promettere sussidii di danaro a Cesare per questa guerra. Un bel principio si diede ad essa colla presa della città di Nissa, per cui furono cantati più Te Deum. Ma non passò molto che si videro andare a precipizio tutti gli affari dell'imperadore in quelle parti. Comandava il Seckendorf ad una fioritissima [436] armata, capace di grandi imprese, avendola alcuni fatta ascendere sino ad ottanta mila valorosi combattenti. Quel generale, invece di tener unite tante forze e di assediar daddovero la forte piazza di Widin, o pure di tentar l'acquisto della Bossina, spartì in varii corpi e distaccamenti l'esercito suo, e niun di essi riportò se non percosse e disonore, tuttochè i musulmani sulle prime si trovassero più d'un poco smilzi di forze in quelle parti. Il principe d'Hildburgausen, inviato con poche migliaia d'armati sotto Banialuca capitale della Bossina, tutti perdè i suoi attrezzi e gran gente, e ringraziò la fortuna di essersi potuto salvar colla fuga. Nella Croazia verso Vaccup, e sotto Widin furono battuti gl'imperiali, e Nissa venne ricuperata dai Turchi. Si perdè il Seckendorf intorno ad Usitza, cioè ad una bicocca, e la prese: questa fu l'unica sua prodezza. I Turchi la ricuperarono poi nell'anno seguente. Andarono lamenti a Vienna; laonde, richiamato egli alla corte, lasciò il comando al generale Filippi; ed essendo stato posto in carcere, fu contra di lui dato principio ad un processo. Non istimarono veramente i saggi che questo personaggio avesse punto mancato alla fede e all'onore. Il suo delitto, secondo il sentimento d'altri, fu quello di non saper fare il condottier di armate: mestiere forse il più difficile di tutti; benchè non mancasse chi l'esentava da questo difetto.
Certamente poi non avea più la corte cesarea un Carlo duca di Lorena, un principe Eugenio, nè un maresciallo di Staremberg, nè i Caprara, nè i Veterani, nè altri simili personaggi di gran mente e savia condotta, che sapessero dirigere un esercito ai danni del nemico, e difender alle occorrenze. Per altro facendo conoscere la sperienza che talvolta le belle armate cesaree combattono col bisogno, il Seckendorf addusse ancor questo per sua discolpa, certo essendo che a cagion della mancanza dei viveri per più giorni quell'esercito si mantenne come potè in [437] vita colle pannocchie del frumentone, ossia grano turco, maturo in quel paese, o pur con sole prugne trovate per avventura in que' boschi. Non mancò gente che si figurò essere mancata la benedizione di Dio all'armi dell'imperadore in questa guerra, perchè, secondo il trattato di Passarowitz, la tregua di sua maestà cesarea colla Porta Ottomana durava ancora, nè terminava se non nell'anno 1742; pretendendo perciò i Turchi che Cesare non fosse in libertà dopo esso trattato di collegarsi colla Russia a danno loro, nè gli fosse lecito di romperla contra d'essi. A me non tocca di entrare in sì fatto esame, e molto meno di stendere le ottuse mie pupille nei gabinetti della divinità, bastandomi di riferire gli sfortunati avvenimenti di questa campagna contra degl'infedeli nella Servia, Bossina, Moldavia, Valacchia ed altri luoghi; e che per le tante malattie si trovò al finire dell'anno quasi della metà scemata la dianzi sì possente armata imperiale. Nè si dee tacere che allora più che mai si sciolsero le lingue e maledizioni de' cristiani contra del conte di Bonneval Franzese, già uno de' generali dell'imperadore; il quale, privo per altro di religione, avea abbracciata quella de' Turchi. Entrato costui al servigio della Porta col nome di bassà Osmanno, tutto s'era dato ad istruire i Turchi della disciplina militare dei cristiani: e fu creduto che i documenti suoi influissero non poco ai fortunati successi delle armi turchesche sì dell'anno presente che dei due susseguenti. Dicevasi che questo infame rinegato fosse il braccio dritto del primo visire. Se la fortuna non si fosse dichiarata in favore dei Turchi (giacchè in questo medesimo tempo in Nimirow nella Polonia trattavano di pace i plenipotenziarii cesarei, russiani e turchi), si potea sperare qualche pronta concordia con vantaggio dell'armi cristiane. Intanto d'altro passo procederono le due armate dell'imperadrice della Russia contra de' musulmani. Per ciocchè il generale conte di Munich nel [438] dì 13 di luglio s'impadronì della riguardevol città di Oczakow situata al mare, con grande mortalità e prigionia di Turchi, con acquisto di molta artiglieria e di un ricco bottino. Seppe anche difenderla da essi Turchi, accorsi ad assediarla. Parimente il generale Lascì tornò di nuovo a fare un'irruzione nella Crimea, dove incendiò gran copia di que' villaggi, prese un'infinità di buoi, e lasciò dappertutto memorie del furor militare in vendetta degl'immensi danni e mali recati per tanti anni addietro da que' Tartari alla Russia.
Fu il presente anno l'ultimo della vita di Rinaldo d'Este duca di Modena, che nato nel dì 25 di aprile dell'anno 1655, e creato duca nel 1694, avea con somma saviezza fin qui governato i suoi popoli. Nel dì 26 di ottobre spirò egli l'anima. Perchè nelle Antichità Estensi io esposi tutto quel di lodevole, che si osservò in questo principe (e fu ben molto), io mi dispenso ora dal ripeterlo, bastandomi dire che per l'elevatezza della mente, per la pietà e pel saper tenere le redini d'un governo, si meritò il concetto di uno dei più saggi principi di questi tempi. Lasciò dopo di sè un figlio unico, cioè Francesco principe ereditario, nato nel dì 2 di luglio del 1698, e tre principesse, cioè Benedetta Ernesta, Amalia Gioseffa ed Enrichetta duchessa vedova di Parma. Sul principio delle ultime turbolenze, nelle quali si trovarono involti anche gli Stati della casa d'Este, s'era portato il suddetto principe Francesco a Genova colla principessa sua consorte Carlotta Aglae, del real sangue di Francia, figlia di Filippo duca di Orleans, già reggente di quel regno. Nell'anno 1755 passarono amendue a Parigi per impetrar sollievo agl'innocenti popoli dei loro ducati dal re Cristianissimo Luigi XV e per vegliare agli interessi proprii e del duca Rinaldo padre e suocero. Venuto l'autunno, si portò esso principe a visitar le città della Fiandra ed Olanda, ricevendo dappertutto distinti onori, e di là passò in Inghilterra, [439] dove gli furono compartite le maggiori finezze dal re Giorgio II, che in questo principe considerò trasfuso il sangue di quei gloriosi antenati, dai quali era discesa anche la real casa di Brunsvich. Finalmente nella primavera dell'anno presente se ne andò a Vienna per inchinare il glorioso Augusto Carlo VI, da cui e dall'imperadrice vedova Amalia sua zia materna, e da tutta quella corte, fu graziosamente accolto. Essendosi accesa in questo tempo la guerra in Ungheria, s'invogliò anche egli di quell'onorato mestiere; e tenendo compagnia a Francesco duca di Lorena e gran duca di Toscana, e al principe Carlo di lui fratello, intervenne alle azioni della sopraddetta sventurata campagna. Nel tornarsene egli a Vienna, intese la morte del duca Rinaldo suo padre, e, però congedatosi dalle auguste maestà, s'inviò verso l'Italia, e nel dì 4 di dicembre felicemente giunse a Modena, ricevuto con giubilo dai suoi sudditi, che, attesa la di lui molta intelligenza, e spezialmente l'amorevol suo cuore, concepirono per tempo viva speranza d'ottimo governo, secondo l'uso de' suoi maggiori, tutti buoni e benefici principi. Aveva egli già procreati due principi viventi, cioè Ercole Rinaldo suo primogenito, nato nel dì 22 di novembre nell'anno 1727, ed un altro venuto alla luce nel dì 29 di settembre del 1736 in Parigi, a cui poscia nel solenne battesimo fu posto il nome di Benedetto Filippo Armando, e viene oggidì chiamato il principe d'Este; e quattro principesse, cioè Maria Teresa Felicita, Matilde, Fortunata Maria ed Elisabetta.
Più che mai continuò in questi tempi la ribellion della Corsica, con trovarsi bloccate da que' popoli le cinque o sei fortezze che sole restavano in potere della repubblica di Genova. Correvano tutto dì voci incerte di quegli affari, negando alcuni e pretendendo altri che durasse in quell'isola l'autorità del baron Teodoro, e che da lui si riconoscessero i soccorsi che andavano giugnendo a quei sollevati, con voce ancora ch'egli ritornerebbe [440] in breve al comando. La verità fu, che esso era passato in Olanda, dove, prevalendo le istanze dei suoi creditori, per qualche tempo si riposò nelle carceri, e restò poscia liberato. Tale era la sua attività ed eloquenza, che impegnò altri mercatanti a concorrere nei suoi disegni, e si dispose a rivedere la Corsica. Ora i Genovesi, per desiderio di mettere fine a quella cancrena, s'avvisarono in questi tempi di ricorrere al patrocinio del re Cristianissimo, affinchè il suo nome e la potenza dell'armi sue mettesse in dovere quella sì alterata nazione. Penetrato il lor disegno, non tralasciarono i Corsi di rappresentare a Versaglies quanti aggravii aveano finora sofferto dal governo de' Genovesi. Ciò che ne avvenisse, lo vedremo all'anno seguente. Nel presente sul Piacentino e Lodigiano seguitò l'epidemia de' buoi con terrore di tutti i vicini. Anche il monte Vesuvio nel dì 19 di maggio si diede a vomitar fiamme, pietre e bitume, che raffreddato era simile alla schiuma di ferro. Per dodici miglia fino al mare correndo la fiumana d'esso bitume, cagionò la rovina di molti villaggi, conventi, chiese e case. Le città di Adriano, Avellino, Nola, Ottaviano, Palma e Sarno, e la torre del Greco sommamente patirono, e ne fuggirono tutti gli abitanti. Alcun luogo vi restò coperto dalla cenere alta (se pure è credibile) quasi venti palmi. Orazioni pubbliche si fecero per questo in Napoli, città che si trovò ben piena di spavento, ma altro incomodo non soffrì che quello della caduta cenere. Merita anche memoria per istruzione de' posteri una delle pazzie di questi tempi, cioè il già introdotto lotto di Genova, che si dilatò in Milano, Venezia, Napoli, Firenze, Roma ed altri paesi. Dissi pazzia, non già dei principi, che con questa invenzione mostravano la loro industria in saper cavare dalle genti senza lancetta il sangue, ma dei popoli che, per l'avidità di conseguire un gran premio, s'impoverivano, dando una volontaria contribuzione [441] agli accorti regnanti, con iscorgersi in fine che di pochi era il vantaggio, la perdita d'infiniti. Nella sola Roma danarosa, in cui sul principio ebbe gran voga esso lotto, e si faceano più estrazioni in un anno, si calcolò che in ciascuno de' primi anni si giocasse un milione di scudi romani. Per lo più nè pur la metà ritornava in borsa de' giocatori. Il gran guadagno restava parte ai conduttori del gioco e parte al sommo pontefice, che di questo danaro si serviva per continuar le magnifiche fabbriche da lui intraprese.
Anno di | Cristo MDCCXXXVIII. Indiz. I. |
Clemente XII papa 9. | |
Carlo VI imperadore 28. |
Cominciavano a pesar gli anni addosso al pontefice Clemente XII. Era anche caduto infermo di maniera, che più d'una volta si dubitò di sua vita, ed alcuni porporati aveano già dato principio ai segreti lor maneggi: il che risaputo dal papa, cagion fu di qualche risentimento. Questi avvisi della mortalità, e il desiderio del santo padre di lasciare la sedia apostolica in pace con tutte le potenze cattoliche, il rendè più sollecito ad accordarsi colle corti di Spagna e di Portogallo. Nel dì 20 del precedente dicembre aveva egli promosso alla porpora monsignor Tommaso Almeida patriarca di Lisbona; servì questo passo a placare in buona parte, se non in tutto, l'animo di Giovanni V re portoghese, principe inflessibile in ogni sua pretensione e dimanda; il che fece aprir la Dateria per quel regno, e in Lisbona fu splendidamente accolto il nunzio pontifizio. Altrettanto avvenne in Ispagna. Per le differenze colla corte di Napoli, tuttochè reclamassero i ministri cesarei, pure sua santità nel maggio condiscese ad accordare le investiture delle Due Sicilie all'infante reale don Carlo di Borbone. Insorse in questi tempi un imbroglio fra esso pontefice e la reggenza del ducato di Toscana, a cagion di [442] Carpegna, Scavolino e Montefeltro, Stati pretesi per ragioni antiche dalla repubblica fiorentina, essendo in fatti passate le milizie lorenesi a prenderne il possesso. Messosi l'affare in disputa, perchè la corte di Vienna abbisognava in questi tempi dei soccorsi del papa per la guerra turchesca, si venne poi smorzando la lite, e restò libera quella contrada dall'armi del gran duca. Era già gran tempo che si trattava dell'accasamento del suddetto re delle due Sicilie; e perciocchè ragioni politiche non permisero che a lui fosse accordata in moglie la seconda arciduchessa figlia del regnante Augusto, restò poi conchiuso il suo maritaggio colla real principessa Maria Amalia figlia di Federigo Augusto re di Polonia ed elettor di Sassonia, appena giunta all'età di quattordici anni. Nel dì 19 di maggio a nome d'esso re fu sposata essa principessa dal fratello Federigo Cristiano, principe reale ed elettorale, e nel dì 24 d'esso mese, accompagnata dal medesimo, imprese il suo viaggio alla volta d'Italia. Con corte numerosa venne sino a Palma Nuova, confine dello Stato veneto, don Gaetano Boncompagno duca di Sora, scelto dal re per maggiordomo maggiore della novella regina, e direttore del suo viaggio per Italia: principe per le sue virtù meritevole d'ogni maggiore impiego. Nel dì 29 del mese suddetto arrivata ai confini della repubblica essa principessa, ivi trovò il veneto ambasciatore colle guardie destinate alla maestà sua, e le si presentò parimente il duca di Sora con tutta la corte a lei destinata.
Fu allora che propriamente s'avvide questa graziosa principessa di essere regina: sì magnifico e splendido fu l'accoglimento fattole per dovunque passò dalla veneta generosità. Invogliatasi all'improvviso di dare un'occhiata alla mirabil città di Venezia, dopo avere per altra via incamminato il suo gran seguito ed equipaggio a Padova, essa nel dì 2 di giugno imbarcatasi col real fratello, col duca di Sora, e con pochi altri cavalieri e dame, [443] fu condotta pel canale della Giudecca in faccia alla piazza di San Marco, e fatto un giro pel canal grande fra il rimbombo delle artiglierie andò vedendo e ammirando i superbi palazzi e le altre grandiose fabbriche di quella dominante. Finalmente alle due ore della notte seguente fece l'ingresso nella città di Padova, dove spezialmente trovò un trattamento reale. Colà s'era portato Francesco III d'Este duca di Modena colle principesse Benedetta ed Amalia sorelle sue, per inchinare la regina loro cugina, da cui poscia riceverono ogni maggior finezza d'amore e di stima. Ai confini del Ferrarese si presentò alla maestà sua il cardinale Mosca spedito dal sommo pontefice con titolo di legato a latere a complimentarla e servirla sino a Ferrara, dove con solenne apparato di quella città entrò, partendone poi nel dì 6 di giugno. Per tutto lo Stato ecclesiastico trovò gara fra le città in farle onore, siccome anch'ella dappertutto lasciò belle memorie della sua rara gentilezza e liberalità. Passò dipoi per Loreto, e nel dì 19 del suddetto mese arrivò a Portello, cioè ai confini del regno. Quivi trovò il re consorte, che la introdusse in un vasto real padiglione, coi vicendevoli complimenti ed abbracciamenti. Nel dì 22 d'esso giugno fecero le loro maestà l'entrata in Napoli fra le giulive acclamazioni di quell'immenso popolo, fra gli archi trionfali e fra le stupende macchine ed illuminazioni, che furono poi coronate da altre suntuosissime feste, continuate nei seguenti giorni. Poco fu questo in paragone del dì 2 di luglio in cui seguì il solenne ingresso dei regi sposi in essa città di Napoli, la quale da tanti anni disavvezza dal vedere i suoi regnanti, in questa occasione diede uno spettacolo d'indicibile magnificenza ed allegrezza, dalla cui maggior descrizione io mi dispenso. Allora fu che il re don Carlo istituì l'ordine dei cavalieri di San Gennaro, e di esso decorò i principali baroni di Napoli e Sicilia, e alcuni grandi spagnuoli.
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Con tutti i maneggi finora fatti fra l'imperador Carlo VI e il Cristianissimo re Luigi XV non s'era peranche giunto a stabilire un trattato definitivo di pace. A questo si diede l'ultima mano in Vienna nel dì 18 di novembre fra i suddetti due monarchi, e fu sottoscritto dai plenipotenziarii non solo d'essi, ma anche da quei del re Cattolico Filippo V, di don Carlo re delle Due Sicilie, e del re di Sardegna Carlo Emmanuele. Rimasero con poca mutazione confermati i precedenti trattati di pace, e la Francia nominatamente accettò e promise di garantire la prammatica sanzione formata dall'Augusto regnante. Vi fu regolato tutto quello che apparteneva in Italia alla cessione dei regni di Napoli e Sicilia, e delle piazze marittime della Toscana pel suddetto real infante; e di Parma e Piacenza per l'imperadore; e di Tortona e Novara e delle Langhe pel re di Sardegna. Qual fosse il giubilo di tutta l'Italia all'avviso di questa concordia, non si può abbastanza esprimere, lusingandosi ognuno di godere per gran tempo i frutti e le delizie della tanto desiderata pace, che ora mai sembrava con uno stabile chiodo fissata. Non si godeva già in questi tempi un egual sereno nell'imperial corte di Vienna, perchè anche nell'anno presente niuna felicità, anzi parecchi disastri provarono in Ungheria l'armi cesaree. Quantunque ancora in quest'anno passasse al comando di quell'esercito il duca di Lorena, con aver seco per principal direttore di azioni militari il saggio e valoroso conte di Koningsegg; pure ebbero essi a fronte il gran visire con forze di lunga mano superiori alle cristiane. Le frequenti scorrerie turchesche per la Servia e un possente armamento di saiche nel Danubio portarono il terrore sino alla città di Belgrado, da dove si ritirarono in gran copia i benestanti. Per l'Ungheria superiore di là dal real fiume marciò il Koningsegg, e nel dì 3 di luglio a Cornia venne alle mani con un corpo di venti e più mila musulmani, e lo sconfisse. Questa [445] vittoria agevolò la presa del forte di Meadia nel dì 9 d'esso mese, dove fu accordata buona capitolazione al presidio turchesco.
Già s'incamminava l'oste cesarea al soccorso d'Orsova assediata dai nemici, quando giunse la lieta nuova ch'essi a precipizio s'erano dati alla fuga, lasciando nel campo tende, bagagli, munizioni ed artiglierie. Tanto più allora inanimati i cristiani pensavano già di continuare il viaggio a quella volta; ma eccoti avviso che il visire avea trasmesso un rinforzo di venti mila uomini ai ritiratisi da Orsova. Non si osservò allora la consueta intrepidezza de' coraggiosi Alemanni; nè più si pensò ad Orsova. Accortisi gl'infedeli delle lor disposizioni, s'inoltrarono sino a Meadia, dove seguì un sanguinoso conflitto. I due reggimenti Vasquez e Marulli, composti d'Italiani, fecero delle maraviglie di coraggio con vergogna de' Tedeschi, i quali pure sono in credito di tanta fortezza. Ritiraronsi i cristiani con permettere a' Turchi di ricuperare i forti d'essa Meadia. Posto di nuovo l'assedio da essi infedeli ad Orsova, fu quella piazza costretta alla resa con grave pregiudizio della vicina città di Belgrado, sotto alla quale andò ad accamparsi il maresciallo di Koningsegg. Si contò per regalo della fortuna che i Turchi non facessero maggiori progressi; e sebben anche Semendria e Vilapanca furono sottomesse, pure poco appresso si videro abbandonate da essi. Non avea il Koningsegg più di quaranta mila guerrieri, laddove il gran visire ne conduceva cento venti mila. Ma in altri tempi trenta a quaranta mila Alemanni bastavano a far delle grandi prodezze contro le grosse armate degli Ottomani. O fosse dunque che l'iniquo bassà Bonneval avesse ben addottrinate le milizie turchesche, o altra cagione: certo è che questa campagna riuscì non men deplorabile della precedente per li cristiani, e convenne alzare il guardo al trono del Dio degli eserciti, i cui giusti giudizii [446] son coperti di troppe tenebre. Nè i Russi ebbero miglior mercato. Furono costretti di far saltare tutte le fortificazioni di Oczokow, e a ritirarsene. Presero bensì nella Crimea la fortezza di Precope, ma poi, dopo averne demolite le fortificazioni e spianate le linee, e recati gravissimi danni a quelle contrade, se ne tornarono indietro. Fu da essi tentato il passaggio del Niester, ma senza poter ottener l'intento. Comparve in questi tempi alla corte di Costantinopoli, e vi fu ricevuto con distinto onore, Giuseppe figlio del fu principe di Ragotzki, il quale, dimentico delle grazie a lui compartite in addietro dal clementissimo Augusto, se ne fuggì alla Porta, per ravvivar le sue pretensioni sopra la Transilvania; e fece credere al gran signore di avere in quella provincia e in Ungheria un'infinità di seguaci.
Nè pure in quest'anno si seppe cosa credere degli affari della Corsica, perchè tuttodì a buon mercato si spacciavano bugie. Esaltavano alcuni la gran copia di soccorsi dati ai Corsi non meno di gente, che di munizioni, artiglierie ed armi: soccorsi, dico, i quali si diceano inviati colà dal baron Teodoro, e che altri attribuiva ad una potenza, la quale segretamente tenesse mano a quella ribellione, additando con ciò la corte di Spagna o pure di Napoli. Negavano altri queste nuove, e sosteneano ecclissata affatto la fortuna dell'efimero re Teodoro. Sul principio dell'anno fu sparsa voce che questo venturiere da Orano fosse di nuovo sbarcato in Corsica; e si vedevano progetti lodevolissimi pubblicati sotto suo nome, per far fiorire il commercio di quell'isola coll'erezion di varie saline, con attendere alle miniere, con fabbricar cannoni e mulini da polve da fuoco, e con incoraggiar l'agricoltura e la pesca. Ma non si verificò il di lui arrivo. Fu bensì vero che nel dì 5 di febbraio sbarcarono alla Bastia, capitale di quel regno, tre mila uomini di truppe franzesi, sotto il comando del conte di Boissieux. Aveano i Genovesi implorato il patrocinio della [447] Francia in questo loro troppo lungo e dispendioso disastro; se pure non fu la corte di Francia, che attenta ad ogni foglia che si muova in Europa, per sospetto che gli Spagnuoli un dì non si prevalessero di quella sollevazione per impadronirsi della Corsica, esibì alla repubblica le sue forze per terminar quella pugna. Certo è, che colà furono trasportate le suddette milizie, non già con animo d'infierire contro quella valorosa nazione, a cui non mancavano delle buone ragioni, ma per istudiar la via di pacificarla coll'esibizione di oneste condizioni. Infatti se ne trattò; si rimisero i Corsi riverentemente alla giustizia e saviezza del re Cristianissimo; diedero anche degli ostaggi; e per questo si fece pausa alle ostilità, ma senza che seguisse accordo alcuno.
Venuto il settembre, si tornò a spacciare come avvenimento indubitato che il baron Teodoro con tre vascelli di bandiera straniera era nel dì 13 di esso mese giunto in Corsica a Porto Vecchio, con fare intendere ai sollevati la provvision delle artiglierie, armi e munizioni da lui condotte su quei navigli; e che perciò di nuovo si fosse fatta un'unione universale de' Corsi, per mantenergli l'ubbidienza. Si vide anche la lista di tutto il suo carico, e fu assicurato che nel dì 16 del suddetto settembre scese a terra fra i viva di un gran concorso di popolo; ma che poscia nel dì 15 d'ottobre s'era ritirato a Porto Longone, o pure in Sardegna; e ciò perchè furono intimoriti i Corsi da una lettera circolare del general franzese, che minacciava loro l'indignazione del re Cristianissimo, se più ubbidivano al barone suddetto. Aggiunsero, ch'egli era dipoi approdato a Napoli, dove, d'ordine della corte, fu catturato, e in appresso fatto uscire del regno. Non so io dire se vere o finte fossero tutte queste particolarità. Se un giorno qualche fedele e ben informato scrittore ci darà la storia di tante scene di quella tragedia, può sperarsi che rimarrà allora dilucidato il vero [448] dalle molte ciarle sparse per l'Europa di quello emergente; tale certamente, che facea dello strepito dappertutto. Fermossi per alcuni mesi il principe real di Polonia e Sassonia Federigo Cristiano in Napoli, godendo le delizie di quella gran città, corte e territorio, ma infastidito alquanto per la rigorosa etichetta spagnuola, che non gli permetteva nè pur di trovarsi a tavola colla regina sorella. Dopo aver questo principe lasciato in quella corte e città illustri memorie della sua magnificenza e gentilezza, arrivò a Roma nel dì 18 di novembre, e prese alloggio nel palazzo del cardinale Annibale Albani camerlengo. Potè allora quella gran città conoscere in lui una rara pietà, costumi angelici, pregio di tutta la real numerosa figliolanza del re di Polonia (e perciò grande onore del cattolicismo), siccome ancora l'avvenenza del suo volto, e molto più le altre belle doti dell'animo suo. Altro alla perfezione di questo principe non mancava, se non robustezza maggiore nelle gambe. Nulla aveano servito a lui per questo i bagni d'Ischia. I divertimenti di questo generoso principe erano il commercio dei letterati, e la visita di tutte le chiese, antichità, gallerie e cose più rare di Roma.
Anno di | Cristo MDCCXXXIX. Indiz. II. |
Clemente XII papa 10. | |
Carlo VI imperadore 29. |
Sul principio di quest'anno furono rivolti gli occhi dei curiosi alla comparsa in Italia di Francesco duca di Lorena e gran duca di Toscana, il quale, coll'arciduchessa Maria Teresa sua consorte, e col principe Carlo di Lorena suo fratello, e con corte ed equipaggio splendido nel dì 28 del precedente dicembre era giunto ai confini del veneto dominio, dove gli fu fatto un solenne e magnifico accoglimento, per parte della repubblica. Desideravano questi principi di consolare colla graziosa lor presenza i nuovi sudditi della Toscana, e insieme di riconoscere in che consistesse [449] il cambio da essi fatto della Lorena. Ma perciocchè in questi tempi s'era forte dilatata la peste per l'Ungheria, Croazia ed altre provincie, che tutte aveano libero commercio coll'Austria ed altri paesi sottoposti in Germania a sua maestà imperiale; la veneta repubblica avea severamente bandite tutte quelle contrade, nè permetteva commercio di chi procedeva dalla Germania per venire in Italia, impiegando quel rigore che in altri tempi è stato l'antemurale della salute sua e delle provincie italiane. Grande stima ed ossequio professava il saggio senato veneto a quegl'illustri principi, ma più eziandio gli stava a cuore la pubblica sicurezza in tempi tanto pericolosi. Però non altrimenti accordò loro il passaggio per li suoi Stati, che colla condizione di fare una discreta contumacia. Loro perciò fu assegnato sul Veronese il palazzo del conte Michele Burri, dove per qualche giorno si riposarono. Ma perchè s'infastidirono in breve di quella nobil prigione, fece il gran duca istanza a Venezia, affinchè gli si abbreviassero i giorni della contumacia; e non venendo risposte concludenti, impazientatasi quella nobilissima brigata, nel dì 11 di gennaio prese da sè stessa la licenza di andarsene, e passò a Mantova. Nel dì 14 arrivarono questi generosi principi a Modena, accolti colle maggiori dimostrazioni di stima e di onore dal duca Francesco III, e dalle principesse sue sorelle, e qui si fermarono godendo dei divertimenti loro preparati sino al dì 17, in cui si mossero alla volta di Bologna, e di là continuarono il viaggio sino a Firenze. Il dì 20 di gennaio fu quello in cui fecero il solenne loro ingresso in essa città fra la gran calca del popolo e della copiosa foresteria, fra le incessanti acclamazioni di que' sudditi, che con archi trionfali, insigni illuminazioni ed apparati maestosi, e col giuoco ancora del calcio, espressero il loro giubilo verso dominanti pieni di tanta clemenza e gentilezza. Poscia nel dì primo di marzo si portarono a Pisa, e di là a Livorno, nelle quali due città [450] ebbero motivo di ammirare i nobilissimi spettacoli e divertimenti, spezialmente nell'ultima preparati a gara ed eseguiti in loro onore dai Toscani, Inglesi, Franzesi, Olandesi, Giudei ed altre nazioni. Videro anche Siena, portando poscia con loro un alto concetto di sì belle, deliziose e grandiose città, simili alle quali certamente non le potea mostrare il per altro riguardevole ducato della Lorena.
Dopo aver dato buon sesto agli affari economici e militari della Toscana, la gran duchessa Maria Teresa sul fine di aprile, desiderosa di veder Milano, si mise in viaggio, e nel dì 10 arrivò a Reggio, dove, in occasion della fiera, si trovava la corte estense; ed ivi non solo godè, ma anche ammirò una delle più splendide e singolari opere in musica che si facessero allora in Italia: tanta era l'abilità dei cantanti e le vaghezza delle scene. Avea preso il gran duca Francesco suo consorte la risoluzione di passar per mare a Genova, e di là trasferirsi a Torino, a fin di visitare la regina di Sardegna sua sorella. Ma ito per imbarcarsi a Livorno, trovò cotanto in collera il mare, che, mutato pensiero, e prese le poste per terra, all'improvviso raggiunse in Reggio la real sua consorte. Se ne andarono poscia nel primo dì di maggio alla volta di Milano; ma il gran duca col principe Carlo da Piacenza s'inviò verso Torino, dove giunto nel dì 3 ricevette ogni maggior finezza da quella magnifica corte. Comparvero poi anche questi due principi nel dì 6 a Milano, e dopo qualche giorno se ne tornarono tutti in Lamagna, avendo lasciato dappertutto viva memoria della somma lor benignità ed amabili costumi. Andava in questi tempi sempre più il pontefice Clemente XII sentendo il peso degli anni, di modo che si trovava bene spesso per la debolezza confinato in letto, e sopra tutto perdè l'uso della vista. Contuttociò, continuando il vigor della sua mente, non tralasciava punto di accudire non meno al secolare che all'ecclesiastico governo. Anche in letto teneva concistoro, [451] ed ascoltava le varie congregazioni. Dopo parecchi mesi di soggiorno in Roma, finalmente se ne partì il real principe di Sassonia Federigo, portando seco la gloria d'una singolar pietà, e di avere esercitata sì gran liberalità e cortesia verso grandi e piccioli, che di lui durerà in quelle parti una ben lunga memoria. Venuto per la Toscana, giunse nel dì 21 di novembre a Modena, dove si fermò per tre giorni a godere delle cose più rare di questa corte, e dipoi passò a Milano, con animo di quindi portarsi a Venezia per li divertimenti del seguente carnovale.
Sul fine del precedente anno e nei primi mesi del presente corsero di nuovo false voci che il baron Teodoro fosse sbarcato in Corsica, e vi si trattenesse incognito; e la curiosità d'ognuno era attenta ad osservare qual frutto producessero i maneggi del conte di Boissieux, comandante delle truppe franzesi in quell'isola, per pacificare i sollevati. Pareano disposti i Corsi ad abbracciar l'accordo esibito loro con alcune vantaggiose condizioni; ma una sola non ne sapeano digerire, cioè quella di dover consegnare tutte le loro armi; perchè, non fidandosi dei Genovesi, troppo duro e pericoloso sembrava ad essi il privarsi di que' mezzi che soli poteano far eseguire la proposta capitolazione, caso mai che a questa si mancasse. Ricalcitrando dunque essi a sì fatta concordia, si mise in testa il Boissieux di parlare d'altro tenore, ed inviò un distaccamento di truppe al borgo di Biguglia, per costringere colla forza quegli abitanti a ricevere la legge. Era il dì 13 di dicembre del 1738: si venne alle mani, e vi restarono uccisi e prigioni non pochi Franzesi, che talun fece ascendere a centinaia, il che fu creduto una falsa esagerazione. Questo fatto dall'un canto riaccese il fuoco de' Corsi, e dall'altro eccitò lo sdegno della corte di Francia contra d'essi, perchè il re, udito l'affare, giudicò essere questo non più impegno de' Genovesi, ma della sua corona. Perciò [452] diede ordine che passasse colà con buon rinforzo di truppe il marchese di Maillebois tenente generale atto a farsi ubbidire; poichè in quanto al conte di Boissieux, egli per infermità lasciò in questi tempi la vita nella Bastia. Intanto le gazzette spacciavano a più non posso nuove, cioè che il baron Teodoro si trovava in Corsica; che a don Filippo infante di Spagna era destinato il dominio di quell'isola, e tanto più perchè s'intese stabilito il matrimonio di questo principe con madama Luigia Elisabetta di Francia, primogenita del re Cristianissimo Luigi XV, matrimonio, dissi, che fu poi compiuto e solennizzato in Versaglies nel dì 26 d'agosto dell'anno presente. Teodoro dovea essere vicerè d'esso infante, sua vita natural durante. Sogni tutti della sfaccendata gente erano questi, nè in quelle regie corti apparve mai pensiero di voler pregiudicare ai diritti della repubblica di Genova.
La verità si è, che il marchese di Maillebois sbarcò in Corsica con delle nuove truppe; e siccome personaggio di grande attività, pubblicò tosto un proclama, ordinando a tutti i Corsi di deporre l'armi, e di rimettersi alla clemenza di sua maestà Cristianissima, in pena di essere trattati da ribelli. Perchè i sollevati risposero con un manifesto, modesto sì, ma che finiva in dire: Melius est mori in bello, quam videre mala gentis nostrae; quel comandante spedì in Provenza ad imbarcare altre milizie. Ora da che si vide in buon arnese, venuto il mese di giugno, uscì in campagna con tutte le sue forze. Il terrore marciava avanti di lui; e però non tardarono gli abitanti delle pievi d'Aregno, Pino, Sant'Andrea, Lavatoggio, ed altre ch'io tralascio, a rendersi ai di lui voleri. Anzi i principali capi dei sollevati andarono a trattare con esso Maillebois, protestandosi pronti di sottomettersi agli ordini venerati del re Cristianissimo, con isperanza che sua maestà si degnerebbe di proteggerli, e di rendere loro buona giustizia. Pertanto [453] non finì l'anno presente, che tutti quei popoli, a riserva di pochi ostinati, depositate in mano de' Franzesi le loro armi, accettarono il perdono, e si mostrarono ubbidienti, invasati intanto da una dolce lusinga di non dover più tornare sotto i Genovesi, ma che tutto quel mercato fosse per dar loro un principe della real casa di Borbone. Tale era anche la comune immaginazione degli speculatori dei gabinetti principeschi. Nè faceano caso essi dall'osservare che, per consiglio del Maillebois, i primarii capi della ribellione uscivano di Corsica, e si ricoveravano in Toscana, Napoli e Stato ecclesiastico. Intanto i Franzesi si ridussero a' quartieri d'inverno, e la maggior parte d'essi provò fiere malattie, e allo incontro il Maillebois senza misericordia facea impiccar tutti coloro che fossero colti con armi da fuoco, o continuassero nella sedizione.
Sente ribrezzo la penna mia, ora che io sono per accennare la lagrimevol campagna fatta dall'armi cristiane nella Servia ed Ungheria nell'anno presente. Nulla avea ommesso l'imperador Carlo VI per formare un'armata capace di ricuperar la gloria perduta nei due precedenti anni, e di reprimere gli sforzi degli orgogliosi Ottomani, i quali per li passati prosperosi avvenimenti aveano alzata forte la testa, e si rideano di chi loro parlava di pace. Non mancò il pontefice Clemente XII di spedirgli un dono di cento mila scudi, e il duca di Modena Francesco III, gl'inviò due battaglioni di ottocento uomini l'uno. Un gran corpo di valorose milizie bavaresi e sassone, ed altre di altri principi della Germania, erano marciate per tempo alla volta di Belgrado. I più discreti calcolavano quell'esercito almeno di sessanta mila combattenti; e si sa qual bravura alligni in petto alla nazion tedesca. Trattossi di scegliere il supremo comandante di sì fiorita armata, e fu proposto il maresciallo conte Oliviero Wallis, come creduto il migliore degli altri, anche per testimonianza del fu maresciallo di Staremberg. [454] Fama corse che a tal elezione ripugnasse l'ottimo e giudizioso augusto monarca, per le relazioni più volte a lui date, che questo generale fosse uomo impetuoso e bestiale, e che avesse il segreto di farsi poco amare dagli altri, del che aveva egli lasciato anche in Italia e in Sicilia più d'una memoria. Ma il buon imperadore, siccome quegli che ordinariamente giudicava meglio degli altri, ma poi si arrendeva al parere dei più, credendo che a tante teste avesse da cedere il sentimento di un solo, si lasciò indurre a concedere al Wallis il supremo comando dell'armi in questa campagna. Andò esso generale a mettersi alla testa di quell'esercito, e trovò che il gran visire veniva con un'armata ascendente a sessanta mila Turchi, ma che andava ogni dì più crescendo per altri rinforzi di gente che sopravvenivano.
Trovavasi il Wallis col grosso dell'esercito suo a Zwerbrusck, quattro leghe distante da Belgrado, quando intese che un corpo di Turchi era ito a postarsi nel vantaggioso posto di Crotska, tre leghe lungi dal suo campo; e tosto lo sconsigliato generale, dopo aver tirato nel suo parere il consiglio di guerra, prese la risoluzione di andarli ad assalire nel dì 22 di luglio, festa di santa Maria Maddalena, voglioso di scacciarli da quel posto, prima che vi si trincierassero. Dissi sconsigliato, perchè prestata troppa fede alla sola relazione di una spia doppia, non cercò prima di chiarirsi, se si trovasse in Crotska non già un distaccamento, ma bensì tutta l'armata dei musulmani col gran visire, e già in parte trincierata; e perchè avea bensì ordinato al generale Neuperg di passare il Danubio, e di venire ad unirsi seco col suo corpo consistente in circa quindici mila soldati; ma poi senza volerlo aspettare a cagion dell'emulazione che era fra loro, attaccò la mischia. Quel che è più, perchè volle assalire i nemici ben postati fra i boschi, e con istrade sì strette ed intralciate, che non si potè formare se non una lieve linea, e questa esposta [455] alla moschetteria de' nemici, i quali la battevano per fianco, allorchè volle inoltrarsi o retrocedere. Oltre a ciò, marciò innanzi il Wallis con soli quattordici reggimenti di cavalleria e diciotto compagnie di granatieri, senza esser secondato dalla fanteria, che tardi poscia arrivò. Che ne avvenne dunque? restò quasi interamente disfatto dai Turchi quel corpo. Sopraggiunta la fanteria per sostenere la ritirata di chi era restato in vita, si trovò anch'essa impegnata nel sanguinoso combattimento. Male passò anche per questi; ed ostinatosi il maresciallo nella speranza di rompere i nemici, allorchè giunse il Neuperg colle sue milizie, continuò la battaglia sino alla notte, che pose fine al macello. Quanta gente perdessero i Turchi, non si potè sapere: fu creduto che molta. Ma seppesi bene, che l'armata cesarea vi ricevette una terribil percossa, perdè il campo della battaglia, e restò sì estenuata e confusa, che nel dì seguente si ritirò di là dal Danubio, lasciando Belgrado esposto all'assedio, a cui tosto si accinsero i Turchi. Voce comune fu che almeno sei mila fossero i Tedeschi uccisi, e forse altrettanti i feriti. Che maggiore nondimeno fosse la perdita, si potè arguire da quanto poscia avvenne. Videsi allora che differenza passi, fra un saggio ed accorto generale ed un altro di tempra diversa, che non sa temporeggiare occorrendo, nè conosce qual sia il tempo, e quale il sito per assalire i nemici. Il principe Eugenio, benchè posto fra Belgrado, città allora de' Turchi, e fra la poderosa oste d'essi Musulmani, quando conobbe il tempo, riportò un'insigne vittoria. Il Wallis, tuttochè avesse alle spalle Belgrado ubbidiente a lui, e potesse fermarsi nelle linee d'esso principe Eugenio, e schivare il pericoloso cimento; pure, senza essere forzato, volò a cercare la rovina, non men dell'esercito cesareo, che della propria riputazione; e si sa che, in vedere sì gran flagello, esclamò: Non ci sarà una palla anche per me? Che in questa battaglia stesse a' fianchi del gran [456] visire l'infame conte di Bonneval, fu comunemente creduto; è a lui attribuito l'uso delle baionette nella fanteria turchesca, e alle sue lezioni l'avere con tant'ordine e bravura combattuto quei Barbari.
Pure qui non finì la catena delle disavventure. Strinsero tosto i Turchi la città di Belgrado, e cominciarono col cannone e colle bombe a tempestarla. Ossia che il marchese di Villanuova ambasciatore del re di Francia, spedito da Costantinopoli al gran visire col giornaliero assegno di cento cinquanta piastre fattogli dal gran signore, movesse tosto parola di pace, o che in altra maniera procedesse l'affare; fuor di dubbio è ch'egli ne fu mediatore. Andò il conte di Neuperg nel campo turchesco a trattarne; non ebbe la libertà di uscir quando volle; ma giacchè avea plenipotenza dal Wallis, strinse in pochi giorni la concordia, cedendo agli Ottomani la Servia tutta con Belgrado, le cui fortificazioni si avessero a demolire; ed in oltre ad essi rilasciando Orsova e la Valacchia imperiale. Appresso si vide l'inaspettata scena, che senza aspettare risposta e ratificazione alcuna dalla corte cesarea, fu ben tosto consegnata agl'infedeli una porta di Belgrado. Persone trovatesi in quella brutta danza sostenevano, non essere rimasto sì sfasciato l'esercito cesareo, che non avesse potuto impedire un sì gran precipizio di cose; e che quella pace fu un imbroglio straordinario, di cui non s'intesero giammai i misteri, ma si provarono ben le triste conseguenze. A rendere maggiormente deplorabile la presente catastrofe di cose, si aggiugne, che il felice esercito dell'imperatrice russiana di circa ottanta mila persone, comandato dal generale conte di Munich, passato per Polonia, valicò il Niester; diede nel dì 28 di agosto una memorabil rotta ai Turchi e Tartari, si impadronì della rinomata fortezza di Coczim; entrò vittorioso nel dì 14 di settembre in Jassi capitale della Moldavia, di modo che sì quella provincia, come la [457] Valacchia, restavano sottratte al giogo de' Turchi. Un poco di tempo che avesse aspettato il Vallis, si trovava astretto il gran visire ad accorrere contro i vincitori Russiani; ed unendosi allora l'armi cesaree colle russiane, poteano sperare maggiori progressi contro il comune nemico. Cagion fu la tregua stipulata fra Cesare e la Porta che l'ambasciator franzese marchese di Villanuova, nel dì 18 di settembre, inducesse anche il plenipotenziario della Russia alla pace, con restar Azof smantellato affatto, e restituito tutto l'occupato ai Turchi in Europa. Portato che fu a Vienna l'avviso di sì gran nembo di sciagure, non si può dire quanto se ne affliggesse l'augusto Carlo VI, sì per la scemata riputazion delle sue armi, come per la perdita di sì importante piazza, e per la maniera di questo avvenimento. Diede anche nelle smanie tutto il popolo di Vienna contra del Wallis e del Neuperg, talmente che la vita loro non sarebbe stata in salvo, se fossero capitati allora colà. Proruppero eziandio in voci ingiuriose contro il marchese di Villanuova, ambasciatore di Francia, come di ministro venduto alla Porta, quasichè egli in tale occasione avesse assassinati gli affari dell'imperadore; per le quali dicerie si risentì non poco l'altro ambasciator franzese di Vienna. Delle azioni ancora dei suddetti due generali sì altamente rimase disgustato l'imperial ministero, che spedì subito ordine in Ungheria pel loro arresto, e che fosse formato il processo de' lor mancamenti. Anzi pubblicò essa corte un manifesto, dove espose tutte le disubbidienze e la mala condotta d'amendue, la quale avea necessitato l'augusto monarca ad accettare una sì vergognosa tregua, giacchè la troppo affrettata consegna di Belgrado troncava il passo ad ogni altra risoluzione. Non si può già senza sdegno rammentar così dolorosa tragedia; se non che debito nostro è di chinare il capo davanti agli occulti giudizii di Dio.
Picciolo Stato in Italia è San Marino, [458] situato dieci miglia lungi da Rimini fra gli Stati della Chiesa e della Toscana. Consiste esso in un borgo con forte rocca, situato sopra la sommità d'un monte, con cinque o sei castella o comunità da esso dipendenti; ma ornato d'una invidiabil prerogativa, perchè quel popolo, indipendente da ogni principe, si governa a repubblica sotto la protezion del romano pontefice, il quale nondimeno vi conserva qualche diritto di sovranità. Diede nell'anno presente questa repubblica un buon pascolo ai novellisti per un'impensata mutazione ivi succeduta. Era tuttavia legato di Ravenna il cardinale Giulio Alberoni. Rappresentò egli a Roma, trovarsi malcontenti que' popoli della propria libertà, perchè il governo era caduto in oligarchia, cioè che venivano essi tiranneggiati da alcuni pochi prepotenti, e però sospirar essi di suggettarsi al soave e ben regolato governo della Chiesa romana, ed averne molti di loro fatte replicate istanze al medesimo cardinale. Le saggie risposte della sacra corte furono, che esso porporato sussistendo l'oppressione e il desiderio suddetto dei Sanmarinesi, si portasse ai confini del loro paese, e quivi aspettasse coloro che volontariamente venissero ad implorar la sua protezione; e qualora la maggiore e più sana parte del popolo di San Marino si trovasse volonterosa di passare sotto l'immediato dominio della santa Sede, ne stendesse un atto autentico, e andasse a prenderne il possesso, con facoltà di regolar ivi il governo, e di confermar lutti i lor privilegii a quella gente. Bastò questo al cardinale, perchè senza tante cerimonie, e senza fermarsi alle formalità dei confini, si portasse improvvisamente a San Marino, dove chiamò ancora ducento soldati riminesi e tutta la sbirraglia della Romagna, e si fece dare il possesso della rocca, che si trovò sprovveduta di tutto. Poscia nel dì 25 di ottobre ad una messa solenne chiamò i pubblici rappresentanti del borgo, ossia della città e delle altre comunità a prestare il giuramento [459] di fedeltà alla santa Sede. I più giurarono, ma molti ancora pubblicamente ricusarono di farlo, ed altri se n'erano fuggiti, per non acconsentire a questo sacrifizio. Ciò non ostante, prese il cardinale giuridicamente il possesso, vi pose un governatore, e diede buone regole pel governo in avvenire. Ma poco stettero a giugnere al santo padre i richiami e le querele dei Sanmarinesi, con rappresentare alla santità sua essere proceduta quella dedizione non dalla libera elezione del popolo, ma parte dalle lusinghe e parte delle minaccie, in una parola dalla prepotenza e violenza del cardinale, che gli avea sorpresi con genti armate, ed avea fatto carcerar varie persone, e saccheggiar quattro o cinque dei renitenti alla dedizione, con pretendere ancora nata la persecuzione del legato da alcune sue private passioni ed impegni.
Nell'animo giusto del pontefice e dei più saggi ed accreditati cardinali fece grande impressione questo discorso e doglianza; e tanto più perchè il legato Alberoni non aveva eseguiti gli ordini a lui prescritti nelle lettere del cardinale Firrao segretario di Stato, nè si conformavano colla verità molte cose da lui rappresentate al papa, come con sua lettera esso segretario di Stato significò al medesimo Alberoni nel dì 14 di novembre. Perciò il santo padre, alieno da ogni prepotenza e da ogni anche menoma ombra di usurpazione, non approvò l'operato fin qui. Tuttavia perchè non pochi dei Sanmarinesi veramente di cuore bramavano di sottoporsi alla santa Sede, deputò commissario apostolico monsignor Enrico Enriquez, governatore di Macerata, personaggio cospicuo pel sapere, per la prudenza e per la sua nota integrità (che oggidì nunzio pontifizio nella real corte di Spagna, va accrescendo il capitale del suo merito), con ordine di portarsi a San Marino, di prendere i voti liberi di quella gente, e di annullar gli atti precedenti, qualora si trovassero contrarii alla retta intenzione della santità [460] sua, e di prescrivere poscia per bene di esso popolo un saggio regolamento, a fine di esentarlo spezialmente dalla soperchieria di chi in ogni governo, senza essere principe, tende a dar legge a tutti gli altri. Intanto i Sammarinesi, da che fu partito il cardinale Alberoni, pubblicarono un manifesto, dove si vide esposto come ingiusto e violento tutto il procedere di questo porporato, la cui penna non istette in ozio, e procurò di ribattere le ragioni e i lamenti di quel popolo. Grande strepito faceano parimente in questi tempi per l'Italia, anzi per l'universo, le mirabili azioni dello scach Nadir, ossia di Tamas Kulickan sofì della Persia, che, non contento di avere ricuperata la provincia di Candahar, e prese le altre di Cabul e Lahor, portò l'armi vittoriose sino al cuore del vastissimo imperio del gran Mogol, o sia dell'Indostan, con dare una terribile sconfitta agl'Indiani nel dì 22 di febbraio, con occupare la stessa capitale di Delhi, ed impadronirsi, oltre ad altre ricchezze, del famoso gioiellato trono di quel monarca, cioè d'un principe avvilito qual Sardanapalo nella voragine dei piaceri. Ma se è vero che sulla buona fede portatosi a lui lo stesso Mogol, fosse ritenuto prigione, e che esso Kulichan facesse in Delhi un macello di ducento mila persone, questo rinomato eroe, questo novello Tamerlano, denigrò di troppo con tal tradimento e con tanta crudeltà la propria gloria.
Anno di | Cristo MDCCXL. Indizione III. |
Benedetto XIV papa 1. | |
Carlo VI imperadore 30. |
Esercitò in quest'anno la morte la sua potenza sopra alcune delle più riguardevoli principesche teste della cristianità. Il primo a farne la pruova fu il sommo pontefice Clemente XII, già pervenuto all'età d'anni ottantotto. Pel peso di tanti anni s'era da molto tempo infievolita la sua sanità, gli occhi più non gli servivano, e costretto a vivere [461] per lo più io letto, quivi impiegava il residuo delle forze della mente e del suo buon volere nella continuazion del governo, aiutato in ciò dal cardinale Corsini suo nipote, e dal gottoso cardinale Firrao segretario di Stato. Ebbe egli il tempo di ricevere le informazioni spedite da monsignor Enriquez commissario apostolico intorno agli affari di San Marino; dalle quali risultava, che avendo esso prelato esplorata la libera intenzione del consiglio di quella città e del clero, e dei capi della comunità, la maggior parte si era trovata costante nel desiderio dell'antica sua libertà. Il perchè egli, secondo la facoltà a lui data, avea rimesso quei popoli in possesso di tutti i lor privilegii, cassando gli atti del cardinale Alberoni. Coronò il buon pontefice il fine del suo governo col confermare quella determinazione, ricevuta in appresso con gran plauso dentro e fuori d'Italia da ognuno; ma non già da esso cardinale Alberoni, il quale formò tosto, ma pubblicò poi dopo qualche anno, un manifesto in difesa propria, di cui sommamente si dolse la corte di Roma, per aver agli intaccato il ministero, e messe in luce senza licenza lettere a lui scritte dal segretario di Stato. Ora il decrepito pontefice nel dì 6 di febbraio passò a miglior vita, dopo avere governata la Chiesa di Dio nove anni e mezzo con lode di molta prudenza, zelo e giustizia, glorioso per aver ornata Roma di magnifici edifizii; eretto uno spedale per li fanciulli esposti, fabbricato l'insigne palazzo della Consulta, arricchito il campidoglio di una impareggiabile copia di rare statue e d'altre antichità, e la biblioteca Vaticana di preziosi manuscritti orientali, portati in Italia da monsignor Assemani primo custode della medesima, e per aver procurato a Ravenna e ad Ancona molti comodi ed ornamenti. Non si sa che la già ricchissima casa sua profittasse con arti improprie, nè con esorbitanza della di lui fortuna, avendo il pontefice anche in ciò fatto comparire la [462] moderazione sua, e schivato ogni eccesso del nepotismo.
Nel dì 18 di febbraio si richiusero nel conclave i sacri elettori, e cominciarono i lor maneggi colle consuete discrepanze delle fazioni. Abbondavano certamente in quell'insigne adunanza personaggi degnissimi del triregno; pure con istupore d'ognuno non si venne per mesi e mesi ad accordo alcuno, talmente che durò la lor prigionia per sei mesi continui: dilazione di cui da gran tempo non si era veduta la simile. Sa Iddio, quando vuole, sconcertar le misure e gl'imbrogli degli uomini, e chiaramente in questa congiuntura gli sconcertò, perchè alzò al pontificato chi n'era sommamente meritevole, ma non era stato proposto in addietro, nè punto aspirava a sì gran dignità. Andavano a vele gonfie la fazione corsina e i cardinali franzesi e spagnuoli in favore del cardinal Pompeo Aldrovandi Bolognese, persona che in acutezza e prontezza di mente, e nella scienza degli arcani della politica avea niuno o pochi pari. Tuttavia al cardinal Annibale Albani Camerlengo, capo della fazione dagli zelanti, parve che a questo degno soggetto mancasse alcuna delle doti che si esigono in chi ha da essere insieme principe grande, e, quel che più importa, ottimo pontefice. Però seppe egli così ben intralciar le cose, che non si giunse mai ai voti sufficienti per l'elezione dell'Aldrovandi, il quale, da che vide preclusa a sè stesso la strada per salire più alto, generosamente si adoperò perchè l'elezione cadesse in uno degli altri due ben degni porporati della patria sua, cioè nei cardinali Vicenzo Lodovico Gotti e Prospero Lambertini. Improvvisamente adunque, come eccitati dalla voce di Dio, nel dì 16 d'agosto inclinarono gli animi concordi del sacro collegio nella persona d'esso cardinale Lambertini, che era ben lontano dai desiderii di questo peso ed onore, e nel dì susseguente ne fecero la solenne elezione, poi canonizzata dal plauso universale di chiunque [463] conosceva il singolar merito personale di lui.
Prese egli il nome di Benedetto XIV, per venerazione al santo pontefice da cui era stato decorato della sacra porpora. Era egli nato in Bologna di casa antichissima e senatoria nel dì 31 di marzo del 1675 e però giunto all'età di sessantacinque anni. Dopo aver fatti i principali suoi studi in Roma, ed esercitate con gran lode varie cariche nella prelatura, fu nel 1728 dichiarato cardinale da papa Benedetto XIII, poscia promosso al vescovato d'Ancona, e finalmente creato arcivescovo di Bologna. Dovendo il romano pontefice essere maestro nella Chiesa di Dio, non si potea scegliere a sì alto ministero persona più propria di lui per la sua gran perizia de' canoni e dell'erudizione ecclesiastica, di cui già avea dato illustri pruove con quattro tomi De servorum Dei beatificatione, e De Sanctorum canonizatione, e colle Istruzioni sue pastorali intorno alle feste della Chiesa e al sacrifizio della Messa, e con un'altra utilissima Raccolta di decisioni ed editti spettanti alla disciplina ecclesiastica, dai quali si raccoglie quanto ampia sia la sua letteratura e ardente il suo zelo, talmente che da più secoli non era stata provveduta la Chiesa di Dio di un pontefice sì dotto e pratico del pastorale governo. A questi pregi si aggiugneva quello dei suoi costumi, fin dalla sua prima età incorrotti, la delicatezza della coscienza, ed una costante professione e pratica della vera pietà. Miravasi anche in lui una rara vivacità di spirito; e quantunque egli fosse impastato di un nitro che facilmente prendeva fuoco, pure questo fuoco non durava che momenti, perchè tosto smorzato dalla sua imperante virtù. Ora il novello pontefice nella sera dello stesso dì 16 di agosto pubblicamente passò alla visita della basilica Vaticana, per quivi venerare il santissimo Sacramento, e fare orazione alla sacra tomba dei principi degli Apostoli. Fu quivi che l'immenso popolo, accorso a vedere [464] il sospirato pastore, attestò con vive acclamazioni il suo giubilo. Seguì poi nel dì 25 d'esso mese la funzion solenne della sua coronazione; dopo di che si applicò egli vigorosamente al governo, avendo scelto per segretario di stato il cardinale Valenti Gonzaga, prodatario il cardinale Aldrovandi, prefetto dell'indice il cardinale Querini vescovo di Brescia, segretario dei memoriali monsignor Giuseppe Livizzani, e confermato segretario dei brevi il cardinale Passionei.
Mancò eziandio di vita nel dì 31 di maggio Federigo Guglielmo re di Prussia, a cui succedette il primogenito, cioè Federigo III, principe di spiriti sommamente guerrieri, del che poco staremo a vederne gli effetti. Similmente terminò i suoi giorni nella notte del dì 28 di ottobre Anna Ivvanovva imperadrice della gran Russia gloriosa per le sue imprese contra dei Tartari e de' Turchi, dichiarando suo successore il fanciullo principe Giovanni, nato dalla principessa Anna sua nipote, e dal principe Antonio Ulrico di Brunsvich e Luneburgo. Ma fra le morti che sommamente interessarono l'Italia anzi l'Europa tutta, quella fu dell'Imperadore Carlo VI. Era egli pervenuto alla età di cinquantacinque anni e pochi giorni, età florida, accompagnata da una competente sanità. Desiderava ognuno e sperava, che Dio lungamente lasciasse in vita quest'ottimo Augusto, perchè mancante in lui la discendenza maschile della gloriosissima casa d'Austria, che per più di quattro secoli con tanta lode avea governato l'imperio romano, ben si prevedeva, che la non mai quieta nè sazia ambizione dei potentati avrebbe aperta la porta a un seminario di liti e di guai. Prognosticavasi ancora, che poco sarebbe rispettata la prammatica sanzione, da lui saggiamente stabilita, e creduta antidoto valevole a risparmiare i temuti mali. Ma altrimenti dispose la divina Provvidenza, i cui occulti giudizi tanto più son da adorare, quanto meno ne intendiamo le cifre. Sorpreso questo [465] monarca nel dì 15 di ottobre da dolori nelle viscere, da gagliardo vomito e da febbre, andò in pochi dì peggiorando, e però, dopo aver data con tenerezza alle figlie arciduchesse la paterna benedizione, e presi con somma divozione i Sacramenti della Chiesa, coraggiosamente incontrò la separazione dalla vita presente, accaduta nella notte precedente al dì 20 del mese suddetto. Era desiderabile che un'egual costanza d'animo per altro conto si fosse trovata in questo insigne Augusto; giacchè non si dee tacere quello che il padre Agostino da Lugano cappuccino, rinomato fra i sacri oratori, ed ora vescovo di Como, confessò nella funebre orazione del monarca medesimo. Cioè, che portatoci monsignor Paolucci nunzio apostolico, oggidì cardinale, a complimentare la maestà sua cesarea nel di lui giorno natalizio, e ad augurarle lunga serie d'anni, il buon imperadore gli rispose, questo essere l'ultimo della sua vita. Interrogato del perchè, replicò di non poter sopravvivere alla gran perdita fatta di Belgrado, antemurale della cristianità. Passò dunque ad un miglior paese Carlo VI imperador de' Romani, a tessere il cui grandioso elogio non ebbero nè han bisogno alcuno le penne di chieder aiuto dall'adulazione: tanta era la sua pietà, capitale ereditario dell'augusta sua casa, tanta la saviezza, per cui non trascorse mai in quelle debolezze alle quali è sottoposto chi più siede in alto, tanta la clemenza e bontà dell'animo suo, che solamente si rallegrava in far grazie, e in beneficar le persone degne, e in sovvenire ai poveri, e solamente ripugnanza provava ai gastighi. Non m'inoltrerò io maggiormente nelle sue vere lodi, e chiuderò in una parola il suo ritratto, con dire ch'egli fu esemplare de' principi savii e buoni; e se cosa alcuna in lui non si approvò, fu qualche eccesso della stessa sua bontà, costume quasi trasfuso in lui per eredità dai suoi benignissimi antenati.
Lasciò egli erede universale di tutti [466] i suoi regni e Stati l'arciduchessa Maria Teresa primogenita sua, moglie di Francesco Stefano duca di Lorena e gran duca di Toscana: principessa, che siccome per la beltà potea competere colle più belle del suo sesso, così per l'elevatezza della mente, per la saviezza dei suoi consigli, ed anche per forza generosa di petto, gareggiava coi primi dell'altro sesso. Tosto fu ella riconosciuta dai sudditi per regina d'Ungheria e Boemia, ed erede di tutti gli Stati e dominii dell'inclita casa d'Austria. Diede ella principio in graziose maniere al suo governo col rimettere in libertà i generali Seckendorf, Wallis e Neuperg, e coll'isminuire d'alquanti aggravii i suoi popoli. Dichiarò ancora correggente dell'austriaca monarchia il granduca suo consorte, colle quali azioni, e con altre tutte lodevoli, confermò nei sudditi suoi la speranza di provare come rinato nella figlia l'impareggiabile Augusto Carlo VI. Ma che? poco durò questo bel sereno. Nel dì 3 di novembre fu pubblicata in Monaco da Carlo Alberto elettore di Baviera una protesta preservatrice delle sue ragioni sopra gli Stati della casa di Austria; nè egli volle riconoscere per regina ed erede di essi Stati la gran duchessa suddetta. Si fondavano le pretensioni d'esso elettore sopra il testamento di Ferdinando I imperadore, in cui, secondo la copia esistente in Monaco, si leggeva che la primogenita dello stesso Augusto succederebbe nei due regni d'Ungheria e Boemia, caso che non vi fossero eredi maschi dei tre fratelli della medesima. Da essa primogenita, cioè da Anna d'Austria, discendeva l'elettore stesso. Perchè egli sempre ricusò di approvare la prammatica sanzione, si studiò l'imperador Carlo VI vivente, per mezzo della corte di Francia, di calmare sì fatta pretensione, con far conoscere difettosa quella copia di testamento, tuttochè autenticata da un recente notaio, perchè nell'originale di esso testamento non si leggeva quella parola maschi, ma solamente in caso che più non vi fossero legittimi eredi dei tre [467] suoi fratelli, o simili parole tedesche, le quali atterravano tutto l'edifizio formato dalla corte di Baviera. Essendo poi passato all'altra vita esso Augusto, la regina, a fin di chiarire l'elettore e il pubblico tutto di questa verità, pregò i ministri di tutti i sovrani che si trovavano in Vienna, e massimamente quel di Baviera, di raunarsi un dì in casa del vicecancelliere conte di Sintzendorf, per esaminare il protocollo ed originale del sopraenunziato testamento. Tutti l'ebbero sotto gli occhi, ed, attentamente osservandolo, trovarono tale essere l'espressione del testatore Ferdinando augusto, quale si sosteneva in Vienna. E perciocchè il ministro bavarese, non contento di aver come gli altri ben considerata la verità di quelle parole, portò anch'esso protocollo ad una finestra, per osservar meglio contro la luce, se alcuna raschiatura o frode avesse alterato il primario carattere, nè vi trovò alterazione alcuna: non potè ritenersi il vicecancelliere dalla collera e dal prorompere contra di lui in risentimenti per tanta diffidenza. Ma che questo ripiego nulla servisse a distorre l'elettore dal proposito suo, non andrà molto che ce ne accorgeremo; giacchè fondava egli la pretension sua anche sopra il contratto di matrimonio della suddetta Anna d'Austria col duca Alberto di Baviera, e sopra altre parole del testamento stesso di Ferdinando I Augusto. Un'altra pretensione parimente moveva la corte di Baviera, e questa assai fondata e plausibile: cioè un credito di alcuni milioni a lei dovuti, fin quando l'armi bavaresi concorsero a liberar la Boemia dall'usurpatore palatino del Reno; per li quali era stata promessa un'adeguata ricompensa. Restava tuttavia attesa questa partita, nè gli Austriaci erano mai giunti a darne la piena soddisfazione.
Videsi intanto la Francia, siccome garante della prammatica sanzione, abbondare delle più dolci espressioni di amicizia verso la nuova regina d'Ungheria, benchè stentasse molto a riconoscerla [468] per tale. Ma nello stesso tempo facea preparamento di milizie e d'armi, ed altrettanto facevano dal canto loro gli Spagnuoli e il re delle Due Sicilie. Ciò che poi sorprese ognuno, fu il vedere Federico III re novello di Prussia, nel mentre che professava un gagliardo attaccamento agl'interessi della regina Maria Teresa, entrare improvvisamente, prima che terminasse l'anno, colle sue armi nella Slesia, cominciando egli prima il ballo, e dando principio a quelle rivoluzioni che già si conoscevano inevitabili, perchè desiderava e sperava più d'uno di profittare del deliquio patito dall'augusta casa d'Austria. Di questo mi riserbo io di parlare all'anno seguente. Gli affari della Corsica in quest'anno somministrarono motivi di molte speculazioni ai curiosi. All'udire i Franzesi, tutta l'isola era già sottomessa agli ordini loro; ma non appariva pure un barlume che ne fosse rilasciato il possesso e dominio intero alla repubblica di Genova, nè che i Franzesi pensassero a ritirarsene; anzi aspettavano essi un rinforzo di nuove truppe, perchè le malattie aveano di troppo estenuate le lor forze. All'incontro si trovavano dei corpi di malcontenti tuttavia sollevati; e chiaramente si scorgeva che la sola forza riteneva gli altri sottomessi in dovere, prevedendosi che dalla partenza dei Franzesi altro non si poteva aspettare che il risorgimento dei segreti mali umori in quella nazion feroce. Fra i ministri dell'imperadore e del re cristianissimo in Parigi tenute furono varie conferenze per rimettere la tranquillità nella Corsica, ma non se ne videro mai gli effetti. Intanto da quell'isola prese commiato il barone di Prost, nipote del fu re Teodoro, che fin qui s'era, con gran pericolo di cadere in man de' Franzesi, trattenuto fra i sollevati nelle montagne. La sua partenza rinvigorì non poco le speranze de' Genovesi.
Dopo essersi più mesi fermato in Venezia il real principe di Polonia Federigo, e dopo aver goduto degl'insigni divertimenti [469] a lui dati da quella magnifica repubblica in più funzioni, finalmente nel fine di maggio prese la via della Germania per ritornarsene in Sassonia, con lasciare anche a quella dominante gloriose memorie della sua gentilezza e munificenza. Fu in questi tempi che la real corte di Napoli, tutta intesa a rimettere e far fiorire il commercio in quel regno, si avvisò di permettere agli ebrei, già cacciati ai tempi di Carlo V Augusto, il ritorno colà, e di poter fissar ivi l'abitazione. A questo fine furono loro conceduti amplissimi privilegii ed esenzioni, tali nondimeno che cagionarono stupore, anzi ribrezzo ne' cristiani, perchè fu loro accordato di non portar segno alcuno, di abitar dovunque volessero, di usar bastone e spada, e di poter acquistare stabili e insino feudi, con gravissime pene a chi li molestasse. Però da varie parti dell'Europa cominciarono a comparir colà uomini d'essa nazione, vantandosi di volere e poter essi supplire ciò che i Napoletani potrebbono fare, ma pare che non sappiano fare da sè stessi. Se quella corte vide ed accettò volentieri questi baldanzosi forestieri, di altro umore fu bene il popolo, e massimamente gli ecclesiastici di quella sì popolata città, che non si poteano astenere dal declamare contro di essi anche pubblicamente. Il padre Pepe gesuita, uomo di molta santità, e in gran concetto presso la corte stessa, non rifiutò mai di detestare dal pulpito l'introduzione di questa gente. Giunse anche un cappuccino a tanta arditezza di dire al re, che la maestà sua non avrebbe mai successione maschile finchè non licenziasse gl'introdotti ebrei. Ma col tempo si vide cessare, e per altro mezzo, questo ondeggiamento. Cioè tali segreti insulti andò facendo quello scapestrato popolo all'odiata nazione giudaica, che niun di costoro osava di aprir pubbliche botteghe. Giunse la plebe fino a minacciar loro un totale esterminio, se per avventura non succedeva la consueta liquefazione del sangue di san Gennaro, [470] perchè questo creduto gran male si sarebbe attribuito al demerito di ospiti tali, segreti odiatori del cristianesimo. In somma tanto crebbe col tempo il timore nei medesimi giudei, che a poco a poco andarono sfumando da Napoli; e se alcuna ve ne resta, è perchè poco ha da perdere, e sa sottrarsi alla conoscenza del popolo. Riuscì per lo contrario di molta soddisfazione ai regnicoli un trattato di pace e navigazione stabilito in Costantinopoli dal re don Carlo colla Porta Ottomana nel dì 7 di aprile per mezzo del cavalier Finocchietti suo plenipotenziario, per cui si aprì la libertà del commercio fra i Turchi e i regni di Napoli e Sicilia, e cessò ogni ostilità fra essi, con isperanza ancora che il gran signore impegnerebbe in un trattato simile le reggenze di Algeri, Tunisi e Tripoli. Di sè, e non del sovrano, attento al bene dei suoi popoli, si ebbe a dolere chi non profittò di così bella apertura ai guadagni. Fu poi dichiarato ambasciatore il principe di Francavilla, per passare alla Porta, con superbi regali da presentarsi al gran signore.
Anno di | Cristo MDCCXLI. Indizione IV. |
Benedetto XIV papa 2. | |
Vacante l'imperio. |
Alle speranze concepute dalla corte e dal popolo romano intorno al novello pontefice Benedetto XIV si videro ben presto corrispondere i fatti. Trovossi che seco su quell'augusto trono era passata la consueta sua giovialità, affabilità e cortesia, e il costante abborrimento alla sostenutezza ed al fasto. Molto più si scoprì aver egli accettata quella pubblica dignità, non già per vantaggio proprio o della sua nobil casa, ma unicamente per procurare il ben della Chiesa, per giovare alla camera apostolica, e, per quanto fosse possibile, al pubblico tutto. Pochi poterono uguagliarsi a questo buon pontefice nel disinteresse e nella liberalità. Ciò che a lui perveniva o di rendite proprie, o di regali, gli usciva tosto dalle [471] mani. I poveri spezialmente participavano di queste rugiade, e saccheggiavano il suo privato erario. Un solo nipote ex fratre aveva egli, cioè don Egano Lambertini senator bolognese. Gli ordinò di non venire a Roma, se non quando l'avesse chiamato, e poi sempre si dimenticò di chiamarlo. Anzi, all'osservare tanta sua munificenza verso degli altri, solamente ristretta verso d'esso suo nipote, parve a non pochi che l'animo suo, per troppo abborrire gli eccessi degli antichi nepotismi, cadesse poi nel contrario eccesso, ossia difetto. Per varii bisogni o inconvenienti de' tempi passati trovò egli la camera apostolica aggravata da una gran somma di milioni di scudi, e dei frutti corrispondenti, e di molte spese superflue. Impossibile conobbe la cura di sì gran male: pure si applicò per quanto potè a procacciarne il sollievo, cominciando da sè stesso, col riformare la propria tavola, e il proprio vestire e trattamento, e non ammettendo se non il puramente necessario. Giacchè era mancato di vita, durante il conclave, il cardinale Ottoboni, conferì esso pontefice la carica di vicecancelliere al cardinale Rufo, che generosamente rilasciò in benefizio della camera la maggior parte del soldo annesso alla medesima. Sì pingue era in addietro la paga delle milizie pontifizie, che ogni semplice soldato potea dirsi pagato da uffiziale, e così a proporzion gli uffiziali stessi. Dal santo padre fu riformato il salario non men degli uni che degli altri; e de' soldati ne risparmiò cinquecento, non già cassandoli senza misericordia, ma ordinando che, mancando essi di vita, non si reclutassero. Trovò anche maniera di liberar la camera apostolica da varie pensioni addossate alla medesima dai pontefici troppo liberali della roba altrui. In una parola, tanto si adoperò, ch'essa camera ripigliò gran vigore, e dove in addietro sbilanciava nelle spese, cominciò a sperar degli avanzi.
Maggior premura ancora ebbe il vigilantissimo pontefice per la riforma della [472] prelatura e del clero, facendo sapere ad ognuno che non promoverebbe agli uffizii ed impieghi, se non chi sel meritasse coll'attestato della vita ben costumata e conveniente a persone ecclesiastiche, e coll'applicazione agli studii. A questo fine furono poscia dalla santità sua istituite quattro diverse accademie, nelle quali spezialmente si esercitassero i prelati esistenti in Roma in compagnia dei più cospicui letterati di quella gran metropoli, dovendosi trattare de' canoni e concilii, della storia ecclesiastica, della storia ed erudizione romana, e dei riti sacri della Chiesa. Propose inoltre il santo padre di riformare il lusso massimamente della nobiltà romana, sì per esentare le illustri case da dispendii, talvolta superiori alle rendite loro, con far debiti, al pagamento dei quali si trovava poi o molta difficoltà, o pure impotenza; come ancora per ritener nello Stato il tanto danaro che n'esce, per soddisfar le pazze voglie della moda. Si tennero su questo varie conferenze, e si videro saggi progetti proposti dai conservatori della città. Ma chi lo crederebbe? tanti ostacoli, tante riflessioni in contrario scapparono fuori, sopra tutto per opera di chi profitta della balordaggine degl'Italiani, che sì bel disegno rimase arenato. Istituì ancora una congregazione di cinque porporati, per esaminar la vita e i costumi dei destinati alla dignità episcopale. Di questo passo procedeva lo zelantissimo pontefice Benedetto XIV, con accrescere il suo merito presso Dio e presso gli uomini. Inviò egli in tanto col carattere di nunzio straordinario alla dieta dell'elezione del nuovo imperadore monsignor Doria, figlio del principe Doria, dichiarato arcivescovo di Calcedonia, che con suntuoso equipaggio s'incamminò alla volta della Germania.
Siccome pur troppo aveano preveduto i saggi, cominciarono a provarsi le perniciose conseguenze della morte del buon imperador Carlo VI. Sul fine dell'anno precedente il giovine Federigo III [473] re di Prussia, senza far precedere dimanda o sfida alcuna, con venticinque mila soldati e buon treno d'artiglieria era corso ad impadronirsi d'alcuni luoghi della Slesia austriaca, non già, dicea egli, per alcuna mala intenzione sua contro la corte di Vienna, nè per inquietare l'imperio, ma solamente per sostenere i suoi diritti sopra alcuni ducati e territorii di quella provincia, la più ricca e fruttuosa che si avesse in Germania l'augusta casa di Austria. Susseguentemente dipoi pubblicò un manifesto, in cui dedusse i fondamenti di quelle sue pretensioni, dichiarando nullo un trattato di concordia, conchiuso nel 1686 fra la corte di Vienna e quelle di Brandenburgo. Intanto perchè non si aspettava nella Slesia una sì fatta tempesta, nè vi si trovava preparamento alcuno per resistere, nel dì 3 di gennaio dell'anno presente non fu difficile al Prussiano di entrare in Breslavia, capitale di quella provincia, e di occupare altri luoghi nè pur pretesi nel suo manifesto; dopo di che ridusse le sue milizie al riposo. Ancorchè per questo inaspettato colpo si trovasse più di un poco confusa la corte di Vienna, pure adunato che ebbe un corpo di circa venti mila veterani soldati, lo spinse in Islesia sotto il comando del maresciallo conte di Neuperg, con ordine di tentare una battaglia. S'inoltrò questo generale sino a Millovitz in poca distanza da Brieg, ed ivi incontratosi col grosso dell'armata prussiana, nel dì 10 d'aprile dell'anno presente venne con essa alle mani. Sei ore continue durò l'atroce combattimento, in cui riuscì alla cavalleria austriaca di rovesciar la prussiana, e si vide anche più d'una volta piegar l'ala sinistra d'essi Prussiani; ma in fine trovandosi di lunga mano superiori le forze nemiche, e in maggior copia le loro artiglierie, che fecero di brutti squarci nelle schiere austriache, fu obbligato il Neuperg a ritirarsi, e a lasciare il campo di battaglia ai Prussiani, che riportarono bensì vittoria, ma a costo di moltissimo loro sangue. V'era in persona lo stesso re di [474] Prussia, che diede gran segni d'intrepidezza e di bel regolamento nei movimenti delle sue armi. Dopo di che nel dì 4 di maggio egli s'impadronì di Brieg, una delle più belle città della Slesia. Succederono poscia varii negoziati per l'amichevole via di qualche aggiustamento; e se fossero stati ben accolti per tempo i consigli dell'Inghilterra ed Olanda, avrebbe probabilmente la regina, col sacrifizio di una parte della Slesia, potuto conservar l'altra, ed acquetar le pretensioni del re prussiano. Ma siccome principessa di gran coraggio, e troppo renitente ad acconsentire che restasse vulnerata la prammatica sanzione, più tosto volle esporsi a perdere tutta quella bella provincia, che spontaneamente cederne una porzione. Inesplicabil allegrezza intanto avea provato la corte di Vienna per un arciduchino, partorito dalla suddetta regina nel dì 15 di marzo, cui furono posti i nomi di Giuseppe Benedetto. Per questo dono del cielo solenni feste furono fatte.
Intanto ecco alzarsi dalla parte di ponente un più nero e minaccioso temporale. Già Carlo Alberto elettor di Baviera avea in pronto un esercito di circa trenta mila combattenti, e sul fine d'agosto improvvisamente andò ad impossessarsi dell'importante città di Passavia, con promettere di non intorbidar quivi il dominio civile del cardinale di Lamberg vescovo esemplarissimo, e principe benignissimo di quella città. Ma un nulla fu questo. Fin qui, non ostante il grande apparato di guerra che si faceva in Francia, non altro s'udiva che intenzioni di quella corte di sostenere la prammatica sanzione, di cui essa non dimenticava di essere garante. Ma verso la metà d'agosto ecco con tre corpi, o, per dir meglio, con tre eserciti i Franzesi, valicato il Reno, entrar nelle terre dell'imperio, con far correre voce, per mezzo de' suoi ministri nelle corti, che questo sì gagliardo movimento d'armi non era per distorsi dagl'impegni della garanzia suddetta, ma bensì a solo oggetto di assicurar la quiete della Germania, [475] e la libera elezione di un imperadore. Queste ed altre simili proteste del gabinetto di Francia non si sapeano digerire dagl'intendenti in Germania, i quali gridavano essere vergognosa cosa lo spaccio di esse, quando chiaramente ognuno scorgea, che le armate franzesi unicamente tendevano a dar la legge al corpo germanico, e a forzare chiunque s'opponesse alla promozione dell'elettor di Baviera alla corona imperiale, e ad unirsi con esso principe contro la regina d'Ungheria. Imperciocchè, diceano essi, non è più un mistero il dirsi nella corte di Francia, essere venuto il tempo di abbassare una volta la casa d'Austria, quella casa che fin qui avea fatto il possibile argine al maggiore accrescimento della non mai sazia potenza franzese. E però doversi trasportare lo scettro cesareo in altro principe che per la debolezza delle sue forze non osasse nè potesse contrastare ai voleri della Francia; e che per isnervare l'austriaca regina, d'uopo era spogliarla del regno della Boemia, dappoichè il re di Prussia avea fatto lo stesso della Slesia. A questo fine si vide non solamente posto in dubbio, ma anche negato alla regina il voto della Boemia nell'elezione del futuro imperadore, senza che valessero le ragioni e proteste della medesima. Favorevoli ancora ai disegni della Francia si trovarono gli elettori palatino e di Colonia; nè molto stette lo stesso Federigo Augusto re di Polonia, ed elettor di Sassonia, a prendere l'armi e ad unirsi coi Bavaresi e Franzesi contro la regina. Dal re Cristianissimo fu dichiarato general comandante delle sue milizie l'elettor di Baviera, con protestare che queste non altro erano che ausiliare d'esso elettore, per sostenere i legittimi diritti della di lui casa; giacchè non negava la corte di Francia di aver ben accettata e garantita la prammatica sanzione austriaca, ma aggiugneva che questo s'avea da intendere senza pregiudizio delle ragioni altrui. Dicevano alcuni, non saper, nè pur la gente dozzinale, capire queste raffinate precisioni del [476] gabinetto franzese; perchè le parea che l'aver giurato di mantener l'unione degli Stati della casa d'Austria lo stesso fosse che promettere di non impegnar l'armi per discioglierla, nè passar differenza fra chi si obbliga di non uccidere uno, e poi presta il pugnale o porge in altra maniera aiuto ad un altro per levargli la vita. Gridavano perciò, bandita la buona fede da quel gabinetto, e a nulla più servire le pubbliche paci, quando con tanta facilità si faceano nascere apparenti ragioni e scuse di romperle. Per quello ch'io ho inteso da buona parte, ripugnò forte il cardinale di Fleury primo ministro allo imbarco della Francia in questa guerra, perchè assai conosceva le leggi dell'onore e del giusto; ma da un tale fanatismo fu preso allora tutto il consiglio del re cristianissimo, che gridando ognuno all'armi per così favorevol occasione di deprimere l'emula casa d'Austria, e insieme il romano imperio, forzato fu esso cardinale di cedere alla piena, e di cominciar questa nuova tragedia.
Ora da che si trovò l'elettor di Baviera rinforzato da venti, altri dissero trenta mila Franzesi, più non indugiò ad entrare sul fine di settembre nell'Austria con impadronirsi di Lintz, Eens, Steir ed altri luoghi, dove si fece prestare omaggio da que' popoli. Avea proposto il duca di Bellisle nel consiglio di Versaglies che si mandasse in Baviera una potente armata, con cui s'andasse a dirittura a Vienna; ma il cardinale di Fleury non l'intese così, e mandò poco. Tale nondimeno per questo fu la costernazione nella città di Vienna, che ognuno a momenti s'aspettava d'essere ivi stretto da un assedio, e ne uscì gran copia di benestanti col meglio dei loro effetti. Da molto tempo si tratteneva la regina col gran duca consorte in Presburgo, dove avea ricevuta la corona del regno d'Ungheria. Cagion fu il movimento dei Gallo-Bavari ch'essa immantenente facesse portar colà da Vienna il tenero arciduchino, co' più preziosi mobili della corte, archivii e biblioteca [477] imperiale. Con un sì patetico discorso rappresentò poscia ai magnati ungheri il bisogno de' loro soccorsi, e la fidanza sua nel lor appoggio e fedeltà, che trasse le lagrime dagli occhi di ognuno, e tutti giurarono la di lei difesa; e detto fatto, raunarono un esercito di trenta mila armati, con promessa di più rilevanti aiuti. Costò nondimeno ben caro ad essa regnante l'acquisto della corona ungarica, e dell'affetto di que' popoli, perchè le convenne comperarlo coll'accordar loro varii privilegii e la libertà di coscienza, non senza grave discapito della religione cattolica in quelle parti. Mirabili fortificazioni intanto si fecero in Vienna; copiose provvisioni e munizioni vi s'introdussero; ed oltre ad un forte presidio di truppe regolate, prese l'armi tutta quella cittadinanza, risoluta di spendere le vite in difesa della patria e dell'amatissima loro regnante. Ma o sia che l'elettor bavaro riflettesse alle troppe difficoltà di superare una sì forte e ben guernita città, al che gran tempo e fatica si esigerebbe, o più tosto ch'egli pensasse non all'Austria, ma al regno della Boemia, dove spezialmente terminavano i desiderii e le speranze sue: certo è ch'egli dopo la metà d'ottobre s'inviò a quella volta colla maggior parte delle sue truppe e delle franzesi, che andavano sempre più crescendo. Trovavasi allora la Boemia sprovveduta affatto di forze per resistere a questo torrente. Contuttociò non mancò il principe di Lobkowitz di raccogliere quelle poche truppe che potè, ed avendole unite con un distaccamento inviatogli dal conte di Neuperg, si applicò alla difesa della sola città di Praga, dove formò dei magazzini superiori anche al bisogno suo.
Di cento e due altre città (che così quivi si chiamano anche i borghi e le terre grosse di quel regno) poche altre vi erano capaci di far buona resistenza. Verso la metà di novembre comparve la possente armata gallo-bavara sotto Praga, e fatta inutilmente la chiamata al comandante maresciallo di campo Oglivi, si dispose [478] alle ostilità. Non mancavano ragioni e pretensioni al re di Polonia ed elettor di Sassonia Federigo Augusto III nell'eredità della casa d'Austria; e giacchè vide Prussiani e Bavaresi tutti rivolti a prenderne chi una parte e chi un'altra, non volle più stare a segno; ed accordatosi coll'elettor di Baviera, entrò anche egli nella danza, e spedì molti reggimenti suoi e un grosso treno d'artiglieria all'assedio di Praga. Di vastissimo giro, come ognun sa, è quella città, perchè composta di tre città. A ben difenderla si richiedeva un'armata intera, e questa mancava; perchè era ben giunto il gran duca Francesco col principe Carlo di Lorena suo fratello a Tabor, menando seco un buon esercito, ma non tale da potersi cimentare col troppo superiore de' nemici. Servì piuttosto l'avvicinamento di essi Austriaci per affrettar le operazioni degli alleati. Infatti nella notte del dì 25 venendo il dì 26 di novembre, ordinò l'elettor bavero un assalto generale a Praga; i Sassoni spezialmente si segnalarono in quella sanguinosa azione. Presa fu la città, ma così buon ordine avea dato l'elettore, ch'essa restò esente dal sacco. Ben tre mila furono i prigionieri. Dopo l'acquisto della capitale si fece l'elettor bavaro proclamare re di Boemia nel dì 9 di dicembre, e citò gli Stati di quel regno a prestargli l'omaggio. Convien confessarlo: tra perchè non pochi erano quivi mal soddisfatti del passato governo, e, secondo la vana speranza dei popoli, si lusingavano molti altri di mutare in meglio il loro stato col cangiamento del principe, e tanto più perchè non dimenticò l'elettore di spendere largamente le carezze e le speranze a quella gente; apertamente, ma i più in lor cuore, accettarono con gioia questo novello sovrano. Per la caduta di Praga si ritirò ben in fretta il gran duca coll'esercito cesareo alla volta della Moravia; ma anche colà passarono i Prussiani, e riuscì loro d'impadronirsi d'Olmutz, capitale d'essa provincia.
Mentre era la regina d'Ungheria attorniata [479] e lacerata da tanti nemici in Germania, un altro minaccioso nembo si preparava contro di lei in Italia. Avea bensì il Cattolico re Filippo V accettata la prammatica sanzione austriaca; pure, appena tolto fu di vita l'imperador Carlo VI che si diede fuoco nella corte di Spagna a forti pretensioni non sopra qualche parte della monarchia austriaca, ma sopra di tutta. Era, come ognun sa, l'Augusto Carlo V padrone anche di tutti gli Stati austriaci della Germania e dei Paesi Bassi. Ne fece egli una cessione a Ferdinando I suo fratello, ma si pretendeva, che mancando la discendenza maschile d'esso Ferdinando, tutti gli Stati dovessero tornare alla linea austriaca di Spagna. Su questi fondamenti, che a me non tocca di esaminare, il re Cattolico, siccome discendente per via di femmine dal suddetto Carlo V, aspirava al dominio dello Stato di Milano, e di Parma e Piacenza, giacchè non era da pensare agli Stati della Germania, troppo lontani e in parte afferrati da altri pretensori. Vero è che parve a quel monarca posta in obblio la solenne rinunzia da lui fatta nel trattato di Londra dell'anno 1718 a tutti gli Stati d'Italia e Fiandra posseduti dall'imperadore; ma per mala sorte, torto o ragione che s'abbiano i principi, ordinariamente le loro liti non ammettono o non truovano alcun tribunale che le decida, fuorchè quello dell'armi. Diedesi dunque la Spagna a formare un possente armamento, e ordinò all'infante don Carlo re delle Due Sicilie di fare altrettanto. Ecco pertanto cominciar a giugnere verso la metà di novembre ad Orbitello, e agli altri porti di Toscana spettanti ad esso re don Carlo, varii imbarchi di truppe, munizioni ed artiglierie provenienti da Barcellona e da Napoli. Parimenti ad esso Orbitello arrivò, nel dì 9 di dicembre, il duca di Montemar, destinato generale dell'armi di Spagna in Italia; e da che nel regno di Napoli fu fatta una massa di circa dodici mila soldati, fu chiesto alla corte di Roma il passaggio per gli Stati [480] della Chiesa. Gran gelosia ed apprensione diedero alla Toscana sì fatti movimenti; e come se si aspettasse a momenti un'invasione da quella parte, si presero le possibili precauzioni per la difesa di Livorno ed altri luoghi. Ma perciocchè premeva alla Francia che non fosse inquietata la Toscana, siccome paese permutato nella Lorena, e guarentito dal re Cristianissimo, ben prevedendo essa, che l'acquisto d'essa Lorena rimarrebbe esposto a pretensioni, qualora fosse occupato da altri il ducato di Toscana; perciò fu sotto mano fatto intendere al gran duca, duca di Lorena, che non temesse sconcerti a quegli Stati; e questa promessa si vide religiosamente mantenuta dipoi dalla corte di Francia. Per conseguente le speranze de' Napolispani si rivolsero tutte agli Stati della Lombardia.
Non istava intanto in ozio la corte di Vienna, cercando chi la salvasse dal naufragio di sì gran tempesta. Fu spedito in Olanda e a Londra il principe Wenceslao di Lictenstein, per promuovere quelle potenze in aiuto suo, con far valere i tanti motivi di non lasciar crescere di soverchio la già sì aumentata possanza della real casa di Borbone, e di non permettere l'abbassamento dell'augusta casa d'Austria dalla cui conservazione e forza principalmente dipendeva la libertà e la salute della Germania, e delle stesse potenze marittime. Trovossi nel re Giorgio II e nei parlamenti d'Inghilterra tutta la più desiderabil disposizione di sostenere, secondo gli obblighi precedenti, la prammatica sanzione, e d'imprendere la guerra contra de' Franzesi, distruttori della medesima. Non furono così favorevoli le risposte degli Olandesi; perchè troppo rincresceva a quella nazione di rinunziare ai rilevanti profitti del commercio, finora mantenuto con Franzesi e Spagnuoli. Fu anche creduto che non mancassero in quelle provincie dei pensionarii della Francia; ed altro perciò non si potè ottenere, se non che [481] le provincie unite puntualmente soddisfarebbono agli obblighi e patti della loro lega, col somministrare venti mila combattenti in soccorso della regina, venendo il caso della guerra. Quanto all'Italia, cominciò per tempo la corte di Vienna i suoi negoziati con Carlo Emmanuele re di Sardegna, siccome sovrano potente, e più degli altri interessato nei tentativi che il re di Spagna e delle Due Sicilie meditavano di fare in essa Italia. Perciocchè per conto della repubblica di Venezia ben presto si scoprì che, secondo le saggie sue massime, faceva ella bensì un considerabil aumento di truppe nelle sue città di terra ferma, ma coll'unico disegno di tenersi neutrale; giacchè forze non le mancavano per far rispettare la sua indifferenza e neutralità. Avea sulle prime il re di Sardegna fatto indagare i sentimenti della corte di Madrid in riguardo alla persona e forze sue nella presente rottura. La ritrovò così persuasa della propria potenza, che non si credea nè bisognosa dell'aiuto altrui per conquistare lo Stato di Milano, nè assai apprensiva dell'opposizione che potesse farle il re sardo, forse perchè s'immaginava col mezzo degli amici franzesi di ritenerlo dall'imprendere un contrario impegno. Solamente dunque gli esibì un tenue briciolo dello Stato di Milano, con promessa di ricompensarlo a misura del suo soccorso, e della felicità de' meditati progressi. Queste ed altre ambigue risposte congiunte alla conoscenza del pericolo, a cui si resterebbe esposta la real casa di Savoia quando cadesse in mano degli Spagnuoli lo Stato di Milano, cagion furono ch'esso re di Sardegna prendesse altro cammino. Rifletteva egli che il re Cattolico avea bensì nel trattato del dì 13 d'agosto del 1715 approvata la cessione fatta dall'imperadore al duca Vittorio Amedeo suo padre del Monferrato, Alessandrino ed altre porzioni del Milanese, ed in oltre ceduto nelle forme più obbliganti il regno di Sicilia al medesimo duca; e pure da lì a non molto tentò di [482] spogliarlo d'esso regno; potersi perciò temere un pari trattamento per gli Stati della Lombardia passati in dominio della casa di Savoia. Applicossi dunque il re Carlo Emmanuele a maneggiare gli affari suoi colla regina d'Ungheria e col re britannico, e a fortificar le piazze, e ad accrescere le sue genti d'armi, e per avere in pronto una possente armata al bisogno, barcheggiando intanto, finchè venisse il tempo di stringere qualche partito.
Durante l'anno presente il pontefice Benedetto XIV, il cui cuore non ad altro inclinava che alla pace con tutti i potentati cattolici, siccome padre amantissimo d'ognuno, determinò di mettere fine alle differenze insorte sotto i suoi predecessori, e durate per lo spazio di trenta anni fra la santa Sede e le corone di Spagna, Portogallo, Due Sicilie e Sardegna. S'erano già smaltite sotto il precedente pontefice molte delle principali difficoltà, nè altro mancava che la conchiusion degli accordi. Al di lui buon volere e saviezza non fu difficile il dar l'ultima mano a questi trattati sì nel presente che nel susseguente anno; così che tornò la buona armonia con tutti, e le nunziature si riaprirono, e la dateria riassunse le sue spedizioni. Intenta eziandio la santità sua al sollievo della povera gente, nel marzo di quest'anno introdusse l'uso della carta bollata per li contratti e scritture che si avessero a produrre in giudizio, siccome aggravio ridondante sopra i soli benestanti, con isgravare nel medesimo tempo il popolo da varii altri imposti sopra l'olio, sete crude, buoi ed altri animali. Ma perciocchè non mancarono persone, le quali, contro la retta intenzione di lui ampliando questo aggravio della carta bollata, ne convertivano buona parte in lor pro con gravi lamenti del pubblico, il santo padre, provveduto di buona mente per non lasciarsi ingannare dai ministri, coraggiosamente abolì esso aggravio, e ne riportò somma lode da tutti. Nel dì 17 di giugno [483] dell'anno presente diede fine al suo vivere il doge di Venezia Luigi Pisani, stimatissimo per le sublimi e rare sue doti. Fu poi sostituito in essa dignità nel dì 30 del suddetto mese, il cavaliere e procuratore Pietro Grimani, personaggio di gran saviezza, chiarissimo per le sue cospicue ambasciarie, e veterano nei maneggi e nelle cariche di quella saggia repubblica. Infierì parimente la morte contra una giovine principessa degna di lunghissima vita. Questa fu Elisabetta Teresa sorella di Francesco duca di Lorena, e regnante gran duca di Toscana, e moglie di Carlo Emmanuele re di Sardegna. Era essa giunta all'età di ventinove anni, mesi otto e giorni diciotto. Avea nel dì 21 del sopraddetto giugno dato alla luce un principino, appellato poi duca di Chablais con somma consolazione di quella corte. Ma si convertirono fra poco le allegrezze in pianti, perchè sorpresa essa regina dalla febbre migliarina, pericolosa per le partorienti, nel dì 3 di luglio rendè l'anima al suo creatore. Non si può assai esprimere quanta grazia avesse questa principessa per farsi amare non solo dal real consorte, ma da tutti, nè quanta fosse la sua pietà e carità verso de' poveri. La maggior parte del suo appannaggio s'impiegava in limosine, e, mancandole talvolta il danaro, ella impiegava alcuna delle sue gioie: del che informato il re, le riscuoteva, e graziosamente gliele facea riportare. In somma universale fu il cordoglio per questa perdita, e dolce memoria restò di tante sue virtù; siccome ancora restarono due principi e una principessa, frutti viventi del suo matrimonio.
Da gran tempo era stabilito l'accasamento del principe ereditario di Modena Ercole Rinaldo d'Este, figlio del regnante duca Francesco III, colla principessa Maria Teresa Cibò, che per la morte di don Alderano duca di Massa e di Carrara suo padre era divenuta signora di quel ducato. Per la non ancor abile età del principe si era differita fin qui l'esecuzione [484] di questo maritaggio; ma finalmente se gli diede compimento nel settembre dell'anno presente; sicchè sul fine d'esso mese fu condotta essa principessa con suntuoso accompagnamento da don Carlo Filiberto d'Este, marchese di San Martino, e principe del sacro romano imperio, alla volta di Sassuolo, dove si trovava il duca e la duchessa Carlotta Aglae d'Orleans, i quali andarono ad incontrarla a Gorzano, e solennizzarono dipoi con molte feste la sua venuta. Stavano intanto i curiosi aspettando di vedere, dopo tante dicerie e lunari, qual esito o destino fossero per avere gli affari della Corsica, tuttavia fluttuante, e non mai pacificata. Perchè le truppe Franzesi aveano quivi preso sì lungo riposo, sognarono i novellisti che la repubblica di Genova fosse in trattato di vendere quell'isola alla Francia, o di permutarla con qualche altro Stato, o di darla all'infante di Spagna don Filippo genero del re Cristianissimo. La vanità di sì fatte immaginazioni in fine si scopri. Non terminò l'anno presente che la corte di Francia, entrata in impegni di maggior conseguenza, richiamò il marchese di Maillebois colle sue truppe in Provenza; laonde la Corsica, accorrendo ogni dì nuovi banditi, e sciolta dal rispetto e timore de' Franzesi, tornò a poco a poco al solito giuoco della ribellione, con isdegno e pentimento de' Genovesi, che tanto aveano speso in procurar de' medici a quella cancrena. Con tali successi arrivò il fine dell'anno presente; anno, che con tanti preparamenti di guerra prometteva calamità di lunga mano maggiori al seguente; ed anno, in cui, oltre alle rivoluzioni dell'Austria, Boemia e Slesia, altre se ne videro nella Gran Russia, alla quale ancora fu dichiarata la guerra dagli Svezzesi collegati colla Porta Ottomana; ma con tornare essa guerra solamente in isvantaggio della Svezia medesima, non assistita poi dai Turchi, nè capace di far fronte alle superiori forze della Russia.
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Anno di | Cristo MDCCXLII. Indizione V. |
Benedetto XIV papa 3. | |
Carlo VII imperadore 1. |
Più d'un anno correva che restava vacante il seggio imperiale, non tanto per li diversi interessi ed inclinazioni degli elettori, quanto per la disputa insorta intorno al voto della Boemia, il quale veniva contrastato o negato da chi o per amore o per forza seguitava le istruzioni della Francia, per essere caduto quel regno in donna, cioè nella regina d'Ungheria Maria Teresa d'Austria. Ma da che Carlo Alberto duca ed elettor di Baviera si fu impadronito di Praga capitale d'essa Boemia, e nel dì 19 del precedente dicembre si fece prestare omaggio dai deputati ecclesiastici e secolari delle città boeme, forzate fin qui alla sua ubbidienza: si procedè finalmente nella città di Francoforte all'elezione di un nuovo imperadore nel dì 24 di gennaio dell'anno presente. Concorsero i voti degli elettori nella persona del suddetto elettore di Baviera, che da lì innanzi fu intitolato Carlo VII Augusto. Contro di tale elezione la regina d'Ungheria non lasciò di far le occorrenti proteste. Comparve poscia in quella città il novello imperadore nel dì 31 del mese suddetto, accolto con incredibil magnificenza, e nel dì 12 di febbraio seguì la suntuosa funzione dell'incoronamento suo. Susseguentemente nel dì 8 di marzo con gran solennità fu coronata imperadrice de' Romani l'Augusta Maria Amalia d'Austria consorte del nuovo imperadore. Non si potea vedere in più bell'auge l'elettoral casa di Baviera, giunta dopo più secoli a riavere il diadema imperiale, divenuta padrona del regno di Boemia e di parte dell'Austria, ed assistita dalla potentissima corte di Francia. O prima d'ora, o in queste circostanze, si trovò in tal costernazione la corte austriaca per sentirsi sola e abbandonata in questa gran tempesta, e dopo aver perduto tanto, in pericolo ancora di [486] perdere molto più, se non anche tutto, che nel suo consiglio persona vi fu che stimò bene di persuader la pace anche col sacrifizio della Boemia. Fu questa una stoccata al cuore della regina. Altro consigliere poi si fabbricò un buon luogo nella grazia della maestà sua per l'avvenire coll'animare il di lei coraggio, e conchiudere che si avea a fare ogni possibil resistenza, confidando nella protezione di Dio per la buona causa, e col mostrare a quali vicende sia sottoposta la fortuna anche de' più potenti. In fatti si allestì un buon armamento, si uscì in campagna, e molto non tardò a venir calando cotanta felicità del Bavaro Augusto. Imperocchè avendo la regina ammanite molte forze coi vecchi suoi reggimenti, e colla giunta di gran gente accorsa dall'Ungheria: sul principio del presente anno il gran duca Francesco suo consorte col general comandante conte di Kevenuller, governatore di Vienna, dopo avere ricuperato le città di Stair ed Eens, andò a mettere l'assedio alla città di Lintz. Nello stesso tempo s'impadronirono gli Austriaci di Scarding, e nel dì 16 o pure 17 di gennaio diedero una rotta ad un grosso corpo di Bavaresi condotto sotto quella piazza dal maresciallo bavarese conte Terringh. La città di Lintz, benchè fornita d'un presidio consistente in più di sette mila Gallo-Bavari, pure nel dì 23 dello stesso mese si arrendè con patti onorevoli, essendo restata libera la guarnigione, ma con patto di non prendere per un anno l'armi contro la regina d'Ungheria: patto che fu poi per alcune ragioni mal osservato. Ciò fatto, furiosamente entrarono gli Austriaci nella Baviera. Braunau e Passavia furono costrette ad arrendersi: il terrore si stese fino a Monaco capitale d'essa Baviera, la quale, mancando di fortificazioni e di gente che la potesse sostenere, nel dì 13 di febbraio con condizioni molto oneste venne in potere degli Austriaci. Ed ecco quasi, a riserva d'Ingolstad e di Straubinga, la Baviera sottomessa alla regina d'Ungheria, [487] ed esposta alla desolazione portata dall'armi vincitrici, cioè i poveri popoli condannati a far penitenza degli alti disegni del loro sovrano. Mancò intanto di vita in Vienna l'augusta imperadrice Amalia Guglielmina di Brunsvich, vedova dell'imperador Giuseppe. Il dì 10 di aprile fu quello che la condusse a godere in cielo il premio dell'insigne sua saviezza e pietà, di cui anche resta in essa città un perenne monumento nel religiosissimo monistero delle salesiane da essa fondato e dotato, e la di lei Vita data alla luce per decoro della cattolica religione.
Cominciarono in questi tempi ad udirsi in armi Ungheri, Panduri, Tolpasci, Anacchi, Ulani, Valacchi, Licani, Croati, Varasdini ed altri nomi strani, gente di terribile aspetto, con abiti barbarici ed armi diverse, parte di loro mal disciplinata, atte nondimeno tutte a menar le mani, e spezialmente professanti una gran divozione al bottino. Parve in tal occasione che nei tempi passati non avesse conosciuto l'augusta casa d'Austria di posseder tante miniere d'armati, essendosi ella per lo più servita delle sole valorose milizie tedesche, e di qualche reggimento di Usseri e Croati. Seppe ben la saggia regina d'Ungheria prevalersi di tutte le forze de' suoi vasti Stati; e con che vantaggio, lo vedremo andando innanzi. Continuò di poi la guerra non meno in Boemia che in Baviera fra i Gallo-Bavari e gli Austriaci, nel qual tempo ancora proseguirono le ostilità fra questi ultimi e il re di Prussia nella Slesia. Dacchè l'esercito della regina d'Ungheria si trovò sommamente ingrossato sotto il comando del principe Carlo di Lorena, assistito dal maresciallo conte di Koningsegg e dal principe di Lictenstein, i Prussiani giudicarono meglio di ritirarsi da Olmutz con tal fretta, che lasciarono indietro gran quantità di viveri e molti cannoni: con che ritornò tutta la Moravia all'ubbidienza della legittima sua sovrana. Trovaronsi poi a fronte nel dì 17 di maggio le due nemiche armate austriaca e prussiana; [488] e il principe di Lorena, che ardeva di voglia di azzardare una battaglia, soddisfece al suo appetito nel luogo di Czaglau. Alla cavalleria austriaca riuscì di far piegare la prussiana; ma perchè si perdè a saccheggiare un villaggio, rimasta la fanteria sprovveduta di chi la sostenesse contro le forze maggiori prussiane, bisognò battere la ritirata, e lasciare il campo in potere de' nemici. Secondo il solito, tanto l'una che l'altra parte cantò maggiori i vantaggi. A udire gli Austriaci, vennero quattordici stendardi, due bandiere e mille prigionieri in loro mani, e la cavalleria nemica restò disfatta. Gli altri all'incontro vantarono presi quattordici cannoni con alcuni stendardi, e fecero ascendere la mortalità e diserzion degli Austriaci a molte migliaia. Da lì innanzi si cominciò ad osservare una inazione fra quelle due armate, finchè si venne a scoprire il mistero; e fu perchè nel dì 11 di giugno riuscì al lord Indfort, ministro del britannico re Giorgio II, di stabilir la pace fra la regina d'Ungheria e il re di Prussia, a cui restò ceduta la maggior parte della grande e ricca provincia della Slesia; essendosi ridotta a questo sacrifizio la regina per li consigli della corte d'Inghilterra, e per la brama di sbrigarsi da sì potente nemico. Questo accordo, conchiuso in Breslavia, siccome sconcertò non poco la corte di Francia e del bavaro imperadore Carlo VII, così servì ad essa regina per risorgere ad accudir con più vigore alla resistenza contro gli altri suoi poderosi avversarii. Per questa privata pace, che riuscì cotanto fruttuosa a Federigo re di Prussia, anche Federigo Augusto re di Polonia ed elettor di Sassonia saviamente prese la risoluzione di pacificarsi colla stessa regina: al che non trovò difficoltà veruna.
Sbrigate in questa maniera da quel duro impegno l'armi austriache, si rivolsero alla Boemia, e andarono in cerca de' Franzesi. Trovavansi in quelle parti con grandi forze i marescialli di Bellisle e di Broglio. Essendo nondimeno superiori [489] quelle della regina, furono astretti a cedere varii luoghi, e finalmente si ridussero alla difesa della vasta città di Praga. Colà in fatti comparve il principe Carlo di Lorena sul principio di luglio col maresciallo conte di Koningsegg, e con un'armata di più di sessanta mila combattenti. Circa venti mila erano i Franzesi, parte postati nella città, e parte di fuori sotto il cannone della piazza; ma apparenza di soccorso non v'era, nè si fidavano que' generali della copiosa cittadinanza, in cui cuore era già risorto l'affetto verso la casa d'Austria, massimamente dopo aver provato quei nuovi ospiti, secondo il solito, troppo pesanti. Desiderò il Bellisle di abboccarsi o col principe di Lorena o col Koningsegg, e fu compiaciuto da quest'ultimo. Si sciolse la lor conferenza in fumo, perchè avrebbono i Franzesi lasciata Praga, purchè se ne potessero andar tutti liberi coi loro bagagli, laddove pretese il maresciallo austriaco di volerli prigionieri di guerra. Se tanta durezza fosse poi lodata, nol so dire. Certo è che i Franzesi, stimolati dal punto d'onore, si sostennero per più mesi, ed avvennero accidenti, per li quali fu convertito l'assedio in blocco. Ne uscì coi figli il maresciallo di Broglio, e felicemente si salvò. Tornati poscia gli Austriaci a stringere quella città, prese il maresciallo di Bellisle così ben le sue misure, che nel dì 17 di dicembre con circa dieci mila uomini, bagaglio e cannoni da campagna se ne ritirò, e, guadagnate due marcie, pervenne in salvo ad Egra, benchè pizzicato per tutto il viaggio dagli Usseri e Croati. Perdè egli in quella ritirata almeno tre mila persone o uccise, o disertate, o morte di freddo, e quasi tutta l'artiglieria, i bagagli e fino i proprii equipaggi. Ciò non ostante, se gli Austriaci vollero mettere il piede in Praga, furono obbligati ad accordare una capitolazione onorevole allo smilzo presidio rimasto in essa città; accordando in fine ciò che sul principio avrebbero potuto con loro vantaggio concedere, e [490] che avrebbe risparmiato un gran sangue sparso sotto la città medesima.
Non provarono già un'egual prosperità nella Baviera l'armi della regina di Ungheria. L'assedio e bombardamento della città di Straubinga nel mese di aprile a nulla giovò per forzare alla resa quella fortezza. Perchè si sapea che i Franzesi comandanti dal conte d'Arcourt venivano con ischiere numerose ad unirsi col generale bavarese conte di Seckendorf, e giunse a Monaco una falsa voce che già si appressavano a quella città: il generale Stens nel dì 28 del mese suddetto precipitosamente si ritirò da essa città di Monaco colla guernigione austriaca di quattro mila persone, lasciandovi un solo picciolo corpo di gente. Allora i cittadini si misero in armi, e i villani inseguirono e molestarono non poco la ritirata d'essi. Scoperta poi la falsità della voce, ed irritati gli Austriaci, ad altro non pensarono, che a rientrare in essa città. Vi trovarono quel popolo risoluto alla difesa, e fu misericordia di Dio che non venissero all'assalto, perchè a questo avrebbe tenuto dietro uno spaventevole sacco. Accordò il maresciallo di Kevenhuller, nel dì 6 di maggio, una nuova capitolazione a quegli abitanti, gli affari dei quali nondimeno molto peggiorarono da lì innanzi, finchè sul principio di ottobre giunse la loro redenzione. Avea il Seckendorf ricuperata la città di Landshut, dopo di che s'incamminò alla volta di Monaco. Qui non l'aspettarono gli Austriaci, perchè molto inferiori di forze ai Gallo-Bavari, e ne asportarono quanto mai poterono con danno gravissimo di quell'infelice popolo, il quale diede in trasporti di allegrezza al vedere nel dì 7 del mese suddetto rientrare in quella città le milizie dell'augusto loro duca ed imperadore Carlo VII; ripigliarono poscia i Bavaresi Borgausen e Braunau; laonde tutta la Baviera tornò, prima che terminasse l'anno, all'ubbidienza del suo sovrano. Fu poi condotto in Baviera un poderoso rinforzo di truppe dal maresciallo di Broglio, [491] e continuarono le ostilità, ma senza alcun'altra impresa di grado. Intanto quello sfortunato paese era il teatro delle calamità, perchè divorato da amici e nemici. Fu anche superiore alla credenza il numero de' Franzesi o morti di malattie, o uccisi, o fatti prigionieri nella Boemia e Baviera. Facevansi in questi tempi dei grandi maneggi in Inghilterra ed Olanda, per muovere quelle potenze alla difesa della regina d'Ungheria. La mutazion del ministero in Londra cagion fu che il re britannico e quella potente nazione si disponessero ad entrare in ballo, tanto più perchè si sentivano irritati dal vedere la somma franchezza de' Franzesi in rimettere contro i patti le fortificazioni di Dunquerque. Perciò si cominciarono i preparamenti della guerra in Fiandra per l'anno seguente; ma non si potè altro ottener dagli Olandesi, se non che darebbono il loro contingente di venti mila soldati, a cui erano tenuti in vigor delle leghe precedenti. Non men di loro, anzi più vigorosamente, si misero in arnese anche i Franzesi per far buon giuoco in quelle parti.
Vegniamo oramai all'Italia, condannata anch'essa a sofferire i perniciosi influssi delle gare ambiziose dei regnanti. Da che fu fatta gran massa di Spagnuoli ad Orbitello, e nelle altre piazze dei presidii, sotto il comando del duca di Montemar, si mise questa in marcia, ed entrata in febbraio nello Stato ecclesiastico, andò a prendere riposo in Foligno, e con lentezza mirabile arrivò poi finalmente fino a Pesaro. A quella volta ancora s'inviarono dipoi le milizie napoletane, spedite dal re delle Due Sicilie, per unirsi con quelle del re suo padre. Ne era generale il duca di Castropignano. Intanto sul Genovesato andarono sbarcando altre milizie procedenti dalla Spagna, e maggior numero ancora se ne aspettava. Per quanto si seppe, le idee della corte del re Cattolico erano che il primo più possente corpo di gente venisse alla volta di Bologna, e l'altro dal Genovesato verso Parma. [492] Grande armamento in questi tempi avea fatto anche Carlo Emmanuele re di Sardegna, ma senza penetrarsi qual risoluzione fosse egli per prendere, se non che i più prevedevano che anderebbono le sue forze unite con quelle della regina d'Ungheria, sì perchè così portavano gli interessi suoi, non piacendogli la vicinanza degli Spagnuoli, come ancora perchè potea sperar maggior ricompensa da essa regina. Recò maraviglia ad alcuni l'aver questo real sovrano pubblicati due manifesti, nel quali erano riportate le sue pretensioni sopra lo Stato di Milano, siccome discendente dall'infanta Caterina figliuola di Filippo II re di Spagna. E pure passava questo sovrano di concerto in ciò colla corte di Vienna, con cui finalmente si venne a scoprire ch'egli avea stabilito nel dì primo di febbraio un trattato provvisionale per difendere la Lombardia dall'occupazione delle armi straniere. In tale trattato comparve la rara avvedutezza del marchese d'Ormea suo primo ministro, perchè restò esso re di Sardegna colle mani sciolte, cioè in libertà di ritirarsi quando a lui piacesse, colla sola intimazione di un mese innanzi, dall'alleanza della regina. Animato si trovò egli spezialmente a tale impegno dalla sicurezza datagli del cardinale di Fleury primo ministro di Francia che il re Cristianissimo Luigi XV non intendeva di spalleggiar l'armi del re Cattolico Filippo V per conto dell'Italia. Svelaronsi solamente nei mese di marzo questi arcani; e il re Sardo, da che ebbe ritirato dalla Savoia gli archivii e tutto ciò che era di maggiore rilievo, cominciò a far marciare parte delle sue truppe alla volta di Piacenza. Verso la metà del medesimo mese anche il maresciallo Otto Ferdinando conte di Traun governatore di Milano spedì a Modena a rappresentare al duca Francesco III d'Este la necessità in cui il mettevano i movimenti dei nemici Spagnuoli, di avanzarsi con vari reggimenti nei principati di Correggio e Carpi. La licenza non si potè negare a chi se la potea prendere [493] anche senza richiederla. Perciò vennero a postarsi gli Austriaci in quelle parti, tirando un cordone verso la Secchia, e penetrando anche nel Reggiano.
Trovossi in un grave labirinto in questi tempi il duca di Modena, giacchè si miravano due nemiche armate venir l'una da levante e l'altra da ponente con tutte le apparenze che egli e i suoi Stati rimarrebbono esposti a deplorabili traversie, e forse diverrebbero il teatro della guerra, perchè ognun brama di far, se può mai, questa danza in casa altrui; e più rispetto si porterebbe agli Stati della Chiesa che ai suoi. Ognun sa, in casi di tanta angustia, quanto sia pericoloso il partito della neutralità per chi ha poche forze, giacchè, senza farsi merito nè coll'una nè coll'altra parte de' contendenti, si soggiace alla disgrazia d'essere divorato da amendue; e a peggio ancora, se avviene che l'un degli eserciti prevalga, troppo facilmente suscitandosi sospetti e ragioni per prevalersi in suo pro degli Stati e delle piazze altrui. Persuaso dunque esso duca che col tenersi neutrale non si facea punto merito con alcun di essi, e verisimilmente gli avrebbe avuti nemici tutti e due, si appigliò alla risoluzione di abbracciare uno d'essi partiti. L'ossequio ed affetto ch'egli professava all'augusta casa d'Austria e al gran duca di Toscana il consigliavano ad unirsi con loro, ma troppo pericoloso era per un vassallo dell'imperio di prendere l'armi contra dell'imperadore Carlo VII nemico delle suddette potenze, e l'aderire alla regina d'Ungheria, la quale, invece d'inviar nuove genti alla difesa dell'Italia, avea richiamata di là dai monti una parte di quelle che qui si trovavano, ed avea inoltre confessato ad un suo ministro venuto in Italia di non potersi impiegare a sostener questi Stati; e tanto anche fece intender al papa e ai Veneziani per loro governo. Manteneva il duca buona corrispondenza colla corte di Torino; ma questa il più che potè gli tenne occulto il trattato di lega conchiuso con [494] quella di Vienna. Oltre a ciò, nè pur comportavano gl'interessi della propria casa al duca d'aver per nemici l'imperadore e la Spagna, stante l'essersi scoperto che la casa di Baviera nudriva delle pretensioni sopra la Mirandola e suo ducato, e il sapersi che don Francesco Pico, già duca d'essa Mirandola, protetto dagli Spagnuoli ne conservava delle altre, e che sopra la contea di Novellara e sopra il ducato di Massa s'erano svegliate liti, mal fondate senza dubbio, ma che nel tribunale cesareo, se fosse stato nemico, avrebbono forse avuto buona fortuna. Il perchè, mosso il duca di Modena da tali riflessioni, cercò più tosto di aderire alla parte de' più possenti potentati della cristianità, cioè dell'imperadore e dei re di Francia e Spagna. Avea egli per sua difesa in armi un bel reggimento di Svizzeri, e un altro d'Italiani, ch'era intervenuto alla battaglia di Crostka nella Servia, in tutto tre mila soldati. In oltre avea quattro mila dei suoi miliziotti reggimentali, disciplinati, ben vestiti ed armati, e circa quattrocento cavalli fra corazze e dragoni: sussidio non lieve, uniti che fossero ad una giusta armata, oltre alla cittadella di Modena e alla fortezza della Mirandola.
Fu ben accolta in Madrid la proposizione del duca di entrar seco in lega; ma mentre si andava maneggiando in tanta lontananza questo affare, non si sa come, ne trapelò l'orditura ai ministri della regina d'Ungheria, o pure del re di Sardegna. Verso il fine di marzo erasi avanzato, siccome dicemmo, esso re sardo fino a Piacenza, facendo intanto sfilare le sue truppe alla volta di Parma, ed ivi avea tenuto consiglio di guerra col maresciallo conte di Traun governator di Milano; giacchè l'armata napolispana si era inoltrata sino a Rimini. Si venne ancora intendendo che il grosso corpo di Spagnuoli sbarcato in più volte sul Genovesato, senza più pensare a far irruzione dalla parte del Parmigiano, s'era come amico incamminato per la Toscana [495] a fine di accoppiarsi coll'altro maggiore de' duchi di Montemar e Castropignano. Non senza maraviglia delle persone fece quella gente un gran giro. Se fosse calata pel Giogo a Bologna, e colà fosse pervenuto il Montemar, nulla era più facile che il passar fino sul Parmigiano, e il prevalersi poi delle buone disposizioni del duca di Modena ed unirsi seco. Essendo giunto a Parma nel dì 30 d'aprile il re di Sardegna, portossi parimente esso duca di Modena nel dì 2 di maggio con tutta la corte al delizioso suo palazzo di Rivalta, tre miglia lungi da Reggio. Colà fu ad abboccarsi seco nel dì 6 di esso mese il marchese d'Ormea, primo ministro del re di Sardegna, che tosto sfoderò una copia informe del trattato preteso intavolato dal duca colla corte di Spagna. Onoratamente confessò il duca di aver fatto dei maneggi a Madrid, ma che nulla s'era conchiuso, nè sapea se si conchiuderebbe: e questa era la verità. Calde istanze fece l'Ormea per indurlo alla neutralità; ma perchè il duca ben previde che, accordando questo primo punto, passerebbe la pretensione a richiedere in pegno una almeno delle sue piazze per sicurezza di sua fede, non volle consentire, e prese tempo a pensarvi. Per molti giorni poscia s'andò disputando, essendo passato il duca a Sassuolo con tutta la famiglia: nel qual mentre il duca di Montemar, che per più settimane s'era fermato coll'esercito suo in Forlì a divertirsi con una opera in musica, finalmente si mosse alla volta di Bologna. Fama correa che i Napolispani ascendessero a quarantacinque mila persone: erano ben molto meno, ancorchè il Montemar avesse ricevuto il poderoso rinforzo di fanti e cavalli, passati amichevolmente per la Toscana. Parea questa nondimeno un'armata da far gran fatti, se non che la diserzione, da cui non va esente alcuno degli eserciti, si trovò stupenda in essa, fuggendo spezialmente quegli Alemanni che furono presi nell'apparente battaglia di Bitonto, e in altre azioni, allorchè fu conquistato [496] il regno di Napoli dall'infante don Carlo. Giorno non v'era, in cui qualche centinaio d'essi Napolispani non disertasse, attribuendone alcuni la cagione all'aver lasciata cotanto in ozio quella gente, ed altri all'aspro trattamento degli uffiziali, giacchè non si può credere per difetto di paghe, perchè, se ne scarseggiavano gli uffiziali, al semplice soldato non mancava mai l'occorrente soldo.
Dopo la metà di maggio comparvero sul Bolognese le truppe napolispane, e a poco a poco vennero nel dì 20 a postarsi alla Samoggia, e nel dì 29 si stesero fino a Castelfranco. Certa cosa è, che se il Montemar si fosse inoltrato di buon'ora sino al Panaro, siccome allora superiore di forze, avrebbe potuto occupar quei siti, e stendersi a coprir Modena, e a passar anche verso Parma, stante l'avere sul principio dell'anno per mezzo del conte senatore Zambeccari chiesto ed ottenuto dal duca di Modena il passaggio. Parve dunque ch'egli non peraltro fosse venuto in quelle vicinanze, se non per burlare esso duca di Modena, il quale intanto si andava schermendo dal prendere risoluzione alcuna sulla speranza che lo stesso Montemar passasse a difendere i suoi Stati: del che non gli mancarono delle lusinghevoli promesse dalla parte del medesimo generale spagnuolo. Diede agio questa inazion de' Napolispani al maresciallo conte di Traun di ben postarsi alle rive inferiori del Panaro con dodici mila Tedeschi, e similmente a Carlo Emmanuele re di Sardegna, passato nel dì 19 di maggio sotto le mura di Modena, di andare anch'egli a fortificarsi alle rive superiori d'esso fiume. Di giorno in giorno s'ingrossarono le sue milizie sino a venti mila persone, giacchè gli era convenuto lasciare un'altra parte delle sue truppe alla guardia di Nizza e Villafranca, e ai varii confini del Piemonte, per opporsi ai disegni d'un'altra armata di Spagnuoli che si andava formando in Provenza contro i suoi Stati, e che dovea esser comandata dall'infante [497] don Filippo, già pervenuto ad Antibo. Nel dì 17 di maggio presero pacificamente i Savoiardi il possesso della città di Reggio, da cui precedentemente avea il duca dì Modena ritirate le truppe regolate. Durava intanto una spezie, ma assai dubbiosa, di calma fra esso duca, dimorante in Sassuolo, e gli Austriaco-Sardi, aspettando questi che giungessero al loro campo cannoni, mortari e bombe, per poter parlare dipoi con altro linguaggio. Non avea il duca fin qui conchiuso accordo alcuno colla corte di Spagna, e neppure ricavato da essa un menomo danaro per fare quell'armamento, come ne dubitavano gli Austriaco-Sardi; pure non sapea indursi a cedere volontariamente le fortezze di Modena e della Mirandola, richieste dagli alleati; perchè quanto si trovò egli sempre deluso dal duca di Montemar, largo promettitore di ciò che non osava intraprendere, altrettanto abborriva di non comparire alla corte di Spagna qual principe di doppio cuore, perchè quivi si sarebbe infallibilmente creduto un concerto co' collegati la forza che gli avesse fatto cedere quelle piazze.
Prese egli dunque il partito di abbandonar tutto alla discrezione di chi gli era addosso coll'armi, e dopo aver messi quattro mila uomini di presidio nella cittadella di Modena, e tre mila in quella della Mirandola, nel dì 6 di giugno colla duchessa consorte e colle due principesse sorelle, lasciati i figli colla nuora in Sassuolo, che poi col tempo si riunirono con lui, prese la via del Ferrarese, e andò a ritirarsi a Crespino, e di là passò poi al Cataio degli Obizzi sul Padovano, e finalmente si ridusse a Venezia, portando seco il coraggio, costante compagno delle sue traversie. Perchè aveva egli lasciato ogni potere ad una giunta di suoi cavalieri e ministri in Modena, furono spediti deputati al re di Sardegna, e dopo avere ottenuta la promessa d'ogni miglior trattamento, nel dì 8 di giugno aprirono le porte della città a circa mille e [498] cinquecento Savoiardi, che ne presero quietamente il possesso, con provar da lì innanzi quanta fosse la moderazione e clemenza del re di Sardegna, quanta la rettitudine de' suoi ministri, e la disciplina de' suoi soldati. Comandante in Modena fu destinato il conte commendatore Cumiana, cavaliere che non lasciava andarsi innanzi alcuno nella prudenza, e sapea l'arte di farsi amare e stimare da ognuno. Nel dì 12 di giugno fu dato principio alle ostilità contro la cittadella di Modena, alzando terra dalla parte del mezzodì fuori della città i Savoiardi, e i Tedeschi da quella di settentrione. Perchè gli assediati fecero una vigorosa sortita, necessario fu il rinforzare il campo con molta gente. Erette due diverse batterie di mortari, nel dì seguente cominciarono a tempestare essa cittadella con bombe di dì e di notte, e seguitò questo flagello sin per tutto il dì 27. Non avea il duca Francesco avuto tempo di provvedere essa cittadella di case matte e di ripari contro le bombe; e però in breve si trovò sconcertata la maggior parte di que' casamenti, non restando luogo alcuno di riposo e sicurezza alla guarnigione. Essendosi nel dì 28 alzate anche due batterie di cannoni contra d'essa fortezza, il cavaliere del Nero Genovese, e comandante della medesima, nel giorno appresso capitolò la resa, restando prigioniere di guerra il presidio. Uscì poi nel dì 5 di luglio un editto del re sardo, in cui dichiarò non essere intenzione della regina d'Ungheria nè sua, pendente la dimora delle loro truppe negli Stati di Modena, e durante l'assenza del duca, di attribuirsi verun gius di permanente sovranità e dominio in essi Stati, ma quella sola autorità che in sì fatta situazion di cose veniva dal diritto della guerra e dalla comune loro difesa permessa. Furono occupate tutte le rendite ducali, e tolte l'armi a tutti gli abitanti tanto della città che forensi.
Mentre si facea questa terribil sinfonia sotto la cittadella di Modena, si stava più d'uno aspettando qualche prodezza [499] del generale spagnuolo duca di Montemar, che colle sue genti era postato a Castelfranco, siccome quegli che era decantato per conquistatore di regni. Ma per disavventura non fece egli mai movimento alcuno per attaccare gli Austriaco-Sardi al Panaro, tuttochè sparsi in una linea di molte miglia su quelle rive, e benchè dalla parte di Spilamberto e Vignola non avesse argini quel fiume. Crebbe anche maggiormente lo stupore negl'intendenti, perchè almen quattro mila combattenti alleati erano impegnati nelle trincee sotto la cittadella, e nella sera quattro altri mila venivano dal Panaro a rilevar questi altri; laonde il campo d'essi restava alleggerito d'otto mila persone. E pure con tutta pace stette il Montemar contando le bombe e cannonate de' nemici, sparate non contra di lui, e spettatore tranquillo delle sventure del duca di Modena; di modo che alcuni giunsero a sospettare intelligenza del medesimo col re di Sardegna, o che un segreto ordine del cardinale di Fleury avesse posto freno alla sua bravura (tutte insussistenti immaginazioni); ed altri in fine si fecero a credere ch'egli fosse solamente un valoroso generale, allorchè avea che fare con gente incapace di resistere, o avesse accordo con lui di non resistere. Crebbero molto più le maraviglie, perchè nella notte del dì 18 di giugno esso Montemar levò il campo da Castelfranco, ed inviandosi con tutti i suoi a San Giovanni e a Cento, mandò i malati ne' borghi di Ferrara. Poteva impadronirsi del Finale, dove falso è che si trovassero fortificati i nemici, come egli poscia volle far credere. Giunto bensì al Bondeno nella notte del 26 di giugno, e quivi posto e fortificato un ponte sul Panaro, spedì di qua dieci o dodici mila de' suoi. Non vi era persona che non si aspettasse ch'egli imprendesse la difesa della Mirandola, e che anzi v'entrasse, giacchè il cavalier Martinoni ivi comandante gli avea richiesto soccorso, e l'avea invitato a venire. Ma nulla di questo avvenne, senza che [500] mai s'intendesse perchè egli facesse quella scena di marciar colà e di passare il Panaro, per poi nulla operare. Vi fu anche di più. All'avviso della di lui marcia, il re di Sardegna e il conte di Traun spedirono la maggior parte della lor cavalleria al Finale, per vegliare a' di lui andamenti. Trovavasi questo corpo di gente senza fanteria e senza artiglierie; e pure con tutte le forze dell'esercito suo il Montemar in tanta vicinanza non pensò mai a molestarlo, non che a sorprenderlo: condotta che maggiormente eccitò le dicerie contro il di lui onore.
Con tutto suo comodo s'era intanto trattenuta in riposo a Modena l'armata austriaco-sarda senza apprensione alcuna del Montemar quando nel dì 9 di luglio si mise in viaggio alla volta della Mirandola; dove giunta, diede principio nel dì 13 agli approcci, ben corrisposta dalle artiglierie della città. Ma da che anche le batterie dei cannoni e de' mortari cominciarono a fulminar quella piazza, e seguì in essa l'incendio di molte case; la guernigione, già chiarita che niun pensava a soccorrerla, nel dì 22 del mese suddetto dimandò di capitolare; restando prigioniera, finchè il duca di Modena si inducesse a cedere le fortezze di Montalfonso, di Sestola e della Veruccola agli alleati, con promessa di restituirle alla pace; e queste poi furono cedute. Pertanto con breve peripezia si vide spogliato di tutti i suoi Stati il duca di Modena, il quale, in mezzo a sì pericolosi imbrogli, provò tante contrarie fatalità, che niun potrebbe immaginarsele, ma ch'egli coraggiosamente sopportò. Videsi appresso destinato amministrator generale d'essi Stati per le due corone il conte Beltrame Cristiani, il quale tante pruove diede dipoi della sua onoratezza, attività e prudenza, che, sapendo accoppiar insieme il buon servigio de' suoi sovrani coll'amorevolezza verso de' popoli, meritò poi di essere creato gran cancelliere della Lombardia austriaca, e di riportar le lodi di ognuno, dovunque si stese la sua autorità. [501] Fin qui era stato il duca di Montemar placido osservatore del destino della Mirandola, come se a lui nulla importassero i progressi de' suoi nemici. Certamente non fu di sua gloria l'essersi portato al Bondeno; ed aver passato il Panaro solamente per mirare anche la caduta d'essa fortezza sotto gli occhi suoi. Da più persone ben informate si sosteneva che lo esercito suo, non ostante la diserzione sofferta, numerava tuttavia circa trenta mila combattenti, ed erano in viaggio quattro mila Napoletani per unirsi con lui. Si strignevano nelle spalle gli uffiziali dell'armata stessa di lui al mirar tanta inazione, con tali forze e sì buona situazione. Ora appena seppe egli la resa di essa fortezza, che finalmente determinò di fare un premeditato bel colpo: colpo nondimeno, che parve a molti poco onorevole al nome spagnuolo. Cioè prese la marcia coll'esercito suo verso il Ferrarese e Ravennate con fretta tale, che non minore si osserva in chi è rimasto sconfitto, lasciando indietro carriaggi e munizioni non poche. Ma non furono pigri gli Austriaco-Sardi a muoversi anch'essi, e venuti per castello San Giovanni a Bologna, si avviarono per la strada maestra nella Romagna, sperando di raggiugnere i fuggitivi Napolispani. Questi per buona ventura aveano avuto gambe migliori, e, pervenuti nel dì 31 di luglio a Rimino, quivi si diedero a fare un gran guasto, cioè a fortificarsi con trincieramenti, spianate e tagli di alberi in grave desolazione di quel popolo. Pareva oramai inevitabile qualche gran fatto d'armi in quelle strettezze, essendo pervenuti colà anche gli alleati, vogliosi di far pruova dell'armi loro; quando nel dì 10 di agosto il generale di Montemar fece ben mostra di aspettar con piè fermo i nemici, anzi di voler venire a battaglia, ma allo improvviso decampò anche di là, ritirandosi sollecitamente a Pesaro e Fano, dove precedentemente erano state premesse le artiglierie e bagagli.
Chiunque nelle precedenti guerre avea [502] mirato il principe Eugenio con soli trenta mila armati tenersi forte contro l'esercito gallispano, quasi il doppio numeroso di gente, al vedere la tanto diversa condotta di quest'altro generale, non sapea trattenersi dallo stupore o dalla censura. E non è già che fossero sì infievolite le di lui forze, giacchè la maggior diserzione fu in quella sua precipitosa ritirata, e ciò non ostante egli stesso si vantò poscia, in tempo che i Napoletani s'erano separati da lui, di aver lasciata al conte di Gages suo successore un'armata di diciotto mila combattenti, atti ad ogni maggiore impresa, ma che tali per disgrazia non erano stati in addietro. Strana cosa fu ch'egli allegasse per motivo di quest'altra ritirata ciò che, siccome diremo, avvenne in Napoli solamente nel dì 19 d'esso mese. Andò egli dunque, dopo varie frettolose marcie, a intanarsi nella valle di Spoleti, dove gli sembrò di essere sicuro, stante l'avviso che i collegati aveano risoluto di lasciarlo in pace. Tenuto in fatti consiglio dal re di Sardegna e dal maresciallo conte di Traun, prevalse il parere del primo di non passare di là di Rimino, e di non più inseguire chi combattea con le sole gambe. In oltre pel singolare rispetto ed affetto ch'esso re sardo professava al sommo pontefice Benedetto XIV, gli premeva di non maggiormente essere d'aggravio agli Stati della Chiesa: motivo che l'avea trattenuto in addietro dal passare colà dal Modenese. Quel nondimeno che vie più preponderava nell'animo suo, era il bisogno dei proprii Stati, che il richiamava colà per guardarsi dalle minaccie di un altro esercito spagnuolo. Sicchè da lì a non molto si videro ritornare al Panaro su quel di Modena le schiere e squadre austriaco-sarde. Nel dì 31 d'agosto arrivò a Reggio il re di Sardegna, e vi si fermò fino al dì 6 di settembre, in cui venutegli nuove disgustose di Piemonte, sollecitamente s'inviò alla volta di Torino, dove sfilava intanto la maggior parte delle sue milizie. Lasciò [503] pochi suoi reggimenti nel Modenese sotto il comando del conte d'Aspremont, il quale unitamente col conte Traun s'andò fortificando in varii siti di qua dal Panaro, e massimamente a Buonporto.
In questi medesimi tempi accadde una novità in Napoli, per cui gran romore e tumulto fu in quella capitale. Nel dì 19 d'agosto comparvero a vista di quel porto sei navi da guerra inglesi di sessanta cannoni, quattro fregate, un brulotto e tre galeotte da bombe. Corse a furia il popolo ad osservare quella squadra, e la corte, entrata in apprensione, spedì nel giorno seguente il consolo inglese al comandante di essi legni, per esplorare la di lui intenzione. La risposta fu, che se il re non cessava di assistere i nemici della regina, egli teneva ordine di devastare quella città colle bombe; e che lasciava tempo di due ore a sua maestà per risolvere. Indi, cavato fuori l'orologio, cominciò a contarne i momenti. Niuno mai in addietro avea pensato a provvedere il porto e la spiaggia di Napoli di ripari per somigliante minaccia; e nè pur si trovava nel castello del porto provvisione di polvere da fuoco. Però, senza perdersi in molte discussioni, quella corte nel breve suddetto spazio di tempo accettò la neutralità, e spedì lettere mostrate al comandante inglese, colle quali richiamava il duca di Castropignano colle sue truppe nel regno. Ciò ottenuto, senza commettere alcuna ostilità, fece vela la squadra inglese verso ponente. Il pericolo presente servì appresso di ammaestramento per alzare fortini e bastioni muniti di artiglierie, di maniera da non paventar da lì innanzi chi tentasse di accostarsi con palandre e galeotte per salutar colle bombe quella metropoli. Restò poi eseguito l'ordine regio, e le milizie napoletane staccatesi dalle spagnuole tornarono ai quartieri nelle loro contrade: con che si ridusse l'esercito spagnuolo, siccome dicemmo, a circa diciotto mila persone, che poi prese quartiere parte in Perugia e parte in Assisi e Folignano. Fu in questo [504] medesimo tempo, che la corte di Spagna, avvedutasi un poco troppo tardi di avere raccomandata la fortuna e l'onore delle sue armi ad un generale che sì male corrispondeva alle sue speranze, richiamò in Ispagna il duca di Montemar, e, adirata contra di lui, comandò che non si avvicinasse alla corte per venti leghe. Fece questo passo svanire le immaginazioni dei suoi parziali, persuasi in addietro ch'egli tenesse ordini di non azzardar battaglia e di salvar la gente, facendola solamente ben menar le gambe per ischivar gl'impegni. Andò egli, e durò non poco la sua disgrazia alla corte. Ma perchè egli non mancava di amici e di merito per altre sue belle doti, col tempo fu rimesso in grazia. Videsi un manifesto suo, con cui si studiò di giustificar le azioni sue in questa campagna; ma nulla sarebbe più facile che il far conoscere l'insussistenza delle sue scuse, e massimamente se uscissero alla luce i biglietti da lui scritti al duca di Modena e alla Mirandola in queste emergenze. Restò dunque al comando dell'esercito spagnuolo il tenente generale don Giovanni di Gages Fiammingo, che pel valore, per l'avvedutezza, e per la scienza militare potea servire di maestro agli altri. Nel dì 14 di settembre, in cui s'inviò il Montemar verso la Spagna, il Gages in tre colonne mosse l'esercito suo alla volta di Fano, siccome consapevole del rilevante smembramento dell'armata austriaco-sarda; e alla metà di ottobre arrivò a postar le sue genti alla Certosa di Bologna, e in quelle vicinanze, con alzare trincieramenti ed altri ripari da difesa. Accorsero anche gli Austriaco-Sardi alle rive del Panaro, e misero alquanti armati in Vignola e Spilamberto. Si stettero poi sino al fine dell'anno guatando da lontano le due armate, e il maresciallo di Traun mise il suo quartier generale a Carpi.
Un'altra guerra intanto ebbe il re di Sardegna, per cui fu obbligato a restituirsi in Piemonte. Fu comunemente creduto ch'esso real sovrano non avesse tralasciato, [505] sì nel principio che nel proseguimento di questa guerra, di far varie proposizioni di partaggio della Lombardia alla corte di Spagna per mezzo del cardinale di Fleury, che sempre si mostrò ben affetto verso di lui. Tali progetti riguardavano egualmente i vantaggi della real casa di Savoia e dell'infante don Filippo, a cui si cercava un riguardevole stabilimento in essa Lombardia, e massimamente in Parma e Piacenza, città predilette della regina Elisabetta Farnese sua madre. Fu del pari creduto che la corte del re Cattolico non aderisse a cedere parte delle meditate conquiste, perchè avida di tutto, ed assai persuasa di poter colle sue forze conseguir tutto. Quali poi fossero i sinceri desiderii della corte di Francia nelle dispute di questi due pretendenti non si potè penetrare, se non che fu giudicato da molti ch'essa acconsentisse bensì a qualche acquisto in Lombardia pel suddetto infante don Filippo, ma non già sì pingue che alterasse l'equilibrio dell'Italia, e potesse un dì nuocere alla Francia stessa, ben prevedendosi che non durerebbe per sempre la buona armonia fra quella corte e quella di Spagna. L'aver dunque la Spagna dato a conoscer il genio troppo vasto, fece immaginare agl'interpreti de' gabinetti che perciò il cardinale niun soccorso di gente volesse somministrarle contra del re di Sardegna, tuttochè esso porporato ricavasse dall'erario spagnuolo grossissime mensuali somme di danaro, per divertire la regina d'Ungheria dalla difesa degli Stati d'Italia. Si oppose ancora, per quanto potè, esso cardinale alla venuta in Provenza dall'infante don Filippo, tuttochè genero del re Cristianissimo Luigi XV; ma non potè impedire che la regina di Spagna non l'inviasse colà di buon'ora ad aspettar l'unione d'un corpo di truppe, ascendente a più di quindici mila Spagnuoli, che parte per mare, parte per terra andò arrivando ad Antibo e ad altri luoghi della Provenza. Più tentativi fece questa armata nel luglio ed agosto, [506] ora per passare il Varo, ora per penetrare nella valle di Demont; ma sì buoni ripari avea fatto il re di Sardegna, e sì possenti guardie avea messo nel contado di Nizza, che indarno si provarono gli Spagnuoli di passare colà; e tanto più vana riuscì ogni loro speranza, perchè l'ammiraglio inglese Matteus con poderosa flotta si trovava in que' mari e contorni, per sostenere le milizie savoiarde. Nella stessa maniera andarono in fumo le lor minaccie contro la valle di Demont, e in altre sboccature verso l'Italia. O sia che le trovate resistenze facessero cangiar disegno, o pure che le vere mire fin da principio non fossero verso quelle parti; in fine sul principio di settembre l'esercito spagnuolo comandato dall'infante, che sotto di sè avea il generale conte di Glimes, governatore della Catalogna, entrò nella Savoia, e nel dì 10 d'esso mese s'impadronì della capitale, cioè di Sciambery con citare i popoli a rendergli omaggio, e con intimar gravi contribuzioni.
L'avviso di tale invasione quel fu che sollecitò Carlo Emmanuele re di Sardegna a rendersi in Piemonte, e ad affrettare il ritorno colà di buona parte delle sue truppe, dimorate per tanto tempo sul Modenese. Appena ebbe egli unite le convenevoli forze, che nel suo consiglio espose la risoluzione da lui formata di snidar dalla Savoia i nemici. I più de' suoi uffiziali arringarono in contrario, adducendo la mancanza de' magazzini e foraggi in quella provincia, e il pericolo delle nevi per quelle alte montagne. Ma l'animoso sovrano ebbe una ragion più possente dell'altre, cioè il suo coraggio e la sua volontà; e perciò verso la metà d'ottobre marciò l'esercito suo per più parti alla volta della Savoia. Non si sentì voglia l'infante don Filippo di aspettarli, perchè non arrivava il nerbo della sua gente a quindici mila persone. Ritirossi pertanto in sacrato, cioè sotto il forte di Barreau nel territorio di Francia, lasciando abbandonata tutta la Savoia al suo sovrano. Pervenne il re sino a Monmegliano, e [507] quivi il rispetto da lui professato al re Cristianissimo e agli Stati della Francia fermò il corso ai passi delle sue truppe, e ad ogni altra impresa. Ciò fatto, attese egli a riordinar le cose di quel ducato, a mettere in armi tutti que' sudditi, somministrando loro fucili, giacchè erano stati disarmati dagli Spagnuoli; e a rinforzar varii siti e forti, per opporsi ad ulteriori tentativi de' nemici. Venne il dicembre, e venne anche rinforzato il campo spagnuolo da un buon corpo di truppe, con prenderne il comando il marchese de la Mina, giacchè il conte di Glimes era stato richiamato in Ispagna. Allorchè gli Spagnuoli si videro assai forti, rientrarono nella Savoia, e si ritrovarono le nemiche armate alla vigilia d'un fatto di armi. Forse non l'avrebbe schivato il re di Sardegna; ma chiarito che, quando anche la vittoria si fosse dichiarata per lui, non poteano le milizie sue sussistere nel verno in un paese sprovveduto affatto di grani e di foraggio, determinò più tosto di ricondursi in Piemonte sul fine dell'anno. S'avverò allora quanto gli aveano predetto i suoi uffiziali, cioè, che l'Alpi dividenti l'Italia dalla Savoia gli farebbono guerra. S'erano in fatti caricate di nevi; e pur convenne passarle, ma con gravissimi disagi, e con perdita di molta gente perseguitata dai nemici, e di varii attrezzi ed artiglierie, e vie più di cavalli, muli e carriaggi; laonde, se fu molta la gloria di avere scacciati i nemici dalla Savoia, restò essa ben contrappesata dal molto danno di quella o forzata o volontaria ritirata. Solamente nel dì 3 del seguente gennaio arrivò il re a Torino col principe di Carignano; e intanto gli Spagnuoli tornarono in pieno possesso della Savoia, senza che que' popoli facessero risistenza alcuna; mostrando la sperienza che per quanto i sudditi amino il loro principe, pure anche più di esso amano sè stessi. Soggiacque nell'anno presente la città di Livorno ad una deplorabil calamità, per avere il tremuoto, verso la metà di febbraio, cominciato a [508] scuotere le case di quegli abitanti. Altre simili scosse si fecero poscia udire sul fine d'esso mese con tale indiscretezza, che varie chiese ne patirono rovina, e moltissime case ne rimasero sì desolate, o colle mura sì smosse, che i padroni di esse salvatisi nella campagna o nelle navi, più non si attentavano a riabitarle. Fu in quest'anno che il sommo pontefice Benedetto XIV, tuttochè non poco agitato e distratto per l'aggravio inferito ai suoi Stati da tante milizie straniere che quivi, come in casa propria, giravano o fissavano anche il lor soggiorno; pure, intento sempre al pastoral governo, pubblicò, nel mese di agosto, una risentita bolla contra di chi non ubbidiva ai decreti della santa Sede intorno a certi riti cinesi già vietati, e ciò non ostante permessi da alcuni missionarii a que' novelli cristiani. Tali pene intimò, e tali ripieghi prescrisse, che si potè promettere da lì innanzi un'esatta osservanza delle costituzioni apostoliche.
Anno di | Cristo MDCCXLIII. Indiz. VI. |
Benedetto XIV papa 4. | |
Carlo VII imperadore 2. |
Toccò al territorio di Modena di aprire in quest'anno il teatro delle azioni militari con una non lieve battaglia. Sapea il conte di Gages che gli Austriaci e Sardi restavano divisi in più corpi e luoghi; e che i principali posti da loro guerniti di gente erano il Finale e Buonporto, amendue sul Panaro; e però pensò alla maniera di sorprendere uno de' loro quartieri. Poco dopo il principio di febbraio, affinchè non si penetrasse il suo disegno, finse un considerabil furto a lui fatto, e nascosto il ladro in Bologna. Pertanto fece istanza al cardinale legato che si chiudessero le porte della città, e si lasciasse entrar gente, ma non uscirne alcuno. Fermossi egli nella stessa città con alquanti uffiziali, affaccendati in traccia del preteso ladro. Sull'alba del seguente dì 2 di febbraio s'inviò la picciola armata sua alla volta di San Giovanni e [509] di Crevalcuore, e nel dì seguente, passato il Panaro fra Solara e Camposanto, quivi stabilì e assicurò un ponte. Nulla di ciò ch'egli sperava gli venne fatto; perchè la notte stessa, in cui da Bologna si mosse l'esercito suo, persona nobile parziale della regina d'Ungheria mandò giù dalle mura di quella città lettera di avviso di quanto manipolavano gli Spagnuoli a chi frettolosamente la portò a Carpi al maresciallo conte di Traun. Furono perciò a tempo spediti gli ordini alle truppe esistenti nel Finale di ritirarsi, ed altri ne andarono a Parma ed altri siti, dove si trovavano milizie austriaco-sarde. Raunate che furono tutte, il maresciallo, unitosi col conte di Aspremont generale delle savoiarde, nel dopo pranzo del dì 8 del suddetto febbraio andò in traccia del Gages, che ritiratosi a Camposanto, e coperto dall'un canto dalle rive del Panaro, dall'altro s'era afforzato nella parrocchiale e in varie case di quel contorno. Correva allora un freddo atrocissimo, e al bel sereno erano stati per più notti i poveri soldati in armi e in guardia. Venne il tempo di menar le mani, e si attaccò la sanguinosa zuffa, che, per essere allora il plenilunio, durò sino alle tre ore della notte, in cui gli Spagnuoli, dopo avere spogliati i suoi morti e mandati innanzi i feriti, si ritirarono di là dal Panaro, e ruppero il ponte, poscia sollecitamente si restituirono al loro campo sotto Bologna; giacchè il maresciallo di Traun non giudicò bene di permettere ad altri, che agli Usseri, d'inseguirli di là dal fiume; e forse non potè di più, perchè senza ponte. Secondo il solito delle battaglie che restano indecise, ciascuna delle parti si attribuì la vittoria, e non mancò ragione, sì agli uni che agli altri, di cantare il Te Deum.
Certo è che gli Austriaco-Sardi rimasero padroni del campo di battaglia, e costrinsero gli avversarii a ritirarsi, e che il maresciallo di Traun, benchè malconcio dalla gotta, fece meraviglie di sua persona, e che gli furono uccisi sotto due cavalli, e tutta anche la notte stette a cavallo [510] d'un altro. Del pari è certo che gli Spagnuoli, o per inavvertenza, o per non potere inviare l'avviso, o pure per coprire la loro ritirata, lasciarono indietro in una cassina un battaglione di Guadalaxara, che fece bella difesa, ma in fine fu obbligato a rendersi prigioniere di guerra. Consisteva in più di trecento soldati, e circa ventotto uffiziali con tre bandiere, oltre a quasi cento altri prigioni. Gli effetti poi mostrarono che la peggio era toccata agli Spagnuoli. Contuttociò è fuor di dubbio che il generale conte di Gages si trovava inferiore di forze, per aver dovuto lasciare circa due mila persone di là dal fiume a custodire la testa del ponte, per sospetto che i nemici spedissero genti a quella volta. Nulladimeno sul principio riuscì alla cavalleria spagnuola di rovesciar la cavalleria tedesca dell'ala sinistra, e di metterla in fuga; e se il duca di Atrisco, in vece di perdersi ad inseguirla verso la Mirandola, fosse ritornato più presto al campo contro la nemica fanteria, comune sentimento fu che l'armata austriaco-sarda rimaneva disfatta. Otto furono gli stendardi e due i timbali presi dagli Spagnuoli. Ebbero prigionieri il governatore di Modena commendatore Cumiana, e i tenenti generali conte Ciceri e Peisber, che furono rilasciati sulla parola, l'ultimo dei quali sopravvisse poco alle sue ferite. Presero oltre ventidue altri uffiziali e circa ducento soldati. Quanto ai morti e feriti, ognuna delle parti esagerò il danno dei nemici, facendosi ascendere sino a quattro mila, ed anche più, con poscia sminuire il proprio. Fu nondimeno creduto che restasse molto indebolita l'armata spagnuola, e che, abbondando essa di uffiziali molto più che quella degli alleati, più ancora ne perissero o restassero feriti; e che se non furono maggiori i vantaggi riportati da essa, forse ne fu maggiore la gloria, perchè fin la sua ritirata meritò plauso, siccome fatta con tal ordine e segretezza, che non se ne avvidero i nemici, se non allorchè mirarono attaccate [511] le fiamme al ponte sul Panaro. Secondo i conti degli Austriaco-Sardi, non arrivò a due mila il numero dei loro morti, feriti e rimasti prigioni. Nè si dee tacere che il conte d'Aspremont, savio e valoroso comandante generale delle milizie savoiarde, talmente si chiamò offeso per una lettera a lui mostrata, in cui si prediceva che le truppe del re di Sardegna, venendo un conflitto, si unirebbono con gli Spagnuoli, che non guardò misure nell'esporsi ai pericoli. Per una palla che il colpì nelle reni e passò alle parti inferiori, fu portato a Modena, dove, dopo essere stato per più giorni fra i confini della vita e della morte, finalmente nel dì 27 di febbraio pagò il tributo della natura, compianto non poco per le sue degne qualità. Funesta memoria della battaglia di Camposanto restò in quella villa e nelle circonvicine, perchè nel dì seguente, dappoichè gli Austriaco-Sardi si videro liberi dagli Spagnuoli, vollero compensarsi del bottino che non aveano potuto fare addosso i nemici, con dare il sacco agl'innocenti abitanti di esse ville. Per questa crudeltà fu detto che mostrasse gran dispiacere il maresciallo di Traun, cavaliere di buone viscere, contro il cui volere certamente questo avvenne; ma senza potere scusare la poca precauzione sua in prevedere ed impedire gli eccessi della militare avidità. Avvisato nondimeno del disordine, spedì tosto guardie alle chiese, e, il meglio che potè, provvide al resto.
Erasi ben ritirato dopo la battaglia suddetta il conte di Gages ne' trincieramenti suoi presso Bologna, e gli aveva anche accresciuti, facendo vista di voler quivi, come prima, fissare la permanenza sua. Non andò molto che si conobbe quanto gli fosse costato quel combattimento, essendosi ridotta l'armata sua, per quanto fu creduto, a poco più di otto o dieci mila persone. Sperava egli dei rinforzi da Napoli; ma, per quante premure ed ordini venissero dalla corte di Madrid che pure sembrava dispotica [512] nelle Due Sicilie, il ministero del re don Carlo, atteso l'impegno di neutralità concordata con gl'Inglesi, e il timore della lor flotta signoreggiante nel Mediterraneo, sempre ricusò d'inviar soccorsi al Gages, a riserva di qualche partita che sotto mano trapelava colà. All'incontro dalla Germania era calata gente ad ingrossare l'esercito austriaco, e già il maresciallo di Traun avea spedito sul Bolognese e Ferrarese circa dodici mila armati, che minacciavano di passare anche in Romagna per impedire agli Spagnuoli il trasporto de' viveri e foraggi da quella provincia. Pertanto il timore di restar troppo angustiato fece prendere al Gages la risoluzione di mandare innanzi l'artiglierie e i malati, ed egli poi nel dì 26 di marzo, levato il campo, marciò alla volta di Rimino, e quivi si fece forte col favore di quella vantaggiosa situazione. Da che Francesco III d'Este duca di Modena si portò a Venezia, dopo l'occupazion de' suoi Stati, colla duchessa e figli, s'era ivi sempre trattenuto sulla speranza che i maneggi suoi o la fortuna dell'armi facessero tornare il sereno ai proprii affari. Nulla di questo avvenne; ma la generosa corte di Spagna non volle già abbandonato un principe, non per altro abbattuto, se non per l'aderenza sua alla corona spagnuola, e per non aver voluto accordarsi co' nemici d'essa. Gli conferì dunque il Cattolico re Filippo V la carica di generalissimo delle sue armi in Italia, con salario convenevole ad un pari suo. Giudicò anche bene la duchessa sua consorte Carlotta Aglae d'Orleans di passare a Parigi colla principessa Felicita sua primogenita, per implorare il patrocinio del re Cristianissimo Luigi XV nel naufragio della sua casa. Nel dì 4 di maggio arrivò questa principessa a Rimino, accolta dall'esercito spagnuolo con ogni dimostrazione di stima, e passata per la Toscana al golfo della Specia, e quindi a Genova, colle galere di quella repubblica fu poi trasportata in Francia, giacchè [513] l'ammiraglio Matteus le fece rispondere che una principessa della sua nascita e del suo grado non avea bisogno di passaporto, e si recherebbe a sommo onore di poterla servire egli stesso. Alla stessa città di Rimino pervenne nel dì 9 d'esso mese anche il duca di Modena, incontrato dal generale Gages e da tutta l'uffizialità, e quivi fra il rimbombo delle artiglierie prese il possesso della carica sua. Intanto il maresciallo di Traun richiamò a quartieri sul Modenese l'esercito austriaco; e se i curiosi, che non sapeano intendere perch'egli non marciasse a Rimino per isloggiare di là gli Spagnuoli, ne avessero chiesta la ragione a lui, siccome general prudente, loro l'avrebbe saputa rendere.
Nel luglio di quest'anno arrivarono al porto di Genova quattordici saiche catalane, maiorchine, cariche d'artiglierie e munizioni di guerra, destinate per Orbitello, da inviarsi poscia al campo spagnuolo. Trovossi per questo in grave impegno il senato genovese, perchè l'ammiraglio britannico, dopo avere inviati alcuni vascelli a bloccar quelle saiche, fece protestare ai Genovesi, che se permettessero lo sbarco di que' bronzi, s'intenderebbe rotta con loro ogni neutralità. Indarno reclamarono essi che nel porto loro era libero ad ognuno l'accesso. Dopo molte dispute convenne capitolare, e fu concordato che quei cannoni e munizioni si condurrebbono a Bonifazio in Corsica, ed ivi si custodirebbono sino alla pace. In essa Corsica mostravano tuttavia gran renitenza quei popoli a rimettersi sotto il dominio della repubblica di Genova. Non vi si parlava più del barone di Newoff, re di pochi giorni, quando costui sopra una nave inglese di sessanta cannoni nel febbraio di quest'anno giunse a Livorno, e passò dipoi alla Corsica. Verso la spiaggia di Balagna chiamò egli alcuni dei deputati di quelle comunità, per intendere i lor sentimenti, con fare delle belle sparate di soccorsi e d'intelligenza con dei potentati. Ma avendo quella gente assai conosciuto, queste essere parole e non fatti, il mandarono [514] in santa pace, ricusando un re venuto a sfamarsi alle spese loro, e non già ad aiutarli. Tornossene questo venturiere in Olanda ed Inghilterra a cercar migliore fortuna, nè più si parlò di lui. Avea fin qui Carlo Emmanuele re di Sardegna mantenuta buona corrispondenza colla corte di Francia, mostrandosi sempre disposto a ritirar le sue armi dalla difesa della regina d'Ungheria, e ad abbracciar la neutralità, o a far altri passi, giacchè nel trattato provvisionale s'era riserbata la facoltà di poter rinunziare dalla presa alleanza, qualora la corte di Spagna gli facesse godere qualche rilevante vantaggio. Era il cardinale Andrea Ercole di Fleury, primo ministro di Francia, il mediatore di questo affare. Ma venne a morte quel degno porporato nel dì 29 di gennaio dell'anno presente, e, secondo le vicende dei mondo, l'alta riputazione da lui guadagnata in vita per le sue dolci maniere, per la prudenza nel governo, e per molte altre sue belle doti e virtù, calò non poco dopo la sua morte. Attribuirono alla di lui condotta i Franzesi tutte le calamità loro avvenute in Boemia e Baviera; e lagnaronsi di lui per non avere in tempo di pace alleggerito abbastanza il regno di aggravii; aggiugnendo in oltre ch'egli sapeva accumulare, ma non poscia spendere a tempo per far riuscire i disegni utili alla monarchia franzese; e ch'egli avea tenuto fin qui in un letargo il re Cristianissimo, senza lasciargli far uso del suo spirito, pieno di generosità e capace d'ogni bella impresa.
Ossia che la corte di Spagna non consentisse mai a partito che proponesse il re di Sardegna, o che questi si servisse delle esibizioni della Spagna per fare miglior mercato con altri; certo è ch'egli nello stesso tempo fu in negoziato colle corti di Vienna e di Londra. Poco profittava egli colla prima. Più condiscendente provò egli il re britannico Giorgio II, con rappresentargli che non conveniva ai proprii interessi il continuare in questa [515] guerra senza sicurezza di qualche frutto e ricompensa; aver egli perduto le rendite della Savoia; restar esposti a maggiori pericoli tutti i suoi Stati; ed essere enormi le spese ch'egli facea, e perchè? per salvare la regina, i cui Stati nulla finora aveano patito. Adoperossi dunque il re inglese per indurre la corte di Vienna ad un trattato che fermasse il re di Sardegna nell'unione colla casa d'Austria, mercè di un adeguato compenso alle perdite e spese ch'egli avea fatte ed era per fare. Non sapea il ministero di Vienna arrendersi; ma giacchè la corte di Torino facea giocare il non occulto suo maneggio colle corti di Francia e di Madrid, e si ebbe paura che fra loro seguisse qualche accordo, a cui avrebbe tenuto dietro la perdita di tutto lo Stato di Milano, perciò finalmente condiscese la regina ad assicurarsi di quel reale sovrano. Adunque nel dì 13 di settembre nella città di Worms, ossia Vormazia, restò conchiuso un trattato di lega fra la regina d'Ungheria, i re d'Inghilterra e di Sardegna, e ciò in tempo che si credea e si spacciava come sicura l'alleanza di esso re sardo colle corti di Francia e Spagna. Ancorchè questo trattato di Worms non fosse pubblicato, pure ne trapelarono alcune particolarità, ed altre vennero alla luce per gli effetti che ne seguirono appresso. Cioè fu accordato nel nono articolo di cedere al re di Sardegna il Vigevanasco, e tutto il territorio posto alla riva occidentale del lago maggiore, abbracciando Arona e tutta la riva meridionale del Ticino, che scorre sino alle porte di Pavia, e la città di Piacenza col suo territorio di qua dal Po sino al fiume Nura, restando alla regina il Piacentino di là da Po e quello ch'è di qua dalla Nura. Fu detto che nel consiglio del re di Sardegna alcun fosse di parere che non si avesse a prendere il possesso di tali acquisti se non finita la guerra, e che prevalesse il parere di chi consigliava l'anteporre il certo presente all'incerto futuro.
Per questo trattato parve che la corte [516] di Francia restasse non poco irritata contra del re sardo, e certamente dopo esser ella stata fin qui renitente a dar braccio all'armi spagnuole per far conquiste in Italia, si vide all'improvviso cangiare registro, con accordare all'infante don Filippo alquante migliaia delle sue truppe. Ora perchè il re di Sardegna avea sì ben guerniti e fortificati i passi che dalla Savoia conducono in Piemonte, oltre alle fortezze che assicurano quel varco, determinarono gli Spagnuoli di tentare qualche altro passaggio; e lasciati in Savoia circa quattro mila soldati di presidio, passarono a Brianzone verso la valle di Castel Delfino. Conosciuti i lor disegni, sul fine di settembre unì il re sardo l'esercito suo nel marchesato di Saluzzo, e postosi alla testa d'esso, marciò per opporsi ai tentativi de' nemici. Calarono i Gallispani ne' primi giorni d'ottobre pel colle dell'Angello, per San Veran e per altri siti, e quantunque s'impadronissero del villaggio e forte di Pont, pure ebbero sempre a fronte i Savoiardi, che in più d'un luogo li rispinsero, e diedero lor delle busse. Pertanto da che si avvidero essere troppo pericoloso, se non impossibile, l'inoltrarsi, e tanto più perchè cominciò a fioccar la neve in quelle montagne, batterono nel dì 9 del suddetto mese la ritirata, passando di nuovo nel territorio di Francia, ma con grave loro disagio, e con lasciare indietro dodici cannoni da campagna, che vennero in potere dei Savoiardi, e colla perdita di molta gente, la quale o non volle o non potè, per cagion della neve, tener loro dietro, oltre la perdita di alcune centinaia di muli e di una parte del bagaglio. Tornossene indietro anche il re Carlo Emmanuele coll'esercito suo, il quale non andò esente da molti patimenti per l'orridezza della stagione, seco nondimeno riportando la gloria di aver bravamente respinti i nemici. Furono cantati Te Deum non solamente in Torino, ma anche in Modena, per così felice impresa. Perchè la regina d'Ungheria ebbe [517] bisogno d'uno sperto generale in Germania, richiamò colà il maresciallo conte di Traun governatore di Milano. Lasciò egli in queste parti grata memoria del suo discreto ed onorato procedere, della sua moderazione ad affabilità, del suo disinteresse e di molta carità verso i poveri, siccome ancora della disciplina ch'egli fece osservare alle milizie sue, sempre acquartierate in Carpi, Correggio e luoghi circonvicini. Nel dì 12 di settembre arrivò a rilevarlo il principe Cristiano di Lobkowitz, dichiarato capitan generale e governatore dello Stato di Milano. Era preceduta una sinistra voce che in compagnia di lui venisse la fierezza e la barbarie; la smentì egli ben tosto, fattosi conoscere signore di buona legge e di molta amorevolezza in queste parti. A lui non poco debbono gli Stati di Modena, perchè, regolandosi con massime diverse da quelle del Traun, deliberò di liberarle dal peso delle austriache milizie, per passare a Rimino, con disegno di cacciar di là gli Spagnuoli, i quali, senza rischio alcuno teneano viva nel cuore d'Italia la guerra.
In fatti sul principio d'ottobre si mosse esso principe a quella volta con tutte le sue forze. A riserva di alquanti cannoni e di molte munizioni, che spedite dalla Spagna erano in viaggio, sbarcate già in vicinanza di Cività Vecchia (pel quale sbarco fecero gl'Inglesi doglianze e minaccie al sommo pontefice), niun rinforzo di gente era mai giunto al campo spagnuolo. Però il duca di Modena e il conte Gages, attesa l'inferiorità delle forze, non vollero aspettar la visita degli Austriaci, e, passati alla Cattolica, andarono poi a far alto a Pesaro, nella qual città si afforzarono, stendendo la lor gente sino a Fano e Sinigaglia. Formarono ancora varii trincieramenti al fiume Foglia con varie batterie di cannoni. Fermossi il principe di Lobcowitz a Forlì, e parte della sua gente si portò a Rimino, città ben perseguitata dalle disgrazie in questi tempi. Perchè la sua cavalleria in [518] quelle strette campagne non potea operare, parve ch'egli non pensasse a maggiori progressi. Seguirono dunque delle scaramuccie solamente fra i Micheletti e gli Usseri; e perciocchè questi ultimi con varie schiere di Croati e Schiavoni in numero di circa quattro mila persone s'erano postati alla Cattolica, il duca di Modena con uno staccamento de' suoi combattenti per una parte, il general Gages per un'altra, e il generale conte Mariani per mare in varie barche, nei primi giorni di novembre s'inviarono con isperanza di sorprenderli. Ma un temporale in mare spinse le barche a Sinigaglia, e il Gages sbagliò la strada; laonde il solo duca co' suoi arrivò colà, e indarno aspettò i compagni. Avvisati intanto gli Austriaci del disegno degli Spagnuoli, con gran fretta si salvarono a Rimino, inseguiti poi per molto di strada dai Micheletti. Fermaronsi poi pel restante dell'anno in que' postamenti le due nemiche armate, per aspettare stagion più propria per le azioni militari. Ebbero anche apprensione gli Austriaci dell'accidente che segue.
Grande strepito, maggior timore cagionò in quest'anno per l'Italia e per tutti i litorali del Mediterraneo ed Adriatico la peste, ch'era entrata ed aveva preso piede in Messina. Colà approdò nel dì 20 di marzo un pinco genovese vegnente da Missolongi di Levante, e carico di lana e frumento. Esibì il padrone d'esso una patente falsificata, come s'egli procedesse da Brindisi. Gli fu prescritta la contumacia di molti giorni, nel qual tempo egli morì, e fu occultamente trafugata qualche mercatanzia nella città. Insorto poi sospetto che in quel pinco si annidasse la peste fu esso con tutto il suo carico dato alle fiamme. Ma già il malore era penetrato nella città; e cominciò a mancar di vita chi avea commerciato con que' traditori. Secondo il pessimo costume de' popoli, che troppo abborrimento pruovano a confessarsi assaliti da questo orribil male, si andarono lusingando i Messinesi che per tutt'altro fossero [519] avvenute quelle morti, e però non vi posero quel gagliardo riparo che occorreva in sì brutto frangente, essendosi permesse processioni ed unione del popolo nelle chiese, cioè il veicolo più proprio per dilatare il male. Ora appena ebbe sentore del sospetto di peste in quella città don Bartolomeo Corsini vicerè di Sicilia, che ne dimandò informazioni, e si trovarono i più de' medici messinesi, che attestarono, quella non essere vera peste, ma un male epidemico, ancorchè comparissero abbastanza i buboni; se con lode o vitupero dell'arte loro, non occorre ch'io lo dica. Ma il saggio vicerè non fidandosi di quella relazione, inviò tre medici di Palermo alla visita di quegl'infermi, e tutti allora conchiusero, trattarsi di quella vera pestilenza che spopola le città. Fu dunque sul fine di maggio dato all'armi, ristretta Messina con un cordone di milizie; e perchè il male era passato di qua dallo Stretto, ed aveva infetta la città di Reggio, ed alcuni altri luoghi della Calabria, la corte di Napoli anch'essa prese di buone precauzioni per preservare il resto del regno. Bandi rigorosissimi uscirono per tutta l'Italia, e si arrivò ne' littorali del Mediterraneo a tanta crudeltà di non voler concedere menomo sbarco a molti poveri Messinesi che s'erano salvati in barche per mare, quasichè non si potesse assegnar loro qualche sito da far la contumacia, senza lasciarli morir di fame. Non vorrebbono in simil caso essere trattati così quegl'inumani. Gran parte poi del popolo di Messina in poco più di tre mesi perì; nè solo di peste, ma anche di fame, essendosi trovata la città sprovveduta di grano; e quantunque fossero loro spediti di tanto in tanto dei soccorsi per ordine del re e del vicerè di Sicilia, pure non bastarono al bisogno. Tal discordia poi passa fra due relazioni, che or ora accennerò, intorno al ruolo degli estinti di quella città e contado, che meglio ho creduto di non attenermi ad alcuna di esse.
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Maraviglia fu, che essendo in campagna le armate, cioè gente che non vuol legge, si salvasse l'Italia da questo eccidio. Anche per l'anno seguente si continuarono i rigori delle guardie e contumacie, cosicchè terminò in fine col male anche la paura. Se tali diligenze avessero usate i nostri maggiori, non avrebbe in altri tempi fatta cotanta strage con dilatarsi la peste. Nè pure in avvenire passerà dai paesi de' Turchi esso male, o passando non si dilaterà, ogni qual volta si osservino le buone regole inventate per preservarsi. Questa funestissima tragedia, o sia l'esatta relazione della peste suddetta, si truova data alle stampe in Palermo dal canonico don Francesco Testa, con tutti gli editti in tal congiuntura emanati. Un'altra assai curiosa e molto utile relazione di quella tragedia in versi sdruccioli ho io avuto sotto gli occhi, fatta dall'abbate Enea Melani religioso gerosolimitano, che di tutto era ben informato. Fu essa stampata in Venezia nel 1747. Oltre a ciò, si patì in quest'anno l'influsso dei raffreddori per gli Stati della Chiesa, di Venezia e Toscana, che trassero al sepolcro molte migliaia di persone. Mancò parimenti di vita Maria Anna Luisa de' Medici, figlia di Cosimo III gran duca di Toscana, e vedova di Gian-Guglielmo elettor palatino, a cui non avea data prole: principessa di gran pietà e saviezza. Era nata nel dì 11 di agosto del 1667. Fatti molti riguardevoli legati, lasciò erede degli stabili, mobili e gioie della sua casa il duca di Lorena, cioè Francesco Stefano, già divenuto gran duca di Toscana. Le proteste fatte contra di tal disposizione dal re delle Due Sicilie don Carlo non ebbero certamente la forza che seco portò il possesso. Giunse ben a tempo questa ricca eredità al gran duca, per valersi dei molti preziosi arredi, argenti e gioie in aiuto della regina d'Ungheria sua consorte, lagnandosi indarno in lor cuore i Fiorentini, al vedere trasportati altrove i tesori ed ornamenti della loro città. Nel dì 9 di [521] settembre fece il sommo pontefice Benedetto XIV la tanto sospirata promozione di ventisette cardinali, persone tutte di merito, tre dei quali si riservò in petto. Quanto alla Germania, dove più che in altri paesi fu bollente la guerra, appena spuntò la primavera, che la regina d'Ungheria, dopo avere spedita una potente armata contro la Baviera, passò col gran duca consorte e correggente in Boemia, e nel dì 12 di maggio solennemente ricevette in Praga la corona di quel regno. Nel dì 9 d'esso mese all'armata austriaca, comandata dal principe Carlo di Lorena e dal maresciallo di Kevenhuller, venne fatto di dare una rotta ai Gallo-Bavari, postati alle rive del fiume Inn, con fare molti prigionieri, e coll'acquisto di quattro cannoni e di varii stendardi. Dopo di che il vittorioso esercito si spinse addosso alla città di Dingelfing, che, abbandonata dai Franzesi, non si sa, se per aver essi posto il fuoco ai magazzini, o pure per barbarie dei Croati, restò quasi preda delle fiamme. Anche la città di Landau venne in loro potere, e fu attribuito un simile incendio di essa ai Franzesi, che le diedero anche il sacco prima d'andarsene. Ritiraronsi in fretta parimente da Deckendorf e da Landsut. Perchè parea ch'essi Franzesi facessero peggio degli stessi nemici, non si può dire quanto odio concepirono contra di loro i Bavaresi. Arrivavano già le scorrerie de' nemici in vicinanza di Monaco, e però l'imperador Carlo VII, che nel dì 17 di aprile era tornato in quella sua capitale, non trovandosi ivi sicuro, nel dì 8 di giugno per la seconda volta se ne ritirò, riducendosi coll'imperiale famiglia ad Augusta. Altrettanto andava facendo il maresciallo franzese conte di Broglio, il quale si ridusse in salvo sotto il cannone d'Ingolstat, e poscia si staccò anche di là all'approssimarsi degli Austriaci, ed abbandonò fino Donawert. Nel dì 9 del mese suddetto rientrarono essi Austriaci in Monaco, e in poco tempo si renderono padroni di quasi tutta la Baviera e dell'alto [522] Palatino, con acquisto di gran copia di artiglierie; laonde l'imperadore si ridusse poscia in Francoforte. Furono poi cagione questi rovesci di fortuna che il gabinetto del re Cristianissimo giudicasse a proposito di far proporre alla regina d'Ungheria delle proposizioni di pace. Pareano queste assai discrete, perchè si facea contentare la corte di Baviera di un ritaglio della monarchia Austriaca, per quanto fu detto, cioè nella Briscovia; e il re di Prussia di una porzione della Slesia. Ma il buon vento che allora correa in favor della regina, e gonfiava le vele di speranze maggiori, ed essendo di pochi il sapersi moderare nella prospera fortuna, non le lasciò accettare la proposta concordia, allegando essa sempre di non poter permettere che si sciogliesse il vincolo della prammatica sanzione, assodato coll'approvazione e giuramento di tante potenze. Se n'ebbe forse a pentire col tempo.
Nel presente anno e nel dì 27 di giugno seguì una sanguinosa battaglia a Dettingen fra l'esercito franzese, guidato dal maresciallo duca di Noaglies, e l'inglese ed annoveriano, in cui si trovava lo stesso re della Gran Bretagna Giorgio II. Amendue le parti gareggiarono in ispacciar maggiori riportati vantaggi, giacchè non fu conflitto decisivo. Certo è che gli Inglesi rimasero padroni del campo di battaglia, e contarono non pochi stendardi e bandiere prese. Vennero intanto sottomesse degli Austriaci la fortezza di Braunau in Baviera, e Friedberg e Reichental, i presidii dei quali luoghi si renderono prigionieri di guerra. Nel dì 20 di luglio la fortezza di Straubingen con capitolazioni oneste si rendè al tenente maresciallo austriaco barone di Berenclau. Sostenne la città di Egra, unicamente restata in Boemia in poter de' Franzesi, un lunghissimo assedio; ma finalmente nel dì 8 di settembre quel presidio si diede per vinto e prigioniere dell'armi della regina d'Ungheria: con che la Boemia interamente tornò alla quiete primiera. Grande materia di discorsi fu in questo [523] anno il veder tutti i Franzesi ritirarsi precipitosamente dalla Baviera verso il Reno, e valicarlo con passare in Alsazia. Parve che quella sì valorosa nazione, allorchè troppo si allontana da' confini del suo regno, o non conservi la consueta sua bravura, o non sia accompagnata dalla fortuna. Trasse anche al Reno l'esercito del principe Carlo: esercito di gran possa; eseguirono poi varii tentativi per passarlo, con altre azioni, dal racconto delle quali io mi dispenso. Solamente come punto di grande importanza merita menzione la resa della città e fortezza d'Ingolstad, accaduta dopo pochi giorni di assedio nel dì 9 di settembre, agli Austriaci: piazza la più considerabile della Baviera. Si conobbe nondimeno che v'intervenne qualche segreto concerto, perchè non altro fu permesso alla regina d'Ungheria, che di estrarne le artiglierie, gli attrezzi e le munizioni da guerra. Colà si era ricoverato il meglio dell'imperador bavarese, e a tutto fu portato sommo rispetto. Cento settantacinque furono i cannoni, trentaotto i mortari, che asportati di colà andarono a reclutare i magazzini della regina d'Ungheria, la cui gloria crebbe di molto nell'anno presente. Trattarono in questi tempi i Genovesi con tal serietà e dolcezza gli affari della Corsica, esibendo a que' popoli ragionevoli condizioni di vantaggio e sicurezza, che riuscì loro in fine di smorzare un incendio di sì lunga durata, e che era loro costato parecchi milioni.
Anno di | Cristo MDCCXLIV. Indiz. VII. |
Benedetto XIV papa 5. | |
Carlo VII imperadore 3. |
Per tutto il verno del presente anno andarono calando dalla Germania copiose reclute, ed anche alcuni reggimenti che passavano ad ingrossare l'armata del principe Lobcowitz, acquartierata a Cesena, Forlì e Rimino, conoscendosi abbastanza altro non meditarsi che di procedere innanzi per cacciar gli Spagnuoli [524] da Pesaro e dagli altri luoghi da loro occupati. All'incontro, in tale stato era l'armata spagnuola, che quand'anche la forza non la facesse sloggiare, sarebbe essa obbligata a ritirarsi a cagion della mancanza dei foraggi per terra; e perchè giravano per que' lidi alcuni legni inglesi che ne impedivano il trasporto per mare. Inviarono gli Spagnuoli varii distaccamenti pel ducato d'Urbino, o per cautelarsi dall'essere assaliti da quella parte, o per far credere di voler eglino assalire. Ma finalmente il principe di Lobcowitz sul principio di marzo diede la marcia al poderoso suo esercito, risoluto di venire a battaglia, se gli Spagnuoli intendevano di aspettarlo di piè fermo. Nol vollero già essi aspettare, per ordine, come diceano, venuto da Madrid; però sul fare del giorno del dì 6 senza suono di trombe o tamburi, e con restar sempre chiuse le porte di Pesaro, si avviarono alla volta di Sinigaglia. Non mantenne il conte di Gages la promessa fatta al vescovo di Fano di non disfare il ponte sul Metauro. Alle più valorose truppe e alle guardie del duca di Modena fu lasciato l'onore della retroguardia. Nel dì 9 arrivò ad infestarli un grosso corpo d'Usseri e Croati, guidati dal conte Soro, co' quali convenne venire alle mani, e durò questa persecuzione anche nei dì seguenti, con danno di amendue le parti. Mentre andava innanzi il nerbo dell'armata, la retroguardia, che avea preso riposo a Loreto, nel dì 15 d'esso marzo sotto le mura di quella città si vide assalita da cinque mila Austriaci, e il conflitto durò per dieci ore, con ritirarsi in fine il distaccamento austriaco. Nel proseguire il viaggio a Recanati gli Spagnuoli furono salutati dal cannone di due navi inglesi, che uccisero il maresciallo di campo Brieschi, comandante delle guardie vallone, con due altri uffiziali. Nel dì 16 fu di nuovo assalita la retroguardia suddetta, e si combattè sino alle vent'ore con vicendevole mortalità. Finalmente nel dì 18 due ore avanti giorno l'esercito spagnuolo, lasciati molti [525] fuochi nel campo, s'istradò verso il fiume Tronto, confine del regno di Napoli, e nel mezzo giorno sopra un preparato ponte di barche cominciò a passarlo, e da quella riva non si mossero il duca di Modena e il conte di Gages, se non dopo averli veduti tutti in salvo. Andarono poi essi a prendere riposo per quattro giorni a Giulia Nuova, e poscia furono ripartite le truppe in varii quartieri, ma dopo aver patita una grave diserzione nel viaggio. Stavano esse in Pescara, Atri, Chieti, Città della Penna e Città di Sant'Angelo; nel qual tempo anche gli Austriaci si accantonarono fra Recanati, Macerata, Fermo, Ascoli e Tolentino. Se il principe di Lobcowitz avesse trovata ne' suoi subordinati generali maggiore ubbidienza ed amore, di peggio sarebbe avvenuto alla precipitosa ritirata del campo nemico.
All'osservare questa brutta apparenza di cose, non tardò l'infante don Carlo re delle Due Sicilie, nel dì 25 di marzo, a muoversi da Napoli, ed accorrere in persona anch'egli nelle vicinanze dell'Abbruzzo con quindici mila de' suoi combattenti, unendosi con gli Spagnuoli, non già con animo di rinunziare alla neutralità, ma solamente di guardare il suo regno dagl'insulti de' nemici, caso che questi fossero i primi a fare delle ostilità. La regina sua consorte per maggior sicurezza fu inviata a Gaeta, non ostante le preghiere in contrario della appellata fedelissima città di Napoli. Non si può negare: giudicò il principe di Lobcowitz non difficile la conquista del regno di Napoli. Conduceva egli una poderosa armata, a cui di tanto in tanto arrivavano nuovi rinforzi di gente e di munizioni. Nel regno stesso non mancavano dei ben affetti all'augusta casa d'Austria, che segretamente faceano sperar delle rivoluzioni alla corte di Vienna. Però venne l'ordine ad esso principe d'inoltrarsi. Nel fine d'aprile un corpo d'Austriaci, valicato il Tronto, penetrò nell'Abbruzzo, e trovò gente che l'accolse di buon cuore. Ma il Lobcowitz, sul riflesso [526] che, facendo anche progressi da quella parte, restavano da superar le montagne, e che tuttavia egli si troverebbe lontano dal cuore e centro del regno, determinò più tosto di prendere un cammino più facile per le vicinanze di Roma e di Monte Rotondo: cammino appunto eletto dagli altri conquistatori del regno di Napoli. Levato dunque il campo da Macerata e dai circonvicini luoghi, si avviò, verso la metà di maggio, a quella volta. Per lo contrario l'infante re, appena ebbe penetrato il di lui disegno, che retrocesse a San Germano, e alle sue forze s'andarono ad unire quelle dell'esercito spagnuolo. Ne solamente pensò alla difesa dei proprii confini, ma eziandio, giacchè stimava che l'avessero i nemici disobbligato dalla promessa neutralità coi tentativi fatti nell'Abruzzo, spinse alcuni grossi distaccamenti nello Stato ecclesiastico a Ceperano, Frosinone e Vico Varo, sino a giugnere co' suoi picchetti al Tevere. Nel dì 24 del mese suddetto, giunto a Roma il principe Lobcowitz, ebbe una benigna udienza dal papa, e chiamò poi quella giornata dì di trionfo, stante il gran plauso e i viva sonori di quella plebe. Ben regalato se ne andò a Monte Rotondo; di là poi passò a Frascati, Morino, Castel Gandolfo ed Albano. Intanto, entrata anche tutta l'armata napolispana nello Stato ecclesiastico, si divise in tre corpi, postandosi il re ad Anagni con uno, il duca di Modena con un altro a Valmonte, e il generale di Gages a Monte Fortino. Tutti finalmente si ridussero a Velletri; giacchè si scoprì invogliato l'esercito austriaco di penetrare per colà nel regno di Napoli. Non si potea dar pace il pontefice Benedetto XIV al mirare divenuti teatro della guerra i paesi della Chiesa con tanto aggravio e desolazione de' sudditi suoi. L'unica speranza di vedere in breve terminato questo flagello era riposta in una giornata campale che decidesse della fortuna dell'armi. Ma non faceano gli Spagnuoli di questi conti, bastando loro di tenere a bada gli avversarii, tanto che [527] non mettessero piede nel regno; perchè ben prevedevano che questo sarebbe stato un vincerli senza battaglia. Sul principio di giugno arrivati gli Austriaci al monte della Faiola, ed occupato quel sito che dominava il convento de' cappuccini di Velletri, quivi cominciarono ad alzar batterie, per incomodare i Napolispani esistenti nella città, i quali tenevano aperto alle spalle il commercio col regno, da cui continuamente ricevevano le bisognevoli provvisioni. A Nemi era il quartier generale del Lobcowitz. Perchè in questi tempi era restata poca gente alla custodia dell'Abbruzzo, riuscì al colonnello austriaco conte Soro con un distaccamento di truppe di entrare nelle città dell'Aquila, di Teramo e Penna. Si ebbero bene a pentire col tempo quegli sconsigliati abitanti di avere accolti quei nuovi ospiti con tanta festa, e di aver prese anche, se pur fu vero, l'armi in loro favore. Videsi poi sparso per varii luoghi del regno un manifesto della regina d'Ungheria, contenente le ragioni di aver mossa quella guerra, coll'animare i popoli alla ribellione. In esso furono toccati certi tasti che dispiacquero alla sacra corte di Roma; ed essendosene ella doluta, protestò poi la regina di non aver avuta parte in esso manifesto.
Stavano dunque a fronte, separate da una valle profonda, le due nemiche armate, cercando cadauna di ben fortificare i suoi posti, e di occupar quelli de' nemici. Specialmente nella Faiola e in Monte Spino si afforzarono gli Austriaci e i Napolispani nel monte dei Cappuccini. Fioccavano le cannonate dall'una parte e dall'altra. Ma nella notte antecedente al dì 17 di giugno, avendo il conte di Gages da alcuni disertori ricavato nome della guardia, ed appresa la situazion degli Austriaci alla Faiola, sito onde era forte incomodata la regia armata, con grosso corpo di gente si portò all'assalto di quel posto medesimo, e se ne impadronì, con far prigioni, oltre agli uccisi, il generale di battaglia baron Pestaluzzi, il colonnello [528] e tenente colonnello del reggimento Pallavicini, ed altri uffiziali con ducento sessanta soldati; e gli servì poi quel sito per inquietar frequentemente gli Austriaci nel loro campo. Fu cagione questa positura di cose, cotanto penosa al territorio romano, che il pontefice Benedetto XIV per sicurezza e quiete di Roma chiamasse colà alcune migliaia dei miliziotti di varie sue città. Durò poi la vicendevole sinfonia delle cannonate e bombe sotto Velletri, con poco danno dell'una e dell'altra parte, sino al dì 10 di agosto; quando il principe di Lobcowitz, animato dalle notizie prese da un villano di Nemi e da alcuni disertori, determinò di tentare una strepitosa impresa. Il disegno suo era d'impadronirsi di Velletri, e di sorprendere ivi il re delle Due Sicilie, il duca di Modena ed altri primarii uffiziali della nemica armata. Nella notte adunque precedente al dì 11 del mese suddetto fece marciare alla sordina due corpi di gente, l'uno di quattro mila soldati e l'altro di due mila, per diverse vie. Il primo era comandato ai tenenti generali Braun e Linden, e dai generali di battaglia Novati e Dolon; e questi fecero un giro verso la sinistra dell'accampamento napolispano, ed arrivati sul far del giorno al sito dove erano postati i tre reggimenti di cavalleria della regina, Sagunto e Borbon, con alcune brigate di fanteria, le quali, quantunque prive di trinceramenti, non si aspettavano una visita sì fatta, e tranquillamente dormivano; diedero loro addosso, con attaccar nello stesso tempo il fuoco alle tende. Molti vi restarono uccisi, altri rimasero prigionieri; chi ebbe buone gambe, e fu a tempo, si salvò. Agli abbandonati cavalli furono tagliati i garretti, e per conseguente tolta la maniera di più servire e vivere. La sola brigata de' valorosi Irlandesi fece testa, finchè potè; ma sopraffatta dalle forze maggiori, dopo grave danno, cercò di salvarsi in Velletri. Dietro ai fuggitivi per quella medesima porta entrarono gli Austriaci nella città, e si diedero ad incendiar varie [529] case per accrescere il terrore. Presero l'armi i poveri Velletrani, per difendere ognuno le abitazioni proprie, ed alquanti vi lasciarono la vita. Avvisato per tempo il re di questa sorpresa, balzò dal letto, e vestito in fretta si ritirò al posto dei Cappuccini, ed era solamente in apprensione pel duca di Modena e per l'ambasciatore di Francia. Ma anche il duca di Modena e l'ambasciatore ebbero alcuni momenti favorevoli per tener dietro a sua maestà fra le archibugiate de' nemici. Entrò il general Novali nel palazzo del duca; furono presi e condotti via tutti i suoi cavalli. Dubbio non ci è, che se gli Austriaci avessero atteso a perseguitare i Napolispani; e se fosse giunto a tempo l'altro corpo di gente che dovea raggiugnerli, restava la città di Velletri in loro potere. Ma, secondo il solito, più vogliosi i soldati di bottinare che di combattere, si perderono attorno agli equipaggi degli uffiziali e alle sostanze de' cittadini, con far veramente un buon bottino, spezialmente dove abitava l'ambasciatore di Francia, e i duchi di Castropignano e di Atrisco. Ciò diede campo ad essi Napolispani di rincorarsi e di accorrere alla difesa; e particolarmente con furore s'inoltrarono le guardie vallone per la lunga strada di Velletri contra de' nemici. Sorpresero il general Novati, che s'era perduto a scartabellare le scritture del duca di Modena, e custodiva le di lui argenterie, che verisimilmente doveano essere il premio delle sue fatiche, e il fecero prigione. Sopravvenuto poi un rinforzo del conte di Gages, talmente furono incalzati gli Austriaci, che chi non rimase o ucciso o prigione, fu forzato a salvarsi fuori di Velletri, e di lasciar libera la città.
Mentre si facea questa sanguinosa danza in Velletri, il principe di Lobcowitz con altri nove mila soldati dovea portarsi all'assalto dei posti della collina fortificati da' nemici. Tardò troppo. Tuttavia gli riuscì di occupar qualche sito del monte Artemisio. Ma così incessante fu il fuoco degli Spagnuoli, che quanti si [530] avanzavano, rotolavano uccisi al fondo della valle, di maniera che dopo un ostinato conflitto di alcune ore furono forzati anche quegli Austriaci a battere la ritirata e ad abbandonare gli occupati posti. Terminata la scena, ognuna delle parti esaltò a dismisura la perdita dell'altra. I più saggi crederono che tra i morti e prigioni di Napolispani vi restassero almen due mila persone, fra le quali di prigionieri si contarono circa ottanta uffiziali, e fra gli altri il general conte Mariani, sorpreso colla gotta in letto. Vi perderono anche, chi disse nove, e chi dodici bandiere della brigata d'Irlanda. Dalla banda degli Austriaci rimasero prigionieri, oltre al generale Novati, diciotto altri uffiziali, e molti soldati colti in Velletri; e quantunque spacciassero di aver lasciati morti sul campo solamente circa cinquecento uomini, pure gli altri fecero ascendere la loro perdita a più di due mila persone. La verità si è, che se mancò la felicità, non mancò già la gloria di questo tentativo al principe di Lobcowitz, perchè in simili casi nè si possono prevedere tutti gli accidenti, nè a tutto provvedere. Ma certo è altresì che maggior fu la gloria de' Napolispani, i quali in sì terribil improvvisata, e con tanto avanzamento de' nemici, non solamente si seppero sostenere, ma anche rovesciarono valorosamente le loro schiere, superando una tempesta che fece grande strepito entro e fuori d'Italia. Dopo questo fallo, restate le due armate nei consueti loro posti, continuarono a salutarsi coi reciproci spari di artiglierie senza vantaggio degli uni e degli altri. Attese intanto l'infante re don Carlo a rimontare la sua cavalleria: al che concorsero tutti i vassalli del regno di Napoli, ed anche quei di Sicilia. Varii distaccamenti spediti dal re in Abbruzzo ne fecero in questi tempi sloggiare il colonnello Soro coi suoi partitanti, e tornare all'ubbidienza della maestà sua le già occupate città. Il rigore usato contra di quegli abitanti dal comandante napoletano, fu detto [531] che venisse detestato dalla corte stessa, e tanto più da chi senza parzialità pesava le azioni degli uomini.
Per tutto il settembre e per quasi tutto l'ottobre stettero in quella positura ed inazione le due nemiche armate sotto Velletri, quando si cominciò a scorgere che il principe di Lobcowitz meditava di decampare, e di ritirarsi alla volta del Tevere, giacchè inviava innanzi verso Cività Vecchia i suoi malati, e parte delle artiglierie, munizioni e bagagli. Certamente durante la state non erano cessati di giugnere nuovi rinforzi di gente al suo campo; ma di gran lunga sempre maggiore si trovava il numero di coloro che cadevano infermi, e andavano anche mancando di vita. I caldi di quel paese non si confacevano colle complessioni tedesche, avvezze ai freddi, e l'aria delle vicine paludi Pontine stendeva fin colà i perniciosi suoi influssi, di modo che quanto si trovò in esso ottobre infievolito lo esercito suo, altrettanto si vide il caso disperato di vincere la pugna, e di obbligare i Napolispani a retrocedere. Non è già che restasse esente da gravissimi guai anche l'oste napolispana, stante la continua diserzione ch'essa patì, maggior di quella degli avversarii, e la gran quantità de' suoi malati, e la difficoltà di ricevere i viveri, che bisognava condurre con pericolo ben da lontano, essendosi spezialmente per qualche tempo trovata in somme angustie per mancanza di acqua da abbeverar uomini e cavalli. Pure tanta fu la costanza del re e di tutti i suoi, che sofferirono più tosto ogni disagio, che darla vinta ai vicini nemici. Pertanto sull'alba del dì primo di novembre il principe di Lobcowitz levò il campo e in ordine di battaglia s'inviò verso Ponte Molle, per cui, e per un ponte di barche già formato a fin di far passare le artiglierie, nel dì seguente ridusse di qua dal Tevere le genti sue. Perchè da Roma uscirono alcune centinaia di persone arrolate dal cardinale Acquaviva, che infestarono il loro passaggio, se ne vendicò [532] poscia il principe con dare il sacco ad alcune innocenti ville. Nello stesso dì primo di novembre anche l'armata napolispana, trovandosi liberata dai ceppi di tanta durata, con giubilo inesplicabile si mosse da Velletri per tener dietro ai nemici, procedendo nondimeno con tanta lentezza, che ben si conobbe non aver voglia di cimentarsi con loro, siccome quella che contava per sufficiente vittoria il vederli slontanare da quelle contrade. Nel dì 2 framezzate dal Tevere, i cui ponti erano stati rotti, si fermarono in faccia le due armate, salutandosi solamente l'una e l'altra con varie cannonate. Quivi si trovava coll'oste sua il re delle Due Sicilie don Carlo, e sospirando la consolazione di vedere il pontefice Benedetto XIV, e di baciargli il piede, concertò pel dì seguente l'entrata sua in Roma. Colà portossi la maestà sua, accompagnata dal duca di Modena, dal conte di Gages, dal duca di Castropignano e da numerosa altra uffizialità, e fra il rimbombo delle artigliere di castello Santo Angelo, le quali gran dispetto e mormorazione cagionarono nel campo tedesco, fu ricevuto con tenero affetto dal santo padre, e per un'ora continua durò il loro abboccamento.
Confessò dipoi in una delle sue dotte pastorali il buon pontefice, che fra le altre cose il re gli fece istanza di minorare il soverchio numero delle feste di precetto (grazia già accordata da sua santità a varie chiese di Spagna), atteso il detrimento che ne veniva ai poveri e agli artisti, e ai lavoratori della campagna. Congedatosi il re da sua Santità, passò dipoi a venerar nella Vaticana basilica il sepolcro dei santi Apostoli, e a visitar le più rare cose del vastissimo palazzo pontifizio, dove trovò insigni regali preparatigli dal santo padre, siccome ancora un lautissimo pranzo per sè e per tutto il suo gran seguito. Nell'inviarsi fuori di Roma visitò anche la basilica Lateranense, lasciando da per tutto contrassegni della sua gran pietà, affabilità e munificenza. [533] Anche il duca di Modena ricevette dipoi una benignissima e lunga udienza dal pontefice; e laddove il re s'era incamminato per passare a Velletri e a Gaeta, egli se ne tornò la sera al campo. Passò dipoi il vittorioso re a Napoli, accolto da quel gran popolo con incessanti acclamazioni, sigillo della fedeltà ed amore verso di lui mostrato in sì pericolosa congiuntura. Vedesi data alla luce la descrizione del rinomato assedio di Velletri, composta con elegante stile latino dal signor Castruccio Bonamici, uffiziale militare del suddetto re delle Due Sicilie.
S'andò ritirando l'esercito austriaco su quel di Viterbo, e poscia su quel di Perugia, inseguito, ma da lungi, dal Napolispano, che, quantunque superiore di forze, mai non volle e non osò molestarlo. E perciocchè il conte di Gages, arrivato a Foligno, serrò il cammino conducente nella Marca; il Lobcowitz, se volle venir di qua dall'Apennino, altro spediente non ebbe, che di prendere la via del Furio, per cui passando con grave incomodo delle sue genti, andò poi a distribuirle a quartieri in Rimino, Pesaro, Cesena, Forlì ed Urbino. Fu posto il quartier generale in Imola. Vicendevolmente il conte di Gages ritiratosi da Assisi, Foligno ed altri luoghi, stabilì il suo quartiere in Viterbo, e mise a riposar la sua armata in que' contorni, stendendola fin quasi a Cività Vecchia. E tale fu il fine di questa spedizione pel meditato acquisto di Napoli, che diede occasione al tribunale dei politici sfaccendati di proferir varie decisioni. Proruppero i parziali del re delle Due Sicilie in encomii e plausi per la savia condotta di lui e dei suoi generali, da che avea tenuto lungi dai suoi confini il potente nemico esercito, e tiratolo nelle angustie di Valletri, con averlo obbligato a star ivi per tanto tempo racchiuso. Per lo contrario i ben affetti alla regina di Ungheria si lasciarono scappar di bocca qualche disapprovazione dell'operato dal comandante generale austriaco, non sapendo intendere perchè egli avesse presa [534] la ristrettissima strada di Velletri, e si fosse ostinato io quella situazione, senza eleggere più tosto, o prima o dappoi, la via di Sora, od altra per entrare nel regno, dove non era fuor di speranza qualche mutazione, ed una battaglia potea decidere di tutto. Ma è troppo avvezza la gente a misurar le lodi e il biasimo delle imprese dal solo esito loro, quasichè il fine infelice di un'azione faccia che il saggio non l'abbia con tutta prudenza sul principio intrapresa. Disgrazia, e non colpa, è ordinariamente l'avvenimento sinistro delle risoluzioni formate da chi è provveduto di senno. Intanto la misera città di Velletri respirò dal peso di tanti armati; ma non restò già esente da altri mali, perchè per gli stenti passati e pel fetore di tanti cadaveri malamente seppelliti sorse una maligna epidemia in quel popolo. Spedì il pontefice gente per farne lo spurgo, ed anche aiuto di pecunia; ma non lasciò per questo di essere ben deplorabile la lor fortuna. Mentre si facea la guerra fin qui accennata nel levante dell'Italia, un'altra più fiera, che divampò e si dilatò in questo medesimo anno nelle parti di ponente trasse a sè gli occhi di tutti. Avendo finalmente la corte di Spagna ottenuto che il re Cristianissimo seconderebbe con forze gagliarde i suoi tentativi contro gli stati del re di Sardegna, si videro in moto alla metà di febbraio gli Spagnuoli, per tornare dalla Savoia in Provenza. Quivi si accoppiarono poscia l'infante don Filippo e il principe di Conty, supremo comandante dell'armi franzesi, e per tempo ognun s'avvide, essere le loro mire dalla parte marittima di Nizza e Villafranca. Contro tanti nemici solo si trovava il re di Sardegna Carlo Emmanuele, a cui fu in questi tempi dato l'attuai possesso di Piacenza, di Vigevano e dell'altro paese a lui accordato nella lega di Vormazia; ma nulla perciò egli sgomentato, si studiò di ben munire di genti e ripari il paese suo posto al mare.
Prima nondimeno che si desse fiato [535] alle trombe in terra, avvenne una gran battaglia in mare fra l'ammiraglio inglese Matteus e la flotta franzese e spagnuola, che s'erano unite in Tolone. Queste ultime la fama amplificatrice delle cose le faceva ascendere sino a sessanta vascelli di linea. Erano ben molto meno. Stava il Matteus co' suoi legni nell'isole di Jeres, attento ai movimenti de' suoi avversarii, quando, giuntogli l'avviso, nel dì 22 di febbraio, che usciti di Tolone aveano messo alla vela, passò tosto ad assalire la vanguardia condotta dalle navi spagnuole. Atrocissimo fu il combattimento verso capo Cercelli; l'orribile ed incessante strepito di tante artiglierie sparse il terrore per tutte le coste della Provenza, e corsero infinite persone sulle alture delle montagne ad essere spettatrici di quella scena infernale. Per confessione degli stessi nemici, fece maraviglie di valore l'armata navale di Spagna, comandata dall'ammiraglio Navarro; e tanto più perchè il signor di Court, comandante della franzese, o non entrò mai veramente in battaglia, o, se v'entrò, poco tardò a ritirarsi, per non vedere sconciati i suoi legni. Che peraltro fu creduto che se i Franzesi avessero meglio soddisfatto al loro dovere, probabilmente potea riuscir quel conflitto con isvantaggio degl'Inglesi, stante il non essere accorso a tempo in aiuto del Matteus il vice-ammiraglio Lestok, che fu poi processato per questo. La notte pose fine a tanto furore; ma nel dì seguente si tornò alle vicendevoli offese, quando il mare, stato anche nel dì innanzi assai burrascoso, accresciuta la collera, separò affatto le nemiche armate, spignendole un fierissimo vento amendue alla volta di Occidente. Perderono gli Spagnuoli un vascello di sessantasei pezzi di cannone e di novecento uomini di equipaggio, caduto in man degl'Inglesi sì maltrattato, che, dopo averne essi estratto il capitano con ducento uomini rimasti in vita, giudicarono meglio di darlo alle fiamme. Grande fu la copia dei morti e feriti di [536] essi Spagnuoli: rimasero anche i lor vascelli talmente sconcertati, che ridotti a Barcellona ed Alicante, non si sentirono più voglia di tornare in corso. Forse non fu minore il numero dei morti e feriti dalla parte degli Inglesi, i quali anche per l'insorta tempesta patirono assaissimo, e si ridussero a Porto Maone. I soli Franzesi ebbero salve ed illese le lor navi e genti; se con loro onore, da molti si dubitò. Perchè lo stesso ammiraglio Matteus non fece di più, fu anch'egli richiamato a Londra, e sottoposto ad un lungo e rigoroso processo.
Intanto avea il re di Sardegna fatti gagliardi preparamenti di genti e fortificazioni al fiume Varo, giacchè l'esercito terrestre de' Gallispani minacciava un'irruzione da quella parte. Alle sboccature parimente stavano ancorate alquante navi inglesi, per impedire il passaggio colle loro artiglierie. A nulla servirono quei tanti ripari, perchè senza difficoltà nel dì 2 di aprile comparve di qua dal Varo la fanteria spagnuola; al quale avviso i cittadini di Nizza, mercè della facoltà loro data dal real sovrano, affinchè non rimanessero esposti a guai maggiori, andarono a presentar le chiavi di quella città all'infante don Filippo. Riposte avea le principali sue speranze il re sardo nei trincieramenti fatti da' suoi ingegneri a Villafranca e Montalbano, che certamente parvero inaccessibili, massimamente perchè alla guardia d'essi vegliavano molte migliaia delle sue migliori truppe. Ma ossia che intervenisse qualche stratagemma, per cui l'armata gallispana, ascendente, per quanto fu creduto, a quaranta mila combattenti, si aprisse senza gran fatica il varco a quel fortissimo accampamento, con arrivare inaspettatamente addosso al marchese di Susa, e menarlo via prigione; o pure che a forza di furiosi assalti si superassero tutti gli ostacoli: certo è che nel dì 20 d'aprile essi Gallispani v'entrarono. Gran resistenza fecero i Savoiardi; più d'una volta rispinsero le schiere nemiche, e gran sangue [537] fu sparso, e fatti de' prigionieri dall'una e dall'altra parte. Si sostennero essi Savoiardi in alcuni siti sino alla notte, in cui il general comandante Sinsan, dopo aver posto presidio nel castello di Villafranca e nel forte di Montalbano, andò ad imbarcare circa quattro mila de' suoi colle artiglierie, che potè salvare in molti legni preparati nel porto di Villafranca, e passò ad Oneglia. Non aspetti alcuno da me il conto dei morti, feriti e prigioni dell'una e dell'altra parte, e de' cannoni, bandiere e stendardi presi, perchè so che non amano di comperar bugie: che di bugie appunto abbondano le relazioni de' fatti d'armi a misura delle differenti passioni. Poco poi tardarono Montalbano e il castello di Villafranca a sottomettersi a' Gallispani. Attese allora il re di Sardegna a ben premunire i passi delle montagne di Tenda, affinchè lasciassero i nemici il pensiero di penetrar per quelle parti in Piemonte; e si diede a provveder di tutto l'occorrente i forti suoi nella valle di Demont e Cuneo, prevedendosi abbastanza che gli avversarii sarebbono per tentare di nuovo da quella parte una calata ne' suoi Stati.
Fu nel dì 6 di giugno, che arrivato un grosso distaccamento di Spagnuoli ad Oneglia, trovò abbandonata quella terra dalle milizie savoiarde e da buona parte degli abitanti, che si ridussero col più delle loro sostanze all'alto della montagna. Pensavano intanto i Gallispani a voli maggiori; e in fatti, avendo ripassato il Varo, cominciarono dal Colle dell'Agnello e da altri siti, circa il dì 20 di luglio, a calar verso la valle, dove trovarono forti barricate ai passi, sostenute con vigore per qualche tempo dai Savoiardi, ma poi abbandonate. S'impadronirono essi Spagnuoli di un ben fortificato ridotto a Monte Cavallo, e poscia di Castel Delfino; e quindi per la valle passarono alle vicinanze di Demont. Grandi spese avea fatto il re di Sardegna per ivi formare una ben regolata fortezza; ma non era giunto a perfezionarla. Trovavasi [538] egli stesso alla testa della sua armata in quelle parti, per opporsi agli avanzamenti de' nemici, coi quali giornalmente accadevano ora favorevoli ora sinistri incontri. Portò la sventura che una palla infuocata gittata da' Gallispani in Demont attaccasse il fuoco a quelle fascinate, o pure al magazzino della miccia, e che si dilatasse l'incendio negli altri. Accorsero a tal vista i Gallispani, ed ebbero quel forte colla guernigione prigioniera nel dì 17 d'agosto: dopo di che essendosi ritirato il re sardo col suo esercito a Saluzzo, eglino passarono nella pianura, e si diedero a stringere la città e fortezza di Cuneo. Sotto di questa piazza, mirabilmente difesa dal concorso di due fiumi, avea patito deliquio altre volte la bravura de' Franzesi, ed era venuta meno la lor perizia negli assedii: il che commosse la curiosità d'ognuno per indovinare qual esito avrebbe quell'impresa. Dalla parte sola per cui si può far forza contra di Cuneo, avea il re di Sardegna fatto ergere tre fortini o ridotti che coprivano la piazza. Entro v'erano sei mila, parte Svizzeri e parte Piemontesi, di presidio sotto il comando del valoroso barone dì Leutron, risoluti di far buona difesa. Non valevano men di loro i cittadini, che, prese animosamente l'armi, fecero poi di tanto in tanto delle vigorose sortite con danno de' nemici. Finalmente si videro in armi tutti i popoli di quelle valli e montagne, ben affezionati al loro sovrano. Colà accorsero ancora alcune migliaia di Valdesi; e il marchese d'Ormea, sottrattosi in tal occasione al gabinetto, messosi alla testa delle milizie del Mondovì col figlio marchese Ferrerio, tutti si diedero ad infestare i nemici, ad impedire il trasporto de' viveri, foraggi e munizioni al campo loro, con far sovente de' buoni bottini, e rovesciar le misure degli assedianti. Giunse intanto da Milano un rinforzo di Varadini, e il reggimento Clerici col conte Gian-Luca Pallavicino tenente maresciallo cesareo, comandante di quelle truppe.
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Solamente nella notte precedente al dì 13 di settembre aprirono i Gallispani la trincea sotto di Cuneo, e cominciarono a far giocare le batterie, e a molestar gravemente la piazza colle bombe; ma se questa pativa, non patirono meno gli assedianti, perchè spesso assaliti con somma intrepidezza da que' cittadini e presidiarii. Continuarono poi gli approcci e le offese sino al dì 30 di settembre, in cui il re di Sardegna mosse l'esercito suo in ordinanza di battaglia verso le nemiche trincee. Ossia ch'egli solamente intendesse di avvicinarsi, e postarsi in maniera da poter incomodare il campo nemico, o pure che avesse veramente risoluto, siccome animoso signore, di tentare il soccorso della piazza: la verità si è, che si venne ad un generale combattimento. Fu detto che un uffiziale ubbriaco portasse l'ordine, ma ordine non dato dal re, all'ala sinistra di assalire i posti avanzati degli assedianti, e che, entrata essa in azione, s'impegnò nel fuoco il restante delle schiere. Dalle ore diecinove sino alla notte durò l'ostinato conflitto con molto sangue dall'una e dall'altra parte, ma incomparabilmente più da quella degli assalitori, perchè esposti alle artiglierie caricate a mitraglia o a cartoccio. Tuttochè per ordine del re si sonasse la ritirata, la sola notte fece fine all'ire, ed allora si ricondusse l'esercito sardo ad un sito distante un miglio e mezzo di là. Fu detto che la cavalleria nemica uscita dai ripari l'inseguisse; ma lo scuro della notte, e l'aver trovato un bosco di cavalli di Frisia, impedì loro il progresso. A quanto ascendesse il danno dalla parte de' Piemontesi, non si potè sapere; se non che conto fu fatto che circa trecento fossero tra morti e feriti i suoi uffiziali. Da lì a pochi giorni si scoprì, essere state le mire del re di Sardegna nel precedente sanguinoso conflitto quelle d'introdurre soccorso in Cuneo. Ma ciò che allora non gli venne fatto, accadde poi felicemente nella notte precedente al dì 8 di ottobre, in cui dalla [540] parte del fiume Stura passò senza ostacoli nella piazza un migliaio de' suoi soldati, con molti buoi ed altre provvisioni e danaro. Era intanto sminuita non poco l'armata gallispana per la mortalità e diserzion delle truppe; di gravi patimenti avea sofferto sì per le dirotte pioggie e per li torrenti che aveano impedito il trasporto de' viveri e foraggi per la valle di Demont, come ancora per l'incessante infestazione de' paesani che faceano continuamente prigioni e prede. Si scorse in fine ch'essa non era in forze, come si decantava, perchè non potè mai tenere corpi valevoli ai fiumi, che formassero un'intera circonvallazione alla piazza. Però dopo circa quaranta giorni di trincea aperta, e dopo cagionata gran rovina di case in Cuneo, ma senza aver mai fatto acquisto di alcuna nè pur delle fortificazioni esteriori, nella notte precedente al dì 22 di ottobre, abbruciato il loro campo, i Gallispani colla testa bassa e con gran fretta si levarono di sotto a quella fortezza, incamminandosi alla volta di Demont. Uno sprone ancora ai lor passi era il timore delle nevi che li cogliessero di qua dall'Alpi con pericolo di perire uomini e giumenti per mancanza del bisognevole. Lasciarono indietro più di mille e cinquecento malati; ed inseguiti da varii distaccamenti di fanti e cavalli, e travagliati dai montanari, sofferirono altre non lievi perdite e danni. Fermaronsi in Demont cinque o sei mila Spagnuoli non tanto per coprire la ritirata del resto dell'esercito e delle artiglierie, quanto ancora per minar le fortificazioni della fortezza, ben prevedendo di non potersi quivi mantenere nel verno. Essendosi poi avanzato il general piemontese Sinsan verso quelle parti con un maggior nerbo di milizie verso la metà di novembre, gli Spagnuoli se ne andarono, dopo aver fatto saltare alcune parti di quel forte e la casa del governatore. Arrivarono a tempo alcuni Savoiardi per salvare ciò che non era peranche saltato in aria, e s'impadronirono di alquanti [541] pezzi di cannone rimasti indietro: nel qual mentre gli Spagnuoli come fuggitivi provarono immensi disagi e perdita di persone a cagion delle nevi, del rigoroso freddo e della mancanza di vettovaglia. Così restò libera tutta la valle; e il re di Sardegna, avendo compensata l'infelice perdita delle piazze marittime colla felicità di quest'altra impresa, pien d'onore si restituì a Torino.
La corte di Francia dichiarò in questo anno la guerra alla regina d'Ungheria per la caritativa intenzione, come si diceva, di costrignerla alla pace coll'imperador Carlo VII; e la dichiarò anche all'Inghilterra, disponendo tutto per invadere la Fiandra, con che sempre più s'andò dilatando il fuoco divorator della Europa. Per quanti sforzi facessero i ministri di Vienna e di Londra per tirare in questo impegno le Provincie Unite, o, vogliam dire gli Olandesi, nulla di più nè pur ora poterono ottenere se non che l'Olanda contribuirebbe il suo contingente di venti mila armati a tenor delle leghe. Troppo loro premeva di conservare la libertà del commercio colla Francia e Spagna; ed altre segrete ruote ancora concorrevano a muovere que' popoli più tosto all'amore di una tal quiete e neutralità, che ad un'aperta guerra. Non tardarono i Franzesi ad impossessarsi di Coutray, Menin ed altri luoghi. Poscia nel dì 18 di giugno aprirono la trincea sotto l'importante città d'Ipri, e con più di cento cannoni e quaranta mortari talmente l'andarono bersagliando, che nel dì 29 d'esso mese v'entrarono, dopo aver conceduto libera l'uscita a quella guernigione. Erano principalmente animati i Franzesi dalla presenza dello stesso re Cristianissimo Luigi XV, che non guardò a fatiche in questa campagna. Intanto il principe Carlo di Lorena, comandante dell'esercito austriaco al Reno, altro non istudiava che la maniera di passar quel fiume, per portare la guerra addosso agli Stati della Francia. Sul fine di giugno riuscì al generale Berenklau di [542] valicar esso fiume con dieci mila persone in vicinanza di Magonza, e nel dì primo di luglio altrettanto fu fatto dallo stesso principe Carlo col grosso dell'esercito suo, che arditamente poi procedendo mise piede nell'Alsazia in faccia de' nemici. Gran confusione fu allora in quella fertile provincia, che cominciò ad essere lacerata in parte dai Franzesi difensori, e senza paragone più dai feroci Austriaci, che colle scorrerie, e coll'imporre gravi contribuzioni, seppero ben prevalersi del loro vantaggio, e tennero nello stesso tempo bloccato Forte Luigi. Perchè l'armata franzese sul principio d'agosto s'andò dilatando verso Argentina, non lieve costernazione insorse in quella stessa sì forte città. Il terribile scompiglio dell'Alsazia cagion fu che lo stesso re Cristianissimo si movesse con grandi forze dai Paesi Bassi per accorrere colà; ma caduto infermo in Metz verso la metà di agosto, fece dubitar di sua vita. Dio il preservò, e a poco a poco si rimise nello stato primiero di salute. Un teatro di miserie era intanto divenuta l'Alsazia, e sembrava che l'esercito austriaco in quel bello ascendente meditasse e sperasse avanzamenti maggiori; quando giunse la nuova di una metamorfosi che sorprese ognuno; cioè la lega dell'imperador Carlo VII col re di Prussia Carlo Federigo III, coll'elettor palatino Carlo di Sultzbac e col lantgravio d'Hassia Cassel contro la regina di Ungheria: lega maneggiata e felicemente conchiusa dall'industria e pecunia franzese. Stupissi ognuno come esso Prussiano, dopo una pace di tanto suo vantaggio e sì recente, stabilita colla regina Maria Teresa, di nuovo contra di lei sfoderasse la spada. Diede egli con un suo manifesto quel colore che potè a questa sua novità, allegando l'occupazion della Baviera, e l'indebita guerra fatta da essa regina all'imperio, alla cui difesa come elettore egli si sentiva obbligato: quasichè questo capo non fosse stato il primo a muovere contra d'essa regina la guerra; ed esso re prussiano, allorchè giurò [543] la pace, non sapesse che ardeva quella guerra fra l'imperadore e la regina. Però la corte di Vienna proruppe in gravi querele contra di quel re, chiamandolo principe di niuna fede, di niuna religione; e la regina d'Ungheria corse a Presburgo per commuovere tutta l'Ungheria in soccorso suo; e non vi corse indarno.
Rimasero per questa inaspettata tempesta sconcertate affatto le misure del gabinetto austriaco, e fu obbligato il principe Carlo di Lorena di ripassare il Reno coll'esercito suo per correre alla difesa della Boemia, verso la quale erano già in moto dalla Slesia l'armi del re di Prussia. Nel dì 23 d'agosto con bella ordinanza imprese esso principe il passaggio di quel fiume, e felicemente in due giorni ridusse l'armata all'altra riva. Dai Franzesi, che l'inseguivano, riportò egli qualche danno, con rimanere uccisi o prigioni molti de' suoi, danno nondimeno inferiore all'aspettazion della gente, che giudicò non aver saputo i Franzesi profittar di sì favorevol occasione per nuocergli; anzi fu creduto che il maresciallo duca di Noaglies per questa disattenzione fosse richiamato alla corte. Non dovettero certamente mancare a quel saggio signore delle buone giustificazioni. Il bello poi fu che l'armata franzese, avendo anch'essa ripassato il Reno, in vece di tener dietro al principe di Lorena, per frastornare il suo cammino alla volta della Boemia, rivolse i passi verso la Brisgovia per ansietà di far sua la fortissima piazza di Friburgo. Intanto giacchè si trovò la Boemia non preparata a così impetuoso temporale, la regale città di Praga nel dì 16 di settembre tornò in potere del re prussiano, con restar prigioniera di guerra la guernigione consistente in circa dieci mila persone, parte truppe regolate e parte milizie del paese. Anche la città di Budweis corse la medesima fortuna. Arrivato poi che fu nella Boemia il poderoso esercito austriaco, più formidabile si rendè, perchè seco s'unirono venti mila Sassoni, atteso che Federigo Augusto III [544] re di Polonia ed elettor di Sassonia avea in fine conosciuta la necessità di far argine alla smisurata avidità del re di Prussia; e vi s'era anche aggiunto, per quanto fu creduto, un altro impulso, cioè una ricompensa promossa dalla regina d'Ungheria. Allora cominciarono a mutar faccia in quelle parti gli affari. Budweis e Tabor tornarono all'ubbidienza della real sovrana; e la stessa città di Praga fu, nel dì 25 di novembre, precipitosamente abbandonata dai Prussiani: nuova che riempiè di giubilo Vienna. Ritirossi poscia il re di Prussia colle sue forze nella Slesia, dove penetrarono anche gli Austriaci, unendosi tutti a maggiormente desolare quel prima sì dovizioso paese. Mentre con tal felicità procedevano l'armi della regina in quelle parti, seppe l'imperador Carlo VII ben profittare della debolezza in cui erano restati i presidii austriaci ne' suoi Stati della Baviera, dacchè il principe di Lorena passò in Boemia. Spinse egli colà la sua armata sotto il comando del maresciallo conte di Seckendorf, che niuna fatica durò a ricuperar Monaco ed altri luoghi abbandonati dagli Austriaci; ed esso Augusto dipoi, nel dì 22 d'ottobre, ebbe la consolazione di rientrar nella sua capitale fra i plausi dell'amante popolo suo. Fu in questo mentre fatto dall'esercito franzese l'assedio della città di Friburgo nella Brisgovia: città che parea inespugnabile, tante erano le sue fortificazioni, oltre all'essere munita di due castelli; ma non già tale alla perizia e risoluzion dei Franzesi, ai quali niuna piazza suol fare lunga resistenza, quando non sia soccorsa da possente armata di fuori. Lo stesso re Cristianissimo colà giunto in persona non volle riveder Parigi, se prima non vide quell'importante fortezza sottomessa all'armi sue. La presenza di questo monarca animava la gente a sacrificar le sue vite, e gran sangue in fatti costò quell'impresa a' Franzesi. Ma in fine il comandante austriaco capitolò la resa della città con ritirare nel dì 7 [545] di novembre la guernigione ne' castelli, i quali poi si arrenderono anch'essi nel dì 25 d'esso mese, restandone prigioni i difensori. Con queste sì varie vicende ebbe fine l'anno presente; ne' cui ultimi giorni si solennizzò in Versaglies alla presenza delle maestà Cristianissime il maritaggio della principessa Felicita di Este, figlia primogenita di Francesco III duca di Modena con Luigi di Borbon duca di Penthievre della real casa di Francia, grande ammiraglio di quel regno. Merita ancora d'essere qui riferita una gloriosa azione del regnante pontefice Benedetto XIV. Per bisogni della cristianità (massimamente nel secolo XVI) essendo stati contratti dalla camera apostolica dei grossi debiti, avea essa obbligati gli ordini monastici e i canonici regolari in Italia a pagarne annualmente i frutti: aggravio assai pesante ai monisteri, che avea anche sminuito non poco il loro splendore. Portato da un indefesso amore alla beneficenza il santo padre aprì loro il campo per redimersi da questo peso, con permettere loro di pagare il capitale d'essi debiti, e di liberarsi dai frutti. Di questa grazia i più ne profittarono, con decretar anche perenni memorie a così amorevol benefattore, il quale nello stesso tempo sgravò la camera dai debiti corrispondenti. Fra gli altri la congregazion cassinense, in attestato della sua gratitudine, fatta fare in marmo la statua di sua santità, la collocò nell'atrio della basilica di Monte Casino fra l'altre di molti pontefici, tutti benemeriti dell'ordine di San Benedetto.
Anno di | Cristo MDCCXLV. Indiz. VIII. |
Benedetto XIV papa 6. | |
Francesco I imperadore 1. |
Ebbe principio quest'anno colla morte d'uno dei principali attori della tuttavia durante tragedia. Era soggetto a gravi insulti di podagra e chiragra l'imperador Carlo VII duca ed elettor di Baviera. Stavasene egli nella ricuperata città di Monaco, [546] godendo la contentezza di vedersi rimesso in possesso di buona parte dei suoi Stati; quando più fieramente che mai assalito nel dì 17 di gennaio da questo malore, che gli passò al petto, poscia nel dì 20 con somma rassegnazione passò all'altra vita. Era nato nel dì 6 di agosto del 1697. Principe, a cui non mancarono già riguardevoli doti, ma mancò la fortuna, che nè pure s'era mostrata molto propizia al fu duca suo padre. Gli alti suoi voli ad altro non servirono che al precipizio proprio e de' suoi sudditi, condotti per cagione di lui ad inesplicabili guai. Accrebbe certamente decoro a sè stesso e alla casa propria coll'acquisto dell'imperial corona; ma poco godè egli di questo splendore in vita, nè potè tramandarlo dopo di sè a' discendenti suoi. Lasciò esso Augusto tre principesse figlie e un solo figlio, cioè Massimiliano Giuseppe principe elettorale, nato nel dì 28 marzo del 1727, ch'egli prima di morire dichiarò fuori di minorità. Ora questo principe conobbe tosto d'essere rimasto erede del principato avito, ma insieme delle disavventure del padre, perchè tuttavia la principal sua fortezza, cioè Ingolstat, ed altre minori piazze erano in mano della regina d'Ungheria. Oltre a ciò, alquanti giorni dopo la morte dell'augusto padre peggiorarono gl'interessi suoi, perchè l'armata austriaca s'impadronì d'Amberga e di tutto il Palatinato superiore. Il peggio fu, che già si allestiva un gran rinforzo di gente, per invadere di nuovo la capitale della Baviera, o per costringere questo principe a prendere misure diverse dalle paterne.
Trovavasi il giovinetto elettore in un affannoso labirinto, dall'una parte spinto dalle esibizioni e promesse del ministero franzese per continuare nel precedente impiego, e dall'altra combattuto da' consigli della vedova imperatrice sua madre Maria Amalia d'Austria, dalla corte di Sassonia e dal maresciallo di Seckendorf, che gli persuadevano per più utile e sicuro ripiego l'accordare gl'interessi [547] suoi colla regina d'Ungheria. A queste ultime amichevoli insinuazioni sul principio d'aprile si aggiunse il terrore dell'armi; perciocchè, entrato l'esercito austriaco con furore nella Baviera, furono obbligati i Bavaresi e Franzesi ad abbandonare Straubing, Landau, Dingelfingen, Kelheim, Wilzhoffen, ed altri luoghi dell'elettorato. Gran costernazione fu in Monaco stesso, e l'elettore se ne partì alla metà del mese suddetto, chiamato dai Franzesi a Manheim. Ma egli si fermò in Augusta a stretti colloquii col conte Coloredo, e con altri parziali della casa d'Austria; e quivi in fine le persuasioni di chi gli proponeva l'accordo colla regina prevalsero sopra le altre dei ministri aderenti alla Francia, i quali restarono esclusi dai trattati. Rinunziò dunque l'elettore alla lega colla Francia; accettò l'armistizio e la neutralità, con che restassero in poter della regina le fortezze d'Ingolstat, Scarding, Straubingen e Braunau, sino all'elezion d'un imperadore; ed antepose la quiete e liberazion presente de' suoi Stati alle incerte speranze di conseguir molto più coll'andare in esilio, e continuare sotto la protezion de' Franzesi. Intorno a questa sua risoluzione e ad altre condizioni di quei preliminari di pace, sottoscritti in Fussen nel dì 22 d'aprile, varii furono i sentimenti dei politici: noi li lasceremo masticare le lor sottili riflessioni. Per sì fatta mutazion di cose furono costrette le truppe franzesi, palatine ed hassiane a ritirarsi più che in fretta, e con grave lor danno, dalla Baviera e da' suoi contorni, perchè sempre insultate dalle milizie austriache.
Frequenti intanto erano i maneggi degli elettori per dare un nuovo capo all'imperio, e sul principio di giugno fu intimata in Francoforte la dieta per l'elezione; affinchè essa seguisse con piena libertà, giudicarono bene i Franzesi di spedire un grosso esercito comandato dal principe di Conty al Meno nelle vicinanze d'essa città di Francoforte. Tanta carità [548] de' Franzesi verso i loro interessi non la sapeano intendere i principi e circoli dell'imperio, e molto meno volle sofferir questa violenza la corte di Vienna. Trovavasi verso quelle parti un esercito austriaco, ma non di tal nerbo da poter intimare la ritirata ai Franzesi. Il saggio maresciallo conte di Traun, giacchè era tornata la quiete nella Baviera, ebbe l'incombenza di provvedere a questo bisogno, e poscia ebbe anche la gloria di felicemente eseguirne il progetto. Con un altro gran corpo d'armata prese egli un giro per le montagne e luoghi disastrosi, e presso il fine di giugno arrivò ad unirsi coll'altro esercito comandato dal conte Batthyani. A questa armata combinata sul principio di luglio comparve anche il gran duca di Toscana Francesco Stefano di Lorena, e poco si stette a vedere scomparire dalle rive del Meno e ritirarsi al Reno l'oste franzese. Restò con ciò liberata la città di Francoforte da quell'intollerabil aggravio, e tanto più, perchè il gran duca condusse anch'egli l'esercito suo ad Heidelberga, lasciando in piena libertà i ministri deputati all'elezione del futuro imperadore. Essendo poi giunto sul fine di agosto a Francoforte l'elettore di Magonza, si continuarono le conferenze di quella dieta; e giacchè non fu questa volta disdetto alla regina d'Ungheria il voto della Boemia, l'elettor di Baviera nell'accordo con essa regina avea impegnato il suo in favore della medesima: nel dì 13 di settembre, ancorchè mancassero i voti del re di Prussia e del palatino, seguì le elezioni di Francesco Stefano duca di Lorena, gran duca di Toscana, marito e correggente della stessa regina Maria Teresa, in re dei Romani, che assunse il titolo d'imperadore eletto. Mossesi da Vienna questa regnante non tanto per godere anch'essa in persona di veder la coronazione dell'augusto consorte, e rimesso lo scettro cesareo nella sua potentissima casa, quanto ancora per convalidare un patto voluto dagli elettori, cioè ch'essa regina si obbligasse di assistere colle sue [549] forze il nuovo Augusto in tutte le sue risoluzioni e bisogni. Fece il suo magnifico ingresso in Francoforte l'imperadore Francesco I nel dì 21 di settembre, eseguì poi nel dì 4 di ottobre la di lui solenne coronazione con indicibil festa e concorso d'innumerabil gente. Si aspettava ognuno che, secondo lo stile, anche alla regina di lui consorte fosse conferita l'imperial corona. Per più d'un riguardo se ne astenne la saggia principessa, più di quell'onore a lei premendo il conservare i proprii diritti, e l'amore de' suoi Ungheri e Boemi, e il poter sedere da lì innanzi in carrozza al fianco dell'augusto marito. Accettò nondimeno il titolo d'imperadrice, e non lasciò di far risplendere in tal congiuntura la mirabil sua magnificenza, essendosi creduto da molti che ascendesse a qualche milione il prezzo delle gioie e dei regali da essa distribuiti agli elettori, ministri, generali delle milizie, soldati, ed altra gente, tanto che ne stupì ognuno. Si restituirono poscia le imperiali loro maestà a Vienna, e vi fecero il giulivo loro ingresso nel dì 27 di ottobre.
Continuava intanto la guerra dell'imperadrice suddetta col re di Prussia, le cui armi occupavano la Slesia. Nel dì 8 del gennaio dell'anno presente in Varsavia fra la suddetta Augusta regina, il re d'Inghilterra e il re di Polonia, come elettor di Sassonia, e gli Olandesi, fu stabilita una lega difensiva, per cui si obbligò esso elettore di contribuire trenta mila armati per la difesa del regno d'Ungheria, con promettergli annualmente le potenze marittime cento cinquanta mila lire sterline, per questo. E giacchè il re prussiano s'era messo sotto i piedi il precedente trattato di pace, attese indefessamente la corte di Vienna ad unire un poderoso esercito contra di lui, lusingandosi di poter profittare di questa rottura, per ricuperare la sommamente importante provincia della Slesia dalle mani di chi avea mancato alla fede. Altri conti faceva il re di Prussia, le cui truppe a maraviglia agguerrite, [550] forti e spedite nei combattimenti, hanno in questi ultimi tempi conseguito un gran credito nelle azioni militari. All'apertura della campagna il principe Carlo di Lorena marciò animosamente coi Sassoni in traccia della nemica armata. Seguirono varii incontri, finchè nel dì 4 di giugno prese Striegau e Friedberg, esso principe, forse contro sua voglia, venne ad una giornata campale con esso re. Toccò una gran rotta agli Austriaco-Sassoni, non avendo il principe assai per tempo avvertita la svantaggiosa situazione sua, per cui non potea passare la sua cavalleria, e la vantaggiosa dell'esercito prussiano. Confessarono i vinti la perdita di nove mila persone fra uccisi, feriti e prigioni. Pretesero all'incontro i vincitori prussiani, che de' loro avversari, quattro mila restassero estinti nel campo, sette mila fossero i prigioni, fra i quali ducento gli uffiziali, coll'acquisto di sessanta cannoni, trentasei bandiere ed otto paia di timbali, oltre lo spoglio del campo. Furono perciò obbligati gli Austriaci e Sassoni a ritirarsi con grave disagio nella Boemia, per attendere alla difesa, e furono colà inseguiti dai nemici. Ritirossi poscia nel settembre da essa Boemia il re di Prussia, e con un manifesto, e coll'avvicinamento delle sue truppe cominciò a minacciar la Sassonia. L'inseguì in questa ritirata il principe di Lorena, e nel dì 30 di esso mese a Prausnitz in Boemia andò coll'esercito suo ad assediarlo. Ebbe anche questa volta la fortuna contraria, e lasciò in mano dei nemici la vittoria, con perdita forse di tre mila persone, di trenta pezzi di cannone e di molte insegne. Ma nè pure il Prussiano potè gloriarsi molto di questa giornata, perchè anch'egli perdè non solo assai gente, ma anche la maggior parte del bagaglio proprio e dei suoi uffiziali: stante l'avere il generale Trench co' suoi Ungheri atteso nel bollore della battaglia a ciò che più gli premeva, cioè a quel ricco bottino, e a far prigione chiunque ne aveva la guardia. Fu creduto [551] che se essi Ungheri, senza perdersi nel saccheggio, avessero secondato il valor degli Austriaci, con menar anch'essi le mani, ed assalir per fianco i nemici, come era il concerto, sarebbe andata in isconfitta l'armata prussiana.
Ora essendosi inoltrato il re di Prussia nei confini della Sassonia, nel dì 23 di novembre si affrettò di prevenir l'unione degli Austriaci coi Sassoni, e gli riuscì di dare una rotta ad alquanti reggimenti della Sassonia, colla morte di circa due mila d'essi, e colla prigionia di altrettanti. Si tirò dietro questa vittoria un terribile sconvolgimento di cose. Imperciocchè l'elettor sassone re di Polonia prese le precauzioni di ritirarsi colla real famiglia e co' suoi più preziosi arredi in Boemia e non finì il mese che le truppe prussiane entrarono in Mersburg e Lipsia; e il re loro nello stesso tempo con altro corpo di gente s'impadronì di Gorlitz. Inorridì ognuno all'udir le smisurate contribuzioni di due milioni e mezzo di fiorini, intimate al popolo di Lipsia, da compartirsi poi sopra tutto l'elettorato di Sassonia, con dar tempo di sole poche ore al pagamento. Convenne contribuire quanto di danaro, gioie ed argenterie si potè unire, in quel brutto frangente, e dar buone sicurtà mercantili pel residuo. Anche nel dì 15 di dicembre seguì un altro fatto d'armi fra i Prussiani e gli Austriaco-Sassoni, colla peggio degli ultimi; dopo di che furono aperte le porte di Dresda ai re di Prussia. Per cotanta felicità del re nemico conobbero in fine tanto Federigo Augusto III re di Polonia, quanto l'imperadrice Maria Teresa, la necessità di trattar di pace. Da Vienna dunque con plenipotenza volò il ministro d'Inghilterra a trovare Carlo Federigo III re di Prussia, e a maneggiar l'accordo. Ossia che l'imperadrice della Russia minacciasse il Prussiano, o pure che altri riguardi movessero esso re: certo è che nel dì 25 di dicembre seguì la pace fra quelle tre potenze, uniformandosi al precedente trattato di Breslavia, con altri [552] patti, che io tralascio. Ritiraronsi perciò da lì a non molto l'armi prussiane dalla Sassonia; e siccome il re elettore se ne tornò al godimento de' suoi Stati, così l'imperadrice, sbrigata da sì fiero e fortunato avversario potè attendere con più vigor da lì innanzi a sostenere gli affari suoi in Italia.
Gran guerra fu eziandio in Fiandra nell'anno presente. Sul fine d'aprile il valoroso conte di Sassonia maresciallo di Francia con potente esercito si portò all'assedio di Tournai. V'era dentro un presidio di nove mila alleati che prometteva gran cose, e certamente non mancò al suo dovere. Lo stesso re Cristianissmo Luigi XV col figlio Delfino volle ancora in quest'anno incoraggir quell'impresa colla presenza sua, e ben molto giovò. Imperciocchè nel dì 11 di maggio ii giovane duca di Cumberland, secondogenito di Giorgio II re della Gran Bretagna, comandante supremo dell'armata dei collegati in Fiandra, assistito dal saggio maresciallo conte di Koningsegg (i cui consigli non furono questa volta attesi) andò con tutte le sue forze ad assalire i Franzesi a Fontenay. Nove ore durò l'aspro combattimento, in cui l'esercito collegato superò alcuni trinceramenti, e fece anche piegare i nemici; ma sopraggiunte le guardie del re, cangiò aspetto la battaglia, e furono essi alleati costretti a ritirarsi con disordine ad Ath, con restare i Franzesi padroni del campo, di molte bandiere, stendardi e cannoni, e con fare circa due mila prigioni. Che comperassero i Franzesi ben caro questa vittoria, si argomentò dall'aver essi contato fra morti e feriti quattrocento cinquanta de' loro uffiziali. Nel dì 23 di maggio la guernigione di Tournay cedè la città agli assedianti, e si ritirò nella Cittadella, dove, con far più prodezze, si sostenne sino al dì 20 di giugno. Le furono accordati patti di buona guerra, a riserva di non potere per tutto il presente anno militare contro i Franzesi. Era esso presidio ridotto a sei mila [553] persone. Andò poi rondando l'accorto maresciallo di Sassonia per alquanti giorni, senza prevedersi dove piombare; quando improvvisamente spedì un corpo dei suoi, i quali, dopo aver data una rotta a sei mila Inglesi che marciavano alla volta di Gant, colla scalata s'impadronirono, nel dì 11 di luglio, della stessa vasta città di Gant, e nel dì 16 anche del castello. Copiosi magazzini di farine, biada, biscotto, fieno ed abiti da soldati si trovarono in quella città, e furono di buon cuore occupati dai Franzesi. Nel dì 21 di luglio entrarono l'armi galliche anche in possesso di Oudenarde, Grammont, Alost, e poscia di Dendermonda: dopo di che passarono sotto Ostenda, e verso la metà d'agosto ne impresero l'assedio e le offese.
Chiunque sapea quanta gente e che smisurato tempo costasse il vincere quell'importante piazza nelle vecchie guerre di Fiandra, stimava di mirare anche oggidì le stesse maraviglie di ostinata difesa. Ma non son più quei tempi, e le circostanze ora sono ben diverse. Il prendere le piazze anche più forti è divenuto un mestier facile all'ingegno e valore delle armi franzesi. Ostenda nel dì 23 del suddetto mese d'agosto con istupore d'ognuno capitolò la resa, e quel presidio ottenne onorevoli condizioni. Avendo con questa segnalata impresa il re Cristianissimo coronato la sua campagna, carico di palme se ne tornò a Parigi e a Versaglies. Anche Neuport, fortezza di gran conseguenza, nel dì 5 di settembre venne in potere de' Franzesi, ed altrettanto fece Ath nel dì 8 di ottobre. Un gran dire dappertutto era al mirare con che favorevol vento procedessero in Fiandra le armate franzesi, e qual tracollo venisse ivi agl'interessi dell'imperadrice Maria Teresa. Eppure qui non si fermò l'applicazione del gabinetto di Francia. Sul principio d'agosto, assistito qualche poco da essi Franzesi, il cattolico principe di Galles Carlo Odoardo, figlio di Giacomo III Stuardo re d'Inghilterra, già [554] chiamato nel precedente anno in Francia, ebbe la fortuna di passare sopra una fregata con alcuni suoi aderenti, e buona copia d'armi e danaro in Iscozia, dove fu accolto con festa da molti di que' popoli, che non tardarono a sollevarsi, e a riconoscere per loro signore il di lui padre. Prese tosto tal piede quell'incendio, che Giorgio II re d'Inghilterra, non tanto per opporsi ai progressi di questo principe, quanto ancora per sospetti che non si trovasse qualche rivoluzione nel cuore del regno, richiamò a Londra parte delle sue truppe esistenti in Fiandra, e fece anche istanza agli Olandesi del sussidio di sei mila soldati, al quale erano tenuti secondo i patti, e bisognò inviarli. Contribuì non poco tal avvenimento a facilitar le conquiste de' Franzesi nei Paesi Bassi. Non mi fermerò io punto a descrivere quegli avvenimenti, perchè oramai mi chiama l'Italia a rammentare i suoi.
Fermossi per tutto il verno dell'anno presente col quartier generale austriaco in Imola il principe di Lobcowitz, e si stendevano le sue truppe per tutta la Romagna. Nello stesso tempo il generale spagnuolo conte di Gages faceva riposar le sue milizie su quel di Viterbo e nei contorni, lagnandosi indarno gl'innocenti popoli dello Stato ecclesiastico di sì fatto aggravio. Diverso nondimeno era il danno loro inferito da queste armate; perchè gli Austriaci, non contenti delle naturali, esigevano anche esorbitanti contribuzioni in danaro dalle legazioni di Bologna, Ferrara e Romagna. Passati i primi giorni di marzo, giacchè il conte di Gages era stato rinforzato da molti squadroni spediti dalla Spagna e da un corpo di Napolitani, con essere in viaggio altre schiere per unirsi con lui, mise in moto l'armata sua alla volta di Perugia, e quindi per tre diverse strade valicò lo Apennino; e nel dì 18 cominciarono quelle truppe a comparire a Pesaro. Credevasi che gli Austriaci postati a Rimino fossero per far testa; ma non si tardò molto a vedere l'inviamento de' loro [555] spedali alla volta del Ferrarese, per di là passare a Mantova; e da che i Napolispani s'inoltrarono verso Fano, il principe di Lobcowitz, incendiati i proprii magazzini, cominciò a battere la ritirata verso Cesena, Forlì e Faenza. Parea che i Napolispani avessero l'ali; non l'ebbero meno gli Austriaci; talmente che, arrivato il principe suddetto, nel dì 5 di aprile, a Bologna coll'armata, non le diede riposo, e fecela marciare alla volta della Samoggia. Ma da che cominciarono i nemici a comparire di qua da Bologna, egli postò nel dì 10 di esso mese tutto l'esercito suo di qua dal Panaro sul Modenese.
Arrivato che fu da Venezia a Bologna anche Francesco III d'Este duca di Modena, generalissimo dell'armata napolispana, s'inviò questa in ordinanza di battaglia verso il suddetto Panaro, e nel dì 13 di aprile nelle vicinanze di Spilamberto lo passò, benchè fosse accorso colà il principe di Lobcowitz con apparenza di voler dare battaglia. Ma senza aver fatto alcuna prodezza, si vide la sera tutto l'esercito austriaco passar lungo le mura di Modena: esercito che servì di scusa al generale, se altro non cercava che di ritirarsi; perchè comparve smilzo più d'un poco agli occhi dei molti spettatori. Venne il Lobcowitz ad accamparsi fra la cittadella di Modena e il fiume Secchia, mentre i Napolispani andarono a piantare le tende al Montale, e ne' luoghi circonvicini sino a Formigine, quattro miglia lungi dalla città. Si figurarono molti che il pensier loro fosse di entrare in Modena, e già il Lobcowitz avea aggiunto al ponte alto un altro ponte di barche, per salvarsi di là dal fiume, qualora tentassero i nemici di assalirlo in quel posto: saggia risoluzione, perchè, passato di là, non paventava di loro; e quand'eglino avessero in altri siti superato il fiume, egli se ne sarebbe tornato in sicuro da quest'altra parte. Ma altri erano i disegni de' Napolispani. Correvano allora i giorni santi, e vennero quelli [556] ancora di Pasqua: con che divozione li passassero i Modenesi non sentendo altro che la desolazione del loro paese per le due vicine armate, facilmente si può immaginare. Ed ecco che nella notte precedente il dì 22 d'aprile i Gallispani alla sordina levarono il campo, e per la strada di Gorzana s'avviarono alla volta delle montagne di San Pellegrino. Una impensata fiera disavventura arrivò ad esse truppe nel passare per colà in Garfagnana, perchè, colte da un'improvvisa neve, che principiò a fioccare, e trovandosi senza foraggi e biade in que' monti, fecero orridi patimenti; seguì non lieve diserzione di gente, e più di cinquecento cavalli e muli lasciarono l'ossa su quelle balze. Calati poi nella Garfagnana i Gallispani, sì improvvisamente arrivarono addosso alla fortezza di Montalfonso, che quel comandante austriaco, sorpreso senza vettovaglia, si arrendè tosto col presidio prigioniere di guerra; ed avendo poi fatto altrettanto quello della Verucola, tornò tutta quella provincia all'ubbidienza del duca di Modena suo legittimo sovrano. Speravano i Garfagnini un trattamento da amici dalle truppe spagnuole, e provarono tutto il contrario. Passò da lì a poco quell'armata sul Lucchese, e stesesi fino a Massa, dando assai a conoscere ch'essa era per volgersi verso il Genovesato, a fine di unirsi coll'altra armata de' Gallispani che si andarono adunando nella riviera occidentale di Genova. Si avvide per tempo di questo loro disegno il generale austriaco principe di Lobcowitz; e perciò anch'egli nel dì 23 d'aprile sollecitamente alzò il campo dai contorni di Modena, e s'avviò alla volta di Reggio, e di là poi andò a mettere il suo quartiere a Parma, con ispedire varii distaccamenti in Lunigiana, a fine d'impedire o frastornare il passaggio de' nemici nel territorio di Genova. In fatti, allorchè nel dì 9 di maggio si misero i Napolispani a passare la Magra, ne riportarono una buona percossa: dopo di che arrivarono in fine dopo tante [557] faticose marcie a prendere riposo nelle vicinanze di Genova.
Si venne a poco a poco da lì innanzi svelando un arcano che avea dato molto da pensare e da discorrere nei giorni addietro. Molto tempo era che la repubblica di Genova andava facendo un grande armamento di nazionali, di Corsi, e di qualunque disertore che capitava in quelle parti. Chi credea con danaro proprio di essi Genovesi, e chi colla borsa di Spagna. Tanto gl'Inglesi, padroni per la potente lor flotta del Mediterraneo, quanto Carlo Emmanuele re di Sardegna se ne allarmarono, ed inviarono ministri a chiedere il perchè si facesse quella massa di gente. Altra risposta non riceverono, se non che trovandosi da ogni parte attorniati da armate gli Stati di quella repubblica, il senato per propria difesa e sicurezza avea messe insieme quell'armi. Ma i saggi, che penetravano nel midollo delle cose, sospettarono di buon'ora la vera cagione di tal novità. Non fu sì segreto il trattato di Worms, fatto dal re di Sardegna colle corti di Londra e di Vienna, che non traspirasse accordato al medesimo re l'acquisto ancora del Finale, già appellato di Spagna. Del che si maravigliarono non pochi; perciocchè dallo strumento della vendita d'esso Finale fatta dall'imperador Carlo VI ai Genovesi non apparisce alcuna restrizione, se non che quel marchesato restasse feudo imperiale. Ma il re di Sardegna volle in tal congiuntura che si avesse riguardo alle antiche pretensioni e ragioni della sua real casa su quel feudo. Dovettero ben trovarsi imbrogliati i ministri della regina per accordar questo punto, stante l'evizione promessa dall'Augusto Carlo nella vendita; e pure convenne accordarlo. Sommamente restarono irritati per questo i Genovesi contra del re di Sardegna, e non fu perciò difficile alle corti di Francia, Spagna e Napoli di manipolare un trattato di aderenza d'essa repubblica all'armi loro, mercè della promessa di assicurarla del dominio e godimento [558] di quello Stato, allorchè si tratterebbe di pace. Altri vantaggi ancora le esibirono a tenor delle conquiste che si meditavano nella presente guerra. Entrarono pertanto i Genovesi nell'impegno, ed aspettarono a cavarsi la maschera allorchè gli Spagnuoli si avanzarono verso i loro confini. Di gran conseguenza fu per li Gallispani l'accrescimento di questi nuovi alleati, che si dichiararono ausiliarii della Spagna, perchè, oltre al riguardevol rinforzo delle lor genti, si venne ad aprire una larga porta pel Genovesato all'armi di essi Gallispani, quando probabilmente non avrebbono essi potuto trovarne un'altra sì facile per calare in Lombardia.
Giù nella Savoia era passato colle sue genti in Provenza il reale infante don Filippo, e quivi avea ricevuto un buon sussidio di altri fanti e cavalli, a lui spediti dal re suo genitore: nel qual tempo ancora non cessavano di andar giugnendo a Nizza e Villafranca sciabecchi spagnuoli, portanti artiglierie, attrezzi e munizioni, senza chiederne passaporto ai nemici Inglesi, i quali sembravano chiudere gli occhi a que' trasporti, ma verisimilmente non li poteano impedire, anzi andavano facendo prede di tanto in tanto. Era anche in marcia un corpo di non so quante migliaia di fanteria e cavalleria franzese, sotto il comando del maresciallo marchese di Maillebois, per venire ad unirsi con esso infante. Andò poi come potè il meglio l'armata spagnuola progredendo per le disastrose strade della riviera di Ponente alla volta di Savona. Fu richiamato in questo tempo alla corte di Vienna il principe di Lobcowitz, per valersi di lui nell'importante guerra di Boemia. Ora l'esercito austriaco, informato che il corpo degli Spagnuoli comandato dal duca di Modena, e rinforzato da due mila cavalli e tre mila fanti, staccati dall'armata dell'infante, si era inoltrato sino alla Bocchetta, dopo la metà di giugno, per opporsi al loro avanzamento, entrò nel Genovesato, impadronendosi di Novi. Anche il re di Sardegna, [559] a cui la morte nel dì 29 di maggio avea tolto il marchese d'Ormea, gran cancelliere ed insigne primo ministro suo, mandò le sue milizie ad accamparsi nei siti per dove potea l'infante don Filippo tentare il passaggio in Lombardia. Fermaronsi gli Austriaci in Novi sino al principio di luglio, quando il duca di Modena unito al general Gages marciò a quella volta con tutte le forze dell'oste napolispana, e gli obbligò a ritirarsi a Rivalta, e nelle vicinanze di Tortona. Nello stesso tempo anche l'infante coll'esercito gallispano, mossosi da Savona, e passato lo Apennino, arrivò a Spigno, e pel Cairo venne ad impadronirsi della città di Acqui nel Monferrato, con fare retrocedere i Savoiardi. Parimente con altro corpo di gente il maresciallo di Maillebois calò per la valle di Bormida: laonde fu obbligato il general piemontese Sinsan a ritirarsi da Garessio a Bagnasco, per coprire il forte di Ceva. Alla metà di luglio, allorchè s'intese in piena marcia l'esercito napolispano alla volta di Capriata, e il gallispano procedere verso Alessandria, il conte di Schulemburgo, general comandante delle armi austriache, ridusse le sue truppe (colle quali si unì anche la maggior parte dei Savoiardi) a Montecastello e a Bassignana, formando quivi un accampamento sommamente vantaggioso pel sito difeso dal Po e dal Tanaro, e insieme dalla città di Alessandria, con cui tenea quel campo una continua comunicazione. Venne circa il dì 23 di luglio ad unirsi il reale infante coll'esercito comandato dal duca di Modena, e passarono poi tutti ad accamparsi tra il Bosco e Rivalta, stendendosi sino a Voghera. Intanto fu data commissione al marchese Gian Francesco Brignole, general comandante delle truppe genovesi, di far l'assedio del vecchio castello di Serravalle, e si attese alle occorrenti disposizioni del bisognevole, per imprendere quello di Tortona e della sua cittadella.
Solamente nel dì 15 d'agosto parte dell'esercito collegato di Spagna si presentò [560] sotto essa Tortona; e perchè quella città è priva di fortificazioni, il comandante savoiardo, dopo aver sostenuto per alquanti giorni il fuoco dei nemici, l'abbandonò, ritirando nella cittadella, o sia nel castello, il suo presidio. Alzaronsi poscia batterie di cannoni e mortari per bersagliar quella fortezza, e nel dì 23 si diede principio alla lor sinfonia. Comune credenza era, che quel castello farebbe lunga difesa, stante la situazione sua sopra un monte o colle, per non poter esser battuto, se non da un lato, cioè dal declivo settentrionale della stessa collina. Ma attaccatosi fuoco nelle fascinate delle fortificazioni esteriori, quella guernigione nel dì 3 di settembre capitolò la resa, con obbligarsi di non servire per un anno contra degli alleati della Spagna. Si era già sul principio d'agosto renduto Serravalle all'armi collegate, con restar prigioniero di guerra quel tenue presidio. Cominciarono allora i Genovesi a raccogliere il frutto della loro aderenza alla Spagna, perchè fu conceduto ad essi il possesso e governo non solamente di quel castello, ma anche del marchesato d'Oneglia. Sbrigatosi dall'impedimento di Tortona il real infante don Filippo, fu sollecito a spedire il duca di Vieville con un grosso distaccamento di cavalleria e fanteria e con cannoni all'acquisto di Piacenza. In quella città non restava se non il presidio di circa trecento uomini, avendo conosciuto il re di Sardegna di non poterla sostenere. Perchè quel comandante ricusò di aprir le porte, gli Spagnuoli impazienti, avendo recato seco delle scale, improvvisamente diedero la scalata alle mura verso Po, e vi entrarono nel dì 5 di settembre. Ritirossi la guernigione nel castello, lasciando esposta la cittadinanza al pericolo di un sacco. La protezione di Elisabetta Farnese regina di Spagna, quella fu che li salvò da questo flagello; ed accorsa la nobiltà, con far portare commestibili alle truppe, acquetò tosto il romore. Volle il comandante piemontese del castello, prima di [561] rendersi, l'onore di essere salutato con molte cannonate, e poscia nel dì 13 di esso mese si rendè a discrezione. Quei presidiarii, che non erano nè savoiardi, nè tedeschi, ma italiani quasi tutti, si liberarono dalla prigionia con prendere partito nell'armata di Spagna. Ciò fatto, nel dì 16 comparve a Parma un distaccamento di Spagnuoli, che niuna difficoltà trovò ad impadronirsene, giacchè gli Austriaci ne aveano precedentemente menato via il cannone, e tutti gli attrezzi e le munizioni da guerra, e il loro presidio ne avea preso congedo per tempo. Volarono corrieri a Madrid con queste liete nuove, nè s'ingannò chi credette che la magnanima regina di Spagna intendesse con particolar giubilo e consolazione il riacquisto del suo paterno retaggio. Fu preso dal generale marchese di Castellar il possesso di quella città, e di tutto il dominio già spettante alla casa Farnese, a nome di essa Cattolica regina; ed egli pubblicò poscia uno straordinario editto, vietante ogni sorta di giuoco d'azzardo, sotto pene gravissime: regolamento invidiato, ma non isperato da altre città. Dopo l'acquisto di Parma fu creduto che di quel passo verrebbono gli Spagnuoli fino a Modena; e persuasi di ciò gli uffiziali savoiardi, spedirono via in fretta i loro equipaggi. Ma altro non ne seguì, meditando gli Spagnuoli imprese di maggior loro vantaggio.
Diede in questi tempi il generale di essi conte di Gages un nuovo saggio della sua avvedutezza, mostrata in tante altre militari azioni. Fatto gittare un ponte alla Stella verso Belgioioso, spinse all'altra riva un corpo di tre mila granatieri con della cavalleria. Pareano le sue mire volte a Milano: il che fu cagione che dal campo Austriaco-sardo di Bassignana fossero spediti con diligenza quattro mila soldati per coprire quella città. Ma il Gages all'improvviso fece marciare il duca di Vieville con quella gente a Pavia. Soli cinquecento Schiavoni, parte dei quali anche o malata o convalescente, si [562] trovavano in quella città di molta estensione: laonde non durarono fatica con una scalata di Spagnuoli a mettervi dentro il piede nella notte precedente il dì 22 di settembre, con fare un acquisto di somma importanza nelle congiunture presenti, stante la situazione di quella città, che, oltre all'essere di là da Po, ha anche il suo ponte a cavallo del Ticino. Ottenne quel tenue presidio, ritiratosi nel castello, di potersene andare, con obbligo di non militare per un anno contra dei Gallispani e loro alleati. Per non essere ben informati gli Spagnuoli, perderono allora un bel colpo. Nel castello di Milano erano, secondo la disattenzione austriaca, smontati quasi tutti i cannoni; poco più di cento soldati stavano alla sua difesa, e questi senza viveri, che per cinque o sei giorni. Se colà marciavano a dirittura gli Spagnuoli, troppo verisimilmente veniva quell'insigne castello in breve alle lor mani. Nè pur Pizzighettone si trovava allora in migliore arnese. Ebbero dunque tempo il generale conte Pallavicini e il conte Cristiani gran cancelliere di provvedere con indicibil diligenza di tutto il bisognevole quelle due fortezze, sicchè le medesime si risero poi pei susseguenti attentati nemici. Intanto per mare, non ostante il continuo girare de' vascelli inglesi, andavano continuamente giugnendo a Genova parte da Napoli e parte dalla Catalogna nuovi rinforzi di gente, di artiglierie e munizioni, destinati al campo spagnuolo. La presa di Pavia cagion fu che il generale austriaco conte di Schulemburgo colle sue truppe ripassasse il Po, per vegliare alla sicurezza di Milano, restando nondimeno a portata di poter recare soccorso, mercè di un ponte sul Po, al re di Sardegna, rimasto colle sue milizie nell'accampamento di Bassignana. Erasi fin qui esso re Carlo Emmanuele fermato in quel sito, attendendo a sempre più fortificarlo, e a visitar sovente la città d'Alessandria, a cui pure facea continuamente accrescere nuove fortificazioni. Ma da gran tempo [563] andava studiando il conte di Gages col duca di Modena di farlo sloggiare di là, perchè senza di questo nulla v'era da sperare contro Alessandria, Valenza ed altri luoghi superiori dietro il Po. Giacchè loro era riuscito di separare la maggior parte delle milizie austriache dalle piemontesi, lasciato un convenevol presidio in Pavia, si ridussero di qua da Po; ed unito lo sforzo de' suoi Napoletani, Franzesi e Genovesi, nella sera del dì 26 di settembre mossero da Castelnuovo di Tortona l'esercito per passare il Tanaro, ed assalire i forti trincieramenti, nei quali dimorava il re di Sardegna colle sue truppe.
Marciava in sei colonne questa potente armata, e nella prima si trovava lo stesso Gages col duca di Modena, a fin di fare in varii siti un vero o finto assalto. Sullo spuntar dell'aurora del dì 27, dato il segno della battaglia con tre razzi dalla torre di Piovera, fanti e cavalli allegramente guadarono il fiume, e da più parti, secondo il premeditato ordine, piombarono addosso agli argini e fossi del campo nemico. Aveano essi creduto di andare a un duro combattimento, e si trovò che, a riserva del primo insulto a quelle trincee, non vi fu occasion di combattere. Perciocchè il re di Sardegna, appena scoperto il loro disegno, senza voler avventurare il nerbo delle sue genti, ordinò la ritirata, a cui gli altri diedero il nome di fuga. Furono veramente inseguiti i Savoiardi dai carabinieri reali e dalle guardie del duca di Modena, e da altri corpi di cavalleria spagnuola; ma cinque reggimenti sardi a cavallo, postati sopra un'altura in ordinanza, coprirono in maniera la ritirata delle artiglierie e la lor fanteria, che questa, quantunque sbandata, parte si ridusse a Valenza, e parte ad Alessandria. Con sommo disordine poscia scamparono anche quei reggimenti. Al primo romore avea bene il real sovrano di Sardegna chiesto soccorso al conte di Schulemburgo, che colle sue truppe stava accampato di là da Po, [564] nè tardò egli punto a muoversi; due anche de' suoi reggimenti passarono allora in aiuto d'esso re; e da che videro come in rotta i Savoiardi, arditamente quasi per mezzo ai nemici si ritirarono a Valenza anch'essi. Ma perciocchè non furono pigri i Gallispani a marciar verso il ponte sul Po, che manteneva la comunicazione co' Piemontesi; e presa la testa del medesimo, voltarono due cannoni ivi trovati contro gli Austriaci: questi, o perchè trovarono interdetto l'ulteriore passaggio, o perchè conobbero già finita la festa, diedero il fuoco al ponte medesimo, e se ne tornarono al loro accampamento. Sicchè andò a terminare questa precipitosa impresa in poca mortalità di gente, in avere i collegati acquistato non già più che nove cannoni, due stendardi e il bagaglio di tre reggimenti. Si fece ascendere il numero de' prigioni savoiardi sin a due mila, fra i quali trentasette uffiziali, e ad alcune centinaia di cavalli; parte dei quali feriti nelle groppe. Non mancò in questa disgrazia al re sardo la lode di aver saputo salvare la maggior parte delle sue truppe ed artiglierie.
Vollero in questi tempi gl'Inglesi far provare il loro sdegno alla repubblica di Genova per la sua aderenza alla Spagna. Presentatasi nel dì 26 di settembre una squadra delle lor navi contro la medesima città, con alquante palandre, cominciò a gittar delle bombe; ma conosciuto che queste non arrivavano a terra, e intanto i cannoni del porto non istavano in ozio, tardarono poco a ritirarsi, senza avere inferito alcun danno alla città. Passarono essi dipoi al Finale, e fecero quivi il medesimo giuoco contro quella terra, che loro corrispose con frequenti spari d'artiglierie: laonde, vedendo di nulla profittare, anche di là se n'andarono con Dio. Non così avvenne alla tanto popolata terra, o sia città di San Remo, dove o non seppe o non potè far difesa quel popolo. Secento bombe e tre mila cannonate delle navi inglesi fecero un lagrimevol guasto in quelle case, ed immenso [565] danno recarono a quegl'industriosi abitanti. Andarono intanto gli Austriaci e Piemontesi ad unirsi in Casale di Monferrato, vegliando quivi agli andamenti de' Gallispani, i quali, perchè Alessandria era rimasta in isola, nel dì 6 di ottobre sotto di essa aprirono la trincea. Sino alla notte precedente al dì 12 si tenne forte in quella città il marchese di Carraglio, general veterano del re di Sardegna, e si ridusse poi con tutti i suoi nella cittadella, di modo che nel dì seguente pacificamente entrarono in essa città i Gallispani. Avea nei tempi addietro il re sardo con immense spese atteso a fornir quella cittadella di tutte le più accreditate fortificazioni dentro e fuori; abbondanti munizioni da guerra e provvisioni di vettovaglie vi erano state poste; grosso era il presidio. Per queste ragioni, e per essere molto avanzata la stagione, troppo impegno essendo sembrato ai Gallispani l'imprendere quell'assedio, unicamente si pensò a vincere colla fame una sì rilevante fortezza. Lasciatala dunque bloccata con sufficiente numero di truppe, il resto della loro armata passò all'assedio di Valenza, sotto di cui nel dì 17 d'ottobre diedero principio alle ostilità. Venne in questi tempi al comando dell'armata austriaca Wincislao principe di Lictestein, di una delle più nobili e più ricche case della Germania, e personaggio di somma prudenza e pietà, in cui non si sapea se maggior fosse la generosità, o la cortesia e l'onoratezza: delle quali virtù avea lasciata gran memoria nell'ambasceria a Parigi, e in tante altre occasioni. Dacchè furono inoltrati gli approcci sotto Valenza, e si videro gli assedianti in procinto di dare l'assalto ad una mezza luna, il comandante d'essa fortezza marchese di Balbiano ne propose la resa agli aggressori; ma, ricevuta risposta che si voleva la guernigion prigioniera, egli nella notte avanti al dì 30 del mese suddetto con tutta segretezza abbandonò la piazza, lasciando dentro solamente cento uomini nel castello, oltre a molti [566] malati. Il resto di sua gente, che consisteva in mille e novecento soldati, in varie barche felicemente si trasportò co' suoi bagagli di là da Po, con aver anche danneggiato i Gallispani, che, prevedendo questo colpo, tentarono di frastornare il loro passaggio. Entrati i vincitori in Valenza vi trovarono circa sessanta cannoni, ma inchiodati, molti mortari, e buona quantità di munizioni ed attrezzi militari.
Giacchè il re di Sardegna e il principe di Lictestein s'erano ritirati da Casale coll'esercito loro di là da Po a Crescentino, passarono i Gallispani ad essa città di Casale, che aprì loro le porte nel dì 5 di novembre. Il castello guernito di secento uomini si mostrò risoluto alla difesa, e però ne fu impreso l'assedio, ma con somma lentezza, ancorchè colà ridotti si fossero l'infante don Filippo, il duca di Modena, il conte di Gages e il maresciallo di Maillebois. Erano cadute esorbitanti pioggie, che fuori dell'usato durarono sino al fine dell'anno. In quel grasso terreno vicino al Po si trovarono rotte a dismisura le strade, ed immenso il fango, talmente che i muli destinati per condurre da Valenza il cannone e le carrette delle munizioni restavano per istrada, e trovavano la sepoltura in quegli orridi pantani. Dall'escrescenza ed inondazione del Po fu anche obbligato il re di Sardegna a ritirare il suo campo verso Trino e Vercelli. Intanto circa il dì 8 di novembre passarono i Francesi ad impadronirsi della città d'Asti, il cui castello, fatta resistenza sino al dì 18, si rendè, restando prigioniere il presidio. In questi tempi, cioè nel dì 17 d'esso mese, comparve sotto la Bastia capitale della Corsica una squadra di vascelli inglesi, che, fatta indarno la chiamata al governator Mari Genovese, si diede a fulminar quella città con bombe e cannonate, proseguendo sino al dì seguente quell'infernale persecuzione; e poi, spinta da venti furiosi, passò altrove. Restò sì smantellata e in tal desolazione la misera città, che il governatore, informato dell'avvicinamento [567] del colonnello Rivarola con tre mila Corsi sollevati, giudicò bene di ritirarsi di là: sicchè venne quella piazza in poter d'essi corsi. Per tal novità gran bisbiglio ed affanno fu in Genova. Intanto, essendosi continuati gli approcci e le offese sotto il castello di Casale, quel comandante savoiardo si vide obbligato alla resa, con restar prigioniera di guerra la guernigione. Volle il maresciallo di Maillebois il possesso e dominio di quella città a nome del re Cristianissimo, ed altrettanto avea fatto d'Asti, d'Acqui e delle altre terre di que' contorni. Sì esorbitanti poi furono le contribuzioni di danaro e di naturali, imposte dai Franzesi a quel paese, che svegliarono orrore, non che compassione, in chiunque le udì. Nell'Astigiano le truppe quivi acquartierate levavano anche i tetti delle case per far buon fuoco. Passò dipoi l'infante don Filippo e il duca di Modena col meglio delle loro forze a Pavia. Eransi già impossessati gli Spagnuoli di Mortara, del fertilissimo paese della Lomellina, e di tutto l'antico territorio pavese, con giubilo incredibile di que' cittadini, che aveano cotanto deplorato in addietro un sì fiero smembramento del loro distretto. Aveano in oltre essi Spagnuoli posto il piede in Vigevano, e meditavano di volgere i passi alla volta di Reggio e Modena; quando venne loro un assoluto ordine della corte di Madrid di passare a Milano.
Si sapea che non troverebbono intoppo ai loro passi. Il duca di Modena era di sentimento che si dovesse tenere unito tutto l'esercito fra Pavia e Piacenza e non istenderne o sparpagliarne le forze; e il conte di Gages, quantunque disapprovasse quell'impresa, pure fu forzato ad ubbidire. Marciò dunque esso Gages con un grosso distaccamento di truppe, e dopo avere ricevuti i deputati di Milano, che gli andarono incontro ad offerire le chiavi, e a chiedere la conferma dei lor privilegii, nel dì 16 di dicembre entrò con tutta pace in quella metropoli, e tosto diede ordine, che si barricassero tutte le contrade [568] riguardanti quel reale castello. Nel dì 19 del suddetto dicembre fece anche l'infante don Filippo in compagnia del duca di Modena l'ingresso in Milano, accolto con festose acclamazioni da quel popolo, che, quantunque ben affetto all'augusta casa d'Austria, pure pon potea di meno di non desiderare un principe proprio che stabilisse quivi la sua residenza. E fu certamente creduto da molti non solo possibile, ma anche probabile, che in questo germoglio della real casa di Borbone si avessero a rinovare gli antichi duchi di Milano. Perciò con illuminazioni ed altre dimostrazioni di giubilo si vide o per amore o per forza solennizzato l'arrivo di questo real principe in quella città. Questo passo ne facilitò poi degli altri, cioè l'impadronirsi che fecero gli Spagnuoli delle città di Lodi e Como. Intanto il principe di Lictenstein col suo corpo di gente si tratteneva sul Novarese, stendendosi fino ad Oleggio grande, e ad Arona, e alle rive del Ticino. Nell'opposta riva di esso fiume il conte di Gages si pose anch'egli colle sue schiere, per impedire ogni passaggio o tentativo degli Austriaci. In tal positura di cose terminò l'anno presente: anno considerabilmente infausto al re di Sardegna, per la perdita di tanto paese, e per tante altre perniciose incursioni fatte da' suoi nemici verso Ceva ed altri luoghi, ed anche verso Exiles, dove le sue truppe ebbero una mala percossa nel dì 11 d'ottobre. E pure qui non terminarono le disavventure del Piemonte. Nell'anno precedente era penetrata in quelle contrade la peste bovina, e si calcolò che circa quaranta mila capi di buoi e vacche vi perissero. Un potente mezzo per dilatare qualsivoglia pestilenza suol essere la guerra, siccome quella che rompe ogni argine e misura dell'umana prudenza. Però maggiormente si dilatò questo micidial malore nell'anno presente pel Monferrato, e per gli altri Stati del re di Sardegna, e di là passò nei distretti di Milano e di Lodi, e giunse fino al Piacentino di là da Po, anzi arrivò a [569] serpeggiare nel di qua d'esso fiume, e in parte del Bresciano, con terrore del resto della Lombardia. La strage fu indicibile; e chi sa quai sieno le terribili conseguenze di sì gran flagello, bisogno non ha da imparare da me in quanta desolazione restassero quei paesi, oppressi nel medesimo tempo dall'insoffribil peso della guerra. Conto fu fatto che centoottanta mila capi di essi buoi perissero nello Stato di Milano. Più riuscì sensibile a que' popoli questo colpo, che la stessa guerra.
Anno di | Cristo MDCCXLVI. Indizione IX. |
Benedetto XIV papa 7. | |
Francesco I imperadore 2. |
Nel più bell'ascendente pareano gli affari de' Gallispani in Lombardia sul principio di quest'anno, trovandosi le armi loro dominanti nel di qua da Po, a riserva della bloccata Alessandria, ed essendo venuta la città di Milano con Lodi, Pavia e Como alla lor divozione, con restare il solo castello di Milano renitente ai loro doveri. Lusingaronsi allora i Franzesi di poter trarre, coll'apparenza di sì bel tempo Carlo Emmanuele re di Sardegna nel loro partilo, o almeno di staccarlo colla neutralità dalla lega austriaca ed inglese. Da Parigi e da altre parti volavano nuove che davano per certo e conchiuso l'accomodamento colla real corte di Torino; nè si può mettere in dubbio che qualche maneggio, durante il verno, seguisse fra le due corti per questo. Ma o sia che le esibizioni della Francia non soddisfacessero al re di Sardegna; o pure, come è più probabile, e protestò dipoi esso re per mezzo de' suoi ministri alle corti collegate, ch'egli più pregiasse la fede ne' suoi impegni, che ogni altro proprio vantaggio, e gli premesse di reprimere la voce sparsa che l'instabilità nelle leghe passasse per eredità nella real sua casa: certo è che svanirono in fine quelle voci, e si trovò più che mai il re sardo costante ed attaccato [570] alla lega primiera, con aver egli fatto tornare indietro mal soddisfatto il figlio del maresciallo di Maillebois, che, venuto ai confini, portava seco, non dirò la speranza, ma la sicurezza lusinghevole di veder tosto sottoscritto l'accordo. Stavano intanto i curiosi aspettando, che s'imprendesse l'assedio formale del castello di Milano, giacchè il ridurlo col blocco e colla fame sarebbe costato dei mesi, e intanto potea mutar faccia la fortuna. Ma il cannon grosso penava assaissimo ad essere trasportato per le strade troppo rotte da Pavia a Milano, e però di una in altra settimana s'andava differendo il dar principio a quell'impresa. Intanto, perchè si lasciarono vedere alcuni armati spagnuoli nel borgo degli Ortolani, o sia porta Comasina, che è in faccia al castello, le artiglierie d'esso castello gastigarono gl'innocenti padroni di quelle case con diroccarle. Attendeva il real infante don Filippo a solazzarsi in questa metropoli con opere di musica, ed altri divertimenti; il duca di Modena se ne passò a Venezia per rivedere la sua famiglia, e restituissi poscia nel febbraio a Milano; e il generale Gages col nerbo maggiore delle truppe Spagnuole andò a postarsi alle rive del Ticino verso il lago Maggiore, per impedire qualunque tentativo che potesse fare il principe di Lictenstein, il quale avea piantato il suo campo ad Oleggio ed Arona, e in altri siti del Novarese, alla riva opposta del fiume suddetto.
Non attendeva già a solazzi in Vienna l'imperadrice regina, ma con attività mirabile, a cui non era molto avvezza in addietro la corte austriaca imperiale, provvedeva ai bisogni de' suoi in Lombardia. Era già stata conchiusa e ratificata la pace col re di Prussia. Pertanto, sbrigata da quel potente nemico essa regina col consorte Augusto, spedì subito ordine che una mano de' suoi reggimenti marciasse alla volta d'Italia. Rigoroso era il verno; le nevi e i ghiacci dappertutto; convenne ubbidire. Gran copia ancora [571] di reclute si mise allora in viaggio. Cagion fu la suddetta inaspettata pace, e la spedizion di tanti armati austriaci, a poco a poco nel febbraio arrivati sul Mantovano, che andasse in fumo ogni disegno degli Spagnuoli (se pure alcuno mai ve ne fu) di mettere l'assedio al castello di Milano. E perciocchè s'ingrossavano forte gli Austriaci nel di qua da Po a Quistello, a San Benedetto, ed altri luoghi, rivolsero essi Spagnuoli i lor pensieri alla difesa di Piacenza, Parma e Guastalla, nella qual ultima piazza erano anche entrati. Occuparono anche la città di Reggio, dove quel comandante Boselli Piacentino s'ingegnò di lasciare un brutto nome, peggio trattandola che i paesi di conquista. Fu dunque posto grosso presidio in Guastalla, ed inviata gente con qualche artiglieria in rinforzo di Parma; nè in questi medesimi tempi cessavano di arrivare sul Genovesato munizioni e soldatesche spedite dalla Spagna e da Napoli, passando felicemente per mare, ancorchè girassero di continuo per quelle acque i vascelli e le galeotte inglesi. Anche per la riviera di Ponente passarono verso Genova tre reggimenti di cavalleria; ma non si vedevano già comparire in Italia nuove truppe franzesi.
Diedesi, appena venuto il mese di marzo, principio alle mutazioni di scena, che andarono poi continuando e crescendo in tutto l'anno presente nel teatro della guerra d'Italia. Il primo a fare un bel colpo fu il re di Sardegna, i cui movimenti finirono di dissipar le ciarle del sognato suo accordo colla Francia. Spedito il barone di Leutron con più di dieci mila combattenti, all'improvviso nel dì 5 del mese suddetto piombò sopra la città di Asti. Circa cinque mila Franzesi con più di trecento uffiziali si godevano quivi un buon quartiere. Spedì bensì il tenente generale signor di Montal comandante di quelle truppe, al Maillebois l'avviso del suo pericolo, insieme con ottanta mila lire da lui ricavate di contribuzione; ma caduto il messo colla scorta negli Usseri, [572] cotal disgrazia ragion fu che i Franzesi non fecero difesa che per tre giorni, e furono obbligati a rendersi prigionieri, con sommo rammarico del maresciallo, il quale non fu a tempo per soccorrerli, e rovesciò poi tutta la colpa di quell'infelice avvenimento sul comandante suddetto. Mentre egli sconcertato non poco si ritirò per coprire Casale e Valenza, i vincitori Piemontesi, rastrellando in varii siti altre picciole guernigioni franzesi, s'inoltrarono alla volta della già languente cittadella d'Alessandria pel sofferto blocco di tanti mesi, seguitati da un buon convoglio di viveri condotto dal marchese di Cravenzana. Sminuito per li patimenti quel presidio, comandato dal valoroso marchese di Carraglio, era anche giunto a combattere colla fame; e già per la mancanza delle vettovaglie si trovava alla vigilia di darsi per vinto: quando i dieci battaglioni franzesi esistenti nella città, all'udire avvicinarsi il grosso corpo de' Piemontesi, giudicarono meglio di abbandonarla, lasciando in quello spedale qualche centinaio di malati, che rimasero prigioni del re di Sardegna. Intanto, per conservar la comunicazione con Genova, ritirossi il Maillebois a Novi. Questi colpi, e l'ingrossarsi continuamente verso l'Adda e nel Mantovano di qua da Po le milizie austriache, fecero conoscere all'infante don Filippo che l'ulteriore soggiorno suo e delle sue truppe in Milano era oramai divenuto pericoloso. Cominciarono dunque a sfilare verso Pavia i cannoni grossi venuti per l'ideato assedio del castello di Milano, ed ogni altro apparato militare. Ciò non ostante, nel dì 15 di marzo, giorno natalizio dell'infante suddetto, il duca di Modena diede una suntuosa festa a tutta la nobiltà di Milano. Ma da che s'intese che il general tedesco Berenclau da Pizzighettone con circa dieci mila de' suoi, dopo l'acquisto di Codogno, s'incamminava verso Lodi, di colà ritiratisi gli Spagnuoli, si salvarono quasi tutti a Piacenza. Gli altri parimente, che erano a Como [573] Lecco e Trezzo, ed assediavano il forte di Fuentes, tutti se ne vennero a Milano. Ma ecco cominciar a comparire alla porta di quella città le scorrerie degli Usseri. Allora fu che il generale conte di Gages andò ad insinuare al real infante che tempo era di ricoverarsi a Pavia, aggiungendo essere venuto quel giorno ch'egli sì chiaramente avea predetto all'altezza sua reale, prima di muoversi alla volta di Milano. Era sul far dell'alba del dì 19 di marzo, in cui quel real principe col duca di Modena e col corpo di sua gente prese commiato da quella nobil città. Quanto era stato il giubilo nell'entrarvi, altrettanto fu il rammarico ad abbandonarla. Due ore dopo la loro partenza ripigliarono gli Austriaci il possesso di Milano, ed ebbero tempo di solennizzare la festa di san Giuseppe con tutti i segni di allegria, sì per la felice liberazione della città, che pel nome del primogenito arciduchino.
Non poterono allora i politici contenersi dal biasimare la condotta degli Spagnuoli, che invece di attendere ad assicurar meglio il di qua da Po coll'espugnazione della cittadella d'Alessandria, aveano voluto sì smisuratamente slargar l'ali e prendere tanto paese, senza ben riflettere se aveano forze da conservarlo. Esercito troppo diviso non è più esercito. Erano sparpagliati i Gallispani per tutto il di qua da Po, ed arrivava il dominio d'essi da Asti per Piacenza e Parma fino a Reggio e Guastalla. Tenevano Pavia, Vigevano e la città di Milano, ma con un castello forte che minacciava non meno essi che la città. Occupavano ancora Lodi e le fortezze dell'Adda. Dappertutto conveniva tener presidii, e però dappertutto mancava una armata; e ciò che parea accrescimento di potenza, non era che debolezza. Non fu già consiglio del duca di Modena, nè del generale Gages, che si andasse a far quella bella scena o sia comparsa in Milano; ma convenne ubbidire al real infante, o, siccome è più credibile, agli ordini precisi [574] venuti da Madrid. Troppo spesso sogliono prendere mala piega le imprese, qualora i gabinetti lontani vogliono regolar le cose, e saperne più di un general saggio che sul fatto conosce meglio la situazion delle cose, e secondo le buone o cattive occasioni dee prendere nuove risoluzioni. Contuttociò si ha da riflettere che non poterono gli Spagnuoli prevedere l'improvvisa pace dell'imperadrice regina col re prussiano, nè seppero figurarsi ch'ella nell'aspro rigore del verno avesse da far volare in Italia sì gran forza di gente: tutti avvenimenti che sconcertarono le da loro forse ben prese misure. A questi impensati colpi e vicende gli affari delle guerre e delle leghe son sottoposti. Anche dalla parte di Levante non tardò la fortuna a dichiararsi per l'armi austriache. Nel dì 26 di marzo il generale comandante conte di Broun, essendosi mosso dal Mantovano di qua da Po col suo corpo di armata, diviso in tre colonne, l'una comandata da lui, e le altre dai generali Lucchesi e Novati, s'inviò alla volta di Luzzara e di Guastalla. Trovavasi in questa città di presidio il maresciallo di campo conte Coraffan, valoroso uffiziale del re di Napoli, col suo reggimento di Albanesi, consistente in circa mille e cinquecento delle migliori soldatesche napoletane, ma senza artiglieria, e sprovveduto anche di altre munizioni da guerra e da bocca. Ricorse egli per tempo al marchese di Castellar, che con alquanti reggimenti era venuto alla difesa di Parma, rappresentandogli il bisogno e il pericolo. Ordine andò a lui di ritirarsi a Parma, ma a tempo non arrivò quell'ordine. Intanto il Castellar con tre mila de' suoi venne a postarsi al ponte di Sorbolo, per secondare la supposta ritirata del Coraffan. Poco vi fermò il piede, perchè un grosso distaccamento da lui inviato al ponte del Baccanello, assalito dal generale unghero Nadasti, fu forzato a tornarsene con poco piacere a Parma, lasciando indietro molti morti e prigioni. Piantati [575] intanto alcuni pezzi di grossa artiglieria sotto Guastalla, non potendosi sostenere quel presidio, si rendè prigioniere di guerra con gravi lamenti contra del Castellar, quasi che gli avesse sacrificati al nemico. Cagion furono questi avvenimenti che anche gli Spagnuoli esistenti in Reggio, abbandonata quella città, si ritirarono al ponte d'Enza; laonde spedito da Modena il conte Martinenghi di Barco, colonnello del reggimento savoiardo di Sicilia, con alcune centinaia de' suoi e con un rinforzo di Varasdini, ripigliò il possesso di quella città; e poi passò al suddetto ponte, per iscacciarne i nemici. Quivi fu caldo il conflitto; vi perirono da trecento e più Austriaco-sardi con alcuni uffiziali; vi restò anche gravemente ferito lo stesso colonnello; ma in fine si salvarono gli Spagnuoli a Parma, lasciando libero quel sito ai Savoiardi. La perdita d'essi Spagnuoli in questi movimenti e piccioli conflitti si fece ascendere a circa quattro mila persone fra disertati, uccisi e prigioni.
Non istava intanto ozioso dal canto suo il re di Sardegna. Giunto egli e ricevuto nella città di Casale, fra pochi giorni, cioè nel dì 28 di marzo, col furore delle artiglierie costrinse i pochi Franzesi esistenti in quel castello a renderlo, col rimaner essi prigioni. Di colà poi passò all'assedio di Valenza, dove si trovavano di presidio due battaglioni spagnuoli, ed uno svizzero, truppe del re delle Due Sicilie. Il fuoco maggiore nondimeno si disponeva verso Parma. L'essere in concetto i Parmigiani di sospirare più il governo spagnuolo che quello degli Austriaci, concetto fondato, verisimilmente nell'aver taluno della matta plebaglia usate alcune insolenze al presidio tedesco, allorchè abbandonò quella città, e fatta quel popolo gran festa all'arrivo d'essi Spagnuoli: tale mal animo impresse in cuore delle milizie austriache, che non si sentivano che minaccie di trattar quel popolo da ribelle e nemico; e però marciavano quelle truppe alla volta del Parmigiano, [576] come a nozze, per l'avidità dello sperato, e fors'anche promesso, bottino. Ma non così l'intese la saggia ed insieme magnanima imperadrice regina. Conoscendo essa qual deformità sarebbe il permettere pel reato di alcuni pochi il gastigo e la rovina di tante migliaia d'innocenti persone; e che in danno anche suo proprio ridonderebbe il ridurre in miserie una città che era e dovea restar sua: mandò ordine che si pubblicasse un general perdono in favore de' Parmigiani; e questo fu stampato in Modena. La disgrazia volle che alcuni di quegli uffiziali per tre giorni dimenticarono di averlo in saccoccia e di pubblicarlo; e però entrarono furiosi i Tedeschi in quel territorio, stendendo le rapine sopra le ville e case che s'incontravano, ed anche sfogando la rabbia loro contro quadri, specchi ed altri mobili che non poteano o volevano asportare. Nè pure andò esente dalle griffe loro il palazzo di villa della vedova duchessa di Parma Dorotea di Neoburgo, a cui pure dovuto era tanto rispetto, per essere ella madre della regina di Spagna, e prozia della regnante imperadrice. Si fece poi fine al flagello, da che niuno potè scusarsi di non sapere l'accordato perdono, e maggiormente dappoichè arrivò a quel campo il supremo comandante principe di Lictenstein, il quale con esemplar rigore di gastighi tolse di vita i disubbidienti, e massimamente i trovati rei di aver saccheggiate le chiese.
Con cinque mila fanti e buon nerbo di cavalleria dimorava alla custodia di Parma il tenente generale spagnuolo marchese di Castellar; ma prima d'essere quivi ristretto, felicemente avea rimandati di là dal Taro quasi tutti que' cavalli, giacchè, in caso di blocco o di assedio, gli sarebbe mancata maniera di sostenerli. Intanto il generale dell'artiglieria conte Gian-Luca Pallavicini con grossa brigata di granatieri, cavalli e pedoni andò nel dì 4 d'aprile a prendere posto intorno a Parma. Fatta fu la chiamata della [577] resa dal general comandante conte di Broun; la risposta fu, che il Castellar desiderava d'acquistarsi maggiore stima presso di quell'austriaco generale. Così fu dato principio al blocco assai largo di Parma; il grosso dell'armata austriaca passò ad attendarsi alle rive del Taro, mentre lungo l'opposta riva aveano piantato il loro campo gli Spagnuoli. Posto fu il quartier generale d'essi coll'infante, col duca di Modena e col Gages a Castel Guelfo sulla strada maestra, o sia Claudia. Era già pervenuto da Vigevano sul territorio di Milano il principe di Lictenstein colla sua armata, da lui saggiamente conservata in addietro sul Novarese. Ora anch'egli, dopo aver lasciato un corpo di gente a Binasco, Biagrasso ed altri siti, per reprimere ogni tentativo degli Spagnuoli, tuttavia signori di Pavia, col resto di sua gente venne nel dì 11 di aprile all'accampamento del Taro, ed assunse il comando di tutta l'armata. Aveano nei giorni addietro gli Spagnuoli inviate per Po a Piacenza le artiglierie, attrezzi, munizioni e magazzini che tenevano in Pavia, dando abbastanza a conoscere di non voler fare le radici in quella città. In fatti, da che videro incamminato con tante forze il Lictenstein alla volta di Parma, abbandonarono, nel dì 5 d'aprile, quella città, e passarono a rinforzar la loro oste accampata al fiume suddetto. Così quella città ritornò all'ubbidienza dell'imperadrice regina.
Posavano in questa maniera le due poderose armate, l'una in faccia all'altra, separate dal solo Taro; e gli uni miravano i picchetti dell'altro campo nella riva opposta, ma senza voglia e disposizione di azzuffarsi insieme. Conto si facea che cadauna ascendesse a trenta mila combattenti, avendo dovuto gli Austriaci lasciare un altro buon corpo a Pizzighettone, per assicurarsi da ogni insulto degli Spagnuoli, che teneano un fortissimo e ben armato ponte sul Po a Piacenza, e grosso presidio in quella città. I Franzesi col maresciallo di Maillebois tranquillamente riposavano [578] tra Voghera è Novi, a fin dì conservare il passo a Genova, d'onde continuamente venivano munizioni da bocca e da guerra, ma non mai vennero que' quaranta nuovi battaglioni che si decantavano destinati per la Lombardia dal re Cristianissimo. Stava sul cuore del generale Gages la guarnigione rinchiusa in Parma in numero di più di sei mila armati, ed esposta al pericolo di rendersi prigioniera di guerra, giacchè senza il brutto ripiego di tentare una battaglia non si potea quella città liberare dal blocco, nè v'era sussistenza di viveri, se non per poco, e le bombe aveano cominciato a salutarla con gran terrore de' cittadini. Segretamente dunque concertò egli col marchese di Castellar la maniera di farlo uscire di gabbia. Nella notte seguente al dì 19 d'aprile gran movimento si fece nell'armata spagnuola; si appressarono al fiume in più luoghi le loro schiere in apparenza di volerlo passare, e tentarono anche di gittare un ponte. Si disposero a ben riceverle anche gli Austriaci, tutti posti in ordine di battaglia. In questo mentre, cioè in quella stessa notte, il marchese di Castellar, lasciato poco più di ottocento uomini, parte anche invalidi, con sessanta uffiziali nel castello, alla sordina, e senza toccar tamburo, se ne uscì colla sua gente di Parma, seco menando quattro pezzi di cannone e trenta carra di bagaglio e munizioni; e dopo avere sorpreso un picciolo corpo di guardia degli Austriaci, s'incamminò alla volta della montagna, cioè di Guardasone e Monchierugolo, con disegno di passare per la Lunigiana nel Genovesato, e di là alla sua armata. Lasciò questa gente la desolazione per dovunque passò, e non poco ancora ne sofferirono le confinanti terre del Reggiano. Tardi gli Austriaci, formanti il blocco, si avvidero di questa inaspettata fuga. Dietro ai fuggitivi fu spedito il tenente maresciallo conte Nadasti co' suoi Usseri e con un corpo di Croati, che gl'inseguì per qualche tempo alla coda. Seguirono [579] perciò varie battagliole; ma in fine il Nadasti fu obbligato a lasciar in pace i fuggitivi, perchè non poteano i suoi cavalli caracollar per quei monti, e caddero anche in qualche imboscata con loro danno. Molti di quella truppa spagnuola, ma di varie nazioni, e probabilmente la metà di essi, in questa occasione disertarono. Il resto dopo un gran giro arrivò in fine ad unirsi coll'esercito del real infante, ridotto a poco più di tre mila persone. Non mancò poi chi censurò il Castellar, perchè, avendo sotto il suo comando dieci mila soldati, creduti le migliori truppe dell'esercito spagnuolo, per non essersi ritirato quando era tempo, ne avea perduta la maggior parte. Pel Reggiano tornarono indietro molti degli Usseri, e si rifecero sopra i poveri abitanti di quello che non aveano trovato nel Parmigiano, saccheggiato prima dagli altri. Per la ritirata improvvisa del Castellar, che niun pensiero s'era preso della lor salvezza, in grande spavento rimasero i cittadini di Parma. Passò da lì a non molto la paura, perchè nella seguente mattina del dì 20 rientrarono pacificamente in quella città i Tedeschi col generale conte Pallavicini plenipotenziario della Lombardia austriaca, il quale tosto vi fece pubblicare un general perdono con rincorare gli afflitti ed intimoriti cittadini. Poco poi si fece pregare il presidio di quel castello a rendersi prigioniere di guerra, con ottener solamente di salvare l'equipaggio tanto suo che degli altri Spagnuoli, rifugiato in quella poco forte fortezza; che questa appunto era stata la mira del marchese di Castellar. Trovaronsi in esso castello ventiquattro cannoni, quattro mortari, ed altri militari attrezzi e munizioni.
Solamente nel dì 19 d'aprile per cagion delle frequenti pioggie poterono le soldatesche del re di Sardegna aprire la breccia sotto Valenza. Era diretto quell'assedio dal principe di Baden Durlach, e coperto dal barone di Leutron, dichiarato ultimamente generale di fanteria. Continuarono le offese contro di quella [580] piazza sino al dì 2 di maggio, nel quale dopo avere i Piemontesi presa la strada coperta ed aperta la breccia, si vide quel presidio obbligato ad esporre bandiera bianca. V'erano dentro circa mille e cinquecento difensori, ai quali toccò di restar prigionieri. Dai Franzesi intanto occupata fu la città di Acqui; ma acquisto che durò ben poco. Avea già ottenuto il generale Gages l'intento suo di disimbrogliare da Parma il marchese di Castellar; e nulla a lui giovando il fermarsi più lungamente alle rive del Taro, dove patì gran diserzione di sua gente, finalmente nel dì 5 di maggio levò il campo, e s'inviò verso il fiume Nura in vicinanza maggiore a Piacenza, per quivi cominciare un altro giuoco. S'innoltrò per questo anche l'armata austriaca sino a Borgo San Donnino, con estendersi poi a poco a poco più oltre, cioè a Firenzuola, e di là sino alla Nura. Riuscì agli Usseri che inseguivano nella loro ritirata gli Spagnuoli, di sorprendere in mezzo ai loro corpi tutto il bagaglio del duca di Modena, per essersi a cagion d'un equivoco, messo in viaggio senza aspettare l'armata: argenterie, cavalli, muli e carrozze, tutto andò. Non consiste la gloria de' prodi condottieri d'armate solo in dar con vantaggio delle battaglie, ma anche nella maestria di ordire stratagemmi in danno de' nemici. Ben istruito di questo mestiere si mostrò in più congiunture il generale conte di Gages. Avea egli spediti innanzi verso Piacenza varii distaccamenti, consistenti in dieci mila combattenti, col pretesto di scortare il bagaglio; e ordinato che sotto essa città di Piacenza si preparasse loro uno stabile quartiere; nè se n'erano accorti gli Austriaci, esistenti di qua da Po. Prima nondimeno aveano avuto ordine circa cinque mila tra fanteria e cavalleria tedesca di passare da Pizzighettone a Codogno, e di postarsi quivi per vegliare agli andamenti degli Spagnuoli; i quali, per avere sul Po a Piacenza un ben fortificato ponte, avrebbero potuto recare insulti al di [581] là da Po. Alla testa d'essi v'erano i generali Cavriani e Gross. Contra di questo corpo di gente erano indirizzate le segrete mene del conte di Gages. Appena giunto a Piacenza il tenente generale Pignatelli fece vista di disfare il ponte suddetto: il che servì ad addormentare i nemici. Poscia rimesso il ponte nella notte del dì 5 di maggio vegnendo il 6, colla maggior parte de' suddetti Spagnuoli passò alla sordina di là dal Po. Dopo avere avviluppati e sorpresi i picchetti avanzati de' nemici, senza che questi potessero recarne avviso alcuno ai lor comandanti, inaspettato arrivò la mattina seguente addosso a' Tedeschi, esistenti in Codogno, che allora faceano l'esercizio militare. Come poterono, si misero questi in difesa con sei cannoni ed alcuni falconetti carichi a cartoccio, che erano sulla piazza; ma avanzatisi gli Spagnuoli con baionetta in canna, e impadronitisi di que' bronzi, gli obbligarono a ritirarsi parte ne' chiostri e parte nelle case e nel palazzo Triulzio, dove per quattro ore valorosamente si sostennero facendo fuoco. Ma in fine soperchiati dal maggior numero de' nemici, quei ch'erano restati in vita per mancanza di munizioni si renderono prigioni. Quasi due mila furono i prigioni, circa mille e quattrocento i morti e feriti; e il resto trovò scampo nella fuga. La perdita dalla parte degli Spagnuoli non si potè sapere. Restarono in loro potere dieci bandiere, due stendardi, i suddetti cannoni e i bagagli di quelle genti, a riserva di quello del general Gross, che, nel darsi per vinto, salvò il suo e quello degli altri uffiziali ch'erano con lui. Se ne tornarono con tutto comodo i vincitori a Piacenza, nè dimenticarono di condurre colà quanti grani, foraggi e bestie bovine poterono cogliere nel loro ritorno.
Erasi postato l'esercito spagnuolo sotto Piacenza, e quivi fortificato con buoni trincieramenti, guerniti di molta artiglieria. Gran copia ancora di cannoni si stendeva sulle mura della città. Passata la [582] spianata, ch'è intorno ad essa città, e sulla strada maestra dalla parte di levante, stava situato il seminario di San Lazzaro, fabbrica grandiosa, eretta con grandi spese dal cardinale Alberoni, per quivi educare gratis e istruire i cherici di Piacenza sua patria. In quel magnifico edifizio furono posti di guardia due mila Spagnuoli, ed alzate fortificazioni all'intorno. Ma da che l'esercito austriaco ebbe passata la Nura, ansioso d'accostarsi il più che fosse possibile a Piacenza, determinò di sloggiare di colà i nemici. Pertanto nel dì 18 di maggio si avanzarono alla volta d'esso seminario alcuni battaglioni con artiglierie, e tutta la prima linea dell'armata si mise in ordine di battaglia per sostenerli, con risoluzione ancora di venire ad un fatto d'armi, se fossero accorsi gli Spagnuoli, per maggiormente contrastare quel sito. Ma eglino punto non si mossero; e però, dopo avere quel presidio mostrato per un pezzo la fronte agli aggressori, prese il partito di cedere il luogo, con ritirarsi alla città. Le cannonate contra d'essa fabbrica sparate dagli Austriaci per impadronirsene, e poi le altre degli Spagnuoli per incomodargli, dappoichè se ne furono impadroniti, sommamente danneggiarono, anzi ridussero quasi come uno scheletro quel grande edifizio. Il cardinale, che costante volle dimorare in Piacenza, senza punto alterarsi o scomporsi, ne mirò l'eccidio. Con tale acquisto si stese la prima linea degli Austriaci in vicinanza del seminario suddetto; dalla parte ancora della collina furono tolte agli Spagnuoli alcune cascine, il castello di Ussolengo, ed altri siti sino alla Trebbia; sicchè da quella parte ancora fu ristretta Piacenza. Alzatesi poi a San Lazzaro da' Tedeschi alcune batterie di cannoni e mortari, cominciarono nel fine del mese di maggio colle bombe ad infestare la città; così che convenne a quegli abitanti di evacuare i monisteri e le case dalla parte orientale della medesima, benchè in fine si riducesse a poco il loro danno per la troppa lontananza delle batterie [583] e de' mortari nemici. Riuscì ancora nel dì 4 di giugno agli Austriaci di occupare di là dalla Trebbia a forza d'armi il castello di Rivalta, con farvi prigionieri circa cinquecento uomini di fanteria ed alcuni pochi di cavalleria. Anche Monte Chiaro si arrendè ai medesimi Austriaci.
Certo è che non poco svantaggiosa oramai compariva la situazion degli Spagnuoli, perchè confinati nell'angustie dei loro trincieramenti intorno alla città, e colla comunicazione di Genova, divenuta pericolosa per le scorrerie degli Usseri. Peggiore senza paragone si scorgeva lo stato di quella cittadinanza, chiusa entro le mura, col suo territorio e poderi tutti in mano dei nemici, senza speranza di ricavarne alcun fruito, e colla sicurezza di ritrovar la desolazione dappertutto. Scarseggiavano essi in oltre di viveri, senza potersene provvedere, al contrario degli Spagnuoli, che pel ponte del Po scorrendo di tanto in tanto nel Lodigiano e Pavese, ne riscotevano contribuzioni, e ne asportavano bestiami ed altre vettovaglie per loro uso. Ma nè pure dal canto loro aveano di che ridere gli Austriaci, perchè imbrogliati dalla sagacità del generale conte di Gages, che, coll'essersi posto a cavallo del Po, frastornava ogni loro progresso, e gli obbligava a tener divise le loro forze nel di qua e nel di là. Se avessero voluto ingrossarsi molto sul Piacentino, avrebbero lasciati troppo esposti alle scorrerie e ai tentativi degli Spagnuoli i territorii di Lodi, Pavia e Milano. E se infievolivano l'oste di qua, per soccorrere il di là, si poteano aspettare qualche brutto scherzo dai nemici, ai quali era facile l'unirsi tutti in Piacenza. Cagion fu questa divisione che sul principio di giugno liberamente scorse un grosso distaccamento di Spagnuoli sino a Lodi. Entrato nella città, ne fece chiudere tosto le porte; volle il pagamento della diaria per due mesi; occupò tutto il danaro dei dazii e della cassa regia, ed intimò una contribuzione al pubblico. Poscia preso quanto di sale, farina, legumi, [584] formaggio e carne porcina si trovò in quelle botteghe e magazzini, dopo avere ordinato che coll'imposta contribuzione fossero soddisfatti i particolari, tutto portarono a salvamento in Piacenza.
Mentre in questa inazione dimoravano intorno a Piacenza le due nemiche armate, nel dì 13 di giugno si cominciò a prevedere qualche novità, stante l'essersi mosso con tutta la sua gente (erano circa dodici mila combattenti) il maresciallo di Maillebois alla volta di Piacenza. Schivò egli nella marcia le truppe del re di Sardegna che erano in moto contra di lui. Per aver egli abbandonato Novi, ricca terra de' Genovesi, non trovarono difficoltà i Piemontesi ad entrarvi, ed imposero tosto a quel popolo una contribuzione di ducento mila lire di Genova. Si spinsero ancora sotto Serravalle, terra già del Tortonese, e ceduta dai Gallispani ai Genovesi. Nel dì 14 s'unirono con gli Spagnuoli in Piacenza le truppe suddette franzesi; colà ancora erano stati richiamati tutti i distaccamenti inviati di là da Po. Non mancarono spie che riferirono all'esercito austriaco questi andamenti dei Gallispani, nè molto studio vi volle per comprendere la lor voglia di venire ad un fatto d'armi. Il perchè notte e giorno stettero in armi i Tedeschi, per non essere colti sprovvisti, e fu chiamato da Firenzuola il supremo comandante principe di Lictenstein, che colà trasferitosi per cercare riposo alla sua indisposizione d'asma, avea lasciata la direzion dell'armi, al marchese Antoniotto Botta Adorno, cavaliere di Malta, generale di artiglieria, a cui per l'anzianità del grado conveniva appunto quel comando. Fu anche richiamata al campo la maggior parte della gente comandata dal generale Roth, che era a Pizzighettone. Dappoichè nel dì 15 di giugno ebbero preso riposo le truppe franzesi, e dopo avere il maresciallo di Maillebois, il duca di Modena e il generale Gages nel consiglio di guerra tenuto in camera del real infante don Filippo, stabilita la maniera di procedere [585] al meditato conflitto, sull'imbrunir della sera cominciarono ad ordinare col maggior possibile silenzio le loro schiere; formando tre principali colonne, per assalire da tre parti il campo tedesco. Tale era il loro disegno. L'ala diritta, comandata dal Maillebois coi Franzesi, rinforzati da alquanti battaglioni e squadroni spagnuoli, dovea pervenire alla collina, e, dietro ad essa camminando, assalire alla schiena il nemico accampamento, dove nè buoni trincieramenti, nè preparamento di artiglierie si ritrovavano. Dovea fare altrettanto l'ala sinistra, marciando al Po morto per le due vie, l'una maestra e l'altra più breve, che da Piacenza guidano verso Cremona. Il centro o sia corpo di battaglia, che era in faccia al seminario di San Lazzaro sulla via maestra o sia Claudia, dovea tenere a bada ed occupar l'altre forze degli Austriaci, la prima linea de' quali era postata in vicinanze d'esso seminario, e la seconda non molto distante dal fiume Nura. Conto si facea che l'oste austriaca ascendesse a circa trentacinque o quaranta mila combattenti, e la gallispana a quarantacinque mila; se non che voce comune correa fra essi Spagnuoli e Franzesi d'esser eglino superiori di quindici mila persone ai nemici; talmente che, attesa la decantata presunzione, che i più vincono i meno, non si può dire con che allegria e coraggio uscissero di Piacenza e fuori de' lor trincieramenti le truppe gallispane, parendo a ciascuno di andare non ad un pericoloso cimento, ma ad un sicuro trionfo. All'oste austriaca non mancarono sicuri avvisi di quanto meditavano i nemici, e però si trovarono ben preparati a quella fiera danza.
Sulla mezza notte adunque precedente il dì 16 di giugno marciò segretamente il maresciallo franzese Maillebois colle sue milizie, e dopo aver occupato Gossolengo, credette di prendere il giro sotto la collina; ma o perchè mal guidato, o perchè non fossero a lui noti tutti i posti avanzati de' Tedeschi, andò ad [586] urtare in alcune cascine guernite dai medesimi, e quivi si cominciò a far fuoco, e a metter l'all'armi in tutto il campo austriaco. Oltre alla strage di molti Schiavoni, Usseri ed altri, che erano, o accorsero in quella parte, fecero prigionieri circa quattrocento uomini, che tosto inviarono alla città con due piccioli pezzi di cannone presi: il che fece credere in Piacenza già sbaragliati i nemici. Tutti poi in galleria pel primo buon successo, marciarono verso la strada di Quartizola, dove il generale austriaco conte di Broun, che comandava l'ala sinistra, gli stava aspettando con alquanti cannoni d'un ridotto carichi a cartoccio. Non sì tosto si presentarono sul far del giorno i Franzesi ai trincieramenti nemici, che furono salutati con lor grave danno da quei bronzi. Ciò non ostante, a' fianchi e alla schiena assalirono i ridotti degl'Austriaci, e il conflitto fu caldo, ma senza che essi potessero superar i gran fossi della circonvallazione. Trovandosi all'incontro esposti alle palle due o tre de' migliori reggimenti Tedeschi di cavalleria, ed impazientatisi, chiesero più d'una volta al generale Lucchesi di poter uscire in aperta campagna contra de' Franzesi. Bisognò in fine di esaudirli. Stupore fu il vedere come questi cavalli passarono un alto e largo fosso del canale di San Bonico, e s'avventarono contro la fanteria franzese. Non aveva quivi seco il Maillebois che circa cinquecento cavalli, essendo restato addietro il maggior nerbo della sua cavalleria: del che può essere che fusse a lui poscia fatto un reato di poco maestria di guerra nella corte di Francia. Caricata dunque la fanteria franzese dall'urto della nemica cavalleria, maraviglia non è, se cominciò a piegare e a ritirarsi il meglio che potè, ma con grave sua perdita e danno. In meno di tre ore terminò quivi il combattimento, e con ciò rimasta libera l'ala sinistra degli Austriaci, potè somministrar poscia de' rinforzi alla destra, la quale nello stesso tempo era stata assalita a' fianchi [587] dagli Spagnuoli condotti dal generale conte di Gages e da altri lor generali.
Quivi fu il maggior calore delle azioni guerriere, e durò il fiero combattimento fin quasi alla sera. Aveano essi Spagnuoli con gran fatica passato il Po morto; dopo di che si scagliarono contro i ridotti del campo nemico; alcuni ne presero, e s'impadronirono di qualche batteria; ma vennero anche costretti dalla forza degli avversarii a retrocedere. Per più volte rinovarono gli assalti e progressi con far tali maraviglie di valore, spezialmente i soldati valloni, che confessarono dipoi gli stessi Austriaci di essere stati più volte sull'orlo di vedere dichiarata la fortuna per gli Spagnuoli. Ma così forte resistenza fecero, e buon provvedimento diedero da quella parte i generali Berenclau e Botta Adorno, che furono in fine respinti gli aggressori, e posto fine allo spargimento del sangue. Fu detto che anche il centro di battaglia de' Gallispani s'inoltrasse verso il seminario di San Lazzaro, e che ancora se ne impadronisse; ma che dal conte Gorani fosse bravamente ricuperato quel sito. Altri v'ha che niegano tal fatto. Bensì è certo che il general comandante principe di Lictenstein in questo terribil conflitto accudì a tutte le parti, esponendo sè stesso anche ai maggiori pericoli; e da che gli fu ucciso sotto un cavallo, allora prese la corazza. Sentimento ancora fu di alcuni, che se gli Spagnuoli avessero condotta seco la provvision necessaria di assoni e fascine, per passare i fossi profondi e pieni d'acqua degli Austriaci, avrebbero probabilmente cantata la vittoria. Comunque ciò fosse, convien confessare che non giuocarono a giuoco eguale queste due armate. Tenevano i Tedeschi per tutto il campo loro delle buone fortificazioni, de' fossi e contraffossi pieni d'acqua, e dei ridotti ben guerniti di artiglierie. Negli stessi fossi sott'acqua erano posti cavalli di Frisia, nei quali s'infilzava o imbrogliava chi si metteva a passarli. Trovaronsi anche le [588] truppe tedesche non sorprese, ma ben preparate e disposte al combattimento. Il generale conte Pallavicini comandando la seconda linea, senza che fosse più frastornato dai nemici, inviava di mano in mano rinforzi a chi ne abbisognava. Questa vantaggiosa situazion di cose quanto giovò ad essi, altrettanto pregiudicò agli sforzi de' Gallispani, obbligati ad andare a petto aperto contro la tempesta dei cannoni e fucili nemici, e fermati di tanto in tanto da' ridotti e fossi suddetti, per cagion de' quali poco potè la lor cavalleria far mostra del suo valore. Però avendo anch'essi provato che non si potea superare quella forte barriera di uomini, cavalli, artiglierie e fortificazioni, finalmente tanto essi che i Franzesi se ne tornarono in Piacenza con volto e voce ben diversa da quella con cui ne erano usciti.
Non si potè mettere in dubbio che la vittoria restasse agli Austriaci, e fossero giustamente cantati i loro Te Deum. Imperciocchè, oltre all'esser eglino rimasti padroni del campo, guadagnarono qualche pezzo di cannone, e più di venti fra bandiere e stendardi, e una gravissima percossa diedero alla nemica armata. Fu creduto che intorno a cinque mila fossero i morti dalla parte de' Gallispani, più di due mila i prigionieri sani, e almeno due mila i feriti, che rimasti sul campo furono anch'essi presi per prigioni, e rilasciati poscia ai nemici uffiziali. Pretesero altri di gran lunga maggiore la loro perdita. Spezialmente delle guardie vallone e di Spagna, e di due reggimenti franzesi, pochi restarono in vita. Chi ancora dal canto di essi volle disertare, seppe di questa occasione ben prevalersi, e furono assaissimi. Quanto agli Austriaci, si sa che alcuni loro reggimenti rimasero come disfatti; ma le relazioni d'essi appena fecero ascendere il numero de' lor morti, feriti e prigionieri a quattro mila persone. Sparsero voce all'incontro gli Spagnuoli di aver fatto prigioni in tale occasione più di [589] mille e cinquecento nemici. Se ne può dubitare. Certo è che i Franzesi si dolsero degli Spagnuoli, ma questi ancora molto più si lamentarono de' Franzesi, rovesciando gli uni su gli altri la colpa della male riuscita impresa. Il più sicuro indizio nondimeno degli esiti delle battaglie, e de' guadagni e delle perdite, si suol prendere dai susseguenti fatti. Certo è che i Gallispani, benchè tanto indeboliti, pure o per necessità, o per far credere che un lieve incomodo avessero sofferto nella pugna suddetta, più vigorosi che mai si fecero conoscere poco dipoi. Cioè quasichè nulla temessero, anzi sprezzassero il campo nemico assediatore di Piacenza, da che ebbero lasciato un sufficiente corpo di gente alla difesa delle loro straordinarie fortificazioni, con più di dieci mila combattenti passato sui loro ponti il Po, si stesero a Codogno, San Colombano ed altri luoghi del Lodigiano. Un corpo ancora di Franzesi passò il Lambro, per raccogliere foraggi dal Pavese. Trovossi allora la città di Lodi in gravissimi affanni, perchè, entrativi gli Spagnuoli, richiesero a quel popolo quindici mila sacchi di grano, altrettanti di avena o segala, e sei mila di farina, e tutto nel termine di due giorni. Colà eziandio comparvero più di tre mila muli per caricar tanto grano, e condurlo al loro quartier generale di Fombio e a Piacenza: città divenuta in questi tempi un teatro di miserie. Piene erano tutte le case di feriti; per le strade abbondavano le braccia e gambe tagliate, e i cadaveri de' morti; gran fetore dappertutto; e intanto il povero popolo faceva le crocette per la scarsezza de' viveri. Buona parte de' religiosi non potendo reggere in tali angustie, e non pochi ancora dei nobili si ritirarono chi a Milano, chi a Crema, ed altri luoghi. Chiunque non potè di meno, rimase esposto a molti involontarii digiuni. Nelle precedenti guerre aveano le città di Piacenza e Parma goduto di molte esenzioni e privilegii: ecco che secondo le umane vicende sopra [590] di loro piovvero a dismisura i disastri, ma più senza comparazione sulla prima che sulla seconda. Fra Piacenza e Genova era in questi tempi interrotta ogni comunicazione, attesa la permanenza delle soldatesche piemontesi in Novi.
Ancorchè non desistessero gli Austriaci di tenersi forti e copiosi nei loro trincieramenti sotto Piacenza, minacciando scalate ed altri tentativi, pure il teatro della guerra parea trasportato di là da Po sul Lodigiano sino al Lambro e all'Adda. Quivi gli Spagnuoli dall'un canto e i Franzesi dall'altro faceano alla lunga e alla larga da padroni coll'esterminio di quei poveri contadini ed abitanti, ai quali nulla si lasciava di quello che serviva al bisogno del campo e alla particolare avidità d'ogni soldato. Giugnevano i loro distaccamenti a Marignano, e fino in vicinanza di Milano e Pavia, mettendo quel paese tutto in contribuzione. Gran suggezione ancora recavano al forte della Ghiara, anzi allo stesso Pizzighettone; giacchè aveano gittato un ponte sull'Adda, e ricavavano da Crema co' loro danari molte provvisioni, delle quali abbisognavano. Per ovviare a questi andamenti degli Spagnuoli, furono spediti grossi rinforzi di gente al generale Roth comandante in Pizzighettone, e si accrebbero le guernigioni di Cremona e Guastalla. E perciocchè si prevedeva che, a lungo andare, non avrebbero potuto sussistere i Gallispani in quel ristretto territorio, senza più potere ricevere nè genti, nè munizioni da guerra da Genova; corse sospetto che i medesimi potessero tentare di mettersi in salvo col passare o di qua o di là dell'Adda verso il Cremonese e Mantovano. Ma queste erano voci del solo volgo. Intanto il re di Sardegna, seriamente pensando ai mezzi più pronti per procedere contro i Gallispani, venne col nerbo maggiore delle sue forze verso la metà di luglio alla Trebbia, e fece con tal diligenza gittare un ponte sul Po a Parpaneso, e passare di là il generale conte di Sculemburgo con assai [591] milizie, che si potè assicurarne la testa, ed essere in istato di ripulsare i nemici, se fossero venuti per impedirlo, siccome seguì, ma senza alcun profitto. Ciò eseguito, nel dì 16 di luglio gli Austriaci accampati sotto Piacenza, dopo aver fatto spianare i loro ridotti e batterie, e messe in viaggio tutte le artiglierie, munizioni e bagagli, levarono il campo, e s'inviarono alla volta della Trebbia, abbandonando in fine i contorni della misera città di Piacenza. Prima di mettersi in viaggio, minarono il seminario di San Lazzaro, per farlo saltare in aria; non ne seguì già il rovesciamento da essi preteso: tuttavia qualche parte ne rovinò, e se ne risentirono tutte le muraglie maestre, riducendosi quel grande edifizio ad uno stato compassionevole, benchè non incurabile. Fermossi l'oste austriaca alla Trebbia, e i generali marchese Botta Adorno, conte Broun e di Linden, colla uffizialità maggiore si portarono ad inchinare il re di Sardegna, il quale assunse il comando supremo di tutta l'armata. Tennesi poi fra loro un consiglio generale di guerra, a fine di determinar le ulteriori operazioni della presente campagna. Per l'allontanamento de' Tedeschi ognun crederebbe che si slargasse di molto il cuore agl'infelici Piacentini dopo tanti patimenti sofferti in così lungo assedio. Ma appena poterono eglino passeggiar liberamente per li contorni, che videro un orrido spettacolo di miserie, nè trovarono se non motivi di pianto. Per più miglia all'intorno quelle case che non erano diroccate affatto, minacciavano almeno rovina; erano fuggiti i più de' contadini; perite le bestie; si scorgeva immensa la strage degli alberi. E come vivere da lì innanzi, essendo in buona parte mancato il raccolto presente, e tolta la speranza di ricavarne nell'anno appresso, non restando maniera di coltivar le terre? Molto oro, non si può negare, sparsero gli Spagnuoli per le botteghe di quella città, per provvedersi massimamente di panni e drapperie; ma il resto del popolo languiva [592] per la povertà e penuria de' grani. Per sopraccarico venuti i Franzesi, nè potendo ottenere dagli Spagnuoli frumento o farine, richiesero, sotto pena della vita, nota fedele di quanto se ne trovava presso dei cittadini; e ne vollero la metà per loro. Non andarono esenti dalla militar perquisizione nè pure i monisteri delle monache.
In questa positura erano gli affari della guerra in Lombardia, quando eccoti portata da corrieri la nuova d'una peripezia che ognun conobbe d'incredibile importanza per la Francia, e per chiunque avea sposato il di lei partito. Il Cattolico monarca delle Spagne Filippo V godeva al certo buona salute; ma per la mente troppo affaticata in addietro era divenuto, per così dire, una pura macchina. Assisteva a' consigli, ma più per testimonio che per direttore delle risoluzioni. Queste dipendevano dal senno de' suoi ministri, e più dai voleri della regina consorte Elisabetta Farnese, i cui principali pensieri tendevano sempre all'esaltazione de' proprii figli. Da molti anni in qua usava il re di fare di notte giorno, costume preso allorchè soggiornò in Siviglia. Nel dopo pranzo adunque del dì 9 di luglio, quando stava per levarsi di letto, fu sorpreso da un mortale deliquio, alcuni dissero di apoplessia, ed altri di rottura di vasi, che in sette minuti il privò di vita. Mancò egli fra le braccia della real consorte in età di anni sessantadue, sei mesi e giorni venti, essendo inutilmente accorsi i medici e il confessore. Morto ancora il trovarono i reali infanti. Lasciò questo monarca fama di valore, per avere ne' tanti sconcerti passati del regno suo intrepidamente assistito in persona alle militari imprese; maggiore nondimeno fu il concetto che restò dell'incomparabile sua pietà e religione, in ogni tempo conservata, con pari tenore di vita, talmente che fu creduto esente da qualunque menoma colpa di piena riflessione. Tanto nondimeno i suoi popoli che i suoi avversarii notarono in lui peccata Caesaris, per le tante [593] guerre non necessarie che impoverirono i suoi sudditi con arricchir gli stranieri, e per la poca fermezza ne' suoi trattati. Ma son soggetti anche i buoni regnanti alla disavventura di aver ministri che sanno dar colore di giustizia ai consigli dell'ambizione, e far credere la ragione di Stato una legge superiore a quella del Vangelo. A così glorioso regnante succedette il real principe d'Asturias don Ferdinando, figlio del primo letto, nato nell'anno 1713 a dì 23 di settembre da Maria Luisa Gabriella di Savoia. Avea questo nuovo monarca fin l'anno 1729 sposata l'infante donna Maria Maddalena di Portogallo; e per quanto appariva agli occhi degli uomini, gareggiava col padre, se non anche andava innanzi, nella pietà e religione. Gran saggio diede egli immediatamente dell'animo suo eroico, col confermare tutte le cariche (anche mutabili) conferite dal re suo genitore, e fin quelle di chi avea poco curata, anzi disprezzata, la di lui persona in qualità di principe ereditario. Vie più ancora si diede a conoscere l'insigne generosità del suo cuore pel gran rispetto e per le finezze ch'egli usò verso la regina sua matrigna, approvando per allora tutti i lasciti a lei fatti dal re defunto, e non volendo ch'ella si ritirasse in altra città, ma soggiornasse in Madrid; al qual fine la provvide per lei e pel cardinale infante di due magnifici palagi uniti, e di tutti i convenevoli arredi del lutto. Osservossi eziandio in lui (cosa ben rara) un tenero amore verso de' suoi reali fratelli, e massimamente verso dell'infante don Carlo re delle Due Sicilie. Per conto poi d'essa real matrigna, e per varii assegnamenti fatti dal re defunto, si presero col tempo delle alquanto diverse risoluzioni.
Arrivata la nuova di questo inaspettato avvenimento in Italia e in tutti i gabinetti d'Europa, svegliò la gioia in alcuni, il timore in altri, riflettendo ciascuno che poteano provenire mutazioni di massime, essendo sopra tutto insorta opinione che questo principe, perchè [594] nato in Ispagna, tuttochè della real casa di Borbone, sarebbe re spagnuolo, e non più franzese; e che la Spagna uscirebbe di minorità e tutela, quasichè in addietro nel gabinetto di Madrid dominasse al pari che in quello di Versaglies, la corte di Francia. Non passò certamente gran tempo che gl'Inglesi, con rivolgersi al re di Portogallo, per mezzo suo cominciarono a far gustare al nuovo re proposizioni di concordia e pace. Men diligenti non furono al certo i Franzesi a mettere in ordine le batterie della loro eloquenza, per contenerlo nella già contratta alleanza: con qual esito, si andò poi a poco a poco scoprendo. Ma in questi tempi un altro impensato accidente riempiè di duolo la corte di Francia. Si era già sgravata col parto d'una principessa la moglie del delfino di Francia Maria Teresa, sorella del nuovo monarca spagnuolo; quando sopraggiunta una febbre micidiale, nel termine di tre giorni troncò lo stame del di lei vivere nel dì 23 di luglio in età di poco più di vent'anni. Andava intanto il re di Sardegna insieme co' generali tedeschi meditando qualche efficace ripiego, per costringere i Gallispani ad abbandonare la città e l'afflitto territorio di Lodi. Fu perciò ordinato al generale conte di Broun di passare il Po a Parpaneso con un grosso corpo d'armati, e di occupare la riva di là del Lambro. Sul principio d'agosto anche lo stesso re sardo colle maggiori sue forze passò colà a fine di ristrignere gli Spagnuoli non men da quella parte che da quella di Pizzighettone. Uniti poscia i Piemontesi ed Austriaci ebbero forza di passare sull'altra parte del Lambro, e di piantare due ponti su quel fiume, alla cui sboccatura s'era fortificato il maresciallo di Maillebois, stando a cavallo del medesimo. Furono cagione tali movimenti che gli Spagnuoli si ritirarono dall'Adda. Abbandonato anche Lodi, inviarono a Piacenza le loro artiglierie e munizioni, raccogliendosi tutti a Codogno e Casal Pusterlengo. Precorse intanto voce che per [595] l'ordine del novello re di Spagna Ferdinando VI circa sei mila Spagnuoli, già mossi per passare in Italia, non progredissero nel viaggio, e fosse anche fermata gran somma di danaro, che s'era messo in cammino a questa volta: tutti preludii di cangiamento d'idee in quella corte.
Non poteano in fine più lungamente mantenersi nel di là da Po i Gallispani, troppo inferiori di forze ai loro avversarii, perchè sempre più veniva meno il foraggio con altre provvisioni, nè adito restava di procacciarsene senza pericolo. Stavano i curiosi aspettando di vedere qual via essi eleggerebbono, cioè se quella di ritirarsi verso Genova, o pure d'inviarsi alla volta di Parma; nè mancavano gli Austriaco-Sardi di stare attenti a qualunque risoluzione che potesse prendere la nemica armata; al qual fine il generale marchese Botta Adorno con più migliaia di Tedeschi s'era postato di qua dalla Trebbia verso la collina, per accorrere, ove il chiamasse la ritirata de' Gallispani. Fu anche spedito il conte Gorani con alcune compagnie di granatieri e di cavalleria al ponte di Parpaneso per vegliare agli andamenti de' nemici, caso che tentassero di voler passar il Po verso la bocca del Lambro, e per dar loro anche dell'apprensione. Tennero intanto i Gallispani consiglio segreto di guerra, per uscire di quelle strettezze. Fu detto che fossero diversi i sentimenti del consiglio di guerra, e fra gli altri del Gages e Maillebois, tra' quali passarono parole assai calde. Proponeva il Gages di ridursi in Piacenza, dove non mancavano provvisioni per due ed anche per tre settimane, persuaso che i nemici per mancanza di foraggi non avrebbero potuto fermarsi di là dalla Trebbia; nè a cagion del puzzo tornare sotto Piacenza: sicchè sarebbe restato libero il ritirarsi a Tortona. Ma prevalse in cuore del reale infante il parere del Maillebois, perchè creduto migliore, o perchè parere franzese. Nella notte dunque precedente al dì 9 di [596] agosto i Gallispani, lasciate scorrere pel fiume Lambro nel Po le tante barche da loro adunate, con somma diligenza si diedero a formar due ponti sopra esso Po, e per tutto quel giorno attesero a passare di qua coll'intera loro armata, cannoni e bagaglio; e nella notte e dì seguente, dopo avere rotti i ponti, cominciarono a sfilare alla volta di Castello San Giovanni. Ma essendo giunto l'avviso della loro ritirata al suddetto generale marchese Botta, prese egli una risoluzione non poco ardita, e che fu poi scusata per la felicità del successo: cioè di portarsi ad assalire i nemici, tuttochè il corpo suo forse non giugnesse a sedici mila armati; laddove quel de' nemici si faceva ascendere a ventisette mila, computati quei che nello stesso dì uscirono di Piacenza. Contro le istruzioni a lui date era prima passato di qua dal Po pel ponte di Parpaneso il conte Gorani col suo picciolo distaccamento. Per farsi onore, fu egli il primo a pizzicare la retroguardia dei Gallispani, che era pervenuta a Rottofreddo in vicinanza del picciolo fiume Tibone; e all'incontro di mano in mano che andavano arrivando i battaglioni del generale Botta, entravano in azione. Fu dunque obbligata la retroguardia suddetta a voltar faccia, e a tenersi in guardia, colla credenza che ivi fosse tutto il forte degli Austriaci, cioè senza avvedersi di combattere sulle prime contra di pochi, che si poteano facilmente avviluppare o mettere in rotta. Andò perciò sempre più crescendo il fuoco, finchè giunti tutti i Tedeschi, divenne generale il conflitto. Fu spedito all'infante, pervenuto già col duca di Modena e col corpo maggiore di sua gente a Castello San Giovanni, acciocchè inviasse soccorso, siccome fece, con alcuni reggimenti di cavalleria. Era allora alto il frumentone, o sia grano turco; coperti da esso combattevano i fucilieri tedeschi. Giocavano la artiglierie, e massimamente una batteria di quei cannoni alla prussiana, che presto si caricano, nè occorre rinfrescarli che dopo [597] molti tiri, posta dagli Austriaci sopra un picciolo colle caricata a sacchetti. Appena si accostarono alla scoperta le nemiche schiere, che con orrida gragnuola si trovarono flagellate. Per più ore durò il sanguinoso cimento; rispinta e più di una volta fu messa in fuga la fanteria tedesca dalla cavalleria spagnuola; finchè giunto a quella danza anche il marchese di Castellar, che seco conduceva il presidio di Piacenza, consistente in cinque mila combattenti, gli Austriaci si ritirarono, tanto che potè l'oste nemica continuare il viaggio, e giugnere in secreto al suddetto castello di San Giovanni. Si venne poscia ai conti, e fu creduto che restassero sul campo tra morti e feriti quasi quattromila Gallispani, e che almeno mille e ducento fossero i rimasti prigioni, senza contare quei che disertarono; perciocchè abbondando l'oste spagnuola della ciurma di molte nazioni, non mai succedeva fatto d'armi o viaggio, che non fuggisse buona copia di essi. Restò il campo in poter dei Tedeschi con circa nove cannoni, e undici tra bandiere e stendardi; ma in quel campo si contarono anche di essi tra estinti e feriti circa quattro mila persone. Vi lasciò la vita fra gli altri uffiziali il valoroso generale barone di Berenclau, e tra i feriti furono i generali Pallavicini, conte Serbelloni, Voghtern, Andlau e Gorani. Di più non fecero i Gallispani, perchè loro intenzione era non di decidere della sorte con una battaglia, ma bensì di mettere in salvo i loro sterminati bagagli, e di ritirarsi. Fu nondimeno creduto che se il conte di Gages avesse saputa l'inferiorità delle forze nemiche, potuto avrebbe in quel giorno disfare l'armata tedesca.
Non sì tosto ebbe fine l'atroce combattimento, che sull'avviso della secreta partenza del marchese di Castellar da Piacenza un distaccamento austriaco si presentò sotto quella città, e ne intimò immediatamente la resa; e perchè non furono pronti i cittadini a spalancar le porte, per aver dovuto passar di concerto [598] coi Gallispani, ivi rimasti o malati o feriti, si venne alle minaccie d'ogni più aspro trattamento. Uscirono in fine i deputati della città, e dopo aver giustificati i motivi del loro ritardo, fu conchiuso il pacifico ingresso de' Tedeschi nella medesima sera, con rilasciare libero il bagaglio alla guernigione gallispana tanto della città che del castello, la quale restò in numero di ottocento uomini prigioniera di guerra. Vi si trovò dentro più di cinque mila (altri scrissero fino ad otto mila) tra invalidi, feriti ed infermi, compresi fra essi quei della precedente battaglia; più di ottanta pezzi di grosso cannone, oltre ai minori; trenta mortari, e quantità grande di palle, bombe, tende ed altri militari attrezzi, con varii magazzini di panni e tele, di grano, riso e fieno entro e fuori delle mura. Presero gli Austriaci il possesso di quella città; ed ancorchè nei dì seguenti vi entrassero i ministri, e un corpo di gente del re di Sardegna che ne ripigliò il civile e militare governo, pure anch'essi continuarono ivi il loro soggiorno per guardia delle artiglierie e de' magazzini, finchè si ultimasse la proposta divisione di tutto, cioè della metà d'essi per ciascuna delle corti. Allora fu che veramente sotto l'afflitta città di Piacenza ebbe fine il flagello della guerra militare; ma un'altra vi cominciò non men lagrimevole della prima. Gli stenti passati, il terrore, ma più di ogni altra cosa il puzzore e gli aliti malefici di tanti cadaveri di uomini e di bestie seppelliti (e non sempre colle debite forme) tanto in quella città che nei contorni, cagionarono una grande epidemia negli uomini: dura pensione provata tante altre volte dopo i lunghi assedii delle città. Ne seguì pertanto la mortalità di molta gente, talmente che in qualche villa non potendo i preti accorrere da per tutto; senza l'accompagnamento loro si portavano i cadaveri alle chiese.
Era già pervenuta a Voghera l'armata gallispana, ridotta, per quanto si potè congetturare, a quattordici mila Spagnuoli [599] e sei mila Franzesi, inseguita sempre e molestata nel viaggio da Usseri e Schiavoni. Giacchè i Piemontesi non aveano voluto aspettare in Novi l'arrivo di tanti nemici, e s'era perciò aperta la comunicazione de' Gallispani con Genova, ed inoltre un corpo di circa otto mila tra Franzesi e Genovesi, condotto dal marchese di Mirepoix, scendendo dalla Bocchetta, era venuta sino a Gavi, per darsi mano con gli altri: venne dal maresciallo di Maillebois e dal generale conte di Gages, nel consiglio tenuto col reale infante e col duca di Modena, fissata l'idea di far alto in essa Voghera; ed ordinato a questo fine che si facesse per tre giorni un general foraggio per quelle campagne. Ma ecco improvvisamente arrivar per mare da Antibo il marchese della Mina, o sia de las Minas, spedito per le poste da Madrid, che giunto a Voghera, dopo aver baciate le mani all'infante don Filippo, presentò le regie patenti, in vigor delle quali, siccome generale più anziano del Gages, assunse il comando dell'armi spagnuole in Lombardia, subordinato bensì in apparenza ad esso infante, ma dispotico poi infatti. Ordinò egli pertanto che tutte le truppe di Spagna si mettessero in viaggio a dì 14 d'agosto alla volta di Genova. Per quanto si opponessero con varie ragioni i Franzesi, non si mutò parere; laonde anch'essi, scorgendo rovesciate tutte le già prese misure, per non restar soli indietro, si videro forzati alla ritirata medesima. Marciava questa armata verso la Bocchetta, e già scendeva alla volta di Genova, facendosi ognuno le meraviglie per non sapere intendere come que' generali pensassero a mantenere migliaia di cavalli fra le angustie e le sterili montagne di quella capitale: quando in fine si venne a svelar l'intenzione del generale della Mina, o, per dir meglio, gli ordini segreti a lui dati dal gabinetto della sua corte, cioè di prender la strada verso Nizza, e di menar le sue genti fuori d'Italia. Di questa risoluzione, che fece trasecolare ognuno, si videro in [600] breve gli effetti; perchè egli, dopo avere spedito per mare tutto quel che potè di artiglierie, bagagli ed attrezzi, senza ascoltar consigli, senza curar le querele altrui, cominciò ad inviare parte delle sue truppe per le sommamente disastrose vie della riviera di Ponente verso la Provenza. L'infante don Filippo e il duca di Modena, rodendo il freno per così impensata e disgustosa mutazione di scena, si videro anch'essi forzati dopo qualche tempo a tener quella medesima via, non sapendo spezialmente il primo comprendere come s'accordassero con tal novità le proteste del fratello re Ferdinando, di avere cotanto a cuore i di lui interessi. Fu allora che non pochi Italiani delle brigate spagnuole non sentendo in sè voglia di abbandonare il proprio cielo, seppero trovar la maniera di risparmiare a sè stessi il disagio di quelle marcie sforzate. Il conte di Gages e il marchese di Castellar s'inviarono innanzi per passare in Ispagna. Era il Castellar richiamato colà. Al Gages fu lasciato l'arbitrio di andare o di restar nell'armata; ma anch'egli andò.
Pareva intanto che gli Austriaco-Sardi facessero i ponti d'oro a quella gente fuggitiva, quasichè non curassero più di pungerla o di affrettarla, come era seguito a Rottofreddo, e bastasse loro di vedere sgravata dalle lor armi la Lombardia. Ma tempo vi volle per ben assicurarsi delle determinazioni de' nemici. Chiarita la ritirata d'essi alla volta di Genova, allora passato il Po, andarono il generale Broun e il principe di Carignano con dodici mila armati ad unirsi a San Giovanni col generale Botta. Mossosi poi di là da Po anche il re di Sardegna, si avanzò sino a Voghera e Rivalta; dove concorsi tutti i generali, tenuto fu consiglio di guerra, e presa la risoluzione di procedere avanti contro di Genova. Opponevasi ai loro passi primieramente Tortona e poi Gavi. Perchè nella prima era restata una gagliarda guernigione di Spagnuoli e Genovesi, e gran tempo sarebbe costato l'espugnazion di quella piazza, solamente si pensò [601] a strignerla con un blocco. A questa impresa furono destinati alquanti battaglioni, la metà austriaci e la metà savoiardi, che si postarono sulla collina contro la cittadella; al piano si stese un corpo di cavalleria. E perciocchè il più della lor gente a cavallo non occorreva per quell'impresa, e molto meno per la meditata di Genova, fu inviata a prendere riposo nel Cremonese, Modenese e Guastallese. Nel 19 d'agosto arrivò la vanguardia tedesca col generale Broun a Novi, bella terra del Genovesato, ma terra troppo bersagliata nelle congiunture presenti e sottoposta di nuovo ad una contribuzione più rigorosa delle precedenti. Il castello di Serravalle assalito dagli Austriaco-Sardi, e perseguitato con due mortari a bombe, non tenne forte che una giornata, e tornò all'ubbidienza del re di Sardegna. Fattesi poi le necessarie disposizioni, si prepararono gli Austriaci per inoltrarsi verso Genova, e nello stesso tempo il suddetto re colla maggior parte delle sue forze s'inviò verso le valli di Bormida ed Orba, per penetrare nella riviera genovese di Ponente verso Savona e Finale, a fine d'incomodar la ritirata de' nemici. Incredibil numero di cavalli perderono gli Spagnuoli nella precipitosa loro marcia per quelle strade piene di passi stretti, balze e dirupi. Tuttochè Gavi, vecchia fortezza, fosse mal provveduta di fortificazioni esteriori, però teneva tal presidio e treno d'artiglieria, che poteva incomodar di troppo i passaggi degli Austriaci, e la lor comunicazione colla Lombardia; fu perciò incaricato il generale Piccolomini di formarne l'assedio; al qual fine da Alessandria furono spediti cannoni e bombe. Intanto verso il fine d'agosto s'inoltrò il grosso dell'armata austriaca per Voltaggio alla volta della Bocchetta, passo fortificato dai Genovesi, e guernito di alquante compagnie d'essi e di Franzesi. Dopo aver fatto i due generali Botta e Broun prendere le superiori eminenze del giogo, inviarono all'assalto di quel sito tre diversi staccamenti di granatieri e [602] fanti; e, se si ha da prestar fede alle relazioni loro, col sacrifizio di soli trecento de' loro uomini forzarono i Genovesi a prendere la fuga coll'abbandono de' cannoni e munizioni che quivi si trovarono. Pretesero all'incontro i Genovesi di avere sostenuto con vigore, e renduto vano il primo assalto degli Austriaci, e si preparavano a far più lunga resistenza, quando furono all'improvviso richiamati dal loro generale i Franzesi. Non avea mancato in questi tempi il maresciallo di Maillebois d'incoraggire il governo di Genova, con fargli sapere l'assistenza delle truppe di suo comando, ed una risoluzione diversa da quella degli Spagnuoli, che tutti in fine erano marciati verso ponente. Ma non durò gran tempo la sua promessa, perchè, vago anch'egli di mettere in salvo sè stesso e tutta la sua gente, la fece sfilare verso la Francia, lasciando in grave costernazione l'abbandonata infelice città di Genova. Il tempo fece dipoi conoscere che dalla corte di Versaglies non dovette essere approvata la di lui condotta, perchè, richiamato a Parigi, fu posto a sedere, e dato il comando di quella molto sminuita armata al duca di Bellisle. Se crediamo a' Genovesi il loro comandante rimasto alla Bocchetta dopo l'abbandonamento de' Franzesi scrisse tosto al governo, per ricevere ordini più precisi, esibendosi di poter sostenere quel posto anche per qualche giorno. L'ordine che venne, fu ch'egli si ritirasse colla sua gente; laonde non durarono poi gli Austriaci ulteriore fatica per impadronirsene, con inseguir anche e pizzicare i fuggitivi Genovesi. Liberata da questo ostacolo l'oste austriaca, non trovò più remora a' suoi passi, e potè francamente calare buona parte d'essa sino a San Pier d'Arena a bandiere spiegate, dove nel dì 4 di settembre si vide piantato il suo quartier generale.
Se battesse il cuore ai cittadini di Genova al trovarsi in così pericoloso emergente, ben facile e giusto è l'immaginarlo. [603] Fin quando si vide l'esercito gallispano muovere i passi dalla Lombardia verso la loro città, ben s'era avveduto quel senato della brutta piega che prendevano i proprii interessi; e però furono i saggi d'avviso che si spedissero tosto quattro nobili alle corti di Vienna, Parigi Madrid e Londra, per quivi cercar le maniere di schivar qualche temuto anzi preveduto naufragio. Ma guai a quegl'infermi che, presi da micidial parosismo, aspettano la lor salute da' medici troppo lontani! Il perchè, peggiorando sempre più i loro affari, que' savii signori, già convinti d'essere abbandonati da ognuno, ed esposti ai più gravi pericoli, altra migliore risoluzione in così terribil improvvisata non seppero prendere, che di trattare d'accordo coi generali della regnante imperadrice. Non mancavano certamente, se alle apparenze si bada, forze a quel senato per difendere la città guernita di buone mura, anzi di doppie mura, di copiosa artiglieria e di grossi magazzini di grano, ed altri beni quivi lasciati dagli Spagnuoli, e con presidio di non poche migliaia di truppe regolate. Nè già avea lasciato in quella strettezza di tempo il governo di distribuir le guardie e milizie dovunque occorreva, e di disporre le artiglierie ne' siti più proprii per la difesa della città. Contuttociò battuti dalla parte di terra da' Tedeschi, angustiati per mare dalle navi inglesi, e perduta la speranza d'ogni soccorso, che altro potevano aspettar in fine, se non lo smantellamento delle lor suntuose case e delizie di campagna, ed anche la propria rovina e schiavitù? Nè pur sapeano essi ciò che si potessero promettere del numeroso bensì e vivace popolo di quella capitale, perchè popolo già mal contento, per essergli mancato il guadagno, e cresciuto lo stento, mentre da tanto tempo, sì dalla banda della Lombardia, che da quella del mare, veniva difficoltato il trasporto della legna, carbone, carni e varii altri commestibili; e forse popolo che declamava contro l'impegno [604] di guerra preso dal consiglio di alcuni più prepotenti de' nobili. Aggiungasi che fra la dominante nobiltà ed esso popolo passava bensì in tempo di quiete la corrispondenza convenevole dell'ubbidienza e del comando, ma non già assai commercio di amore, stante l'altura con cui trattavano que' signori il minuto popolo, già degradato dagli antichi onori e privilegii; talmente che non si potea sperare che alcun d'essi volesse sacrificar le proprie vite per mantenere in trono tanti principi, che sembravano non curar molto di farsi amare da' loro sudditi. E se i nemici fossero giunti a salutar la città colle bombe, potea la poca armonia degli animi far nascere disegni e desiderii di novità in quella gran popolazione. Finalmente si trovava la città sì sprovveduta di farine, che la fame fra pochi dì avrebbe sconcertate tutte le misure. Saggiamente perciò da quel consiglio fu preso lo spediente di non resistere, e di comperar più tosto coi meno svantaggiosi patti che fosse possibile la riconciliazione coll'imperadrice e coi suoi alleati, che di azzardarsi ad un giuoco in cui poteano perdere tutto.
Eransi già accampate le truppe austriache alle spiaggie del mare, vagheggiando i movimenti di quello dai più d'essi non prima veduto elemento. Spezialmente sull'asciutte sponde della Polcevera non pochi reggimenti d'essi s'erano adagiati; nè sarebbe mai passato per mente a que' buoni Alemanni che quel picciolo torrente potesse, per così dire, in un istante cangiarsi in un terribil gigante. Ma nel dì 6 del suddetto settembre ecco alzarsi per aria un fiero temporale gravido di fulmini con impetuoso vento e pioggia dirotta, per cui scese sì gonfia di acque ed orgogliosa essa Polcevera, che trascinò in mare circa secento persone tra soldati, famigli ed anche alcuni uffiziali, assaissimi cavalli, muli e bagagli. Guai se questo accidente arrivava di notte, la terza parte dell'armata periva. Nel giorno stesso dei 4 in cui parte dell'esercito [605] austriaco cominciò a giugnere a San Pier d'Arena, furono deputati dal consiglio di Genova alcuni senatori che andassero a riverire il generale Broun, condottiere di quel corpo di gente. Introdotti alla sua udienza, rappresentarono la somma venerazione della repubblica verso l'augusta imperadrice, mantenuta anche in questi ultimi tempi, nei quali aveano protestato e tuttavia protestavano di non aver guerra contro della maestà sua; e che essendo le di lei milizie entrate nel dominio della repubblica, il governo inviava ad offrire tutti i più sicuri attestati di amicizia ai di lei ministri, mettendosi intanto sotto la protezione e in braccio alla clemenza della cesarea reale maestà sua. Intendeva molto bene il Broun la lingua italiana; ma non arrivò mai a capire ciò che volesse dire quella protesta di non aver fatta guerra contro l'augusta sua sovrana. Pure, senza fermarsi in questo, rispose ai deputati, che stante la lor premura di godere della cesarea clemenza e protezione, e di non provare i disordini che potrebbe produrre l'avvicinamento dell'armi imperiali, egli manderebbe le guardie alle porte della città, affinchè si prevenisse ogni molestia e sconcerto nel di dentro e al di fuori d'essa. E perciocchè risposero i deputati, che a ciò ostavano le leggi fondamentali dello Stato, il generale alterato replicò loro, che non sapeva di leggi e di statuti, con altre parole brusche, colle quali li licenziò. Arrivato poi nel giorno appresso il marchese Botta Adorno, primario generale e comandante dell'esercito austriaco, si portarono a riverirlo i deputati. In lui si trovò più cortesia di parole, ma insieme ugual premura che fruttasse alla maestà dell'imperadrice la fortuna presente delle sue armi. Proposero di nuovo que' senatori la risoluzione della repubblica di mettersi sotto la protezione d'essa imperadrice, a cui darebbono gli attestati della più riverente amicizia, con ritirar da Tortona le loro genti; con far cessare le [606] ostilità del presidio di Gavi; con rimettere tutti i prigionieri, ed anche i disertori, implorando nondimeno grazia per essi; col congedar le milizie del paese, e quelle eziandio di fortuna, ritenendo solamente le consuete per guardia della città, e con esibirsi di somministrare tutto quanto fosse in lor potere per comodo e servigio dell'armi austriache, rimettendosi in una totale neutralità per l'avvenire. Le risposte del generale Botta furono, che darebbe gli ordini, affinchè l'esercito cesareo reale desistesse da ogni ostilità, ed osservasse un'esatta disciplina; ma essere necessaria una promessa nella repubblica di stare agli ordini dell'augustissima imperadrice, dalla cui clemenza per altro si poteva sperare un buon trattamento: e che, per sicurezza della lor fede, conveniva dargli in mano una porta della città; e che intanto si lascierebbe intatta l'autorità del governo, la libertà e quiete della città. Portate al consiglio queste proposizioni, furono accettate, e si consegnò al generale Botta la porta di San Tommaso, sebben poscia egli pretese e volle anche l'altra della Lanterna.
Nel giorno seguente 6 di settembre portossi personalmente esso marchese in città per formare una capitolazion provvisionale, la quale sarebbe poi rimessa all'arbitrio della maestà dell'imperadrice. Ne furono ben gravose le condizioni; ma giacchè il riccio era entrato in tana, convenne ricevere le leggi da chi le dava non come contrattante, ma come vincitore; e furono: Che si consegnassero le porte della città alle soldatesche dell'imperadrice regina: il che non ebbe poi effetto, essendosi, come si può credere, tacitamente convenute le parti che bastassero le due sole già consegnate. Che le truppe regolate, o sia di fortuna, della repubblica s'intendessero prigioniere di guerra. Che l'armi tutte della città, e le munizioni da bocca e da guerra destinate per le milizie, si consegnassero agli uffiziali di sua maestà. Che lo stesso si [607] intendeva di tutti i bagagli ed effetti delle truppe gallispane e napoletane, e delle loro persone ancora. Che il presidio e fortezza di Gavi, se non era per anche renduta, si rendesse tosto all'armi di essa imperadrice. Che il doge e sei primarii senatori nel termine di un mese fossero tenuti di passare alla corte di Vienna, per chiedere perdono dell'errore passato, e per implorare la cesarea clemenza. Che gli uffiziali e soldati d'essa imperadrice e de' suoi alleati si mettessero in libertà. Che subito si pagherebbe la somma di cinquanta mila genovine all'esercito imperiale, a titolo di rinfresco, e per ottenere il quieto vivere: del resto poi delle contribuzioni dovea intendersi la repubblica col generale conte di Cotech, autorizzato per tale incumbenza. Che quattro senatori intanto passerebbero per ostaggi di tal convenzione a Milano. Finalmente che questo accordo non sortirebbe il suo effetto, finchè non venisse ratificato dalla corte di Vienna. Tralascio altri meno importanti articoli. Non si sa che avesse effetto la consegna dell'armi e munizioni da guerra della città; ma sibbene alle mani dei ministri austriaci pervennero tutti i magazzini (erano ben molti) spettanti a' Gallispani; con che quell'esercito, poco prima bisognoso di tutto, si vide provveduto di tutto; e col ritorno dei disertori, ai quali fu accordato il perdono, venne aumentato di due mila persone. Non si tardò a sborsare le cinquanta mila genovine, il ripartimento delle quali fra gli uffiziali e soldati ebbe l'attestato delle pubbliche gazzette. Bisogno più non vi fu di trattare e disputare intorno al resto delle contribuzioni; perciocchè il suddetto conte di Cotech, commissario generale austriaco, il quale ne sapea più di Bartolo e Baldo nel suo mestiere, inviò al doge Brignole e senato di Genova una intimazione scritta di buon inchiostro. In essa esponeva, che essendosi la repubblica di Genova impegnata in una guerra manifestamente ingiusta contro la maestà [608] dell'imperadrice regina e de' suoi collegati, ed aperto il varco a' suoi nemici per invadere gli Stati d'essa imperadrice e del re di Sardegna; giusta cosa sarebbe stata l'esigere da essa il rifacimento di tante spese e danni sofferti che ascendevano a somme inestimabili. Ma che avendo essa repubblica riconosciuto la mano dell'onnipotente, che l'avea fatta soccombere sotto l'armi giuste e trionfanti della maestà sua cesarea e reale; ed essendosi volontariamente offerta di soggiacere agli aggravii che le si doveano imporre: perciò esso conte di Cotech perentoriamente le facea intendere di dover pagare alla cassa militare austriaca la somma di tre milioni di genovine (cioè nove milioni di fiorini) in tanti scudi di argento, e in tre pagamenti: cioè un milione dentro quarantott'ore; un altro nello spazio di otto giorni; e il terzo nel termine di quindici giorni: sotto pena di ferro, fuoco e saccheggio, non soddisfacendo nei termini sopra intimati. Questa fu l'interpretazione che diede il ministro alla clemenza dell'imperatrice regina, a cui s'era rimessa quella repubblica.
Aveano gl'infelici Genovesi il coltello alla gola; inutile fu il reclamare; necessario l'ubbidire. Concorsero dunque le famiglie più benestanti al pubblico bisogno coll'inviare alla zecca le loro argenterie; si trasse danaro contante da altri; convenne anche ricorrere al banco di San Giorgio, depositario del danaro non solo de' Genovesi, ma di molte altre nazioni; tanto che nel termine di cinque giorni fu pagato il primo milione. Più tempo vi volle per isborsare il secondo, non potendo la zecca battere se non partitamente sì gran copia d'argento. Con parte di quel danaro furono non solamente soddisfatti di molti mesi trascorsi gli uffiziali austriaci, ma anche riconosciuto dalla generosità dell'augusta sovrana con proporzionato regalo il buon servigio de' suoi uffiziali. Parte d'esso tesoro fu condotto a Milano da riporsi [609] in quel castello. A conto ancora del pagamento suddetto andò la restituzion delle gioie e di altri arredi della casa de Medici, impegnati in Genova dal regnante Augusto. Nè si dee tacere che videsi ancor qui una delle umane vicende. Tanta cura degl'industriosi Genovesi per raunar ricchezze andò a finire in una sì trabocchevol tassa di contribuzioni, la quale, tuttochè imposta ad una città cotanto diviziosa, pure a molti può fare ribrezzo. Non sarebbe ad una città povera toccato un così indiscreto salasso. E vie più dovette riuscire sensibile a quella nobil repubblica, perchè accaduto dappoichè appena ella s'era rimessa dalla lunga febbre maligna della Corsica, in cui non oso dire quanti milioni essi dicono di avere impiegato, ma che certamente si può credere costata a lei un'immensità di danaro. Fama corse che il re di Sardegna si lagnasse, perchè nè pure una parola si fosse fatta di lui nella capitolazione, e nè pure si fosse pensato a lui nell'imposta di tanto danaro e nella occupazione di tanti magazzini. Pari doglianza fu detto che facesse l'ammiraglio inglese.
Ciò che in sì improvvisa e deplorabil rivoluzione dicessero, almen sotto voce, gli afflitti e battuti Genovesi, non è giunto a mia notizia. Quel che è certo, entro e fuori d'Italia accompagnata fu la loro disavventura dal compatimento universale, e fino da chi dianzi non avea buon cuore per essi. Però dappertutto si scatenarono voci non men contra degli Spagnuoli che dei Franzesi, detestando i primi, perchè principalmente da lor venne il precipizio de' Genovesi; e gli altri, perchè mai non comparvero in Italia nell'anno presente quelle tante lor truppe che si spacciavano in moto sulle gazzette, e che avrebbero potuto esentare da sì gran tracollo gl'interessi proprii e quei de' loro collegati. Aggiugnevano i politici, che quand'anche il novello re di Spagna avesse preso idee diverse da quelle del padre, richiedeva nondimeno l'onor della [610] corona che non si sacrificassero sì obbrobriosamente gli amici ed alleati; e in ogni caso poteva almeno e doveva il comune esercito procacciare, per mezzo di qualche capitolazione, condizioni men dure e dannose a chi avea da restare in abbandono. Finalmente diceano doversi incidere in marmo questo nuovo esempio, giacchè s'erano dimenticati i vecchi, per ricordo a' minori potentati del grave pericolo a cui si espongono in collegarsi co' maggiori; perchè facile è il trovar monarchi tanto applicati al proprio interesse, che fanno servir gli amici inferiori al loro vantaggio, con abbandonarli anche alla mala ventura, per risparmiare a sè stessi l'incomodo di sostenerli. Chi più si figurava di sapere gli arcani dei gabinetti, spacciò che fra la Spagna, Inghilterra e Vienna era già conchiuso un segreto accordo, per cui la Spagna dovea richiamar d'Italia le sue truppe; e gli Inglesi lasciar passare a Napoli dieci mila Spagnuoli; e l'imperadrice regina fermare a' confini del Tortonese i passi delle sue truppe: avere i primi soddisfatto all'impegno, ed aver mancato alla sua parte l'austriaca armata. Di qua poi essere avvenuto che la Spagna irritata poscia di nuovo s'unì colla Francia. Tutti sogni di gente sfaccendata. Nè pur tempo vi era stato per sì fatto maneggio e preteso accordo; e certo l'imperadrice regina, principessa generosa e d'animo virile, non era capace di obliar la propria dignità con tradire non solo gli Spagnuoli, ma anche i mediatori Inglesi, cioè i migliori de' suoi collegati. La comune credenza pertanto fu, che la Francia non pensò all'abbandono de' Genovesi; e se il suo maresciallo si lasciò trascinare dall'esempio degli Spagnuoli, non fu questo approvato dal re Cristianissimo. Quanto poscia alla corte del re Cattolico, si tenne per fermo, che sui principii cotanto prevalesse il partito contrario alla vedova regina Elisabetta, che si giugnesse a quella precipitosa risoluzione a cui da lì a non molto succedette il pentimento, [611] essendo riuscito al gabinetto di Francia di tener saldo nella lega il re novello di Spagna, ma dopo essere cotanto peggiorati in Italia i loro affari, e con dover tornare all'abici, qualora intendessero di calar un'altra volta in Italia. Per conto poi de' Genovesi poco servì a minorare i loro danni ed affanni l'altrui compatimento, e il cangiamento di massime nella corte del re di Spagna. Contuttociò dicevano essi di trovar qualche consolazione in pensando, che ognuno potea scorgere, non essere le loro disavventure una conseguenza di qualche loro ambizioso disegno, ma una necessità di difesa; nè potersi chiamar poco saggio il loro consiglio per l'aderenza presa con due corone potentissime, le quali sole poteano preservarli dai minacciati danni: giacchè a nulla aveano servito i tanti loro ricorsi e richiami alle corti di Vienna, Inghilterra ed Olanda.
Ma lasciamo oramai i Genovesi, per seguitare Carlo Emmanuele re di Sardegna. Nè pur egli fu pigro a prendere la fortuna pel ciuffo. Colla maggior diligenza possibile fece egli calar le sue truppe per l'aspre montagne dell'Apennino sulla riviera di Ponente, a fin di tagliare la strada, se gli veniva fatto, ai fuggitivi Franzesi; e fama corse essere mancato poco che l'infante don Filippo e il duca di Modena non fossero sorpresi nel viaggio. Ma la principal mira d'esso re erano Savona e il Finale, paesi dietro ai quali s'erano consumati tanti desiderii de' suoi antenati, e sui quali la real casa di Savoia manteneva antiche ragioni o pretensioni. Giunsero colà le sue milizie nel dì 8 di settembre; ed arrivò anche lo stesso re nel dì seguente a Savona, incontrato dal vescovo e dai magistrati della città, che andarono a presentargli le chiavi. Colà giunse ancora il generale Gorani, spedito con alcuni battaglioni austriaci, per darsi mano a sottomettere il castello assai forte d'essa Savona. Trovavasi alla difesa di quello un comandante di casa Adorno nobile genovese, [612] il quale alla chiamata di rendersi diede quella risposta che conveniva ad un coraggioso e fedele uffiziale; e tanto più perchè fu fatta essa chiamata per parte del re di Sardegna. Raccontasi che egli dipoi, come se quella piazza avesse da essere il sepolcro suo, distribuì ai soldati varii effetti e danari di sua ragione, e nel testamento suo dichiarò eredi suoi le mogli e i figli di quegli uffiziali che morrebbono nella difesa: al che egli dipoi si accinse con tutto vigore. Si tardò ben molto a cominciare le ostilità contra di quel castello, perchè non poteano volare per le aspre montagne i mortai e l'artiglieria grossa che occorreva a quell'assedio. Passarono le brigate austriaco-sarde al Finale, e il forte di quella terra non si fece molto pregare a capitolar la resa, con restar prigione il presidio, e coll'avere gli uffiziali ottenuto buon trattamento per loro e per i loro equipaggi. Giunse colà nel dì 15 di settembre il re di Sardegna; allora fu che, non potendosi più ritenere l'antico abborrimento di quel popolo al giogo genovese, scoppiò in segni d'incredibil allegrezza, e con sommo applauso, ed applauso di cuore accolse il novello sovrano. Proseguì poscia esso re colle milizie il viaggio, occupando di mano in mano i posti e le terre che i Franzesi andavano abbandonando, finchè giunse a Ventimiglia, Villafranca e Montalbano, all'assedio de' quali luoghi egli fu forzato a dover fermare il piede. Dovunque passarono l'armi sue vincitrici, segni ne restarono della singolar sua moderazione e della savia sua maniera di trattare chiunque a lui si arrendeva. Non la voleva egli contra la borsa di que' popoli; esatta disciplina osservavano le sue truppe; solamente, per buona precauzione, levò l'armi al conquistato paese. Impiegò egli in quei viaggi e nella conquista della riviera di Ponente il resto di settembre e la metà d'ottobre; nè altro considerabil avvenimento si contò, se non che il generale austriaco Gorani, nel riconoscere il posto [613] della Turbia, nel dì 12 d'esso ottobre perdè la vita; i Franzesi nel dì 18 ripassarono il Varo; il castello di Ventimiglia nel dì 23 si sottomise all'armi de' Piemontesi.
Intanto la corte di Vienna, considerando il bell'ascendente dell'armi sue in Lombardia e nel Genovesato, e già cacciati di là da' monti i nemici tutti, vagheggiava il bel regno di Napoli, come un premio dovuto al valore e alla buona fortuna dell'armi sue nell'anno presente. Niun v'era de' ministri che, ricordevole delle tante pensioni e regali procedenti una volta da quel fruttuoso paese, non inculcasse venuto ormai il tempo di riacquistar giustamente ciò che s'era sì miseramente perduto negli anni addietro; avere l'imperadrice oziosi circa dieci mila cavalli, adagiati nel Modenese, Cremonese, Mantovano ed altri luoghi. Accresciuti questi da qualche quantità di fanteria, ecco un esercito capace di conquistare tutto quel regno; trovarsi il re di Napoli privo di gente, di danaro e di maniera per resistere; col solo presentarsi colà un esercito austriaco, altro scampo non restare a quel re, che di fuggirsene in Sicilia; e che la Sicilia stessa, qualora volessero dar mano gl'Inglesi, facilmente coronerebbe il trionfo dell'armi imperiali. Forti erano e ben gustate queste ragioni; e non è da dubitare che la corte cesarea ardesse di voglia di quell'impresa; al qual fine si videro anche sboccare in Italia alcune migliaia di fanti Croati e Schiavoni, gente mal in arnese, ma forte di corpo, reggimentata, e che sa, occorrendo, ben maneggiare i fucili e sciable. Ma altri furono in que' tempi i disegni dell'Inghilterra, cioè di quella potenza che avea come dipendenti, per non dire come servi, i suoi collegati, pel bisogno che tutti aveano delle sue sterline, cioè d'un danaro onde veniva il moto principale della macchina di quell'alleanza. Da che la Francia osò, se non di attaccare, almeno di secondare il fuoco nelle viscere della [614] Gran Bretagna colla sedizion della Scozia, in cui non si trattava di meno che di detronizzare il regnante re Giorgio II, lo spirito della vendetta, o sia la brama di rendere la pariglia al re Cristianissimo, fece gran breccia nella corte britannica. Fu dunque risoluto l'armamento d'una possente flotta, per portare la desolazione in qualche sito delle coste di Francia; e in oltre, giacchè più non restavano in Lombardia nemici da combattere, questo parea il tempo di portare la guerra anche dalla parte d'Italia nel cuor della Francia, acciocchè ella non si gloriasse di farla sempre in casa altrui. A questa determinazione ripugnava non poco il gabinetto imperiale tra per li noti infelici tentativi altre volte fatti o nella Provenza o nel Delfinato, e perchè si vedeva interrompere l'impresa di Napoli, dove certo si conosceva il guadagno; laddove poco o nulla v'era da sperare nella Provenza. Per lo contrario, l'Inghilterra non solo desiderava, ma comandava una tale spedizione; e per questo fine ancora mosse il re di Sardegna a contribuir buona parte della sua fanteria.
Tali nondimeno divennero le forze austriache in Italia, tali i nuovi rinforzi inviati per accrescerle, che si figurò il ministero cesareo di poter accudire all'una impresa senza pregiudizio dell'altra; nè si può negare che ben pensati erano i suoi disegni. Ma ordinaria disavventura delle leghe è l'avere ogni contraente dei particolari interessi e desiderii che non s'accomodano con quei degli altri. In Londra v'erano delle segrete intenzioni contrarie a quelle di Vienna. Si voleva far del male alla Francia, è non già alla Spagna. Sempre fitto il re d'Inghilterra nella speranza d'una pace particolare col re Cattolico, fervorosamente maneggiata dall'austriaca regina di Portogallo, e creduta anche assai verisimile, per essersi scoperte nel novello re di Spagna delle massime ben diverse da quelle del re fu suo padre: con ogni riguardo procedeva verso gli Spagnuoli, astenendosi, [615] per quanto mai poteva, dal recar loro danno, anzi da ogni menomo loro insulto; nemico in fine di solo nome, ma non già di fatti. Però la conquista del regno di Napoli, meditata in Vienna, che avrebbe infinitamente disgustata la corona di Spagna, si trovò ascosamente attraversata dagl'Inglesi, i quali fecero valere la necessità di entrare in Provenza colle maggiori forze possibili, per non soggiacere agl'inconvenienti patiti altre volte in sì fatte spedizioni, ed essere troppo pericoloso l'indebolir cotanto l'armata di Lombardia, coll'inviarne sì gran parte in sì lontane e divise contrade; e che costerebbe troppo il mantenere in tali circostanze quell'acquisto. Queste ed altre ragioni, delle quali il gabinetto di Vienna intendeva molto bene il perchè, fecero che l'imperadrice regina forzatamente desse bando ad ogni disegno sul regno di Napoli; e intanto il re Cattolico con varii convogli per mare spedì ad esso Napoli alcune migliaia delle sue truppe, le quali ebbero sempre la fortuna di non essere vedute dagl'Inglesi, nè di incontrarsi nelle lor navi, le quali pure padroneggiavano per tutto il mare Ligustico e Toscano.
Fissata dunque la spedizione austriaco-sarda contro la Provenza, per cui tanto all'imperadrice che al re di Sardegna uno straordinario aiuto di costa in moneta fu somministrato dall'Inghilterra, esso re sardo, per disporla ed animarla come generalissimo, passò a Nizza già abbandonata dai Franzesi. Quivi ricevette egli l'avviso che s'era renduto alle sue armi Montalbano, e che poco appresso, cioè nel dì 4 di novembre, avea fatto altrettanto il castello di Villafranca. Giunse anche da lì a poche settimane la lieta nuova che la cittadella di Tortona era tornata in suo dominio nel dì 25 del mese suddetto, con aver quella guernigione spagnuola ottenuta ogni onorevol capitolazione; giacchè anche esso re in tutta questa guerra ogni maggior convenienza e rispetto osservò sempre verso [616] la corona di Spagna. Intanto sì dalla parte di Genova che di Lombardia andavano sfilando le soldatesche destinate per l'invasione della Provenza, facendosi la massa della gente a Nizza. Scelto per comandante di quell'armata il generale conte di Broun, questi verso la metà di novembre giunse per mare a quella città, e cominciò a prendere le misure per effettuare il meditato disegno. Giacchè si calcolava di non trovare nè viveri nè foraggi in Provenza, l'ammiraglio inglese Medier, chiamato a consiglio, assunse il carico di condurre dai magazzini di Genova e della Sardegna il bisognevole, siccome ancora le artiglierie, attrezzi e munizioni da guerra. Sopraggiunse in questi tempi gagliarda febbre al re di Sardegna, che grande apprensione ed affanno cagionò in quell'armata, ma più in cuore dei sudditi suoi, i quali perciò con pubbliche preghiere implorarono da Dio la conservazione d'una vita sì cara. Dichiarossi poi nel dì 25 di novembre il vaiuolo, e questo di qualità non maligna, talchè, passato il convenevol tempo richiesto da sì fatta malattia, cessò ogni pericolo e timore. A cagione nondimeno della convalescenza fu conchiuso ch'esso re passerebbe il verno in quella città. Finalmente sul fine di novembre si trovò raunato l'esercito destinato ai danni della Provenza, che si fece ascendere a trentacinque mila combattenti tra fanti e cavalli, cioè due terzi di Austriaci, e l'altro di Piemontesi comandati dal tenente generale marchese di Balbiano; perciò s'imprese il passaggio del fiume Varo.
Credevasi di trovar quivi forte resistenza dalla parte de' Franzesi; ma non erano tali le forze di questi da poter punto frastornare i passi degli Austriaci e Savoiardi. S'erano già separate le milizie spagnuole dai Franzesi, e misteriosi parevano i loro movimenti, perchè ora sembrava che volessero prendere il cammino verso la Spagna, ed ora che pensassero a ritirarsi in Savoia. E veramente a quella volta tendevano i loro passi, [617] quando arrivò in Tarascon al generale marchese della Mina un corriere dell'ambasciatore Cattolico esistente in Parigi, da cui veniva avvertito di tener le truppe di suo comando unite con quelle di Francia, stante una nuova convenzione stabilita fra le due corone di Madrid e Versaglies. Servì un tale avviso, perchè il marchese non progredisse innanzi, per aspettare più accertati ordini dalla corte del suo sovrano. Non ascendevano dal canto loro i Franzesi a più di cinque o sei mila persone sotto il comando del marchese di Mirepoix tenente generale, avendo pagato gli altri il disastroso ritorno dal Genovesato o con lunghe malattie o colla morte. Vero è che si trovarono alquanti corpi d'essi Franzesi qua e là postati al basso e all'alto del Varo, per contrastarne il passo a' nemici; due fortini ancora o ridotti teneano sulle sponde d'esso fiume; pure tra le batterie erette di qua dal fiume, che faceano buon giuoco, e pel cannone di tre vascelli e di altri legni minori inglesi che s'erano postati all'imboccatura del fiume stesso, animosamente in più colonne passarono gli Austriaco-Sardi, essendosi precipitosamente ritirati da tutti que' postamenti i Franzesi. Detto fu che solamente costasse quel passaggio ottanta persone, le quali ebbero anche la disgrazia di annegarsi. Fu dipoi formato un sodo ponte sul Varo; e volarono ordini perchè venissero le grosse artiglierie, per dar principio all'assedio d'Antibo, mira principale del generale Broun, che servirebbe di scala all'altro di Tolone.
Trovarono gli aggressori in que' contorni abbandonate le case, e fuggiti col loro meglio i poveri abitanti. Ma per buona ventura vi restarono le cantine piene di vino, e vino, come ognun sa, sommamente generoso di quelle colline, onde ne avrebbe quel popolo, secondo il costume, ricavato un tesoro. Giacchè altro nemico da combattere non aveano trovato i Tedeschi, gli Svizzeri ed anche gl'Italiani, sfogarono il loro valore e sdegno contra di quelle botti, e per tre giorni ognun [618] trionfò di que' cari nemici. Era un bel vedere qua e là per terra migliaia di soldati che più non sapeano in qual parte del mondo si fossero: così ben conci erano dal tracannato liquore. Non sanno più i gran guerrieri del nostro tempo usare stratagemmi, nè studiano i libri vecchi, per impararne l'arte. Se quattro o cinque mila Franzesi, col muoversi di notte, avessero colto in quello stato i lor nemici, voglio dire quegli otri di vino, chi non vede qual brutto governo ne avrebbero potuto fare? il generale Broun per questo inaspettato accidente non sapea darsi pace, e vi rimediò come potè. Gli antichi preparavano buona cena alle truppe nemiche, per farne poi loro pagare lo scotto nella notte seguente. Tanto nulladimeno si affrettarono quei bravi bevitori a votar quelle botti, spandendo anche per le cantine il vino sopravanzato alla loro ingordigia, che ne fecero poi lunga penitenza, costretti sovente a bere acqua, per non trovare di meglio. Si stesero dipoi i loro staccamenti alle picciole città di Vences, Grasse ed altri luoghi, i vescovi delle quali città impiegarono con somma carità quanto aveano, per esentare i popoli da un duro trattamento. Trovarono un discreto nemico nel suddetto generale Broun, il quale portò poscia il suo quartiere generale sino a Cannes, sulla spiaggia del mare di là da Antibo, con bloccare quel porto, e dar principio alle ostilità contra del medesimo. Non trovando quelle soldatesche in alcun luogo opposizione alcuna, s'inoltrarono fino a Castellana, Draghignano ed altre lontane terre. Altro miglior partito non seppe trovare il re Cristianissimo, per mettere argine a questo torrente, che di ordinare la mossa di almen trenta mila combattenti delle truppe regolate esistenti in Fiandra, giacchè si conobbe insufficiente medicina a questo malore il formar de' nuovi reggimenti in Provenza. Uomini di nuova leva son per lo più soldati di nome, conigli di fatti. Un soccorso tale, che dovea far viaggio di più centinaia di miglia, [619] per arrivare in Provenza, non frastornava punto i sonni e i passi dell'armata austriaca e savoiarda; la quale perciò nel dì 15 di dicembre giunse ad impadronirsi anche della città di Frejus, con istendere le contribuzioni per tutte quelle contrade. E perciocchè si trovò che le barche armate dell'isole di Sant'Onorato e di Santa Margherita infestavano non poco i convogli destinati pel campo di Cannes, ordinò il Broun che sopra molti legni venuti da Villafranca s'imbarcassero tre mila soldati, e facessero colà una discesa. Non indarno questa fu fatta. Capitolarono le picciole guernigioni dei due forti esistenti in quelle isole, e cederono il campo ai nuovi venuti. Molto dipoi costò ai Franzesi la ricupera di quei luoghi. Le speranze intanto di vincere il forte d'Antibo erano riposte nei grossi cannoni e mortai che si aspettavano da Genova; quando si sconcertarono tutte le misure per un inaspettato avvenimento, che sarà ben memorabile anche nei secoli avvenire.
Da che piegarono il collo i rettori di Genova sotto l'armi fortunate dell'imperadrice regina colla capitolazione che di sopra accennammo, restò quella nobil città ondeggiante fra mille tetri ed inquieti pensieri. Le apparenze erano che in quel governo durasse l'antica libertà e signoria; perchè il doge, il senato e gli altri magistrati continuavano come prima nell'esercizio delle loro funzioni ed autorità; tenevano le guardie dei lor proprii soldati (soldati nondimeno dichiarati prima prigionieri di guerra dei Tedeschi) a Belvedere e alle porte, a riserva di quelle di San Tommaso e della Lanterna cedute agli Austriaci. Gli stessi Austriaci pareva che non turbassero i fatti della città, giacchè non permetteva il Botta che alcuno de' suoi soldati entrasse in quella senza sua licenza in iscritto. Ma in fine tutta questa libertà non era diversa da quella degli uccelletti che legati per un piede si lasciano svolazzare qua e là. Se non entravano a centinaia [620] e migliaia di Tedeschi in città a farvi da padrone, poteano ben entrarvi, qualora ne venisse loro il talento; e non pochi ancora v'entravano, con pagar poscia i viveri meno del dovere, e con vilipendere ed ingiuriare toccando forte sul vivo i poveri abitanti. Intanto di circa otto mila Tedeschi non andati in Provenza, parte acquartierata in San Pier d'Arena teneva in ceppi la città, e parte stesa per la riviera di Levante s'era impadronita di Sarzana, della Spezia e di altri luoghi in quelle parti. Nella fortezza di Gavi, ceduta da' Genovesi, comandava la guernigione austriaca; e per tutta la riviera di Ponente altro più non restava che inalberasse le bandiere della repubblica, fuorchè l'assediato castello di Savona, avendo il re di Sardegna conquistate tutte l'altre terre e città, con farsi anche giurare fedeltà dai Finalini. Ed allorchè fu per marciare l'armata in Provenza, credette ben fatto il generale Botta di occupare all'improvviso il bastione di San Benigno, guernito di gran copia di bombe e cannoni, che sovrasta alla Lanterna, e domina non men la città che il borgo di San Pier d'Arena. In tal positura di cose si scorgeva da ognuno ridotta al verde la potenza e libertà de' Genovesi. Aggiungasi il guasto de' poderi e delle case, con una man di estorsioni ed avanie, che più di uno degli uffiziali e soldati austriaci, non mai sazii di conculcare i vinti, andavano commettendo per tutti i luoghi dei loro quartieri. Nè da Vienna altra indulgenza finora avea potuto ottenere l'inviato della repubblica, se non l'esenzione che il doge e i sei senatori si portassero colà. Pretesero i Tedeschi insussistenti e vane tutte le suddette accuse. Il peggio era, che dopo avere il senato smunte le case de più ricchi, intaccato il banco di San Giorgio, e battute in moneta le argenterie de' benestanti, col giugnere in fine a pagar anche buona parte del secondo milione di genovine, animato a questo sforzo dalle molte speranze date che sarebbe condonato il resto: non istettero [621] molto ad udirsi le richieste anche del terzo; e queste poi si andarono maggiormente inculcando, corteggiate dalle minaccie del commissario generale Cotech del saccheggio, e di ogni altro più aspro trattamento. La mirabil industria d'esso commissario avea saputo con tanta facilità, cioè con un solo tratto di penna, trovare il lapis philosophorum; si credeva egli che in essa penna durerebbe per sempre quella virtù. Intanto quel governo, di consenso del marchese Botta, scelse quattro cavalieri per inviarli a Vienna a rappresentar l'impotenza d'un ulterior pagamento, sperando pure migliori influssi dall'imperiale e real clemenza e protezione, in braccio a cui s'erano gittati. Ma o sia che non venisse mai dalla corte l'approvazione di tal deputazione, o che venisse in contrario: mai non si poterono ottenere dal marchese i necessarii passaporti. Se poi s'ha da credere tutto quanto concordemente asseriscono i Genovesi, giunse il conte di Cotech ad intimare, oltre al suddetto terzo milione, anche il pagamento di altre gravi somme per li quartieri del verno e quieto vivere, e ducento mila fiorini per li magazzini delle truppe genovesi dichiarate prigioniere di guerra, i quali non vi erano, ma vi dovevano essere. Allegò il governo l'impossibilità a più contribuire; e perchè succederono le minaccie, fu risposto che il Cotech prendesse quante risoluzioni volesse, ma che queste in fine non potrebbero essere che ingiuste. Non andò molto, che il generale Botta parimente richiese cannoni e mortari alla repubblica, per inviarli in Provenza; e non volendoli questa dare di buon grado, egli spedì gente a levarli dai posti per quel trasporto.
Questo era il deplorabile stato di Genova, cagione che già molti nobili e ricchi mercatanti aveano cangiato cielo, non sofferendo loro il cuore di mirare i mali presenti della patria, con paventarne ancora de' peggiori in avvenire. La troppo disgustosa voce del minacciato sacco, vera o falsa che fosse, disseminata oramai [622] fra quel numeroso popolo, di troppo accrebbe il già prodotto fermento di odio, di rabbia, di disperazione. E tanto più crebbe, perchè, lamentandosi alcuni dell'aspro trattamento che provavano, scappò detto ad un uffiziale italiano nelle truppe cesaree, che si meritavano di peggio. Poi soggiunse: E vi spoglieremo di tutto, lasciandovi solamente gli occhi per poter piagnere. Meriterebbe d'essere cancellato dal ruolo de' cavalieri d'onore chi nudriva così barbari sentimenti, e si facea conoscere un tartaro, e non un cristiano. L'infima plebe imparò allora a lodare lo stato antecedente, perchè altro aspetto non aveva il presente che quello di sterminio e di schiavitù. Pure, non trovandosi chi osasse di alzare un dito, in soli segreti lamenti e combriccole andava a terminare il risentimento di ognuno: quand'ecco una scintilla va ad attaccare un grande impensato incendio. Era il dì 5 di dicembre, e strascinavano gli Alemanni un grosso mortaio da bombe, per inviarlo in Provenza. Sono assaissime strade di Genova vote al disotto, affinchè passino l'acque scendenti dalle montagne in tempo di pioggie, ed anche per le cloache. Al troppo peso di quel bronzo, nel passare pel quartiere di Portoria, si fondò la strada, onde restò incagliato il trasporto. La curiosità trasse colà non pochi del minuto popolo, che furono ben tosto sforzati a dar mano per sollevare il mortaio. E perchè mal volentieri facevano essi quel mestiere, perchè non pagati, e perchè parea loro cosa dura di faticare in danno della stessa lor patria: si avvisò uno de' Tedeschi di pagargli col regalo di alcune poche bastonate. Non sapea costui di che fuoco ed ardire sia impastato il popolo di Genova; ne fece immantenente la pruova. Il primo a scagliare contra di lui una buona sassata, fu un ragazzo, con dire prima ai compagni: La rompo? E all'esempio suo tutti gli altri diedero di piglio ai sassi, i quali ebbero la virtù di far fuggire i Tedeschi. Rinvenuti in sè quei [623] soldati, tornarono poscia colle sciable nude per gastigar quella povera gente; ma ricevuti con più copiosa grandine di sassi, furono di nuovo obbligati a salvarsi colla fuga. Nulla di più avvenne in quel giorno. Nella notte quei che erano intervenuti a quella picciola commedia, andando per le strade, cominciarono a gridare all'armi, ripetendo sovente: Viva Maria: con che si raunò una gran brigata, tutta della feccia più vile della città. Deridevano gli Austriaci questo schiamazzo, insultandoli con gridare: Viva Maria Teresa. Presentossi poscia al palazzo pubblico la plebe, chiedendo armi con terribile strepito. Ordinò il governo che si chiudessero le porte, si raddoppiassero le guardie, si mettessero soldati fuori del rastrello con baionetta in canna. Nulla potendo ottenere, raddoppiarono le grida; e intanto sparso il romore per varii quartieri, maggiormente crebbe la folla de' sollevati, che tornata con più empito la seguente mattina, giorno 6 di dicembre, al palazzo, continuò a fare istanza d'armi, e tentò anche di scalar l'alte finestre dell'Armeria, ma con esserne rispinta. Nè mancò il governo di ragguagliare il generale Botta di questa novità. Giacchè era fallito questo colpo al popolo, si voltò alle guardie delle porte e sorprendendole s'impadronì dell'armi loro; sforzò le porte degli uffiziali militari; entrò in qualsivoglia bottega di armaiuoli, e quante armi trovò, tutte se le portò via, senza toccare il resto. Ma non v'era capo, ognun comandava, nè altro si mirava che confusione. Spediti dal governo alcuni de' cavalieri più accreditati fra il popolo, impegnarono indarno la loro eloquenza per frenarli. Andò poi l'infuriata gente alle porte di San Tommaso, credendosi di atterrire le guardie tedesche con una scarica di fucili e con altre grida. Chiusero gli Alemanni le porte, e si risero delle loro bravate. Ma non si rallentò per questo il coraggio del popolo, che corso a prendere un picciolo cannone, lo presentò a quelle porte per [624] batterle. Questo fu un farne un regalo agli Alemanni, i quali, aperte all'improvviso le porte, e spedita fuori una man di granatieri, nè pur lasciarono tempo di spararlo, e sel portarono via. Fuori anche d'esse porte sboccò nella città una banda di quindici o venti uomini di cavalleria tedeschi, che, dopo la scarica delle lor carabine, colle sciable alla mano corsero per Acquaverde e strada Balbi fin sulla piazza dell'Annunziata. Di più non vi volle per dissipare l'indisciplinata gente, che sparpagliata prese sulle prime qua e là la fuga. Ma attruppatisi poi alcuni di essi, ed uccisi con moschettate due dei cavalli nemici, fecero ritirare il resto più che di fretta. Da questo fatto argomentarono molti, che se il generale Botta avesse inviato delle buone schiere e squadre d'armati nella città, avrebbe potuto in quel tempo sopire il tumulto, perchè movimento contraddetto dal governo, nè secondato da persona alcuna di conto.
Servì di scuola agli ammutinati il rischio corso a cagion dell'irruzione della poca cavalleria nemica per premunirsi; e però nella seguente notte barricò le principali strade con botti ed altra copia di legnami, e con replicati fossi. Era cresciuto a dismisura il popolaccio, e giacchè tutti i palazzi de' nobili si trovavano chiusi e ben custoditi, nè sito finora s'era trovato per farvi le loro sessioni, sforzarono il portone dei padri Gesuiti nella strada Balbi, ed impadronitisi di tutte quelle scuole e congregazioni, quivi piantarono il loro quartier generale. Fu creato un commissario generale, che scelse varii luogotenenti, ordinò pattuglie di giorno e di notte, per ovviare ai disordini, pubblicò editti rigorosi, che ognun dovesse accorrere alla difesa. In una parola assunse il governo e comando della città, senza nondimeno perdere il rispetto al doge e senato, se non che gli ordini del ceto nobile non erano attesi, e il magistrato popolare voleva essere ubbidito. Pretese dipoi quel popolo, che fosse nulla la capitolazione fatta dal [625] governo con gli Austriaci, siccome fatta senza participazione e consenso del secondo e terzo ordine popolare, che a tenore delle leggi e convenzioni pubbliche si richiedeva. Avea comandato esso governo nobile che non si sonasse campana a martello, e intimato ai capitani delle popolatissime vicine valli del Bisagno e della Polcevera di non prendere l'armi. Se ubbidissero, staremo poco a vederlo. Intanto il generale marchese Botta avea spediti ordini pressanti alle milizie tedesche, sparse per le due riviere di Levante e Ponente, acciocchè accorressero a Genova. Prese eziandio altre precauzioni per sostenere le porte di San Tommaso, ed occupò varii postamenti, atti non meno all'offesa che alla difesa. Ma venuto il dì 7 di dicembre, ecco in armi tutto il gran quartiere di San Vincenzo ed il Bisagno, che si diedero mano con gli altri popolari. Andarono essi ad impossessarsi di tutte le artiglierie, poste nei lavori esteriori della città, e di una batteria detta di Santa Chiara. Con questi bronzi cominciarono a fulminare alcuni posti, dove erano i nemici, con farne anche prigioni alcuni. Al vedere sì stranamente cresciuto l'impegno, il generale Botta mandò a dire al governo che acquetasse il tumulto; e ricevuto per risposta dal palazzo di non aver forza da farlo, si esibì egli di andare al palazzo per comporre le cose; ma poscia non si attentò, o lo trattenne il decoro.
Arrivò il giorno 8 di dicembre, giorno solenne spezialmente in Genova per la festa della Concezione di Maria Vergine, che quel popolo tiene per sua principal protettrice; ed allora fu che altro nerbo, altro regolamento prese il fin qui ammutinato minuto popolo della città e del Bisagno. Imperciocchè, unitosi con loro il secondo ordine dei mercatanti ed artisti, si cominciò a dar pane, vino e danaro; si provvidero le occorrenti munizioni ed armi; si stabilì un'ospedale per li feriti, e si presero altre saggie misure, [626] che accrebbero il coraggio ad ogni amator della patria. Per la strada Balbi in quel giorno crebbero le ostilità delle artiglierie dall'una e dall'altra parte, quando consigliato il popolo a proporre un aggiustamento, espose un panno bianco. Venuto a parlamento un uffiziale tedesco, intese le loro proposizioni, consistenti in richiedere che fossero lasciate libere le porte; riposti al suo sito i cannoni asportati; cessata ogni ulterior pretensione di danaro, e di qualsivoglia altra, benchè menoma, esazione, con dare per questo sei uffiziali in ostaggio. Rapportate furono al generale Botta e al suo consiglio quelle dimande, l'ultima delle quali mosse ciascuno a sdegno o riso, considerata la viltà dei proponenti, e la trionfal maestà di chi udiva tali proposizioni. La risposta fu, che si voleva tempo a rispondere. Giudicò bene d'interporsi, per veder pure se si poteva amichevolmente terminar questa pugna, il principe Doria, signore ben veduto dagli Austriaci, e insieme sommamente amato dal popolo per le sue belle doti e copiose limosine. Concorse anche per istanza e commission del governo a sì lodevol impresa il padre Visetti, rinomato sacro oratore della compagnia di Gesù, siccome persona molto stimata dal marchese generale Botta. Per quanto questi rappresentasse le triste conseguenze, che potea produrre la durezza de' Tedeschi contra di sì numeroso, ardito e disperato popolo, essendo egualmente pregiudiciale agl'interessi e alla gloria dell'imperadrice regina, il danno che sovrastava all'armata imperiale, e l'eccidio minacciato della città; non poterono fissare concordia alcuna. Si arrendeva il generale sul capitolo dell'esazione richiesta sopra il terzo milione, ma troppo abborriva il rilasciar le porte. Più volte andò il principe innanzi e indietro, con rapportar le risposte. Trovatosi il popolo risoluto in voler la libertà delle porte, parve che Il general Botta inchinasse a soddisfarlo, con trovarsi poi ch'egli intendeva di una porta, e non di [627] tutte e due quelle di San Tommaso. Pretesero i Genovesi ch'esso generale tergiversasse o lavorasse di sottigliezze; ma certo egli si trovava in un mal passo, perchè, in qualunque maniera ch'egli avesse operato, mal intese sarebbero state le sue risoluzioni. Cioè se con cedere avesse calmata quella popolar commozione, gli sarebbe stato attribuito a delitto l'avere sacrificato l'onore dell'armi imperiali e l'interesse dell'imperadrice regina, condonando il milione promesso, e restituendo le porte senza licenza della corte. Se poi non cedeva, volendo più tosto aspettar la rovina che poi seguitò, sarebbe stato egualmente esposto al biasimo e alla censura il suo contegno. Dopo il fatto ognun la fa da giudice e spula sentenze; ma per giudicar bene, convien mettersi nel vero punto delle cose e delle circostanze prima del fatto.
Continuarono anche nel dì 9 di dicembre i trattati, ma senza frutto, talmente che il principe Doria, dopo aver battute tante ragioni e fatiche, se ne lavò le mani, e si ritirò lungi da Genova. Nè miglior fortuna ebbe l'eloquenza del padre Visetti. E perchè il generale austriaco andava prendendo tempo alle risoluzioni, spendendo intanto speranze e buone parole, pretese il popolo genovese ciò fatto ad arte, tanto che arrivassero al suo campo le truppe richiamate dalle due riviere. Tutto questo accresceva l'impazienza e i moti dei Genovesi, per tentare colla forza la sospirata liberazione. Frequenti furono in tutti que' dì le pioggie; pure nulla poteva ritenerli dal fare ogni opportuno preparamento per quell'impresa; nè loro mancò qualche sperto ingegnere che suggerì i mezzi più adattati al bisogno. Si videro a folla uomini, donne, ragazzi, e massimamente i facchini, tutti a gara portare chi fascine, chi palle, chi polve da fuoco e granate, chi formar palizzate e gabbioni, e chi colle sole braccia strascinar per istrade sommamente erte cannoni, mortai e bombe. Ne trassero fino alle alture di Prea, o sia Pietra [628] minuta: il che parrebbe inverisimile, mirando quel sito. Parimente postò il popolo varie altre batterie di cannoni in siti che dominavano San Benigno, in strada Balbi, all'arsenale e altrove, dove maggiormente conveniva per offendere i nemici. Non mancavano armi, palle e polve ad alcuno. Mal digeriva il popolo le dilazioni che andava prendendo il generale suddetto, e tanto più perchè già si sentivano giunti in Bisagno circa settecento Tedeschi, ed esserne assai più in moto. Gli fu dunque dato un termine perentorio sino alle ore 16 del di 10 di dicembre. 0 sia che in quello spazio di tempo non venisse risposta, o che venisse quale non si voleva; o sia, come pretesero altri, che l'impaziente popolo la rompesse prima di quell'ora: certo è, ch'esso diede all'armi, da che si udì sonar campana a martello nella cattedrale di San Lorenzo, il cui esempio da tutte l'altre campane della città fu immediatamente imitato. In concordi altissime voci fu intonato il grido di battaglia, cioè viva Maria, il cui santo nome ispirava coraggio nei petti di ognuno. Cominciarono con gran fracasso le artiglierie a giocare contro la commenda di San Giovanni, ed atterrato quel campanile con altre rovine, fu obbligato quel presidio tedesco a rendersi prigioniere. La batteria superiore di Prea-minuta bersagliava le porte e l'altura de' Filippini, scagliando anche bombe e granate sulla piazza del principe Doria fuori della città dove erano schierate alcune centinaia di cavalleria nemica. Come stesse il cuore ai Tedeschi all'udir tante grida di quel numeroso infuriato popolo, e insieme il suono ferale di tante campane della città, di maggiore efficacia che quel dei tamburi, io nol so dire. La verità si è, che il generale marchese Botta, già credendo assai giustificata la sua risoluzione in sì brutto frangente, fece dar segno di tregua; e, cessato il fuoco, mandò pel padre Visetti a significare al governo che avrebbe ceduto le porte se gliene fosse fatta la dimanda. Accettò il governo, e fece il decreto [629] di richiederle. Ma il popolo rispose di non voler più riconoscere per limosina ciò che non potea mancare alla propria industria e valore.
Ricominciate dunque le offese, più che mai fieramente continuarono, finchè gli Austriaci forzati abbandonarono la porta ed altri posti vicini, siccome ancora la porta di Lanterna e il posto di San Benigno. Colà, subentrati i popolari, cominciarono dal parapetto delle mura a fare un fuoco continuo sopra i nemici, e caricato a cartocci il cannone, tolto loro dinanzi, più volte Io spararono, e non mai in fallo. Andarono a poco a poco rinculando i Tedeschi dalle alture e da tutti gli occupati posti, ed uniti poi con gli altri, abbandonarono anche la piazza del principe Doria, ad altro non pensando che a ritirarsi verso la Bocchetta e Lombardia. Fu scritto, che giunti alla chiesa de' trinitarii, arrivarono loro addosso i popolari, e trovandoli disordinati e intenti a fuggire, ne fecero macello. La verità si è, che niun combattimento vi succedette. Forse non furono più di venticinque i Tedeschi uccisi, non più di dodici gli uccisi Genovesi; e a pochissimi si ridusse il numero de' feriti. Andavano gli Alemanni accompagnati da varie bombe e da molte cannonate della città; ed avendo que' della Cava ravvisato il general Botta, appuntarono contro di lui un cannone, la cui palla a canto a lui sventrò il cavallo del cavalier Castiglioni, e una scheggia di un muro percosso andò a leggiermente ferire in una guancia lo stesso generale. Ritiraronsi dunque, venuta la notte, gli Austriaci con gran fretta e disordine verso la Bocchetta: posto che prudentemente il generale suddetto avea per tempo fatto preoccupare sull'incertezza di quell'avvenimento. E buon per loro, che i Polceverini non si mossero per inseguirli o tagliar loro la strada: ne potea loro succedere gran male. Fu creduto che quella brava gente non facesse in tal congiuntura insulto ai fuggitivi, perchè ubbidiente all'ordine del [630] governo di non prendere l'armi. Si figurarono altri che il generale austriaco regalasse il capitano della Valle, e gli facesse credere seguito un aggiustamento: il che non sembra verisimile, stante l'essere appena cessato lo strepito di tante armi e cannoni, quando si vide per quella lunga salita andarsene frettolosa la piccola armata tedesca. Eransi rifugiati più di settecento Alemanni in tre palagi di Albaro; ma quivi bloccati dai Bisagnini, ed infestati da una frequente moschetteria, e poscia da un cannone tirato da Genova, furono costretti ad arrendersi, con venire nel dì 14 di dicembre condotti prigioni alla città. Altri poi ne furono presi in San Pier d'Arena e in altri luoghi, di modo che conto si fece che più di quattro mila Austriaci rimasero nelle forze de' Genovesi, e fra loro circa cento cinquanta uffiziali. Molti dei primi, perchè non si potè mai riscattarli, vennero meno di malattie e di stento. E perciocchè quegli uffiziali sparlavano, pretendendosi non obbligati alla parola data, perchè presi da gente vile e non decorata del cingolo della milizia, e molto più perchè gli ostaggi dati dai Genovesi furono mandati nel castello di Milano: vennero in Genova trasportate ad altro monistero le monache dello Spirito Santo, e nel chiostro d'esse rinserrati e posti a far orazioni e meditazioni quegli uffiziali sotto buona guardia. Quegli Alemanni che restarono in quelle focose azioni feriti riceverono nello spedale della città ogni più caritativo trattamento.
Tale fu il fine della tragedia del dì 10 di dicembre, terminata la quale, il popolo vincitore nel dì seguente corse a San Pier d'Arena a raccogliere le spoglie della felice giornata. Vi si trovarono grossi magazzini di grano, di panni, di armi e di munizioni da guerra. Quivi ancora venne alle lor mani non lieve numero di Tedeschi feriti o malati; buona parte de' bagagli non solo dei poco dianzi fuggiti uffiziali, ma degli altri ancora che erano passati in Provenza. Furono [631] eziandio sorprese non poche barche nel porto cariche di grano e d'ogni altra provvisione per l'armata della suddetta Provenza. Parimente in Bisagno restarono preda di quel popolo gli equipaggi d'altri Alemanni. In una parola, ascese ben alto il valore del copiosissimo bottino, ma non giù a quei tanti milioni che la fama decantò: corse anche voce che fossero presi cinque muli carichi della pecunia dianzi pagata da' Genovesi; ma questo danaro non vi fu chi lo vedesse. Per sì fortunati successi tutta era in festa la città; ma non già que' forestieri, per qualche ragione aderenti agli Austriaci, che non poteano fuggire, perchè durante questa terribil crisi non ischivarono di essere svaligiati. Fu anche messa solennemente a sacco dal popolo la posta di Milano, ultimamente piantata in quella città. Fin dentro ai monisteri delle monache andò l'avido popolo a ricercare quanto vi aveano rifugiato i Tedeschi. All'incontro, l'inviato di Francia, a cui non si farà già torto in credere che soffiasse non poco in questo fuoco, ed impiegasse anche buona somma di danaro, spedì tosto per mare due felucche a Tolone o Marsiglia, dando cento doble a cadauno de' padroni d'esse, e promettendone altre cento a chi di loro il primo arrivasse colà, per ragguagliare il maresciallo duca di Bellisle di sì importante metamorfosi di cose. E se non allora, certamente poco dipoi spedì anche il governo di Genova lettere premurose al generale medesimo, e delle altre supplichevoli al re Cristianissimo, implorando soccorsi. Dopo il fatto declamarono forte i Tedeschi, perchè il loro generale non avesse tolte l'armi a quella città, non avesse occupato Belvedere e tutte le porte, ed avesse permesso ai ministri di Francia, Spagna e Napoli il continuar ivi la loro dimora. Ciò sarebbe stato contro la capitolazione; ma non importa. Così la discorrevano essi. Altri poi (e con buon fondamento) asseriscono, che se gli Austriaci avessero saputo trattar bene quel [632] popolo, e promettergli lo sgravio di alcuni dazi e gabelle, nulla era più facile che il far proclamare l'augusta imperadrice signora di quella nobil città. Ma, acciecati dal lieve guadagno presente, nulla pensarono all'avvenire.
Con rapido volo intanto portò la fama per tutta la Riviera di Levante l'avviso della liberata città; avviso, che siccome riempiè di terrore le schiere austriache sparse in Sarzana, Chiavari, Spezia ed altri luoghi, così colmò di allegrezza quegli abitanti. La gente saggia d'essi paesi, per evitare ogni maggiore inconveniente, quella fu che amichevolmente persuase a quelle truppe di andarsene con Dio; e se ne andarono, ma col cuor palpitante, finchè giunsero di qua dall'Apennino. Loro furono somministrate vetture, e conceduto lo spazio d'otto giorni pel trasporto de' loro spedali e bagagli. Un gran dire fu per tutta Europa dell'avere i Genovesi con risoluzione sì coraggiosa spezzati i loro ceppi; ed anche chi non gli amava, li lodò. Fu poi comunemente preteso, che se il ministro austriaco con più moderazione fosse proceduto in questa contingenza, maggior gloria di clemenza sarebbe provenuta all'imperadrice regina, ed avrebbono le sue armi sfuggito questo disgustoso rovescio di fortuna. Non si potè cavar di testa agli Austriaci, e dura tuttavia, anzi durerà sempre in loro la ferma persuasione che il governo di Genova manipolasse lo scotimento del giogo, e sotto mano se l'intendesse col popolo; fingendo il contrario ne' pubblici atti. Non si può negare: molti giorni prima gran bollore appariva negli abitanti di Genova, e si tenevano varie combriccole: del che fu anche avvisata la corte di Vienna, senza che nè essa nè gli uffiziali dell'armata ne facessero alcun conto, per la soverchia idea delle proprie forze e dell'altrui debolezza. Pure altresì è vero che in una repubblica, composta di tanti nobili, ciascun de' quali ha degl'interessi ed affetti particolari, e fra' quali e il popolo non [633] passa grande intrinsichezza, sembra che non si potesse ordire una tela di tante fila, senza che in qualche guisa ne traspirasse il concerto. Non è capace di segreto un popolo; di tutti i moti della medesima plebe il governo andò sempre ragguagliando il generale austriaco. Si sa ancora che niuno de' nobili pubblicamente s'unì col popolo, se non dopo la liberazione della città. Vero è che il governo comunicò al popolo la risposta data al generale di non poter pagare un soldo di più, e si fece correr voce di gravi soprastanti malanni; ma non per questo si mosse mai il governo contro gli Austriaci.
Rimettendo io a migliori giudizii la decisione di questo punto, dirò solamente quel poco che da persone assennate e ben istruite di quegli affari ho inteso. Cioè: che i nobili del governo senza mai tramare rivolta alcuna, sempre onoratamente trattarono col comandante austriaco. Ma essere altresì vero che non era loro ignoto meditarsi dal popolo qualche rivoluzione. Questa poi scoppiò prima del tempo, e per l'accidente di quel mortaio, cioè quando non erano peranche all'ordine tutte le ruote. Quali poi fossero le conseguenze di quella strepitosa mutazion di cose, andiamo a vederlo. Avea bensì il conte della Rocca, comandante l'assedio della cittadella di Savona, avanzati i lavori sotto la medesima; tuttavia non potè mai, se non all'entrar di dicembre, procedere con braccio forte: tanta difficoltà si provò a trar colà tutte le artiglierie e gli ordigni di guerra. Solamente dunque allora cominciò a battere in breccia quella fortezza: quando eccoti giugnere l'avviso delle novità occorse in Genova, città distante non più di trenta miglia. Conobbesi ben tosto che penserebbe quella repubblica al soccorso di Savona; e però ordine fu dato che dal Mondovì, da Asti e da altri luoghi del Piemonte colà frettolosamente passassero alcuni battaglioni di truppe regolate e molte migliaia di miliziotti, [634] per rinforzare quell'assedio, ed accelerare un sì rilevante conquisto. In fatti non trascurarono i Genovesi di spignere a quella volta per mare un grosso convoglio di gente e di munizioni da bocca e da guerra, scortato da tre galere. Inviarono anche per terra un corpo di forse tre o quattro mila volontarii pagati nondimeno dal pubblico; ma inviarono tutto indarno. Veleggiavano per quel mare le navi inglesi, che avrebbero ingoiato il convoglio, forzato perciò a retrocedere; e per terra esso conte della Rocca con forze molto superiori venne incontro alle brigate genovesi di terra; laonde queste giudicarono meglio di riserbare ad altre occasioni la loro bravura. Continuarono pertanto le ostilità e gli assalti, ne' quali perì qualche centinaio di Piemontesi, talchè la guernigione del castello di Savona composta di mille e cento uomini, perduta ogni speranza di soccorso, dovette nel dì 19 di dicembre rendersi prigioniera e cedere la piazza: colpo ben sensibile ai Genovesi, sì per la qualità del luogo, dove il porto da essi interrito se risorgesse, siccome uno dei migliori e più sicuri porti del Mediterraneo, darebbe un gran tracollo al commercio della stessa Genova, e sì perchè la real casa di Savoia su quella città, per cessione fattane dai marchesi del Carretto, ha sempre mantenuto vive le sue ragioni; e queste, colla giunta del possesso, venivano ad acquistare un incredibil vigore. Trovossi in quella fortezza gran copia di cannoni di bronzo.
Non provò già un'egual felicità l'impresa di Provenza. Sì perniciosa influenza ebbero le novità di Genova sopra i disegni degli Austriaco-Sardi in quelle contrade, che tutti andarono a voto. Da Genova aveano da venire i grossi cannoni e i mortai per vincere il forte d'Antibo, e procedere poscia alle offese di Tolone. Di là ancora si dovea muovere buona parte delle vettovaglie necessarie al campo, e delle munizioni da guerra. Ebbe il generale conte di Broun un bel aspettare: [635] s'era cangiato di troppo il sistema delle cose di Genova. Sicchè tutte le prodezze di quell'esercito si ridussero a fare degli inutili giocolini sotto Antibo, e a liberamente passeggiare per quella parte di Provenza, tanto per esigere contribuzioni, quanto per tirarne foraggi e viveri da far sussistere l'armata. Era giunta, siccome dissi, l'ala sinistra d'essi fino a Castellana, luogo comodo per far contribuire le diocesi di Digne, Sanez e Riez dell'alta Provenza. Niun ostacolo aveano trovato ai lor passi, giacchè il marchese di Mirepoix, troppo smilzo di truppe, andava saltellando qua e là alla difesa delle rive de' fiumi, ma senza voglia alcuna di affrontarsi co' nemici. Arrivò poscia al comando dell'armi franzesi in Provenza il maresciallo duca di Bellisle, ed era in cammino a quella volta il gran distaccamento d'armati mosso dalla Fiandra, per somministrargli i mezzi di frenare il corso de' nemici, ed anche per obbligarli alla ritirata. Corrieri sopra corrieri spediva egli per affrettare il loro arrivo; ma più l'affrettavano i desiderii e le orazioni a Dio de' Provenzali, che o provavano di fatto o sentivano accostarsi l'oste nemica. Intanto il generale Botta, tenendo forte la Rocchetta, piantò il suo quartier generale a Novi, e fu rinforzato di nuova gente; ma perciocchè da gran tempo andava egli chiedendo alla corte di Vienna la permissione di passare alla sua patria Pavia, per cagione d'alcuni suoi abituali incomodi di salute, maggiormente rinforzò le suppliche sue per ottenere questa licenza, e in fine l'ottenne.
Nè si dee tacere che nel di 15 d'agosto dell'anno presente un colpo di apoplessia portò all'altra vita Giuseppe Maria Gonzaga, duca di Guastalla, principe a cui furono sì familiari le alienazioni di mente, che stette sempre in mano della duchessa Maria Eleonora di Holstein sua moglie, e de' ministri il governo di quel popolo: popolo ben trattato e felice in tal tempo, e popolo che sommamente deplorò la perdita di lui. Essendo [636] egli mancato senza prole, terminò quell'illustre ramo della casa Gonzaga, e restò vacante il ducato di Guastalla, quello di Sabbioneta e il principato di Bozzolo. Al feudo della sola Guastalla era chiamato il conte di Paredes spagnuolo della nobil casa della Cerda, in vigore delle imperiali investiture, siccome discendente da una Gonzaga di quella linea. Sugli allodiali giuste e incontrastabili ragioni competevano al duca di Modena. Il bello fu che l'imperadrice regina fece prendere il possesso di tutti quegli Stati e beni, quasichè fossero dipendenze dello stato di Milano o del ducato di Mantova: del che fece querele il consiglio dell'imperadore consorte, con pretenderli spettanti alla sola giurisdizione sua. Fu intorno a questi tempi che gli Austriaci usarono una prepotenza, la qual certo non fece onore nè alla nazione alemanna, nè all'augusta imperadrice, a cui pure stava cotanto a cuore il pregio della giustizia e della clemenza. Cioè inviarono nel Ferrarese a fare un'esecuzione militare sugli allodiali della serenissima casa d'Este, benchè spettanti, in vigore di donazione paterna, in usufrutto alle principesse Benedetta ed Amalia sorelle del duca di Modena, intimando per essi una grossa contribuzione di danari e di naturali, fiancheggiata dalle minaccie di vendere tutte le razze de' cavalli, bestie bovine, grani e foraggi di quelle tenute. Operarono essi nello Stato di Ferrara con autorità non minore, come se si trattasse di un paese di conquista, e ciò con detestabil dispregio della sovranità pontifizia. Per non vedere la rovina di que' beni, forza fu di accordar loro quanto vollero in gran somma di danaro. Impiegarono poscia il nunzio pontifizio ed anche l'inviato del re di Sardegna i lor caldi uffizii presso le loro cesaree maestà, rappresentando il grave torto fatto ad innocenti principesse, e l'obbligo di rifondere almeno il denaro indebitamente percetto. Si ha tuttavia da vedere il frutto delle loro istanze, e lo scarico dell'imperiale [637] coscienza. Nè fu men grande l'altra prepotenza, con cui trattarono il ducato di Massa di Carrara, non di altro reo, se non perchè quella duchessa Maria Teresa Cibò, sovrano sola di tale Stato, era congiunta in matrimonio col principe ereditario di Modena. Da esso popolo ancora colle minaccie di ogni più fiero trattamento estorsero una rigorosa contribuzione, tuttochè questa non fosse guerra d'imperio. In che libri mai (convien pur dirlo) studiano talvolta i potenti cristiani? Certo non sempre in quei del Vangelo. Ma ho fallato. Doveva io dir ciò non dei principi, che tutti oggidì son buoni, ma di que' ministri adulatori e senza religione, che tutto fanno lecito al principe, per maggiormente guadagnarsi l'affetto e la grazia di lui.
Sullo spirare dell'anno presente gran romore ancora cagionò in Napoli l'affare della sacra inquisizione. Ognun sa quale avversione abbia sempre mantenuto e professato quel popolo a sì fatto tribunale. Ma perciocchè la conservazion della religione esige che vi sia pure chi abbia facoltà di frenare o gastigare chi nutrisce sentimenti e dottrine contrarie alla medesima; e questo diritto in Italia è radicato almeno ne' vescovi, aveano gli arcivescovi di Napoli col tacito consenso dei piissimi regnanti introdotta una spezie di inquisizione, con avere carceri apposta, consultori, notai e sigillo proprio, per formare segreti processi, e catturare i delinquenti. Quivi anche si leggeva scolpito in marmo il nome del santo uffizio. Trovò lo zelantissimo e dignissimo cardinale Spinelli, arcivescovo di quella metropoli così disposte le cose; ed anch'egli teneva in quelle carceri quattro delinquenti solenni, processati per materia di fede, da due dei quali fu anche fatta una semipubblica abiura. Però egli pretese di non aver fatta novità; ma fu poscia preteso il contrario dalla corte. Ne fece grave doglianza il popolo, commosso da chi più degli altri mirava di mal occhio come introdotta sotto altro verso l'inquisizione; [638] laonde l'eletto d'esso popolo, con rappresentare al re turbate le leggi del regno, e vilipese le antiche e recenti grazie regali in questo particolare concedute ai suoi sudditi, ebbe maniera d'indurre il re a pubblicare un editto, in cui annullò e vietò tutto quell'apparato di novità, bandì due canonici, ed ordinò che da lì avanti la curia ecclesiastica procedesse solamente per la via ordinaria, e colla comunicazion de' processi alla secolare, con altri articoli che non importa riferire; ma con tali formalità, che si potea tenere come renduta inutile in questo particolare la giurisdizione episcopale. Giudicò bene la corte di Roma d'inviare a Napoli il cardinale Landi, arcivescovo di Benevento, personaggio di sperimentata saviezza, per trattare di qualche temperamento all'editto. Qual esito avesse l'andata di lui, non si riseppe. Solamente fu detto, che affacciatisi alla di lui carrozza alcuni di quegli arditi popolari, gli minacciarono fin la perdita della vita, se non si partiva dalla città. Meritossi il re per quell'alto dal popolo un regalo di trecento mila ducati di quella moneta. Vuolsi anche aggiugnere, che durando i mali umori nella Corsica, nè potendo i Genovesi accudire a quegli interessi, perchè distratti da più importante impegno, le più forti case di quell'isola tumultuarono di nuovo, discontente del governo di Genova, quasichè non mantenesse le promesse de' capitoli stabiliti, e insieme disingannata che altre potenze non davano che parole: s'impadronirono della città e del castello di Calvi, della fortezza di San Fiorenzo e di altri luoghi. Avendo poscia chiamati ad una dieta generale i capi delle pievi, stabilirono una democrazia e reggenza, che da lì innanzi governasse il paese. Fu detto che dopo avere il popolo in Genova prese le redini, e ripigliata la libertà, implorasse l'aiuto dei Corsi, con promettere loro il godimento di qualsiasi antico privilegio. Ma fatta questa esposizione a gente che più non si fidava, niun buon effetto produsse. A [639] tanti guai, che renderono quest'anno di troppo lagrimevole in Lombardia, si aggiunse il flagello dell'epidemia e mortalità de' buoi, che fece strage in Piemonte e Milanese, e passò anche nel Reggiano, Modenese e Carpignano, e toccò alquante ville del Bolognese e Ferrarese. Povere lasciò molte famiglie, e cessò dipoi nel verno. E tale fu il corso delle bellicose imprese ed avventure di quest'anno in Italia; alle quali si vuol aggiugnere, che nel dì 29 di giugno la santità di papa Benedetto XIV con gran solennità celebrò in Roma la canonizzazione di cinque santi. Fu anche dal medesimo pontefice, correndo il mese d'aprile approvato un nuovo ordine religioso, intitolato la congregazione de' Cherici Scalzi della passion di Gesù Cristo il cui istituto è di promuovere la divozion de' fedeli verso la stessa passione con le missioni ed altri pii esercizii.
Quanto alle guerre oltramontane, non potè nè pure il verno trattener l'armi franzesi da nuovi acquisti. Sul principio di febbraio, al dispetto de' freddi, delle pioggie e dei fanghi, il prode maresciallo di Francia conte di Sassonia, raunato un esercito di quaranta mila persone, dopo aver preso alcuni forti, all'improvviso si presentò sotto la riguardevol città di Brusselles, e senza dimora eresse batterie e minacciò la scalata. Non passò il di 20 di detto mese, che quella numerosa guernigione di truppe olandesi rendè la città e sè stessa prigioniera di guerra. Gran treno d'artiglieria quivi si trovò. Immenso danno e tristezza cagionò nei dì 25 del seguente marzo a tutta la Francia un orribile incendio, succeduto (non si seppe se per poca cautela, o per malizia degli uomini) nel gran magazzino della compagnia dell'Indie, situato nel porto d'Oriente sulle coste marittime della Bretagna. A più e più milioni si fece montare il danno recato da quelle fiamme, tanto alla regia camera, che alla compagnia suddetta. D'altro in questi tempi non risonavano i caffè che di vicina [640] pace, quando tutti questi aerei castelli svanirono al vedere che il re Cristianissimo Luigi XV partitosi da Versaglies nel dì 4 di maggio, entrò in Brusselles, e poscia in Malines, e mise in un gran moto le divisioni della sua potentissima armata. Conobbesi allora che guerra e non pace avea anche nell'anno presente a far gemere la Fiandra e l'Italia. Dove tendessero le mire de' Franzesi, si fece poi palese ad ognuno nel dì 20 del suddetto mese, essendosi presentato un gran corpo d'essi sotto la nobil ed importante città d'Anversa; ancorchè fosse preveduto questo colpo, tuttavia gli alleati, siccome troppo inferiori di forze, dovendo accudire a molti luoghi non l'aveano rinforzata di sufficiente nerbo di gente per sostenerla. V'entrarono dunque pacificamente i Franzesi, e tosto si applicarono a formar l'assedio di quella cittadella, guernita d'un presidio di due mila persone. Non son più quei tempi che gli assedii durano mesi ed anni. Ai Franzesi spezialmente, che han raffinata l'arte di prender le piazze, costa poco tempo il forzarle a capitolare. In fatti, nel dì ultimo di maggio il comandante della cittadella suddetta giudicò meglio di cederla agli assedianti, con ottener delle convenevoli condizioni, ma insieme con lasciare ai Franzesi anche i forti esistenti lungo la Schelda.
Dopo sì glorioso acquisto se ne tornò il re Cristianissimo a Versaglies, per assistere al parto della delfina; e il principe di Conty, a cui fu confidato il supremo comando dell'armi in Fiandra, imprese nel dì 17 di giugno l'assedio della città di Mons. Incamminossi intanto verso la Fiandra il principe Carlo di Lorena, per assumere il comando dell'armata collegata, nel mentre che lentamente marciava dalla Germania un copioso corpo di milizie austriache a rinforzarla. Ma vi arrivò ben tardi, e non mai giunsero l'armi d'essi alleati a tal nerbo da poter impedire i progressi delle milizie franzesi. L'aver dovuto accorrere [641] gl'Inglesi, ed anche gli Olandesi, alla guerra bollente in Iscozia, sconcertò di troppo le lor misure in Fiandra, ed agevolò ai Franzesi il buon esito d'ogni loro impresa. In fatti, la sì forte città di Mons, dopo una vigorosa difesa nel dì 12 di luglio dovette soccombere alla forza dei Franzesi, e la guernigione di circa cinque mila collegati non potè esentarsi dal restar prigioniera di guerra. La medesima fortuna corse dipoi la fortezza di san Ghislain, al cui presidio nel dì 24 di luglio altra condizione non fu accordata che quella di Mons. Ciò fatto, passarono i Franzesi all'assedio di Charleroy, piazza che nel dì 2 d'agosto si trovò costretta a mutar padrone, con restar prigioni di guerra i suoi difensori. Inutili erano riusciti fin qui tutti i maneggi fatti dalle cesaree maestà per far dichiarare guerra dell'imperio la presente, avendo i principi e le città della Germania, fomentate spezialmente dal re di Prussia, ricusato di far sua la causa dell'augusta casa d'Austria. Nè la corte di Francia avea mancato di divertir la dieta Germanica dall'entrare in verun impegno, con assicurarla che dal canto suo non s'inferirebbe molestia alcuna alle terre dell'imperio. Questo contegno fece credere a molti che la nazion germanica coll'ultima mutazion di cose si fosse alquanto emancipata: il che da altri veniva riprovato, sul riflesso, che il lasciare la briglia al sempre maggiore ingrandimento della Francia era un preparar catene col tempo alla Germania stessa. In fatti, non ostante le lor belle promesse, allorchè i Franzesi s'avvidero di poter fare un bel colpo, non sentirono scrupolo a rompere i confini delle terre germaniche, e ad impossessarsi nel dì 21 di agosto di Huy, appartenente al principato di Liegi, e di fortificarlo, tuttochè sia da credere che assicurassero il cardinale principe di nulla voler usurpare del suo dominio. L'occupazione di quel posto avea per mira di obbligare l'esercito collegato a ripassar la Mosa per la [642] penuria de' viveri, siccome appunto avvenne. Allora fu che il maresciallo conte di Sassonia si appigliò a formare l'assedio di Namur, piazza fortissima, se pur alcuna di forte v'ha contro i Franzesi; e nel dì 11 di settembre cominciarono a far fuoco le batterie. Non era molto lungi di là l'esercito de' collegati; ma il maresciallo, che ben situato copriva l'assedio, non si sentiva voglia di accettare l'esibizion d'una battaglia. Fino al dì 20 del suddetto mese fece resistenza la città di Namur, e quella guernigione ne accordò la resa, per ritirarsi alla difesa del castello, sotto cui fu immediatamente aperta la trincea. Non andò molto che la breccia fatta consigliò a que' difensori nel dì 30 del settembre suddetto di prevenire i maggiori pericoli, con proporre la resa della piazza, ma senza potersi esentare dal rimaner prigioniera di guerra.
Le apparenze erano, che, terminata sì felice impresa, prenderebbero riposo l'armi franzesi; e tanto più perchè in questi tempi rondava una potente flotta inglese, con animo di qualche irruzione sulle coste di Francia, alla difesa delle quali parea che avesse da accorrere parte della franzese armata. Così non fu. Il maresciallo conte di Sassonia, dopo avere colla presa di Namur ridotti i Paesi Bassi austriaci in potere del re Cristianissimo, sentendosi molto superior di forze all'oste de' collegati, meditava pur qualche altro colpo di mano contra de' medesimi. Per coprire Liegi dagl'insulti de' Franzesi, s'era in varii siti ben postata l'armata d'essi alleati fra Mastricht e quella città. Spedì il maresciallo un forte distaccamento verso lo stesso Mastricht, affinchè se il principe Carlo di Lorena, che in quelle vicinanze avea fissato il quartiere con grosso corpo di gente, volesse accorrere in difesa de' suoi, egli potesse assalirlo per fianco. Ciò fatto nel dì 7 d'ottobre a bandiere spiegate marciò contro l'ala sinistra de' collegati, comandata dal principe di Waldech, generale [643] degli Olandesi, in vicinanza di Liegi. Per più ore durò il fiero combattimento. Fu detto che due reggimenti di cavalleria olandese, come se bruciasse l'erba sotto i loro piedi, si ritirassero dal conflitto. Certo è che in fine gli alleati, senza potere ricevere soccorso dal principe di Lorena, piegarono, e ritirandosi, come poterono il meglio, lasciarono il campo di battaglia ai vincitori Franzesi. Si sparse voce che quattro mila collegati vi avessero perduta la vita, e che in mano de' Franzesi restassero molti cannoni, bandiere e stendardi, con grosso numero di prigionieri tra sani e feriti. Pretesero altri che non più di mille fossero da quella parte gli estinti; nè si seppe quanto costasse a' Franzesi la loro vittoria. Passarono poscia i vincitori, divisi in varie parti, a godere i quartieri del verno.
Altra guerra fu nell'anno presente tra i Franzesi e gl'Inglesi. Riuscì a questi ultimi di torre agli altri, nell'America settentrionale, capo Bretone, posto di somma importanza, e riputato dagl'Inglesi d'incredibil utilità per la pesca di quei contorni. All'incontro i Franzesi, siccome accennammo nel precedente anno, colla spedizione del cattolico principe di Galles Carlo Odoardo Stuardo, aveano attaccato il fuoco nella Scozia, e con quella diversione facilitati a sè i progressi nei Paesi Bassi austriaci. Trovò quel principe fra que' popoli gran copia di aderenti alla real sua casa, che presero l'armi, e sparsero il terrore sino nel cuore dell'Inghilterra; perciocchè venne a lui fatto di dare una rotta alle truppe inglesi a Preston, e poi nel di 28 di gennaio a Falkirk, di prendere Carlisle, Inverness, e di fare altre conquiste nei confini della stessa Inghilterra. Per dubbio che qualche cattivo umore si potesse covare in Londra stessa, prese il re Giorgio II la precauzione di tenere alla guardia d'essa città e della real corte un buon sussidio di soldatesche: ed inviò il suo secondogenito Guglielmino Augusto duca di Cumberland con gagliarde forze contra del [644] principe Stuardo. Varie furono le vicende di quella guerra; ma si venne a conoscere che gl'Inglesi non amavano di mutar regnante, e si mostravano zelanti della conservazion della real casa di Brunsvich. All'incontro non s'udiva che imbarco di soccorsi franzesi spediti di tanto in tanto al principe suddetto; e pur egli, a riserva di alquanti ufficiali irlandesi e di poche milizie franzesi, non ricevette mai rinforzo alcuno di gente bastante a continuare la buona fortuna dell'armi sue. Troppe navi inglesi battevano il mare, e custodivano le coste, per impedire ogni sbarco di truppe straniere. Andarono finalmente a fare naufragio tutte le speranze del principe Stuardo in un fatto d'armi accaduto nel dì 27 di aprile presso d'Inverness, dove l'esercito suo rimase disfatto. Peggiorarono poi da lì innanzi i di lui affari; molti anche della primaria nobiltà di Scozia ed anche lordi suoi seguaci, caddero in mano del duca di Cumberland, ed alquanti di loro lasciarono poi la vita sopra un catafalco in Londra. Le avventure dello sventurato principe per salvar la sua vita, mentre da tutte le parti si facea la caccia di sua persona, tali furono dipoi, che di più curiose non ne inventarono i romanzi. Contuttociò ebbe la fortuna di giugnere felicemente nelle spiagge di Francia sano e salvo nel mese di ottobre; e passato alla corte di Versaglies, si vide colle maggiori finezze ed onori accolto, come principe di gran valore e senno, dal re Cristianissimo Luigi XV. Sbrigati che furono gl'Inglesi da questo fiero temporale, pensarono anch'essi alla vendetta; e a questo fine allestirono un possente stuolo di navi con più migliaia di truppe da sbarco. Non era un mistero questo lor disegno, e però si misero in buona guardia le coste della Francia. Sul fine appunto del mese di settembre comparve la flotta inglese alle vicinanze di Porto-Luigi in Bretagna, sperando di mettere a sacco il porto di Oriente, dove si conservano i magazzini della [645] compagnia dell'Indie, ricchi di più milioni. Ne era già stato trasportato il meglio. Sbarcarono gl'Inglesi; fecero del danno alla compagnia; ma invece di superar quel porto, ne furono rispinti colla perdita di molta gente, e di alcuni pochi pezzi di cannone. Quattro lor navi ancora, rapite da vento furioso, andarono a trovar la loro rovina in quegli scogli. Tornarono essi da lì a non molto a fare un altro sbarco, e non ebbero miglior fortuna; se non che lasciarono in varii luoghi de' vivi monumenti della lor rabbia, collo aver dato alle fiamme alcune ville e conventi di religiosi nella suddetta provincia di Bretagna. Gran tesoro costò loro quella spedizione, e non ne riportarono che danno e pentimento.
Anno di | Cristo MDCCXLVII. Indizione X. |
Benedetto XIV papa 8. | |
Francesco I imperadore 3. |
Furono alquanto lieti i principii dell'anno presente, perchè gli accorti monarchi fecero vedere in lontananza agli afflitti lor popoli un'iride di pace come vicina. Imperciocchè si mirò destinata Bredà in Olanda per luogo del congresso, e spediti plenipotenzarii per trattarne, e convenire delle condizioni. La gente, credula alle tante menzogne delle gazzette, si figurava già segretamente accordati Franzesi, Spagnuoli ed Inglesi nei preliminari; e a momenti aspettava la dichiarazione di un armistizio, cioè un foriere dello smaltimento delle minori difficoltà, per istabilire una piena concordia. Ma poco si stette a conoscere, che tante belle sparate di desiderar la pace ad altro non sembravano dirette che a rovesciare sulla parte contraria la colpa di volere continuata la guerra, onde presso i proprii popoli restasse giustificata la continuazion degli aggravii, e tollerati i danni procedenti dal maneggio di tante armi. Trovaronsi in effetto inciampi sul primo gradino. Cioè si misero in testa i Franzesi di non ammettere al congresso i plenipotenziarii [646] dell'imperadore, perchè non riconosciuto tale da essi; nè della regina d'Ungheria, per non darle il titolo a lei dovuto d'imperatrice; nè del re di Sardegna, perchè non v'era guerra dichiarata contra di lui. Tuttavia non avrebbe tal pretensione impedito il progresso della pace, se veramente sincera voglia di pace fosse allignata in cuore di que' potentati; perchè avrebbero (come in fatti si pretese) potuto i ministri di Francia, Inghilterra ed Olanda comunicar tutte le proposizioni e negoziati ai ministri non intervenienti; e convenuto che si fosse dei punti massicci, ognun poscia avrebbe fatta la sua figura nelle sessioni. Ma costume è dei monarchi, i quali tuttavia si sentono bene in forze, di cercar anche la pace per isperanza di guadagnar più con essa che coll'incerto avvenimento dell'armi. Alte perciò erano le pretensioni di ciascuna delle parti, e in vece di appressarsi, parve che sempre più si allontanassero quei gran politici. Ciò che di poi cagionò maraviglia, fu il vedere che nè pure al signor di Mancanas, plenipotenziario di Spagna, fu conceduto l'accesso ai congressi, quando le apparenze portavano, che le corti di Versaglies e Madrid passassero di concerto, e fosse tornata fra loro una perfetta armonia. Veramente il cannocchiale degl'Italiani non arrivava in questi tempi a discernere le mire ed intenzioni arcane del gabinetto di Madrid. Le truppe di quella corona seguitavano a fermarsi in Aix di Provenza, senza che apparisse se le medesime si unissero mai daddovero colle franzesi, benchè si scrivesse che le spalleggiassero, allorchè, siccome diremo, obbligarono i nemici a retrocedere. Ne fu poi ordinata una non lieve riforma, e il resto andò a svernare in Linguadoca, con prendere riposo l'infante don Filippo e il duca di Modena in Mompellieri. Nel medesimo tempo si attendeva forte in Madrid al risparmio per rimettere, come si diceva, in migliore stato l'impoverito regno, annullando spezialmente le tante pensioni concedute [647] dal re defunto; e pur dicevasi, farsi leva di nuove milizie per ispedirle in Provenza. Fluttuava del pari anche la repubblica d'Olanda fra due opposti desiderii, cioè quello di non entrare in guerra dichiarata contro la Francia, minacciante oramai i di lei confini; e l'altro di mettere una volta freno dopo tante conquiste agli ulteriori progressi di quella formidabil potenza. La conclusione intanto fu, che ognun depose per ora il pensier della pace; giacchè quei soli daddovero la chieggono che son depressi, e non si sentono più in lena per continuare la guerra.
Passarono il gennaio in Provenza gli Austriaco-Sardi, ma in cattiva osteria, combattendo più co' disagi che co' Franzesi, i quali andavano schivando le zuffe, sperando poi di rifarsi allorchè fossero giunte le numerose brigate di Fiandra. Bisognava che quell'armata aspettasse la sussistenza sua in maggior parte dal mare, venendo spedite le provvisioni per uomini, cavalli e muli da Livorno, Villafranca e Sardegna. Ma il mare è una bestia indiscreta, massimamente in tempo di verno. Però, tardando alle volte l'arrivo de' viveri, uomini e cavalli rimanevano in gravi stenti; e giorno vi fu che convenne passarlo senza pane. Tutto il commestibile costava un occhio non osando i paesani di portarne, o facendolo pagar carissimo, se ne portavano. Soffiarono talvolta sì orridi venti, che i soldati sull'alto della montagna nè pur poteano accendere o tener acceso il fuoco. Trovavansi anche non pochi di loro senza scarpe e camicie, da che s'erano perduti i magazzini di Genova. Ora tanti patimenti cagion furono che entrò nell'esercito un fiero influsso di diserzione, fuggendo chi potea alla volta di Tolone, dove speravano miglior trattamento. Tanti ne arrivarono colà, che il comandante della città non volle più ammetterli entro d'essa per saggia sua precauzione. Caddero altri infermi, e conveniva trasportarli fino a Nizza, per dar luogo ad essi negli spedali della Riviera. Per quindici [648] dì que' cavalli e muli non videro fieno o paglia, campando massimamente con pane e biada, e questa anche scarsa alle volte. Chi spacciò che furono forzati a cibarsi delle amare foglie degli ulivi, dovette figurarsi che i cavalli fossero capre. Arrivò la buona gente fino a credere che que' cavalli per la soverchia fame mangiassero la minuta ghiaia del lido del mare, senza avvedersi che queste erano iperboli o finzioni di chi si prende giuoco della stolta credulità altrui. Quel che è certo, non pochi furono i cavalli e muli che quivi lasciarono le lor ossa, e gli altri notabilmente patirono, e parte restarono inabili al mestier della guerra. Intanto a questo gran movimento d'armi non succedea progresso alcuno di conseguenza. Ridevasi il forte di Antibo dei Croati lasciati a quel blocco, che non poteano rispondere alle cannonate, se non con gl'inutili loro fucili. Però fu spediente di trarre da Savona con licenza del re sardo quanta artiglieria grossa occorreva per battere quella Rocca; e in quel frattempo le navi inglesi la travagliarono con gran copia di bombe, le quali recarono qualche danno alla terra, senza nondimeno intimorir punto i difensori di quel forte. Giunsero finalmente i grossi cannoni, ma giunsero troppo tardi.
Imperciocchè si cominciò ad ingrossare l'esercito franzese co' corpi di gente, che dalla Fiandra pervenuti a Lione, senza dilazione andavano di mano in mano ad unirsi col campo del maresciallo duca di Bellisle. Avea questi raunate alcune migliaia di miliziotti armati; e da che si trovò rinforzato dalla maggior parte delle truppe regolate, divisò tosto la maniera di liberar la Provenza dalla straniera armata. Scarseggiava forte anch'egli di viveri e foraggi, perchè venne a militare in luoghi dove niun magazzino si trovò preparato, e difficilmente ancora non si potea preparare per mancanza di giumenti. Fiera strage anche in que' paesi avea fatto la mortalità de' buoi. Ebbe [649] nondimeno il contento di udire che le truppe spedite di Fiandra, ancorchè stanche e malconcie, nulla più sospiravano che di essere a fronte de' nemici, e chiedevano di venire alle mani. La prima impresa ch'ei fece, fu di spedire alla sordina un distaccamento d'alquante brigate de' suoi alla volta di Castellana, dove stava di quartiere il generale austriaco conte di Neuhaus con dodici o quattordici battaglioni. Dopo gagliarda difesa toccò a questi di cedere a chi era superiore di forze, con lasciar quivi alcune centinaia di morti e prigioni, e si contò fra gli ultimi lo stesso generale ferito con buon numero d'altri uffiziali. Non gli sarebbe accaduta questa disavventura se avesse fatto più conto del parere del giovane marchese d'Ormea che si trovò a quel conflitto. Di meglio non succedette in alcuni altri luoghi agli Austriaco-Sardi: laonde il generale conte di Broun, all'avviso delle tanto cresciute forze nemiche, fatto sciogliere l'assedio di Antibo e rimbarcare l'artiglieria, si andò poi ritirando a Grasse. Quindi, fatte tutte le più savie disposizioni, sul principio di febbraio cominciò la sua cavalleria a ripassare il Varo, e fu poi seguitata dalla fanteria, senza che nel passaggio occorresse sconcerto o danno alcuno notabile, ancorchè non lasciasse qualche corpo di Franzesi d'insultarli. Penuriavano di tutto, come dissi, anche i Franzesi in quel desolato paese; e però non poterono operare di più.
Ecco dove andò a terminare la strepitosa invasione della Provenza. Assaissimi danni recò ben essa a que' poveri abitanti; ma pagarono caro gli Austriaco-Sardi il gusto dato alla corte di Londra; perchè, oltre ai non lievi patimenti ivi sofferti, fu creduto che l'esercito loro tornasse indietro sminuito almeno d'un terzo; e la lor bella cavalleria per la maggior parte si rovinò, talchè nè pel numero nè per la qualità si riconosceva più per quella che andò. Restò alla medesima anche un altro disagio, cioè di [650] dover passare in tempo di verno e di nevi per le alte montagne di Tenda: sì, se volle venir a cercare riposo in Lombardia, dove ancora per un gran tratto di via l'accompagnò la fame a cagion della mancanza de' foraggi. Quanto ai Provenziali, non lievi furono, ma non indiscrete le contribuzioni loro imposte. La necessità di scaldarsi, di far bollire la marmitta, cagion fu che dovunque si fermarono le truppe nemiche restarono condannate tutte le case a perdere i loro tetti. Non ha per lo più quella bella costiera di montagne, che si stende dal Varo verso Marsiglia, se non ulivi, fichi e viti. Ordine andò del generale Broun che si risparmiassero, per quanto mai fosse possibile, gli ulivi, onde si ricavano olii sì preziosi, non so ben dire, se per solo motivo di generosa carità, o perchè la provincia si esibisse di fornirlo in altra maniera di legna. Ben so che, a riserva d'un mezzo miglio intorno all'accampamento di Cannes, dove tutte quelle piante andarono a terra, e di qualche altro luogo, dove non si potè di meno nella ritirata, rimasero intatti gli ulivi; e che esso conte di Broun riportò in Italia il lodevole concetto di molta moderazione, pregio che di rado si osserva in generali ed armate che giungono a danzare in paese nemico. Per questo, e in considerazione molto più del suo valore e prudenza, venne egli dipoi eletto general comandante dell'armi cesareo-regie in Italia. Quel che è da stupire, non ebbe già sì buon mercato la città e territorio di Nizza, tuttochè dominio del re di Sardegna. Quivi legna da bruciare non si truova, e v'è portata dalla Sardegna, o si provvede dalla vicina Provenza. Pel bisogno di tanta gente, che quivi o nella venuta o nel ritorno ebbe a fermarsi, si portò poco rispetto agli ulivi, cioè alla rendita maggiore di quegli abitanti: danno incredibile, considerato il corso di tanti anni che occorre per ripararlo. Prima di questi tempi trovandosi in Nizza il re di Sardegna bene ristabilito in salute, [651] benchè le montagne di Tenda fossero assai guernite di neve, pure volle restituirsi alla sua capitale. Giunse pertanto a Torino nel dì 15 di gennaio, e somma fu la consolazione e il giubilo di que' cittadini in rivedere il loro amato e benigno sovrano.
Che breccia avesse fatto nel cuore degli Augusti austriaci regnanti la rivoluzione di Genova, sel può pensare ognuno. D'altro non si parlava in Vienna che dell'enorme tradimento dei Genovesi. Questi dichiarati spergiuri e mancatori di fede; questi ingrati, da che l'armi vittoriose dell'imperadrice regina, che avrebbero potuto occupare il governo di quella repubblica e disarmare il popolo, s'erano contentate d'una sola contribuzione di danaro, non eccessiva per sì doviziosa città. Crebbero le rabbiose dicerie, da che si conobbe che cattive conseguenze ridondarono dipoi sopra l'impresa di Provenza. Riflettendo alla grave perdita de' magazzini e di tanti bagagli dei cesarei uffiziali, ma sopra tutto all'onore dell'armi imperiali leso da quel popolo, maggiormente si esaltava la bile, e si eccitavano i pensieri e desiderii di vendetta. Poterono allora accorgersi i ministri di quella gran corte che i buoni uffizii fatti passare da chi è padre comune de' fedeli, cioè dal regnante pontefice Benedetto XIV, per ottenere la diminuzion dell'imposta contribuzione ai Genovesi, tendevano bensì al sollievo di quella nazione, ma anche alla gloria delle loro maestà, e alla maggior sicurezza de' loro interessi. E certamente se l'imperadrice regina fosse stata informata della trista situazione a cui i suoi ministri ed uffiziali con tante estorsioni ed abusi della buona fortuna aveano ridotta quella repubblica, siccome principessa d'animo grande ed inclinata alla clemenza, si può credere che avrebbe colla benignità e indulgenza prevenuto quel precipizio di cose. Ora in Vienna fra gli altri consigli dettati dallo spirito di vendetta, si appigliò la corte a quello di confiscare tutti i beni, crediti ed effetti [652] spettanti a qualsivoglia Genovese in tutti gli Stati dell'austriaca monarchia, ascendenti a milioni e milioni. Si maravigliavano i saggi al trovare nell'editto pubblicato per questo, che vi si parlava di ribellione, di delitto di lesa maestà, e che si usavano altri termini non corrispondenti al diritto naturale e delle genti. Nei monti di Vienna, di Milano e d'altri luoghi stavano allibrate immense somme di danaro genovese, per la cui sicurezza era impegnata la sovrana e pubblica fede, anche in caso di ribellione e d'ogni altro maggiore pensato o non pensato avvenimento. Come calpestare sì chiari patti? E come condannare tanti innocenti privati, e tanti che abitavano fuori del Genovesato, e se ne erano ritirati dopo quella spezie di cattività? Il fallimento poi de' Genovesi si sarebbe tirato dietro quello di tante altre nazioni. Perchè verisimilmente dovettero essere fatti dei forti richiami, e meglio esaminato l'affare, se ne toccò con mano l'ingiustizia. Smontò dipoi la corte imperiale da questa pretenzione, e con altro editto solamente pretese che i frutti e le rendite annue degli effetti de' Genovesi pervenissero al fisco, non essendo di dovere che servissero per far guerra alla maestà sua imperiale e regale. Di grandi grida ci furono anche per questo, pretendendo la gente che si avessero a tenere in deposito; altrimenti quella corte in altri bisogni farebbe la penitenza della non mantenuta fede. Nello stesso tempo seriamente si pensò alle maniere militari da far pentire i Genovesi del loro attentato; e a questo fine s'inviarono in Italia in gran copia le reclute, e dei nuovi corpi di Croati. Giacchè il generale Broun sinceramente scrisse alla corte, quanto difficil impresa sarebbe l'assedio di Genova, in vece sua fu eletto il generale conte di Schulemburg. Spedito intanto dai Genovesi ad essa corte imperiale il padre Visetti gesuita, siccome ben informato dei passati avvenimenti, par addurre le discolpe del loro governo, non solo non fu ammesso, ma [653] venne anche obbligato a tornarsene frettolosamente in Italia. Durante tuttavia il verno, non volle l'esercito austriaco marcire nell'ozio. Esso ripigliò la Bocchetta con isloggiarne i Genovesi. La dimora in quel luogo spelato e freddo costò agli Austriaci gran perdita di gente. Rallentato poi che fu il verno, calarono varie partite di Croati al basso verso Genova per bottinare ed inquietare gli abitanti del paese. Contaronsi allora alcune crudeltà di quella gente che facevano orrore. Ne restò così irritato il popolo di Genova, che fece sapere ai comandanti cesarei, che se non mutavano registro, andrebbono a tagliare a pezzi tutti gli uffiziali di lor nazione prigionieri.
Sì a Versaglies che a Madrid aveano portate i Genovesi le loro più vive istanze e preghiere per ottener soccorsi nel gravissimo loro bisogno. L'obbligo della coscienza e dell'onore esigeva dalle due corone un'emenda d'avere sì precipitosamente abbandonata al voler dei nemici quella repubblica. Perorava ancora l'interesse, affinchè sì potente città non cadesse in mano dell'austriaca potenza; e molto più avea forza presso de' Franzesi il debito della gratitudine, non potendo essi non riconoscere dall'animosa risoluzion de' Genovesi l'esenzion delle catene che s'erano preparate alla Provenza. Però amendue le corti, e massimamente quella di Francia, promisero protezione e soccorso; ordini anche andarono per la spedizione di un convoglio di truppe e munizioni all'afflitta e minacciata città. Precorse intanto colà il lieto avviso, e la sicurezza dell'impegno preso dalle due corone in suo favore: nuova che sparse l'allegrezza in tutto quel popolo, e raddoppiò il coraggio in cuore di ognuno. Allora fu che il governo nobile cominciò pubblicamente ad intendersi ed affrattellarsi col popolare, per procedere tutti di buon concerto alla difesa della patria. Erasi già, all'arrivo del generale Sculemburgo, messa in moto parte delle soldatesche austriache, cioè Croati, Panduri [654] e Varasdini, con riuscir loro di occupare varii siti non solamente nelle alture delle montagne, ma anche nel basso verso Bagnasco, Campo-Morone e Pietra-Lavezzara, con iscacciare da alcuni postamenti i Genovesi, e con esserne anche essi vicendevolmente ricacciati. Non potè questo succedere, spezialmente nel dì 16 di febbraio, senza spargimento di sangue. Si diedero all'incontro i Genovesi ad accrescere maggiormente le fortificazioni esteriori della loro città; a disporre le artiglierie per tutti gli occorrenti siti; a ridurre in moneta le argenterie contribuite ora più di buon cuore da' cittadini, che ne' giorni addietro. Ottennero in oltre da lì a qualche tempo licenza da Roma di potersi valere di quelle delle chiese, con obbligo di restituirne il valore nel termine di alquanti anni, e di pagarne intanto il frutto annuo in ragione del due per cento. Furono poscia dalla corte del re Cristianissimo spediti a poco a poco a quella repubblica un milione e ducento mila franchi; ed in oltre fatto ad essa un assegno di ducentocinquanta mila per mese: danaro che fu poi puntualmente pagato. Non si sa che dal cielo di Spagna scendesse sui Genovesi alcuna di queste rugiade. Succedette intanto l'arrivo di alquanti ingegneri e cannonieri franzesi; e nella stessa città si andarono formando assaissime compagnie urbane, ben vestite all'uniforme e ben armate, parte composte di nobili cadetti, parte di mercatanti e persone del secondo ordine, e molte più delle varie arti di quella città, animandosi ciascuno a difendere la patria, e gridando: O morte, o libertà. Cotal fidanza nella protezione della Vergine santissima era entrata in cuore di ognuno, che si tenevano oramai per invincibili, attribuendo a miracolo ogni buon successo de' piccioli conflitti che di mano in mano andavano succedendo contra degli Austriaci, o cacciati, o uccisi, o fatti prigioni.
Ad accrescere il comune coraggio serviva non poco l'accennato promesso soccorso delle due corone, e il sapersi [655] che erano già imbarcati sei mila fanti in Marsilia e Tolone in più di sessanta barche e tartane, oltre ad altre vele che conducevano provvisioni da bocca e da guerra, altro non bramando da esse, se non che si abbonacciasse il mare, e desse loro le ali un vento favorevole. Venuto oramai il tempo propizio, circa la metà di marzo fecero vela. Rondava per quei mari il vice ammiraglio Medley con più vascelli e fregate inglesi, aspettando con divozione i movimenti di quel convoglio, per farne la caccia. E in fatti, per quanto potè, la fece. Fioccarono più del solito le bugie intorno all'esito di quella spedizione. All'udir gli uni, buona parte di que' legni e truppe gallispane era rimasta preda degl'Inglesi; disperso il restante, parte avea fatto ritorno a Tolone, parte si era rifugiato in Corsica e a Monaco. Sostenevano gli altri che una fortuna di mare avea sparpagliati tutti que' navigli; e ciò non ostante, non esservi stato neppure uno d'essi che non giugnesse a salvamento, approdando chi a Porto-Fino, chi alla Spezia e Sestri di Levante, e chi a dirittura a Genova stessa, dove certamente pervenne la Flora, nave da guerra franzese, la quale sbarcò il signor di Mauriach, comandante di quelle milizie, e buon numero di uffiziali, granatieri e cannonieri. Ventilate da' saggi non parziali tanto alterate notizie, fu conchiuso che circa quattro mila Gallispani per più vie arrivassero a Genova; più di mille cadessero in man degli Inglesi; e qualche bastimento si ricoverasse in Monaco, dove fu poi bloccato da essi Inglesi, ma senza frutto. Con immenso giubilo venne accolto da' Genovesi questo soccorso, spezialmente perchè caparra d'altri maggiori; e in fatti si intese che altro convoglio s'allestiva in Tolone e Marsilia, parimente destinato in loro aiuto. Ma neppure dall'altro canto perdonavano a diligenza alcuna gli Austriaci, con preparar magazzini, artiglierie grosse e minori, mortai da bombe, ed altri attrezzi e munizioni da guerra, [656] più che mai facendo conoscere di voler dare un esemplare gastigo, se veniva lor fatto, alla stessa città di Genova. Giacchè sì sovente nelle armate austriache il valore non è accompagnato da tutti que' mezzi de' quali abbisogna il mestier della guerra: il che poi rende indisciplinate e di ordinario troppo pesanti le loro milizie ovunque alloggiano: alcune città del cotanto smunto Stato di Milano (giacchè mancava d'attiraglio quell'esercito) furono costrette a provvedere cinquecento carrette, con quattro cavalli e un uomo per ciascuna, per condurre le provvisioni al destinato campo. Le braccia di migliaia di poveri villani vennero anch'esse impiegate a rendere carreggiabili le strade della montagna, affin di condurre per esse le artiglierie. Con tutto questo apparato nondimeno non poche erano le savie persone credenti che non si potesse o volesse tentar quell'impresa, come molto pericolosa, per varii riguardi che non importa riferire. Ed avendo veduto che dopo un gran consiglio de' primarii uffiziali fu spedito a Vienna il general Coloredo, molti si avvisarono che altra mira non avessero i suoi passi che di rappresentare le gravi difficoltà che s'incontrerebbono, e il rischio di sacrificare ivi al per altro giusto sdegno non meno l'armata, che la riputazione dell'augusta imperatrice regina. S'ingannarono, e poco stettero ad avvedersi del falso loro supposto.
All'incontro in Genova si teneva per inevitabile la visita, e colla visita ogni maggiore asprezza de' Tedeschi. Questo imminente rischio intanto fu un'efficace predica perchè quella popolata città divenisse un'altra Ninive, sì per placare l'ira del cielo, come per implorare l'aiuto del Dio degli eserciti in sì scabrosa contingenza. Cessò pertanto il vizio; purgò ciascuno le sue coscienze colla penitenza, ed altro ivi non si vedevano che divote processioni ai santuari. Più ancora delle missioni de' religiosi possono aver forza le missioni dell'irreligiosa [657] gente armata, per convertire i popoli a Dio. Venuto che fu il dì 10 di aprile, il generale conte di Schulemburg (già scelto per capo e direttore di quell'impresa), dopo aver visitato i siti e le strade, mise in marcia l'esercito austriaco, il quale fu figurato ascendente a venti in ventidue mila fanti; giacchè la cavalleria in quelle sterili montagne non potea concorrere alle fatiche e all'onore dell'ideato conquisto. Sui primi passi corse rischio della vita il generale suddetto, perchè, mancati i piedi al cavallo, gli rotolò addosso con tal percossa, che sputò sangue, e per alquanti giorni si dubitò, se non di sua vita, almeno d'inabilità a continuare in quel comando. Gli antichi superstiziosi romani avrebbono preso ciò per un cattivo augurio. Calò quell'armata, superati alquanti ridotti, a Langasco, ponte Decimo ed altri siti; e fatti alcuni prigioni, s'impossessò di varii posti in distanza ove di cinque, ove di quattro miglia dalla città, ma senza stendersi punto alla parte del Bisagno, dove sembrano più facili le offese d'essa città. Il quartier generale fu posto alla Torrazza. Non è improbabile che il consiglio militare austriaco avesse risoluta quella spedizione in tempo massimamente che la barriera delle nevi delle Alpi gli assicurava per ora da' tentativi de' Gallispani in Lombardia, stante la speranza di poter almeno ridurre quella repubblica a qualche onesto aggiustamento, onde risarcito restasse l'onore dell'armi dell'augusta regina, con animo di slargar la mano occorrendo ad ogni possibil sorta d'indulgenza. Fu infatti spedito nel dì 15 d'aprile a quel governo un uffiziale, che in voce e in iscritto gli fece intendere, come l'esercito regio-cesareo era pervenuto in quelle vicinanze per farsi ragione de' delitti e della fede violata dai medesimi Genovesi, con tanti danni inferiti alle persone e sostanze dell'esercito dell'imperatrice regina. Che erano anche in tempo di ravvedersi, e di ricorrere pentiti del loro errore alla clemenza di sua maestà, nel cui cuore [658] più possanza avea il desiderio di far grazie che di dispensar gastighi. E di questa clemenza e de' sentimenti cristiani d'essa imperatrice regina, a cui troppo dispiacerebbe la rovina d'una delle più belle e floride città d'Italia, si faceva un pomposo elogio. Ma che? se indugiassero a pentirsi ed umiliarsi, si procederebbe, da che fossero giunte le artiglierie, con ogni maggior rigore contro la loro città, persone, case e campagne, colla giunta di altre più strepitose minaccie di ferro, fuoco e rovine: le quali come s'accomodassero con quella gran clemenza e sentimenti cristiani che giustamente si attribuivano alla maestà sua, non arrivarono alcuni a comprenderlo. La risposta della repubblica, conceputa con termini della maggior venerazione verso l'augusta imperatrice regina, portava, che non ad essi s'avea da imputare la necessità in cui si era trovato il popolo, secondo il gius naturale e delle genti, di prendere l'armi per sua difesa, e non per offesa, da che ad altro non pensavano gli austriaci ministri, se non a ridurlo nell'estrema povertà e schiavitù, senza neppure che i richiami loro pervenissero alla regina, il solo conoscimento della cui clemenza avea indotto il governo a volontariamente aprir le porte all'armi sue. Che pertanto, non riconoscendo in sè delitto, nè motivo di chiedere perdono, speravano che la somma rettitudine della maestà sua troverebbe il loro contegno degno di compatimento, e non di risentimento; e che, altrimenti avvenendo, essi attenderebbono a difendere quella libertà in cui Dio gli avea fatti nascere, pronti a dar le lor vite più tosto che cedere a chi la volesse opprimere.
Non vi fu bisogno di microscopio per iscoprir le ragioni onde furono mossi i Genovesi a sì fatta risposta. Aveano contratto nuovi legami ed impegni colle corone di Francia e Spagna; senza loro consenso non poteano onoratamente venire a trattati contrarii. Perduta la protezion di quelle corti, chi più avrebbe [659] sostenuti i loro interessi in un congresso di pace? Venendo ora ad un accomodamento, nulla si sarebbe parlato di Savona e Finale, con privarsi intanto i Genovesi anche della speranza di ricuperarle colle armi, qualora gli Austriaci fossero ricacciati in Lombardia dai Gallispani. La fortezza poi della città, l'ardore e la concordia del popolo alla difesa, e le promesse delle due corone per una valida assistenza, bastavano bene ad infondere coraggio in chi naturalmente non ne manca. Quando anche peggiorassero gli affari, sempre tempo vi resterebbe per una capitolazione. Rinnovò intanto quel popolo il giuramento di spendere roba e vita per mantenere la propria libertà, sempre fidandosi nell'intercessione della Vergine santissima e nella protezione di Dio. Queste riflessioni nondimeno sufficienti non furono perchè molte famiglie nobili e cittadinesche non si andassero ritirando da Genova nei mesi precedenti, e molto più all'avvicinamento di questo temporale, con ricoverarsi chi a Massa, chi a Lucca, e chi in altre sicure e quiete contrade. Ma spezialmente dissero addio alla loro città i benestanti di Sarzana. Imperocchè libera bensì restava a' Genovesi tutta la riviera di Levante, onde potessero ricavar viveri ed altri naturali, essendo esposta sempre a pericoli la via del mare per cagion delle navi inglesi, intente a far delle prede: ma presero gli Austriaci la risoluzione di spogliargli anche di quel sussidio, con inviare colà due corpi di gente, l'uno per le montagne di Parma, e l'altro per quelle del Reggiano; e tanto più, perchè Genova avea da pensare a sè stessa, nè forze le rimanevano per difendere quella riviera. Conosciuto poscia che per le strade di Pontremoli e delle Cento-Croci si andava ad urtare nelle montagne genovesi, dove i popoli erano tutti in armi, giudicarono meglio di tener solamente la via de' monti reggiani. Fu il generale Voghtern che condusse più di due mila Panduri, e circa cinquecento Usseri a quella volta; ma gli [660] convenne far alto su quel di Massa di Carrara, perchè neppur da quelle parti non mancavano ostacoli, ed egli s'era avviato colà senza cannoni, e, per così dire, col solo bordone. Da Sarzana erano partiti col loro meglio i cittadini più agiati; e all'incontro i contadini aveano in essa città asportati i lor mobili. Fece a questi sapere il comandante genovese della picciola fortezza di Sarzanello, che quando non si appigliassero al partito di difendersi, rovescierebbe loro addosso colle sue artiglierie la città. Giacchè di tanto in tanto andavano arrivando a Genova con varie imbarcazioni franzesi e spagnuole de' nuovi soccorsi, non trascurò quel governo di accudire anche alla difesa d'essa Sarzana. Colà spedito un corpo di truppe regolate, e un numero molto maggiore di paesani armati, rimasero talmente sconcertati i disegni del suddetto generale Voghtern, che, a riserva d'un palazzo e di poche case saccheggiate sul Sarzanese, niun'altra impresa osò di tentare. Stavasene egli a Lavenza ritirato senza artiglierie, e facendo crocette per mancanza di viveri: laonde prese la savia risoluzione verso la metà di maggio di ritornarsene in Lombardia, con passare pel Lucchese e per Castelnuovo di Garfagnana. Molta fu la moderazione sua in quel viaggio; ma imparò che, per far de' buoni digiuni tanto di pane che di foraggi, altro non vi vuole che condur truppe e cavalli per delle montagne senza alcun precedente preparamento.
Eransi l'armi austriache impadronite dei due monti, cioè di Creto e del Diamante, da dove con alquanti cannoni e qualche mortaio infestavano i Genovesi, i quali s'erano ben fortificati e trincierati con buona copia di artiglierie nel monte chiamato dei due Fratelli: monte che fu la salute della loro città. Aveano ben essi Austriaci con immense fatiche dei poveri paesani fatte spianar le strade verso la Bocchetta, e per la valle di Scrivia, con disegno di condurre per colà le grosse artiglierie [661] e i mortai, tratti da Alessandria e da altre piazze. Il primo grosso cannone che passò la Bocchetta, trovando le strade inferiori tutte guaste dai Genovesi, rotolò giù per un precipizio. Non aveano muli, non varii attrezzi atti a superar le difficoltà dei siti montuosi. Tuttavia ne trassero alquanti, mercè de' quali con bombe e grosse granate infestavano, per quanto poteano, i postamenti contrarii, dai quali erano corrisposti con eguale, anzi con più fiera tempesta. Incredibil fu l'allegrezza e consolazione recata nel dì 30 di aprile ai Genovesi dall'arrivo in quella città del duca di Bouflers, spedito dal re Cristianissimo, per quivi assumere il comando delle sue truppe, parte venute, e parte preparate a venire in loro soccorso. Era cavaliere non men cospicuo pel valore, che per la prudenza, affabilità e cortesia. Un eloquente e ben ornato discorso da lui fatto al doge e ai collegati per esaltare il coraggio delle passate e presenti loro risoluzioni, e per assicurarli della più valida protezione del suo monarca, toccò il cuore a tutto quel maestoso consesso. Conoscendo poscia gli Austriaci che più gente occorreva per tentare d'accostarsi alla città di Genova in sito da poterla molestare con bombe ed altre offese, stante l'immenso giro delle mura nuove, che da lungi la difendono, e per cagione de' posti avanzati che maggiormente ne difficultano l'accesso: tanto si adoperarono, che ottennero dal re di Sardegna un rinforzo di circa cinque o sei mila fanti. Non si aspetti il lettore ch'io entri a riferire le tante azioni di offesa e difesa succedute in quel rinomato assedio. Son riserbate queste a qualche diffusa storia, che senza dubbio sarà composta ed uscirà alla luce. Solamente dirò che gli sforzi de' Tedeschi furono dalla parte della Polcevera, senza poter nondimeno penetrare giammai in San Pier d'Arena, ben presidiato e difeso dai Gallispani. Contuttociò si inoltrarono essi cotanto verso il basso, che pervennero all'Incoronata, a Sestri [662] di Piemonte e a Voltri, formando a forza di mine e braccia una strada sino al mare. Non poche furono le crudeltà commesse in tale occasione. Non solamente dato fu il sacco a quelle terre (siccome dipoi anche alla Masone), ma eziandio rimase uccisa qualche donna e fanciullo, e niuna esenzione provarono i sacri templi. Fecero poi credere che gl'Inglesi accorsi per mare a quella festa fossero stati gli assassini d'esse chiese; ma si sa che gli stessi Austriaci portarono a Piacenza calici e pissidi, e fin gli usciuoli dei tabernacoli, per venderli. Niun si trovò che volesse comperarne. Il colonnello Franchini fra gli altri prese spasso in far eunucar un giovane laico cappuccino, e mandollo con irrisioni a Genova. Restò in vita e guarì il povero religioso; ma non già il barbaro Franchini, il quale da lì a tre giorni, colto da un'archibugiata, fu chiamato al tribunale di Dio. Era colui Fiorentino e disertore dei Genovesi.
Dopo avere i Franzesi ricuperate con gran tempo e fatiche l'isole di Santo Onorato e di Santa Margherita, finalmente il cavalier di Bellisle nella notte del dì 2 venendo il dì 3 di giugno, con quarantatrè battaglioni passato il Varo, sorprese in Nizza, oltre a molti soldati, alcuni uffiziali tedeschi e piemontesi. Trattò cortesemente gli ultimi con dichiararli bensì prigionieri di guerra, ma con rilasciar loro gli equipaggi. Non così indulgente si mostrò agli Austriaci, perchè informato delle barbarie da essi usate contra de' Genovesi. Continuarono intanto le bellicose azioni sotto Genova, e pochi giorni passarono senza qualche scaramuccia o tentativo degli assedianti e degli assediati. Spezialmente merita d'aver qui luogo l'operato dagli Austriaci nella notte precedente il giorno della Pentecoste, allorchè, come dissi, vollero aprirsi una strada al mare. Col benefizio d'una pioggia arrivarono essi al convento della Misericordia dei padri riformati sopra la costa di Rivaruolo, distante da Genova quattro buone miglia. Quivi [663] trovati solamente sessanta uomini di milizie del paese, quando ve ne dovevano essere quattrocento, con facilità se ne impadronirono. Pervenuta tal notizia sul far del giorno in Genova, furono immediatamente chiuse le porte, affinchè niuno potesse portare al nimico la notizia di quanto s'era per operare, come altre volte era avvenuto. Fece dunque nel dì 21 di maggio il duca di Bouflers fare una sortita di più corpi di truppe, parte regolate e parte paesane, destinate a sloggiare dal convento suddetto gli Austriaci. Gran fuoco vi fu, e già questi cedevano, quando sopraggiunti in aiuto secento granatieri piemontesi, costrinsero alla ritirata i Gallo-Liguri, i quali poi non negarono di aver perduto trecento venticinque soldati, oltre al signor de la Faye, rinomato ingegnere franzese, e un capitano di granatieri. Restò anche prigione dei Piemontesi il signor Francesco Grimaldi colonnello, che, ingannato dalle loro coccarde, disavvedutamente si trovò in mezzo d'essi. Fecero i Genovesi ascendere circa ad ottocento la perdita degli Austriaci fra morti, feriti e prigioni; ma io non mi fo mallevadore di questo. Tentarono anche gl'Inglesi di far provare a Genova gli effetti della loro nemistà con mettersi a scagliar bombe dalla parte del mare. Ma queste non giugnevano mai a terra, perchè troppo lungi erano tenute le palandre dalla grossa artiglieria disposta sul molo e sul porto: laonde molto non durò quella scena. Le nuove intanto provenienti da quella città parlavano di tante centinaia o migliaia di Gallispani colà o nella riviera di Levante di mano in mano arrivati, che avrebbero formato un possente esercito, capace di sconcertar tutte le misure de' Tedeschi. Ma questi furono desiderii, e non fatti. Con tutti nondimeno i loro sforzi, non poterono mai gli assedianti piantare alcun cannone o mortaio che molestasse la città, nè occupare pur uno d'essi posti avanzati, muniti dai Genovesi, come il monte dei due Fratelli, Sperone, Granarolo, [664] Monte Moro, Tenaglia, la Concezione, San Benigno, oltre a Belvedere, e alla lunghissima e forte trincea che da questo ultimo monte si stendeva sino al mare, e inchiudeva Conigliano con profondo fosso pieno d'acqua. Unanime e ben fornito di coraggio era tutto il popolo della città per difenderla. Le compagnie de' cadetti nobili, de' mercatanti e delle varie arti col loro uniforme, anche sfarzoso, e fin le persone religiose per comando del governo accorrevano per far le guardie, massimamente al monistero e luoghi dove si custodivano i tanti uffiziali e soldati prigioni. Di questi ultimi non pochi presero partito, e insieme coi disertori tedeschi, i quali andavano sopravvenendo, furono spediti a Napoli. Al pari anche delle milizie regolate fecero di grandi prodezze in assaissimi luoghi i paesani genovesi.
S'avvide in fine il generale Schulemburg che maniera non restava di poter prevalere contro la città dalla parte della Polcevera; e però tenuto consiglio, fu da tutti conchiuso di volgere le lor forze alla parte del Levante, cioè alla valle del Bisagno: sito, dove minori sono le fortificazioni, e più facile potrebbe riuscire di offendere la città. Pertanto nella notte e mattina del dì 13 di giugno, dopo avere ordinati alcuni falsi assalti dalla parte della Polcevera, e superati con perdita di poca gente varii trincieramenti, improvvisamente calarono gli Austriaci con bell'ordine a quella volta, e venne lor fatto d'impadronirsi di varii posti, lontani nondimeno circa quattro miglia da Genova, arrivando sino alla spiaggia di Sturla e del mare, essendosi ritirati i Genovesi, con cedere alla superiorità delle forze nemiche. Tentarono essi di penetrare nel colle della Madonna del Monte e ne furono rispinti con loro danno, siccome ancora dal colle d'Albaro, dove stavano ben trincierati i Gallo-Liguri. In questi medesimi giorni i Gallispani, dopo avere in addietro con poca fatica obbligato alla resa il forte di Monte-Albano, [665] ed impreso l'assedio del castello di Villafranca, anche di questo si renderono padroni, con aver fatti prigionieri alquanti battaglioni piemontesi. Passarono dipoi verso Ventimiglia, dove si trovava il generale Leutron con venticinque battaglioni, per contrastar loro il passo; ma accortosi questi che i nemici prendevano la via per la montagna di Saorgio, a fine di tagliargli la ritirata, prevenne il loro disegno, con lasciar solamente trecento uomini nel castello di quella città. Fece poscia quel tenue presidio sì bella difesa, che solamente nel dì 2 di luglio dopo essere stato rovinato tutto esso castello dalle cannonate e bombe, si rendè a discrezione prigioniere de' vincitori. Avendo preveduto per tempo il duca di Bouflers il disegno degli Austriaci di passare in Bisagno, s'era portato con varii suoi ingegneri alla visita di quel sito; e trovato che il monte detto di Fasce era a proposito per impedire il maggiore avvicinamento dei nemici, avea ordinato che mille e cinquecento lavoratori vi alzassero de' buoni trincieramenti, e che vi si piantasse una batteria di cannoni, destinando alla guardia di posto di tanta importanza il valore di settecento Spagnuoli. Da che furono postati in Bisagno gli Austriaco-Sardi, seguirono varie sanguinose azioni, dal racconto delle quali mi dispenserò, non essendo mio istituto di farne il diario, bastandomi di dire che dall'incessante fuoco de' Genovesi furono obbligati i nemici a rilasciare alcuno degli occupati posti, e a retrocedere, allorchè tentarono di occuparne degli altri. Mandò anche ordine il duca di Bouflers che un buon corpo di Franzesi e Spagnuoli pervenuti dalla Corsica alla Spezia, unito con secento paesani, si tenesse in vicinanza di Sturla, per impedire a' nemici lo stendersi ai danni della riviera di Levante.
Le speranze intanto dell'armata austriaca erano riposte nell'arrivo di grosse artiglierie e mortai, parte de' quali già stava preparata in Sestri di ponente, [666] condotta da Alessandria, e un'altra dovea venire da Savona. Non mancarono i vascelli inglesi di accorrere colà per farne il trasporto; ma allorchè vollero sbarcare que' bronzi a Sturla, accorsero due galere genovesi, che spingendo avanti un pontone, dove erano alquante colubrine, talmente molestarono que' vascelli, che lor convenne ritirarsi in alto, e desistere per allora dallo sbarco. Seguì poi nella notte fra il dì 24 e 25 di giugno una calda azione. Perciocchè, calato con grosso corpo di truppe dal monte delle Fasce il signor Paris Pinelli, per isloggiar da quelle falde gli Austriaci che si erano postati in due siti, gli riuscì bensì di rovesciar que' picchetti; ma, accorso un potente rinforzo di Tedeschi, fu obbligata la sua gente a retrocedere. Essendo restata a lui preclusa la ritirata, dimandò quartiere; ma que' barbari inumanamente gli troncarono il capo. Era egli cavaliere di Malta, e da Malta appunto era venuto apposta per assistere alla difesa della patria. Portata questa nuova al generale Pinelli suo fratello, che stava alla Scofferra, talmente si lasciò trasportare dall'eccesso del dolore e della rabbia, che con una maggior crudeltà volle compensar l'altra, levando di vita due bassi uffiziali tedeschi, dimoranti prigioni presso di lui. Il corpo dell'ucciso giovane richiesto agli Austriaci, e portato a Genova, co' maggiori militari onori fu condotto alla sepoltura. Altro, come dissi, non restava all'armata austriaca, che di ricevere un buon treno d'artiglierie, mortai e bombe, lusingandosi che, con alzar buone batterie, si potrebbero avanzar più oltre, e giugnere almeno a fulminar parte della città con una tempesta di bombe: il che se mai fosse avvenuto, parea non improbabile che i Genovesi avessero potuto accudire a qualche trattato. Ma queste erano lusinghe, trovandosi le loro armi tre o quattro miglia lontane da Genova, e con più siti avanzati che coprivano la città, e guerniti di difensori che non conoscevano paura. [667] Vennero infatti, nonostante l'opposizion de' Genovesi, cannoni e mortai; furono sbarcati; si alzarono batterie: con che allora gli assedianti si tennero in pugno la conquista di Genova. Anzi è da avvertire, che portata da un uffiziale a Vienna la nuova della discesa in Bisagno, ossia che quell'uffiziale spalancasse la bocca, oppure che a dismisura si amplificassero le conseguenze di tale azione, senza saper bene la positura di quegli affari; certo è che nella corte imperiale sì fattamente prevalse la speranza di quel grande acquisto, che di giorno in giorno si aspettava l'arrivo de' corrieri apportatori di sì dolce nuova, e si giunse fino a spedir fuori per qualche miglio i lacchè, acciocchè, sentito il suono delle liete cornette, frettolosamente ne riportassero l'avviso alle cesaree loro maestà. Non tardarono molto a disingannarsi.
Un giuoco, che non si sapeva intendere in questi tempi, era il contegno dei Franzesi, e molto più degli Spagnuoli, fra i quali compariva una concordia che insieme potea dirsi discordia. Erano venuti a Mentone l'infante don Filippo e il duca di Modena. Ognun si credea, e per fermo lo tenevano i Genovesi, che quel corpo di Gallispani, lasciando bloccato il castello di Ventimiglia, proseguirebbe alla volta di Savona, anzi si faceva, ma senza fondamento, già pervenuto ad Oneglia: quando all'improvviso fu veduto retrocedere al Varo. Chi dicea, per unirsi col corpo maggiore dell'armata, comandata dal maresciallo di Bellisle e dal marchese de las Minas; e chi per prendere la via dei monti di Tenda, e passar nella valle di Demont, allorchè il nerbo maggiore degli altri Gallispani fosse penetrato colà. Certo è che da un turbine erano minacciati gli Stati del re di Sardegna; perchè, congiunte che fossero l'armi franzesi e spagnuole, trovavansi superiori di molto quelle forze alle sue. Il perchè sul fine di giugno, o principio di luglio, fu spedito il giovane marchese d'Ormea al generale Sculemburg, per rappresentargli l'urgente [668] bisogno che avea il re di richiamar le sue truppe dall'assedio di Genova, per valersene alla propria difesa. Gran dire fu nell'armata austriaca per questa novità, parendo a quegli uffiziali che fosse tolta loro di bocca la conquista di quella città: cotanto s'erano isperanziti per la venuta delle bombe e de' mortai. Sparlarono però non poco del re di Sardegna, quasi che fra lui e i Franzesi passassero intelligenze, quando chiarissimo era il motivo di rivoler quelle milizie. Trovavasi l'esercito austriaco assai estenuato tanto per le morti della gente perita nelle moltissime passate baruffe, quanto per la disertata, e per l'altra mancata di malattie e di stenti. Perciocchè, nulla trovando essi fra quegli sterili dirupi, tutto conveniva far passare colà dalla Lombardia pel vitto, per le munizioni da guerra e foraggi. E tali trasporti non di rado con varii impedimenti e dilazioni a cagion de' tempi, delle strade difficoltose e del rompersi le carrette, che interrompevano il corso delle susseguenti, di maniera che giorno vi fu in cui si penò ad aver la pagnotta. Gran parte ancora delle tante carrette a quattro cavalli, provvedute dallo Stato di Milano, andò a male.
A tale stato ridotte le cose, e sminuite le forze per la richiesta retrocession de' Piemontesi, conobbe il conte di Sculemburg generale austriaco la necessità di levare il campo; e tanto più, perchè andavano di tanto in tanto giugnendo per mare a Genova nuove truppe di Francia, ed alcune di Spagna. Pertanto colla maggior saviezza possibile nel dì 2 di luglio, giorno della Visitazione della Vergine santissima, cominciò egli a spedire in Lombardia gli equipaggi, attrezzi militari, malati e vivandieri. Rimbarcarono gl'Inglesi le artiglierie; parte dei Piemontesi s'inviò verso Sestri di ponente per passare in barche alla volta di Savona. Siccome questi movimenti non si poteano occultare, così cagion furono di voce sparsa per l'Italia, che gli Austriaci nel dì 4 del [669] suddetto mese di luglio avessero sciolto l'assedio di Genova. La verità si è, che essi solamente nella notte scura precedente al dì 6 marciarono alla sordina verso le alture dei monti, e sospirando si ridussero in Lombardia, prendendo poi riposo a Gavi, Novi ed altri siti, ancorchè più giorni passassero prima che avessero abbandonati tutti i dianzi occupati posti. Non vi fu chi gl'inseguisse o molestasse, perchè bastava ai Genovesi per un'insigne vittoria l'allontanamento di sì fieri nemici, con restar essi padroni del campo. S'aggiunse in oltre un fastidioso accidente, che arenò qualunque risoluzione che si potesse o volesse prendere da loro in quell'emergente. Pochi dì prima era caduto infermo il duca di Bouflers. Fu creduta sul principio dai medici scarlattina la sua febbre, ma venne poi scoprendosi che era vaiuolo, e di sì perniciosa qualità, che nel dì 3 di luglio il fece passare all'altra vita. Non si può esprimere il cordoglio che provarono per colpo sì funesto i Genovesi: tanta era la stima e l'amore ch'essi aveano conceputo per così degno cavaliere, stante la gloriosa forma del suo contegno, e il mirabil suo zelo per la lor difesa e salute. Il piansero come fosse mancato un loro padre, e con sontuose esequie diedero l'ultimo addio al suo corpo, ma non già alla memoria di lui.
Ora, trovandosi il popolo di Genova liberato da quella furiosa tempesta, chi può dire quai risalti d'allegrezza fossero i suoi? Erano ben giusti. Le lettere procedenti di là in addietro portavano sempre che nulla mancava loro di provvisioni da vivere. Vennesi poi scoprendo, che dopo la calata de' nemici in Bisagno erano stranamente cresciute le loro angustie, giacchè per terra nulla più riceveano, e gravi difficoltà s'incontravano a ricavarne per mare, a cagion de' vascelli inglesi sempre in aguato per far loro del male; e la città si trovava colma di gente, essendosi colà rifugiate migliaia di contadini, spogliati tutti d'ogni loro avere. [670] Parimente si seppe essere costata di molto la lor difesa per tante azioni, dove aveano sacrificate le lor vite assaissimi Gallispani e nazionali. Ma in fine tutto fu bene speso. Era risonato, maggiormente risonò per tutta l'Italia, anzi per tutta l'Europa, il nome de' Genovesi, per aver sì gloriosamente e con tanto valore ricuperata e sostenuta la loro libertà. Uscì poscia chi volle de' nobili e del popolo, per visitare i siti già occupati dai nemici. Trovarono dappertutto, cioè in un circondario di moltissime miglia, un lacrimevole teatro di miserie ed un orrido deserto. Le tante migliaia di case, palazzi e giardini per sì gran tratto ne' contorni, già nobile ornamento di quella magnifica città, spiravano ora solamente orrore, perchè alcuni incendiati, e gli altri disfatti; le chiese e i monisteri profanati e spogliati di tutti i sacri vasi e arredi. Per non far inorridire i lettori, mi astengo io dal riferire le varie maniere di barbarie praticate in tal congiuntura dai bestiali Croati contro uomini, donne, fanciulli, preti e frati: il che fu cagione che anche i paesani genovesi talvolta infierissero contra di loro. Seguirono senza dubbio tante crudeltà contro il volere della clementissima imperadrice; ma non è già onore dell'inclinata nazione germanica l'essersi in questa occasione dimenticata cotanto d'essere seguace di Cristo Signor nostro. Niun movimento, siccome dissi, fecero per molti giorni i Franzesi e Genovesi contra de' Tedeschi, a riserva d'un'irruzione fatta da alcune centinaia di que' montanari ne' feudi imperiali del conte Girolamo Fieschi in vale di Scrivia, dove diedero il sacco, e poscia il fuoco a quelle castella e case. Ma saputasi questa enorme ostilità in Genova, condannò quel governo come masnadieri e ladri coloro che senza autorità aveano tanto osato contra feudi dell'imperio: laonde cessò da lì innanzi tale insolenza.
Aveano in questo mentre adunate i Franzesi di molte forze in Delfinato e Provenza, ma senza che s'intendessero [671] i misteri degli Spagnuoli; i quali tuttochè stessero in quelle parti, pure niuna voglia mostravano di concorrere nei disegni degli altri. Erasi il grosso delle milizie del re di Sardegna accampato parte a Pinerolo e parte a Cuneo, e in altri luoghi della valle di Demont, con esser anche accorse colà in aiuto suo non poche truppe austriache: giacchè quest'ultimo si giudicava il sito più pericoloso ed esposto alla calata de' Franzesi, restando per altro incerto a qual parte tendessero i loro tentativi, e il tanto loro andare qua e là rodando per quelle parti. Non lasciò esso re di guernire di gente anche gli altri passi dell'Alpi, per li quali si potessero temere i loro insulti. Uno fra gli altri fu quello di Colle dell'Assietta fra Exiles e le Fenestrelle: posto considerabile, perchè, superato esso, si passava a dirittura verso di Pinerolo e Torino. E questo appunto venne scelto dal cavalier di Bellisle, fratello del maresciallo, e luogotenente generale nell'armata di Francia, per superarlo, giudicando assai facile l'impresa per le notizie avute che alla guardia di que' trincieramenti non istessero se non otto battaglioni piemontesi fra truppe regolate e Valdesi. Dicono ch'egli avesse circa quaranta battaglioni, parte de' quali fu spedita a prendere varii siti all'intorno, affinchè, se il colpo veniva fatto, niuno de' Piemontesi potesse colla fuga salvarsi. Stava all'erta il conte di Bricherasco, tenente generale del re di Sardegna, deputato alla custodia di quell'importante passo, e a tempo gli arrivò un rinforzo di due o pur tre battaglioni austriaci, comandati dal generale conte Colloredo. Alle ore quindici dunque del dì 19 di luglio vennero i Franzesi, divisi in tre colonne, all'assalto della Assietta con alquanti piccioli cannoni (niuno ne aveano i Piemontesi) e cominciarono parte a salire, parte ad arrampicarsi per quell'erta montagna. Vollero alcuni sostenere, che nella precedente notte fosse ivi nevicato, onde stentassero i Franzesi a tenersi ritti, e maneggiarsi [672] nella salita; ma non fu creduto, perchè poco prudente sarebbe sembrata in circostanza tale la risoluzione del Bellisle. E pure questa fu verità. Per tre volte i Franzesi divisi in tre colonne, non ostante il loro grande disavantaggio, andarono bravamente all'assalto, e sempre furono con grave loro perdita o uccisi, o feriti, o rotolati al basso. Fremeva, nè sapeva darsi pace di tanta resistenza e di sì infelice successo, il cavalier di Bellisle; e però impaziente, a fine di animar la sua gente ad un nuovo assalto, si mise egli alla testa di tutti, e salito sino alle barricate nemiche, quivi arditamente piantò una bandiera, credendo che niuno de' suoi farebbe meno di lui. Quando eccoti un colpo di fucile, per cui restò ferito, e poscia un colpo di baionetta che lo stese morto a terra. Il valore e coraggio bella lode è ancora de' generali di armata, ma non mai la temerità; perchè la conservazion della lor vita è interesse di tutto l'esercito. Probabilmente non fu molto lodata l'azione d'esso cavaliere uno dei più rinomati e stimati guerrieri che si avesse la Francia, la cui perdita fu generalmente compianta da' suoi. Dopo altri tentativi ebbe fine sul far della notte il conflitto; ed usciti pochi granatieri piemontesi ed austriaci inseguirono colle sciable alla mano fin quasi a Sestrieres i fuggitivi Franzesi. Per sì nobil difesa gran lode conseguirono i due generali conte di Bricherasco e conte Colloredo, e il cavaliere Alciati maggior generale, e il conte Martinenghi brigadiere del re di Sardegna. In fatti fu la vittoria compiuta. Circa secento feriti rimasti sul campo furono fatti prigioni, e fu creduto che la perdita dei Franzesi tra morti, feriti e prigionieri ascendesse a cinque mila persone, fra le quali trecento uffiziali. A poco più di ducento uomini si ristrinse quella de' Piemontesi ed Austriaci; e però con ragione si solennizzò quel trionfo con varii Te Deum per gli Stati del re di Sardegna e in Milano. Fu anche immediatamente celebrato in un elegante poemetto italiano [673] dal signor Giuseppe Bartoli, pubblico lettore di lingua greca nell'università di Torino.
Quello poi che più fece maravigliar la gente, fu, che quantunque tale percossa bastante non fosse ad infievolire le forze de' Gallispani, pure niun tentativo o movimento fecero da lì innanzi contro le terre del Piemonte, anzi piuttosto furono invase da' Piemontesi alcune contrade della Francia, benchè con poco successo. L'accampamento maggiore del re suddetto, siccome dissi, fu a Cuneo e nella valle di Demont, dove egli medesimo si portò in persona, perchè quivi parea sempre da temersi qualche irruzion de' nemici. Attesero in questi tempi i Genovesi a fortificar varii posti fuor della città, e spezialmente quello della Madonna del Monte, avendo la sperienza fatto loro conoscere quai fossero i pericolosi, e quali gli utili e i necessarii per la loro difesa. Entrata una specie di epidemia fra i tanti contadini, già rifugiati in essa città a ragion de' terrori, fatiche e stenti passati, ne condusse non pochi al sepolcro, e gli stessi cittadini non andarono esenti da molte infermità. Ebbero essi Genovesi in questi medesimi giorni molte vessazioni alla Bastia in Corsica; ma io mi dispenso dal riferire que' piccioli avvenimenti. Nel dì 5 poi di settembre una grossa partita di Gallispani, varcato l'Apennino, scese in valle di Taro del Parmigiano; vi fece alquanti Austriaci prigionieri; intimò le contribuzioni a quel borgo ed altre ville, con asportarne gli ostaggi, e circa mille e cinquecento capi di bestie tra grosse e minute. Per timore che non calassero anche a Bardi e Compiano, essendo accorsi due reggimenti tedeschi, cessò tosto quel turbine. Intanto il re di Sardegna, lungi dal temere che i Gallispani s'inoltrassero per la riviera di Ponente, fece di nuovo occupare dalle sue truppe la città di Ventimiglia, ed imprendere dal barone di Leutron il blocco di quel castello, alla cui difesa era stato posto un gagliardo presidio. Per molto [674] tempo soprintendente al governo di Milano e degli altri Stati austriaci di Lombardia era stato il conte Gian-Luca Pallavicini come plenipotenziario e generale d'artiglieria dell'augustissima imperadrice, cavaliere disinteressato e magnifico in tutte le sue azioni. Fu egli chiamato a Vienna per istanze e calunnie degl'Inglesi, ma, ciò non ostante, promosso al riguardevol posto di governatore perpetuo del castello di Milano. In luogo suo nel dì 19 di settembre pervenne ad essa città di Milano il conte Ferdinando di Harrach, dichiarato governatore e capitan generale della Lombardia Austriaca. Portò qui seco la rinomanza di una sperimentata saviezza, massimamente negli affari politici, e un complesso di altre belle doti, che fecero sperare a que' popoli un ottimo governo, e tollerabile la perdita che avea fatta dell'altro.
Sperava pure la città di Genova dopo tante passate sciagure di godere l'interna calma; e pure un'altra inaspettata si rovesciò sopra d'essa, da che fu passata la metà di settembre. Uno strabocchevole temporale di terra e di mare, con diluvio di pioggia e vento, con fulmini e gragnuola grossissima, talmente tempestò quella città, che ruppe un'immensa copia di vetri delle case, rovesciò non pochi camini e tetti, talmente che parve quivi il dì del finale giudizio. Dominò in oltre un furioso libeccio sul mare, che allagò parte della città, e danneggiò gran copia di quelle case, oltre della rovina degli orti e delle vigne per più miglia. Arrivò verso il fine del mese suddetto a conoscere quell'afflitto popolo il duca di Richelieu, personaggio di rara attività e di mente vivace, inviato dal re Cristianissimo a comandar l'armi gallispane nel Genovesato. Ascendevano queste, per quanto fu creduto, a quindici mila persone. Un corpo di questa gente venne ad impossessarsi della picciola città di Bobbio, e per la Trebbia arrivò fin presso a Piacenza. Se quel fiume non fosse stato gonfio, avrebbe fatto paura alla tenue guernigione di [675] quella città. Rastrellarono molti bestiami, imposero contribuzioni, presero qualche nobile piacentino per ostaggio. Ma sollevatisi i villani in numero di due e più mila, strinsero circa cento trenta di quei masnadieri, che ristretti in Nibbiano non si vollero arrendere prigioni, se non ad un corpo di truppe regolate tedesche, le quali gli obbligarono a restituire tutto il maltolto. Qualche irruzione ancora seguì nel basso Monferrato, dove essi Gallo-Liguri colsero varii soldati Austriaco-sardi, fecero bottino di bestiami, e preda di drappi e panni, che andavano in Piemonte, oltre all'aver esatte alquante contribuzioni. Fioccarono anche i flagelli sulla bassa Lombardia, perchè la cessata nel precedente verno epidemia de' buoi ripullulò, e crebbe aspramente nel Veronese, Vicentino, Bresciano, in qualche sito del Padovano e del Mantovano di là da Po; e passata nel Ferrarese, quivi diede principio ad un'orrida strage. In oltre il Po soverchiamente ingrossato di acque inondò Adria ed Adriano. Anche l'Adige e la Brenta allagarono parte del Polesine di Rovigo e del Padovano. A tanti guai s'aggiunse di più la scarsezza del raccolto de' grani in molte provincie.
Godè Roma all'incontro non solo un'invidiabil tranquillità, ma occasioni eziandio di allegrezze, stante la promozione fatta nel dì 10 d'aprile dal sommo pontefice Benedetto XIV de' cardinali nominati dalle corone, e in appresso nel dì 5 di luglio ancora del duca di Jorch secondogenito del cattolico re d'Inghilterra Giacomo III. Fu in essa metropoli fabbricata per ordine del re di Portogallo una cappella di tanta ricchezza e di sì raro lavoro, che riuscì di ammirazione ad ognuno. Costò circa cinquecento mila scudi romani, ed imbarcata in questo anno venne trasportata a Lisbona. Maggiori furono i motivi di giubilo nella real corte di Napoli; perciocchè quella regina alle tre della notte precedente il dì 14 di giugno nella villa di Portici diede alla luce un principino, a cui fu posto nel [676] battesimo il nome di Filippo Antonio Gennaro, ec. Questo regalo fatto da Dio a que' regnanti tanto più si riconobbe prezioso, perchè il re di Spagna Ferdinando non avea finora veduti frutti del suo matrimonio; e questo germe novello riguardava non meno il re delle Due Sicilie che la monarchia di tutta la Spagna. Quali fossero i risalti di gioia in quella real corte, e nella nobiltà e popolo d'una metropoli tanto copiosa di gente, non si potrebbe dire abbastanza. Grandi feste ed allegrezze per più giorni solennizzarono dipoi questo fortunato avvenimento. Fece il re un dono alla regina di cento mila ducati, e un accrescimento di altri dodici mila annui all'antecedente suo appannaggio. Dalla città e regno fatto fu preparamento a fin di donare a sua maestà un milione per le fasce del nato principino, che fu intitolato duca di Calabria. Partecipò di tali contentezze anche la real corte di Madrid, il cui monarca dichiarò infante di Spagna questo suo real nipote, e fu detto che gli assegnasse anche una pensione annua di quattrocento mila piastre.
A due sole considerabili imprese si ridusse la guerra fatta nel presente anno nei Paesi Bassi fra il re Cristianissimo e gli alleati. V'intervenne in persona lo stesso re, il cui potentissimo esercito era di gran lunga superiore a quello dei nemici. Nel dì 2 di luglio si trovarono a vista le due armate fra Mastricht e Tongres. Attaccarono i Franzesi la zuffa coll'ala sinistra de' collegati, composta d'Inglesi, Hannoveriani, ed Assiani, i quali fecero una mirabil resistenza nel villaggio di Laffeld, con farne costare ben caro l'acquisto ad essi Franzesi. Il valoroso conte di Sassonia maresciallo generale di Francia, veggendo più volte rispinti i suoi, entrò egli stesso con altro nerbo di gente nella mischia, e finalmente gli riuscì di far battere la ritirata ai nemici e d'inseguirli. Intervenne a sì calda azione il duca di Cumberland, secondogenito del re britannico e generale delle sue armi, [677] e con tale ardore, che corse gran pericolo di sua vita. Per difenderlo si espose ad ogni maggior cimento il generale Ligonier, comandante dell'armata sotto di lui, con restar per questo prigioniere dei Franzesi. Poco ebbero parte in questo conflitto il centro e l'ala dritta d'essi collegati, composta d'Austriaci ed Olandesi, i quali ultimi nondimeno vi perderono molta gente. Peraltro ragione ebbero i Franzesi di cantare la vittoria tuttochè comperata con molto loro sangue, perchè rimasero padroni del campo; fecero mille secento prigioni; acquistarono trentatre cannoni, quattordici tra bandiere e stendardi; e colti sul campo circa due mila feriti degli alleati, li condussero negli spedali franzesi. Fu detto che intorno a tre mila de' collegati e più di tre mila dei Franzesi vi restassero estinti. Ritirossi l'armata d'essi alleati di là dalla Mosa, e finchè il re si fermò in quelle parti, non osò di ripassar quel fiume.
L'altra anche più sonora impresa fu quella dell'assedio d'una piazza fortissima impreso dai Franzesi; giacchè nella positura delle cose osso troppo duro forse comparve Mastricht da essi minacciato. Città del Brabante olandese è Bergh-op-Zoom, considerata per una delle fortezze inespugnabili, parte per la situazione sua sopra un'altura in vicinanza del mare, con cui comunica mediante un canale, e a cagion di alcune paludi che ne rendono difficile l'accesso; e parte per le tante sue fortificazioni, oltre ad alcuni forti e ridotti sino al mare, da dove può ricevere soccorsi. Il celebre duca di Parma Alessandro Farnese nel 1588, il marchese Spinola nel 1622 indarno l'assediarono. Fu poi da lì innanzi maggiormente fortificata. Niuno di questi riguardi potè trattenere la bravura franzese dall'imprenderne l'assedio, e dall'aprir la trincea nella notte del dì 15 venendo il di 16 di luglio. Al conte di Lowendhal tenente generale del re, uffiziale di distinto valore e perizia nell'arte militare, fu appoggiata questa impresa. Dopo l'assedio [678] memorabile della fortissima città di Friburgo, altro non si vide più difficile e strepitoso di questo. Perciocchè nelle linee contigue ad esso Bergh-op-Zoom, e fra le paludi e la costa del mare, si postò il principe di Hildburghausen con circa venti mila soldati, da dove non potè mai essere rimosso; di modo che durante l'assedio potè sempre quella fortezza essere di mano in mano soccorsa con truppe fresche, e provveduta di quante munizioni da bocca e da guerra andavano occorrendo. Come superare una piazza a cui nulla mancava, e il cui presidio potea fare sortite frequenti, con sicurezza di essere d'ogni sua perdita rifatto? Ma niuna di queste difficoltà ritener potè l'ardire de' Franzesi. Sì dall'una che dall'altra parte si cominciò a giocare di cannonate, di bombe, di mine; e i lavori d'una settimana vennero talvolta rovesciati in un'ora. Tanto le offese costarono gran sangue, ma incomparabilmente più dal canto degli assedianti.
Progredì così lungamente questo assedio, che i Franzesi sfornirono di polve da fuoco e di altre munizioni tutte le loro piazze circonvicine; e intanto stavano dappertutto sulle spine i parziali e i novellisti per l'incertezza dell'esito di sì pertinace assedio. Di grandi apparenze vi furono che sarebbero in fine costretti i Franzesi a ritirarsi; ma differentemente si dichiarò la fortuna, perchè ancor questa appunto intervenne a decidere quella quistione. Erano già fatte breccie in due bastioni e in una mezzaluna, e queste imperfette, o certamente non credute praticabili: quando il generale conte di Lowendhal determinò di venire all'assalto. Ammannite dunque tutte le occorrenti truppe all'esecuzione di sì pericoloso cimento, sul far del dì 16 di settembre, dato il segno con lo sparo di tutti i mortai a bombe, andarono coraggiosamente all'assalto: impresa che non si suole effettuare senza grave spargimento di sangue. Ma quello non fu un assalto, fu una sorpresa. Detto fu che i [679] Franzesi per buona ventura o per tradimento s'introducessero segretamente nella città per una galleria esistente sotto un bastione, e mal custodita da quei di dentro. La verità si è, che altro non avendo trovato alla difesa delle breccie che le guardie ordinarie, con poca perdita e fatica salirono, ed impadronitisi de' bastioni e di due porte della città, quindi passarono alla volta della guernigione, la quale raccolta tanto nella piazza, quanto in varie contrade, fece una vigorosa resistenza, finchè, veggendosi sopraffatta dagli aggressori, che si andavano vieppiù ingrossando, e venendo qualche casa incendiata parte d'essa ebbe maniera di ritirarsi, sempre combattendo, fuori della porta di Steenbergue. Corse fama che il conte di Lowendhal avesse dati buoni ordini, e prese le misure, affinchè la misera città rimanesse esente dal sacco. Checchessia, i volontarii lo cominciarono, e gli tennero loro dietro, senza risparmiare alcuno di quegli eccessi che in sì fatti furori sogliono i militari, non più cristiani, non più uomini, commettere. Si salvarono in questa confusione i principi d'Assia e d'Anhalt, e il generale Constrom; ma non poca parte di quel presidio rimase o tagliata a pezzi dagl'infuriati assalitori, o fatta prigioniera.
Nè qui terminarono le conseguenze di giorno cotanto favorevole a' Franzesi. Il campo del principe d'Hildburgausen, afforzato nelle linee presso di Bergh-op-Zoom, all'intendere presa la città, e alla comparsa de' fuggitivi, altro consiglio non seppe prendere, se non quello di dar tosto alle gambe, lasciando indietro equipaggi, tende, artiglierie e fasci di fucili. Tutto andò a ruba, nè vi fu soldato franzese che non arricchisse. Videsi nondimeno lettera stampata che negava questo abbandono di bagagli e fucili, a riserva di un reggimento, il quale amò meglio di mettere in salvo i suoi malati che i suoi equipaggi. Oltre a ciò, non perdè tempo il conte di Lowendhal a [680] spedire armati, per intimare la resa ai forti di Rover, Mormont e Pinsen, che non si fecero molto pregare ad aprir le porte, con restar prigionieri que' presidii. Trovandosi ancora in quel porto diecisette bastimenti con assai munizioni da guerra e da bocca, che per la marea contraria non poterono salvarsi, furono obbligati dalle minaccie de' cannoni ad arrendersi. Se si ha da credere a' Franzesi, quasi cinque mila soldati tra uccisi e prigionieri costò quella giornata agli alleati; due sole o tre centinaia ad essi. Oltre ai semplici soldati, gran copia di uffiziali rimasero ivi prigioni. Prodigiosa fu la preda ivi trovata, e spettante al re, cioè più di ducento cinquanta cannoni, la metà de' quali di grosso calibro, quasi cento mortai, qualche migliaio di fucili, ed altri militari attrezzi, e magazzini a dismisura abbondanti di polve da fuoco, di granate, di abiti, di scarpe, panni, ec. Un pezzo poi si andò disputando per sapere qual destino avesse facilitata cotanto la caduta di sì forte piazza, in cui nulla si desiderava per resistere più lungamente, e fors'anche per render vano in fine ogni tentativo degli assedianti. In fine fu conchiuso, essere ciò proceduto dalla poco cautela del Constrom, il quale non si figurò che le imperfette breccie abbisognassero di maggior copia di guardie. Contra di lui fu poi fulminata sentenza di morte; ma salvollo il riguardo alla sua rispettabil vecchiaia. La risposta del re Cristianissimo alla lettera del conte di Lowendhal, recante sì cara nuova, fu di dichiararlo maresciallo, con vedersi poi in Francia un raro avvenimento, cioè due stranieri, primarii e gloriosi condottieri delle armate di quella potentissima corona. Passarono, ciò fatto, le truppe comandate da esso conte a mettere l'assedio al forte di Lillò, e ad alcuni altri pochi di minor considerazione, per liberare affatto il corso della Schelda: nè tardarono a costringere alla resa il Forte-Federigo, e quindi esso Lillò nel dì 12 d'ottobre, coll'acquisto di quasi [681] cento pezzi d'artiglieria, e con farvi prigioniera la guarnigione di ottocento soldati. Gran gioia dovette essere quella di Anversa al veder come liberato da quei nemici forti il corso del loro fiume.
In Italia ebbero fine le militari imprese con quella di Ventimiglia. Già si era impadronito d'essa città il generale piemontese barone di Leutron, e da varie settimane teneva strettamente bloccato quel forte castello. Segreti avvisi pervennero ai generali gallispani, esistenti in Nizza, che già si trovava in agonia quella fortezza, e se in pochi dì non giugneva soccorso, il comandante, per mancanza di munizioni e viveri, dovea rendere la piazza e sè stesso al re di Sardegna. Però la maggior parte dell'armata gallispana si mise in marcia a quella volta col maresciallo duca di Bellisle, e col generale spagnuolo marchese della Mina. Vollero del pari intervenire a questa scena l'infante don Filippo e il duca di Modena. Erasi a dismisura afforzato con trince e barricate il barone di Leutron al per altro difficilissimo passo de' Balzi Rossi di là da Ventimiglia. Non osarono i Franzesi di assalir per fronte un sito sì ben difeso dalla natura e dall'arte, e in sole picciole scaramuccie impiegarono due giornate. Ma nella terza, cioè nel dì 20 di ottobre, ben informato il sopraddetto barone della superiorità delle forze nemiche, e che essi Gallispani si erano stesi per l'alto della montagna con intenzione di venirgli alle spalle, benchè forte di venticinque battaglioni, prese la risoluzione di ritirarsi: il che fu con buon ordine da lui eseguito. Uscì anche il presidio franzese del castello, per secondare lo sforzo di chi veniva in soccorso; e però la città, dove si trovavano o s'erano rifugiati alquanti Piemontesi, tardò poco ad aprir le porte. Finì questa faccenda colla liberazion di que' luoghi, e colla prigionia di forse cinquecento Piemontesi. Ritirossi il Leutron a Dolce-Acqua e alla Bordighera; e rotti i ponti sul fiume, quivi si trincierò. L'armata gallispana, [682] dopo aver ben provveduto quel castello di nuova gente, vettovaglie e munizioni da guerra, e lasciato grosso presidio nella stessa città di Ventimiglia, se ne tornò a cercar quartiere di verno e riposo, parte in Provenza e Linguadoca, e parte in Savoia, con passare a Sciambery anche il suddetto infante col duca di Modena. Circa questi tempi il duca di Richelieu ricuperò il posto della Bocchetta di Genova, e attese a fortificare i luoghi più importanti della riviera di Levante, che parevano minacciati da qualche irruzion de' Tedeschi. Ad altro nondimeno allora non pensavano gli Austriaci, se non a ristorarsi ne' quartieri presi in Lombardia, dopo tante fatiche e disagi patiti per quasi due anni senza mai prendere riposo. E perciocchè nel dì 15 di settembre due coralline genovesi furono predate dagl'Inglesi sotto il cannone di Viareggio, senza che quel forte le difendesse, rimase esposta la repubblica di Lucca a gravi minaccie e pretensioni del suddetto duca di Richelieu. Non arrivò il pubblico ad intendere come tal pendenza si acconciasse. Negli ultimi mesi ancora dell'anno presente si videro di nuovo lusingati i popoli con isperanze di pace, giacchè si stabilì fra i potentati guerreggianti un congresso da tenersi in Aquisgrana, non parendo più sicura Bredà, e furono dal re Cristianissimo chiesti i passaporti per li suoi ministri, e per quei di Genova e del duca di Modena. Si teneva per fermo che fossero spianati alcuni punti scabrosi nei gabinetti di Francia e d'Inghilterra, al vedere già preso per mediator della pace il re di Portogallo, che destinò a quel congresso don Luigi d'Acugna suo ministro. Ma si giunse al fine dell'anno con restar tuttavia ambidue le voglie di pace nelle potenze guerreggianti, ed incerto, se il congresso suddetto fosse o non fosse un'illusione de' poveri popoli. Nè si dee tacere una strana metamorfosi avvenuta nelle Provincie Unite, dove pei potenti soffii della corte britannica, [683] e per le parzialità dei popolari, non solamente fu dichiarato statolder il principe d'Oranges e di Nassau Guglielmo, genero del re d'Inghilterra, ma statolder perpetuo; nè solamente egli, ma anche la sua discendenza tanto maschile che femminile. Parve ad alcuni di osservare in tanta novità il principio di grandi mutazioni per l'avvenire nel governo di quella repubblica, considerando essi che anche a Giulio Cesare bastò il titolo di dittatore perpetuo; e che avendo in sua mano tulle le armi della romana repubblica, senza titolo di re, potea fare e faceva da re. Ma i soli profeti, che sono ispirati da Dio, han giurisdizione sulle tenebre de' tempi avvenire.
Anno di | Cristo MDCCXLVIII. Indiz. XI. |
Benedetto XIV papa 9. | |
Francesco I imperadore 4. |
Diede principio all'anno presente una bella apparenza di pace, ma contrappesata da un'altra di continuazione di guerra. Dalla parte della Francia non altro s'udiva che magnifici desiderii di rendere il riposo all'Europa, nè altra voglia facevano comparire le contrarie potenze: sembrando tutti d'accordo in voler la pace, ma discordi, perchè voglioso ciascuno di quella sola che fosse vantaggiosa ai suoi privati interessi, e portasse un equilibrio, bel nome inventato dai politici di questi ultimi tempi, quale ognun se l'ideava più conforme o necessario al proprio sistema. Aprissi dunque il nuovo congresso di ministri in Aquisgrana, come città neutrale del regno germanico. I popoli, benchè tante volte beffati da queste fantasie di sospirata pace, pure non lasciavano di lusingarsi, che avesse finalmente, dopo sì lungo fracasso di tuoni e fulmini, a succedere il sereno. Ma intanto un brutto vedere faceva l'affaccendarsi a gara i potentati in preparamenti maggiori di guerra; e quantunque si sapesse che appunto sforzi tali sogliono rendere più pieghevoli i renitenti alla [684] concordia; pure motivo non mancava di temere che quest'anno ancora avesse da riuscire fecondo di rovine e di stragi. Sopra tutto gli Olandesi, che fin qui incantati dal gran guadagno della loro neutralità e libera navigazione, e dalle dolci parole della Francia, aveano dato tempo al re Cristianissimo di stendere le sue conquiste nello stesso Brabante di loro ragione, e vedevano in aria minaccie di peggio: si diedero, ma troppo tardi, a mendicar truppe dalla Germania, dagli Svizzeri e dai paesi del Nort. Trovarono intoppi dappertutto, probabilmente per li segreti maneggi, o per l'efficacia della pecunia franzese; e però non si sapevano determinare a dichiarar guerra aperta alla Francia; e se facevano nell'un dì un passo innanzi, nell'altro ne facevano due indietro. Aveano essi unitamente col re britannico fatto ricorso ad Elisabetta imperadrice della Russia, per trarre di colà un possente esercito d'armati, cioè un esorcismo valevole a mettere freno all'esorbitante potenza franzese, che essi chiamavano troppo avida, e principale origine o promotrice di tutte le guerre che da gran tempo sono insorte fra i principi cristiani. Non pareva già credibile che la corte russiana fosse per condiscendere alla richiesta di trenta o trentacinque mila de' suoi soldati, pel mantenimento annuo de' quali si esibivano dalle potenze marittime cento mila lire sterline, stante l'immenso viaggio che occorreva per condurre tali truppe alle rive del Reno, o in Olanda. Ma più che il danaro dovette prevalere in cuore di quella grande imperadrice il riflesso di contribuire alla difesa di quella de' Romani: giacchè troppo utile o necessaria si è l'amistà ed unione di queste due monarchie per l'interesse loro comune, e comune anche della cristianità, a fine di far fronte ne' bisogni alla potenza turchesca. Si venne dunque a scoprire sul principio di quest'anno, essere quel negozio conchiuso, e che la Germania avrebbe il gusto o disgusto di conoscere di vista che [685] razza di milizia fosse quella che avea dato di sì brutte lezioni alla Svezia, e tanto terrore ai Turchi: quantunque non pochi speculativi si figurassero dovere riuscir quel trattato un semplice spauracchio a' Franzesi, non già un vero soccorso ai collegati avversarii.
Minore non era in questi tempi l'apparato di guerra per l'Italia, bollendo più che mai lo sdegno dell'imperadrice regina contra dei Genovesi, quasichè il valor d'essi avesse non poco scemata la riputazion delle armi austriache. A rinforzare il suo esercito in Lombardia andavano calando in essa, oltre alle numerose reclute di gente e di cavalli, anche de' nuovi corpi di truppe. E perciocchè, secondo il parere dei savii suoi generali, il tornare all'assedio di Genova sarebbe stato un andare a caccia di un nuovo, anzi maggior pentimento, per le tante difese accresciute a quella città; rivolte pareano tutte le mire degli Austriaci a portar la guerra e la desolazione nella riviera di Levante, e massimamente contro Sarzana e le terre del golfo della Spezia. Ma non istette in ozio l'attività del duca di Richelieu. Per quanto era possibile, accrebbe egli le fortificazioni a qualunque luogo capace di difesa in essa riviera, non risparmiando passi ed occhiate per provvedere a tutto. E perciocchè temeva che gli Austriaci, valicando l'Apennino, e avendo la mira sopra Sarzana, potessero impadronirsi di Lavenza, picciola fortezza del ducato di Massa, tuttochè si trattasse di luogo imperiale, e però neutrale; meglio stimò di mettervi presidio franzese, e di levare ai nemici l'uso dell'artiglieria, che ivi si trovava. Col tempo misero quelle milizie il piede anche in Massa contro il volere della duchessa reggente, e con grande danno di quegli abitanti, i quali perderono da lì innanzi il commercio per mare, perchè considerati quai nemici delle navi inglesi. Fra questo mentre andavano di tanto in tanto giugnendo a Genova, senza chiedere licenza a quelle navi, alcuni ora grossi, [686] ora tenui rinforzi di gente franzese, spediti da Nizza, Villafranca e Monaco; ma non s'udiva già che nella Provenza e Delfinato si facesse gran massa di soldatesche, nè armamento tale, che fosse capace di divertire le forze de' Tedeschi, caso che tentassero daddovero una irruzione nel Genovesato. I principali pensieri dalla corte di Francia erano rivolti più che mai in questi tempi ai Paesi Bassi, dove infatti era il gran teatro della guerra: il che teneva in un continuo batticuore il governo e popolo di Genova. Anche gli aiuti di Spagna consistevano in sole voci di gran preparamento, e però in sole speranze e promesse. E intanto il reale infante don Filippo e il duca di Modena, deposti per ora i pensieri marziali, se ne andarono a passare il verno in sollazzi nella città di Sciambery. Ma poco vi si fermò il duca, perchè nel furore del verno, e ad onta dei ghiacci e delle nevi, si portò per gli Svizzeri e Grigioni a Venezia a visitare la sua ducal famiglia; e di là poi nel marzo si restituì in Savoia.
Scorsero i primi mesi del presente anno senza riguardevoli novità; giacchè non meritano d'aver luogo in questi brevi Annali alcuni vicendevoli tentativi fatti da' Gallispani per sorprendere Savona ed altri luoghi o della riviera di Ponente o delle montagne piemontesi, ed altri fatti dagli Austriaco-Sardi per tornare ad impadronirsi di Voltri. Così ne' Paesi Bassi niun'altra considerabile azione seguì, fuorchè in vicinanza di Berg-op-Zoom, dove conducendo i Franzesi con buona scorta un gran convoglio di munizioni da bocca e da guerra, dopo la metà di marzo furono assaliti da un più possente corpo di collegati, e messi finalmente in rotta con perdita di molta gente e roba. Venuta la primavera, il general comandante austriaco conte di Broun sempre più dava a credere di voler portare la guerra verso Sarzana e la Spezia: al qual fine de' grossi magazzini di biade e fieni si fecero a Fornovo, Berceto [687] e Borgo Val di Taro. S'inoltrò anche a Varese, terra del Genovesato, un gran corpo di sua gente. Ma per condurre un'armata di là dall'Appennino col necessario corteggio di artiglieria, foraggi e viveri, occorrevano migliaia di muli; e di questi restava anche a farsi in gran parte la provvisione: disgrazia, che non fu la prima ed unica, per cui sono ite talvolta in fumo le ben pensate idee ed imprese de' generali austriaci. A queste difficoltà, che impedivano l'avanzamento dell'armi tedesche, probabilmente s'aggiunse qualche motivo e riflesso segretamente comunicato dalla corte cesarea al suddetto conte di Broun, per cui quantunque egli facesse dipoi varie mostre di portare la guerra nel cuore del Genovesato, pure non corrisposero mai i fatti alle minaccie; ed egli arrivò poi a distribuire buona parte dell'esercito suo nel Parmigiano, Modenese e Reggiano. Dall'altro canto nè pure mai si videro comparire in Provenza i generali delle due corone alleate, cioè il maresciallo di Bellisle e il marchese de la Mina, nè s'udì moto alcuno delle lor armi in quelle parti. Anche il duca di Modena passò nell'aprile a Parigi, di modo che in questo aspetto di cose sembrava a non pochi di mirare un crepuscolo di vicina pace. Ma a tali speranze si contrapponeva il movimento delle truppe russiane, non sembrando verisimile che si avesse da esporre alle fatiche d'un sì sterminato viaggio quel grosso corpo di gente, qualora si fosse alla vigilia di qualche concordia. Non s'era fin qui potuto persuadere a molti di coloro, i quali mettono il loro più gustoso divertimento nel trafficar novelle di guerre, ed interpretazioni dei segreti de' gabinetti, che si avessero a muovere daddovero i reggimenti accordati dalla imperadrice russiana alle potenze marittime; e al più si credeva che non dovessero se non minacciare la Francia, con istarsene ferme ai loro confini. Si videro poi entrare nella Polonia, e sempre più inoltrarsi alla volta del mezzodì, [688] ad onta delle nevi e de' ghiacci. Fortuna fu per la Francia che il ministro di Olanda spedito alla corte russiana colle necessarie facoltà per maneggiar quel contratto, non s'attentò a segnarlo senza l'ordine del novello statolder principe Guglielmo di Nassau. L'andata d'un corriere e il suo ritorno ritardarono per più di un mese la mossa de' preparati russiani.
Seppero i Franzesi mettere a profitto il ritardo di quella gente; e conoscendo la lor grande superiorità sopra le forze de' collegati, parte delle quali era tuttavia troppo lontana, o non peranche ben reclutata, si affrettarono a far qualche strepitosa impresa. I lor varii preparamenti, marcie e contramarcie aveano fin qui imbrogliata la previdenza degli alleati, con obbligarli a tener divise ed impiegate in varii vigorosi presidii le lor armi, per non sapere sopra qual parte avessero a volgersi gli sforzi nemici, mentre nello stesso tempo erano minacciati Lucemburgo, Mastricht, Bredà e la Zelanda. Finalmente si tirò il sipario nella notte precedente al dì 16 d'aprile, e si vide investita la fortissima città di Mastricht, città intersecata dalla Mosa con ponte di comunicazione fra le due rive. Il maresciallo di Sassonia col nerbo maggiore delle milizie aprì da due lati la trincea sotto la piazza; e il maresciallo di Lowendhal anch'egli dalla parte destra del fiume di Wyck diede principio alle offese, comunicando insieme le due armate franzesi mercè d'uno o più ponti. Eransi ritirate l'armi de' collegati da que' contorni, così consigliate dall'inferiorità delle forze; e però non andò molto che cominciarono a tuonare le copiose batterie di cannoni e mortari contro l'assediata città. Non mancarono al loro dovere i difensori; ma aveano a far con gente che da gran tempo aveva imparato a farsi ubbidire dalle più orgogliose fortezze. Durante lo strepito di queste azioni guerriere, nel pacifico teatro della città di Aquisgrana adunati i ministri delle potenze belligeranti, più che mai trattavano [689] di dar fine a tante ire e discordie. Avea non poco ripugnato la corte di Vienna ad ammettere a quel congresso i ministri del duca di Modena e della repubblica di Genova: prevalse poi la giustizia, che assisteva questi due sovrani. Per lo contrario, non ebbe già effetto la proposta mediazione del re di Portogallo, e bisogno nè pur ve ne fu. Ordinariamente le paci fra' monarchi dipendono da certe segrete ruote di qualche poco conosciuto emissario, e non dall'unione e maestoso consesso de' gran ministri de' contrarii partiti, che, in apparenza amici, pure più fra loro combattono per la diversità delle pretensioni, che le opposte armate in campagna. Anzi frequentemente accade che anche più difficilmente si accordino fra loro gli stessi collegati, pensando troppo ognuno al privato proprio interesse, di modo che per lo più non si giugne ad una pace generale, se non ne precede una particolare, trovandosi sempre qualche soda o plausibil ragione per mancare ad uno de' patti primarii delle leghe, cioè di non far pace senza il totale consenso degli alleati.
Così appunto ora avvenne. Eccoti che si viene all'improvviso a scoprire che nel dì 30 d'aprile i ministri di Francia, Inghilterra ed Olanda aveano segnati i preliminari della pace, e ciò senza saputa, non che senza consenso di que' dell'imperadrice regina e del re di Sardegna. Tali erano sì fatti preliminari, che formavano una pace vera fra le tre suddette potenze, lasciando luogo all'altre di aderirvi il più presto possibile. Portavano i principali punti di questa concordia: Che si restituirebbero tutte le conquiste fatte dopo il principio della presente guerra dalle prefate potenze, e, per conseguente, quanto avea la Francia tolto ne' Paesi Bassi all'augusta regina e agli Olandesi; e si renderebbe capo Breton alla Francia nell'America settentrionale. Che dalla parte del mare si demolirebbero le fortificazioni di Dunquerque. Che all'infante don Filippo si cederebbero i ducati di Parma, Piacenza e Guastalla, [690] colla reversione a chi ora li possedeva, caso ch'esso mancasse senza figli, o ottenesse la corona delle Due Sicilie. Che il duca di Modena sarebbe rimesso in possesso di tutti i suoi Stati, e che gli si darebbe un compenso di ciò che non potesse essergli restituito. Che la repubblica di Genova sarebbe ristabilita nel possesso di quanto ella godeva nel 1740. Che il re di Sardegna rimarrebbe in possesso di tutto quel che possedeva prima d'esso anno 1740, o avea acquistato per cessione l'anno 1743, a riserva di Piacenza. Che il ducato di Slesia colla contea di Glatz sarebbe garantito al re di Prussia da tutte le potenze contraenti. Che la Spagna confermerebbe agl'Inglesi il trattato dell'Assiento per alquanti anni, oltre ad alcune segrete promesse di altri vantaggi e privilegii di commercio per gl'Inglesi nell'America spagnuola. A me non occorre dirne di più; se non che in vigore di questa concordia uscì di Mastricht colla più onorevol capitolazione la guernigione degli alleati; e restò quella città in potere de' Franzesi per ostaggio, tantochè si effettuasse la vicendevol restituzione degli Stati a tenore dei preliminari, i quali nel debito tempo si videro ratificati dalle tre potenze formatrici di quell'accordo. Per conto del re Cattolico, si può credere che le risoluzioni prese dal re Cristianissimo per la pace fossero preventivamente comunicate anche alla maestà sua, stante la buona armonia di quelle due corti. Ma certo è bensì che senza partecipazione dell'augustissima regina tagliato fu il corso della presente guerra, mentre ella dalla continuazione di questa sperava maggiori vantaggi e men pregiudizio ai proprii affari. Non così l'intesero i potentati, autori di que' preliminari. Trovavasi tuttavia in un bell'ascendente la fortuna e il valore dell'armi franzesi; contuttociò conobbe quel gabinetto che tempo era di contentarsi dei trionfi passati, senza cercarne con troppo pericolo o troppo costo de' nuovi. Pesante era la carestia de' grani di quel regno. Dall'Inghilterra, [691] che soleva somministrarne, non si potea sperare soccorso; meno da Danzica e da altri emporii del Settentrione o del Mediterraneo, perchè gl'Inglesi erano padroni del mare, e maggiormente si sarebbe precluso il commercio per quel vasto elemento, ove fosse accoppiata con gl'Inglesi la forza degli Olandesi. Di gravi percosse aveano già patito le flotte franzesi, e più ne poteano temere. Cominciava anche a risentirsi la Francia pel sacrifizio di trecento, se non più, migliaia d'uomini, consumati dai capricci dell'ambizione; ogni dì ancora occorrevano nuove leve; nè altronde si potevano fare che da quel continente. Avrebbe ben fruttato più a quel gran regno la metà di tanta fiorita gente perduta, se fosse stata inviata a fondar delle colonie nel Mississipi. Vero è, che la Francia ricavava abbondanti rugiade dall'erario spagnuolo, e grosse contribuzioni dal conquistato paese; ma chi non sa qual immensa voragine sia la guerra, e guerra maneggiata con più centinaia di migliaia d'armati; e con quante pensioni comperasse la Francia le amicizie di quegli stranieri che le potevano nuocere? Però le convenne in questi ultimi tempi imporre esorbitanti e disusate gravezze ai popoli suoi, per le quali si vide poi che il parlamento di Parigi giunse a far delle delicate doglianze al suo monarca. Finalmente l'epidemia de' buoi entrata in Francia, e i trenta mila Russiani, ch'erano in viaggio, aggiunsero un grano alla bilancia, e la fecero calare. Tali furono i motivi che indussero il re Cristianissimo a desiderar daddovero la pace, e a conchiuderla, contando egli per suo vantaggio, anche senza ritener per sè alcuno degli acquisti, l'avere alquanto indebolita la potenza dell'emula casa di Austria colla perdita della Slesia, e con lo smantellamento d'alcune fortezze nella Fiandra e nella Briscovia.
Concorsero del pari a dar mano all'accordo gl'Inglesi, perchè stanchi di sostenere con sì enorme effusione dei lor tesori in tante parti l'impegno preso, [692] non per acquistare un palmo di terreno per loro, ma per impedire che la Francia maggiormente non islargasse l'ali alle spese de' lor collegati, e per riacquistare qualche vantaggio al proprio interrotto commercio nell'America. Ottenuto questo colla pace, più non occorreva cercarlo coll'incredibil dispendio della guerra, la quale avea accresciuto il debito antecedente di quella nazione, con farlo giugnere a settanta milioni di lire sterline. Lamentavansi ancora essi Inglesi, perchè l'augusta imperadrice non mantenesse in campagna la intera stipulata quota delle truppe, per cui tirava il sussidio di grosse somme da Londra. Più ancora inclinò a questa concordia la repubblica delle Provincie Unite, perchè, per difendere l'altrui, aveva tirato un troppo grave incendio sulla casa propria. Spogliata di gran parte del suo Brabante mirava colla perdita di Mastricht oramai aperta la porta alla desolazione del suo paese. Però non trovava ella nei libri suoi l'obbligo di comperare a sì caro prezzo la indennizzazione altrui. Aggiugnevano in oltre qualche mal umore nelle viscere de' suoi medesimi Stati, per cagione di cui si scorgeva troppo utile, se non anche necessario, il non impegnarsi maggiormente in pericolosi cimenti di guerra, quando amichevolmente si potea ricuperare il perduto proprio, e l'antemurale restante delle piazze austriache. Per lo contrario non si sapeva accomodare l'imperadrice regina alla legge che venivale data da amici e nemici, duro a lei parendo il rinunziare per sempre al felice ducato della Slesia e ad alcuni paesi della Lombardia austriaca. Contuttociò accomodandosi la prudenza del suo gabinetto alla presente situazione di cose, senza gran ritardo comparve in Aquisgrana il consenso della maestà sua agli articoli preliminari della pace, con qualche restrizione nondimeno allo stabilito in essi. Nè pure tardò ad approvare la suddetta orditura di pace il re di Sardegna; ed anche il re Cattolico [693] vi spedì l'assenso suo, ma intralciato da qualche riserva, spettante al commercio preteso dagl'Inglesi nell'Indie spagnuole. Contuttociò lungamente continuarono in Italia le ostilità fra gli Austriaci e i difensori del Genovesato. Anzi si vide stampata e pubblicata nel dì 20 di maggio un'intimazione del generale conte di Broun ai popoli della riviera di Levante di non commettere atto alcuno di opposizione all'armi cesaree, perchè così sarebbero ben trattati, minacciando all'incontro ferro e fuoco a chi si abusava della clemenza di sua maestà regia imperiale. Continuò anche in mare la guerra fra gl'Inglesi e i legni genovesi; finchè finalmente vennero gli ordini dell'armistizio, e si cominciò a vagheggiare come vicina la sospirata pace, e a sperar non lungi l'adempimento delle già accennate condizioni. Non sapevano intanto i politici del volgo accordare con sì belle disposizioni l'osservarsi che l'esercito ausiliario russiano, continuando il viaggio, mostrava di non aver contezza alcuna che i raggi della pace spandessero l'allegrezza pel resto d'Europa. In fatti, dopo di aver valicata la Polonia ed Alta Silesia, si vide alla metà di giugno comparire la prima colonna di quelle truppe in Moravia. Vollero le imperiali maestà godere di questo spettacolo, e portatesi a Brun, dove nobilmente furono accolte e trattate dal cardinale di Troyer vescovo d'Olmultz, ebbero il piacere di considerare la bella comparsa di quella gente, tutta ben armata, vestita e disciplinata, e senza alcun segno dell'antica loro barbarie. Seco veniva una magnifica cappella co' suoi cantori; e il loro passaggio per tanti paesi non fu accompagnato da lamenti degli abitanti, perchè pagavano tutto. Solamente parve che taluno non mirasse di buon occhio la venuta di que' Settentrionali, per timore che alla nazione russiana potesse piacer più del proprio il cielo di mezzodì. Si diffuse poi sopra quelle truppe ed uffiziali la munificenza dell'imperadrice regina. [694] Ma allorchè comunemente si credeva, che stante l'intavolata ed immancabile pace, avessero i russiani a ritornarsene all'agghiacciato lor clima, o pure fermar il piede in Boemia, non senza maraviglia d'ognuno si videro istradati anche alla volta della Franconia e del Reno. A tal vista si diedero a strepitare e a parlar alto i Franzesi, e tal forza ebbero le loro minaccie, che dalla potenze marittime fu spedito ordine a que' troppo arditi stranieri di retrocedere sin in Boemia: con che cessò ogni apprensione della loro venuta.
Dappoichè tutti i principi impegnati nella guerra presente si trovarono assai concordi in approvare ed accettare i preliminari, cioè il massiccio della futura pace, si ripigliarono i congressi de' ministri in Aquisgrana, a fin di spianare, per quanto fosse possibile, le diverse particolari pretensioni de' principi, le quali potessero difficoltar la conchiusione dell'universal concordia, o lasciar semi di guerre novelle. Per conto dell'Italia, di gravi doglianze aveano fatto e faceano i militari alla corte di Vienna, perchè si fosse ceduta al re di Sardegna tanta parte del contado d'Anghiera colla metà del lago Maggiore, senza aver considerato che sensibil danno ed angustia ne provenisse alla stessa città di Milano. Però l'augusta imperadrice cominciò a pretendere, che siccome più non sussisteva il trattato di Vormazia per la cessione all'infante don Filippo di Piacenza, così dovesse anche la maestà sua restare sciolta dall'obbligo di mantenere al re di Sardegna quanto gli avea ceduto. Pretendeva in oltre più d'un milione di genovine, di cui erano rimasti debitori i Genovesi. Quanto all'infante don Filippo, si faceva istanza che col ducato di Guastalla andassero uniti quello di Sabbioneta, e il principato di Bozzolo, siccome goduti dagli ultimi duchi d'essa Guastalla. Finalmente il conte di Monzone, ministro del duca di Modena, richiedeva che fosse rimesso questo principe [695] in possesso de' contadi d'Arad e di Jeno in Ungheria; e perchè si trovò che per li bisogni della guerra erano stati venduti, insisteva per un equivalente di Stati in Lombardia. Restavano poi da dibattere varie altre pretensioni de' principi fuori d'Italia, che tralascio, perchè non appartenenti all'assunto mio. Giunsero ancora al congresso d'Aquisgrana le doglianze de' Corsi contro la repubblica di Genova; ma parve che niun conto ne facessero que' ministri. Per ismaltir dunque le materie suddette s'impiegarono cinque mesi e mezzo dopo la pubblicazion de' preliminari; e finalmente si venne in Aquisgrana allo strumento decisivo della pace nel dì 18 d'ottobre del presente anno. Non rapporterò io se non quegli articoli che riguardano l'Italia; cioè:
2. Dal giorno delle ratificazioni di tutte le parti sarà ciascuno conservato e rimesso in possesso di tutti i beni, dignità, benefizii ecclesiastici, onori ch'egli godeva o doveva godere al principio della guerra, non ostante tutti gli spossessi, le occupazioni e confiscazioni occasionate per la suddetta guerra.
6. Tutte le restituzioni e cessioni rispettive in Europa saranno interamente fatte ed eseguite da ambe le parti nello spazio di sei settimane, e più presto, se si potrà, contando dal giorno del cambio delle ratificazioni di tutte le parti.
7. I ducati di Parma, Piacenza e Guastalla si daranno all'altezza reale dello infante don Filippo, e suoi discendenti maschi, col diritto di riversione a' presenti possessori, se il re di Napoli passasse alla corona di Spagna, o don Filippo morisse senza figli.
8. Quindici dì dopo le ratificazioni si terrà un congresso a Nizza, cioè fra i ministri delle parti contrattanti, a fin di spianare e risolvere tutte le difficoltà restanti all'esecuzione del presente trattato di pace.
10. Le rendite ordinarie de' beni che debbono essere restituiti o ceduti, e le [696] imposte fatte in essi paesi pel trattamento e per li quartieri d'inverno delle truppe, apparterranno alle potenze che ne sono in possesso, sino al giorno delle ratificazioni, senza che sia permesso di usare alcuna via d'esecuzioni, purchè si dia cauzione sufficiente pel pagamento. Dichiarando che i foraggi ed utensili per le truppe che ivi si truovano, saranno somministrati sino all'evacuazione. Tutte le potenze promettono e s'impegnano di nulla ripetere, nè di esigere delle imposte e contribuzioni ch'esse potessero aver poste sopra i paesi, città e piazze occupate nel corso di questa guerra, e che non saranno state pagate nel tempo che gli avvenimenti della guerra gli avranno obbligati ad abbandonare i detti paesi. Questo articolo spezialmente riguardava la repubblica di Genova, da cui l'imperadrice regina pretendeva più di un milione, siccome accennammo.
12. La maestà del re di Sardegna resterà in possesso di Vigevano, di parte del Pavese, e di parte del contado di Anghiera, secondo, che gli è stato ceduto nel trattato di Vormazia.
13. Il serenissimo duca di Modena, sei settimane dopo il cambio delle ratificazioni, prenderà possesso di tutti i suoi Stati, beni, ec. Per quello che mancherà, si pagherà a giusto prezzo; il qual prezzo, siccome ancora l'equivalente de' feudi ch'egli possedeva in Ungheria, se non gli fossero restituiti, sarà regolato e stabilito nel congresso di Nizza. Di maniera che nello stesso tempo e giorno che esso serenissimo duca di Modena prenderà possesso di tutti i suoi Stati, egli possa anche entrare in godimento, sia de' suoi feudi in Ungheria, sia dell'equivalente. Gli sarà parimente fatta giustizia nel detto termine di sei settimane dopo il cambio delle ratificazioni sopra gli allodiali della casa di Guastalla.
14. La serenissima repubblica di Genova sarà rimessa in possesso di tutti i suoi Stati, posseduti da essa prima della presente guerra, come anche i particolari [697] in possesso di tutti i fondi esistenti nel banco di Vienna ed altrove.
Finalmente furono confermati i preliminari stabiliti nel dì 30 d'aprile di quest'anno 1748, e garantiti da tutte le potenze gli Stati restituiti o ceduti. E caso che alcuna potenza rifiutasse di aderire al suddetto trattato, la Francia, Inghilterra ed Olanda promisero d'impiegare i mezzi più efficaci per l'esecuzione dei soprascritti regolamenti.
Avreste creduto, che questa pace avesse sparso una larga pioggia di giubilo, spezialmente sopra que' popoli che sofferivano il peso dell'armi straniere; ma per disgrazia si convertì essa pace in una più sensibil guerra di prima. Detto fu che i ministri della regina imperadrice e del re di Sardegna avessero fatte gagliarde istanze, affinchè gli Stati destinati a tornare in mano de' loro legittimi antichi padroni avessero a goder l'esenzione da ulteriori contribuzioni. Frutto certamente non se ne vide. Può essere che si credesse prevveduto abbastanza coll'articolo decimo a questo bisogno; ma non si avvisavano già i primarii ministri del congresso di Aquisgrana che i generali degli Spagnuoli avessero un dizionario in cui le parole di Foraggi ed Utensili, espresse nel suddetto articolo, importassero la facoltà di scorticare i poveri con nuove contribuzioni, che non aveano però nome di contribuzioni. Fecero pertanto gl'intendenti Gallispani a chiari conti conoscere ai deputati di Nizza e Villafranca, a quanto ascendesse il debito loro per la somministrazion della paglia e fieno, della legna e del lume, ec. dovuti a ventiquattro battaglioni esistenti in quelle parti (benchè mancati della metà della gente) e ai tanti generali ed uffiziali, anche lontani o sognati, di quel corpo di truppe. E perchè quel desolato paese non potea far que' naturali, convenendo perciò che gl'intendenti li facessero venire di Francia a caro prezzo, si fece montar molto più alto la somma del debito, riducendosi in fine a tassarlo tutto per cento [698] mila lire di Piemonte (cioè per venti mila Filippi) al mese, e ad intimarne il pagamento; e questo anticipato per li mesi di novembre e dicembre, con aggiugnere la minaccia dell'esecuzion militare in caso di ritardo. Restarono di sasso que' deputati, e rappresentarono l'evidentissima impotenza del paese, già estenuato per sì lunga guerra, e per tanti passaggi di truppe: ma riscaldatosi nel contrasto l'intendente spagnuolo, giunse a dire che li farebbe scorticare, e fatte le lor pelli in fette, le venderebbe a chi se ne volesse servire: Convenne pagare: io non so il come. Non furono meglio trattati i popoli della Savoia. Fin l'anno 1745 si vide steso da mano maestra un loro memoriale al Cattolico monarca Filippo V, in cui essi esponevano gl'incredibili aggravii posti dall'intendente spagnuolo a quelle montagne, coll'esigere in danaro il servigio militare delle truppe: con che venivano obbligati gli abitanti a pagare più di cento mila doble l'anno; e, ciò nonostante, i soldati si facevano lecito di prender fieno e legna, senza incontrar questo nei conti: oltre al torre le lor bestie, e voler carreggi senza fine, e obbligar la gente bene spesso alle fortificazioni. Queste ed altre avanie, per le quali nulla restava pel proprio sostentamento a que' poveri popoli, aveano obbligato gran copia di famiglie ad abbandonare il paese, per cercare il pane in Francia o altrove. Che quel memoriale non avesse la fortuna di pervenir sotto gli occhi del re Cattolico, si può ben credere, stante la somma pietà di quel monarca, che non avrebbe mai permesso un così duro strazio a popoli battezzati ed innocenti. E pure la miseria d'essi crebbe dopo la pace di Aquisgrana, perchè anche ad essi l'intendente spagnuolo intimò di pagare, oltre all'ordinaria contribuzione, cento mila lire di Piemonte per mese, e queste anticipate per novembre e dicembre. E perciocchè si giunse al fine dell'anno senza che seguisse restituzione alcuna degli occupati paesi, fu [699] replicata la medesima dose di anticipato pagamento anche pel gennaio dell'anno seguente 1749.
Ancora fu che il re di Sardegna, il quale fin qui avea con soave mano trattato Savona, il Finale e gli altri paesi della genovese riviera di Ponente a lui sottomessi, irritato da sì aspre estorsioni fatte a' sudditi suoi, impose a titolo di proservizio, rappresaglia, retorsione e quieto vivere, a quei paesi l'anticipata contribuzione di trecento mila lire di Piemonte (sono sessanta mila filippi) e poscia un'altra di quarantacinque mila lire. Ancorchè gli Stati del duca di Modena credessero di non dover soggiacere a somiglianti aggravii, sì per non esser dichiarati paesi di conquista, come ancora perchè somministravano il contingente di foraggi ed utensili alle soldatesche ivi esistenti; pure anche ad essi furono intimate due contribuzioni, ed esatte. Vero è, che tanto la regina imperadrice che il re suddetto non dimenticarono in tal occasione l'innata lor clemenza e generosità verso que' popoli; ed anche Piacenza fu quotizzata, ma con molto più tollerabile aggravio. A cagione di questi disgustosi salassi furono portate al congresso di Aquisgrana le doglianze e le lagrime degli afflitti popoli, ed arrivarono anche all'altro già incominciato in Nizza. Sorde si trovarono le orecchie di chi dovea porgere il rimedio, perchè andavano d'accordo i generali d'armi in voler risparmiare ai regnanti il pensiero di premiar tante lor fatiche, con prendere la ricompensa sui paesi che si aveano ad abbandonare. Erano intanto venute le ratificazioni della pace d'Aquisgrana dalle corti di Francia, Inghilterra ed Olanda; poi quelle del re Cattolico, del re di Sardegna, del duca di Modena e della repubblica di Genova; sicchè fu al debito tempo aperto il congresso di Nizza, dove intervennero i due generali gallispani Bellisle e Las Minas, e per l'augusto imperadore il generale conte Broun, accompagnato dal conte Gabriello Verri fiscale [700] generale di Milano, giurisconsulto di gran credito. Similmente l'imperadore, il re di Sardegna, il duca di Modena e la repubblica di Genova v'inviarono i lor ministri. Furono dibattute le vicendevoli pretensioni de' principi per le fortezze, artiglierie, munizioni, ec. che si doveano restituire. E perchè tuttavia insistevano i ministri austriaci sul preteso lor credito contra de' Genovesi, pericolo vi fu, che si sciogliesse senza conclusione alcuna quell'adunanza. Andò poi così innanzi la copia e l'intralciamento degli affari, che arrivò il fine dell'anno senza che i popoli gustassero un menomo sapor della pace; perchè niuno disarmava, e se non si faceva guerra agli uomini, si faceva ben viva alle borse. In quest'anno nel Ferrarese un grave danno recò l'epidemia bovina. Anche il Finale di Modena, e qualche luogo della Romagnuola e del Bolognese parteciparono di questa sciagura.
Anno di | Cristo MDCCXLIX. Indiz. XII. |
Benedetto XIV papa 10. | |
Francesco I imperadore 5. |
Spuntò il felicissimo presente anno tutto gioviale con corona d'ulivo in capo, risoluto di dare agli aggravati popoli quella quiete che il precedente con varie promesse avea fatto sperare. S'era già preparata la gente a solennizzar con isfogo di giubilo il fine di tanti guai, perchè nel congresso d'Aquisgrana era stato stabilito che nel dì 4 di gennaio si desse principio all'evacuazione degli occupati paesi: quand'ecco insorgere una nuova remora all'adempimento della sospirata pace. Restavano tuttavia indecise nel congresso di Nizza le soddisfazioni dovute al duca di Modena tanto per gli allodiali della linea estinta dei duchi di Guastalla, dovuti secondo le leggi alla serenissima casa d'Este, quanto pei contadi di Arad e di Jeno in Ungheria, tolti in occasion della presente guerra ad esso duca. Con tutto il suo buon cuore non [701] trovava l'augusta imperadrice la maniera di restituirli, perchè gli aveva alienati; e i ministri suoi non trovavano un equivalente di Stati da darsi a questo principe, giacchè l'esibizione di pagargli annualmente i frutti corrispondenti alle rendite non soddisfaceva. Insistevano perciò i ministri gallispani a tenore degli ordini delle lor corti su questo punto, e sulla restituzione de' fondi spettanti ai Genovesi; e perchè restò incagliato l'affare, bastò intoppo tale a fermar tutto l'altro resto della esecuzion della pace, e a moltiplicar anche per un mese gli aggravii delle provincie che s'aveano a restituire. Detto fu, che il re Cristianissimo ricavasse dagli Stati occupati ne' Paesi Bassi cinquanta mila fiorini per giorno. Se ciò sussiste, nè pur que' popoli sotto barbieri tali avranno avuto gran voglia di ridere. Il perchè somma premura avendo la clementissima imperadrice di redimere i sudditi suoi ed altrui da ulteriori vessazioni, cotanto s'industriò, che le venne fatto di ricuperare i feudi suddetti da un generoso comprator d'essi; di render i lor fondi ai particolari genovesi; e conseguentemente di poter adempire interamente gli articoli del trattato conchiuso in Aquisgrana. D'essi Stati adunque fu rimesso in possesso il duca di Modena, siccome ancora gli fu accordato il possesso degli allodiali di Guastalla. E perciocchè furono ancora tolte di mezzo le controversie eccitate fra la corte Austriaca e la repubblica di Genova, niun ostacolo più restò a perfezionare il grande edifizio della pace universale. Videsi pertanto un regolamento stabilito in Aquisgrana de' giorni precisi, nei quali a poco poco si dovea far l'evacuazione di alcune città o piazze de' Paesi Bassi, e nello stesso tempo di altre dell'Italia. Spezialmente il principio di febbraio quel fu che diserrò le porte all'allegrezza de' varii paesi. Quetamente presero le truppe spagnuole il possesso di Parma, Piacenza e Guastalla a nome del reale infante don Filippo con somma consolazione di quei cittadini. [702] Altrettanto fecero il re di Sardegna e i Genovesi degli Stati lor proprii. Nel dì 7 del mese suddetto fu consegnata la Mirandola alle soldatesche di Francesco III duca di Modena. E nel dì 11 anche la città e cittadella di Modena, con tutte le altre sue pertinenze, tornarono a godere i benigni influssi del legittimo loro sovrano. Convien qui fare giustizia all'augustissima imperadrice regina Maria Teresa, e alla maestà di Carlo Emmanuele re di Sardegna, che per sette anni tennero il dominio di questo ducato. Certo è che non mancarono gravissimi guai e danni, frutti inevitabili della guerra, a questi Stati, i quali anche contrassero più e più milioni di debiti pubblici in sì lagrimevole congiuntura. Contuttociò restò qui, e per lungo tempo resterà memoria della gloriosa moderazione di questi due clementissimi sovrani, che si tennero lungi da ogni eccesso, finchè qui esercitarono la lor signoria. Placido e pien di giustizia si provò qui il governo civile, perchè venne appoggiata l'amministrazione d'essi Stati al conte Beltrame Cristiani, gran cancelliere della Lombardia Austriaca, personaggio che per l'elevatezza della mente, per l'attività nell'operare, e per le massime dell'onoratezza, inclinante tutta al pubblico bene, ha pochi pari. Suo luogotenente il conte Emmanuele Amor di Soria, senator di Milano, avveduto ed incorrotto ministro della giustizia e dell'economia camerale, lasciò anch'egli in queste parti con onore il suo nome. Assai discreto medesimamente si trovò il contegno militare, avendo tanto gli ufiziali che le truppe delle lor maestà osservata una lodevol disciplina, senza estorsioni ed avanie in danno degli abitanti.
Ma non poterono già altri popoli, per lor disavventura imbrogliati nella presente guerra, contare un egual trattamento e fortuna. Aveva io all'anno 1300 fra le glorie de' nostri tempi registrato ancor quella dalle guerre oggidì fatte con moderazione fra i principi cristiani, cioè senza infierire contro le innocenti popolazioni, [703] e senza la desolazione dei conquistati o dei nemici paesi. Debbo io ora con vivo dispiacere ritrattarmi. Ci ha fatto questa ultima guerra vedere troppi esempli di barbarie entro e fuori d'Italia, con lasciare la briglia alla licenza militare, per fare colla rovina della povera gente vendetta de' pretesi reati de' loro principi. Che i Turchi, che i Barbari, i quali pare che non conoscano legge alcuna di umanità, cadano in così brutali eccessi, non è da maravigliarsene; ma che genti professanti la legge santa del Vangelo, legge maestra della carità, facciano altrettanto, non si può mai comportare. E non vede chi così opera, che in vece di gloria egli va cercando l'infamia, la quale senza dubbio tien dietro alle crudeltà? Ma lasciando queste inutili doglianze e luttuose memorie, vogliam più tosto i ringraziamenti nostri alla divina clemenza, che ha fatto in quest'anno cassar l'ire dei regi, e coll'evacuazion de' paesi che si aveano a restituire, ha ridonata la tranquillità e l'allegrezza a tanti regni e principati, involti per sette anni nelle calamità della guerra. Tanto più memorabile dee dirsi questa pace, perchè non solamente si è diffusa per tutta l'Europa, ma viene anche accompagnata dall'universale di tutta la terra, non udendosi in questi tempi alcun'altra guerra di rilievo per le altre parti del mondo, di modo che non abbiam da invidiare la felicità de' tempi d'Augusto. Resta solamente nella Corsica il fermento della ribellione; ma non andrà molto (così è da sperare) che l'interposizione de' monarchi di Francia e Spagna pacificamente e con oneste condizioni ridurrà que' popoli all'ubbidienza verso la legittima ed antica sovranità della repubblica di Genova. Ma oltre ai ringraziamenti da noi dovuti al supremo Autor di ogni bene, conviene ancora inviare al suo trono le umili nostre preghiere, acciocchè il gran bene della pace a noi restituita non sia dono di pochi giorni, e che i potentati di Europa giungano a sacrificare al riposo [704] de' poveri popoli, i quali dopo tanta calamità cominciano a respirare, i lor risentimenti, oppur le suggestioni della non mai quieta ambizione. Regnando la pace in Italia, che non possiamo noi sperare da che abbiamo principi di sì buon volere e di tanta rettitudine? A me sia lecito di ricordare qui il nome per riconoscimento della presente nostra fortuna.
Ha lo Stato della Chiesa romana per suo principe e rettore il sommo pontefice Benedetto XIV, che per somma pietà, per l'ottimo suo cuore, per la penetrazion della mente, e per la singolar dottrina può ben gareggiare co' più rinomati ed illustri successori di san Pietro. Non ha egli accettato il governo della Chiesa di Dio e del principato romano, per alcun comodo od utile suo, ma unicamente per far servire i pensieri e la vigilanza sua al pubblico bene. Eterna memoria del suo sapere e zelo per la istruzione della Chiesa cattolica saran le varie insigni opere già da lui date alla luce, ed ultimamente ancora due tomi del suo Bollario. E perciocchè gl'innocenti popoli suoi per le peripezie delle ultime guerre hanno partecipato anche essi delle comuni calamità, si studia l'amorevolissimo padre di ricomporre le da lor patite slogature: giacchè se chiedeste quali sieno i suoi nipoti, vi si risponde che tali propriamente sono i sudditi suoi. Roma spezialmente, che l'ha alzato al trono, quella è che sopra le altre gode i benefici influssi d'un principe, che non conoscendo cosa sia amor proprio e de' suoi, quanto a lui viene dal principato, tutto vuol rifondere in decoro e abbellimento della sua benefattrice città. Testimonianze perciò delle sue gloriose idee, e monumenti per l'immortalità del suo nome, sono e saranno un braccio dello spedale di Santo Spirito in essa Roma: fabbrica di singolar magnificenza e di somma utilità pel bene dei poveri; lo stradrone che guida da San Giovanni Laterano sino a Santa Croce in Gerusalemme. Rinnovata entro e [705] fuori con atrio insigne la stessa basilica di Santa Croce. Assicurata la maravigliosa cupola di San Pietro dai timori insorti di rovina. Terminata la fontana di Trevi, che per la grandiosità e vaghezza è l'ammirazion d'ognuno. Ornata mirabilmente al di dentro, e decorata al di fuori d'una nobil facciata la chiesa di Santa Maria Maggiore, colla giunta ancora delle fabbriche adiacenti, e beneficata di molto la chiesa di Santo Apollinare. Ristaurate ed abbellite le chiese di San Martino in Monte e di Santa Maria degli Angeli; e rinnovato il triclinio di papa Leone III nella basilica Lateranense. Ha egli in oltre fabbricato un nicchio col musaico a canto della scala santa; rinnovato il musaico della basilica di San Paolo; scoperto il già sotterrato insigne obelisco di campo Marzo. Sonosi stesi i suoi benefizii anche alla camera apostolica, estenuata in addietro per varie cagioni, con procacciarle ogni risparmio e vantaggio, e sopra tutto coll'assegnare alla medesima il capitale de' vacabili che vengono a vacare: il che aveano dimenticato di fare tanti suoi antecessori. Vedesi parimente dal nobilissimo suo genio maggiormente arricchita la galleria delle antichità nel Campidoglio, ed erettane un'altra egualmente magnifica di pitture e medaglie; per tacer altri monumenti dell'imcomparabil sua munificenza verso a Roma, ed anche verso la metropolitana e l'istituto delle scienze di Bologna patria sua. Roma ne' secoli barbarici, e molto più durante la dimora de' papi in Avignone, era incredibilmente decaduta dall'antico suo splendore. Ha circa tre secoli ch'essa va sempre più ricuperando la sua maestà e bellezza; ma sì fattamente in questo ultimo mezzo secolo sono in essa cresciuti gli ornamenti, che giustamente tuttavia le è dovuto il pregio e titolo di regina delle città. E però a sì glorioso ed amorevol principe, nato solamente per l'altrui bene, chi non augurerà di cuore vita lunghissima ed ogni maggiore prosperità?
[706]
Grande obbligo hanno o al men debbono professare a Dio i regni di Napoli e Sicilia, perchè loro abbia conceduto nella persona del re don Carlo, germoglio della real casa di Francia, dominante in Ispagna, un regnante di somma clemenza, e regnante proprio. Gran regalo in fatti della divina provvidenza è per essi dopo tanti anni di divorzio il poter godere della presenza di un reale sovrano, della sua magnifica corte, e della retta amministrazion della giustizia, senza doverla cercare oltra monti. Gran consolazione in oltre è il vedere, come questo monarca col suo consiglio si studii di aumentar le manifatture, la navigazione, il traffico e la sicurezza de' sudditi suoi. A lui è anche tenuta la repubblica delle lettere, pel suo desiderio che maggiormente fioriscano l'arti e le scienze, e per la mirabile scoperta della città d'Ercolano, tutta ne' vecchi tempi profondamente seppellita sotterra dai tremuoti e dalle bituminose fiumane del Vesuvio. In quel luogo noi abbiam pure un insigne teatro dell'antica erudizione. Finalmente la placidezza del suo governo, la nobil figliolanza a lui donata dal cielo, e il valore dalla maestà sua mostrato nella difesa di Velletri e de' regni suoi, son pregi che concorrono a compiere la gloria di questo monarca e la felicità de' popoli suoi.
Appartiene all'augustissimo imperadore Francesco I il gran ducato della Toscana, cioè ad un clementissimo e piissimo sovrano. Non può già essere che quella contrada, per tanti anni retta da savissimi principi della immortal casa de' Medici, non risenta oggidì qualche convulsione per la lontananza del principe suo. Contuttociò hanno quei popoli di che ringraziar Dio, perchè i riguardi dovuti a così gran monarca gli abbiano preservati da ogni disastro nell'ultima sì perniciosa e dilatata guerra; e perchè la rettitudine del governo e della giustizia presente non lasci loro da augurarsi quella de' tempi passati; e perchè la vigilanza [707] e attività del conte Emmanuele di Richecourt nulla ommette per sostenere, anzi aumentare l'industria e il commercio della Toscana, onde per questa via si risarcisca e compensi ciò che si perde pel mantenimento della corte lontana: pare che la Toscana non abbia molto a dolersi della presente sua situazione.
Quanto agli Stati della serenissima repubblica di Venezia, le contingenze dell'ultima lunga guerra non son giunte a turbare il riposo di quegli abitanti; e quantunque per precauzione prudente e buona custodia delle sue città e fortezze abbia quel senato in tal congiuntura fatto buon armamento, pure nulla per questo ha accresciuto i pubblici aggravii; anzi delle altrui calamità non poco han profittato gli Stati suoi di Lombardia. Del resto così ben concertate son le maniere di quel governo, così acconcie le sue antiche leggi, acciocchè regni in ogni popolazione la tranquillità, la giustizia e il traffico, che ognuno da gran tempo riconosce per buona madre una repubblica di tanta saviezza.
Altrettanto a proporzione è da dire della repubblica di Lucca. Ha cooperato la situazione sua, ma anche l'inveterata prudenza di que' magistrati, e l'osservanza delle ben pesate lor leggi, a mantenere il paese immune dalle calamità che in questi ultimi tempi sopra tanti altri popoli largamente son piovute. Più de' vasti dominii può essere felice un picciolo, qualora la libertà, la concordia, l'esatta giustizia, il buon comparto e la discretezza de' tributi, fa che ognuno possa essere contento nel grado suo.
Ma per conto di gran parte della Lombardia, paese bensì felice, ma destinato da tanti secoli a provare che pesante flagello sia quel della guerra, certo è che per la conchiusa pace comincerà essa a respirare, ma con restar tuttavia languente il corpo suo per lo sconvolgimento e per le piaghe degli anni addietro. Il serenissimo signor duca di Modena [708] Francesco III per più anni ha veduto in mano altrui gli Stati suoi; l'ha sempre accompagnato il coraggio nelle fatiche militari e ne' disastri. Ha confessato la maggior parte degli uffiziali gallispani, essere sempre stato giusto il pensare e consigliare di questo principe, durante la guerra, talmente che se si fosse fatto più conto del parere del duca di Modena, le cose avrebbero avuto un esito molto migliore. Finalmente ha egli con tutto suo onore superata la pericolosa tempesta, e ha dato a' suoi fedelissimi sudditi la contentezza di ripigliar le redini del suo governo. Ora se si rivolgerà la paterna sua cura, come è da sperare dalle saggie e rettissime massime sue, e dall'ottimo suo cuore, alle maniere più proprie per sollevare i suoi popoli da tanti debiti contratti e da molti aggravii, non già imposti dalla sempre amorevole serenissima casa d'Este, ma dal malefico influsso delle guerre passate; ritornerà a fiorire la allegrezza nel dominio suo, e sarà benedetta quella benefica mano che avrà fatto dimenticare tante sciagure in addietro sofferte.
Forze maggiori son da dir quelle che in questi ultimi tempi han provati gli stati di Parma e Piacenza, perchè ivi non poco ha danzato il furore delle nemiche armate. Tuttavia da che la pace ha ridonato a que' popoli un principe proprio nella persona del real infante don Filippo fratello de' potentissimi re di Spagna e di Napoli, ben si dee sperare che, ritornando colà il sangue della serenissima casa Farnese, vi ritornerà ancora quella felicità che godevasi quivi sotto gli ultimi prudenti duchi. Non si può stimare abbastanza il privilegio di aver principe proprio e presente che faccia circolare il sangue de' sudditi, e risparmii loro la pena di cercar lungi la giustizia, ed altri provvedimenti necessarii ad uno Stato.
Per sua legittima signora riconosce il ducato di Milano, oggidì congiunto con quello di Mantova, l'augustissima imperatrice regina Maria Teresa d'Austria. Delle [709] comuni disavventure e di un nuovo smembramento ha esso partecipato nell'ultima guerra. Qual sia per essere il riposo e sollievo suo nei venturi tempi di pace non si può peranche comprendere, stante la risoluzion presa dall'imperiale e real maestà sua di non provar più il rammarico di aver creduto di avere, e di avere effettivamente pagato un poderoso esercito per sua difesa in Italia, con averne poi trovata solamente appena la metà al bisogno. Manifesta cosa è, tanta essere la pietà e l'amore del giusto in questa generosa regnante, che in sì bel pregio niun altro principe può vantarsi di andarle innanzi. Nè già mancavano nel consiglio suo ministri di somma avvedutezza e di ottima morale, per gli avvisi dei quali si son talvolta veduti fermati in aria i fulmini del suo sdegno, e ritrattate le risoluzioni, le quali sarebbero tornate in discredito e disonore della sovrana, che pur tanto è inclinata alla clemenza, nè altro desidera che il giusto. Ragionevole motivo perciò hanno in Italia i popoli suoi di sperare che ai tempestosi passati giorni succederà un bel sereno.
Quanta parte d'Italia sia sottoposta alla real casa di Savoia, ognun lo sa, ma non tutti sanno quanto abbiano sofferto di guai i suoi Stati di qua da Po, e che intollerabili miserie si sieno rovesciate sopra quei della Savoia e di Nizza. Nulladimeno così ben regolato è il governo di quella real corte, così rette le massime del savio e benignissimo principe Carlo Emmanuele III re di Sardegna e duca di Savoia, tanto l'amore verso i sudditi suoi, ch'essi non tarderanno ad asciugar le lagrime; giacchè non ha egli men cura del proprio che del pubblico bene.
Resta la serenissima repubblica di Genova, che nelle prossime passate rivoluzioni si è trovata sbattuta più d'ognuno dai più feroci venti, con pericolo di far naufragio anche di tutto. Gravissime, non può negarsi, sono state le perdite sue, deplorabili le sue sciagure; ma da che a [710] lei è riuscito di salvar la gioia più cara c preziosa della libertà, e dappoichè nulla s'è scemato de' legittimi suoi dominii: molto ha di che consolarsi ora e per l'avvenire. E tanto più, perchè il senno de' suoi magistrati, l'attività, il commercio degl'industriosi cittadini potranno fra qualche tempo avere risarciti i patiti danni, restando intanto per tutta l'Europa immortale la gloria della lor costanza e valore in tante altre congiunture, ma spezialmente nell'ultima, da essi mostrato.
Per memoria de' posteri non vo' lasciar di aggiugnere, che niuno dovrebbe mai desiderar di godere, o rallegrarsi di aver goduto un verno placido, e senza nevi e ghiacci, ne' paesi, dove regolarmente si pruova questa disgustosa, ma forse utile pensione. Non potea essere più placido in Lombardia ed in altri paesi il verno dell'anno presente, perchè privo di nevi e ghiacci, talmente che non se ne potè ammassare nelle conserve per refrigerio ed uso della vegnente state. Ma che? Sul fine di marzo venne più d'uno scoppio di neve, che quantunque da lì a poco si squagliasse, pure ci rubò i primi frutti, danneggiò gli orli e la foglia dei gelsi, e poco propizia fu ai grani, che già s'erano mossi. Poco è questo. Nel dì 25 d'aprile per tre giorni nevicò in Milano, e succederono brine che fecero perdere tutti i frutti. Sul principio poi di giugno eccoti fuor del solito fioccar folta neve ne' gioghi dell'Appennino, che si rinforzò e sostenne gran tempo, con produrre un pungente freddo, dirottissime pioggie ogni dì, e temporali e gragnuole orribili: onde si videro gonfii e minacciosi tutti i fiumi, e ne seguirono anche gravi inondazioni, e fiere burrasche in mare. Nè caldo nè gelo vuol restare in cielo: è proverbio dei contadini toscani. Spezialmente orribile e dannoso fu il turbine succeduto nella notte del dì 11 di giugno in una striscia dell'alma città di Roma, e particolarmente fuori di essa, di cui si è veduta relazione in istampa.
[713-14]
Qui mia intenzione era di deporre la penna; e l'avrei fatto, se i consigli di più d'uno non m'avessero spinto a mostrarmi inteso di quanto ha scritto un moderno giornalista anonimo contra di questi Annali, cioè contro di me, con una censura, la quale può dubitarsi che convenga ad onesto scrittore. Certamente tanti e tanti, che han letto le adirate sue parole senza leggere essi Annali, abbisognano di qualche lume, per non essere condotti ad un sinistro giudizio da sì appassionato scrittore. Mi vuol egli dunque processare quasi per troppo parziale degli antichi imperadori. Ma sappia ch'io non ho mai pensato a farmi punto di merito nè cogli antichi nè co' moderni Augusti. Il solo amore della verità, o di quanto io credo verità, quello è che guida la mia penna; e la verità non può chiamarsi guelfa o ghibellina. Ho io trovato in troppe storie che, negli antichi secoli non si potea consecrare l'eletto papa senza il consenso degli imperadori. Avrebbe desiderato il censore, che io non avessi toccato questa particolarità, o pur l'avessi chiamata iniquità ed usurpazione. Ho io dato nome d'uso od abuso a quel rito durato per più secoli, nè a me tocca dirne di più. Lo stesso san Gregorio il Grande se ne servì per sottrarsi al pontificato; tanti altri sommi pontefici furono lontani dal disapprovarlo; e in un concilio, tenuto da uno degli stessi papi, quest'uso fu appellato rito canonico. Doveva il giornalista osservare che io lodai la libertà da più secoli in qua goduta per la elezione e consecrazion de' papi, e conoscere ch'io non ho men di lui zelo per la libertà e per l'onore del pontificato; ma aver egli ben poca grazia in volere che io assolutamente condanni quello che i papi stessi una volta non disapprovavano.
Scaldasi poi forte esso anonimo, perchè io dopo il Pagi ed altri scrittori abbia mostrato che gl'imperadori Carolini e i lor successori per lungo tempo conservarono l'alto dominio sopra Roma ed altri Stati della Chiesa Romana, non volendo essere da meno de' precedenti greci imperadori; che il prefetto posto in Roma da essi Augusti vi durò sino a' tempi di papa Innocenzo III; che [715-16] la Romagna, benchè donata da Pippino alla Chiesa suddetta, e da lei signoreggiata per molto tempo, fu poi posseduta dai re d'Italia ed imperadori sino a papa Nicolò III che la ricuperò. Al censore suddetto ben conviene il provare, se può, che non sussistano sì fatte opinioni. Ma se io non ho tali cose asserito di mio capriccio, anzi ho prodotto le pruove di tutto, prese dalla storia e dalle memorie de' vecchi tempi, come mai pretendere ch'io asconda que' fatti, o chiami usurpazione quello che tanti papi lasciarono godere agl'imperadori? Ma si va replicando ch'essi Augusti confermavano di mano in mano la Romagna ai papi. Tutto sia; e pure non ne restituivano il dominio e possesso; ed Arrigo il santo imperadore, che tanto operò in favor della Chiesa Romana, non fece meno dei suoi antecessori. Così nel diploma di Lodovico Pio e d'altri Augusti noi troviamo donato ad essa Chiesa il ducato di Spoleti (per tacer altri paesi), e, ciò non ostante, miriamo essi Augusti tuttavia sovrani e possessori di quegli Stati. Come mai questo? Se il giornalista si fa lecito di pronunziar sentenza contra di tanti imperadori, io per me non oso d'imitare l'arditezza sua.
Quel ch'è più strano, si lascia egli scappar dalla penna che questi Annali sono uno dei libri più fatali al principato romano. A questo epifonema si risponde, che se mai per disavventura si trovasse un imperadore cotanto perverso che volesse turbare il principato romano, così giusto, così antico, e confermato dal sigillo di tanti secoli e dal consenso di tanti Augusti; egli non avrà bisogno di questi Annali, nè d'altri libri, per far del male. A lui basteranno i consigli delle sue empie e disordinate passioni. Ma di simili Augusti è da sperare che niuno mai ne verrà. Chiunque fra' regnanti cristiani sa cosa sia giustizia, sa eziandio che i dominii e diritti stabiliti da lunga serie di tempi, e massimamente di più secoli e da una tacita rinunzia d'ogni pretensione, sono, per così dire, consecrati dalle leggi del cristianesimo e della prescrizione. Altrimenti tutto sarebbe confusione, e niuno mai si troverebbe sicuro nelle sue signorie, per antiche o antichissime che fossero. Mi si perdoni, non abbonda di giudizio chi arriva a spacciare per fatali al principato de' papi le memorie degli antichi secoli: quasichè, secondo lui, possano aver credito e valore titoli rancidi, anzi affatto estinti, e schiacciati sotto il peso d'una sterminata lunghezza di tempo. Ma potrebbero servir di pretesto ai cattivi. Già si è risposto a questa chiamata. Nè solamente questo nuovo politico è dietro a nuocere con sentenze tali al principato romano, ma anche al dominio di tanti altri principi, pochi essendo quelli che non possano trovar nelle storie de' vecchi secoli qualche atto o diritto fatale al suo principato, per usare la frase di lui. Ma qual principe saggio, possessore immemorabile di una ben fondata signoria, si formalizza, o si dee mettere paura, perchè la storia dei precedenti secoli non s'accordi col suo presente sistema? La conclusione si è, che il giornalista tacitamente vorrebbe che si adulterasse o si bruciasse parte [717-18] della storia, per levare dagli occhi nostri ogni spauracchio, da lui creduto fatale al principato pontifizio, ma con lasciare intatte le antiquate ragioni della Chiesa Romana sull'Alpi Cozie, sulla Corsica e Sardegna, su Mantova ed altri paesi. Secondo lui, allora sarà da lodar la storia che riferirà tutto quanto è favorevole a Roma, e tacerà tutto quello che ha ombra di suo pregiudizio. Potrà egli formare una storia tale, ma non già io.
Seguita un altro processo a me fatto da questo censore. Non ho io defraudato delle convenevoli lodi (non può egli negarlo) tanti romani pontefici o santi o buoni, che sono la maggior parte; ma non ho lasciato di toccare i difetti di pochi altri, spezialmente degli Avignonesi, disdicevoli, a mio credere, in chi secondo l'intenzione di Dio dovrebbe essere quanto sublime nel grado, altrettanto eminente esemplare d'ogni virtù. Se l'ha a male il giornalista, nè può sofferire, che uno storico ardisca di giudicar delle azioni e del merito de' gran personaggi; ed è sì accorto, che non bada altrove a produrre un passo, tutto contrario a queste sue belle pretensioni, cioè l'autorità del reverendissimo e celebre padre Orsi dell'ordine de' predicatori, segretario della congregazione dell'Indice, e autore d'una nobile Storia ecclesiastica, con dire: Quanto a' giudizii, che non vuole il signor Fleury che sieno interposti dallo storico sopra le persone e sopra le loro azioni, oppone il padre Orsi il sentimento di Dionisio Alicarnasseo, che nella lettera a Pompeo Magno toglie al cielo con grandissime lodi Teopompo, per aver più liberamente, che tutti gli altri storici, giudicato degli uomini e delle azioni, delle quali scrisse la storia. Ma forse questo giornalista ha inteso di dire a me, e a chicchessia: Dite quanto mal volete degl'imperadori, re e principi; ma, per conto de' papi, rispettate ogni lor costume ed azione, e non osate di parlarne se non in bene. Torno a dire, ch'egli formi una storia tale, perchè niuno gliel contrasta. Ma chiunque sa che il principal credito della storia è la verità, e il giudicar, come poco fa dicemmo, delle operazioni degli uomini, per ispirar nei lettori l'amore della giustizia e del retto operare, e l'abborrimento a ciò che sa di vizio: crederà ben meglio fatto e giusto ed utile alla repubblica, che si dia il suo vero nome a quello ancora che difettoso apparisce ne' costumi e nelle azioni de' pastori della Chiesa di Dio. La storia ha da essere una scuola per chi dee loro succedere, a fin d'imparare nelle lodi de' buoni, e nella disapprovazion de' cattivi, quello ch'essi han da fare o non fare. E forse che le divine Scritture dell'uno e dell'altro Testamento non ci han lasciato un chiaro esempio di questo? Anche ivi noi troviam riprovato ciò che meritava biasimo ne' sacri ministri; e la stessa libertà comparisce negli Annali dell'immortale cardinal Baronio, e in altri insigni storici, che sapevano il lor mestiere, e tenevano per irrefragibile il sentimento di Tacito: Praecipuum munus Annalium, ne virtutes sileantur, utque pravis dictis factisque ex posteritate et infamia metus sit.
[719-20]
Vegga dunque l'anonimo censore che, in vece di ben servire alla santa Romana Chiesa, non la discrediti col soverchio suo zelo. Che appunto in vergogna d'essa ritornerebbe l'esigere che si avesse a nascondere ed opprimere la verità in parlando de' papi; e il pretendere ch'essi sieno sempre stati esenti dalle umane passioni; non si sieno mai abusati della loro autorità; non abbiano mai fatto guerre poco giuste; non fulminate scomuniche e interdetti senza buone ragioni. Noi possiam bene ascondere queste macchie a' nemici del cattolicismo: ma non le sanno forse, o non le sapranno eglino senza di noi? Fresche ne abbiamo anche le pruove. Meglio è pertanto che onoratamente le riferiamo ancor noi quali sono, per far loro conoscere che nè pur noi le approviamo: giacchè negar non possono gli stessi protestanti, che non sono vizii e difetti della religione e del pontificato gli eccessi e mancamenti particolari de' sacri pastori. Il divino nostro legislatore ha ben promessa e manterrà l'infallibilità, la verità de' dogmi e la sussistenza eterna della Chiesa cattolica, ed ha conceduto privilegii singolari alla sedia di san Pietro pel mantenimento della fede e della gerarchia; ma non si è già impegnato ad esentare i suoi vicarii delle umane infermità; e però non abbiam da maravigliarci, se talora la storia ce ne fa veder taluno meritevole di biasimo, perchè per essere papa non si lascia d'essere uomo, e i papi anch'essi umilmente si accusano delle lor colpe al sacro altare; Per altro, essendo la cristianità da circa due secoli in qua avvezza a mirar la vita e il governo esemplare di tanti sommi pontefici, e massimamente degli ultimi tempi e del regnante Benedetto XIV, glorioso pel complesso di tutte le virtù; niuna savia persona si formalizza, per trovar ne' vecchi secoli sulla cattedra di San Pietro chi fu di tempra ben differente. Anzi ringrazia Dio d'essere nato in tempi sì ben regolati per la Chiesa sua santa, mentre i disordini passati fanno maggiormente risaltare il buon ordine presente. Poste poi tali premesse, io mi credo disobbligato dall'entrare in un minuto esame di quanto il giornalista si è studiato di opporre alla discreta libertà di questi Annali, coerente alle leggi, colle quali s'ha da reggere la storia, acciocchè sia utile al pubblico.
Ma non si può già lasciar passare, essersi egli lasciato trasportare dalla eccessiva passione sua tant'oltre, che laddove pretende non dover io trovar cosa biasimevole in veruno de' papi, poscia, in vece di sapermene grado, bizzarramente meco s'adira, perchè difendo la fama d'alcuni d'essi, vivuti nel secolo decimo, dalla troppo acre censura del cardinal Baronio, volendo che si stia alle asserzioni di lui, e non già alle fondate ragioni mie in lor favore. Similmente mi vuol reo, perchè ho toccato i mali effetti del nepotismo de' papi; nè gli passa per mente, che il santo pontefice Innocenzo XII colla sua celebre bolla più e meglio di me ha parlato contra di tale abuso; e che il celebre cardinale Sfondrati con libro apposta ne fece comparire tutta la deformità. Oltre a ciò, non [721-22] vorrebbe ch'io, dopo aver lodata la piena libertà del sacro collegio, ricuperata già tanti secoli sono, in eleggere e consecrare i papi, avessi desiderato che cessino le lunghezze de' conclavi, e le private passioni de' sacri elettori in affare di tanta importanza per la Chiesa di Dio. Nè si ricorda che l'eminentissimo cardinale Annibale Albani in tale occasione fece ristampare e spargere per Roma la famosa lettera CLXXX dell'Ammanati cardinale di Pavia al cardinale di Siena, dove le irregolarità occorrenti ne' conclavi sono pienamente riprovate.
E che diremo noi delle idee di questo giornalista, allorchè pretende aver la contessa Matilda donato alla Chiesa Romana Mantova, Parma, Reggio e Modena? Io nol posso assicurare che non ridano gl'intendenti delle leggi, all'udir sì fatte pretensioni. Davansi allora le città del regno d'Italia in governo e feudo. Come poterne disporre senza la permissione del sovrano? A questo confronto avrebbe anche potuto Matilda donare il ducato di Toscana, di cui era duchessa. E se ella avesse donata Ferrara, dove signoreggiò, ad alcuno, pare egli a questo valentuomo che legittima fosse stata una tal donazione? Bisogna poi ch'egli non abbia occhi, allorchè scrive ch'io chiamo gli Estensi duchi della stessa Ferrara fin dall'anno 1097. Lascerò ancora che altri dica qual nome si convenga a lui colà, dove in dispregio d'illustri principi osa trattare da spurio don Alfonso d'Este, figlio di Alfonso I duca di Ferrara, e padre del duca Cesare: cosa non mai sognata, non che pretesa, dai camerali romani, per essere una evidente menzogna e calunnia. Questo è un impiegare l'ingegno e il tempo non già in difesa, ma in obbrobrio della sacra corte di Roma, la quale per altro non potrà mai approvare chi con disordinate pretensioni, e fin colla calunnia, prende a combattere per lei.
Che se non per anche fosse questo animoso censore persuaso de' giusti diritti di chi scrive istorie, io il prego di ascoltare un giudice più autorevole di me in questa parte; cioè il celebre padre Mabillone, grande ornamento dell'ordine benedettino. Secondo il solito fu anch'egli costretto a udire i lamenti e rimbrotti di alcuni a cagion della veracità da lui parimente praticata nel compilare l'insigne opera degli Annali Benedettini. Si vide egli obbligato per questo ad una breve apologia, un pezzo di cui vien riferito dall'autore della di lui Vita, stampata fra' suoi Analetti. Eccone le parole: Ut aequitatis amor prima judicis dos est, sic et rerum anteactarum sincera et accurata investigatio historici munus esse debet. Judex persona publica est, ad suum cuique tribuendum constituta. Ejus judicio stant omnes in rebus, de quibus fert sententiam. Maximi proinde criminis reum se facit, si pro virili sua parte jus suum unicuique non reddat. Idem historici munus est, qui et ipse persona publica est, cujus fidei committitur examen rerum ab antiquis gestarum. Quum enim omnibus non liceat eas per se investigare; sententiam ejus sequuntur plerique, quos proinde fallit, [723-24] nisi aequam ferre conetur. Nec satis est tamen verum amet et investiget, nisi is insit animi candor, quo ingenue et aperte dicat, quod verum esse novit. Mentiri si christianis omnibus, a fortiori religiosam vitam professis nulla unquam ratione licet; longe minus, quum mendacium exitiate et perniciosum multis evadit. Fieri vero non potest, quia historici mendacia vertant in perniciem multorum, qui verbis ejus fidem adhidendo decipiuntur, dum errorem pro veritate amplectuntur. Non levis proinde ejus culpa est, quae tot alias secum trahit. Debet ergo, si candidus sit, procut studio partium certa ut certa, falsa ut falsa, dubia ut dubia tradere, neque dissimulare, quae utrique parti favere aut adversari possint. Questi, e non l'anonimo giornalista, sono stati a me, e saranno anche ad altri, i veri maestri per tessere una storia, che non paia indegna della pubblica luce.
[728]
[729]
An. di Cristo | |
1 | Caio Giulio Cesare, figliuolo d'Agrippa — Lucio Emilio Paolo. |
2 | P. Vincio — P. Alfenio Varo. |
3 | Lucio Elio Lamia — M. Servilio. |
4 | Sesto Elio Cato — Caio Senzio Saturnino. |
5 | Gneo Cornelio Cinna Magno — Lucio Valerio Messalla Voluso. |
6 | Marco Emilio Lepido — Lucio Arrunzio. |
7 | Aulo Licinio Nerva Siliano — Quinto Cecilio Metello Cretico Silano. |
8 | Marco Furio Camillo — Sesto Nonio Quintiliano. |
9 | Caio Pompeo Sabino — Quinto Sulpicio Camerino. |
10 | Publio Cornelio Dolabella — Caio Giunio Silano. |
11 | Manio Emilio Lepido — Tito Statilio Tauro. |
12 | Germanico Cesare — Caio Fonteio Capitone. |
13 | Caio Silio — Lucio Munazio Planco. |
14 | Sesto Pompeo — Sesto Appuleo. |
15 | Druso Cesare figliuolo di Tiberio — Caio Norbano Flacco. |
16 | Tito Statilio Sisenna Tauro — Lucio Scribonio Libone. |
17 | Caio Cecilio Rufo — Lucio Pomponio Flacco Grecino. |
18 | Claudio Tiberio Nerone imperadore per la terza volta — Germanico Cesare per la seconda. |
19 | Marco Giunio Silano — Lucio Norbano Balbo. |
20 | Marco Valerio Messalla — Marco Aurelio Cotta. |
21 | Claudio Tiberio Nerone Augusto per la quarta volta — Druso Cesare, suo figliuolo, per la seconda. |
[730] | |
22 | Quinto Haterio Agrippa — Caio Sulpicio Galba. |
23 | Caio Asinio Pollione — Lucio Antistio Vetere, o sia Vecchio. |
24 | Servio Cornelio Cetego — Lucio Visellio Varrone. |
25 | Marco Asinio Agrippa — Cosso Cornelio Lentolo. |
26 | Caio Calvisio Sabino — Gneo Cornelio Lentolo Getulio. |
27 | Marco Licinio Crasso — Lucio Calpurnio Pisone. |
28 | Appio Giunio Silano — Silio Nerva. |
29 | Lucio Rubellin Gemino — Caio Rufio Gemino. |
30 | Lucio Cassio Longino — Marco Vicinio. |
31 | Tiberio Augusto per la quinta volta — Lucio Elio Seiano. |
32 | Gneo Domizio Enobarbo — Marco Furio Camillo Scriboniano. |
33 | Lucio Sulpicio Galba — Lucio Cornelio Sulla Felice. |
34 | Paolo Fabio Persico — Lucio Vitellio. |
35 | Caio Cestio Gallo — Marco Servilio Moniano. |
36 | Sesto Papinio Allenio — Quinto Plauzio. |
37 | Gneo Acerronio Procolo — Caio Petronio Ponzio Negrino. |
38 | Marco Aquilio Giuliano — Publio Nonio Asprenate. |
39 | Caio Cesare Caligola Augusto per la seconda volta — Lucio Apronio Cesiano. |
40 | Caio Cesare Caligola Augusto per la terza volta; solo, perchè morì il collega console disegnato nell'ultimo dì del precedente anno. |
41 | Caio Cesare Caligola Augusto per la quarta volta — Gneo Senzio Saturnino. |
[731] | |
42 | Tiberio Claudio Germanico Augusto per la seconda volta — Caio Cecina Largo. |
43 | Tiberio Claudio Augusto per la terza volta — Lucio Vitellio per la seconda. |
44 | Lucio Quinzio Crispino per la seconda volta — Marco Statilio Tauro. |
45 | Marco Vinicio per la seconda volta — Tauro Statilio Corvino. |
46 | Publio Valerio Asiatico per la seconda volta — Marco Giunio Silano. |
47 | Tiberio Claudio Augusto Germanico per la seconda volta — Lucio Vitellio per la terza. |
48 | Aulo Vitellio — Quinto Vipsanio Publicola. |
49 | Aulo Pompeo Longino Gallo — Quinto Veranio. |
50 | Caio Antistio Vetere, o sia Vecchio — Marco Suillio Nervilino. |
51 | Tiberio Claudio Augusto per la quinta volta — Servio Cornelio Orfito. |
52 | Publio Cornelio Sulla Fausto — Lucio Salvio Ottone Tiziano. |
53 | Decimo Giunio Silano — Quinto Haterio Antonino. |
54 | Marco Asinio Marcello — Manio Acilio Aviola. |
55 | Nerone Claudio Augusto — Lucio Antistio Vetere, o sia Vecchio. |
56 | Quinto Volusio Saturnino — Publio Cornelio Scipione. |
57 | Nerone Claudio Augusto per la seconda volta — Lucio Calpurnio Pisone. |
58 | Nerone Claudio Augusto per la terza volta — Valerio Messalla. |
59 | Lucio Vipstano Aproniano — Lucio Fonteio Capitone. |
60 | Nerone Claudio Augusto per la quarta volta — Cosso Cornelio Lentulo. |
61 | Caio Cesonio Peto — Caio Petronio Turpiliano. |
62 | Publio Mario Celso — Lucio Asinio Gallo. |
63 | Caio Memmio Regolo — Lucio Virginio, o sia Virginio Rufo. |
64 | Caio Lecanio Basso — Marco Licinio Crasso. |
65 | Aulo Licinio Nerva Siliano — Marco Vestinio Attico. |
66 | Caio Lucio Telesino — Caio Suetonio Paolino. |
67 | Lucio Fonteio Capitone — Caio Giulio Rufo. |
68 | Caio Silio Italico — Marco Galerio Tracalo. |
69 | Servio Sulpicio Galba imperadore per la seconda volta — Tito Vinio Ruffino. |
70 | Flavio Vespasiano Augusto per la seconda volta — Tito Flavio Cesare suo figliuolo. |
71 | Flavio Vespasiano Augusto per la terza volta — Marco Cocceio Nerva. |
72 | Flavio Vespasiano Augusto per la quarta volta — Tito Flavio Cesare per la seconda. |
73 | Flavio Domiziano Cesare per la seconda volta — Marco Valerio Messalino. |
74 | Flavio Vespasiano Augusto per la quinta volta — Tito Flavio Cesare per la terza. |
75 | Flavio Vespasiano Augusto per la sesta volta — Tito Flavio Cesare per la quarta. |
76 | Flavio Vespasiano Augusto per la settima volta — Tito Flavio Cesare per la quinta. |
77 | Flavio Vespasiano Augusto per l'ottava volta — Tito Flavio Cesare per la sesta. |
[732] | |
78 | Lucio Ceionio Commodo — Decimo Novio Prisco. |
79 | Flavio Vespasiano Augusto per la nona volta — Tito Flavio Cesare per la settima. |
80 | Tito Flavio Augusto per l'ottava volta — Domiziano Cesare per la settima. |
81 | Lucio Flavio Silva Nonio Basso — Asinio Pollione Verrucoso. |
82 | Flavio Domiziano Augusto per l'ottava volta — Tito Flavio Sabino. |
83 | Flavio Domiziano Augusto per la nona volta — Quinto Petilio Rufo per la seconda. |
84 | Flavio Domiziano Augusto per la decima volta — Sabino. |
85 | Flavio Domiziano Augusto per l'undecima volta — Tito Aurelio Fulvo o Fulvio. |
86 | Flavio Domiziano Augusto per la dodicesima volta — Servio Cornelio Dolabella Metiliano Pompeo Marcello. |
87 | Flavio Domiziano Augusto per la tredicesima volta — Aulo Volusio Saturnino. |
88 | Flavio Domiziano Augusto per la quattordicesima volta — Lucio Minucio Rufo. |
89 | Tito Aurelio Fulvo per la seconda volta — Aulo Sempronio Atratino. |
90 | Flavio Domiziano Augusto per la quindicesima volta — Marco Cocceio Nerva per la seconda. |
91 | Marco Ulpio Traiano — Marco Acinio Glabrione. |
92 | Flavio Domiziano Augusto per la sedicesima volta — Quinto Volusio Saturnino. |
93 | Pompeo Collega — Cornelio Prisco. |
94 | Lucio Nonio Torquato Asprenate — Tito Sestio Magio Laterano. |
95 | Flavio Domiziano Augusto per la diecisettesima volta — Tito Flavio Clemente. |
96 | Caio Antistio Vetere — Caio Manlio Valente. |
97 | Marco Cocceio Nerva Augusto per la terza volta — Lucio Virginio Rufo per la terza. |
98 | Marco Cocceio Nerva Augusto per la quarta volta — Marco Ulpio Traiano per la seconda. |
99 | Aulo Cornelio Palma — Caio Sosio Senecione. |
100 | Marco Ulpio Nerva Traiano Augusto per la terza volta — Marco Cornelio Frontone per la terza. |
101 | Marco Ulpio Nerva Traiano Augusto per la quarta volta — Sesto Articolaio. |
102 | Caio Sosio Senecione per la terza volta — Lucio Licinio Sura per la seconda. |
103 | Marco Ulpio Nerva Traiano Augusto per la quinta volta — Lucio Appio Massimo per la seconda. |
104 | Lucio Licinio Sura per la seconda volta — Publio Orazio Marcello. |
105 | Tiberio Giulio Candido per la seconda volta — Aulo Giulio Quadrato per la seconda. |
106 | Lucio Ceionio Commodo Vero — Lucio Tuzio Cereale. |
107 | Lucio Licinio Sura per la terza volta — Caio Sosio Senecione per la quarta. |
108 | Appio Annio Trebonio Gallo — Marco Atilio Metilio Bradua. |
[733] | |
109 | Aulo Cornelio Palma per la seconda volta — Caio Calvisio Tullo per la seconda. |
110 | Servio Salvidieno Orfilo — Marco Peduceo Priscinio. |
111 | Caio Calpurnio Pisone — Marco Vezio Bolano. |
112 | Marco Ulpio Nerva Traiano Augusto per la sesta volta — Tito Sestio Africano. |
113 | Lucio Publicio Celso per la seconda volta — Lucio Clodio Priscino. |
114 | Quinto Ninnio Hasta — Publio Manilio Vopisco. |
115 | Lucio Vipstanio Messala — Marco Vergiliano Pedone. |
116 | Lucio Elio Lamia — Eliano Vetere. |
117 | Quinzio Negro — Caio Vipstanio Aproniano. |
118 | Elio Adriano Augusto per la seconda volta — Tiberio Claudio Fosco Alessandro. |
119 | Elio Adriano Augusto per la terza volta — Quinto Giamo Rustico. |
120 | Lucio Catilio Severo — Tito Aurelio Fulvo. |
121 | Lucio Annio Vero per la seconda volta — Aurelio Augurino. |
122 | Manio Acilio Aviola — Caio Cornelio Pansa. |
123 | Quinto Arrio Petino — Lucio Venuleio Aproniano. |
124 | Manio Acilio Glabrione — Caio Bellicio Torquato. |
125 | Publio Cornelio Scipione Asiatico per la seconda volta — Quinto Vezio Aquilino. |
126 | Marco Annio Vero per la terza volta — Eggio Ambibulo. |
127 | Tiziano — Gallicano. |
128 | Lucio Nonio Asprenate Torquato per la seconda volta — Marco Annio Libone. |
129 | Quinto Giulio Balbo — Publio Giuvenzio Celso per la seconda volta. |
130 | Quinto Fabio Catullino — Marco Flavio Aspro. |
131 | Servio Ottavio Lenate Ponziano — Marco Antonio Rufino. |
132 | Senzio Augurino — Arrio Severiano per la seconda volta. |
133 | Marco Antonio Ibero — Nummio Sisena. |
134 | Caio Giulio Serviano per la terza volta — Caio Vibio Varo. |
135 | Ponziano — Atiliano. |
136 | Lucio Ceionio Commodo Vero — Sesto Vetuleno Civica Pompeiano. |
137 | Lucio Elio Cesare per la seconda volta — Lucio Celio Baldino Vibulio Pio. |
138 | Camerino — Negro. |
139 | Tito Elio Adriano Antonino Pio Augusto per la seconda volta — Caio Bruzio Presente per la seconda. |
140 | Tito Elio Adriano Antonino Pio Augusto per la terza volta — Marco Elio Aurelio Vero Cesare. |
141 | Marco Peduceo Siloga, Priscino — Tito Hoenio Severo. |
142 | Lucio Cuspio Rufino — Lucio Stazio Quadrato. |
143 | Caio Bellicio Torquato — Tiberio Claudio Attico Erode. |
144 | Publio Lolliano Avito — Massimo. |
[734] | |
145 | Tito Elio Adriano Antonino Pio Augusto per la quarta volta — Marco Elio Aurelio Vero Cesare per la seconda. |
146 | Sesto Erucio Claro per la seconda volta — Gneo Claudio Severo. |
147 | Largo — Messalino. |
148 | Lucio Torquato per la terza volta — Marco Salvio Giuliano. |
149 | Servio Scipione Orfito — Quinto Nonio Prisco. |
150 | Gallicano — Vetere. |
151 | Sesto Quintilio Condiano — Sesto Quintilio Massimo. |
152 | Marco Acilio Glabrione — Marco Valerio Omulo, o sia Omullo. |
153 | Caio Bruzio Presente per la terza volta — Aulo Giunio Rufino. |
154 | Lucio Elio Aurelio Commodo — Tito Sestio Laterano. |
155 | Caio Giulio Severo — Marco Giunio Rufino Sabiniano. |
156 | Marco Ceionio Silvano — Caio Serio Augurino. |
157 | Barbaro — Regolo. |
158 | Tertullo — Claudio Sacerdote. |
159 | Plauzio Quintilio perla seconda volta — Stazio Prisco. |
160 | Appio Annio Atilio Bradua — Tito Clodio Vibio Varo. |
161 | Marco Aurelio Vero Cesare per la terza volta — Lucio Elio Aurelio Commodo per la seconda. |
162 | Quinto Giunio Rustico — Caio Vezio Aquilino. |
163 | Leliano — Pastore. |
164 | Marco Pompeo Macrino — Publio Juvenzio Celso. |
165 | Lucio Arrio Pudente — Marco Gavio Orfito. |
166 | Quinto Servilio Pudente — Lucio Fufidio Pollione. |
167 | Lucio Elio Aurelio Vero Augusto per la terza volta — Quadrato. |
168 | Aproniano — Lucio Vezio Paolo. |
169 | Quinto Sosio Prisco Senecione — Publio Celio Apollinare. |
170 | Marco Cornelio Cetego — Caio Erucio Claro. |
171 | Lucio Settimio Severo per la seconda volta — Lucio Aufidio Erenniano. |
172 | Massimo — Orfito. |
173 | Marco Aurelio Severo per la seconda volta — Tiberio Claudio Pompeiano. |
174 | Gallo — Flacco. |
175 | Calpurnio Pisone — Marco Salvio Giuliano. |
176 | Tito Vitrasio Pollione per la seconda volta Marco Flavio Apro per la seconda. |
177 | Lucio Aurelio Commodo Cesare o pure Augusto — Quintilio. |
178 | Orfito — Rufo. |
179 | Lucio Aurelio Commodo Augusto per la seconda volta. — Publio Marzio Vero. |
180 | Caio Bruzio Presente per la seconda volta — Sesto Quintilio Condiano. |
181 | Marco Aurelio Antonino Commodo Augusto per la terza volta — Ludio Antistio Burro. |
182 | Pomponio Mamertino — Rufo. |
[735] | |
183 | Marco Aurelio Antonino Commodo Augusto per la quarta volta — Caio Aufidio Vittorino per la seconda. |
184 | Lucio Cossinio Eggio Marullo — Gneo Papirio Eliano. |
185 | Marco Cornelio Negrino Curiazio Materno — Marco Attilio Bradua. |
186 | Marco Aurelio Antonino Commodo Augusto per la quinta volta — Manio Acilio Glabrione per la seconda. |
187 | Crispino — Eliano. |
188 | Caio Allio Fusciano per la seconda volta — Duillio Silano per la seconda. |
189 | Silano — Silano. |
190 | Marco Aurelio Antonino Commodo Augusto per la sesta volta — Marco Petronio Settimiano. |
191 | Cassio Aproniano — Bradua. |
192 | Marco Aurelio Antonino Commodo Augusto per la settima volta — Publio Elvio Pertinace per la seconda. |
193 | Quinto Sosio Falcone — Caio Giulio Erneio Claro. |
194 | Lucio Settimio Severo Augusto per la seconda volta — Decimo Clodio Settimio Albino Cesare per la seconda. |
195 | Scapola Tertullo — Tineio Clemente. |
196 | Caio Domizio Destro per la seconda volta — Lucio Valerio Messala Trasia Prisco. |
197 | Appio Claudio Laterano — Rufino. |
198 | Saturnino — Gallo. |
199 | Publio Cornelio Anulino per la seconda volta — Marco Aufidio Frontone. |
200 | Tiberio Claudio Severo — Caio Aufidio Vittorino. |
201 | Lucio Annio Fabiano — Marco Nonio Arrio Muciano. |
202 | Lucio Settimio Severo Augusto per la terza volta — Marco Aurelio Antonino Caracalla Augusto. |
203 | Lucio Fulvio Plauziano per la seconda volta — Publio Settimio Geta. |
204 | Lucio Fabio Settimio Cilone per la seconda volta — Flavio Libone. |
205 | Marco Aurelio Antonino Caracalla Augusto per la 2.ª volta — Publio Settimio Geta Cesare. |
206 | Lucio Fulvio Rustico Emiliano — Marco Nummio Primo Senecione Albino. |
207 | Apro — Massimo. |
208 | Marco Aurelio Antonino Caracalla Augusto per la terza volta — Publio Settimio Geta Cesare per la seconda. |
209 | Pompeiano — Avito. |
210 | Manio Acilio Faustino — Triario Rufino. |
211 | Genziano — Basso. |
212 | Caio Giulio Aspro per la seconda volta — Caio Giulio Aspro. |
213 | Marco Aurelio Antonino Caracalla Augusto per la quarta volta — Decimo Celio Balbino per la seconda. |
214 | Messalla — Sabino. |
215 | Leto per la seconda volta — Cereale. |
216 | Cazio Sabino per la seconda volta — Cornelio Anulino. |
217 | Caio Bruzio Presente — Tito Messio Extricato per la seconda volta. |
[736] | |
218 | Marco Opellio Severo Macrino Augusto — Oclatino Advento. |
219 | Marco Aurelio Antonino Elagabalo per la seconda volta — Sacerdote per la seconda. |
220 | Marco Aurelio Antonino Elagabalo per la terza volta — Eutichiano Comazonte. |
221 | Grato Sabiniano — Claudio Seleuco. |
222 | Marco Aurelio Antonino Elagabalo per la quarta volta — Marco Aurelio Alessandro Severo. |
223 | Lucio Mario Massimo per la seconda volta — Lucio Roscio Eliano. |
224 | Giuliano per la seconda volta — Crispino. |
225 | Fosco per la seconda volta — Destro. |
226 | Marco Aurelio Severo Alessandro Augusto per la seconda volta — Lucio Aufidio Marcello per la seconda. |
227 | Albino — Massimo. |
228 | Modesto — Probo. |
229 | Marco Aurelio Severo Aless. Aug. per la terza volta — Dione Cassio per la seconda. |
230 | Lucio Virio Agricola — Sesto Catio Clesmentino. |
231 | Pompeiano — Peligniano. |
232 | Lupo — Massimo. |
233 | Massimo — Paterno. |
234 | Massimo per la seconda volta — Caio Celio Urbano. |
235 | Severo — Quinziano. |
236 | Caio Giulio Massimino Augusto — Africano. |
237 | Perpetuo — Corneiiano. |
238 | Pio — Ponziano. |
239 | Marco Antonio Gordiano Augusto — Manio Acilio Aviola. |
240 | Sabino per la seconda volta — Venusto. |
241 | Marco Antonio Gordiano Augusto per la seconda volta — Civica Pompeiano. |
242 | Caio Vezio Attico — Caio Asinio Pretestato. |
243 | Arriano — Papo. |
244 | Pellegrino — Emiliano. |
245 | Marco Giulio Filippo Augusto — Tiziano. |
246 | Presente — Albino. |
247 | Marco Giulio Filippo Augusto per la seconda volta — Marco Giulio Filippo Cesare. |
248 | Marco Giulio Filippo seniore Augusto per la terza volta — Marco Giulio Filippo juniore Augusto per la seconda. |
249 | Marco Emiliano per la seconda volta — Giunio Aquilino. |
250 | Caio Messio Quinto Traiano Decio Augusto per la seconda volta — Massimo Grato. |
251 | Caio Messio Quinto Traiano Decio Augusto per la terza volta — Quinto Erennio Etrusco Decio Cesare. |
252 | Caio Treboniano Gallo Augusto per la seconda volta — Caio Vibio Volusiano Cesare. |
253 | Caio Vibio Gallo Augusto per la seconda volta — Massimo. |
254 | Publio Licinio Valeriano Augusto per la seconda volta — Publio Licinio Gallieno Augusto. |
255 | Publio Licinio Valeriano Augusto per la terza volta — Publio Licinio Gallieno Augusto per la seconda. |
[737] | |
256 | Massimo — Glabrione. |
257 | Publio Licinio Valeriano Augusto per la quarta volta — Publio Licinio Gallieno Augusto per la terza. |
258 | Memmio Tosco — Basso. |
259 | Emiliano — Basso. |
260 | Publio Cornelio Secolare per la seconda volta — Giunio Donato per la seconda. |
261 | Publio Licinio Gallieno Augusto per la quarta volta — Lucio Petronio Tauro Volusiano. |
262 | Publio Licinio Gallieno Augusto per la quinta volta — Faustino. |
263 | Albino per la seconda volta — Massimo Destro. |
264 | Publio Licinio Gallieno Augusto per la sesta volta — Saturnino. |
265 | Publio Licinio Valeriano per la seconda volta — Lucio Cesonio Lucillio Macro Rufiniano. |
266 | Publio Licinio Gallieno Augusto per la settima volta — Sabinillo. |
267 | Paterno — Arcesilao. |
268 | Paterno per la seconda volta — Mariniano. |
269 | Marco Aurelio Claudio Augusto — Paterno. |
270 | Antioco per la seconda volta — Orfito. |
271 | Lucio Domizio Aureliano Augusto — Basso per la seconda volta. |
272 | Quinto — Veldumiano o sia Veldumniano. |
273 | Marco Claudio Tacito — Placidiano. |
274 | Lucio Domizio Aureliano Augusto per la seconda volta — Caio Giulio Capitolino. |
275 | Lucio Domizio Aureliano Augusto per la terza volta — Tito Nonio Marcellino. |
276 | Marco Claudio Tacito Augusto per la seconda volta — Emiliano. |
277 | Marco Aurelio Probo Augusto — Marco Aurelio Paolino. |
278 | Marco Aurelio Probo Augusto per la seconda volta — Lupo. |
279 | Marco Aurelio Probo Augusto per la terza volta — Nonio Marcello per la seconda. |
280 | Messala — Grato. |
281 | Marco Aurelio Probo Augusto per la quarta volta — Tiberiano. |
282 | Marco Aurelio Probo Augusto per la quinta volta — Vittorino. |
283 | Marco Aurelio Caro Augusto — Marco Aurelio Carino Cesare. |
284 | Marco Aurelio Carino Augusto per la seconda volta — Marco Aurelio Numeriano Augusto. |
285 | Marco Aurelio Carino Augusto per la terza volta — Aristobolo — Caio Aurelio Valerio Diocleziano Augusto per la seconda volta nell'Oriente. |
286 | Marco Giunio Massimo per la seconda volta — Vezio Aquilino. |
287 | Caio Aurelio Valerio Diocleziano Augusto per la terza volta — Marco Aurelio Valerio Massimiano. |
288 | Marco Aurelio Valerio Massimiano Augusto per la seconda volta — Pomponio Januario. |
289 | Basso per la seconda volta — Quinziano. |
290 | Caio Aurelio Valerio Diocleziano Augusto per la quarta volta — Marco Aurelio Valerio Massimiano Augusto per la terza. |
[738] | |
291 | Caio Giunio Tiberiano per la seconda volta — Dione. |
292 | Annibaliano — Asclepiodoto. |
293 | Caio Aurelio Valerio Diocleziano Augusto per la quinta volta — Marco Aurelio Valerio Massimiano Augusto per la quarta. |
294 | Flavio Valerio Cosiamo Cesare — Caio Galerio Valerio Massimiano Cesare. |
295 | Tosco — Anulino. |
296 | Caio Aurelio Valerio Diocleziano Augusto per la sesta volta — Flavio Valerio Costanzo Cesare per la seconda. |
297 | Marco Aurelio Valerio Massimiano Augusto per la quinta volta — Caio Galerio Valerio Massimiano Cesare per la seconda. |
298 | Anicio Fausto — Virio Gallo. |
299 | Caio Aurelio Valerio Diocleziano Augusto per la settima volta — Marco Aurelio Valerio Massimiano Augusto per la sesta. |
300 | Flavio Valerio Costanzo Cesare per la terza volta — Caio Galerio Valerio Massimiano Cesare per la terza. |
301 | Tiziano per la seconda volta — Nepoziano. |
302 | Flavio Valerio Costanzo Cesare per la quarta volta — Caio Galerio Valerio Massimiano Cesare per la quarta. |
303 | Caio Aurelio Valerio Diocleziano Augusto per la ottava volta — Marco Aurelio Valerio Massimiano Augusto per la settima. |
304 | Caio Aurelio Valerio Diocleziano Augusto per la nona volta — Marco Aurelio Valerio Massimiano Augusto per l'ottava. |
305 | Flavio Valerio Costanzo Cesare per la quinta volta — Caio Galerio Valerio Massimiano Cesare per la quinta. |
306 | Flavio Valerio Costanzo Augusto per la sesta volta — Caio Galerio Valerio Massimiano Augusto per la sesta. |
307 | Marco Aurelio Valerio Massimiano Augusto per la nona volta — Flavio Valerio Costantino Cesare. |
308 | Marco Aurelio Valerio Massimiano Augusto per la decima volta — Caio Galerio Valerio Massimiano Augusto per la settima. |
309 | Massenzio Augusto per la seconda volta — Romolo Cesare per la seconda. |
310 | Massenzio imperadore solo. |
311 | Caio Galerio Massimiano Augusto per la ottava volta. |
312 | Flavio Valerio Costantino Augusto per la seconda volta — Publio Valerio Liciniano Licinio Augusto per la seconda. |
313 | Flavio Valerio Costantino Augusto per la terza volta — Publio Valerio Liciniano Licinio Augusto per la terza. |
314 | Caio Celonio Rufio Volusiano per la seconda volta — Anniano. |
315 | Flavio Valerio Costantino Augusto per la quarta volta — Publio Valerio Liciniano Licinio Augusto per la quarta. |
316 | Sabino — Rufino. |
317 | Ovinio Gallicano — Basso. |
318 | Publio Valerio Liciniano Licinio Augusto per la quinta volta — Flavio Giulio Crispo Cesare. |
[739] | |
319 | Flavio Valerio Costantino Augusto per la quinta volta — Valerio Licinio Liciniano Cesare. |
320 | Flavio Valerio Costantino Augusto per la sesta volta — Flavio Valerio Costantino juniore Cesare. |
321 | Flavio Giulio Crispo Cesare per la seconda volta — Flavio Valerio Costantino juniore Cesare per la seconda. |
322 | Petronio Probiano — Anicio Giuliano. |
323 | Acilio Severo — Vezio Rufino. |
324 | Flavio Giulio Crispo Cesare per la terza volta — Flavio Valerio Costantino juniore Cesare per la terza. |
325 | Paolino — Giuliano. |
326 | Flavio Valerio Costantino Augusto per la settima volta — Flavio Giulio Costanzo Cesare. |
327 | Flavio Valerio Costantino — Massimo. |
328 | Januario — Giusto. |
329 | Flavio Valerio Costantino Augusto per l'ottava volta — Flavio Valerio Costantino juniore Cesare per la quarta. |
330 | Gallicano — Simmaco. |
331 | Annio Basso — Ablavio. |
332 | Pacaziano — Ilariano. |
333 | Flavio Delmazio — Zenofilo. |
334 | Lucio Ranio Aconzio Optato — Anicio Paolino juniore. |
335 | Giulio Costanzo — Ceionio Rufio Albino. |
336 | Flavio Popolio Nepoziano — Facondo. |
337 | Feliciano — Tiberio Fabio Tiziano. |
338 | Orso — Polemio. |
339 | Flavio Giulio Costanzo Augusto per la seconda volta — Flavio Giulio Costante Augusto. |
340 | Acindino — Lucio Aradio Valerio Procolo. |
341 | Antonio Marcellino — Petronio Probino. |
342 | Flavio Giulio Costanzo Augusto per la terza volta — Flavio Giulio Costante Augusto per la seconda. |
343 | Marco Mecio Memmio Furio Baburio Ceciliano Procolo — Romolo. |
344 | Leonzio — Sallustio. |
345 | Amanzio — Albino. |
346 | Flavio Giulio Costanzo Augusto per la quarta volta — Flavio Giulio Costante Augusto per la terza. |
347 | Rufino — Eusebio. |
348 | Flavio Filippo — Flavio Salio o Salia. |
349 | Ulpio Limenio — Acone o sia Aconia Catulino Filomazio o Filoniano. |
350 | Sergio — Negriniano. |
351 | Dopo il Consolato di Sergio — Negriniano. |
352 | Flavio Costanzo Augusto per la quinta volta — Flavio Costanzo Gallo Cesare. |
353 | Flavio Costanzo Augusto per la sesta volta — Flavio Costanzo Gallo Cesare per la seconda. |
354 | Flavio Costanzo Augusto per la settima volta — Flavio Costanzo Gallo Cesare per la terza. |
355 | Flavio Arbezione — Quinto Flavio Mesio Egnazio Lolliano. |
356 | Flavio Costanzo Augusto per l'ottava volta — Flavio Claudio Giuliano Cesare. |
[740] | |
357 | Flavio Costanzo Augusto per la nona volta — Flavio Claudio Giuliano Cesare per la seconda. |
358 | Daziano — Nerazio Cereale. |
359 | Flavio Eusebio — Flavio Ipazio. |
360 | Flavio Costanzo Augusto per la decima volta — Flavio Claudio Giuliano Cesare per la terza. |
361 | Flavio Tauro — Flavio Fiorenzo. |
362 | Mamertino — Nevitta. |
363 | Flavio Claudio Giuliano Augusto per la quarta volta — Secondo Sallustio. |
364 | Flavio Claudio Gioviano Augusto — Flavio Varroniano, nobilissimo fanciullo. |
365 | Flavio Valentiniano — Flavio Valente Augusti. |
366 | Graziano, nobilissimo fanciullo — Dagalaifo. |
367 | Lupicino — Giovino. |
368 | Flavio Valentiniano Augusto per la seconda volta — Flavio Valente Augusto per la seconda. |
369 | Flavio Valentiniano, nobilissimo fanciullo — Vettore. |
370 | Flavio Valentiniano Augusto per la terza volta — Flavio Valente Augusto per la terza. |
371 | Flavio Graziano Augusto per la seconda volta — Sesto Anicio Petronio Probo. |
372 | Domiziano Modesto — Arienteo. |
373 | Flavio Valentiniano Augusto per la quarta volta — Flavio Valente Augusto per la quarta. |
374 | Flavio Graziano Augusto per la terza volta — Equizio. |
375 | Dopo il consolato di Graziano Augusto per la terza volta e di Equizio. |
376 | Flavio Valente Augusto per la quinta volta — Flavio Valentiniano juniore Augusto. |
377 | Flavio Graziano Augusto per la quarta volta — Merobaude. |
378 | Flavio Valente Augusto per la sesta volta — Flavio Valentiniano juniore Augusto per la seconda. |
379 | Decimo Magno Ausonio — Quinto Clodio Ermogeniano Olibrio. |
380 | Flavio Graziano Augusto per la quinta volta — Flavio Teodosio Augusto. |
381 | Flavio Siagrio — Flavio Eucherio. |
382 | Antonio — Afranio Siagrio. |
383 | Flavio Merobaude per la seconda volta — Flavio Saturnino. |
384 | Flavio Ricomere — Clearco. |
385 | Flavio Arcadio Augusto — Bautone. |
386 | Flavio Onorio, nobilissimo fanciullo — Evodio. |
387 | Flavio Valentiniano Augusto per la terza volta — Eutropio. |
388 | Flavio Teodosio Augusto per la seconda volta — Cinegio. |
389 | Flavio Timasio — Flavio Promolo. |
390 | Flavio Valentiniano Augusto per la quarta volta — Neoterio. |
391 | Taziano — Quinto Aurelio Simmaco. |
392 | Flavio Arcadio Augusto per la seconda volta — Rufino. |
393 | Flavio Teodosio Augusto per la terza volta — Abbondanzio. |
[741] | |
394 | Flavio Arcadio Augusto per la terza volta — Flavio Onorio Augusto per la seconda. |
395 | Anicio Ermogeniano Olibrio — Anicio Probino. |
396 | Flavio Arcadio Augusto per la quarta volta — Flavio Onorio Augusto per la terza. |
397 | Flavio Cesario — Nonio Attico. |
398 | Flavio Onorio Augusto per la quarta volta — Flavio Eutichiano. |
399 | Eutropio — Flavio Mallio Teodoro. |
400 | Flavio Stilicone — Aureliano. |
401 | Vincenzo — Fravita. |
402 | Flavio Arcadio Augusto per la quinta volta — Flavio Onorio Augusto per la quinta. |
403 | Teodosio Augusto — Flavio Rumorido. |
404 | Flavio Onorio Augusto per la sesta volta — Aristeneto. |
405 | Flavio Stilicone per la seconda volta — Antemio. |
406 | Flavio Arcadio Augusto per la sesta volta — Anicio Probo. |
407 | Flavio Onorio Augusto per la settima volta — Teodosio Augusto per la seconda. |
408 | Anicio Basso — Flavio Filippo. |
409 | Flavio Onorio Augusto per l'ottava volta — Teodosio Augusto per la terza. |
410 | Flavio Varane — Tertullo. |
411 | Teodosio Augusto per la quarta volta senza collega. |
412 | Flavio Onorio Augusto per la nona volta — Teodosio Augusto per la quinta. |
413 | Lucio — Eracliano. |
414 | Flavio Costanzo — Flavio Costante. |
415 | Flavio Onorio Augusto per la decima volta — Teodosio Augusto per la sesta. |
416 | Teodosio Augusto per la settima volta — Giunio Quarto Palladio. |
417 | Flavio Onorio Augusto per l'undecima volta — Flavio Costanzo per la seconda. |
418 | Flavio Onorio Augusto per la dodicesima volta — Teodosio Augusto per l'ottava. |
419 | Monasio — Plenta. |
420 | Teodosio Augusto per la nona volta — Flavio Costanzo per la terza. |
421 | Eustazio — Agricola. |
422 | Flavio Onorio Augusto per la tredicesima volta — Teodosio Augusto per la decima. |
423 | Asclepiodato — Flavio Avito Mariniano. |
424 | Castino — Vittore. |
425 | Teodosio Augusto per l'undecima volta — Valentiniano Cesare. |
426 | Teodosio Augusto per la dodicesima volta — Valentiniano Augusto per la seconda. |
427 | Jerio — Ardaburio. |
428 | Flavio Felice — Tauro. |
429 | Fiorenzo — Dionisio. |
430 | Teodosio Augusto per la tredicesima volta — Valentiniano Augusto per la terza. |
431 | Basso — Flavio Antioco. |
432 | Flavio Aezio — Valerio. |
433 | Teodosio Augusto per la quattordicesima volta — Petronio Massimo. |
434 | Ariovindo — Aspare. |
435 | Teodosio Augusto per la quindicesima volta — Valentiniano Augusto per la quarta. |
[742] | |
436 | Flavio Antemio Isidoro — Flavio Senatore. |
437 | Aezio per la seconda volta — Sigisboldo. |
438 | Teodosio Augusto per la sedicesima volta — Anicio Acilio Glabrione Fausto. |
439 | Teodosio Augusto per la diecisettesima volta — Festo. |
440 | Valentiniano Augusto per la quinta volta — Anatolio. |
441 | Ciro solo. |
442 | Dioscoro — Eudossio. |
443 | Petronio Massimo per la seconda volta — Paterno o piuttosto Paterio. |
444 | Teodosio Augusto per la diciottesima volta — Albino. |
445 | Valentiniano Augusto per la sesta volta — Nomo o sia Nonio. |
446 | Flavio Aezio per la terza volta — Quinto Aurelio Simmaco. |
447 | Callipio o sia Alipio — Ardaburio. |
448 | Flavio Zenone — Rufio Pretestato Postumiano. |
449 | Flavio Asturio — Flavio Protogene. |
450 | Valentiniano Augusto per la settima volta — Gennadio Avieno. |
451 | Flavio Marciano Augusto — Flavio Adelfio. |
452 | Sporacio — Flavio Erculano. |
453 | Vincomalo — Opilione. |
454 | Aezio — Studio. |
455 | Valentiniano Augusto per l'ottava volta — Antemio. |
456 | In Oriente Varane — Giovanni; in Occidente Eparchio Avito Augusto. |
457 | Flavio Costantino — Rufo. |
458 | Flavio Leone Augusto — Flavio Maiorano Augusto. |
459 | Patrizio — Flavio Ricimere. |
460 | Magno — Apollonio. |
461 | Severino — Dagalaifo. |
462 | Flavio Leone Augusto per la seconda volta — Libio Severo Augusto. |
463 | Flavio Cecina Basilio — Viviano. |
464 | Rusticio — Flavio Anicio Olibrio. |
465 | Flavio Rasilisco — Ermenerico. |
466 | Flavio Leone Augusto per la terza volta — Taziano. |
467 | Puseo — Giovanni. |
468 | Antemio Augusto per la seconda volta senza collega. |
469 | Marciano — Zenone. |
470 | Severo — Giordano. |
471 | Flavio Leone Augusto per la quarta volta — Probiano. |
472 | Festo — Marciano. |
473 | Flavio Leone Augusto per la quinta volta senza collega. |
474 | Flavio Leone juniore Augusto senza collega. |
475 | Flavio Leone Augusto per la seconda volta senza collega. |
476 | Flavio Basilisco per la seconda volta — Armato. |
477 | Senza consoli, e però l'anno fu notato: Post Consulatum Basilici II et Armati. |
478 | Ilio senza collega. |
479 | Flavio Zenone Augusto per la terza volta senza collega. |
[743] | |
480 | Basilio juniore senza collega. |
481 | Placido senza collega. |
482 | Trocondo — Severino. |
483 | Fausto senza collega. |
484 | Teoderico — Venanzio. |
485 | Quinto Aurelio Memmio Simmaco juniore senza collega. |
486 | Decio — Longino. |
487 | Boezio senza collega. |
488 | Dinamio — Sifidio. |
489 | Probino — Eusebio. |
490 | Flavio Fausto juniore — Longino per la seconda volta. |
491 | Oliario juniore senza collega. |
492 | Flavio Anastasio Augusto — Rufo. |
493 | Eusebio per la seconda volta — Albino. |
494 | Torcio Rufino Aproniano Asterio — Presidio. |
495 | Flavio Viatore senza collega. |
496 | Paolo senza collega. |
497 | Flavio Anastasio Augusto per la seconda volta senza collega. |
498 | Giovanni Scita — Paolino. |
499 | Giovanni il Gobbo senza collega. |
500 | Ipazio — Patricio. |
501 | Rufio Magno Fausto Avieno — Flavio Pompeo. |
502 | Flavio Avieno juniore — Probo. |
503 | Desicrate — Velusiano. |
504 | Cetego senza collega. |
505 | Sabiniano — Teodoro. |
506 | Ariobindo — Messala. |
507 | Flavio Anastasio Augusto per la terza volta — Venanzio. |
508 | Celere — Venanzio juniore. |
509 | Importuno senza collega. |
510 | Anicio Manlio Severino Boezio senza collega. |
511 | Secondino — Felice. |
512 | Paolo — Muschiano. |
513 | Probo — Clementino. |
514 | Il senatore senza collega. Il senatore è Magno Aurelio Cassiodorio. |
515 | Antemio — Fiorenzo. |
516 | Pietro, senza collega. |
517 | Flavio Anastasio — Agapito. |
518 | Magno senza collega. |
519 | Flavio Giustino Augusto — Eutarico. |
520 | Vitaliano — Rustico o Rusticio. |
521 | Flavio Giustiniano — Valerio. |
522 | Simmaco — Boezio. |
523 | Flavio Anicio Massimo senza collega. |
[744] | |
524 | Flavio Giustino Augusto per la seconda volta — Opilione. |
525 | Flavio Teodoro Filosseno — Anicio Probo juniore. |
526 | Olibrio senza collega. |
527 | Vezio Agorio Basilio Mavorzio senza collega. |
528 | Flavio Giustiniano Augusto per la seconda volta senza collega. |
529 | Decio juniore senza collega. |
530 | Flavio Lampadio — Oreste. |
531 | Senza consoli. |
532 | Senza consoli. |
533 | Flavio Giustiniano Augusto per la terza volta senza collega. |
534 | Flavio Giustiniano Augusto per la quarta volta — Flavio Teodoro Paolino juniore. |
535 | Flavio Belisario senza collega. |
536 | Senza consoli. |
537 | Senza consoli. |
538 | Flavio Giovanni senza collega. |
539 | Flavio Appione senza collega. |
540 | Flavio Giustino juniore senza collega |
541 | Flavio Basilio iuniore senza collega. |
E questo si può dire l'ultimo de' Consolati ordinarii dell'imperio romano, se non che Giustino Augusto iuniore lo rinnovò nell'anno 566, secondo il cardinal Baronio, non nel 567, come vuole il padre Pagi. Vedi Annal., ivi e 569.
Gl'imperadori d'Oriente continuarono poi un consolato perpetuo, notando l'anno col post consulatum I o II, ec. Nel che però si osserva in alcuni degli autori antichi una strana maniera di disegnar gli anni dopo la morte di Giustiniano Augusto; cioè, in vece di dire il primo anno dopo il consolato preso nell'anno precedente dall'imperadore, diceano l'anno secondo dopo il consolato. Annali, tom. VI, ann. 581.
Ma dopo il consolato di Giustino 566, di Tiberio Costantino Augusto 579, di Maurizio Tiberio Augusto 583, di Foca Augusto 603, di Eraclio Augusto 611, dovendo notare il Consolato di Costantino o sia Costante Cesare, preso nell'anno 642, e proseguire distinguendo i susseguenti col post consulatum, perchè si scorge di niuna conseguenza un tal rito, se ne dispensa lo autore.
Con tutto ciò accenna il console Crescenzio nel 997, e il console Cencio nel 1084.
[745]
An. di Cristo | |
29 | Pietro Apostolo. |
65 | Lino. |
67 | Clemente I. |
77 | Cleto. |
83 | Anacleto. |
96 | Evaristo. |
108 | Alessandro I. |
117 | Sisto I. |
127 | Telesforo. |
138 | Igino. |
142 | Pio I. |
150 | Aniceto. |
162 | Sotero. |
171 | Eleuterio. |
186 | Vittore I. |
197 | Zefirino. |
217 | Callisto I. |
222 | Urbano I. |
230 | Ponziano. |
235 | Antero. |
236 | Fabiano. |
250 | Cornelio. |
252 | Lucio I. |
254 | Stefano I. |
257 | Sisto II. |
259 | Dionisio. |
269 | Felice I. |
275 | Eutichiano. |
283 | Caio. |
296 | Marcellino. |
308 | Marcello I. |
310 | Eusebio. |
310 | Melchiade. |
314 | Silvestro I. |
336 | Marco. |
337 | Giulio I. |
352 | Liberio. |
366 | Damaso I. |
385 | Siricio. |
[746] | |
398 | Anastasio I. |
401 | Innocenzo I. |
417 | Zosimo. |
418 | Bonifazio I. |
422 | Celestino I. |
432 | Sisto III. |
440 | Leone il Grande. |
461 | Ilaro. |
468 | Simplicio. |
483 | Felice detto III, perchè cacciato in esilio Liberio nel 355, venne forzato il clero romano ad eleggere un altro pontefice, che fu Felice; essendosi poi disputato fra gli eruditi se questi fosse vero o non vero papa. |
492 | Gelasio I. |
496 | Anastasio II |
498 | Simmaco. |
514 | Ormisda. |
523 | Giovanni I. |
526 | Felice IV. |
530 | Bonifazio II. |
532 | Giovanni II. |
535 | Agapito I. |
536 | Silverio. |
538 | Vigilio. |
555 | Pelagio I. |
560 | Giovanni III. |
574 | Benedetto I. |
578 | Pelagio II. |
590 | Gregorio I detto il Magno. |
604 | Sabiniano. |
607 | Bonifazio III. |
608 | Bonifazio IV. |
615 | Deusdedit, cioè Diodato. |
619 | Bonifazio V. |
625 | Onorio I. |
640 | Severino. |
640 | Giovanni IV. |
642 | Teodoro I. |
[747] | |
649 | Martino I. |
655 | Eugenio I. |
657 | Vitaliano. |
672 | Adeodato. |
676 | Dono I. |
678 | Agatone. |
682 | Leone II. |
684 | Benedetto II. |
685 | Giovanni V. |
686 | Conone. |
687 | Sergio I. |
701 | Giovanni VI. |
705 | Giovanni VII. |
708 | Sisinnio. |
708 | Costantino. |
715 | Gregorio II. |
731 | Gregorio III. |
741 | Zacheria. |
752 | Stefano II. |
757 | Paolo I. |
768 | Stefano III. |
772 | Adriano I. |
795 | Leone III. |
816 | Stefano IV. |
817 | Pasquale I. |
824 | Eugenio II. |
827 | Valentino. |
827 | Gregorio IV. |
844 | Sergio II. |
847 | Leone IV. |
855 | Benedetto III. |
858 | Niccolò I. |
867 | Adriano II. |
872 | Giovanni VIII. |
882 | Marino I. |
884 | Adriano III. |
885 | Stefano V. |
891 | Formoso. |
896 | Bonifazio VI. |
896 | Stefano VI. |
897 | Romano. |
898 | Teodoro II. |
898 | Giovanni IX. |
900 | Benedetto IV. |
903 | Leone V. |
903 | Cristoforo. |
904 | Sergio III. |
911 | Anastasio III. |
913 | Landone. |
914 | Giovanni X. |
928 | Leone VI. |
929 | Stefano VII. |
932 | Giovanni XI. |
936 | Leone VII. |
939 | Stefano VIII. |
942 | Marino II. |
946 | Agapito II. |
956 | Giovanni XII. |
964 | Benedetto V. |
965 | Giovanni XIII. |
972 | Benedetto VI. |
974 | Dono II. |
975 | Benedetto VII. |
983 | Giovanni XIV. |
985 | Giovanni XV. |
[748] | |
996 | Gregorio V. |
999 | Silvestro II. |
1003 | Giovanni, detto XVII; perchè quantunque Giovanni Calabrese, che occupò la sedia a Gregorio V nell'anno 997, non meriti luogo tra i romani pontefici, pure altro sentimento dovettero avere i Romani di allora. |
1003 | Giovanni XVIII. |
1009 | Sergio IV. |
1019 | Benedetto VIII. |
1024 | Giovanni XIX. |
1033 | Benedetto IX. |
1044 | Gregorio VI. |
1046 | Clemente II. |
1048 | Damaso II. |
1049 | Leone, detto IX, perchè nell'anno 963 Ottone I imperadore fece eleggere in un concilio Leone VIII, quantunque si tenga per illegittimo. |
1055 | Vittore II. |
1057 | Stefano IX. |
1059 | Niccolò II. |
1061 | Alessandro II. |
1073 | Gregorio VII. |
1086 | Vittore III. |
1088 | Urbano II. |
1099 | Pasquale II. |
1118 | Gelasio II. |
1119 | Callisto II. |
1124 | Onorio II. |
1130 | Innocenzo II. |
1143 | Celestino II. |
1144 | Lucio II. |
1145 | Eugenio III. |
1153 | Anastasio IV. |
1154 | Adriano IV. |
1159 | Alessandro III. |
1181 | Lucio III. |
1185 | Urbano III. |
1187 | Gregorio VIII. |
1187 | Clemente III. |
1191 | Celestino III. |
1198 | Innocenzo III, sotto di cui spirò l'ultimo fiato l'autorità degli Augusti in Roma; e da lì innanzi i prefetti di Roma, il senato e gli altri magistrati giurarono fedeltà al solo romano pontefice. |
1216 | Onorio III. |
1227 | Gregorio IV. |
1241 | Celestino IV. |
1243 | Innocenzo IV. |
1254 | Alessandro IV. |
1261 | Urbano IV. |
1265 | Clemente IV. |
1271 | Gregorio X. |
1276 | Innocenzo V. |
1276 | Adriano V. |
1276 | Giovanni XXI, benchè dovesse dirsi XX. |
1277 | Niccolò III. |
1281 | Martino IV, tuttochè, secondo il retto parlare, si dovesse nominar solamente Martino II. |
1285 | Onorio IV. |
1288 | Niccolò IV. |
1294 | Celestino V. |
[749] | |
1294 | Bonifazio VIII, tuttochè non si numeri fra i legittimi papi Bonifazio soprannominato Francone uccisore di Benedetto VI e di Giovanni XIV. |
1303 | Benedetto XI, benchè secondo l'ordine, si dovrebbe dire X. |
1305 | Clemente V, sotto di cui passò in Francia per 70 anni la Sede Apostolica. |
1316 | Giovanni XXII. |
1334 | Benedetto XII. |
1342 | Clemente VI. |
1352 | Innocenzo VI. |
1362 | Urbano V. |
1370 | Gregorio XI. |
1378 | Urbano VI. |
1389 | Bonifazio IX. |
1404 | Innocenzo VII. |
1406 | Gregorio XII. |
1409 | Alessandro V. |
1410 | Giovanni XXIII. |
1417 | Martino V. |
1431 | Eugenio IV. |
1447 | Niccolò V. |
1455 | Callisto III. |
1458 | Pio II. |
1464 | Paolo II. |
1471 | Sisto IV. |
1484 | Innocenzo VIII. |
1492 | Alessandro VI. |
1503 | Pio III. |
1503 | Giulio II. |
[750] | |
1513 | Leone X. |
1522 | Adriano VI. |
1523 | Clemente VII. |
1534 | Paolo III. |
1550 | Giulio III. |
1555 | Marcello II. |
1555 | Paolo IV. |
1559 | Pio IV. |
1566 | Pio V. |
1572 | Gregorio XIII. |
1585 | Sisto V. |
1590 | Urbano VII. |
1590 | Gregorio XIV. |
1591 | Innocenzo IX. |
1592 | Clemente VIII. |
1605 | Leone XI. |
1605 | Paolo V. |
1621 | Gregorio XV. |
1623 | Urbano VIII. |
1644 | Innocenzo X. |
1655 | Alessandro VII. |
1667 | Clemente IX. |
1672 | Clemente X. |
1676 | Innocenzo XI. |
1689 | Alessandro VIII. |
1691 | Innocenzo XII. |
1700 | Clemente XI. |
1721 | Innocenzo XIII. |
1724 | Benedetto XIII. |
1730 | Clemente XII. |
1740 | Benedetto XIV. |
[751]
An. di Cristo | |
1 | Cesare Augusto (Caio Ottavio o sia Ottaviano). |
14 | Tiberio (Claudio Nerone). |
37 | Caligola (Caio Cesare). |
41 | Tiberio (Claudio Garmanico). |
54 | Nerone (Claudio). |
68 | Galba (Servio Sulpicio). |
69 | Ottone (Marco Salvio). |
69 | Vespasiano (Flavio). |
81 | Domiziano (Flavio). |
96 | Nerva (Marco Cocceio). |
98 | Traiano (Marco Ulpio Nerva). |
117 | Adriano (Elio). |
138 | Antonino Pio (Tito Elio Adriano). |
161 | Marco Aurelio (cioè Marco Elio Aurelio Antonino, il Filosofo). |
161 | Lucio Vero (cioè Lucio Elio Aurelio Vero). |
180 | Commodo (Marco Aurelio Antonino). |
193 | Pertinace (Publio Elvio). |
193 | Giuliano (Didio). |
193 | Severo (Lucio Settimio). |
198 | Caracalla (Marco Aurelio Antonino). |
208 | Geta (Publio Settimio). |
217 | Macrino (Marco Opellio Severo). |
218 | Elagabalo (Marco Aurelio Antonino). |
222 | Alessandro (Marco Aurelio Severo). |
235 | Massimino (Caio Giulio Vero). |
238 | Gordiano I (Marco Antonino). |
238 | Gordiano II |
238 | Pupieno (cioè Marco Clodio Massimo). |
238 | Balbino (Decimo Celio). |
238 | Gordiano III (Marco Antonino). |
244 | Filippo (Marco Giulio) seniore. |
247 | Filippo (Marco Giulio) iuniore. |
249 | Decio (Caio Messio Quinto Traiano). |
251 | Gallo (Caio Treboniano). |
251 | Decio (Caio Valente Ostiliano Messio Quinto). |
252 | Gallo (Caio Vibio Volusiano). |
[752] | |
253 | Volusiano (Caio Vibio Affinio Gallo Veldumiano). |
253 | Valeriano (Publio Licinio). |
253 | Gallieno (Publio Licinio). |
268 | Claudio II (Marco Aurelio). |
270 | Quintilio (Marco Aurelio Claudio). |
270 | Aureliano (Lucio Domizio). |
275 | Tacito (Marco Claudio). |
276 | Floriano (Marco Annio). |
276 | Probo (Marco Aurelio). |
282 | Caro (Marco Aurelio). |
283 | Carino (Marco Aurelio). |
283 | Numeriano (Marco Aurelio). |
284 | Diocleziano (Caio Aurelio Valerio). |
286 | Massimiano (Marco Aurelio Valerio). |
305 | Costanzo (Flavio Valerio). |
305 | Massimiano (Caio Galerio Valerio). |
306 | Severo (Flavio Valerio). |
306 | Massenzio (Marco Aurelio Valerio). |
306 | Massimiano Erculio (Marco Aurelio Valerio). |
307 | Costantino (Flavio Valerio). |
307 | Licinio (Publio Valerio Liciniano). |
308 | Massimino (Caio Galerio Valerio) Daia o Daza. |
337 | Costantino juniore (Flavio Valerio). |
337 | Costanzo (Flavio Giulio). |
337 | Costante (Flavio Giulio). |
361 | Giuliano (Flavio Claudio). |
363 | Gioviano (Flavio Claudio). |
364 | Valentiniano (Flavio). |
364 | Valente (Flavio). |
367 | Graziano (Flavio). |
375 | Valentiniano II (Flavio). |
379 | Teodosio (Flavio). |
383 | Arcadio (Flavio). |
393 | Onorio (Flavio). |
402 | Teodosio II. |
421 | Costanzo (Flavio). |
425 | Valentiniano III. |
450 | Marciano (Flavio). |
[753] | |
455 | Avito (Eparchio). |
457 | Leone (Flavio). |
457 | Maioriano (Flavio). |
461 | Severo (Libio). |
467 | Antemio. |
472 | Olibrio (Anicio). |
473 | Glicerio, appellato Domestico. |
474 | Zenone (Flavio). |
474 | Nipote (Giulio). |
475 | Romolo o sia Augustolo, in cui terminò l'imperio romano, e diede principio Odoacre al regno d'Italia. Continuò l'imperio orientale. |
491 | Anastasio (Flavio). |
518 | Giustino (Flavio). |
527 | Giustiniano (Flavio). |
565 | Giustino II. |
574 | Costantino (Tiberio). |
582 | Maurizio (Tiberio). |
602 | Foca. |
610 | Eraclio. |
641 | Eraclio, appellato nuovo Costantino. |
641 | Eracleona. |
641 | Costantino detto Costante. |
668 | Costantino Pogonato, cioè Barbato. |
685 | Giustiniano II. |
695 | Leonzio. |
698 | Tiberio Absimero. |
705 | Giustiniano II di nuovo regnante, |
711 | Filippico, prima detto Bardane. |
713 | Anastasio, prima detto Artemio. |
716 | Teodosio. |
717 | Leone Isauro. |
720 | Costantino Copronimo. |
751 | Leone IV. |
776 | Costantino. |
780 | Irene Augusta tutrice regnò dieci anni; ma dopo una vita privata ritornò sul trono nel 797; vivente però Irene nell'800 fu proclamato e coronato imperadore di tutto l'Occidente da Leone III in Roma Carlo Magno; onde, non avendo fatto più gran figura in Italia i greci imperadori, si tralasciano i loro anni, e si continuano quei d'Occidente. |
800 | Carlo Magno. |
814 | Lodovico Pio. |
820 | Lodovico I fra gl'imperadori. |
849 | Lodovico II. |
875 | Carlo II detto il Calvo. |
881 | Carlo III il Grosso. |
891 | Guido. |
892 | Lamberto. |
[754] | |
896 | Arnolfo. |
901 | Lodovico III. |
915 | Berengario. |
962 | Ottone il Grande. |
967 | Ottone II. |
996 | Ottone III. |
1014 | Arrigo I fra gl'imperadori. |
1027 | Corrado, |
1046 | Arrigo II. |
1084 | Arrigo III. |
1111 | Arrigo IV. |
1133 | Lottario II. |
1155 | Federigo I. |
1191 | Arrigo V. |
1209 | Ottone IV. |
1220 | Federigo II. |
1312 | Arrigo VI. |
1355 | Carlo IV. |
1433 | Sigismondo. |
1452 | Federigo III. |
1519 | Carlo V. |
1558 | Ferdinando. |
1564 | Massimiliano II fra i re. |
1576 | Rodolfo II, che così si fece chiamare, tuttochè l'antenato suo Rodolfo I fosse bensì re de' Romani, ma non mai godesse il titolo d'imperadore. |
1612 | Mattias. |
1619 | Ferdinando II. |
1637 | Ferdinando III. |
1658 | Leopoldo. |
1705 | Giuseppe. |
1711 | Carlo VI. |
1742 | Carlo VII. |
1745 | Francesco. |
1273 | Rodolfo I. |
1292 | Adolfo. |
1298 | Alberto Austriaco. |
1309 | Arrigo VI fra gl'imperadori, VII fra i re di Germania. |
1346 | Carlo IV fra gl'imperadori. |
1378 | Venceslao. |
1400 | Roberto. |
1410 | Sigismondo. |
1438 | Alberto II. |
1440 | Federico III fra gl'imperadori. |
1493 | Massimiliano I, che cominciò a intitolarsi imperadore eletto, nel che fu imitato dai successori, col lasciar anche la parola eletto. |
[755]
An. di Cristo | |
476 | Odoacre. |
493 | Teodorico. |
526 | Atalarico. |
534 | Teodato o sia Teodoto. |
536 | Vitige. |
540 | Ildibado o sia Ildibaldo. |
541 | Erarico. |
541 | Totila. |
552 | Teia, in cui ebbe fine il regno de' Goti o sia degli Ostrogoti d'Italia. |
569 | Alboino, primo re de' Longobardi. |
573 | Clefo o sia Clefone. |
584 | Autari (Flavio). Questo prenome passò nei re suoi successori. |
591 | Agilolfo. |
615 | Adaloaldo. |
625 | Arioaldo o sia Arialdo o Caroaldo. |
636 | Rotari, detto anche Crotario. |
652 | Rodoaldo, |
653 | Ariberto I. |
661 | Bertarido, o sia Pertarito, e Godeberto. |
662 | Grimoaldo. |
671 | Bertarido, risalito sul trono. |
678 | Cuniberto. |
700 | Liutberto. |
701 | Ragimberto, o sia Ragumberto e Ariberto II. |
712 | Alprando, o sia Ansprando, e Liutprando. |
736 | Ilderbando o sia Ilprando. |
744 | Rachis o sia Ratchis. |
749 | Astolfo. |
757 | Desiderio. |
759 | Adelgiso o sia Adelchis, da cui passò il regno d'Italia nel |
774 | in Carlo Magno re de' Franchi, il quale diede poi all'Italia il suo re particolare; cioè nel |
731 | Pippino. |
812 | Bernardo. |
820 | Lottario I fra i re d'Italia, |
844 | Lodovico II. [756] |
877 | Carlomanno. |
879 | Carlo il Grosso o sia il Crasso. |
888 | Berengario I. |
889 | Guido. |
900 | Lodovico III con la prima irruzione degli Ungheri in Italia. |
931 | Rodolfo o sia Ridolfo o Radolfo. |
926 | Ugo. |
931 | Lottario II. |
950 | Berengario II e Adalberto. |
962 | Ottone. |
983 | Ottone III. |
1002 | Ardoino. |
1004 | Arrigo I fra i re d'Italia, detto Arrigo II, perchè fu un altro Arrigo re di Germania nel 918. |
1026 | Corrado I detto il Salico. |
1039 | Arrigo III, soprannominato il Nero, dalla barba. |
1056 | Arrigo IV. |
1093 | Corrado II. |
1106 | Arrigo V. |
1125 | Lottario III. |
1138 | Corrado III. |
1152 | Federigo I, detto Barbarossa. |
1186 | Arrigo VI. |
1209 | Ottone IV imp. e re d'Italia secondo gli storici milanesi. |
1355 | Carlo IV imperatore. |
1431 | Sigismondo. |
1452 | Federigo III imperatore, che prese la corona del regno longobardico in Roma da Niccolò V. |
1530 | Carlo V imperatore ricevette da Clemente VII in Bologna la corona anche d'Italia. |
Dopo la qual coronazione, niuna altra più ne ha veduto l'Italia, giacchè gl'imperadori si sono messi in possesso di usare senza di essa il titolo e l'autorità degli Augusti.
[757]
An. di Cristo | |
32 | Lucio Pisone, che morì in quest'anno, dopo aver esercitato quella carica con lode per anni 20. |
32 | Lucio Elio Lamia, e nell'anno seguente diede anch'egli fine a' suoi giorni. |
33 | Cosso, per attestato di Tacito e di Seneca, ep. 81. |
61 | Pedanio Secondo. |
69 | Ducennio Gemino. |
69 | Flavio Sabino (Tito) fratello di Vespasiano, padre di Tito Flavio Sabino console nell'anno 82. |
118 | Bebio Macro. |
138 | Catilio Severo. |
194 | Domigio Destro. |
204 | Flavio Libone. |
213 | Lucio Fabio Cilone. |
257 | Giunio Donato. |
261 | e seg. Nummio Albino, secondo il Bocherio e l'Eccardo. |
267 | e seg. Petronio Volusiano. |
269 | e seg. Flavio Antiochiano. |
275 | Postumio Siagrio, secondo il Bucherio; ma secondo Vopisco, Elio Ceseziano. |
278 | e seg. Furio o Virio Lupo. |
281 | Ovinio Paterno. |
282 | Pomponio Vittorino o sia Vittoriano. |
283 | Titurio Robusto o Roburro. |
284 | e seg. Caio Ceionio Varo. |
287 | Giunio Massimo. |
288 | Pomponio Januario. |
290 | Turranio Graziano. |
291 | Giunio Tiberiano. |
293 | e seg. Settimo Acindino. |
295 | Aristobolo. |
296 | Cassio Dione. |
297 | Afriano Annibaliano. |
298 | Artorio Massimo. |
299 | Anicio Fausto. |
[758] | |
300 | Appio Pompeo Faustino. |
301 | Elio Dionisio. |
302 | Nummio Tosco. |
303 | Ginnio Tiberiano. |
304 | Araclio Ruffino. |
305 | Postumio Tiziano. |
306 | Annio Anulino. |
307 | Giusteo Tertullo. |
308 | Stazio Rufino. |
309 | Aurelio Ermogene. |
310 | Rufio Volusiano (Caio Ceionio). |
311 | Giunio Flaviano. |
312 | Aradio Rufino. |
313 | e seg. Rufio Tolusiano, e nel seg. anche console. |
315 | Caio Vezio Cossinio Rufino. |
316 | Ovinio Gallicano. |
317 | Settimio Basso. |
318 | Giulio Cassio. |
319 | e seg. Valerio Massimo Basilio, o sia Valerio Massimo solamente. |
323 | Caio Vezio Cossinio Rufino: ma il 13 di settembre gli fu sostituito Lucerio o sia Lucrio Valerio Verino. |
324 | Lucerio o sia Lucrio Valerio Verino. |
325 | Acilio Severo. |
326 | e seg. Anicio Giuliano. |
329 | Publio Optaziano entrò il 7 di settembre e il dì 8 ottobre Petronio Probiano. |
330 | Petronio Probiano. |
331 | e seg. Anicio Paolino. |
333 | Publio Optaziano il 7 d'aprile, e 10 di maggio Ceionio Giuliano Camenio. |
334 | Anicio Paolino, console in quest'anno. Ciò però è dubbioso. |
335 | e seg. Ceionio Rufio Albino. |
337 | Valerio Procolo. |
338 | Mecilio Ilariano. |
[759] | |
339 | Lucio Turcio Secondo Aproniano Asterio, dal 14 di luglio sino il 25 di ottobre; pel resto dell'anno Tiberio Fabio Traiano, creduto il console del 337. |
340 | Tiberio Fabio Tiziano fino a maggio. Andato alla corte di Costante, sostenne le sue veci Giunio Tertullo. |
341 | Aurelio Celsino. |
342 | Mavorzio Lolliano il primo d'aprile; e il 14 di luglio Acone (o sia Agonio). Catulino (o sia Catullino) Filomazio (o pur Filoniano). |
343 | Aconio Catullino. |
344 | Quinto Rustico. |
345 | Probino. |
346 | Placido. |
347 | e seg. Ulpio Limenio, anche console nel 349; nel qual anno fu prefetto di Roma e del pretorio fino il dì 8 d'aprile. Essendo stato vacante il luogo fino il 18 di maggio tutte e due le dignità furono allora conferite ad Ermogene. |
350 | Tiberio Fabio Tiziano. |
351 | Tiberio Fabio Tiziano continuò per li due primi mesi: il primo di marzo Aurelio Celsino; il 12 di maggio Celio Probato: il 7 di giugno Clodio Adelfio: il 18 di dicembre Valerio Procolo. |
352 | Valerio Procolo fino il 9 di settembre: allora gli succedette Settimio Mnasea; e a questo il 26 del detto mese Nerazio Cereale. |
353 | Nerazio Cereale fino al primo di dicembre: indi Memmio Vitrasio Orfito. |
354 | Memmio Vitrasio Orfito, come dal Catalogo del Bucherio, che qui termina i prefetti. |
355 | Leonzio, successore di Vitrasio. |
356 | Leonzio continuò; ma non apparisce se alcuno gli succedesse dopo il mese d'ottobre. |
357 | e seg. Memmio Vitrasio Orfito per la seconda volta. |
359 | Giunio Basso, succeduto a Vitrasio il 25 di marzo. Ma questi morto il 25 di agosto fu esercitata quella dignità qualche tempo da Artemio; e dipoi entrò Tertullo. |
360 | e seg. Tertullo. |
361 | Massimo, creato in luogo di Tertullo da Giuliano, dopo che divenne padron di tutto. |
363 | Lucio Turcio Secondo Aproniano Asterio. |
364 | Caio Ceionio Rufo Volusiano, a cui succedette Lucio Aurelio Aviano Simmaco conte dal Codice Teodosiano. |
365 | Simmaco per li cinque primi mesi: dipoi Volusiano. |
366 | Vezio Agorio Pretestato sembra che fosse. Il Panvinio ci dà Lampadio, e poscia Iuvenzio. Ed in fatti la prefettura di Juvenzio vien confermata da Ammiano. |
367 | Juvenzio per alcuni mesi; poi Vezio Agorino Pretestato. |
368 | e seg. Quinto Clodio Ermogeniano Olibrio della famosa famiglia Anicia. |
370 | Principio ci rappresenta una legge del codice Teodosiano nel 29 d'aprile; ma si può dubitare. Ammiano dopo aver parlato d'Olibrio, passa ad Ampelio, come di successore del medesimo. |
[760] | |
371 | Ampelio. |
372 | Ampelio, si truova sul principio di marzo nelle leggi del Codice Teodosiano, e sembra che continuasse per tutto il maggio. Il 22 d'agosto si truova un Bapone. Non è certo questo nome, di cui non è altra memoria. Il Panvinio pretende che ad Ampelio succedesse Claudio in questo anno; ma ciò avvenne più tardi. |
373 | Caio Ceionio Rufio Volusiano, come dal Codice Teodosiano, non Claudio, come vuole il Panvinio. |
374 | Euprassio, e dopo lui Claudio quest'anno. |
375 | Euprassio probabilmente continuò. |
376 | Rufino; e poi Gracco, come dal Codice Teodosiano, e non Euprassio, dipoi Probiano, come stima di Panvinio. |
377 | Gracco per qualche tempo: poi Probiano. |
378 | Probiano; ma è conghiettura. |
379 | Ipazio, se non fallano i testi del Codice Teodosiano. |
380 | Paolino, ci dà il Codice Teodosiano. Che non sia il vescovo di Nola, come credè il Baronio, vedi Anecd. Latin. dell'autore, tom. I, dissert. X. |
381 | Valeriano, dal Cod. Teodosiano. |
382 | Severo, prefetto di Roma, in due luoghi del Codice Teodosiano. In altre leggi di questo stesso anno Severo (se pur è lo stesso) prefetto del pretorio. |
383 | Avenzio forse. Fu certo un personaggio di somma pietà e abilità. |
384 | Simmaco, celebre personaggio. Di tal dignità egli parla in alcune sue lettere. |
385 | È ignoto. Si raccoglie da Simmaco che dimandò d'essere scaricato: non si sa, se esaudito. Io credo che gli venisse surrogato Severo Piniano. Vedi Anecd. Latin., tom. I, dissert. VI. |
386 | Sallustio, il dì 11 di giugno; e Piniano il 6 di luglio, secondo il Codice Teodosiano. |
387 | Piniano, si può credere, essendo una legge nel Codice Teodosiano a lui indirizzata nel gennaio. |
388 | Fabio Tiziano, forse. |
389 | e seg. Albino, secondo il Codice Teodosiano. |
391 | Albino, si truova nelle leggi del Codice Teodosiano in febbraio; e il 14 di luglio Alipio, chiamato in una iscrizione del Grutero, Faltono Probo Alipio. |
392 | e seg. È ignoto. |
394 | Il Codice Teodosiano ci fa vedere più d'un prefetto nel presente anno: Basilio; poi Andromaco: finalmente Fiorentino. |
396 | Fiorentino, secondo il Codice Teodosiano. |
399 | e seg. Flaviano, secondo il detto Codice. |
401 | Andromaco. |
402 | Flavio Macrobio Longiniano, ci mostra una iscrizione Gruteriana alla pag. 165. |
406 | Flavio Pisidio Romolo, secondo un'iscrizione del Grutero alla pag. 287, n. 1. |
407 | Epifanio, secondo il Codice Teodosiano. |
408 | Ilario, dal codice Teodosiano. Zosimo ci dà Pompeiano. |
[761] | |
409 | Bonosiano secondo il Codice Teodosiano. Dopo varii torbidi in quest'anno fu poi creato prefetto di Roma Attalo, in alcune medaglie detto Prisco Attalo. Questi dichiarato imperadore effimero creò Marciano. |
410 | e seg. Bonosiano apparisce dal Codice Teodosiano. |
412 | Palmato, Codice Teodosiano. |
414 | Eutichiano prima, se non v'ha errore nelle leggi del Codice Teodosiano, poscia Albino; indi Epifanio. Anche Olimpiodoro fa menzione d'Albino. |
415 | Gracco, dalle leggi del Codice Teodosiano. |
416 | Probiano, si vede nel detto codice. |
419 | Simmaco. |
421 | Volusiano, da un editto di Costanzo Augusto a lui indirizzato in quest'anno, fatto contro de' Pelegiani. |
425 | Fausto, dal Codice Teodosiano. |
426 | Albino, dal detto Codice. |
434 | Volusiano che morì in quest'anno, dopo aver ricevuto il battesimo per opera di Melania sua nipote e di Proclo vescovo di Costantinopoli. |
467 | Terenzio che portò le imagini di Antemio [762] imperatore a Costantinopoli, in segno che era stato accettato imperadore. Dalla Cronica Alessandrina. |
468 | Apollinare Sidonio, in ricompensa del Panegirico dell'imperadore Antemio. |
532 | Salvanzio, dalla lettera XVI del re d'Italia Atalarico. |
590 | Il fratello o pur germano di nome di S. Gregorio I papa. |
600 | Giovanni gloriosissimo prefetto di Roma. Dalla lettera VI, lib. 10 di S. Gregorio I papa a Teodoro curator di Ravenna, scritta o su 'l fine del precedente, o in principio del presente anno. |
Mancano da qui innanzi i prefetti coll'usato ordine; solamente se ne accenna alcuno in certi anni, come nel 965 un prefetto di Roma, ma senza nome, da cui fu messo prigione papa Giovanni XIII; e nel 967 un Roffredo con suo incognito successore; e fino nel 1353 si nomina prefetto di Roma Giovanni da Vico. All'anno 1015 vedrai un certo Giovanni; e qual fosse la dignità e l'uffizio dei prefetti.
[763]
An. di Cristo |
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679 | Paoluccio Anafesto. |
717 | Marcello Tegaliano. |
726 | Orso Ipato. |
742 | Deusdedit o sia Teodato Ipato. |
755 | Galla. |
756 | Domenico Monegario. |
764 | Maurizio Galbaio. |
804 | Obelerio. |
811 | Angiolo Particiaco o sia Participazio. |
820 | Giustiniano. |
829 | Giovanni I. |
837 | Pietro Tradonico. |
864 | Orso I Particiaco o sia Participazio. |
877 | Giovanni II. |
887 | Pietro I Candiano. |
888 | Pietro Tribuno. |
912 | Orso II Particiaco o sia Participazio. |
932 | Pietro II Candiano. |
939 | Pietro Badoero o Particiaco. |
942 | Pietro III Candiano. |
959 | Pietro IV Candiano. |
976 | Pietro I Orseolo. |
978 | Vitale Candiano. |
979 | Tribuno Memmo. |
991 | Pietro II Orseolo. |
1009 | Ottone Orseolo. |
1026 | Pietro Barbolano o sia Centranico. |
1032 | Domenico Fabianico o Flabanico. |
1043 | Domenico Contarini. |
1071 | Domenico Silvio. |
1084 | Vitale Faledro o Faliero detto Dodoni. |
1096 | Vitale Michele. |
1102 | Ordelafo Faledro o Faliero. |
1117 | Domenico Michele. |
1130 | Pietro Polano. |
1149 | Domenico Morosini. |
1156 | Vitale II Michele. |
1172 | o 1173 Sebastiano Ziani. |
1179 | Aureo o sia Orio Mastropietro o Malipiero. |
[764] | |
1192 | Arrigo o sia Enrico Dandolo. |
1205 | Pietro Ziani. |
1229 | Jacopo Tiepolo |
1249 | Marino Morosini. |
1253 | Rinieri Zeno. |
1268 | Lorenzo Tiepolo. |
1275 | Jacopo Contarini. |
1280 | Giovanni Dandolo. |
1289 | Pietro Gradenigo. |
1311 | Marino Giorgi. |
1312 | Giovanni Soranzo. |
1328 | Francesco Dandolo. |
1339 | Bartolammeo Gradenigo. |
1343 | Andrea Dandolo. |
1354 | Marino Faliero. |
1355 | Giovanni Gradenigo. |
1356 | Giovanni Dolfino. |
1361 | Lorenzo Celsi. |
1365 | Marco Cornaro. |
1367 | Andrea Contarini. |
1382 | Michele Morosini. |
1382 | Antonio Veniero. |
1400 | Michele Steno. |
1413 | Tommaso Mocenigo. |
1423 | Francesco Foscari. |
1457 | Pasquale Malipiero. |
1462 | Cristoforo Moro. |
1471 | Niccolò Tron. |
1473 | Niccolò Marcello. |
1474 | Pietro Mocenigo. |
1476 | Andrea Vendramino. |
1478 | Giovanni Mocenigo. |
1485 | Marco Barbarigo. |
1486 | Agostino Barbarigo. |
1501 | Lionardo Loredano. |
1521 | Antonio Grimani. |
1523 | Andrea Gritti. |
1538 | Pietro Lando. |
1545 | Francesco Donato. |
1553 | Marc'Antonio Trivisano. |
[765] | |
1554 | Francesco Veniero. |
1556 | Lorenzo de' Priuli. |
1559 | Girolamo Priuli. |
1567 | Pietro Loredano. |
1570 | Luigi Mocenigo. |
1577 | Sebastiano Veniero. |
1578 | Niccolò da Ponte. |
1585 | Pasquale Cicogna. |
1595 | Marino Grimani. |
1606 | Lionardo Donato. |
1612 | Marc'Antonio Memmo. |
1615 | Giovanni Bembo. |
1618 | Niccolò Donato. |
1618 | Antonio Priuli. |
1623 | Francesco Contarini. |
1625 | Giovanni Cornaro. |
1629 | Niccolò Contarini. |
1630 | Francesco Erizzo. |
[766] | |
1646 | Francesco Molino. |
1655 | Carlo Contarini. |
1656 | Francesco Cornaro. |
1656 | Bertuccio Valerio. |
1658 | Giovanni Pesaro. |
1659 | Domenico Contarini. |
1675 | Niccolò Sagredo. |
1676 | Luigi Contarini. |
1684 | Marc'Antonio Giustiniano. |
1688 | Francesco Morosini. |
1694 | Silvestro Valerio. |
1700 | Luigi II Mocenigo. |
1709 | Giovanni Cornaro. |
1732 | Sebastiano Mocenigo, detto da alcuni Alvise. |
1732 | Carlo Ruzzini. |
1735 | Luigi Pisani. |
1741 | Pietro Grimani. |
[767]
An. di Cristo. |
|
1339 | Simone o sia Simonino Boccanegra. |
1344 | Giovanni da Murta. |
1350 | Giovanni di Valente. |
1363 | Gabriello Adorno. |
1370 | Domenico da Campofregoso. |
1378 | Niccolò di Guarco. |
1383 | Lionardo da Montaldo. |
1384 | Antoniotto Adorno. |
1390 | Jacopo da Campofregoso. |
1392 | Antonio di Montaldo. |
1395 | Niccolò di Zoaglio. |
1413 | Giorgio Adorno. |
1415 | Barnaba da Goano. |
1415 | Tommaso da Campofregoso. |
1436 | Isnardo Guarco. |
1443 | Rafaello Adorno. |
[768] | |
1447 | Barnaba Adorno. |
1447 | Giano da Campofregoso, |
1448 | Lodovico da Campofregoso, |
1450 | Pietro da Campofregoso. |
1461 | Prospero Adorno. |
1461 | Spineta Fregoso. |
1462 | Paolo Fregoso arcivescovo. |
1478 | Batistino Fregoso. |
1507 | Paolo Novi. |
1512 | Giano Fregoso. |
1513 | Ottaviano Fregoso. |
1522 | Antoniotto Adorno. |
Non continuata la serie, si accenna nel 1685; Francesco Maria Imperiali, obbligato da Luigi XIV a portarsi in Francia, e si nomina il doge Brignole nel 1746.
[769]
N.B. Il numero romano indica il volume; l'arabico la colonna.
Abanto, o Amando, generale della flotta navale di Licinio, è sconfitto e disperso, I, 1161.
Abbati nel secolo settimo non godeano l'uso dei pontificali, II, 1235.
Abdila, principe de' Saraceni. Sua libidine punita, III, 749, 750.
Abgaro re di Edessa, I, 417. Venuto a Roma sotto Antonino Pio, 522.
Abimelec, califfo de' Saraceni, III, 71, 78, 86. Sua morte, 121.
Abimelec, principe de' Saraceni, III, 750. È legato e posto in una nave da' suoi, 755.
Ablavio, prefetto del pretorio, ucciso, I, 1221.
Abondanzio, vescovo di Paterno, III, 55.
Abramo, venerato da Alessandro Severo imperadore, I, 766.
Abubacare, califfo de' Saraceni, II, 1207.
Acacio, patriarca di Costantinopoli, II, 671. Fautore dell'eresia, 685. Scomunicato, 689. Fine de' suoi giorni, 699. Suo nome cancellato dai dittici, 730.
Accademia di lettere istituita in Roma, VI, 36.
Accon, o sia Tolemaide, assediata dai cristiani, IV, 909, 917. Presa infine da essi, 926. Ripigliala dai Saraceni, V, 213.
Acefali, eretici, II, 749, 938.
[770]
Achilleo (Lucio Epidio), efimero imperadore, I, 966. Usurpa l'imperio in Egitto, 1024. Sconfitto da Diocleziano Augusto, 1089. È ucciso, ivi.
Acindino (Settimio), prefetto di Roma, I, 1033.
Acindino, console. Sua avventura, I, 1226.
Acquidotti, maravigliosa impresa di Claudio Augusto, I, 187.
Adalardo, abbate di Cerbeia, riprova le nozze di Carlo Magno, III, 305, 306. Primo ministro di Pippino re d'Italia, 408, 482, 488, 492. Relegato in un'isola, 494.
Adalardo juniore, conte del palazzo, III, 538, 548.
Adalardo, vescovo di Verona, scomunicato, III, 786.
Adalberone, arcivescovo di Treveri, IV, 84.
Adalberone, duca di Carintia e marchese di Verona, IV, 95. Suoi placiti, 100, 121. Sconfitto da Corrado in Germania, 124. È deposto, 182.
Adalberone, vescovo di Virtzburg, IV, 430.
Adalberto I, duca di Toscana, III, 651, 689, 778. Sua prepotenza in Roma, 796. È scomunicato, 798, 799. Suoi genitori, mogli e figli, 843.
Adalberto II, marchese e duca di Toscana, impetra un diploma da Guido re d'Italia, III, 883. Come accolto da Arnolfo re di Germania, 899, 900. Sua congiura contra di lui, 909. Muove l'armi contra di Lamberto Augusto, ed è fatto prigione, 926. [771] Liberato dal re Berengario, 934. A cui presta aiuto contro di Lodovico re di Provenza, 937, 942, 943. Poscia promuove la rovina d'esso Lodovico, 952. Manca di vita, 998.
Adalberto, vescovo di Bergamo, III, 899, 974, 1014.
Adalberto, marchese d'Ivrea, favorisce Lodovico re di Provenza contra del re Berengario, III, 936. Poscia cangia mantello, 951. La moglie sua Ermengarda figlia di Adalberto II duca di Toscana, 999. Sua congiura contra di Berengario, 1010. Manca di vita, 1025.
Adalberto, vescovo di Lucca, III, 1086.
Adalberto, figlio di Berengario, dichiarato re d'Italia col padre, III, 1112. Si oppone coll'armi alla calata di Ottone il Grande in Italia, 1151. Fugge qua e là da esso Ottone, 1158. Ricevuto in Roma da papa Giovanni XII, 1163. Suoi vani tentativi in Lombardia, 1172. Ricorre alla corte del greco Augusto, 1186. Mai non si quietò finchè visse, 1187.
Adalberto, vescovo di Bologna, III, 1195, 1207.
Adalberto marchese, figlio di Oberto I marchese, III, 1203; IV, 17. Uno degli antenati della casa d'Este, ivi, 67.
Adalberto, marchese, creato duca di Sassonia, IV, 271.
Adalberto, duca della Lorena inferiore, ucciso, IV, 243.
Adalberto, arcivescovo di Brema, IV, 314, 353.
Adalberto, vescovo di Vormazia, IV, 390.
Adalferio (Santo), primo abbate della Cava. V. Alferio (Santo).
Adaloardo figlio del re Agilolfo. Sua nascita, II, 1118. Suo battesimo, 1123. Doni a lui inviati da san Gregorio, 1129. Proclamato re, 1132. Succede nel regno al padre, 1158. Sua morte, 1178. Cagion d'essa, ivi.
Adamo, abbate di Casauria, III, 1234.
Adelaide, figlia di Rodoaldo duca di Benevento, III, 267.
Adelaide, figlia di Rodolfo II re di Borgogna, promessa in isposa a Lottario, figlio di Ugo re di Italia, III, 1058, 1072, 1074. Resta vedova, 1113. Imprigionata da Berengario re d'Italia, 1115. Fuggita dalla carcere, si ricovera in Canossa, 1117, 1118. Liberata e presa in moglie da Ottone il Grande re di Germania, 1118, 1121, 1177, 1206, 1211. Sue dissensioni e pace col figlio, 1219, 1228, 1231, 1261, 1272; IV, 37.
Adelaide (chiamata Prassede), moglie di Arrigo IV, IV, 438. Maltrattata da lui, 456. Fugge e si ricovera presso la contessa Matilda, 461, 463.
Adelaide, marchesa di Susa, moglie di Erimanno duca di Suevia, IV, 189. Resta vedova, 198. Fonda il monistero di Santa Maria di Pinerolo, [772] 318. S'impadronisce d'Asti, 342. Acquista cinque città, 375. Va a Canossa, 377. Termina il corso di sua vita, 448.
Adelaide, figlia di Bonifazio marchese, maritata con Ruggieri conte di Sicilia, IV, 446, 455. Sua alterigia, 490, 497. Si marita con Baldovino re di Gerusalemme, e resta delusa, 541. Sua morte, 542.
Adelaide, figlia di Roberto conte di Fiandra, moglie di Ruggieri duca di Puglia, IV, 459.
Adelao, o Audelao, duca di Benevento, III, 163.
Adelardo, vescovo di Reggio, III, 1100, 1107. Ricovera Adelaide regina in Canossa, 1118.
Adelberto, vescovo aretino, dianzi usurpatore della chiesa di Ravenna, IV, 101.
Adelfio (Clodio), prefetto di Roma, II, 42.
Adelgiso, figlio del re Desiderio, creato collega nel regno, III, 273, 274, 301. Fugge alla comparsa di Carlo Magno, 314, 315. È assediato in Verona, 316. Si mette in salvo, ritirandosi a Costantinopoli, 320. Ivi è chiamato Teodoro, 325, 373. Fine de' suoi giorni, 374.
Adelgiso, principe di Benevento, III, 672. È sconfitto dai Saraceni, 680, 681. Compra la pace da essi, 699. Accoglie Lodovico II Augusto, 712. Ricupera Bari, 732, 733. Imprigiona esso Augusto, 740. Il rilascia, 741. Guerra intimata contra di lui, 748. Va in aiuto de' Salernitani, 749. Dà una rotta ai Saraceni, 751. Fa pace coll'imperador Lodovico, 756. Malmenato dai Saraceni, 775. Da essi sconfitto, 777. Fa patti con loro, 785. Sua morte violenta, 807.
Adelgiso, vescovo di Como, III, 1263.
Ademario, principe di Salerno, III, 669. Aiuta Sergio duca di Napoli, 692. Imprigionato e deposto, 696, 709. Gli son cavati gli occhi, 712.
Ademario, principe di Capoa, poco godè del suo principato, IV, 38.
Adeodato papa. Sua elezione, III, 40. Passa a miglior vita, 45.
Adeodato, vescovo di Siena, III, 144, 151.
Adeverto, vescovo di Padova, III, 1088.
Adige, fiume. Sua sterminata escrescenza, II, 1070, 1071.
Adolfo di Nassau, creato re di Germania e dei Romani, V, 218. Crea vicario generale della Lombardia Matteo Visconte, 231. E della Toscana Giovanni da Caviglione, 248. Ucciso in una battaglia, 254.
Adone, o Aldone, governatore del Friuli, III, 91. Sua morte, 94.
Adozion d'onore, come praticata una volta, III, 68.
Adrevaldo, abbate noviacense, III, 597.
Adriano (Publio Elio), che fu poi imperadore. Sua nascita, I, 310. Porta a Traiano la nuova della [773] adozione d'esso fatta da Nerva, 380. Varii suoi impieghi, e speranza di succedere a Traiano, 408. A cui serve di segretario, 409. Governatore della Soria, 429. È promosso all'imperio, 432. Sua gioventù e sue qualità, 434. Pace da lui data al re Cosdroe, 436. Ritorna a Roma, 437. Spettacoli da lui dati, 439. Sua liberalità e applicazione al governo, ivi, 440. Va alla guerra contro i Sarmati, 441. Congiura contro di lui, 442. Iniquamente leva la vita ad Apollodoro architetto, 444. Sua incostanza, 445. Sue lodevoli qualità, 446. Dà principio ai suoi viaggi, 448. Sua perizia nell'arte militare, 449. Passa nella Bretagna, 450. E in Ispagna, 452. Va in Oriente e fa benefizii a tutte quelle città, 454. Si restituisce a Roma, 456. Passa in Africa, poi torna a Roma, 457. Si rimette in viaggio per visitare la Grecia e l'Asia, 458. Amatore, ma volubile, dei letterati, 459. Va nell'Egitto, e sue pazzie per Antinoo, 462, 463. Contra di lui si ribellano i Giudei, 464. Fine di quella guerra, 470, 471. Torna a Roma, 472. Buon governo e fabbriche da lui fatte, 474. Adotta in suo figliuolo Lucio Ceionio Commodo, 474. Sua malattia, e ritiro a Tivoli, 476, 477. Sue crudeltà, 481. Suo celebre motto, 484. Fine di sua vita, ivi. Deificato, 486, 487.
Adriano I papa. Sua elezione, III, 309. Suo dominio in Roma, 310. Sue dissensioni col re Desiderio, 311, 312. Non gli mantien le promesse Carlo Magno, 326. Donazione di Costantino da lui citata, 332. Sue querele contro Leone arcivescovo di Ravenna, 334. Suoi legati a Tassilone duca di Baviera, 344, 345, 365. Sua lettera a Carlo Magno, 367. Altre città a lui promesse da Carlo, ivi. Ma non ottenute, 372. Doglianze sue ad esso Carlo, 378. Passa a miglior vita, 398.
Adriano II papa. Sua elezione, III, 714. Suo concilio, 717. Ingiuria a lui fatta da Anastasio cardinale, 718. Sua costanza nell'affare di Lottario duca di Lorena, 724. Suoi legati a latere in favore di Lodovico II Augusto, 726. Suo disegno in favore di Carlo Calvo, 743. Muore, 744. Coronò Lodovico II per la Lorena, 747. Mise l'interdetto in Napoli, 753.
Adriano III papa. Sua elezione, III, 840. Concilio da lui celebrato, 846. Passa a miglior vita, 847.
Adriano IV papa. Sua elezione, IV, 717. Scomunica il re di Sicilia, 723. Suo abboccamento col re Federigo I, 727. A cui dà la corona imperiale, 728. Muove guerra al re di Sicilia, 730, 731. Rifiuta l'accordo proposto da esso re, 735. Con cui fa pace, 736. Sue liti con Federigo Augusto, [774] 738. Manda a pacificarlo, 743. Nuova discordia fra loro, 753. Dà fine al suo vivere, 755.
Adriano V papa. Sua elezione e morte, V, 115, 116.
Adriano VI papa. Sua creazione, VI, 376, 377. Suo arrivo a Roma, 389. Sua lega coll'imperadore, ed è chiamato a miglior vita, 392, 393.
Adriano, cardinale di Cornetto avvelenato, VI, 199.
Adulazione, propria delle corti, I, 387.
Advento (Oclatino), prefetto del pretorio sotto Caracalla, I, 743. Console, 746, 747.
Aezio, genero di Severo Augusto, I, 653.
Aezio, maggiordomo di Giovanni tiranno, spedito agli Unni, II, 454. Passa al servizio di Valentiniano III, 460. Fa ritirare i Goti dall'assedio di Arles, 485. Con frode abbatte Bonifazio conte, 468. Si scopre il suo inganno, 474. Generale di Valentiniano III, 476. Console, 482. Fa duello con Bonifazio, e si ritira fra i Barbari, 483,484. Creato di nuovo generale, 486. Rotta da lui data ai Borgognoni, 491. Altre sue imprese nelle Gallie, 496, 500. Suoi preparamenti contro Attila, 551. È ucciso, 572.
Africa, occupata dai Vandali, II, 471. Vizii di quei popoli, 503.
Agano, conte di Lucca, III, 605.
Agapito papa. Sua elezione, II, 857. Dal re Teodato è inviato a Costantinopoli, 861. Dove manca di vita, 863.
Agapito II papa. Sua elezione, III, 1101. Concilio da lui tenuto, 1109. Fine di sua vita, 1134.
Agatone, vescovo di Grado, II, 1219.
Agatone papa. Sua elezione e concilio, III, 52. Concilio da lui tenuto in Roma, 54. Concilio VI generale tenuto per cura sua in Costantinopoli, 59. Passa da questa all'altra vita, 64.
Agatone, duca di Perugia, III, 222, 224.
Agatone, vescovo di Todi, III, 676.
Ageltruda, moglie di Guido imperadore, III, 884. Si oppone in Roma ad Arnolfo re di Germania, 909. Si fortifica nel ducato di Spoleti, 912. Governa Benevento, 918. Sua concordia col re Berengario, 934. Abita nel ducato di Spoleti, 946.
Agilolfo, duca di Torino, preso per marito dalla regina Teodelinda, II, 1081. È proclamato re, 1083. Riscatta i suoi sudditi condotti in Germania, ivi, 1084. Ricupera Perugia, 1088. Porta la guerra fin sotto Roma, 1090. Ariano di credenza, tuttavia ben affetto ai cattolici, 1092. Fa pace coi Romani, 1105. Quando abbracciasse la fede cattolica, 1107. Fa pace cogli Unni, 1112.
Agilolfo, re dei Longobardi, prende e distrugge Padova, II, 1114, 1115. Fa guerra ai Romani, 1115. Nascita e battesimo di Adaloardo suo figlio, 1118, 1123. Sua corona d'oro in Monza, 1125. Acquista [775] e dirocca Cremona, 1126. Ricupera Mantova, 1126, 1127. Fa tregua coi Romani, 1128. Lega coi Franchi, 1137. Protegge san Colombano abbate, 1149. Che per lui scrive al papa, 1153. Fine di sua vita, 1156. In che tempo accadesse, 1157.
Agiprando, duca di Chiusi, III, 229.
Agnello, Vescovo di Trento, II, 1083.
Agnello, storico malaffetto verso la Sede apostolica romana, III, 26, 27, 40, 47, 58. Sua favola, 102, 103, 127.
Agnese imperadrice, moglie di Arrigo II fra gli imperadori, IV, 204. Coronata in Roma, 231. Partorisce Arrigo IV, 248. Tutrice del medesimo dopo la morte del padre, 278. Sdegnata per la elezione di Alessandro II papa, 301. Le vien rapito Arrigo IV suo figlio, 306. Passa a Roma, e fa penitenza, 308. Sua morte 380.
Agobardo, arcivescovo di Lione, III, 588. È deposto, 591.
Agobardo, dottissimo vescovo di Lione, scrive contro i duelli, II, 740.
Agone, duca del Friuli, II, 1248, 1272. Sua morte, III, 17.
Agostino (Santo), vescovo, maestro di retorica in Milano, II, 250, 255. Sant'Ambrogio gli conferisce il battesimo, 268. Creato vescovo di Ippona, 328. Difende il cristianesimo dalle calunnie de' gentili, 401, 423. Scrive contro i Pelagiani, 441, 460. Amicissimo di Bonifazio conte, 467. Fine di sua vita, 478. Traslazione del suo corpo a Pavia, III, 167.
Agostino, monaco, inviato da san Gregorio a convertir l'Inghilterra alla fede di Cristo II, 1099.
Agostino Barbarigo, doge di Venezia, VI, 96. Sua pia morte, 190.
Agostino Valerio, vescovo di Verona, creato cardinale, VI, 794.
Agricola (Gneo Giulio), figlio di Grecino senatore, I, 120. Console, e suocero di Cornelio Tacito, 312. Governatore della Bretagna, 313. Varie sue imprese, 331, 333. Richiamato a Roma, 334. Fine di sua vita, 335, 352.
Agricola (Calpurnio), generale di Marco Aurelio nella Bretagna, I, 530.
Agrippa (Marco Vipsanio), genero e confidente di Cesare Augusto, I, 2. Sua morte, 10.
Agrippa, figlio di Marco Agrippa, adottato da Tiberio, I, 15. È relegato nell'isola della Pianosa, ivi, 24. Ucciso, 42.
Agrippa fratello di Tiridate, già re dell'Armenia, imprigionato, I, 108. Liberato da Caligola, è creato re, 116. Arti sue per far Claudio imperadore, 143. È da questo ricompensato, 147. Muore, 161.
[776]
Agrippa, re dell'Iturea, I, 310.
Agrippina, moglie di Tiberio, da lui di mal animo ripudiata, I, 10. Appellata anche Vipsania, e maritata con Asinio Gallo, 84 V. Vipsania.
Agrippina, moglie di Germanico Cesare, madre di Caligola, I, 45. Suo animo virile, 49. Sua onestà, 59. Fa processar Pisone, 61, 62. Relegata, 84. Sua morte, 97.
Agrippina, figlia di Germanico Cesare, madre di Nerone imperadore, I, 59. Maritata con Gneo Domaizio Enobarbo, 80. Disonestamente amata da Caligola suo fratello, 120. Relegata da lui, 130. Ritorna a Roma, 147. Diviene moglie di Claudio Augusto, 178. Dichiarata Augusta, 181. Fonda la colonia Agrippina, 182. Col veleno leva di vita il marito Claudio, 193. Tenuta in freno da Burro e da Seneca, 196, 197. Sue rotture col figlio, 199. Da lui abbassata, 200. Tentativi di lui per torla dal mondo, 211. Nave congegnata per farla affogare, 212. Uccisa finalmente per ordine del figlio, 214.
Agrippino (Fabio), governatore della Soria, occiso da Elagabalo, I, 755.
Aicardo, vescovo di Parma, III, 1005.
Aicardo, arcivescovo di Milano, V, 514. Sua morte, 566.
Aimerico, cancelliere, IV, 654.
Aimerigo, arcivescovo di Ravenna, V, 457.
Aimone, vescovo di Ginevra, V, 350.
Aione, duca di Benevento, II, 1231. Ucciso dagli sclavi, 1232.
Aione, vescovo di Salerno, III, 623.
Aione, vescovo di Benevento, III, 785.
Aione, principe di Benevento, III, 843. Imprigionato da Guido duca di Spoleti, 854. Ricupera Bari, e fa altre imprese, 873, 875. È sconfitto dai Greci, 874. Termina il corso di sua vita, 884.
Alachi, duca di Trento. Sua vittoria sui Bavaresi, e ribellione contro il re Bertarido, III, 60. Usurpa la corona al re Cuniberto, 79, 80. Sua malvagità, 80, 81. Battaglia da lui data ad esso Cuniberto, 84. In cui muore, 85.
Alamanni o Alemanni, I, 725. Sotto Teoderico re vengono ad abitar nell'Italia, 729.
Alarico, capo de' Goti, saccheggia le provincie romane, II, 325, 326. Generale di Arcadio Augusto, 330. Dichiarato re dai Goti, 350, 359. Occupa alcune città d'Italia, 361. Sconfitto in più battaglie da Stilicone, 363, 364. Con cui tiene poi delle trame segrete, 376. Sue minaccie contra di Onorio Augusto, 383. Assedia Roma, 389. Suo trattato coi Romani, 391, 396. Prende e saccheggia Roma, 400. Sua morte subitanea, 406.
Alarico, re dei Visigoti, II, 691. Prende in moglie [777] una figlia del re Teoderico, 716. Sconfitto e morto in una battaglia coi Franchi, 765.
Alberghettino de Manfredi, signor di Faenza, V, 465. Cede quella città all'armi del papa, 491.
Alberico, marchese di Camerino, III, 976. Concorre a cacciare dal Garigliano i Saraceni, 996, 997. Fu padre di Alberico che divenne principe di Roma, 999. Dono da lui fatto al monistero di Farfa, 1006. Fine di sua vita, 1029.
Alberico, figlio di Alberico marchese, che fa poi principe di Roma, III, 999, 1030. Proclamato principe, 1054. Caccia da Roma il re Ugo, 1055. E la sostiene contra di lui, ivi. Usurpa tutto il dominio di Roma, 1066. Difende questa città, e fa pace col re Ugo, 1067. Rimette in buon sesto il monastero di Farfa, 1078. Guerra a lui continuata da esso re Ugo, 1085. Poscia con lui fa pace, 1101. Cessa di vivere, 1131.
Alberico, vescovo di Como, IV, 123. Compra la badia della Novalesa, 169.
Alberico, abbate di San Zenone di Verona, IV, 239.
Alberico, abbate del monistero di San Benedetto di Polirone, IV, 499, 535.
Alberico da Romano, comincia la sua potenza in Trivigi, IV, 1156. Va in soccorso di Parma, 1202. E di Padova, 1257. Fa lega con Eccelino suo fratello, 1263. Dopo la cui morte è scacciato dai Trivisani, V, 16. Che l'assediano, e gli levano la vita, 24.
Alberico, conte di Barbiano, interviene al sacco di Cesena, V, 755. Dà una rotta ai Bretoni, 770, 780. Barbaricamente dà il sacco ad Arezzo, 786. Contestabile del regno di Napoli, 798. Va al servigio del papa, 836. Sconfitto e preso in un fatto d'armi, 851. Va al servigio del duca di Milano, 870. Fa guerra ai Fiorentini, 873. Al signor di Mantova, 877, 878. Al signor di Faenza, 896.
Albericone, vescovo di Reggio, IV, 835.
Alberoni (Giulio), creato cardinale, VII, 278. Accusato come autore della guerra mossa dal re Cattolico all'imperadore, 279. Crescono le mormorazioni contra di lui, 283. Sue grandi idee contra di varii potentati, cagione della quadruplice alleanza contro la Spagna, 289. Sue mire per ingrandire la Spagna, 296. Licenziato dalla corte di Spagna, viene a Genova, 297. Si salva dall'ira di papa Clemente XI, 303. Ito a Roma, risorge, 306. Legato di Ravenna, 417. Tenta di sottomettere al dominio pontifizio la repubblica di San Marino, 458.
Alberto duca, governatore di Lucca, III, 258.
Alberto Azzo, marchese progenitore de' principi estensi, V. Azzo II.
Alberto, poscia arcivescovo di Magonza, uomo scellerato, IV, [778] 529. Sollevazioni da lui mosse contro Arrigo V, 581.
Alberto marchese e duca di legge salica, IV, 605. Investito dei beni e Stati della contessa Matilda, ivi.
Alberto, marchese d'Este, IV, 722, 864.
Alberto, vescovo di Lodi, IV, 817.
Alberto, arcivescovo di Ravenna, IV, 994
Alberto da Reggio, vescovo e governatore di Brescia, IV, 1022.
Alberto dalla Scala, signor di Verona, V, 125,191, 232, 263. Sua morte, 275.
Alberto Scotto, divien signore di Piacenza, V, 208. Manda aiuti a Parma, 238. Collegato con Matteo Visconte, 263. Opprime Matteo Visconte, 278. Acquista Bergamo e Tortona, 280. Indarno assiste ad esso Visconte, 287. È scacciato dai Piacentini, 293. Ripiglia il dominio di quella città, 328. Ne è cacciato, 334, 348. Per la terza volta si fa signor di Piacenza, 358. Spogliato di quel dominio e de' suoi beni, va ramingo, 368. Fine del suo vivere, 394.
Alberto I, figlio di Ridolfo re de' Romani, duca di Austria, V, 212. Succede al padre, 214. Sue liti con Adolfo re de' Romani, 253. Eletto re, uccide l'emulo in una battaglia, 254. Rimesso in grazia di papa Bonifazio, 278, 281. È ucciso da suo nipote, 316.
Alberto II dalla Scala, signor di Verona, Padova, ec., V, 486. Collegato cogli Estensi, 507. Signoria di Parma a lui data, 525. Fatto prigione dai Veneziani, 536. Rimesso in libertà, 543. Fa guerra a Mantova, 556. Sua morte, 625.
Alberto, marchese d'Este, signor di Ferrara, V, 825. Collegato col conte di Virtù, 837. Si ritira dalla lega col conte di Virtù, 841. Dà fine al suo vivere, 857.
Alberto II, duca d'Austria, creato re de' Romani, V, 1127. Immatura sua morte, 1136.
Alberto Pio, signor di Carpi, nemico della casa di Este, VI, 267, 356, 394, 409.
Albino (Clodio). Sua vittoria de' popoli barbari, I, 597, 609. Brama di rimettere in piedi la repubblica romana, 631. Creato Cesare da Severo Augusto, 644. È console, 649. Acclamato imperadore, 666. Sconfitto da Severo, 667. Si uccide, 669.
Albino (Nummio), prefetto di Roma, I,911.
Albino (Ceionio Rufio), console e prefetto di Roma, I, 1204, 1207.
Albino, prefetto di Roma, II, 281, 286, 292.
Alboino, re de' Longobardi. Suo gran credito, II, 977. Vince ed uccide Cunimondo re de' Gepidi, 986. Fama ch'egli fosse chiamato in Italia da Narsete, 992. Sua risoluzione di conquistar l'Italia, 995. [779] Suo armamento, 696. Suo ingresso e sue conquiste in Italia, 998. S'impadronisce di quasi tutta la provincia della Venezia, 1000. Assedia Pavia, 1004. Stende il suo dominio per l'Emilia, Toscana ed Umbria, 1006. Se gli rende Pavia, 1010. Tempo della sua morte, 1012. Cagione e maniera d'essa, 1014, 1015.
Alboino, duca di Spoleti, III, 268, 272.
Alboino dalla Scala, signor di Verona, V, 295. Fa guerra al marchese d'Este, 303. Vicario di quella città, cessa di vivere, 351.
Alcimo Ecdicio Avito, vescovo di Vienna, II, 719.
Aldone, nobile longobardo, ribello al re Cuniberto, III, 79. Poscia a lui favorevole, 81. Sospetti del re contra di lui, 93.
Aldrovandino, marchese d'Este, succede ad Azzo VI suo padre, IV, 1018. Ritiene la signoria di Verona, 1021. Guerra a lui fatta dai Padovani, ivi. Investito della marca d'Ancona, 1024 È rapito dalla morte, 1026.
Aldrovandino, marchese d'Este, succede al padre nella signoria di Ferrara, V, 634. Collegato con Giovanni da Oleggio, 648, 649, 652. Sua morte, 684.
Aldruda, contessa di Berlinoro, IV, 841.
Aledramo, primo marchese del Monferrato, III, 1150, 1185.
Alessandria d'Egitto, assediata e presa dai Saraceni, II, 1223.
Alessandria della Paglia. Sua fondazione, IV, 818. Assediata da Federigo I imperadore, 838, 843. Frode e tentativo di lui per sorprenderla, 844. Liberata dall'assedio, 845. Suo primo vescovo, 847. Chiamata Cesarea per qualche tempo, 883.
Alessandrini, vittoriosi degli Astigiani, IV, 1070, 1081. Si rinnova la guerra, 1097, 1191. Prendono e fanno morire Guglielmo marchese di Monferrato, V, 206.
Alessandro (Tiberio), governatore dell'Egitto, I, 276.
Alessandro I papa, I, 408. Suo martirio, 427.
Alessandro, famoso impostore in Oriente, I, 533.
Alessandro (Marco Aurelio Severo), dichiarato Cesare e console, I, 763. Perseguitato dal cugino Elagabalo Augusto, 764. Difeso da' soldati, 768. Dichiarato imperadore, 769. Suoi assessori e buon governo, 771. Venerava Cristo ed anche Abramo, 776. Sua insigne massima, ivi. Suo rescritto in favor de' cristiani, ivi. Usi e lodevoli azioni in privato, 777. Quale la sua vita civile, ivi, 778. Sue premure per la pubblica felicità, 784. Sue fabbriche, 787. Ribellioni sotto di lui, 790, 791. Saggia sua distribuzione degli uffizii, 794. Guerra a lui mossa dai Persiani, 798. Va in Oriente contra di loro, ivi. [780] Severo esattore della militar disciplina, 799. Riporta vittoria dei Persiani, 803. Suo ritorno a Roma, e trionfo, 805. Sua liberalità, 806. Passa alla guerra contro i Germani, 808. Dove è ucciso dai soldati, 812. Sue Lodi, ivi.
Alessandro, usurpatore dell'imperio nell'Africa, I, 1091. Oppresso dall'armi di Massenzio 1102.
Alessandro, imperador de' Greci, III, 977. Tempo di sua morte, 984.
Alessandro II papa. Sua elezione, IV, 300. (V. Anselmo da Badagio.) Concilio da lui tenuto, 314 Privilegii da lui conceduti a Lucca, 318. Suo concilio in Mantova, 329. E in Melfi, 338. Dedica la basilica di Monte Casino, 347. Sua morte, 355.
Alessandro, abbate di Telesa e storico, IV, 632.
Alessandro III, papa. Sua elezione, IV, 756. Suoi nunzii rigettati da Federigo Augusto, 761. Niega d'intervenire al concilio proposto da lui, 764. Scomunica esso Federigo, 765. Si ritira a Genova, 770. Va in Francia, ed è protetto da quel re, 780. Celebra un concilio nella città di Tours, 784. Torna in Italia e a Roma, 793. Suoi trattati col greco Augusto, 799. Si premunisce contra di Federigo, 806. Assediato in Roma, 807. Fugge a Benevento, 809. In suo onore Alessandria nomata una nuova città, 818. Tratta con lui Federigo di pace, 824. Suo accordo co' Romani, dai quali è burlato, 831. Legati a lui spedili da Federigo I per trattare di pace, 854. Va per questo a Venezia, 858. Dove si celebra la pace fra lui e l'imperadore, 861. Favole intorno al loro congresso, 863. Torna ad Anagni, 864. Poscia a Roma, 865. Concilio generale lateranense da lui tenuto, 870. Chiamato da Dio a miglior vita, 878.
Alessandro IV papa. Sua elezione, IV, 1243, 1244. Fa guerra a Manfredi occupator della Puglia, ma con poco vantaggio, 1247, 1251. Promuove la liberazion di Padova, 1255. Si ritira a Viterbo, 1269. Mette pace fra i Veneziani e i Genovesi, 1273. Scomunica il re Manfredi, V, 18. Con cui indarno tratta di pace, 20. Termina i suoi giorni, 27.
Alessandro V papa. V. Pietro di Candia.
Alessandro Sforza, fratello del conte Francesco, fa guerra nel regno di Napoli, V, 1149, 1159. Sua vittoria di Francesco Piccinino, 1170. Eredita Pesaro, 1174. Suo accordo col legato pontifizio, 1179. Sconfitto da Carlo da Montone, 1227. E da Jacopo Piccinino, 1263. Rotte da lui date a Jacopo Piccinino, 1267, 1271. Generale del papa, VI, 32. Fine del suo vivere, 46.
Alessandro VI papa. Sua elezione e difetti, VI, 112. Fa lega col duca di Milano e coi Veneziani, 115. [781] Favorisce Alfonso II re di Napoli, 118. Non può ritenere Carlo VIII dal calare in Italia, 119. Suoi affanni per la di lui venuta, 126. Si accorda con lui, ivi. Sua lega contra di Carlo VIII, 130. Suo esercito sconfitto, 143. Ucciso il duca di Gandia suo figlio, 144. Cesare suo figlio creato duca di Valenza, 148. Procura un insigne matrimonio al duca Valentino, 154. Fa guerra ai signori della Romagna, 158. Celebra il giubileo, 160. Corre pericolo della vita, 164. Crea duca della Romagna Cesare Borgia suo figlio, 182. Fa guerra a' Colonnesi ed a' Savelli, 189. Marita Lucrezia sua figlia con don Alfonso d'Este, 191. Sua morte, 198. Non cagionata da veleno, 199. Sue doti buone e cattive, 200.
Alessandro Fregoso, vescovo di Ventimiglia, VI, 356.
Alessandro VII papa. Sua elezione, VI, 1195. Chiama a Roma il fratello e i nipoti, 1203, 1204. Rimette i gesuiti in Venezia, 1209. Grave impegno de' suoi nipoti co' Franzesi, 1227. Suo armamento per difendersi, 1232, 1233. Accordo fra essi, 1236. È chiamato da Dio a miglior vita, 1245.
Alessandro VIII papa. Sua creazione, VII, 81. Sue azioni, 89. Termina il corso di sua vita, 90.
Alessio Comneno, proclamato imperador de' Greci, IV, 405. Guerra a lui mossa da Roberto Guiscardo, 406. Sconfitta l'armata sua, 407. Perde Durazzo, 410. Perde due battaglie, 416, 422. Domanda soccorsi al papa contro i Turchi, 463. Suoi negoziati in Roma, 539.
Alessio (Angelo), protetto dalla crociata, che prende a stabilirlo sul trono di Costantinopoli, IV, 981. È condotto colà, 982. Col padre liberato è eletto imperadore, ivi. Poi privato di vita, 984.
Alesto, ossia Alletto, usurpatore dell'imperio nella Bretagna, I, 1033. Sconfitto ed ucciso dall'esercito di Costanzo Cloro, 1038.
Alfano, arcivescovo di Capos, IV, 856.
Alferio (Santo), primo abbate della Cava, IV, 151. Sua morte, 247.
Alfonso, re di Castiglia, eletto re de' Romani, IV, 1261; V, 32, 95, 100, 105. Suo abboccamento con Gregorio X papa, 110.
Alfonso, re d'Aragona, succede al padre, V, 1007. Indarno assedia Bonifazio, 1029. È adottato dalla regina Giovanna, 1030. Le manda soccorsi, ivi. Arriva a Napoli, 1036. Fa guerra alla regina, 1044. S'impadronisce di Napoli, 1046. Dà il sacco a Marsilia, 1047. Perde Napoli, 1054. Fa pace col duca di Milano, 1068. Estingue lo scisma, 1077. Sbarca in regno di Napoli, 1114. Sconfitto e fatto prigione da' Genovesi, 1115. È rimesso in libertà dal duca di Milano, 1116. Comincia [782] la guerra nel regno di Napoli, 1120. Resta sconfitto ad Aversa, 1123. Indarno assedia Napoli, 1131. Fa guerra al re Renato, 1136, 1149. S'impadronisce di Napoli, 1157. E di quasi tutto il regno, 1158. Sua lega con papa Eugenio, 1161. Fa guerra a Francesco Sforza, 1164, 1176. Poscia ai Fiorentini, 1196, 1202. E ai Veneziani, 1212, 1213. Torna a farla a' Fiorentini, 1226. E ai Genovesi, 1243. Sua discordia con papa Callisto, 1247. Accanito contro i Genovesi, 1248. Dà fine al suo vivere, 1250.
Alfonso, cardinale di Spagna, V, 1027.
Alfonso, duca di Calabria, figlio del re Ferdinando, va in aiuto di Roberto Malatesta, VI, 33. Fa guerra ai Fiorentini, 64. Loro dà una sconfitta, 68. Si fa proclamare signore di Siena, 72. Ricupera Otranto, 74. Va in soccorso del duca di Ferrara, 79. Sconfitto da Roberto Malatesta, 80. Generale della lega contro i Veneziani, 84. Sua discordia con Lodovico il Moro, 85. Sua crudeltà e lussuria il fanno odiare, 90. Fa guerra a Roma, ivi. Succede al padre nel regno di Napoli, 118. Suoi affanni per la venuta di Carlo VIII, 124. Rinuncia la corona al figlio, 127. Muore, 128.
Alfonso I, principe di Ferrara. Sue nozze con Anna Visconte, VI, 109. Prende in moglie Lucrezia Borgia, 191. Succede ad Ercole I duca suo padre, 217. Congiura de' fratelli contra di lui, 223. Gonfaloniere della Chiesa romana, entra in guerra contro i Veneziani, 239. Sbaraglia la loro flotta, 249. Scomunicato da papa Giulio, perde Modena, 254, 255. Assalito dall'armata spagnuola, 273. Riacquista la bastia del Zaniolo, 274. Sue prodezze nella battaglia di Ravenna, 283. Va a Roma, e il papa gli manca di fede, 290. Rimesso in grazia di papa Leone, 299. Che gli manca di parola, 315, 316, 331, 332, 352, 356. Tradimento contra di lui ordito dal papa, 361. Fa sciogliere l'assedio di Parma, 367. Fulmini di papa Leone contra di lui, 371. Per la morte di lui ricupera molte terre, 374, 375, 391. E Reggio e Rubiera, 394. Dà aiuto al re di Francia, 409. Macchine di papa Clemente contra di lui, 418. Si accorda coll'imperadore, 428. Suo abboccamento col duca di Borbone, 434 Ricupera Modena, 442. Sua lega col re di Francia in aiuto del papa, 449 Insidie a lui tese da papa Clemente, 463. Ben ricevuto da Carlo V, 472. In cui son compromesse le liti sue col papa, 477. Laudo a lui favorevole, 483. Fine del suo vivere, 508.
Alfonso III d'Este, principe di Modena. Sue nozze coll'infanta di Savoia, VI, 923. Spedito contro i Lucchesi, 943. Succede al padre nel ducato, [783] 1025. Lo rinunzia a Francesco suo primogenito, 1031. E si fa cappuccino, ivi.
Alfonso IV, principe ereditario di Modena. Sua nascita, VI, 1068. Suo matrimonio, 1198. Succede al padre, 1213. Fa pace cogli Spagnuoli, 1217. Sua morte, 1229.
Algeri, tempestato dalle bombe franzesi, VII, 43, 49.
Algisio, arcivescovo di Milano, IV, 858.
Alì, genero di Maometto. Sua guerra con Muavia, II, 1266. Ucciso da' suoi, 1269.
Alidosio (Francesco), cardinale, governatore di Bologna, VI, 264. Ucciso dal duca d'Urbino, 266.
Alinardo, arcivescovo di Lione, IV, 244.
Alipio (Faltonio Probo), prefetto di Roma, II, 292.
Alitgario, vescovo di Cambrai, III, 563.
Alletto, V. Alesto.
Allone, duca di Lucca, III, 326, 356, 357.
Allonisino, duca di Lucca, III, 71.
Allovico, generale di Onorio Augusto, ucciso, II, 408.
Aloara, principessa di Capoa. Sua morte, III, 1277.
Alpi Cozie. Patrimonii in esse restituiti alla Chiesa romana, III, 125, 126.
Alrico, vescovo d'Asti. Sua lite con Arnolfo II arcivescovo di Milano, IV, 112. Invita al regno di Italia Roberto re di Francia ed altri, 146, 147. Fonda monasteri, 164, 169. Ferito in un fatto d'armi muore, 186.
Altosasso, capitano degli Svizzeri, VI, 271.
Alviano (Bartolommeo d'), generale de' Veneziani. Sue prodezze, VI, 228, 233. Perde la battaglia di Ghiaradadda, 236. Torna generale de' Veneziani, 299. Ricupera Brescia e Bergamo, 301. Le abbandona, 304, 305. Sconfitto dagli Spagnuoli, 309. S'impadronisce di Cremona, 323. E di Lodi, 324. Coopera alla vittoria de' Franzesi a Marignano, 327. Ricupera Bergamo, 329. Fine de' suoi giorni, ivi.
Alzeco, duca de Bulgari viene ad abitare in Italia, III, 35.
Amalafreda, sorella del re Teoderico, maritata con Trasamondo re de' Vandali, II, 726. Tolta di vita dal re Ilderico, 835.
Amalarico, figlio di Alarico re de' Visigoti, II, 765. Restituito il regno a lui solamente dopo la morte del re Teoderico, 772, 825, 828. È ucciso dai suoi, 841.
Amalario, vescovo di Treveri, III, 483.
Amalasunta, figlia del re Teoderico, maritata con Eutarico Cillica, II, 791. Tutrice del figlio Atalarico re d'Italia, 824, 828. Che non può allevare alla romana, 829. Malveduta dagli stessi Goti, 840. Promuove l'elezione di Teodato, 854. Da cui è tradita e tolta di vita, ivi. [784] Amalberga, badessa di Santa Giulia di Brescia, III, 593.
Amalfi, città una volta assai mercantile, si suggetta a Roberto Guiscardo, IV, 382. Si ribella al duca Ruggieri, 470. Saccheggiata da' Pisani, 636.
Amalrico, vescovo di Como ed abbate di Bobbio, III, 697.
Amando (Gneo Salvio), usurpatore dell'imperio, I, 1014.
Amato, primo arcivescovo di Salerno, III, 1254.
Amato II, arcivescovo di Salerno, IV, 139.
Ambrosio, eletto e consecrato arcivescovo di Milano, II, 191. Confidente di Graziano Augusto, 220. Assiste al concilio d'Aquileia, 230. Suo zelo per abolire la statua della Vittoria, 236. Spedito a Massimo tiranno, 246. Pace da lui conchiusa, 251. Da lui confutata la relazion di Simmaco per la statua della Vittoria, 254, 282. Sua costanza in difendere le basiliche dagli Ariani, 258, 261. Inviato di nuovo a Massimo tiranno, 268. Impedisce a Teodosio Augusto lo ingresso nel tempio, 288, 289. Amato da Valentiniano II Augusto, 296. Fa l'orazione funebre di questo principe, 301. Si ritira a Firenze, 305. Orazione funebre da lui recitata per Teodosio I Augusto, 317. Sua morte, 331.
Ambrosio, vescovo di Lucca, III, 651.
Ambrosio, conte di Bergamo, III, 898. Impiccato per ordine del re Arnolfo, 899.
Ambrosio, vescovo di Lodi, III, 1088.
Ambrosio, altro vescovo di Lodi, IV, 160.
Ambrosio, vescovo di Bergamo, IV, 213.
Amedeo, conte del palazzo, III, 922.
Amedeo, figlio di Adelaide marchesana di Susa, IV, 375, 377.
Amedeo, conte di Morienna e marchese, IV, 520. Danni a lui recati da Lottario re di Germania, 642. Va col re di Francia in Terra santa, 688. Muore in quel viaggio, 692.
Amedeo IV, conte di Savoia, figlio del conte Tommaso, costretto ad abbandonar Savona, IV, 1081. Succede al padre, 1116. Aderisce a papa Innocenzo IV, 1136. Poscia a Federigo II, 1199.
Amedeo, conte di Savoia, V, 308, 318, 330, 337, 345, 348, 357.
Amedeo VI, conte di Savoia. Sua guerra col marchese di Monferrato, V, 596. Bianca sua sorella moglie di Galeazzo II Visconte, 615. Appellato il conte verde, 653. Fatto prigione da' masnadieri, 683. Collegato col marchese di Monferrato contro i Visconti, 731. Sue azioni militari, 736, 743. Suo laudo, con cui mette pace fra i Veneziani e Genovesi, 784. Sua morte, 795.
Amedeo VII, conte di Savoia, V, 795. Immatura sua morte, 843. [785] Amedeo di Savoia, principe della Morea, V, 863, 872, 894.
Amedeo VIII, conte di Savoia, V, 843. Creato duca da Sigismondo Cesare, 1007. Muove guerra al duca di Milano, 1066, 1067. Fa pace coll'acquisto di Vercelli, 1072. Si ritira in un romitaggio, 1111. Eletto antipapa, 1135. Creato cardinale, 1204.
Amedeo IX, duca di Savoia, fa guerra al marchese di Monferrato, VI, 24, 25. Bona, sua sorella, maritata in Galeazzo Maria duca di Milano, 28. Termina il corso di sua vita, 44.
Americo, vescovo di Varadino. Sua morte, VI, 502.
Amingo, general franzese, vinto da Narsete, ed ucciso, II, 974.
Amiterno, dalle cui rovine nacque la città dell'Aquila, II, 1103.
Ammiano Marcellino, storico, assediato in Amida, II, 91.
Ammolone, vescovo di Torino, III, 925.
Amor di Soria (Emmanuele), conte e senatore di Milano. Sua onoratezza e giustizia, VII, 702.
Ampellio, prefetto di Roma, II, 173.
Anacleto, pontefice romano, I, 331. Suo martirio, 372.
Anacleto II, antipapa. Suoi vizii, IV, 611, 612. Si unisce con Ruggieri duca di Puglia e di Sicilia, 613. A cui dà il titolo di re, 614. Castiga i Beneventani, 616. Fortificato in castel Sant'Angelo, 623. Riacquista Benevento, 632, 652. Sua morte, 654.
Anastasia, sorella di Costantino il Grande, I, 1132.
Anastasia, figlia di Valente Augusto, II, 216.
Anastasia Augusta, moglie di Tiberio Trace, II, 1031.
Anastasia Augusta, madre di Giustiniano II imperadore. III, 92.
Anastasio, romano pontefice, II, 340. Sua morte, 360.
Anastasio, eletto imperadore d'Oriente, II, 706. Buoni principii del suo governo, 709. Guerra civile e contro gl'Isauri al suo tempo, 711, 712. Fautore degli eretici, 720. Si accorda col re Teoderico, 723. A lui muovono guerra i Persiani, 743. Muove guerra a' Persiani, 750. Da essi egli compera la pace, 754. Fa edificare Arcadiopoli, 766. Sua spedizione contro l'Italia, 769. Perseguita i cattolici, 783, 784. Contro di lui si sollevano i popoli, 789. Chiamato da Dio al rendimento de' conti, 797.
Anastasio II, papa eletto, II, 725. Suoi legati ad Anastasio Augusto, 730. Dà fine al suo vivere, 731.
Anastasio (Santo), martirizzato da' Persiani, II, 1187.
Anastasio, vescovo di Pavia. III, 54. [786] Anastasio Bibliotecario, III, 114.
Anastasio, imperadore de' Greci, cattolico, III, 146. Suo buon governo, 148. Deposto, si fa monaco, 155. Tentando di salire sul trono, è ucciso, 161.
Anastasio, eretico, patriarca di Costantinopoli, III, 192.
Anastasio, prete cardinale, deposto, III, 668. Suoi maneggi pel papato, 675. È scacciato, 676. È rimesso nel suo grado, 718. Scomunicato di nuovo, 719.
Anastasio III papa. Sua elezione, III,980. Sua morte, 985.
Anastasio IV papa. Sua elezione, IV, 711. Cessa di vivere, 717.
Anatolio, patriarca di Costantinopoli, II, 542.
Ancario (Quinto), presidente dell'Oriente, I, 891.
Ancira, città capitale della Galazia, presa dai Persiani, II, 1166.
Ancona. Suo porto fabbricato da Traiano, I, 426.
Andragazio, generale di Graziano Augusto, imputato della di lui morte, II, 244. Serve a Massimo tiranno, 275. Si precipita in mare disperato, 280.
Andrea, vescovo d'Ostia, III, 64.
Andrea, vescovo di Palestrina, III, 296.
Andrea, vescovo di Siena, III, 427.
Andrea, duca di Napoli, III, 602.
Andrea, duca di Napoli, ucciso, III, 634.
Andrea, patriarca d'Aquileia, III, 648, 677.
Andrea, storico, non fu Andrea Agnello Ravennate, III, 766.
Andrea, arcivescovo di Milano, III, 962.
Andrea, re d'Ungheria, IV, 253.
Andrea II, re d'Ungheria, IV, 1126.
Andrea, figlio di Carlo Uberto re d'Ungheria, viene a Napoli, V, 516, 567. Fatto uccidere dalla regina Giovanna sua moglie, 577, 578.
Andrea Dandolo, doge di Venezia, V, 569. Sua morte, 642.
Andrea Contareno, doge di Venezia, V, 711. Indarno chiede pace ai Genovesi, 772. Generale d'armata contra d'essi, 773. Sua vittoria e trionfal ritorno in Venezia, 778. Compie il corso di sua vita, 792.
Andrea Vendramino, doge di Venezia, VI, 55. Sua morte, 65.
Andrea Gritti, fa l'acquisto di Brescia e Bergamo, VI, 276. Fatto prigione da' Franzesi, 278. Riacquista la libertà, 295.
Andrea Doria. Sua battaglia in mare contro gli Spagnuoli, VI, 429, 444. Almirante di Francia, 446. Sua vittoria sotto Napoli, 459. Passa al servigio dell'imperadore, 460. Rende la libertà a Genova, 462. Prende Corone e Patrasso, 488. [787] Generalissimo dell'armata cesarea contro Tunisi, 512, 521, 534, 537, 613, 621, 622, 638. Manca di vita, 691.
Androino, abbate di Clugnì, legato pontifizio in Italia, V, 659. Cardinale mette pace fra i Visconti e collegati, 697.
Andromaco, prefetto di Roma, II, 317, 357.
Anfiteatro di Fidene, conquassato con la morte di molte migliaia di persone, I, 78. V. Colosseo.
Angelario, abbate di Monte Casino, III, 845. Rifabbrica quel monistero, 855.
Angelo Particiaco, doge di Venezia, III, 476. Sua morte, 561.
Angelo, vescovo d'Aquino, IV, 296.
Angelo Acciaiuoli, cardinale, V, 835.
Angelo, vescovo d'Anagni, V, 1021.
Angelo Poliziano, raro ingegno. Sua morte, VI, 125.
Angilberga, moglie di Lodovico II Augusto, III, 667, 680. Dono di Guastalla a lei fatto dal marito, 708. Va col marito al monastero di Monte Casino, 711. Sua avarizia, 723, 739. Spedita a Carlo Calvo e a Lodovico re di Germania, 745. Odiata dagl'Italiani, 746. Sua dimora in Capoa, 760. Fabbrica il monistero di San Sisto in Piacenza, 762. Resta vedova, 764. Suo soggiorno nel monistero di Santa Giulia di Brescia, 775. Suo testamento, 780. Lettere di papa Giovanni VIII a lei, 797. Diploma di Carlo il Grosso in suo favore, 814. Mandata a Roma, 826. Liberata, 827. Bolla pontifizia in favor d'essa, 846. Altri diplomi in favore della medesima, 879.
Augilberto, abbate di Centula, III, 352, 388, 394, 399. Vicerè in Italia pel re Pippino, 402.
Angilberto, arcivescovo di Milano, III, 638, 660, 677.
Anglico, cardinale legato pontifizio, V, 714.
Aniceto, liberto di Nerone, si assume di far perire Agrippina Augusta, I, 211, 212. La uccide, 214. Relegato in Sardegna, 226.
Aniceto, pontefice romano, I, 508. Celebra il concilio in Roma, in cui fu decisa la controversia circa il giorno di celebrar la Pasqua, 521. Suo martirio, 529.
Aniceto, prefetto del pretorio sotto Magnenzio, II, 35.
Anicia, famiglia celebre e potente in Roma, II, 169.
Anna, moglie di Berengario imperadore, III, 1007.
Anna, regina d'Inghilterra, succede al re Guglielmo, VII, 172. Separatamente si accorda col re di Francia, 243, 246. Sua morte, 262.
Ana Iwanowna, imperadrice della Gran Russia. Collegata con Carlo VI, VII, 429, 435. Sue guerre [788] contro i Turchi, ivi, 437, 446, 456. Sua morte, 464.
Annibaldo da Ceccano, cardinale, V, 611, 612.
Annibaliano (Afranio), prefetto di Roma, I, 1041.
Annibaliano (Flavio Claudio), nipote di Costantino il Grande, creato Cesare e re del Ponto, I, 1206, 1208, 1209. Ucciso da Costanzo Augusto, 1222.
Anno. Suo principio diverso in varii paesi, III, 831.
Annona. Definizione di questa parola, I, 510.
Annone, arcivescovo di Colonia, rapisce il giovane Arrigo IV re, IV, 306. Fa deporre l'antipapa Cadaloo, 308, 317. Sua prepotenza, 327. Viene a Roma, 329, 345.
Annulino (Annio), prefetto di Roma, I, 1067.
Ansa, regina, moglie del re Desiderio, III, 570.
Anscario, vescovo d'Amburgo ed apostolo dei Settentrione, III, 554.
Anscario, duca e marchese di Spoleti e di Camerino, III, 1065. In un fatto d'armi resta ucciso, 1081.
Anscauso, vescovo di Forlimpopoli, III, 277.
Anselberga, figlia del re Desiderio, prima badessa di Santa Giulia in Brescia, III, 288, 570.
Anselmo, duca del Friuli, III, 240. Fonda il monistero di Fanano, 243. E quello di Nonantola, 253. Ed alcuni spedali, 255. Aiuta Carlo Magno alla conquista d'Italia, 322. Fine di sua vita, 443.
Anselmo, arcivescovo di Milano, deposto, e rilegato in un monistero, III, 517. Rimesso sulla sua cattedra, 530. Fine da' suoi giorni, ivi.
Anselmo, conte di Verona, III, 980.
Anselmo, vescovo di Lucca, uomo di santa vita, IV, 362. Cacciato dagli scismatici, si riduce presso la contessa Matilda, 403. Sua morte e santità, 429.
Anselmo da Badagio, vescovo di Lucca, IV, 283. Spedito a Milano per rimediare all'incontinenza di quel clero, 295. Creato papa, 300. V. Alessandro II.
Anselmo da Rho, arcivescovo di Milano, IV, 424. Corona il re d'Italia Corrado, 457. Cessa di vivere, 458.
Anselmo (Santo), arcivescovo di Canturberì, IV, 458. Viene in Italia, 477. Disputa co' Greci, 479.
Anselmo IV, arcivescovo di Milano, IV, 476.
Anselmo da Pusterla, arcivescovo di Milano, IV, 593. Va a Roma; ne prende il pallio, 595, 596. Dà la corona a Corrado di Suevia, 604. Perciò è scomunicato, 607. Riceve il pallio da Anacleto antipapa, 613. È deposto dal clero e dal popolo di Milano, 629. Confermata la sua deposizione dal concilio di Pisa, ivi. Sua prigionia e morte, 638. [789] Anselmo, arcivescovo di Ravenna, IV, 726. Fine di sua vita, 754.
Anselmo, arcivescovo di Napoli, IV, 961.
Ansfrido, usurpatore del Friuli, atterrato, III, 90, 91.
Ansfrido, abbate di Nonantola, III, 563.
Ansperto, arcivescovo di Milano, III, 765, 774, 786, 800. Sue liti con papa Giovanni VIII, 803. Da cui è scomunicato, 806. È dichiarato decaduto dal vescovato, 813. Viene a morte, 830.
Ansprando, aio di Liutberto re de' Longobardi, III, 111. Con esso lui costretto alla fuga, 112. Fugge in Baviera, 117. Sua battaglia col re Ariberto II, 140. Appena eletto re muore, 142.
Ansprando, duca di Spoleti, III, 225. Sua morte, 238.
Antemio, creato imperadore d'Occidente da Leone Augusto, II, 622. Sua discordia con Ricimere patrizio, 639, 640. Da cui è assediato in Roma, 642. E poscia ucciso, 643.
Antero, romano pontefice, I, 814. Termina la sua vita col martirio, 815.
Antimo, vescovo eretico di Costantinopoli, II, 859. Deposto per cura di papa Agapito, 862, 869.
Antimo, duca di Napoli, III, 479, 487, 557.
Antinoo, morto in Egitto, e pazzie per lui fatte da Adriano imperadore, I, 462, 463.
Antiocheni. Lor sedizione contra di Teodosio I Augusto, II, 264. Clemenza di questo principe verso d'essi, 267.
Antiochia da terribile tremuoto rovinata, I, 423. Saccheggiata e incendiata dai Persiani, 889. Scossa orribilmente dal tremuoto, II, 10. Devastata dai tremuoti, 825, 833. Presa dai cristiani crociati, IV, 480.
Antiochiano (Flavio), prefetto di Roma, I, 766.
Antioco, re della Comagene, I, 54, 116, 147. Deposto da Vespasiano, 297, 298.
Antioco, imperadore efimero, I, 966.
Antioco, monaco della Palestina, autore di cento trenta omilie, II, 1155.
Antonia, madre di Germanico e di Claudio Augusto, I, 87, 116.
Antonia, figlia di Claudio imperadore, maritata con Gneo Pompeo, I, 147. Poscia a Cornelio Silla Fausto, 168. Fatta morire da Nerone, 240.
Antonino Pio, che fu poi imperadore. Sua nascita, I, 336. Suo nome proprio, Tito Aurelio Fulvio Boionio, 479. È adottato da Adriano, ivi. Sua cura per salvare la vita ad esso Adriano, 483. Qual fosse nella vita privata, 485. Perchè appellato Pio, 487. Sua moglie e suoi figli, 488. Sue belle qualità, 490. Fabbriche da lui fatte, 499. Sua moderazione e costumi popolari, 500, 501. Titolo di Ottimo a lui conferito, e perchè, [790] 508, 509. Sua cura del bene pubblico, ivi. Lettera sua in favor de' cristiani, 513. Disavventure pubbliche accadute a' suoi tempi, ivi. Sua morte, 523.
Antonino (Arrio), avolo di Antonino Augusto. Suo avvertimento a Nerva nell'abbracciarlo imperadore, I, 372. Proconsole nell'Asia fatto morire da Commodo, 617.
Antonino, vescovo di Merida, II, 521, 522.
Antonino, abbate di Sorrento, III, 579.
Antonino, vescovo di Pistoia, IV, 28.
Antonino (Santo), arcivescovo di Firenze. Sua morte, V, 1254.
Antonio (Lucio), ribellatosi contro Domiziano, sconfitto, perde la vita, I, 349, 350.
Antonio, patriarca di Grado, III, 174.
Antonio, vescovo di Brescia, III, 765.
Antonio, dell'ordine de' minori, spedito a Verona per liberar dalla prigionia il conte Ricciardo, IV, 1096. Sua morte e canonizzazione, 1102.
Antonio da Fissiraga, signor di Lodi, V, 278, 337. Ottiene perdono da Arrigo VII, 345. Sua prigionia, 369.
Antonio, conte di Montefeltro, V, 746.
Antonio dalla Scala, signor di Verona, V, 747. Guerra a lui mossa da Bernabò Visconte, 766. Uccide il fratello, 787. Muove guerra a Francesco da Carrara, 810. Da cui riceve una gran rotta, 815. E poscia un'altra, 820. Gli fa guerra il conte di Virtù, 821. Perde Verona, e miseramente muore, 822.
Antonio Veniero, doge di Venezia, V, 793. Sua morte, 895.
Antonio di Montaldo, doge di Genova, V, 854, 857, 861, 870, 878.
Antonio Viale, vescovo di Savona, V, 854.
Antonio di Guarco, doge di Genova, V, 861, 870, 878.
Antonio, conte d'Urbino, V, 912. Sua morte, 926.
Antonio Visconte, muove una sedizione contro Francesco Barbavara, V, 914 Generale del duca di Milano Giovanni Maria Visconte e dei Guelfi, 958.
Antonio degli Ordelaffi, signore di Forlì, V, 977, 1104. Gli è tolta quella città, 1118. Nuovamente s'impossessa della signoria di detta città, 1131. Sua morte, 1203.
Antonio Maria degli Ordelaffi, signore di Forlì, VI, 205.
Antonio Giustiniano, spedito dai Veneziani a Massimiliano d'Austria dopo la battaglia di Ghiaradadda: sua parlata, VI, 239.
Antonio Farnese, succede al fratello nel ducato di Parma e Piacenza, e prende moglie, VII, 329. Muore senza figli, 357.
[791]
Antoniotto Adorno, doge di Genova, V, 800, 801, 804. È deposto, 842. Ricupera il suo grado, 843. Mette pace fra i principi italiani, 849. Di nuovo deposto, 854. Tentativi da lui fatti per ricuperare la perduta dignità, 857. Torna al comando, 861. Cede Genova al re di Francia, 871, 879.
Apis, dio dell'Egitto, adorato sotto la figura d'un bue, I, 451.
Apollodoro Damasceno, architetto insigne, fabbrica il ponte di Traiano sul Danubio, I, 401, 420. E la piazza Traiana, 414. Iniquamente privato di vita da Adriano Augusto, 443.
Apollonio Tianeo, filosofo, visitato da Tito Cerare, I, 293. Sue querele contra di Vespasiano, 300.
Apollonio, filosofo stoico. Sua alterigia, I, 502, 516, 524.
Appia, via, I, 410.
Appiano Alessandrino, storico a' tempi Antonino Pio, I, 524.
Apro (Arrio), prefetto del pretorio, ucciso da Diocleziano, I, 1007.
Aproniano, proconsole dell'Asia, processato sotto Severo, I, 702.
Aproniano. V. Asterio.
Aproniano (Lucio Turcio), prefetto di Roma, II, 148.
Apronio (Lucio), proconsole dell'Africa, I, 62. Son rotte le sue milizie dai ribelli della Frisia, 80.
Apuleio (Lucio), scrittore a' tempi di Marco Aurelio, I, 591.
Aquila, città. Sua origine, II, 1103. Assediata da Braccio di Montone, V, 1048. È liberata, 1055, 1056.
Aquileia, valorosamente si difende contra Caio Giulio Vero Massimino, I, 833. Presa e disfatta da Attila, II, 558, 559. Suoi arcivescovi, perchè e quando chiamati patriarchi, 1007. Diviso il patriarcato con quello di Grado, 1037. Scisma estinto, 1133, 1134.
Aquisgrana, ampliata ed abbellita da Carlo Magno, III, 400, 401. Eletta per un congresso di pace, VII, 683. Pace ivi stabilita, 695.
Arabi. V. Saraceni.
Arabino (Settimio), senatore ladro, I, 782.
Ararico, re de' Goti, vinto da Costantino, I, 1195.
Aratore, poeta cristiano, II, 904.
Arbezione, generale di Costanzo Augusto, II, 79, 109, 119, 155, 160.
Arbogaste, Franco, generale di Graziano Augusto, II, 230, 273. La fa da padrone sopra Valentiniano II, 297, 298. Sue dissensioni con questo principe, 299. Lo fa uccidere, 300. Fa dichiarare Augusto Eugenio, 302. Sue imprese, 304, 305, 310. Si uccide, 314.
[792]
Arcadia, sorella di Teodosio II Augusto. Sua nascita, II, 351. Sua morte, 520.
Arcadio (Flavio), figlio di Teodosio I Augusto, dichiarato imperadore, II, 289, 257, 276, 315. Succede al padre nell'Oriente, 321. Prende per moglie Eudossia, 325. Ucciso sotto i suoi occhi Rufino, 327. Dichiara Stilicone nemico pubblico, 330. Eutropio, eunuco suo favorito, cerca di metter discordia tra lui ed il fratello Onorio, 333. Gli cade in disgrazia, 346. Perfidia e tradimento di Gaina, suo generale, contro di lui, 351, 352. Sua debolezza, 358. Statua a lui alzata in Roma, 375. Termina i suoi giorni, 381.
Archelao, figlio di Erode il Grande, va a Roma affin di succedere nel regno al padre, ed ottiene da Augusto il titolo di etnarca, I, 22. Deposto e relegato per la sua tirannide, ivi.
Archelao, re della Cappadocia, I, 54.
Arcourt (conte di), generale de' Franzesi in Piemonte. Sue guerre, VI, 1097. Caccia da Casale gli Spagnuoli, e assedia Torino, 1101, 1102. E l'obbliga alla resa, 1104. Prende Cuneo, 1106.
Ardaburio, generale di Teodosio II Augusto, preso da Giovanni tiranno, II, 456. Aspare, suo figlio, colla presa di Ravenna, lo libera, 458. Sconfitte da lui date a' Persiani, 469.
Ardaburio, figlio d'Aspare e nipote del primo, II, 596. Col padre ordisce un tradimento contro Leone Augusto, 628. Loro soverchia potenza, 633. Uccisi nella sollevazione insorta contra di loro, 637.
Ardengo, vescovo di Brescia, III, 965.
Ardengo, vescovo di Modena, III, 1097.
Arderico, re de' Gepidi, II, 515, 552, 571.
Arderico, arcivescovo di Milano, III, 1073. Si rivolta contro il re Ugo, 1098. Sua morte, 1109.
Arderico, vescovo di Vercelli, IV, 156, 158.
Arderico, vescovo di Lodi, IV, 514 520, 538.
Arderico della Torre, console di Milano, da cui verisimilmente discendono i Torriani, IV, 828. V. Martino, Napo, ec.
Ardoino, conte del palazzo, IV, 18.
Ardoino, marchese d'Ivrea. Si fa coronare re d'Italia, IV, 57. Suo padre qual fosse, 58. Sua bestialità gli fa perdere gli amici, 60, 61. Sconfigge un esercito di Tedeschi, 62. Principi a lui contrarii, 65. Abbandonato da essi alla venuta del re Arrigo, 71. Continua a signoreggiare in Piemonte, 85. Suo diploma dubbiosa, 93. Fa guerra alle città aderenti al re Arrigo, 99, 106. Privato del regno, termina il suo vivere, 109.
Arduino, primo vescovo, d'Alessandria, IV, 847.
Aretini. Danno una rotta ai Sanesi, V, 195. È sconfitto il loro esercito da' Fiorentini, 201.
[793]
Aretino (Clemente), prefetto del pretorio sotto Vespasiano, I, 287.
Arezzo. Lite del vescovo di questa città con quel di Siena per la diocesi, III, 142.
Argiro, figlio di Melo, occupa Bari, IV, 208, 211. Proclamato principe e duca d'Italia, 214. Padrone di Bari, 217. Si accorda coi Greci, ivi, 221. Va a Costantinopoli, 233. Cade dalia grazia del greco imperadore, 264. Muore in esilio, ivi.
Ariadeno Barbarossa, gran corsaro. Gravi danni che reca al regno di Napoli, VII, 500, 501. Divien signore di Tunisi, 511. Passa contra di lui Carlo V, 512. Unito co' Franzesi fa guerra all'Italia, 558, 562. Licenziato e regalato con molti doni dal re di Francia, 565.
Arialdo, vescovo di Chiusi, IV, 81.
Arialdo, diacono, si oppone a' preti milanesi ammogliati, IV, 294, 295. Va a Roma e fa scomunicare da papa Alessandro II Guido arcivescovo di Milano, 325. È ucciso da' soldati dell'arcivescovo, ivi.
Arialdo, abbate di San Dionisio di Milano, IV, 494.
Arialdo, vescovo di Genova, IV, 537.
Ariani. Celebrano un conciliabolo in Antiochia, II, 10. Protetti da Costanzo Augusto, II, 16. Cacciati dalle chiese di Costantinopoli da Teodosio il Grande, 228.
Arianna, figlia di Leone Augusto, moglie di Zenone duca d'Oriente, II, 632, 638, 648. Fugge col marito in Isauria, 658. Promuove Anastasio all'imperio, 706. Fine del suo vivere, 791.
Aribaldo, vescovo di Reggio, III, 1090.
Ariberto, figlio di Gundoaldo duca d'Asti, II, 1256. Proclamato re de' Longobardi, 1257. Non perseguitò i cattolici, 1267. Fabbrica, fuori della porta Mareuga di Pavia, la chiesa di San Salvatore, 1270. Termine de' suoi giorni, 1271.
Ariberto II, re de' Longobardi, III, 115. Vince ed uccide il re Liutberto, 116. E Rotari duca di Bergamo, ivi. Sua crudeltà, 117. Restituisce le Alpi Cozie alla Chiesa romana, 126, 150. Perde il regno e la vita, 140. Usurpazioni da lui fatte a varie chiese, 143, 144.
Ariberto, vescovo d'Arezzo, III, 427.
Arigiso, o sia Arichi, creato duca di Benevento, II, 1088. S'impadronisce di Crotone, 1101. Sue varie azioni, 1108, 1117, 1118. Accoglie Radoaldo e Grimoaldo, 1212. Termina il corso di sua vita, 1230, 1231.
Arigiso II, duca di Benevento, III, 272. Assume il titolo di principe, cioè sovrano, 323, 324. Sue varie azioni, 329, 345, 349, 361. Si sottomette a Carlo Magno, 362.
[794]
Arinteo, generale di Giuliano Apostata, II, 129.
Arinteo, generale di Valente imperadore, II, 155, 174, 181. Console, 182.
Ario, e sua eresia, I, 1169. È celebrato contr'esso il concilio niceno, 1172. Dove venne fulminato l'anatema contro di lui, ivi. Richiamato dal medesimo Augusto dall'esilio, 1184.
Arioldo eletto re de' Longobardi, II, 1178. Considerato dal papa usurpatore del regno, 1180. Ariano di credenza, 1183. Sua moderazione, 1189. Accusata a lui Gundeberga sua moglie, 1198. Sostiene Fortunato patriarca di Grado, 1200. Restituisce la libertà alla moglie, 1205. Fa levar di vita Tasone e Cacone duchi del Friuli, 1211. Fine di sua vita, 1213.
Ariobarzane, creato re dell'Armenia, I, 12.
Ariobindo, marito di Giuliana figlia di Olibrio Augusto, proclamato re dal popolo di Costantinopoli, II, 645. Generale di Anastasio Augusto, 750. Console, 758.
Ariogeso, re de' Quadi, I, 582.
Ariolfo, duca di Spoleti, muove guerra ai Romani, II, 1086, 1087, 1095. Co' quali fa pace, 1108. Sua vittoria su' Romani, 1115. Quando succedesse la sua morte, 1116.
Ariosto (Lodovico), creato poeta da Carlo V, VI, 489.
Ariovindo, console, II, 438. Generale di Teodosio II contra i Vandali, 512. Dà fine alla sua vita, 536.
Aristide, oratore celebre ai tempi di Marco Aurelio Augusto, I, 528, 578, 586.
Aristo, generale della milizia dell'Illirico, spedito contro de' Bulgari, II, 734.
Aristobolo, re dell'Armenia minore, I, 198.
Aristobolo, re di Calcide, I, 297.
Aristobolo, console. Si ribella a Carino Augusto, I, 1009. Prefetto di Roma, 1036.
Arles, città della Francia, assediata dai Goti e liberata da Aezio, II, 465. Chiamata picciola Roma, 766.
Arminio, Germano. Rotta da lui data alle legioni romane di Quintilo Varo, I, 29, 30. Promuove una sedizione contra del suocero Segeste, 49. Sua battaglia contro Maroboduo, 55. Ucciso dai suoi, 60.
Arnaldo, arcivescovo di Ravenna, V. Arnoldo.
Arnaldo, vescovo di Trivigi, IV, 134.
Arnaldo da Brescia. Incita a sedizione i popoli contra del clero, e perciò scomunicato, IV, 665, 666. Sue velenose dottrine, 680. Dimora in Roma, 717. Preso, è impiccato e bruciato, 727.
Arnaldo di Pelagrua, cardinale, toglie Ferrara ai Veneziani, V, 324. Scomunica Guido dalla Torre, 329. Sua crudeltà in Ferrara. 334.
[795]
Arnato, patrizio de Franchi, ucciso dai Longobardi, II, 1022.
Arnegisco, generale di Teodosio II, 513, 515. Combattendo contro gli Unni, è ucciso, 528.
Arnobio, scrittore sotto Costantino il Grande, I, 1220.
Arnoldo, duca di Baviera, III, 1060.
Arnoldo, o Arnaldo, arcivescovo di Ravenna, IV, 101. Tiene un concilio, 105. Investitura di Stati, a lui data da Arrigo I Augusto, 120. Sua morte, 122.
Arnolfo, figlio di Carlomanno re di Baviera e di Italia, III, 813. Proclamato re della Germania, 858. Fa guerra a Rodolfo re di Borgogna, 864. Se gli sottomette Berengario re di Italia, 869. Concede la Provenza al re Lodovico, 882. Chiama gli Ungheri in Germania, 893. Sollecitato da papa Formoso e da altri a calare in Italia, 895. Va a Bergamo, 898. Dopo la presa di quella città, se gli rendono quasi tutte le altre città della Lombardia, 899. Proclamato re d'Italia, 901. Torna in Italia, 907. È coronato imperadore, 910. Malato se ne torna in Germania, 912, 935. Dà fine al suo vivere, 938.
Arnolfo I, arcivescovo di Milano, III, 1199, 1212.
Arnolfo II, arcivescovo di Milano, IV, 31. Spedito a Costantinopoli da Ottone III, 54. Contrario al re Ardoino, 65. Sua lite col vescovo d'Asti, 112. Fine de' suoi dì, 122.
Arnolfo III, arcivescovo di Milano, IV, 458. Fine di sua vita, 476.
Arnolfo, vescovo di Capaccio, IV, 856.
Aronne, califfo de' Saraceni, III, 428.
Arria, moglie di Cecina Peto, vanamente lodata, per non aver voluto sopravvivere al marito, I, 153.
Arria, vedova di Trasea Peto, relegata, I, 360.
Arriano (Flavio), governatore della Cappadocia, I, 471.
Arrigo, poscia imperadore, succede al padre nel ducato della Baviera, IV, 11, 27, 57. Invitato in Italia, 59. Principi a lui favorevoli, 65. Cala in Italia armato, 69. È coronato re di Pavia, 72. Sedizione di quel popolo contra di lui, 73. La Toscana se gli sottomette, 75. Doma Boleslao occupatore della Boemia, 79. Fonda il vescovato di Bamberga, 82, 93. A lui ricorre in Germania papa Benedetto VIII, 98. Cala in Italia, 101. Coronato imperadore da esso pontefice, 102. Diploma suo in favore della Chiesa romana dubbioso, 103. Sua sovranità in Roma, 104. Mette al bando dell'imperio i marchesi, progenitori della casa d'Este, 107. Sua dieta in Argentina, e leggi, 117. Investitura dell'esarcato da [796] lui dato all'arcivescovo di Ravenna, 120. Nuovamente va a trovarlo in Germania Benedetto VIII papa, 126. Alle preghiere di lui cala di nuovo in Italia, 132. Va all'assedio di Troia in Puglia, 135. È riconosciuto sovrano di Benevento, 136. Torna nella Germania, 139. Dà la investitura di Capoa a Pandolfo conte di Tiano, 142. Sua morte e santità, 144.
Arrigo, duca di Sassonia, padre di Ottone il Grande Augusto, III, 985. Eletto re di Germania, 1002. Sua morte, 1070.
Arrigo, duca di Baviera, fratello di Ottone il Grande, III, 1120, 1123, 1127. Sua morte, 1133.
Arrigo II, duca di Baviera, III, 1133, 1210, 1212. Posto al bando dell'imperio, 1213, 1222. Occupa la città di Passavia, 1216. Si fa proclamare re di Germania, 1249. Sua pace con Ottone III, 1256. Suo placito tenuto in Verona, 1279. Fine di sua vita, IV, 11, 12.
Arrigo, arcivescovo di Treveri, III, 1168.
Arrigo, vescovo d'Augusta, III, 1238.
Arrigo re III, poscia imperadore II, creato duca di Baviera ed eletto re di Germania, IV, 161, 162. Rimette la pace fra suo padre e Stefano re d'Ungheria, 167, 168. Erede del regno di Borgogna, 173. Sue vittorie contro i Boemi, 181. Cala col padre in Italia, 187. Accettato per loro re dai Borgognoni, 202. Succede al padre: favola intorno alla sua origine, 202, 203. Rimette in sua grazia Eriberto arcivescovo di Milano, 207. Sue seconde nozze con Agnese di Poitiers, 218. Fa deporre tre papi simoniaci, 229. Difeso dalla censura del Baronio, ivi. Coronato imperadore, 231. Elezion de' papi non fatta senza il di lui assenso, 235. Tenta imprigionare Bonifazio marchese, 238. Elegge papa Damaso II, 241, 242. Leggi sue aggiunte alle longobardiche, 243, Manda a Roma l'eletto papa Leone IX, 246. Sua guerra col re d'Ungheria, 253. Fa eleggere re di Germania e crea duca di Baviera Arrigo suo figlio, 264. Sua calata in Italia contra di Goffredo duca di Lorena, 271. Torna in Germania, 274. Fine di sua vita, 277.
Arrigo IV fra i re, III fra gli imperadori. Sua nascita, IV, 248. Creato duca di Baviera e re di Germania, 264. Sposa Berta, figlia di Ottone marchese di Susa, 275. Succede al padre, 278. I Sassoni si ribellano contra di lui, 283. Ha il titolo di re de' Romani, 302. Rapito da Annone arcivescovo di Colonia, 306. È creato cavaliere, 321. Sue nozze con Berta figlia d'Oddone marchese di Susa, 333. Sua disonestà, ivi. È posto sotto la disciplina di Annone arcivescovo di Colonia, 353. Fa guerra ai Sassoni, 357, 359. Li vince e maltratta, 365, 366. Empio processo da [797] lui fatto contro di papa Gregorio VII, 370. Da cui è scomunicato e dichiarato decaduto dal regno, 371. Viene in Italia, 374. Suo abboccamento in Canossa con papa Gregorio, 377. Sua penitenza e pace col pontefice, ivi. Ma in breve la rompe, 379. Sue battaglie con Ridolfo re suo competitore, 380, 392. Deposto dal papa, crea un antipapa,396. Si sbriga in una battaglia dell'emulo re Ridolfo, 399, 400. Viene in Italia, 402. Indarno assedia Roma, ivi. Fa guerra alla contessa Matilda, 411. Torna all'assedio di Roma, 412. Entra pacifico in Roma, 416. Si fa coronare dall'antipapa, 417. Sua ritirata in Lombardia, 418. Rotta data alle sue genti dalla contessa Matilda, 421. Sconfitto dai duchi di Suevia e di Baviera, 430. Tornato in Italia, assedia Mantova, 443, 444. E se ne impadronisce, 446. 447. Prende Monte Morello e Monte Alfredo, ed assedia Monte Bello, 452. Maltratta Adelaide sua moglie, 456. Suoi affari in Italia peggiorano per la ribellione del figlio, 456, 457. Va a Venezia, 462. Torna in Germania, 472. Se gli ribella il figlio Arrigo, 498, 502. Da cui è detronizzato, 504. Finisce di vivere, 505.
Arrigo V, re di Germania, IV fra gl'imperadori. Sua nascita, IV, 408, 473 È creato re e collega col padre, 484. Contro di cui si ribella, 498. E gli fa guerra, 502. Lo detronizza, 504. Pubblica la sua venuta in Italia, 521. Calato in Italia, si scuopre crudele, 522. Si accorda colla contessa Matilda, 524. Mali da lui recati alle città d'Italia, ivi. Distrugge Arezzo, 526. Apparenza d'accordo fra lui e il papa, 527. Lite insorta fra loro, 528. Per cui esso re imprigiona il papa, 530. Fa pace con lui, ed è coronato, 532. Visita la contessa Matilda, 534. Sue nozze con Matilde d'Inghilterra, 545. Torna in Italia, 551. Va di nuovo a Roma, dove è accolto, 556. Si fa coronar di nuovo dall'arcivescovo di Braga, 557. Si ritira in Lombardia, ivi. Torna a Roma, e ne fa fuggire papa Gelasio: suoi trattati con lui, 561, 562. Scomunicato da papa Callisto II, 573. Sollevazioni contra di lui, 581. Sua pace con papa Callisto 573. Finisce di vivere, 592.
Arrigo VI, figlio di Federigo I Augusto, creato re di Germania, IV, 821. Promuove la pace coi Longobardi, 882. Creato cavaliere, 885. Trattato di dargli in moglie Costanza di Sicilia, 892. Nozze sue celebrate in Milano, 894. Fa guerra agli Stati della Chiesa, 899. Suoi preparamenti per conquistare il regno di Sicilia, 918. Coronato imperadore da papa Celestino III, 920. Acquista varie città ed assedia Napoli, 923. [798] Costretto a ritirarsi, 924. Torna a quella conquista, 937. Sua crudeltà, 939, 943. Fa eleggere re de' Romani Federigo II suo figlio, 946. Nuove crudeltà da lui esercitate in Sicilia, 950. Termina i suoi giorni, 952. Lascia dopo di sè fama di crudele tiranno, 954. Suo testamento, ivi.
Arrigo duca di Baviera, deposto, IV, 84.
Arrigo IV Estense, guelfo, duca di Baviera, succede al padre, IV, 594. Creato anche duca di Sassonia, sposa Geltruda figlia di Lottario re di Germania, 595, 600. Investito de' beni allodiali della contessa Matilda, 624, 628. Prende Ulma al duca di Svevia, 633. Col suocero Augusto viene in Italia, 639. Guerre da lui fatte in Toscana, 647. E in Puglia, 649. Gli fa guerra il re Corrado, 658, 663. Muore avvelenato, 664.
Arrigo il Nero, duca di Baviera, IV, 492. Viene in Italia 512. Sua porzione di Stati in Italia, 558. Termina i suoi giorni, 594.
Arrigo Leone, figlio di Arrigo IV duca di Sassonia, succede al padre, IV, 664. È investito di quel ducato dal re Corrado III, 672. Va col re Corrado in Oriente, 689. Sue liti con Arrigo duca di Baviera, 709. Aggiudicata a lui essa Baviera, 713, 733. Accompagna in Italia il re Federigo, 718. Cede varie terre ai marchesi Estensi, 722. Sue lodi, 743, 759. Perseguitato da Federigo I, 868, 870. Messo al bando dell'imperio, 876. Spogliato di quasi tutti i suoi Stati, ivi. Cessa di vivere, 944.
Arrigo, cardinale de' Santi Nereo ed Achilleo, legato al re di Sicilia, IV, 723, 743, 754.
Arrigo, patriarca d'Aquileia, IV, 380.
Arrigo, arcivescovo di Ravenna, IV, 254, 328, 338. Termina il suo vivere, 349.
Arrigo, vescovo di Parma, IV, 134.
Arrigo, vescovo d'Augusta, consigliere d'Agnese imperadrice, IV, 306.
Arrigo, vescovo di Liegi, IV, 788.
Arrigo, figlio di Federigo II re di Sicilia. Sua nascita, IV, 1016. Proclamato anch'egli re di Sicilia, 1026. Chiamato dal padre in Germania, 1030. Creato re de' Romani e di Germania, 1042. Viene ad Aquileia a trovare il padre, 1105. A cui poscia si ribella, 1119. È messo in prigione, 1124. Dove termina il suo vivere, 1133.
Arrigo, langravio di Turingia, eletto re de' Romani, IV, 1193. Sua vittoria su Corrado, 1194. Muore, 1197.
Arrigo, re d'Inghilterra. Sue discolpe per la morte inferita a san Tommaso arcivescovo di Cantorberì, IV, 827. Prende la croce, 908. Sua morte, 912.
[799]
Arrigo Dandolo, doge di Venezia, IV, 982. Vengono a lui deputati dei crociati per trattar sul somministrare una flotta per trasporto di essi in levante, 977. Colla crociata ricupera Zara, 979. Colle sue genti interviene all'espugnazion di Costantinopoli, 981. Nella qual città manca di vita, 992.
Arrigo, conte di Sciampagna, creato re di Gerusalemme, IV, 931.
Arrigo, conte di Malta, collegato co' Genovesi, IV, 986. Libera Siracusa dall'assedio de' Pisani, 990. Sconfitto da' Veneziani, 1002. È mandato da Federigo II in Egitto con una flotta per soccorrere i cristiani, 1047. Tornato in Sicilia senza aver nulla operato, viene spogliato della contea, 1049. È spedito a Roma da Federico II per giustificarsi, 1079.
Arrigo da Settala, arcivescovo di Milano a Damiata, IV, 1046. Sua morte, 1097.
Arrigo, vescovo di Bologna, IV, 1044
Arrigo, fratello dal re di Castiglia, creato senatore di Roma, V, 68. Abbraccia il partito di Corradino, 73. Preso, 76. Liberato, 79.
Arrigo VII, re de' Romani. Sua elezione, V, 317. Sua venuta in Italia annunziata dappertutto, 335. Cala in Italia, e fa buona accoglienza a Matteo Visconte, 337. Entra pacifico in Milano, e ne ha il dominio, 339. Sua coronazione in Milano, 341. Sedizione ivi insorta contro i Torriani, 343. Maltratta i Cremonesi ribelli, 345. Assedia Brescia, 346. Ito a Genova, ne prende il dominio, 348. Va a Pisa, 352. Sua coronazione romana, 353. Fa guerra ai Fiorentini, 354. Sua inaspettata morte, e ciarle intorno ad essa, 366.
Arrigo, duca d'Austria, mosso contro i Ghibellini, V, 425. Se ne torna in Germania, 426. Sconfitto e preso da Lodovico il Bavaro, 433.
Arrigo, conte di Manforte. Va in aiuto dei Fiorentini, V, 698.
Arrigo VIII, re d'Inghilterra. V. Enrico VIII.
Arrigo, duca di Brunsvich. Sua venuta con un esercito in Italia, VI, 457.
Arrigo II, re di Francia, succede al padre, VI, 583. Viene in Piemonte, 595. Sua lega con Ottavio duca di Parma, 607. Dichiara la guerra a Carlo V, 612. Fa lega col Turco, ivi. Si dichiara protettore della libertà della Germania, 624. S'impadronisce di Metz e delle altre città, 626. Manda gente in soccorso di papa Paolo IV, 655. Grande sconfitta data alle sue armi a San Quintino, 664. S'impadronisce di Cales, 668. Fa pace con Filippo II, 679. Miseramente muore in una giostra, 680.
Arrigo III, fratello di Carlo IX re di Francia, creato re di Polonia, VI, 761. Per la morte del fratello [800] divenuto re di Francia, viene in Italia, 765. Protegge i Ginevrini, 793. Infierisce contro la casa di Guisa, 821. È proditoriamente ucciso, 826.
Arrigo IV re di Navarra, calvinista, VI, 806. Dopo la morte di Arrigo III è proclamato re di Francia, 826. Sua vittoria ed assedio di Parigi, 832. Assedia Roano, 841, 842. Si dispone ad abbracciare il cattolicismo, 846. E lo professa, ivi. È coronato ed entra in Parigi, 850. Dichiara la guerra alla Spagna, 856. Sue prosperità, 859. Fa pace col re di Spagna, 876. Prende per moglie Maria de' Medici, e sue nozze, 886. Pretende il marchesato di Saluzzo dal duca di Savoia, 887. Fa pace con questo duca, 891. Gli nasce Lodovico XIII, 897. Dichiarato nobile veneto, 904. Sue buone e ree qualità, 929. Resta miseramente ucciso, 930.
Arrigo di Lorena. V. Duca di Guisa.
Arrunzio (Camillo), console, I, 93.
Arsace, re dell'Armenia, II, 31.
Arsane, regina di Persia, prigioniera di Galerio Massimiano, I, 1044.
Arsenio (Santo), aio d'Arcadio figliuolo di Teodosio imperadore, II, 239.
Arsenio, vescovo di Gubbio, III, 675.
Arsenio, vescovo d'Orta, III, 707.
Artabano, re de' Parti, I, 54, 57. Sua superbia, 104. Abbattuto risorge, 106. Conchiude la pace con Caligola, 117. Sua morte, 169.
Artabano, re de Parti. A lui fa guerra Severo Augusto, I, 675. E Caracalla, 735. Vende la pace a Macrino, 745.
Artabasco occupa l'imperio contra di Costantino Copronimo, III, 216. Dichiara imperadore e collega Niceforo suo figliuolo, 230. Abbattuto da Copronimo, 231.
Artaserse I, Persiano, abbatte il regno de' Parti, I, 796. Muove guerra ai Romani, 797. Vittoria riportata contra di lui da Alessandro Augusto, 803.
Artaserse II, re di Persia II, 229.
Artemidoro, scrittore sotto Marco Aurelio, I, 591.
Artoldo, vescovo di Rems, III, 1054.
Aruspici, frenati da Costantino il Grande, I, 1145. Poi permessi, 1151. Vietati, 1171.
Arvando, o sia Servando, prefetto del pretorio nelle Gallie, II, 627.
Ascanio Sforza, poi cardinale, relegato dalla duchessa Bona, VI, 55. S'accorda con Lodovico il Moro suo fratello, 82, 93. Sua magnificenza, 111. Imprigionato da papa Alessandro, 125. Fatto prigione da' Veneziani, e ceduto al re di Francia, ove è condotto, 163. Liberato di prigione, 202. Muore, 218.
[801]
Ascolio (Santo), vescovo di Tessalonica, II, 224.
Asiatico (Valerio), congiurato contra di Caligola, I, 139. Console, 163. Si svena, 169.
Asiatico (Valerio), genero di Vitellio imperadore, I, 262. Console, 286.
Asili delle città, è moderato il loro diritto dal senato romano, I, 64.
Asinio Gallo, marito di Vipsania ripudiata da Tiberio, che il fa morire, I, 84.
Asinio Pollione, congiurato contra di Claudio Augusto, ed esiliato, I, 164.
Aspare, generale di Teodosio II Augusto, prende Salona ed Aquileia, II, 456. Riacquista Ravenna, 458. Sconfitto da Genserico, 460. Console, 488, 513, 546, 595. Promuove Leone all'imperio greco, 596. Tradimento a lui attribuito, 628. Sua prepotenza, 632. È ucciso, 637.
Asprenate (Publio Nonio) congiura contra di Caligola, I, 140.
Asterio (Lucio Turcio Secondo Aproniano), prefetto di Roma, I, 1225; II, 148.
Asterio, conte delle Spagne, II, 442.
Asti. Guerre civili di quel popolo, V, 294. Prende per capitano Filippo di Savoia, 308, 330, 336. Giura fedeltà al re Roberto, 360. Si dà a Luchino Visconte, 586.
Astigiani, sconfitti dagli Alessandrini, IV, 1070. Si danno a prestare ad usura, 1076. Pace fra essi e gli Alessandrini, 1081. Tornano in guerra, 1097. Fa loro guerra Tommaso conte di Savoia, 1248. Sconfiggono i Torinesi, da' quali è loro consegnato esso conte, 1259. Loro fa guerra Carlo I re di Sicilia, V, 103. E Guglielmo marchese di Monferrato, 205.
Astolfo, figlio di Pemmone duca del Friuli, poscia re de' Longobardi, III, 125. Va col padre e coi fratelli alla corte di Liutprando, 208. Sua bravura, 217. Proclamato re de' Longobardi, 242. Occupa Ravenna, 247. Rotta la tregua, minaccia Roma, 250. Forzato dal re Pippino alla restituzione dell'esarcato, 256. Assedia Roma, 258. Assalito dal re Pippino, 261. Finisce di vivere, 263.
Astorgio Manfredi, signore di Faenza, fatto morire dal duca Valentino, VI, 183.
Astorgio di Duraforte, conte della Romagna V, 612.
Astorre de' Manfredi. Sue pratiche per impadronirsi di Faenza, V, 749. Entra in essa città, e si fa signore, 756. Rotte le sue genti da' Genovesi, 775. Da' Ferraresi è forzato a dimettere Azzo marchese estense, 895. Gli fanno guerra i Bolognesi e il conte Alberico di Barbiano, 896. Cede Faenza al cardinale Cossa, 924. Il quale gli fa tagliare il capo, 933.
[802]
Astorre Visconte prende e mette in carcere Ugolino Cavalcabò, V, 922. Si unisce con Ottobuono da' Terzi per far guerra a Milano, 951. Fa alcune scorrerie fino alle porte di detta città, 959. Si fa proclamar duca di Milano, 981. Sua morte e sepoltura, 988.
Astorre II de' Manfredi, signore di Faenza V, 1131.
Astorre III de' Manfredi, signore di Faenza, V, 1202. Unito co' Veneziani, VI, 23. Fine di sua vita, 30.
Astorre IV de' Manfredi succede, al padre ucciso nella signoria di Faenza, VI, 101. Gli è tolta quella città dal duca Valentino, 165, 166.
Astrologia, V. Strologia.
Alace, re degli Alani, II, 436.
Atalarico, nipote di Teoderico re d'Italia: gli succede, II, 823, 824 Forzata Amalasunta sua madre ad allevarlo alla gotica, 829. Suoi editti, 844, 845. Immatura sua morte, 853.
Atanagildo, principe, nipote di Childeberto re di Austrasia, II, 1073, 1077, 1084.
Atanarico, principe de' Goti. Sue guerre con Valente Augusto, II, 167. Pace fra loro, 174. Va a Costantinopoli, e vi muore, 231, 232.
Atanasio, vescovo d'Alessandria, esiliato da Costantino il Grande, II, 1205. Richiamato dall'esilio, 1214. Protetto contro gli ariani da Costante Augusto, 17. Rimesso da Costanzo Augusto sulla sua sedia, 26. Deposto nel conciliabolo di Milano, 69. Perseguitato dall'imperadore Costanzo, è costretto a fuggire, 73. Richiamato, 121, 141. Fine di sua vita, 186.
Atanasio (Santo), vescovo di Napoli, III, 730. Imprigionato dal nipote, poi rimesso in libertà, 732. Assediato in un'isola, è liberato da Lodovico Augusto, 753. Passa a miglior vita, 186.
Atanasio juniore, vescovo di Napoli, 111, 784. Abbatte Sergio duca suo fratello, e viene proclamato duca di Napoli, 789. Sua alleanza co' Saraceni, 809. Scomunicato per questo dal papa, 824. Unitosi con Guaimario principe di Salerno e coi Capoani scaccia da Agropoli i suddetti Saraceni, 835. Sue iniquità, 844 850, 854, 866, 873. Sua morte, 946.
Ataulfo, cognato d'Alarico re dei Goti, II, 389, 395. Dopo la morte di lui proclamato re, 406. Passa nelle Gallie, 416 Sua pace con Onorio Augusto, 417 Sue imprese in esse Gallie, 421, 422. Prende per moglie Galla Placidia, 424. Passa nelle Spagne, 427. È ucciso da' suoi, 428. Suo epitafio apocrifo, 429.
Atenaide, fanciulla dottissima, sposata da Teodosio II Augusto, V. Eudocia.
Atene, città insigne, bruciata da' Goti, I, 930, 941.
[803]
Atenodoro, uno de' primi personaggi fra gl'Isauri, è decapitato, II, 728.
Atenolfo, principe di Capoa, III, 860, 874, 898. Si impadronisce di Benevento, 945. Manda in esilio Pietro vescovo di quella città, 970. Tenta di scacciare dal Garigliano i Saraceni, 971. Termina il corso di sua vita, 977.
Atenolfo II, principe di Benevento e di Capoa, III, 977, 981, 988, 1072. Tempo in cui egli mancò di vita, 1084.
Atenolfo, abbate di Monte Casino, IV, 126.
Atenolfo, fratello di Pandolfo III, principe di Benevento, IV, 211.
Attala, abbate di Bobbio, II, 1159, 1167, 1180, 1183. Sua morte, 1189.
Attalo (Claudio), presidente di Cipro, fatto morire da Elagabalo, I, 755.
Attalo (Prisco), fiscale di Onorio Augusto, II, 394. Dichiarato imperadore, 397. Deposto, 399. Passa nelle Gallie, 416, 425. Preso e consegnato ad Onorio imperadore, 433.
Attico (Marco Vestinio), console, ucciso da Nerone, I, 235.
Attico, padre di Attico Erode, truova un tesoro, I, 496.
Attico, vescovo di Costantinopoli, II, 520.
Attila, re degli Unni, succede col fratello Bleda a Bugila, II, 489. Dà aiuto a' Romani contra dei Borgognoni, 494. E contro i Goti, 506. Saccheggia l'Illirico e la Tracia, 514. Fa pace con Teodosio II Augusto, 516. Toglie di vita Bleda, 519. Suoi costumi ed abitazione, 525. Battaglia da lui data nella Dacia, 528. Dà il guasto alla Tracia; e Teodosio II con dure condizioni fa seco pace, 537. Sua maniera di vivere, 540. Gli si esibisce in moglie Giusta Grata Onoria sorella di Valentiniano III Augusto, 549. È incitato dal re vandalo a far guerra a' Visigoti, 551. Terribile sua battaglia con essi e co' Romani, 554. Calato in Italia, prende e distrugge Aquileia ed altre città, 558. Altra fiera battaglia contro i Visigoti, in cui resta abbattuto il suo orgoglio, 568. Sua morte da bestia, 569.
Attone, figlio di Eude duca d'Aquitania, III, 203.
Attone, duca di Spoleti, II, 1248. Sua morte, III, 13.
Attone, vescovo di Basilea, III, 475.
Aubigny (il signor d'). Principia in Napoli le ostilità contro gli Spagnuoli, VI, 194. Rotto e ferito in Calabria, 208. Cede Brescia al vicerè Cardona, 293.
Audace, vescovo d'Asti, III, 970.
Audelao, duca di Benevento, III, 195.
Audoaldo, duca de' Franchi, fa guerra ai Longobardi, II, 1074.
[804]
Audoaldo, duca de' Longobardi. Suo epitaffio, III, 153.
Audoeno (Santo), vescovo di Roano, III, 44
Audoino, re de' Longobardi, II, 831, 879. Sua vittoria de' Gepidi, 936.
Augusta, città devastata da Attila, II, 553.
Augusto (Federigo), elettor di Sassonia, generalissimo dell'armi cesaree, VII, 116, 121. Abiura il luteranismo, ciò che gli giova per salire il trono di Polonia, 129, 132. Visita l'Italia, 244. Sua morte, 375.
Augusto III, elettore di Sassonia, proclamato re di Polonia, VII, 375.
Augusto Cesare, imperadore, V. Cesare Augusto.
Augustolo, o sia Romolo, figlio di Oreste, proclamato imperadore, II, 656. Abbattuto da Odoacre, salva la vita, 661.
Aureliano (Lucio Domizio), che fu poi imperadore, libera l'Illirico da' Barbari, I, 882. Sue imprese militari, 888. Destinato console, 891, 894. Generale di Claudio Augusto, 941. Proclamato imperadore, 946. Sue doti e severità prima dello imperio, 949. Sua disciplina militare, ivi, 950. Vince i Giutunghi e i Vandali, 952. Sua crudeltà, 954, 955. Abbatte Cannabaude re de' Goti, 959. Dà una rotta a Zenobia regina de' Palmireni, 960. Assedia e prende Palmira, 962, 964. Conduce a Roma in trionfo Zenobia prigioniera, 964. Distrugge Palmira, e ricupera l'Egitto, 966. Sua vittoria di Tetrico, a cui perdona, 967, 968. Suo insigne trionfo, 969. Sue lodevoli azioni, 970, 971. Viene ucciso dai suoi, 975.
Aureliano, prefetto del pretorio d'Oriente, II, 348, 352.
Aurelio, vescovo, di Cartagine, II, 440, 441, 447. Fine di sua vita, 478.
Aureo Mastropetro, doge di Venezia, IV, 873. Termina il suo vivere, 932.
Aureolo (Manio Acilio), generale di Gallieno Augusto, I, 904. Proclamato imperadore, ivi. Vince Macriano, 909. Usurpa l'imperio, 920, 932. In qual modo finisse la vita, 938.
Ausenzio, vescovo ariano, II, 258.
Ausonio (Decimo Magno), console e scrittore celebre, II, 217. Suo panegirico, 221.
Austria. Così chiamata la parte del regno longobardico posta fra settentrione e levante, III, 82.
Austriaci, comandati dal principe di Lobkowitz, marciano per la Romagna contro gli Spagnuoli, VII, 517, 518. Si accampano sotto Velletri, dove è il re delle Due Sicilie colla sua armata, 526. Con felice attentato entrano in quella città, ma ne sono poi respinti, 528, 529. Si ritirano da Velletri, 530. Passato il Reno, si spargono per [805] l'Alsazia, 541, 542. Ripassato il Reno, accorrono alla difesa della Boemia, 543. La loro armata di Italia si ritira sul Modenese, 555. Forzano gli Spagnuoli ad abbandonar Milano, 572. Ricuperano Guastalla, 575. E Parma, 579. Bloccano Piacenza, 582. Battaglia fra essi e i Gallispani, 585, 586. Ed altra al Tibone, 596. S'inviano alla volta di Genova, abbandonata da' Gallispani, 600. Capitolazione co' Genovesi, 606. Impongono ad essi la contribuzione di tre milioni di genovine, 608. Muovesi contra di loro sollevazione in Genova, 622. E questa va sempre più crescendo, 624. Con generale assalto del popolo sono cacciati fuori della città, 628, 629. Si ritirano in Lombardia, 630. Calano coll'armata contro Genova, 657. Loro imprese militari nell'assedio di quella città, 660, 661. Calano in valle di Bisagno, 664. Sciolto l'assedio, si ritirano in Lombardia, 668.
Austro-Sardi, vengono al Panaro per opporsi agli Spagnuoli, VII, 497. Assediano la cittadella di Modena, 498. E la Mirandola, 500. Loro battaglia cogli Spagnuoli a Camposanto, 509. Conducono l'armata in Provenza, 616. Quivi arrenato ogni loro progresso per la sollevazione di Genova, 633. Patimenti da loro sofferti, 647. Tornano in Italia, 649.
Autari, figlio di Clefo, eletto re da' Longobardi, II, 1049. Tributi a lui assegnati dai duchi, 1051. Motivi per li quali fu eletto, 1054. Ricupera Brescello, fa tregua coll'esarca, 1058. Dà una rotta ai Franchi, 1065. Acquista l'isola Comacina, 1066. Sue mire per ottenere Teodelinda, figlia del duca di Baviera, in isposa, 1067. Sue nozze con essa, 1069. Conquista varii paesi, ivi. Guerra a lui fatta da' Franchi, 1074. Sua morte, 1080.
Avalos (Alfonso), marchese del Vasto. Suo valore VI, 414. Governatore dell'armi cesaree in Milano, 421. Fatto prigione da' Franzesi, 459. Sue imprese, 465, 555, 563. Termina il suo vivere, 576.
Avalos (Ferdinando), marchese di Pescara, prigione de' Franzesi nella battaglia di Ravenna, VI, 283. Dà una rotta a' Veneziani, 309. Assedia Milano, 369. Soccorre Pavia, 381. Prende e saccheggia Genova, 386. Suo insigne valore nella battaglia e liberazion di Pavia, 414. Ferito nella battaglia sotto quella città, 416. Tentato di ribellione, 419 Sua morte, 420.
Avari o Abari, Unni, cominciano a farsi conoscere, II, 966. Dimandano a Giustiniano Augusto luogo da abitarvi, 972. Dimorano nella Moldavia, 984. Loro lega co' Longobardi, 985. Danno una sconfitta a Sigeberto re della Francia orientale, [806] 988. Ceduta loro la Pannonia da' Longobardi, 998. Occupano il Sirmio, 1047. Mettono in contribuzione Maurizio Augusto, ivi, 1048. Loro pace co' Longobardi, 1086, 1111. V. Unni.
Avenzio, prefetto di Roma, II, 239.
Avignone. Sede pontifizia trasportata da Clemente V in questa città, V, 295. È venduta da Giovanna regina di Napoli a Clemente VI, 601. Suntuose fabbriche quivi fatte da questo pontefice, 625. Vi entra la peste, che fa un'orrida strage, 684. Urbano V trasporta la sua Sede a Roma, 707. Torna poco dopo a quivi riporla, 722. Gregorio XI la porta di nuovo in Italia, 752. Diviene la residenza degli antipapi, 769.
Avito, compagno di Aezio nelle battaglie, II, 491. Prefetto del pretorio nelle Gallie, 506, 553. Proclamato imperadore in esse Gallie, 584. Prende il consolato, 587. Costretto da Ricimere a deporre l'imperio, è fatto vescovo, 591. Termina i suoi giorni, 693.
Avito (Santo), vescovo di Vienna nel Delfinato, II, 740, 795.
Avogadro (conte Luigi), nobile bresciano, invita i Veneti all'acquisto di Brescia, VI, 276.
Azzo, abbate di Volturno, III, 249.
Azzo, bisavolo della contessa Matilda, signore di Canossa, ricovera in quella fortezza la regina Adelaide, III, 1118. Assediato dal re Berengario in quella, 1128. Liberato da Lodolfo figlio di Ottone il Grande, 1136. Alzato al grado di conte, 1140. E di marchese, 1157. Fine de suoi giorni, e sua figliuolanza, 1221.
Azzo I, marchese, progenitore de' principi estensi, IV, 97, 100. Imprigionato, poi messo in libertà da Arrigo I Augusto, 108. Invita in Italia Roberto re di Francia, 147.
Azzo II, marchese, progenitore degli Estensi, eredita gli Stati d'Ugo marchese suo zio, IV, 167. Suoi placiti in Milano, 227. Marito di Cunegonda de' Guelfi, 239. Conte della Lunigiana, 249. Padre di Guelfo IV progenitore della casa di Brunswich, 276. Va in Francia, 339. Suo matrimonio con Matilda sorella di Guglielmo vescovo di Pavia, 360. Padrone della badia della Vangadizza, 363, 364. Assiste ad Arrigo IV re in Canossa, 377. Dà per moglie ad Ugo suo figlio una figlia di Roberto Guiscardo, 383, 384. Sua morte, 473.
Azzo, abbate di Subiaco, IV, 251.
Azzo, eletto arcivescovo di Milano, e rifiutato, IV, 351.
Azzo, vescovo d'Acqui, IV, 538.
Azzo, arcivescovo di Pisa, IV, 588.
Azzo V, marchese d'Este, prende in moglie Marchesella degli Adelardi, e comincia a dominare in Ferrara, IV, 949.
[807]
Azzo VI, marchese d'Este, collegato co' Padovani, IV, 963. Sue nozze con Alisia figlia di Rinaldo principe d'Antiochia, 988. Capo de' Guelfi, sua discordia con Salinguerra, 991. Podestà di Verona, ne è scacciato, 995. Vi torna con isconfiggere gli avversarii, e signoreggia ivi sino alla morte, 998, 999. Caccia Salinguerra da Ferrara, e ne è creato signore, 1000. Bene accolto dal re Ottone IV, 1004. Cacciato fuor di Ferrara da Salinguerra, 1007. Investito della marca d'Ancona, 1008. Fa lega col papa contro Ottone IV, 1014. Ricupera Ferrara, 1015. Conduce in Germania Federigo II, 1017. Sua morte, 1018.
Azzo VII, marchese d'Este, IV, 1018. Vien meno la sua autorità in Ferrara, 1027. Investito della marca d'Ancona, 1035. I suoi aderenti in Ferrara ne scacciano Salinguerra, 1052. Scacciato da Ferrara da Salinguerra, 1056, 1057. Incautamente coll'armi tenta di rientrarvi, 1057. Tradito di nuovo da Salinguerra, 1064. Co' Padovani fa guerra a Verona, 1096. Dà una rotta ai Trivisani, 1108. Podestà e rettore di Vicenza, 1134. Capitan generale della marca di Verona, 1137. Abbraccia il partito di Federigo II Augusto, 1139. Indarno tenta la liberazion di Padova, 1150. Dà per ostaggio a Federigo il figlio Rinaldo, 1156. Si ritira da lui, e ricupera i suoi Stati, 1158. Coi collegati assedia e prende Ferrara, 1162, 1163. Va in soccorso di Parma, 1202. Terre a lui tolte da Eccelino, 1215, 1216. E ricuperate, 1256, 1262. Difende Padova, 1257. Sua vittoria di Eccelino, V, 14. Congiura contro di lui in Ferrara scoperta, 30. Sua lega con varii principi, 32. Dà fine al suo vivere, 46.
[808]
Azzo VIII, marchese d'Este, succede ad Obizzo suo padre, V, 224. Guerra a lui fatta dai Padovani, 231. E da' Parmigiani e Bolognesi, 238, 244, 252. Signore di Ferrara, collegato con Matteo Visconte, 278. Sue nozze con Beatrice figlia di Carlo II re di Napoli, 298. Guerra a lui mossa da' Parmigiani e Bolognesi, 299. Gli si ribellano Modena e Reggio, 302. Sua guerra coi Mantovani, 313. Fine de' suoi giorni, 318.
Azzo da Correggio, signore di Parma, V, 480. Governatore d'essa per gli Scaligeri, 543. Se ne fa padrone, 555, 556. Vende Parma ad Obizzo marchese d'Este, 573.
Azzo, figlio di Galeazzo Visconte. Si salva nella presa di Piacenza, V, 428. Fa guerra ai Parmigiani, 445. In aiuto di Castruccio riporta una grande vittoria, 447. In aiuto di Passerino dà una gran rotta ai Bolognesi, 449. Fa guerra a Brescia, 458. Imprigionato da Lodovico il Bavaro, 461. È liberato, 462, 471. Creato vicario di Milano, 481. Si ribella al Bavaro, 484. Con lui si pacifica, 485. Toglie di vita Marco suo zio, 488. Fa lega contro Giovanni re di Boemia, 500, 505. S'impadronisce di Bergamo, 506, 507. Di Pizzighettone, 509. Di Pavia, ivi. E del suo castello, 514. Di Vercelli, 519, 520. Di Cremona, 520. Di Como, 526. Di Lodi, 527. Di Crema, ivi. Di Piacenza, 531. Di Brescia, 536, 537. Contra di lui procede con forte armata Lodrisio Visconte, 544, 545. Sua insigne vittoria, 546, 547. Sua morte e sue rare doti, 548.
Azzone, vescovo di Como, III, 1072.
Azzone, vescovo di Vercelli, III, 1070, 1107. Sua letteratura e pietà, 1141, 1144.
[809]
Babila, celebre martire. Traslazione del suo corpo in Antiochia, II, 61.
Bacaudi o Bagaudi, gente sollevata nelle Gallie, II, 492.
Bada ossia Baden, pace ivi conchiusa tra la Francia e l'imperador Carlo VI, VII, 259.
Badia di Santa Maria de' Benedettini, fondata in Firenze dalla contessa Willa, III, 1278.
Baglione (Gian Paolo), quasi signore di Perugia, VI, 192. Ne è cacciato dal duca Valentino, 197. Vi rientra, 202. La cede a papa Giulio II, 219. Generale de' Veneziani, 268. Rotto e fatto prigione dagli Spagnuoli, 309. Gli è tagliato il capo in Roma, 359.
Baiano, re degli Avari, II, 985.
Bajazette, sultano de' Turchi, manda ambasciatore al papa, VI, 106. Fa guerra in Ungheria, 108.
Balbino (Decimo Celio), creato imperadore, I, 828. Non può quietare la sedizione de' Romani, 833. Ucciso dai pretoriani, 837.
Baldassarre Cossa, cardinale legato, spedito a Ferrara col titolo di legato di Bologna, per la riduzione di questa città, V, 913. La ricupera, 915. Gli è ceduta anche Faenza, 924. Fa guerra ai conti di Barbiano, 933. Sottomette Forlì, 942. Si dichiara contro papa Gregorio XII, 956, 960, 961, 962. Libera Roma ed altre città dalle mani del re Ladislao, 963, 964, 665. È eletto papa, V. Giovanni XXIII.
Baldovino, conte di Fiandra, III, 698, 700.
Baldovino, conte di Fiandra, ottiene grazia da Arrigo II, re di Germania IV, 82. Rimesso in grazia di Arrigo IV, 279.
Baldovino, re di Gerusalemme, IV, 487. Sposa con matrimonio nullo Adelaide, vedova di Ruggieri conte di Sicilia, 541.
Baldovino, conte di Fiandra, creato imperadore di Costantinopoli, IV, 985. Preso ed ucciso dai Bulgari, 989.
[810]
Baldovino, arcivescovo di Treveri, V, 337.
Baldrico, duca o marchese del Friuli, III, 522, 527, 553. È deposto, 562.
Balista (Servio Anicio), generale di Valeriano, I, 905. Si crede che assumesse il titolo d'imperadore, 910. È poscia ucciso, ivi.
Barasone, re di Sardegna, IV, 319.
Barasone, o Barisone, giudice d'Arborea. Gli è fatta guerra da Barisone giudice di Turri, IV, 789. Ottiene da Federigo I il titolo e la corona di re di Sardegna, 790. È detenuto prigione in Genova, ivi, 820. Riacquista la libertà, 829.
Barbari, congiurati contro il romano imperio, II, 358. Entrano nelle Gallie, 376. Nell'Illirico, nella Gallia e nella Spagna, 401, 402. Favorevoli ad Onorio Augusto, 432.
Barbarighi dogi di Venezia, V. Agostino, Marco.
Barbarossa, V. Ariadeno.
Barbato (San), vescovo di Benevento, III, 14.
Barberini, nipoti di papa Urbano VIII. Loro ambizione, VI, 1108. Muovono guerra per Castro al duca di Parma, 1109, 1114. Con trattati di pace il burlano, 1117. Loro imprese guerriere, 1121. Fanno pace, 1124 Cadono in disgrazia di papa Innocenzo X, 1135. Si ritirano da Roma, 1143. Rimessi nello stato primiero, 1182.
Barcellona sottoposta ai Franchi, III, 407. Riacquistata da Lodovico Pio, 431. Presa dal re Carlo III con altre città di Catalogna, VII, 193. Liberata dall'assedio degli Spagnuoli, 207. Assediata e presa dal re Filippo V, 261.
Bardane, V. Filippico.
Bardelone de' Bonacossi, signore di Mantova, V, 217. Suo buon governo, 239. Gli è tolto il dominio da Botticella suo nipote, 264.
Bari, città della Puglia, presa dai Saraceni, III, 625. Assediata da Lodovico II Augusto, 719, 720. È costretta alla resa, 729, 732.
Barisone, V. Barasone.
[811]
Barnaba da Goano, doge di Genova, V, 1000.
Baronio (cardinale). Non ben prese il principio dell'era cristiana, I, 6, 7. Annalista della Chiesa, sua morte, VI, 925.
Bartoli (Giuseppe). Suo poemetto per la vittoria riportata dalle truppe del re sardo al'Assietta, VII, 672, 673.
Bartolomeo (San) Apostolo. Suo corpo in Benevento, e non in Roma, IV, 44.
Bartolomeo Pignatelli, arcivescovo di Messina, V, 57.
Bartolomeo Gradenigo, doge di Venezia, V, 551. Manca di vita, 569.
Bartolomeo dalla Scala, signor di Verona, V, 275. Sua morte, 295.
Bartolomeo II dalla Scala, signor di Verona, V, 747. Gli fa guerra Bernabò Visconte, 766. È ucciso dal fratello, 787.
Bartolomeo dalla Scala, vescovo di Verona, ucciso, V, 540.
Bartolomeo Capra, arcivescovo di Milano, V, 982. Governatore di Genova, 1076.
Bartolomeo Coleone. Dà una rotta ai Franzesi, V, 1195. Va al servigio de' Veneziani, 1197, 1205. Sua vittoria de' Savoiardi, 1208. Spogliato di tutte le sue truppe da Jacopo Piccinino, 1222. Torna al servigio de' Veneziani, 1236. Da' quali è creato lor generale, 1240. Muove guerra ai Fiorentini, VI, 22. Sua battaglia con essi, 24. Fine di sua vita, 52.
Basilica Traiana in Roma, I, 421.
Basilica di San Paolo in Roma, fatta rifabbricare da Valentiniano II, II, 259.
Basilica di San Giovanni evangelista, rifabbricata da Galla Placidia Augusta, II, 487.
Basilica di Santa Maria Maggiore, fabbricata da Sisto III, II, 507.
Basilica di Santo Zenone in Verona miracolosamente preservata dall'inondazione, II, 1070, 1071.
Basilio (Valerio Massimo), prefetto di Roma, I, 1144, 1146.
Basilio (San), vescovo di Cesarea di Cappadocia, II, 135, 178, 181.
Basilio, prefetto di Roma, II, 317.
Basilio, usurpa l'imperio in Sicilia, III, 159. È ucciso, 160.
Basilio Macedone, creato imperador de' Greci, III, 713, 722. Concilio per sua cura tenuto, 720. Manda una flotta in soccorso di Lodovico Augusto, 722. Lettera a lui scritta da esso Lodovico, 734. Manda soccorsi ad Adelgiso principe di Benevento, 756. Favorisce Fozio, 801. Muore, 854.
Basilio, catapano, ossia capitano dei Greci in Puglia, V. Bugiano.
[812]
Basilisco, fratello di Verina Augusta, console, II, 617. Sua infelice spedizione in Africa contro di Genserico, 628. Rimesso in sua grazia da Leone Augusto, 635. Sollevatosi contro Zenone Augusto, si fa proclamare imperadore, 658. In qual anno ciò avvenisse, 663. Viene abbattuto ed ucciso, 667, 668.
Bassacio, abbate di Monte Casino, III, 647, 654. Va a chiedere aiuto a Lodovico II Augusto, 666.
Basseo (Rufo), prefetto del pretorio a' tempi di Marco Aurelio, I, 557.
Bassiano (Vario Avito), così chiamato Elagabalo nella sua vita privata, è acclamato imperadore, I, 749, 750. Prende il nome di Marco Aurelio Antonino, 750, 754. Perduto dietro al suo dio Elagabalo, 756. Varie sue mogli, e sua infame lussuria, 759, 760. Sue pazzie, 761, 762, V. Elagabalo.
Basso (Cesellio), scioccamente propone a Nerone un gran tesoro, I, 238. Si uccide, ivi.
Basso (Settimio), console e prefetto di Roma, I, 1141, 1143, 1144.
Bastarni, popoli, abitanti presso le bocche del Danubio, soccorsi da Probo imperadore, I, 992, 993.
Baterico, vescovo d'Ivrea, III, 1070.
Batistino Fregoso, doge di Genova, VI, 63. Imprigionato e deposto dal cardinal Paolo Fregoso, 85.
Batone, capo de' Dalmatini ribelli della Pannonia, I, 22, 24. Va ad abboccarsi con Tiberio, per trattar di pace, 26. È ucciso, 27.
Batone, altro capo de' ribelli della Pannonia, I, 22, 24, 27. Ricorre alla misericordia di Tiberio, 28. Segue questo sovrano a Roma nel suo trionfo, 36.
Battaglia di Chiari, fra i Tedeschi e Franzesi, VII, 159.
Battaglia di Luzzara fra i Gallo-Ispani e Tedeschi, VII, 170.
Battaglia di Hogstedt favorevole agli imperiali ed Inglesi contro i Gallo-Bavari, VII, 187.
Battaglia di Cassano, indecisa fra i Tedeschi e Franzesi, VII, 192.
Battaglia di Ramegli colla rotta de' Franzesi, VII, 205.
Battaglia di Malpacquet, indecisa, tra i Franzesi e collegati, VII, 231.
Battaglia di Petervaradino colla rotta de' Turchi, VII. 270.
Battaglia navale tra i Veneziani e i Turchi, VII, 274.
Battaglia di Belgrado, colla vittoria de' Cristiani contra i Turchi, VII, 276.
Battaglia di Parma, favorevole ai Gallo-Sardi, VII, 391, 392.
[813]
Battaglia di Guastalla svantaggiosa agli imperiali, VII, 396, 397.
Battaglia di Crotska co' Turchi, VII, 454, 455.
Bautone, conte, Franco, generale di Graziano Augusto, II, 230. Generale di Valentiniano II, 252. Console, 253.
Baviera, quando cominciasse ad avere il suo duca, II, 968.
Beato, doge di Venezia, III, 447. È deposto, 476.
Beatrice figlia di Federico duca di Lorena, IV, 188. Partorisce la contessa Matilda, 234. Si marita con Gotifredo duca di Lorena, 267. Imprigionata da Arrigo II Augusto, 270. Resta di nuovo vedova, 341. Comanda in Toscana, 353, 357, 371. Compone una differenza fra Eriberto vescovo di Modena ed Alberto di Bazovara, 369. Dà fine a' suoi giorni, 372.
Beatrice Estense, maritata ad Andrea II re d'Ungheria, IV, 1126.
Beatrice Estense. Sue magnifiche nozze con Galeazzo Visconte, V, 368.
Beatrice d'Aragona, moglie di Mattia Corvino re d'Ungheria, VI, 54.
Becco, antichità di questa parola, I, 277.
Beda, celebre scrittore. Col suo esempio rende familiare l'era cristiana fra' Latini, I, 6.
Belgrado, assediato dalle armi imperiali, VII, 274. È preso dalle medesime, 276. Assediato dai Turchi, 456. Ceduto ad essi senza saputa dello imperadore, ivi.
Belisario generale di Giustiniano imperadore, II, 832, 848. Da cui è spedito contra di Gelimere re dei Vandali in Africa, 849. Con felicità si impadronisce di quel regno, 850. Creato console, 857. Toglie la Sicilia ai Goti, 859, 860. Prende Reggio di Calabria, e poi Napoli, con barbaramente saccheggiarla, 864, 865. Entra in Roma, 867. Dove assediato si difende, 868, 874. Conquista Milano, 875. Lo perde colla strage di que' cittadini, 878. Assedia Ravenna, 883. E la prende, 886. Richiamato a Costantinopoli, 887. Privato della carica di generale, 897. Rimandato in Italia, 902. Tenta di soccorrere Roma assediata da Totila, 910. Vecchio è tuttavia adoperato da Giustiniano, 969. Cade in sua disgrazia, 975, 976. Ricupera gli onori, 978. Dà fine alla sua vita, 982.
Bellarmino (Roberto), cardinale. Sua morte, VI, 985.
Beltrame degli Alidosi, signore d'Imola, V, 750.
Beltrando dal Poggetto, cardinale inviato per legato in Italia, V, 409. Sua guerra coi Visconti, 412, 418, 421. Gli scomunica, 424, 425. Loro fa guerra, 434. Assedia Milano, 435. A lui si dà Parma, 453. Bologna e Modena, 458, 459. E [814] Faenza, 480. Reggio, 489. Sue genti rotte dai Modenesi, 494 Fabbrica una fortezza in Bologna 495. Sue intelligenze con Giovanni re di Boemia, 500. S'impadronisce di quasi tutta la Romagna, 501, 502; Burla i Bolognesi, 504. Assedia Ferrara, 510. Cacciato da Bologna, torna in Provenza, 518.
Beltrando, patriarca d'Aquileia, ucciso, V, 616.
Bemarco Cesariense, storico, I, 1196.
Benedetto (San), patriarca, ristauratore dell'ordine monastico in Occidente: sua morte, II, 904. Suo corpo trasportato in Francia, III, 49.
Benedetto I papa. Sua consecrazione, II, 1017. Fine di sua vita, 1031.
Benedetto II papa. Sua consecrazione, III, 67. Sua morte, 69.
Benedetto (San), arcivescovo di Milano, III, 144.
Benedetto, abbate di Farfa, III, 493.
Benedetto III, papa. Sua elezione, III, 675. Contrastata da Anastasio cardinale scomunicato, ivi. È chiamato a miglior vita, 684.
Benedetto, vescovo di Cremona, III, 765.
Benedetto IV papa. Sua elezione, III, 944. Dà la corona dell'imperio a Lodovico re di Provenza e d'Italia, 947. Termina i suoi giorni, 956.
Benedetto, vescovo di Tortona, III, 1014.
Benedetto V papa. Sua elezione e suo esilio, III, 1167. Chiamato all'altra vita, 1170.
Benedetto VI papa. Sua elezione III, 1202. Suo miserabil fine, 1208.
Benedetto VII papa. Sua elezione, III, 1211. Sua morte, 1249, 1250.
Benedetto VIII papa. Sua elezione, IV, 96. Fugge in Germania, 98. Dà la corona dell'imperio ad Arrigo I, 101, 102. Suo dominio amplificato, 103. Diploma d'esso Arrigo in favor della Chiesa Romana dubbioso, ivi. Sua bolla e placito, 106. Altro suo placito, 110. Scaccia i Saraceni da Luni, 115. Poi dalla Sardegna per mezzo dei Pisani e Genovesi, 118. Va in Germania a trovare l'imperadore Arrigo, 126. Lo chiama in Italia contro i Greci, 132. È chiamato a miglior vita, 143.
Benedetto IX papa. Sua illegittima elezione, IV, 175, 176. Sua vita infame, 176. Viene in Lombardia ad abboccarsi con Corrado I Augusto, 195. Congiura de' Romani contra di lui, 196. Cacciato risorge, e poi vende il papato, 221, 222. Credesi che facesse penitenza, 223. Deposto nel concilio di Sutri, 229. Torna ad occupar la santa Sede, 241.
Benedetto X illegittimo papa, IV, 285. Rinunzia alle sue pretensioni, 288.
Benedetto, vescovo d'Adria, IV, 268.
Benedetto, vescovo di Velletri, IV, 284.
[815]
Benedetto Gaetano cardinale, V, 227, 230. Eletto papa, V. Bonifazio VIII.
Benedetto XI papa. Sua elezione, V, 286, 287. Sue gloriose azioni, 289. Sua morte e santità, 292.
Benedetto XII papa. Sua elezione, V, 523. Sue sante intenzioni, 524. Sua schiavitù in Provenza, 541. Scaligeri a lui sottomessi, 550, 551. E molte città, 554. Sua morte e belle doti, 560.
Benedetto di Buonconte de' Monaldeschi, signore d'Orvieto, V, 619.
Benedetto XIII antipapa lasciato in libertà dagli Avignonesi, V, 901. Manda ambasciatori a papa Bonifazio, 919. Riconosciuto per papa dai Genovesi, 926. Va a Genova, 934. Si ritira a Marsilia, 943. Torna a Genova, fingendo premura della riunione, 948, 949. I Franzesi gli levano l'ubbidienza, 953. Fugge in Ispagna, 956. È deposto, 961. Citato dal concilio di Costanza, 993. Ostinato in voler sostenere il suo punto, 996, 1001. Condanna emanata contro di lui, 1008. Dà fine alla sua vita, 1043, 1051. V. Pietro di Luna.
Benedetto XIII papa. Sua creazione, VII, 317. Ricupera il possesso di Comacchio, 318. Celebra l'anno del giubileo, e un concilio provinciale, 320. Sue virtù, 324, 325. Va a Benevento, 330, 343. Torna a Roma, 331, 343. Passa a miglior vita, 348.
Benedetto XIV papa. Sua elezione, VII, 462, 463. Sue lodevoli azioni, 470. Suo decreto pei riti cinesi, 508. Fa promozione di ventisette cardinali, 521. Insigne grazia da lui fatta agli ordini monastici, 545. Altra promozione de' cardinali nominati dalle corone, 675. Sue virtù e belle azioni, 704.
Beneventani, una volta adoratori della vipera, III, 1269, 1270.
Benevento quando occupato dai Longobardi, II, 1009. Quando avesse principio il suo ducato, 1020. Assediato dai Greci, III, 9. Difeso dal duca Romualdo, 11. È liberato, 12. Suo ducato convertito da Arrigiso in principato, 323, 324. Suo vescovo creato arcivescovo, 1192. Ceduto ai papi, IV, 257. Assediato da Federigo II Augusto, 1163. Orribile tremuoto da esso sofferto, VII, 76, 80, 171.
Benzone, vescovo d'Alba. Suo scomunicato panegirico di Arrigo III fra gl'imperadori, IV, 66. Sua satira contro papa Alessandro II, 302.
Beorgor, re degli Alani, ucciso, II, 616.
Bera, conte di Barcellona. Suo duello, III, 526.
Beraldo, abbate di Farfa, IV, 566.
Berardo, abbate di Farfa, IV, 249.
Berardo, abbate di Farfa, IV, 401, 409.
Berardo de' Maggi (per isbaglio Bernardo), vescovo [816] e signore di Brescia, V, 288. Sua morte, 322.
Berardo, vescovo di Padova, IV, 246.
Berengario, duca, figlio di Unroco, III, 590.
Berengario, duca del Friuli, poi re d'Italia, primo di questo nome, III, 717. Favorisce Carlomanno, 769, 781. Fu nipote di Lodovico Pio Augusto, 782, 783, 784. Lettera a lui scritta da papa Giovanni VIII, 803. Tenta di prendere il ducato di Spoleti, 839. Si vendica di Liutvardo vescovo di Vercelli, 852. Placa l'Augusto Carlo il Grosso, 856. Forse fu di schiatta italiana, 865. Eletto re d'Italia, 866. Si sottopone ad Arnolfo re di Germania, 869. Gli è mossa guerra da Guido duca di Spoleti, ivi. Sua felice battaglia contra questo duca, 872. Altra battaglia, in cui egli rimane sconfitto, 876. Riccorre ad Arnolfo re di Germania, 886, 894. Il quale in persona viene in Italia, 896. E lo spoglia del regno, 907, 908. Congiura contro di lui, 908, 909. Ricupera la marca di Verona ed il ducato del Friuli, 915. Fa pace con Lamberto imperadore, 923. Dopo la morte di esso Lamberto riacquista il regno, 933, 934. Si discredita per l'imprudenza di non accordar quartiere agli Ungheri fuggitivi, da' quali poi viene sconfitto, 942, 947. Gli muove guerra Lodovico re di Provenza, 942. Il quale lo caccia di Italia, 949, 950, 951. Sorprende esso Lodovico, lo accieca e ricupera il regno, 952. Invitato da papa Giovanni X alla corona dell'imperio, 989. Descrizione della sua coronazione, 993. Tempo di essa, 995, 1008. Imprigiona Guido duca di Toscana, 1003. Contro di lui chiamato in Italia Rodolfo II re di Borgogna, 1010, 1011. Da cui è sconfitto in una battaglia, 1016. Poscia ucciso in Verona da' congiurati, 1018.
Berengario, figlio d'Adalberto marchese d'Ivrea, poi re d'Italia, secondo di questo nome. Suo placito in Milano, III, 1002, 1003. Succede al padre, 1065, 1081. Scampato dalle insidie del re Ugo, fugge in Germania, 1083. Suoi maneggi contra di esso re, 1091. Cala in Italia con alquante milizie, 1097. Comincia a tiranneggiare, 1099. Sua autorità nel governo del regno, 1101. Fatto aio del re Lottario, 1103. Spedisce Liutprando storico per ambasciatore al greco Augusto, 1108. Col veleno spedisce all'altra vita il re Lottario, 1111. Viene eletto re d'Italia, 1112. Imprigiona Adelaide regina, 1115. All'arrivo in Italia d'Ottone il Grande se ne fugge, 1120. Supplichevole ricorre a lui, 1124. Riacquista il regno, 1125. Assedia Canossa, 1128. Costretto a ritirarsi da Lodolfo figlio di Ottone il Grande, 1137. Per la morte del quale Lodolfo [817] risorge, 1139. Alla seconda venuta in Italia di Ottone il Grande fugge di nuovo, 1150, 1151. Si fortifica nella rocca di San Leone, 1157. Quivi è bloccato da esso Ottone, 1160. È condotto prigione in Germania, dove muore, 1165, 1166, 1177.
Berengario, eretico. Sua dottrina condannata, IV, 247. E da lui abiurata, 290, 391.
Berenice, sorella d'Agrippa re, amata da Tito Cesare, e poi abbandonata, I, 310, 311, 321.
Bergamo, città afflitta da Attila, II, 561. Si dà a Matteo Visconte signor di Milano, V, 273. Si rimette in libertà, 278. Ivi guerra civile, 294. Si dà a Giovanni re di Boemia, 498. Presa da Azzo Visconte, 506.
Berito, città nella Fenicia, diroccata la maggior parte dal tremuoto, II, 28.
Bernabò Visconte esiliato da Lochino, V, 552. Richiamato dall'esilio, 609. Prende il possesso di Bologna, 614. Sue nozze con Regina Scaligera, 615. Indarno tenta Verona, 637. Succede in parte degli Stati di Giovanni suo zio, 640, 649. Sue guerre in Lombardia, 652. Se gli ribella Genova, 655. Fa guerra ai Gonzaghi, 661, 662. Sconfitto il suo esercito, 662, 667. Fa pace coi collegati, 667. Fa guerra a Bologna, 670, 671, 675, 679. E ai collegati, 686, 687. Che gli danno una gran rotta, 691. Fa pace con loro, 696. Lega contra di lui, 705. Muove guerra ai collegati contra di lui, 712, 713. Fa pace, 718. Acquista Reggio, 728. Sua vittoria su' collegati, 732. Gran rotta data da' collegati al suo esercito, 736. Ambrosio suo figlio ucciso, 738. Fa guerra agli Scaligeri, 766. Assolda gente per mandar soccorsi ai Veneziani suoi collegati, 774, 775. Fa guerra ai Genovesi, 774. Sua tirannia, e de' suoi figliuoli, 805. È fatto prigione dal nipote, 806. Sua morte, 809.
Bernardino da Polenta, signor di Ravenna, V, 281. Per poco signor di Ferrara, 320.
Bernardino II da Polenta, signor di Ravenna, V, 594. Dà fine al suo vivere, 674.
Bernardino (San), da Siena missionario. Sua morte, V, 1172.
Bernardo, duca della Settimania, III, 589.
Bernardo (San) disapprova l'usanza introdotta di esentare i monaci dall'ubbidire ai vescovi, III, 46.
Bernardo, figlio di Pippino re d'Italia, III, 471. È creato anch'egli re d'Italia, 482, 485. Chiamato in Francia, 492. Sospetti di Lodovico Pio contra di lui, ivi. Sua ribellione, 512. Torna in Francia, 513. Suo accecamento e morte, 516. Suo epitafio, 517. Ebbe moglie e figli, 518, 532.
[818]
Bernardo, duca di Linguadoca, aio di Carlo il Calvo, III, 567. Sua tirannia, 572. È degradato, 578.
Bernardo, vescovo di Ascoli, IV, 279.
Bernardo, legato apostolico a Milano, IV, 351.
Bernardo, cardinale, legato apostolico, IV, 493. Maltrattato in Parma, 499. Fine di sua vita, 627.
Bernardo (San), abbate di Chiaravalle, interviene al concilio di Pisa, IV, 629. Atti suoi in Milano ed in altre città, 629, 634. Viene chiamato dal papa a Pisa, 647. Tratta di pace col re Ruggeri, 653. Induce a pentimento l'antipapa Vittore, 655. Sue lettere per ismascherare la dottrina di Arnaldo da Brescia, 666. Fa prender la croce a Lodovico VII re di Francia ed a Corrado III re di Germania, 687. Per la cattiva riuscita della crociata gli si scatenano addosso le lingue maldicenti, 694. Invia ad Eugenio III la sua opera De consideratione, 700. Sua morte e santità, 711.
Bernardo, cardinale di San Clemente, IV, 739.
Bernardo vescovo di Porto, IV, 847.
Bernardo, duca di Moravia, IV, 1093.
Bernardo, da Caors, arcivescovo di Napoli, V, 776.
Bernuardo, vescovo di Virzburgo, IV, 12.
Beroldo, V. Bertoldo.
Berta, madre di Carlo Magno, III, 230. Riconcilia insieme i figli, 300. E viene in Italia, 301. Sua cura per istabilir parentado fra essi e Desiderio re dei Longobardi, ivi. Finisce di vivere, 351.
Berta, madre di Ugo conte di Provenza, e poi moglie d'Adalberto II di Toscana, III, 926. Aliena gli animi degli Italiani da Lodovico re di Provenza ed Augusto, 951. Carcerata da Berengario Augusto, 1004. Sua morte, 1024.
Berta, figlia di Berengario Augusto, badessa di Santa Giulia di Brescia, III, 997, 1001; IV, 48.
Berta, figlia di Ugo re d'Italia, maritata a Romano figlio di Costantino imperadore de' Greci, III, 1076, 1091, 1095.
Berta, figlia di Ottone e di Adelaide marchesi di Susa, maritata col re Arrigo IV, IV, 275, 333. Sua onestà tentata, 333, 334. Si studia Arrigo di ripudiarla, 336. Fine di sua vita, 437.
Bertarido, re de' Longobardi in Milano, II, 1271, 1272. Sua discordia col fratello Godeberto, 1272. Fugge, per paura di Grimoaldo, nella Pannonia presso Cacano re degli Unni, 1276. Per le istanze di Grimoaldo viene licenziato da Cacano, III, 17. Si mette in sua mano, 18, 19. Corre pericolo della vita, 19. Fugge in Francia, 20. Poi disegna di andare in Inghilterra, 36. Richiamato da una voce, ricupera il regno, 38, 39. Suo buon governo, 43. Fabbrica in Pavia un monistero, 44. Dichiara re Cuniberto suo figlio, 52. Sua pietà, 54. [819] Se gli ribella Alachi duca di Trento, 60. Fine di sua vita, 76.
Bertario, abbate di Monte Casino, sua letteratura, III, 706, 807.
Bertila, regina, moglie del re Berengario, III, 963, 976. Tolta di vita col veleno, 1007.
Bertoldo conte, progenitore della real casa di Savoia, IV, 108.
Bertolfo (San), abbate di Bobbio, II, 1189. Ottiene privilegio da papa Onorio, 1190. Sua morte, 1224.
Bertoldo, o sia Bertoldo, duca di Carintia, IV, 342, 355, 365. Abbandona Arrigo IV re di Germania, 374. Dal quale gli è portata la guerra, 390. Fine di sua vita, ivi.
Bervardo (San), vescovo di Ildeseim, IV, 45.
Bessarione, cardinale legato di Bologna, V, 1234. Dona i suoi libri alla repubblica veneta, VI, 30.
Bianca, duchessa di Savoia, reggente di quegli Stati, VI, 105.
Bianchi, lor pio istituto: onde son nate le confraternita laicali, V, 888, 889. Vien loro proibito da papa Bonifazio IX l'accesso in Roma, 893.
Bichi (monsignor), nunzio apostolico in Portogallo. Controversia insorta tra questa corte e la pontifizia per essere eletto cardinale, VII, 311, 337, 362.
Bicilis, familiare de' più confidenti di Decebalo re della Dacia, I, 406.
Bidelufo, duca di Spoleti, IV, 832.
Bilichilde, moglie di Childerico re de' Franchi uccisa insieme col marito, III, 42.
Bilimere governator delle Gallie, accorso in aiuto di Antemio Augusto, è ucciso, II, 642.
Biordo de' Michelotti, capo di una compagnia di masnadieri, V, 854. Usurpa la signoria di Perugia, 855. Va al soldo de' Fiorentini, 861. Torna in grazia del pontefice Bonifazio IX, 868. Suo accordo co' Fiorentini, 874. Fine di sua vita, 883.
Bisanzio, sottomesso dall'armi di Severo Augusto, I, 661, 662, 686. Orribil disavventura ivi accaduta, per cui rimangono estinte tutte le vecchie famiglie venute alle mani colla guarnigione, 916. Ivi Costantino fonda Costantinopoli, 1186. V. Costantinopoli.
Bitume, invece di calce, adoperato nella fabbrica di Babilonia, I, 425.
Bleda, fratello di Attila. Succede insieme con esso al loro padre Rugila, re degli Unni, II, 489. V. Attila.
Bleda, vescovo ariano, I, 588.
Blemmii, popoli confinanti all'Egitto, I, 991.
Bleso (Quinto Giunio), proconsole dell'Africa, I, 67. Creato console, 68.
[820]
Boamondo, figlio di Roberto Guiscardo, IV, 287. Milita col padre contro i Greci, 45. Dà più di una rotta ad essi, 416. Sue liti col fratello per l'eredità del padre, 426. Guerra fra essi, 436, 437. Accordo fra loro seguito, 437. Nuove rotture, 445. Poi si riconciliano, ivi. Assedia Oria ribellatasegli, dove viene cacciato, 454. Si ribella contro i figli di Ruggieri creduto morto, 459. Prende la croce e con un'armata va in Levante, 470. Creato principe d'Antiochia, 480. Fatto prigione dai Turchi, 489. Liberato prende moglie, 508. Fa guerra ad Alessio imperador de' Greci, 515, 517. Fine di sua vita, 535.
Boamondo, figlio del precedente, succede al padre ne' suoi Stati, IV, 535.
Bobuleno, abbate di Bobbio, II, 1235. Bolla pontificia in suo favore dubbiosa, ivi.
Boccolino fa ribellare Osimo contro il papa, VI, 96.
Boemia, invasa da Carlo Magno, III, 448. Si ribella a Ferdinando II, VI, 971. È da lui ricuperata, 979.
Boendicia, o Bunduica, regina di una parte della Bretagna, fa guerra ai Romani, I, 221. Sua morte, 222.
Boezio, prefetto del preterio sotto Valentiniano III, resta ucciso, II, 573.
Boezio (Severino), filosofo e patrizio, II, 692, 721. Creato console, 775.
Boezio, figlio del precedente, console, II, 807. Accusato davanti al re Teoderico e cacciato in esilio, 815, 816. E poi privato di vita, 816. È tenuto per santo, 818.
Boiano, V. Bugiano.
Boleslao o Bolislao, duca di Boemia, III, 1214.
Bolislao, V. Boleslao.
Bologna in dominio de' Longobardi, III, 222. Quando cominciasse ivi lo studio delle leggi e la sua università, IV, 552. Le fa guerra Alberico conte di Barbiano, V, 905, 907. Si dà a Gian Galeazzo duca di Milano, 909. Torna in potere del papa, 915. Se gli ribella, 976. Torna all'obbedienza della Chiesa, 983. Poscia si rimette in libertà, 1001. Si sottomette al papa, 1015, 1027. Di nuovo si rivolta, 1075. E torna all'ubbidienza, 1077, 1078. Ivi nuova sollevazione, 1084. Ritorna al papa, 1087. Occupata da Niccolò Piccinino, 1131. Tentata in vano dal duca Valentino, VI, 182, 183. Lega da' Bolognesi fatta contra costui, 194. Si accorda con esso, 195. Ricuperata essa città da papa Giulio, 220. E di nuovo perduta, 264. Assediata dall'esercito pontificio e spagnuolo, 274. Soccorsa da Gastone di Foix, che se ne impadronisce, 275. Quivi è coronalo Carlo V, 476.
Bolognesi. Loro liti coi Modenesi, IV, 618. Si umiliano [821] a Lottario Augusto, 645. Danno una rotta ai Modenesi, 671, 672. Si sottomettono a Federigo Augusto, 779, 801. Fan guerra a Faenza, 823, 826. Lor prepotenza coi Modenesi, 983, 987. Lor guerra co' Pistoiesi, 1018. Vanno in aiuto de' Cesenati, 1032. Acquistano il dominio d'Imola, 1055. Lor potenza e ricchezze a cagione delle scuole, 1069. Fan guerra ai Modenesi, 1085. Sconfitti da essi, ivi, 1090, 1091. Continuano la guerra contro di essi Modenesi, 1127, 1142. Federigo II prende loro i castelli di Piumazzo e di Crevalcuore, e li distrugge, 1158. Tolgono ai Modenesi il borgo di San Pietro, e lo bruciano, ivi. Sconfitti dai Modenesi, 1160, 1203. Ai quali occupano varie castella, 1203. Gran rotta da loro data al re Enzo con farlo prigione, 1212. Assediano e forzano Modena a rendersi, ivi. Padroni quasi di tutta la Romagna, 1265. Lor guerra civile, 1274; V, 26. Rottura fra essi e i Veneziani, 90. E con loro vantaggio, 94. Guerra civile risorge fra essi, ivi. Prevale ivi la fazion de' Guelfi, 109. Che son poi sconfitti dai Ghibellini, 112, 124. Fanno pace coi lor fuorusciti, e tardano poco a cacciarli, 131. Per tradimento prendono Faenza, 138, 139. Che loro è tolta dai Romagnoli, 220. Entrano in lega coi Parmigiani, 237. Lor guerra con Azzo Estense, 237, 252, 299. Gli fan ribellare Modena, 302. Tornano a parte guelfa, 303. Si collegano coll'Estense, ivi. Scacciano il legato pontifizio, 304. Si preparano contro di Arrigo VII, 340. Tentano l'acquisto di Modena, 359. Fan guerra a questa città, 448. Gran rotta loro data da Passerino de' Bonacossi signore di Mantova, 449. Riconducono Modena a sottomettersi a papa Giovanni, 459. Fortezza nella lor città fabbricata da Beltrando del Poggetto legato pontificio, 495. Sua sconfitta sotto Ferrara, 511. Cacciato esso legato pontifizio, riacquistano la libertà, 517, 518. Prendono per loro signore Taddeo de' Pepoli, 538. Poi i suoi figli, 595. Venduta la loro città a Giovanni Visconte, 614. Ne usurpa il dominio Giovanni da Oleggio, 649. Il qual poi la cede al cardinal Albornoz, 675. Si ribellano al papa, 748, 749. Che loro fa guerra, 750, 751. Accordo fra essi, 756. Guerreggiano coi conti di Barbiano, 816. Lor muove guerra il conte di Virtù, 830. Discordia fra essi, 887. Rigor d'essi contra il conte di Barbiano, 888. Fan guerra al signor di Faenza, 896. Fanno lega colle repubbliche di Venezia e di Firenze, 1163. Danno una sconfitta a Lodovico del Verme, ivi, 1164. Sedizion dei Canedoli in quella città, 1175. Tornano all'ubbidienza del papa, 1196.
[822]
Bona, città dell'Africa. È l'antica Ippona, IV, 183. V. Ippona.
Bona di Savoia, moglie di Galeazzo Maria Sforza duca di Milano, VI, 28. Reggente di quel ducato, 55. Deposta da Lodovico il Moro, 73.
Bonaventura (San), dottore della Chiesa. Sua morte, V, 106.
Boncompagno (Don Gaetano), duca di Sora e principe di Piombino, VI, 801.
Bonifazio I papa, eletto con scisma, II, 437. Disputata la di lui elezione, 439. Prevale all'avversario, 440. Sua morte, 449.
Bonifazio II papa. Sua elezione, II, 838. Sua morte, 844.
Bonifazio conte difensor di Marsilia, II, 422. Sprezzato da Castino, generale di Onorio Augusto, 449. Che poscia a lui ricorre. 461. Per frode di Aezio cade in disgrazia di Placidia, 468. Dichiarato ribello, 469. Rimesso in grazia, 474. Resta sconfitto da Genserico, 477. Torna a Ravenna, 483. Suo duello con Aezio, per cui muore, ivi, 484.
Bonifazio, vescovo di Cartagine, II, 812.
Bonifazio III, papa. Sua consecrazione, II, 1136. Breve sua vita, ivi.
Bonifazio IV papa. Sua elezione, II, 1138. Tiene un concilio, 1142. Termina i suoi giorni, 1158.
Bonifazio V papa, quando consecrato, II, 1165. Tempo della sua morte, 1179.
Bonifazio (San), vescovo ed apostolo della Germania, III, 169. Sua venuta a Roma, 209.
Bonifazio (San), arcivescovo di Magonza. Sua morte, III, 262.
Bonifazio I duca di Toscana, III, 488. Sua morte, 540.
Bonifazio II marchese di Toscana, III, 541. Sua impresa contra i Mori, 563, 564. Mette in salvo l'imperadrice Giuditta, 588. Per cui cade in disgrazia di Lottario Augusto, 597.
Bonifazio VI papa. Sua elezione e morte, III, 916.
Bonifazio conte, cognato di Rodolfo re di Borgogna, va in suo soccorso, e gli fa riportare una grande vittoria, III, 1016, 1017. Creato duca e marchese di Spoleti e Camerino, 1102. Tempo di sua morte, 1139.
Bonifazio, soprannominato Francone, pseudopapa, III, 1208. Cacciato fugge a Costantinopoli, 1209. Condannato in un concilio, 1212. Tornato a Roma, fa miseramente morire papa Giovanni XIV, 1253. Sua morte, 1255.
Bonifazio, cardinale, vescovo d'Albano, IV, 281, 284.
Bonifazio, marchese, figlio di Tedaldo marchese, IV, 70, 71, 75. Sua donazione al monistero di Polirone, 95. Signoreggia in Ferrara, 111. [823] Quando creato duca e marchese di Toscana, 114. Signore di Mantova, ivi. Marito di Richilda, ivi, 116, 126. Gran cacciatore di beni delle chiese, 130. Creato duca della Toscana, 157, 174. Va in Alemagna, 187. Rimane vedovo, ivi. Prende per moglie Beatrice di Lorena, 188. Va all'assedio di Parma, 195. Sue penitenze, 232. Gli nasce la contessa Matilda, 234. È ucciso, 255. Chiamato tiranno, 256.
Bonifazio, marchese d'Este, IV, 633, 722.
Bonifazio VIII papa. Sua elezione, 230. Imprigiona Pietro da Morrone, già papa Celestino, V, 234. Sua coronazione e maneggi per la Sicilia, 235, 236. Processa Federigo re di Sicilia, 243. Eletto podestà di Pisa, 248. Suoi processi contra de' Colonnesi, 250. E liti con Filippo il Bello re di Francia, 252. Processa Alberto di Austria, 254. Predica la crociata contro i Colonnesi, 255, 257. Distrugge le loro terre, 258. Giubileo da lui celebrato, 265. Chiama in Italia Carlo di Valois, 271. Tenta in vano l'acquisto della Sicilia, 275. Sue fiere liti con Filippo il Bello re di Francia, 277. Lo scomunica e depone, 282. È sorpreso in Anagni da Guglielmo da Nogareto e da altri emissarii di esso re, e maltrattato, 282, 283. Liberato, s'inferma e muore, 284. Sue virtù e difetti, 286. Persecuzione dopo morte a lui fatta dal suddetto re, 309, 323.
Bonifazio, arcivescovo di Ravenna, V, 187.
Bonifazio, marchese di Monferrato. Sua vittoria sugli Astigiani, IV, 928. Spedito in Germania, 967. Generale d'un'insigne crociata, 977. Ricupera il regno di Tessalonica, 985. Si impadronisce di Napoli di Malvasia, 989. È coronato re di Tessalia, 993. Muore in una battaglia, 994.
Bonifazio juniore, marchese di Monferrato, fa guerra agli Astigiani, IV, 1086. Aderente a Federigo II, 1160. Si ribella dipoi, 1175.
Bonifazio IX papa. Sua elezione, V, 829. È favorevole a Ladislao re di Napoli, 835, 880. Mette pace fra i principi d'Italia, 849 Sua residenza in Perugia, 852. Torna a Roma, 855. Ricusa di cedere il papato, 872, 879, 880. Celebra il giubileo, 891. Congiura de' Colonnesi contra di lui, 892. II riceve in grazia, 900. Fa guerra al duca di Milano, 906. Ricupera Bologna, 913, 914. Ambasceria inviatagli dall'antipapa gli accorcia il corso di sua vita, 919. Suoi difetti, 920.
Bonifazio, marchese di Monferrato, VI, 85.
Bonifazio, marchese di Monferrato, sua infelice morte, VI, 486.
Bonivet, ammiraglio di Francia, spedito in Italia [824] dal re Francesco I. Sue imprese, VI, 395, 401. Si ritira verso la Francia, 403.
Bonizone, vescovo di Sutri. Sua letteratura, IV, 409. Vescovo di Piacenza, è fatto morire fra i supplizii, 442.
Bonomo (San), abbate di Lucedio, IV, 156.
Bonosiano, prefetto di Roma, II, 393, 404.
Bonoso, usurpator dell'imperio, ucciso, I, 996.
Bonsignore, vescovo di Reggio, IV, 530, 547.
Bonzere, regina di una parte degli Unni, II, 833.
Bordeaux, città incendiata dai Goti, II, 422.
Borgogna antica. Suo regno sottoposto al romano imperio, II, 739. Quanto si stendesse, ivi; IV, 173.
Borgognoni, vinti dai Goti, chiedono soccorso agli Alamanni, I, 1026. S'impadroniscono d'un tratto delle Gallie, II, 422. Sconfitti da Aezio, chieggono pace, 491. Da lui di nuovo abbattuti, 494. Irruzione da essi fatta in Italia, 705, 718. Loro scorreria in Italia, 875. Uniti ai Goti ripigliano Milano con orrida strage de' cittadini, 878.
Borso, marchese d'Este, signor di Ferrara, V, 1215. Creato duca di Modena da Federigo III Augusto, 1225. Accoglimento da lui fatto a papa Pio II, 1254, 1255. Tratta la pace fra i principi d'Italia, VI, 25. Creato duca di Ferrara, muore, 37, 38.
Bosone, creato duca di Lombardia, III, 774, 781. Rapisce Ermengarda figlia di Lodovico II Augusto, 783. E la prende in moglie con gran solennità, 790. Accoglie papa Giovanni VIII in Provenza, 798. Negoziati d'esso papa in favore di lui, 804, 805. Si fa proclamare re di Borgogna, 810. Guerra a lui fatta da' Franzesi, 814. Termina il suo vivere, 836.
Bosone, fratello di Ugo re d'Italia, creato duca di Toscana, III 1050, 1056. Deposto ed imprigionato da esso re, 1069.
Bosone vescovo di Piacenza, III, 1075, 1076, 1093, 1100.
Bosone, abbate di Sant'Antimio, IV, 81.
Bosone, conte di Arles, III, 1104.
Botticella, o Bottesella de' Bonacossi, signore di Mantova, V, 264, 303.
Braccio da Montone. Principii della sua milizia, V, 964. Fa guerra a Perugia sua patria, 984, 1002. Mette a ferro ed a fuoco il contado di Cesena, 1000. Suo accordo coi Bolognesi, 1002. Dà una rotta a Carlo Malatesta, 1002, 1003. Divien signore di Perugia, 1004. S'impadronisce di Roma, 1009. Ne è cacciato da Sforza, 1010. La fa da masnadiere, 1018. Battaglie fra lui e Sforza, 1022. Si riconcilia con papa Martino, 1026. A cui sottomette Bologna, ivi, 1027. Principe di Capoa, va in soccorso della regina [825] di Napoli, 1034. S'impadronisce di Città di Castello, 1041. Assedia Aquila, 1048, 1053. Ivi truova gran resistenza, ivi. Sconfitto e ferito cessa di vivere, 1056.
Brancaleone d'Andalò, Bolognese, senatore di Roma. Sua severità e disgrazie, IV, 1233, 1236, 1260. È liberato dalle carceri, 1269. Sua morte, 1270.
Brandano, predice il sacco di Roma, VI, 433.
Bredà, ivi stabilito un congresso di pace, VII, 645. Che è poi sciolto, 682.
Brescello preso da Drottulfo, II, 1057. Ricuperato dal re Autari, 1058.
Brescia, abbondante di nobili longobardi, III, 61. Eletto da quel popolo per suo signore Berardo de' Maggi vescovo, V, 288. Poscia Maffeo dei Maggi, 322. Si ribella ad Arrigo VII, 346. Sustien l'assedio, e si rende, 347. Presa da Mastino Scaligero, 505, 506. Poscia da Azzo Visconte, 536, 537. Tolta da' Veneziani al duca di Milano, 1065. Loro si rendono ambe le cittadelle, 1067. Assediata da Niccolò Piccinino, 1134, 1137. Liberata da Francesco Sforza, 1146. Si rende ai Franzesi, VI, 237. Si dà ai Veneziani, 276. Riacquistata dai Franzesi e saccheggiata, 278. Sua infelicità, 279. Presa dagli Spagnuoli, 292, 293. Torna sotto i Veneziani, 301. Abbandonata agli Spagnuoli, 305. Invano assediata da' Veneziani, 331.
Bresciani, riportano vittoria sui Bergamaschi, IV, 738. Ottengono capitolazione da Federigo Augusto, 744. Collegati contra di lui coi Milanesi, 765. Con dure condizioni comperano da lui la pace, 778. Sconfitta da essi data ai Cremonesi, 927. Ottengono privilegio da Arrigo VI Augusto, 929. In lega coi Milanesi, 966. Guerra civile fra que' nobili e la plebe, 971, 972. Questa è sconfitta dai Cremonesi, 974. Vendetta dei nobili contro la plebe, 983. Guerra fra essi nobili, 993. I quali dalla plebe sono cacciati dalla città, 1022. Da orribil tremuoto rovinata la loro città, 1055. Lor guerra ai Cremonesi, 1128. Assaliti dall'armata di Federigo II Augusto, 1141, 1142. Lor città indarno assediata da lui, 1148. Guerra civile fra loro, 1176, 1263. Sbaragliati da Eccelino, 1271. Che occupa la loro città, ivi. Si sottomettono al marchese Oberto Pelavicino, V, 16. Loro disavventure, 52, 53, 54. Si sottraggono al giogo di Oberto Pelavicino, 61. Guerra civile fra loro, 81. Si danno a Carlo I re di Sicilia, 89. Si ribellano ad Arrigo VII Augusto, 346. Scacciano la fazion ghibellina, 389. Prendono per lor signore il re Roberto, 407. Poscia Giovanni re di Boemia, 496.
Bretagna, per gran tempo esente dal giogo de' Romani, [826] I, 156. Conquiste ivi fatte da Claudio Augusto, 157, 158. Ribellione ivi fatta, 221.
Bretagna minore. Sua origine, III, 519. È sottomessa da Lodovico il Pio, 520. Il quale doma gli umori inquieti di quei popoli, 547.
Britannico (Cesare), figlio di Claudio imperadore, I, 147. Perchè a lui dato questo cognome, 158. Perseguitato dalla matrigna Agrippina, 183. Protetto da Narciso liberto, 192. Avvelenato da Nerone, muore, 200.
Brunechilde, regina de' Franchi. Sua ambizione, II, 1100. Sue iniquità, 1137, 1148. Orrida sua morte, 1153.
Brunengo, vescovo d'Asti, III, 1131, 1159.
Bruno, abbate di Chiaravalle, IV, 725.
Brunone, arcivescovo di Colonia, III, 1206.
Brunone, vescovo di Tullo, creato papa, IV, 244, V. Leone IX.
Brunone (San), institutore della Certosa, IV, 478.
Brunone, arcivescovo di Treveri, IV, 521.
Brunone, vescovo di Segna, IV, 549.
Brutteri, popoli della Frisia, vinti da Costantino il Grande, I, 1079.
Bruzio, bastardo di Luchino Visconte, V, 552, 609.
Buccellino, o Butilino, duce degli Alamanni, con forte esercito cala in Italia contro i Greci, II, 947. Sue imprese in Italia, 952. In una battaglia da Narsete è sconfitto e morto, 953.
Bucicaldo, maresciallo di Francia, governatore di Genova. Sua rigorosa giustizia, V, 904. Attaccato in mare e sconfitto dalla flotta veneziana comandata da Carlo Zeno, 917. Dà aiuto ai Pisani contro i Fiorentini, 925. E contro i Visconti, 934, 935. Acquista Sarzana, 949. Leva la vita a Gabriello Maria Visconte, 957. Governo di Milano a lui dato, 966. Lo perde, e insieme quello di Genova, 967.
Bue, figura di un Dio dell'Egitto, V. Apis.
Buffoni e giocolieri sfoggiatamente una volta regalati, IV, 1125.
Bugiano, Boiano, o Basilio, capitano de' Greci in Puglia, fabbrica molte città, IV, 123. Sconfigge Melo e i Normanni, 124, 125. Preso Datto, il fa morire, 131. Aiuta Pandolfo IV principe di Capoa, 155. Vien richiamato a Costantinopoli, 165.
Bulgari, quando si cominci ad udire il loro nome nella Mesia, II, 700. Fanno una irruzione nella Tracia, 734. Vinti da Pitzia generale del re Teoderico, 756. Guerra lor fatta da Giustiniano II Augusto, III, 77, 78, 128. Si convertono alla fede di Cristo, 484.
Bulgaro, giureconsulto, IV, 750.
Bulla (Felice), famoso masnadiere sotto Severo Augusto, I, 703.
[827]
Bunduica, V. Boendicia.
Buonamici (Castruccio). Sua storia dell'assedio di Velletri pubblicata da lui, V, 533.
Buono, duca di Napoli, III, 557. Sua morte accennata, 600.
Buono, patriarca di Grado, III, 1148.
Buono, abbate di Ravenna, IV, 81.
Burcardo, duca di Suevia, III, 1011. Chiamato in Italia dal re Rodolfo, suo genero, viene ucciso da' Milanesi, 1027.
Burcardo, duca di Alemagna, III, 1172.
Burcardo, arcivescovo di Lione, IV, 180.
Burdino. V. Maurizio arcivescovo.
[828]
Burgundio, Pisano, dottissimo in latino e greco, IV, 870.
Burro (Afranio), prefetto del pretorio, I, 184. Frena l'ambizione di Agrippina, 196, 197. Caduto in sospetto si difende, 202. Nerone comincia a sprezzarlo, 206. Rifiuta a Nerone di prestar mano alla uccisione d'Agrippina, 213, 214. Applaude a Nerone citaredo, 218. Finisce i suoi giorni, 223.
Burro (Anastasio), marito di una sorella di Commodo Augusto, e console, I, 592. Ucciso da esso Commodo, 613, 614.
Busa, re dei Bulgari, II, 735.
Butilino, V. Buccellino.
[829]
Cabade, re di Persia, II, 754.
Cabade, o Coade, re de' Bulgari, II, 743.
Cabaone, capo de' Mori. Dà una rotta a Trasamondo re de' Vandali, II, 811.
Cacano, re degli Unni. Sua lega coi Longobardi, II, 1115. Fa guerra a Maurizio Augusto, 1119. Aiuta il re Agilolfo, 1126. Sua terribile incursione nel Friuli, 1143. Prende e saccheggia Cividale, 1145. Macchina un tradimento ad Eraclio Augusto, 1164, 1165. Fa pace con lui, 1167. Eletto tutore di Eraclio Costantino figlio di Eraclio Augusto, 1170. Sconfitto dagli Sclavi, 1174. Suo vano assedio di Costantinopoli, 1184. Scaccia Bertarido, III, 17. Fa guerra a Lupo duca del Friuli, 24, 25. Costretto a ritirarsi, 26.
Cacone, figlio di Gisolfo duca del Friuli, II, 1144. Creato anch'egli duca, 1169. Sua morte, 1211.
Cadalo, o Cadaloo, duca ossia marchese del Friuli, III, 419, 450, 511, 520. Sua morte, 522.
Cadaloo, vescovo di Parma, IV, 210. E conte di quella città, 239. Creato antipapa, 302. Va a Roma, 305. È condannato e deposto, 308. Tornato a Roma, resta assediato, 313, 314, 317. Ottiene la libertà, 319. Condannato di nuovo nel concilio di Mantova, 330.
Cadice, preso dagl'Inglesi, VI, 862.
Cadoldo, vescovo di Novara, III, 819.
Caio. V. Caligola.
Caio, figlio d'Agrippa e di Giulia figlia di Cesare Augusto, adottalo da esso Augusto, e creato console, I, 6. Milita in Soria, 8. Va a regolare gli affari dell'Armenia, ed è ferito a tradimento, 12. Sua morte, 14.
Caio papa, I, 1005. Passa a miglior vita, 1037.
Calendario. Sua correzione fatta da papa Gregorio XIII, VI, 790.
Calidonii, popoli feroci della Bretagna, I, 708.
Caligola (Caio). Sua nascita, I, 37. Figlio di Germanico Cesare, 59. Sua adulazione verso Tiberio, [830] 98. Per la cui morte diviene imperadore, 113, 114. Onde prendesse il soprannome di Caligola, 114. Suoi lodevoli principii, 115, 116. Sua improvvisa mutazione, 117, 118. Sua infame lussuria, 120, 121. Sue stravaganze per la morte di Drusilla, 121. Sue mogli, 122. Sua crudeltà, 122, 123. Sua frenesia, 126. Ponte da lui fabbricato fra Baia e Pozzuolo, ivi. Sua ridicola andata nelle Gallie, 127. Congiura di Marco Emilio Lepido contra di lui, 129. Sua azione curiosa, 132, 133. Sdegnato ritorna a Roma, 133, 134. Vuol essere tenuto per dio, 135. Ucciso dai congiurati, 140.
Callinico, esarca di Ravenna, II, 1103. Fa pace coi Longobardi, 1106. Ai quali manca di parola, 1114. Malveduto da' Ravegnani, 1118. E perciò deposto, ivi.
Callinico, patriarca di Costantinopoli, III, 92, 95, 96. Dopo abbacinato, è rilegato a Roma, 121.
Callisto I, papa, I, 736. Suo martirio, 764.
Callisto, patriarca d'Aquileia, III, 169. Maltrattato da Pemmone duca, 207.
Callisto II, papa. Sua elezione, IV, 571. Concilii da lui tenuti in Francia, 572, 573. Viene in Italia, 575. Va a Monte Casino e ad altri luoghi, 576. Torna a Roma, 579. Va all'assedio di Sutri, ivi. Preso l'antipapa Burdino, trionfalmente entra in Roma, ivi. Suo viaggio in Puglia per trattar di pace, 582. Fa pace con Arrigo V, ivi, 583. Concilio generale lateranense da lui tenuto, 585. Sua morte, 588.
Callisto III. Sua elezione, V, 1239. Sua spedizione contro i Turchi, 1243. Discordia tra lui e il re Alfonso, 1247, 1251. Suo disordinato amore pe' parenti, 1251. Chiamato da Dio all'altra vita, 1252.
Calpurnia, sacerdotessa, moglie di Tito Quartino già console, per la sua castità adorata da' Romani, I, 819.
[831]
Calvilla (Domizia), madre di Marco Aurelio Augusto, I, 504, 526.
Calvino, eresiarca. Sua andata a Ferrara, VI, 525. Fugge a Ginevra, ivi.
Calvisio (Flavio), governatore dell'Egitto, si ribella a Marco Aurelio, I, 569.
Camenio (Celonio Giuliano), prefetto di Roma, I, 1198.
Camerino, quando occupata da' Longobardi, II, 1116. Assediata indarno dall'armi pontifizie, VI, 509. Data ad Ottavio Farnese, 539.
Camillo (Furio), proconsole dell'Africa. Sua vittoria, I, 55.
Camillo (Ovinio). Sua ribellione contro Alessandro Augusto, I, 774.
Campidoglio bruciato, I, 283. Rimesso in piedi da Vespasiano, 288. Bruciato di nuovo, 322. Rifatto da Domiziano, 330.
Camposanto: ivi battaglia tra gli Austro-Sardi e gli Spagnuoli, VII, 509.
Candelabro del tempio di Gerusalemme, I, 294, 310.
Candia. Suo regno assalito da' Turchi, VI, 1137. Assediata la città, 1171, 1178, 1250, 1253. Che cede al potere turchesco, 1255.
Candiano, o Candidiano, eletto patriarca di Grado, II, 1133.
Candidiano, figlio bastardo di Galerio Augusto, I, 1099, 1127. Adottato da Valeria imperadrice, 1100, 1128. Ucciso da Licinio, 1128.
Candidiano, patriarca di Grado, V. Candiano.
Candidiano, generale di Teodosio, II, 456.
Cane dalla Scala, vicario di Verona, toglie Vicenza ai Padovani, V, 350. Contra de' quali dà principio ad un'aspra guerra, 355, 359. Sotto Vicenza li mette in rotta, 380. Fa pace con essi, 381. Sua guerra contro i Cremonesi, 385. Ricetta e crea suo capitan generale Uguccione dalla Faggiuola, 389. Di nuovo sconfigge i Padovani sotto Vicenza, 395. Prende Monselice ed altre terre, ivi. Generale de' Ghibellini, 403. Assedia Trivigi e Padova, 404, 405. Scomunicato dal papa, 411. È messo in fuga dai Padovani, 416. Sua industria per liberarsi dal nemico esercito tedesco, 443. Va in aiuto de' Modenesi, 448. Rinnova la guerra a Padova, 450. Chiama in Italia Lodovico il Bavaro, 459, 460. Coopera alla depression di Passerino de' Bonacossi signor di Mantova, 474. Acquista la signoria di Padova, 477. Mirabil corte bandita da lui tenuta, 478. Sua magnificenza, 479. Assedia Trivigi, 486. Ne divien padrone, ed è colto dalla morte, ivi.
Can Grande figlio di Mastino dalla Scala. Sue nozze con Isabella figlia di Lodovico il Bavaro, V, 615. Succede al padre, 625. Gli è tolta Verona da Fregnano, suo fratello bastardo, 637. La [832] ricupera, 638. È ucciso da Can Signore suo fratello, 674.
Can Signore dalla Scala, uccide il fratello, ed è proclamato signor di Verona, V, 674, 675. Sue nozze con Agnese figlia del duca di Durazzo, 696. Imprigiona Paolo Alboino suo fratello, 701. Collegato con Bernabò Visconte, 712. Termine del suo vivere, 747.
Can Francesco dalla Scala figlio d'Antonio già signor di Verona, V, 840.
Cannabaude, re dei Goti, ucciso da Aureliano Augusto, I, 959.
Canoni penitenziali una volta in uso, IV, 465.
Canonici, loro instituzione, III, 504.
Capelliano, senatore in Africa, abbatte i due Gordiani Augusti, I, 827.
Capitolino, scrittore sotto Costantino il Grande, I, 1220.
Capitone (Fonteio), generale in Germania, I, 257. Ucciso da Galba, 261.
Capitone (Egnazio), già console, ucciso da Commodo, I, 605.
Capoa: suo principato, III, 654. Distrutta da un incendio, 681. Capoa nuova edificata, ivi. Conceduta da Carlo Calvo alla Chiesa romana, 775. Eretta in arcivescovato, 1176.
Caracalla (Marc'Aurelio), che fu poi imperadore, figlio di Severo, I, 653. Dato a lui il titolo di Cesare, 664. Perchè nominato Caracalla, ivi. Ornamenti imperiali a lui conceduti, 673. Dichiarato Augusto, 676. Prende per moglie Fulvia Plautilla, 689. Fa uccidere il suocero Plauziano, 695, 696. Si dà in preda ai vizii, 700. Sua antipatia col fratello Geta, ivi. Va col padre in Bretagna, 706. Ivi medita la di lui morte, 710. Gli succede nell'imperio, 714. Tratta della division dell'imperio col fratello Geta, 716. E poi lo uccide, 717. Sue barbariche crudeltà, 721. Va alla guerra, 725. Assume il nome di Alessandro Orientale, 727. Imprigiona con frode Abgaro re dell'Osroene, e s'impadronisce di quella provincia, 732. Sue iniquità contra gli Alessandrini, 734. E contro i Parti, 735. Ucciso da Marziale tribuno delle sue guardie, 739. Ed empiamente deificato, 740.
Caracena, V. Marchese di Caracena.
Carattaco, uno de' re britanni, I, 182.
Carausio usurpa l'imperio nella Bretagna, I, 1018. Sua pace con Massimiano Augusto, 1022. Contra di lui procede Costanzo Cloro, 1032. Ucciso da Alletto suo ministro, 1033.
Cardinale di Fleury. Sua morte, VII, 514.
Cardinali romani, parochi o diaconi, III, 668.
Cardinali franzesi: cominciano il grande scisma della Chiesa romana, V, 761.
[833]
Carestia grande in tutto l'Oriente, I, 1198.
Carestia in Roma, II. 240, 1131; III, 127
Carestia nella Soria, III, 76.
Carino (Marco Aurelio), figlio di Caro Augusto, I, 1001. Succede al padre nell'imperio, 1004. Sua infame vita, 1009. Sua morte, 1010.
Cariberto, figlio di Clotario re de' Franchi. Alla morte del padre rimane signor di Parigi, II, 971, 972.
Cariberto, figlio di Clotario II re de' Franchi, II, 1220.
Cariomero, re de' Cherusci, I, 332.
Caritone, moglie di Gioviano Augusto, II, 137, 142.
Carlo Martello, maggiordomo del regno di Francia, 111, 148. Fatto prigione da Pleltrude sua matrigna, poi liberato, 151. Usurpa la maggior parte del governo della monarchia franzese, 163. Sue azioni, 172, 194. Si pacifica con Eude duca d'Aquitania, e con lui dà una sconfitta a' Saraceni, 197, 198. Occupa l'Aquitania ed altri paesi, 203. Ricupera la città d'Avignone daj Saraceni, 208. Chiama in suo aiuto contro i Saraceni il re Liutprando, e gli scaccia dalla Provenza e dalla Linguadoca, 210, 211. A lui offerto il dominio di Roma, 218. Sua morte e suoi figli, 226, 227.
Carlo Magno. Sua nascita, III, 230. Succede al padre, 292. Suoi dissapori con Carlomanno suo fratello, 294. E riconciliazione fra loro, 300. Prende per moglie una figlia del re Desiderio, 302. La ripudia, 305. Condannato per questo da molti, ivi. Occupa gli Stati de' suoi nipoti, 307. Muove guerra al re Desiderio, 314 L'assedia in Pavia, 315, 316. Va a Roma, 316, 317. Se gli rende Pavia col re, 318. Epoca del regno d'Italia, 320. Non mantiene le promesse fatte a papa Adriano, 325. Fa guerra a Rodgauso duca del Friuli, 330. Comporta che Leone arcivescovo di Ravenna faccia da padrone nell'esarcato, 335, 336. Sue imprese contro i Saraceni di Spagna, 338. Va a Roma, 343. Suo amore alle lettere ed ai letterati, 345, 482. Vince i Sassoni, 348. Sue leggi, 352. Ritorna a Roma, 361. Gli si sottomette Arigiso duca di Benevento, 362. E Tassilone duca di Baviera, 366. Promette a papa Adriano varie città, 367. Rimette in libertà Grimoaldo principe di Benevento, 370. Era patrizio di Roma: in che consistesse questa carica, 379, 400, 403. Dà principio alla guerra contro gli Unni, 385. Scopre una congiura tramata contra di lui da Pippino suo figlio bastardo e da altri, 387, 388. Sua indefessa cura per la religione, 393. Predizione fattagli da san Paolino, 395. Sua pretensione nell'eleggere l'arcivescovo di Ravenna, 396. Sue spedizioni guerriere, 397, 400, [834] 403, 408, 409, 418, 443, 448, 456, 462, 467, 473. Sue suntuose fabbriche in Aquisgrana, 400, 401. Accoglie Leone III papa, 415. Viene in Italia, 420. È coronato imperadore, 422. A lui suggettata Gerusalemme col santo sepolcro, 428. Sue leggi, 430. Ambascieria a lui mandata da Irene Augusta, 435. Altra inviatagli da Niceforo imperadore de' Greci, 439. Suo abboccamento con papa Leone 445. Divisione di Stati fra i suoi figliuoli, 451. Ambasciatori di Abdela re di Persia speditigli con suntuosi regali, 458, 459. Suo saggio prevedimento contra le incursioni de' Normanni, 463. Sua cura per il bene de' suoi popoli, 465. È biasimato per cagione delle figliuole, 472 Suo testamento, 477. Vecchio, attende ai consigli di pace, 478, 479, 481. Dichiara imperadore Lodovico suo figlio, 484. È chiamato a miglior vita, 489. Sue lodi, ivi.
Carlo primogenito di Carlo Magno, III, 388, 395, 397, 404. Stati a lui lasciati dal padre, 452. Sua morte, 478.
Carlo Calvo, figlio di Lodovico Pio. Sua nascita, III, 539, 540, 566, 579. Relegato in un monistero, 584. Stati a lui lasciati dal padre, 598. A lui succede, 613. Si difende contro Lottario Augusto, 615. Gli fa guerra, 619. E lo sconfigge, 620. Stati a lui toccati nella division coi fratelli, 628. Pace confermata fra loro, 641 Percosse a lui date da Pippino suo nipote, e dal duca della Bretagna minore, 643, 644. Gli fa guerra Lodovico re di Germania suo fratello, 686. Perdona al conte Baldovino, che gli avea rapita Giuditta sua figlia, 700. Occupa gli Stati di Lottario re della Lorena, 725, 726. Li divide con suo fratello Lodovico Augusto, 727. Sua superbia, 728. Destinato dal papa per imperadore, 744. Viene in Italia per succedere a Lodovico imperadore, 768, 769. Sua gara con Carlo il Grosso, 770. Con Carlomanno, ivi. È coronato imperadore, 772. Eletto re d'Italia, 774 Muove guerra ai figli di Lodovico suo fratello, 776, 777. Rotta a lui data da' Tedeschi, 777. Torna in Italia, 790. Fugge, all'avviso della venuta di Carlomanno, 791. Termina i suoi giorni, 792.
Carlo il Grosso cala in Italia per contrastare il regno a Carlo Calvo, III, 769. Stati a lui lasciati dal padre, 779. Minaccie a lui fatte da papa Giovanni VIII, 799. Cala in Italia, 810. Creato re d'Italia, 811. Coronato imperadore da papa Giovanni, 818, 821. Sua infelice impresa contro i Normanni, 833, 834. Abboccamento suo con papa Marino, 837. Mette al bando dell'imperio Guido duca di Spoleti, 838. Sue poco lodevoli azioni, 839. A lui dato il governo della Gallia, 845. Impugna la consecrazione di papa Stefano V, 849. [835] Suo inutile sforzo contro i Normanni assedianti Parigi, 851, 852. Infermo e disprezzato da ognuno, viene deposto, 858. Fine dei suoi giorni, 861.
Carlo, figlio di Lottario Augusto, III, 662. Succede al padre nel regno della Provenza, 678. Cede una porzione di paese a Lodovico II Augusto suo fratello, 687. Fine de' suoi giorni, 700.
Carlo il Semplice, coronato re di Francia, III, 891, 935. Cede ai Normanni il paese ora appellato Normandia, 982.
Carlo Emmanuello re di Sardegna, IV, 109.
Carlo conte d'Angiò e di Provenza, poi re di Napoli e di Sicilia, va in Egitto col santo re di Francia Lodovico IX, IV, 1209. Gli è esibito il regno di Sicilia, 1235. Acquista degli Stati nel Piemonte, V, 19. Trattato per dargli il regno suddetto di Sicilia, 34, 38, 44 Creato senatore di Roma, 44. Suo arrivo ed entrata solenne in quella città, 49. Passa l'esercito suo felicemente per Lombardia, 52. Coronato re di Sicilia, 54. Sua battaglia col re Manfredi, e vittoria, 56, 57. Lamenti dei popoli per la sua avidità, 60. Preso per signore da' Fiorentini, e creato dal papa vicario della Toscana, 65. Assedia Nocera, 73. Sua battaglia, e vittoria su Corradino, 75, 76. A cui fa tagliare il capo, 77. Sua crudeltà contro i Siciliani, 78. Seconde nozze di lui con Margherita di Borgogna, 79, 82. Prende Nocera, 81. Sue mire tendenti alla signoria di tutta l'Italia, 83, 85, 86, 89. Forza Tunisi ad essergli tributaria, 88. Sua azione infame, ivi. Suoi tentativi per impadronirsi di Genova, 99. E di Asti, 103. Sue perdite in Piemonte, 108. Discordia fra lui e Ridolfo re dei Romani, 120, 121. È abbassato da papa Niccolò III, 129. Sua violenza per l'elezione di papa Martino IV, 140. Suo aspro governo de' popoli, 147. Gli si ribella la Sicilia, 149. Assedia Messina, 150. Sua durezza verso gli abitanti di questa, città, 151. È forzato da Pietro d'Aragona a ritirarsi, 153. Lo sfida a duello, 161. Suo sdegno contro Napoli, 169. Sua morte, 176.
Carlo, principe di Salerno, primogenito del re Carlo I, poi Carlo II re di Napoli, V, 160. Fatto prigione da Ruggero di Loria, 168. Succede al padre, 177. Sua flotta sconfitta da' Siciliani, 189. Liberato dalla prigionia, 194. Coronato re di Sicilia, 198, 199. Assedia Giacomo re di Sicilia assediante Gaeta, 200. Sua pace con Alfonso re d'Aragona, 215. Fa guerra a Federigo re di Sicilia, e ne ha vittoria, 260. Suoi Stati in Piemonte, 307. Dà fine al suo vivere, 326.
Carlo di Valois, figlio di Filippo re di Francia. Conferiti [836] a lui dal papa i regni d'Aragona, Valenza e Catalogna, V, 163. Chiamato in Italia da papa Bonifazio VIII, 271. Va a Firenze per mettervi la pace, e vi accresce la discordia, 272. Vergognosa pace da lui stabilita con Federigo re di Sicilia, 276. Torna in Francia, e si unisce col fratello contro del papa, 277, 301, 317.
Carlo, figlio di Giovanni re di Boemia, viene in Italia, V, 501. Dà una rotta ai marchesi estensi, 508. Visita Lucca, 514. Signore della Carintia, toglie Feltre e Belluno agli Scaligeri, 537, 588 Creato re de' Romani, 582. Sconfitto dal marchese di Brandeburgo, 588. Cala in Italia, 640. Coronato in Milano, 644. Poscia in Roma, 645. Ritorna in Boemia, 646. Entra in lega contro i Visconti, 705. Torna in Italia con potente armata, e nulla fa, 714. Prende il possesso di Lucca, 715. Di Pisa e Siena 716. Va a Roma, 717. Dal popolo di Siena, è cacciato dalla città, 718, 719. Torna con iscorno in Germania, 719. Fa eleggere Venceslao suo figlio re de' Romani, 753. Chiude il corso di sua vita, 764.
Carlo VI, re di Francia. Sue qualità, V, 871. Signore di Genova, 879.
Carlo Martello, primogenito di Carlo II re di Napoli. Sua morte, V, 274.
Carlo, figlio di Carlo Martello, dichiarato re d'Ungheria, V, 274. Invano pretende al regno di Napoli, 326. Viene a Napoli col figlio Andrea, 516. Sua morte, 567.
Carlo, duca di Calabria, fa guerra alla Sicilia, V, 452. Creato signor di Firenze, 454. Accorre alla difesa del regno paterno, 464. Sua immatura morte, 475.
Carlo di Durazzo, soprannominato dalla Pace, generale delle armi di Lodovico re d'Ungheria contro i Veneziani, V, 774. Destinato a far guerra a Giovanna regina di Napoli, 775. S'impadronisce d'Arezzo, 780. Creato senatore di Roma, 781. Coronato in Roma re di Napoli, 784. Prende Napoli e la regina Giovanna, 785. A cui leva dipoi la vita, 790. Sua rottura col papa, 799, 800. Lo assedia in Nocera, 803. Coronato re di Ungheria, è ucciso, 813, 814.
Carlo Zeno, generale de' Veneziani contro i Genovesi, V, 774.
Carlo de' Malatesti, signor di Rimini, V, 811. Fa guerra agli Ordelaffi, 856. Generale de' collegati contro il duca di Milano, è sconfitto, 875. Dà una gran rotta ad esso duca, 877. Protegge papa Gregorio XII, 956, 977. Governator di Milano, 958. Se ne ritira, 965. Generale de' Veneziani, 978, 984. Vinto ed imprigionato da Braccio da Montone, 1003. Sconfitto e fatto prigione da Filippo Maria Visconte duca di Milano, 1058. [837] Che tosto il rimette in libertà, ivi. Generale di esso duca, resta sconfitto e prigione, 1071.
Carlo VII, re di Francia. A lui si sottomettono i Genovesi, V, 1248. Che poi si ribellano, 1264. Sua morte, 1266.
Carlo VIII, re di Francia, VI, 94, 99. Da lui Lodovico Sforza duca di Milano riconosce in feudo Genova, 108. Invitato da esso Lodovico a venire in Italia, 115. Nol può ritenere il papa, 119. Arriva a Pavia, 120. Mette in libertà i Pisani, 123. Suo accordo coi Fiorentini, 124. Entra in Roma, e si accorda col papa, 126. Con facilità acquista quasi tutto il regno di Napoli, 128, 129. Frettolosamente da di là si parte, 131. Battaglia coi collegati al Taro, 132. Termina i suoi giorni, 146.
Carlo, duca di Savoia, succede a Filiberto suo fratello, VI, 81. Spoglia de' suoi Stati Lodovico marchese di Saluzzo, 99. Sua morte, 105.
Carlo, duca di Savoia, succede a Carlo suo padre, VI, 105. Sua immatura morte, 142.
Carlo Cavalcabò, signor di Cremona, V, 922. Gli è tolto il dominio e la vita da Gabrino Fondolo, 943.
Carlo, duca d'Orleans, ricupera Asti, V, 1195.
Carlo Gonzaga, fratello di Lodovico marchese di Mantova, sconfitto da Guglielmo di Monferrato, V, 1080, 1081. Sue prepotenze in Milano, 1206. Imprigionato da Francesco Sforza, 1218.
Carlo de' Manfredi, signor di Faenza, VI, 30.
Carlo da Montone, figlio di Braccio. Cerca, ma inutilmente, d'insignorirsi di Perugia, VI, 56.
Carlo d'Ambosia, signor di Sciomonte, governatore di Milano, VI, 252, 255, 262.
Carlo V d'Austria, re di Castiglia, succede a Ferdinando il Cattolico avolo suo, VI, 334. Fa pace con Francesco I re di Francia, 344. È creato imperadore, 353. Va in Inghilterra, 357. Sua coronazione in Aquisgrana, ivi. Dieta da lui tenuta in Vormazia, 361. Gli è mossa guerra da Francesco I, 362. Sua lega con papa Leone X, 363. Con papa Adriano VI, 392, 393. Manda lo esercito suo in Provenza, 405. Vittoria de' suoi, e prigionia di Francesco I sotto Pavia, 415. Toglie a Francesco Sforza il ducato di Milano, 420. Rende la libertà al re di Francia, 421. Che poi fa lega col papa ed altri contra di lui, 422. È incerto se acconsentisse alle sciagure di Roma, 444. Approva la liberazione del papa, 451. Con cui fa lega, 468. Suo accordo col re di Francia, ivi. Viene per mare a Genova, 470. Indi a Bologna, 472. Dove è coronato dal papa, 476. Concede Malta ai cavalieri gerosolimitani, 483. Suo laudo in favore di Alfonso duca di Ferrara, ivi. Suo apparato d'armi contro di Solimano, 487. [838] Fa l'impresa di Tunisi, 511. Se ne impadronisce, 513. A lui decade il ducato di Milano, 514. Passa a Roma, 517. Porta la guerra in Provenza, 521. Infelice riuscita di quell'impresa, ivi, 522. Suo abboccamento con papa Paolo III a Nizza, 534. Marita la figlia Margherita con Ottavio Farnese, 536. Si abbocca con Francesco I, 537. Suo solenne ingresso in Parigi, 543. Suo abboccamento con papa Paolo in Lucca, 551. Sua infelice impresa d'Algeri, 552. Viene a Genova, 558. Torna ad abboccarsi col papa in Busseto, 560. Sua pace con Francesco I, 569. Guerre da lui fatte in Germania, 577, 578. Sua vittoria, in cui resta prigione Gian Federigo duca di Sassonia, 584. Mal animo di lui contro i Farnesi, 587. Pubblica l'Interim, 593. Tiene a bada papa Paolo intorno gli affari di Parma, 597. Fa lega con Giulio III, 610. Lega de' Franzesi e protestanti contra di lui, 624. Corre gran pericolo, 625. Indarno assedia Metz, 626, 627. Rinunzia al figlio Filippo i Paesi Bassi, 645. Poscia i regni di Spagna, 650. Suo ritiro nel monistero di San Giusto a' confini della Castiglia, 651. Quivi termina i suoi giorni, 672.
Carlo IX, re di Francia, VI, 691. Cerca aiuti da papa Pio V, 729. Suo matrimonio con Isabella figlia di Massimiliano imperadore, 736, 747. Sua congiura contro gli ugonotti, 757. Fa loro guerra, 760. Suoi maneggi per far eleggere re di Polonia Arrigo duca d'Angiò suo minor fratello, 761. Rapito dalla morte, 764.
Carlo III, duca di Savoia, succede a Filiberto, suo fratello, VI, 215. Tratta di concordia tra i Franzesi e gli Svizzeri, 325. Stabilisce lega fra papa Leone X e il re Francesco I, 328. Interviene alla coronazione di Carlo V, 476. Indarno assedia Ginevra, 485. Gli fa guerra Francesco re di Francia, 515. Gli toglie Torino ed altri luoghi, 519. Deluso da Carlo V, 532. Soccorre Nizza, e racquista altri luoghi, 563, 564. Sua morte, 631.
Carlo Borromeo, nipote di papa Pio IV, creato cardinale, VI, 685, 688. Sue virtù, 689, 700, 703. Sua legazione, 714. Miracolosamente salvalo da un'archibugiata, 741. Sua carità nella peste di Milano, 770. Chiamato a miglior vita, 796.
Carlo della Noia, vicerè di Napoli, generale di Carlo V, VI, 399. Abbandona Milano ai Franzesi, 407. Prende prigione il re Francesco I, 415. E il mena in Ispagna, 417. Maltrattato in una battaglia di mare, 429. Fa tregua col papa, 433, 436.
Carlo II, re di Spagna. Sua nascita, VI, 1225. Succede al padre, 1240. Suo sdegno pel partaggio della sua monarchia, VII, 135, 147. Dichiara suo erede Ferdinando, figlio dell'elettor di Baviera, [839] 139. Per la morte di questo, ne sostituisce Filippo duca d'Angiò, e manca di vita, 147, 148.
Carlo V, duca di Lorena, generalissimo dell'imperador Leopoldo, VII, 45. Libera dall'assedio dei Turchi Vienna, 47. Sue conquiste in Ungheria, 57, 58. Prende Buda, 60. La Transilvania ed altri paesi, 68. Muore, 83.
Carlo Emmanuele, duca di Savoia. Sua nascita, VI, 699. Succede ad Emmanuel Filiberto, suo padre, 784. Suo disegno sopra Ginevra, 793. Prende in moglie donna Caterina d'Austria, 798, 804. Magnifiche feste in occasione della nascita di suo figlio Vittorio Amedeo, 812, 813. S'impadronisce di Saluzzo, 822. Sue pretensioni sopra il regno di Francia, 826, 827, 833. Acquista Marsilia, 838. Fa tregua col re Arrigo IV, 857. A cagione di Saluzzo va a Parigi, 887. Pace e cambio fra il re di Francia e lui, 888, 991. Suo tentativo contro Ginevra, 898. Dà in moglie ai principi di Mantova e di Modena due sue figlie, 923. Di nuovo tenta Ginevra e Cipri, 928, 932. Sue pretensioni contro il duca di Mantova, 938. A cui move guerra, 940. Gli restituisce quanto aveagli tolto, 942. Sua guerra col governator di Milano, 945. Viene ad un trattato di pace, 950. Ricomincia la guerra, 953, 957. Prende la città d'Alba, 958. Perde Vercelli, 960. Fa pace cogli Spagnuoli, 963. Ricupera Vercelli, 967. Fa lega col re di Francia e coi Veneziani, 990. Suo sdegno contro i Genovesi, 995. Collegato co' Franzesi a danni de' Genovesi, 999. Dà buon principio alla guerra, 1001. Perde l'occupato paese, 1003. Fa pace co' Genovesi, 1008. Sveglia le sue pretensioni sopra il Monferrato, 1016. Si collega cogli Spagnuoli, 1018. Fa guerra al Monferrato, 1020. Sua congiura in Genova, 1021. Impedisce a' Franzesi la calata in Italia, 1022. Fa pace col re di Francia, 1027. Il cardinale di Richelieu tenta di sorprenderlo, 1033, 1034. Sua morte, e rare sue qualità, 1041, 1042.
Carlo Emmanuele II, duca di Savoia. Sua nascita, VI, 1083. Succede al fratello, 1089. Congiura contro di lui, 1168. Se gli ribellano i Barbetti, 1199. Restituita a lui la cittadella di Torino, 1207. Ricupera Trino, 1211. E Vercelli, 1218. Prende in moglie Francesca di Borbone, 1234. Rimasto vedovo, sposa Maria Giovanna Batista di Savoia, 1239. Guerra fra lui e i Genovesi, 1265. Compie il corso di sua vita, VII, 12.
Carlo Gonzaga, duca di Nevers, dichiarato erede del ducato di Mantova, VI, 1015. Viene in Italia a prenderne il possesso, 1018. Glie ne è negata l'investitura dall'imperadore, ivi, 1025. Si sottrae alla presa e al sacco di Mantova, 1038, 1039. [840] Suo infelice stato, 1039. Ricupera Mantova e Casale, 1045, 1052. Prende presidio veneto nella sua capitale, e i Franzesi in Casale, 1054. Giugne al fine de' suoi giorni, 1084.
Carlo Gonzaga, duca di Rhetel, figlio di Carlo duca di Nevers, sposa Maria Gonzaga, VI, 1015. Dichiarato principe di Mantova, 1016. Mal ricevuto in Vienna, 1022, 1023. Sua morte, 1054.
Carlo II, duca di Mantova, VI, 1054. Succede all'avolo suo, 1084. Sue nozze con Isabella Chiara arciduchessa d'Inspruch, 1173. Si collega cogli Spagnuoli, 1184. Generale dell'imperadore, 1206. Fa pace co' Franzesi, 1210, 1211. Fine di sua vita, 1240.
Carlo, arciduca figlio di Leopoldo Augusto, poi Carlo VI imperadore; qual parte a lui destinata nel partaggio della Spagna, VII, 135, 146. Escluso da quella corona, 147. Prende il titolo di re di Spagna, 174. Passa in Portogallo, 180. Si impadronisce di Barcellona, 193. Chiuso in Barcellona assediata dagli Spagnuoli, e poi liberata, 206, 207. Proclamato in Madrid re di Spagna, 208. Suoi affari in Ispagna in precipizio, 215. Suo matrimonio con Elisabetta Cristina di Brunsvich, 218. Sue vittorie in Ispagna contro del re Filippo V, 234, 235. Forzato di ritirarsi in Catalogna, 236. Richiamato in Germania per la morte dell'imperador Giuseppe, 239. Dichiarato imperador de' Romani, passa in Germania, 240, 241. Divenuto Carlo VI come imperadore, resta solo in guerra colla Francia, 253. Vende il Finale di Spagna ai Genovesi, 255. Prende le armi in soccorso de' Veneziani contro i Turchi, e sua vittoria a Petervaradino, 270. Le sue armi si impadroniscono di Temiswar, 272. E di Belgrado, 277. Sua pace coi Turchi, 282. Manda un esercito all'acquisto della Sicilia contro gli Spagnuoli, 285. Entra nella quadruplice alleanza contro la Spagna, 286. Investito dal papa dei regni di Napoli e Sicilia, 312. Sua pace privata con Filippo V di Spagna, 321. Pubblica la prammatica sanzione, 322. Appruova la successione dell'infante don Carlo ne' ducati di Toscana, Parma e Piacenza, 359. Suo accordo con Anna imperadrice delle Russie, 376, 429, 435. Contra di lui muove guerra la Francia, 377. Manda un'armata in Italia, 387. Fa pace coi Franzesi, 413. Marita la figlia Maria Teresa con Francesco Stefano duca di Lorena, 419. Infelice sua guerra contro i Turchi, 435, 436. Rotto il suo esercito a Crostka da essi Turchi colla perdita di Belgrado, 455. Arriva al fine de' suoi giorni, 465. Sue rare doti e virtù, 466.
Carlo Alberto, elettor di Baviera, muove pretensioni contro Maria Teresa, VI, 466. E poi [841] la guerra, 474. Conquista la Boemia, 478. Eletto imperadore col nome di Carlo VII, 485. Perde la Baviera, 486. La ricupera, 490. Torna a perderla, 521. Poi la ripiglia, 544. Giugne al fine de' suoi giorni, 546.
Carlo, infante di Spagna, assicurato della successione ne' ducati di Toscana, Parma e Piacenza, VII, 322, 359. Passa a Livorno e Firenze, 365. Indi a Parma, 366. Va a conquistare il regno di Napoli, 399. E se ne impadronisce, 401. Siccome ancora della Sicilia, 413. Vien coronato in Palermo, 408. Vessazioni da lui inferite allo Stato della Chiesa, 425. Sue nozze con Maria Amalia, figlia del re di Polonia, 442. Accetta gli Ebrei in Napoli, 469. Unisce le sue armi colle spagnuole contro della regina d'Ungheria in Italia, 491. Forzato dagli Inglesi ad accettare la neutralità, 503. Va ad unirsi cogli Spagnuoli, 525. In Velletri si oppone agli Austriaci, 526. Suo pericolo nella sorpresa di quella città, 529. Va ad inchinare il papa in Roma, 532. Suo regolamento pel santo Uffizio, 637, 638. Gli nasce un figlio, 675. Sue belle doti, 706.
Carlo Emmanuele, re di Sardegna. Sua nascita, VII, 156. Dichiarato principe ereditario, 252, 266. Sue nozze con Anna Cristina di Sultzbac, 309. Resta vedovo, 313, 314. Sposa in seconde nozze Polissena Cristina figlia del langravio d'Assia, 319. Per la rinunzia del padre è dichiarato re, 352. Forzato, per l'animo mutato del padre, a levargli la libertà, 360, 361, 362. Collegato colla Francia contro l'imperadore, 377. Unito co' Franzesi occupa quasi tutto lo Stato di Milano, 379, 380. A lui cedute Novara e Tortona, 413. Sue terze nozze con Elisabetta Teresa di Lorena, 428, 434. Suoi trattati dopo la morte di Carlo VI Augusto, 482. Resta privo della moglie, 483. Suo armamento, 492. Sua lega provvisionale colla regina d'Ungheria, ivi. Conduce il suo esercito unito coll'austriaco al Panaro contro gli Spagnuoli, 496. Questi ultimi s'impadroniscono della Savoia, 506. Tenta egli indarno di ricuperarla, ivi. Con trattato vantaggioso stabilisce la sua alleanza colla regina d'Ungheria, 515. Prende il possesso de' paesi cedutigli nella lega di Vormazia: sua intrepidezza contro le mire de' Gallispani, 534. Gli son prese Nizza e Villafranca da quest'ultimi, 536. Sua battaglia coi Gallispani assedianti Cuneo, 539. Tentato di ritirarsi dalla lega austriaca, 569. Sorprende cinque mila Franzesi in Asti, 571. Ricupera Valenza, 579, 580. Ripiglia il comando dell'armata austriaca, 591. Assedia il castello di Savona, e si impadronisce del Finale d'altri luoghi, 611. Si ammala di vaiuolo in Nizza, 616. Se gli arrende [842] il castello di Savona, 634. Risanato torna a Torino, 650, 651. Manda gente in rinforzo degli Austriaci contro Genova, 661. Poi la richiama, 667, 668. Vittoria da lui riportata contro i Franzesi all'Assieta, 672. Acquisti a lui confermati nella pace d'Aquisgrana, 696. Suoi vari pregi, 702, 709.
Carlomanno, figlio di Carlo Martello, III, 148, 203, 226, 230. Sue guerre, 237. Si fa monaco in Italia, 239. Torna in Francia, 256. Termina i suoi giorni in un monistero di Vienna del Delfinato, ivi.
Carlomanno, figlio del re Pippino, III, 255. Succede al padre, 292, 293. Suoi dissapori col fratello Carlo Magno, 294. Assiste a Romani contro il papa, 299. Si riconcilia col fratello, 300. Fine di sua vita, 307.
Carlomanno, primogenito di Lodovico I re di Germania, cala in Italia per contrastare il regno a Carlo Calvo, III, 770, 771. Stati a lui lasciali dal padre, 779. Tornato in Italia, fa fuggire Carlo Calvo imperadore, 791. È creato re d'Italia, 793. Sua lunga malattia, 795. Maneggi di papa Giovanni VIII contra di lui, 800.
Carlotta Aglae, figlia del duca d'Orleans, maritata con Francesco d'Este principe ereditario di Modena, VII, 301.
Carmagnuola (Francesco), fedele a Filippo Maria Visconte, V, 958. Costringe Monza alla resa, 983. Fa guerra a Pandolfo Malatesta, 999. Libera Alessandria, ivi. Riduce Piacenza all'ubbidienza del duca, 1012. E poi Bergamo, 1024. Dà una rotta a Pandolfo Malatesta, 1032. Governator di Genova, cade dalla grazia del duca, 1049. Si ritira da lui e perde tutto, 1059. Creato capitan generale dai Veneziani, 1064. Toglie Brescia al duca di Milano, 1065. Varie sue battaglie contro d'esso duca, 1070. Sconfitto a Soncino, 1088. Diffidenze de Veneziani contra di lui, 1090. Preso e fatto morire in Venezia, 1096, 1097.
Carmelitani: loro origine, V, 186, 187.
Caro (Marco Aurelio), proclamato imperadore, I, 1001. Sue imprese in Oriente, e sua morte, 1003, 1004.
Carosa, figlia di Valente Augusto, II, 216.
Carpi, popoli barbari vinti da Filippo imperadore, I, 854.
Carroccio militare: sua origine e qualità, IV, 205. Usato nelle guerre di Lombardia, che cosa fosse, 700, 701.
Cartagena, spianata dai fondamenti dai Vandali, II, 463.
Cartagine, saccheggiata ed incendiata da Massenzio, I, 1102. Presa e saccheggiata da Genserico [843] re de' Vandali, II, 503. Qual fosse la sua magnificenza, 504. Presa da Belisario, 850. Dai Saraceni, III, 99.
Carvajal (Bernardino), cardinale, lascia in libertà il duca Valentino tenuto da lui in custodia, VI, 211.
Casale di Monferrato: sua cittadella venduta dal duca di Mantova ai Franzesi, VII, 41. Tolto loro dai collegati, 117.
Casperio (Eliano), prefetto del pretorio. Insolenze da lui usate a Nerva Augusto, I, 376, 377. Gli è tolta la vita da Traiano, 380.
Cassano: battaglia ivi indecisa fra i Tedeschi e i Franzesi, VII, 192.
Cassio (Avidio), generale de' Romani contra dei Parti, I, 534. Ricupera la Mesopotamia, 537. Sue crudeltà ed imprese guerriere, ivi, 538. Va alla guerra marcomannica, 549, 556. Suo eccessivo rigore, 560. Governatore della Soria, 567. Sua ribellione, 569. Resta ucciso, 571.
Cassio (Dione), prefetto di Roma, I, 1036, 1037.
Cassio (Clemente), V. Clemente Cassio.
Cassiodoro (Magno Aurelio), insigne letterato, II, 720. Governator della Calabria, ivi. Secretario delle lettere del re Teoderico, 721. Senatore e console, 787. Ritiratosi dal mondo, si fa monaco, e scrive molti libri, 963, 964.
Castellano, vescovo di Trevigi, V, 360.
Castellino da Beccheria, signor di Pavia, V, 585. Esiliato, 663, 664.
Castino, generale di Onorio Augusto, sconfitto dai Vandali, II, 448, 449. Console, 455. Esiliato, 460.
Castore, mastro di camera di Severo, accusato da Caracalla presso Settimio Severo Augusto, I, 710. Ucciso da esso Caracalla, 714.
Castruccio degli Interminelli, imprigionato in Lucca, V, 388. Divien signore di quella città, ivi. Muove guerra ai Fiorentini, 414, 422, 423. Divien padrone di Pistoia, 446. Dà un gran rotta ai Fiorentini, 447. Loro fa degli altri danni, 450, 451. Creato duca di Lucca da Lodovico il Bavaro, 463. Il quale lo fa cavaliere, conferendogli quindi la dignità di conte del sacro palazzo in Roma, 467. Gli è tolta Pistoia da Filippo da Sanguineto, 469. La ricupera, 470. Muore, 471.
Catalani, abbandonati dal re Carlo III, VII, 240. Lor furore e disperazione per la partenza della regina, 254.
Catari eretici, specie di Manichei, IV, 856, V. Paterini.
Caterina Sforza, donna virile, si difende dalla sollevazione de' Forlivesi, VI, 100. Perde Forlì, 159.
[844]
Caterina de Medici, data in moglie ad Arrigo figlio di Francesco I re di Francia, VI, 496, 497 Diviene regina, 583. Reggente del regno, 764. Termina i suoi giorni, 825.
Catinat, maresciallo di Francia, viene in Italia al comando dell'armata gallispana, VII, 156. In maestria di guerra superato dal principe Eugenio, e richiamato in Francia, 158.
Catulino (Acone Filomazio), prefetto di Roma, II, 12.
Cavalcante da Sala, vescovo di Brescia, IV, 1271.
Cavallo: sue virtù, I, 417
Cavalcabò (Carlo), V. Carlo Cavalcabò.
Ceadvalla, re degli Anglo-Sassoni, III, 78. Riceve il battesimo da papa Sergio, 79. Muore, ivi.
Ceciliano, prefetto del pretorio sotto Onorio Augusto, II, 393.
Cecina (Alieno), generale di un esercito di Vitellio, I, 267. Sua vittoria su l'armata di Ottone, 271. Sua potenza nella corte di esso Vitellio, 274 A lui si ribella, 278. Trucidato per una congiura contro Vespasiano, 316.
Cecina (Aulo), legato di Germanico. Rotta a lui data dai Germani, I, 49.
Cecco degli Ordelaffi, signor di Forlì, V, 811, 858, 866. Sua prigionia e morte, VI, 22.
Celere, generale di Anastasio Augusto. Sua bravura, II, 753, 754.
Celeste dea di gran credito in Africa, II, 447.
Celestino I, papa eletto, II, 450. Scaccia d'Italia lo eresiarca Celestio e i Pelagiani suoi seguaci, 455. Concilii da lui tenuti in Roma, 478 480. Fine di sua vita, 482.
Celestino, cappuccino. Sue storie di Bergamo, II, 1268
Celestino II papa. Sua elezione, IV, 674 Sua morte, 675.
Celestino III papa. Sua elezione, IV, 920. Dà la corona imperiale al re Arrigo VI, 921. Fa rendere l'imperadrice Costanza al marito, 925. Tratta di pace fra i Genovesi e i Pisani, 948. Non consta che scomunicasse Arrigo VI Augusto, 953. Sua morte, 955.
Celestino IV papa. Sua elezione, IV, 1170. Sua morte, ivi.
Celestino V papa. Sua impensata elezione, V, 228. Sua semplicità, 229. Rinunzia il pontificato, 230. Sua morte e canonizzazione. 234.
Celsino (Aurelio), prefetto di Roma. II, 9.
Celso (Lucio Publicio), congiurato contro di Adriano, ed ucciso, I, 442.
Celso (Publio Giuvenzio), celebre giurisconsulto, scampa la vita sotto Domiziano, I, 363.
Celso (Mario), console designato, I, 265. Salvato da Ottone Augusto, 266. Suo consiglio dato ad [845] Ottone, da lui sprezzato, per cui è rovinato, 270.
Celso, insigne giurisconsulto, I, 771.
Celso, (Furio), generale di Alessandro Augusto, I, 805.
Celso (Tito Cornelio), usurpator dell'imperio in Africa, I, 923.
Cenci, V. Francesco Cenci.
Ceneda, città dello Stato Veneto, avea i suoi duchi nel 706, III, 124.
Cenide, liberta, tenuta quasi per moglie da Vespasiano, I, 305.
Censo, ossia descrizione de' cittadini romani, I, 39, 171, 304.
Censore: sua autorità, quale anticamente in Roma, I, 870.
Censorino, imperadore di pochi dì, I, 944, 945.
Censorino, scrittore sotto i Gordiani, I, 850.
Cento Colonne, portico suntuoso in Roma, bruciato, I, 858, 859.
Cereale (Petilio), generale di Vespasiano, I, 291.
Cereale (Civica), proconsole dell'Asia, ucciso da Domiziano, I, 352.
Cereale (Nerazio), prefetto di Roma, II, 51, 54.
Cesare, regina de' Persiani abbraccia la fede di Cristo, II, 1249.
Cesare Augusto, imperadore. Come governasse la monarchia romana, I, 1, 2. Come partisse il governo col senato, 3. Suoi titoli, ivi. Adotta Caio e Lucio suoi nipoti, 6. Sua costanza nella morte de' medesimi, 14. Adotta in figlio Tiberio suo figliastro, 15. Sua clemenza verso Cinna, capo dei congiurati contro di lui, 16. Varii suoi regolamenti, 18. Istituisce i Vigili, 20. Sua legge pei nubili e pegli ammogliati, 27. Afflitto per la rotta data dai Germani a Quintilio Varo, 30. Mette freno all'astrologia giudiziaria, 34. Pubblica una legge contro i libelli famosi, 37. Sua morte, 40. Onori e lodi a lui date, 42.
Cesare: titolo che istradava alla successione dell'imperio, II, 632.
Cesare Borgia, creato cardinale, VI, 117. Fugge dall'armata di Carlo VIII, 128. A lui attribuita, la morte del duca di Gandia suo fratello, 144. Va a coronare Federigo re di Napoli, 145. Depone il cappello, ed è creato duca di Valenza, 147, 148. Suo insigne matrimonio, 154. Suoi preparamenti per conquistar la Romagna, 159. S'impadronisce di Forlì, ivi. D'Imola e di Cesena, 160. Di Pesaro e Rimini, 165, V. Duca Valentino.
Cesare (Don) d'Este, succede ad Alfonso duca di Ferrara, VI, 868. Contra di lui procede Clemente VIII, ivi. Cede il possesso di quel ducato al papa, e resta duca di Modena, 871. Guerra a [846] lui mossa dai Lucchesi nella Garfagnana, 898, 901. Nozze d'Alfonso suo primogenito con l'infanta Isabella di Savoia, 923. Altra sua guerra coi Lucchesi, 942. Sua morte e figliuolanza, 1024, 1025.
Cesarea di Cappadocia, presa e saccheggiata dai Persiani, I, 906, 907.
Cesarea, borgo fuori di Ravenna, II, 1000.
Cesario, fratello di San Gregorio Nazianzeno, II, 123, 135.
Cesario (San), vescovo d'Arles, II, 703, 767. Accusato falsamente al re Teoderico, 786. Tiene on concilio, 818.
Cesario, figlio di Sergio duca di Napoli, III, 646, 650, 659. Sconfitto e fatto prigione dai Capoani, 693.
Cesena, barbaramente desolata per ordine del cardinal di Ginevra, V, 755.
Cesenati: lor vittoria su' Ravegnani, IV, 1127.
Ceseziano (Elio), prefetto di Roma, I, 977.
Ceteo (San), vescovo d'Amiterno, gettato nel fiume Pescara, II, 1103.
Ceva in Piemonte, terribile innondazione ivi, VI, 931.
Cherea (Cassio), tribuno pretoriano, congiurato contro di Caligola, I, 138. Poi condannato a morte, 145.
Cherici: loro beni dopo morte applicati alle chiese, II, 489. Editto dell'Augusto Marciano in loro favore, 585.
Chiari: battaglia ivi fra Tedeschi e Gallispani, VII, 159.
Chiesa di Santa Agata in Roma oggidì sotto Monte Magnanapoli per seppellirvi i morti ariani fabbricata da Ricimere, re de' Goti, II, 643.
Chiese: loro immunità stabilita da Onorio Augusto, II, 426. Anticamente obbligate a pagare i debiti di chi in esse si rifugiava, legge abolita da Leone Augusto, 621, 622.
Chieti, tolta dal re Pippino a Grimoaldo, III, 432.
Childeberto, figlio di Clodoveo I re de' Franchi, II, 783. Va a liberar la sorella Clotilde maltrattata da Amalarico di lei consorte: sua vittoria, 841. Sua crudeltà, 842, 843. Si unisce coi fratelli contro i Borgognoni, 856. Fa lega con Vitige re de' Goti, 866. Entra col suo esercito in Ispagna, e rimane sconfitto dai Visigoti, 897, 898. Dà mano al nipote Cranno a ribellarsi contro suo padre, 965. Sua morte, 968.
Childeberto II, re de' Franchi, II, 1027. Mosso da Maurizio Augusto contro i Longobardi, 1052, 1053, 1057. Accetta i regali a lui spediti dal re Autari e gli promette in isposa la sorella Clotsuinda, poi gli manca di fede, 1064, 1067. Rotta data alle sue genti dal re Autari, 1065. Muove [847] di nuovo guerra ai Longobardi, 1073. Fa pace con essi, 1080, 1084. Sua formidabile potenza, 1091. Sua morte, 1100.
Childeberto III, re de' Franchi, succede al fratello Clodoveo III, III, 96. Sua morte, 137.
Childerico, figlio di Meroveo, succede al padre nel regno de Franchi, II, 594. Ricupera il regno, 617. Occupa Colonia ed altre città, 619. Fine di sua vita, 680.
Childerico II, fratello di Clotario III re di Francia. Diviene padrone della monarchia franzese, III, 34. È assassinato (qui per isbaglio nel testo è detto Childeberto), 42.
Childerico (per errore Chilperico) III, figlio di Chilperico II re di Francia, III, 230. È deposto e fatto monaco, 246.
Chilperico, figlio di Clotario, re di Francia, II, 971. Stati che gli tocca alla morte del padre, 972. Guerra con suo fratello Sigeberto, 1024.
Chilperico II, re dei Franchi, III, 151. Sua morte, 163.
China: suo uso ignoto in Europa nel 1503, VI, 200.
Ciarlatani: origine di questo vocabolo, III, 490.
Ciclo famoso, composto da Vittorio d'Aquitania, II, 615.
Cilone (Giulio), governatore della Bitinia, I, 186.
Cilone (Lucio Fabio Settimio), console, I, 693, 719. Corre pericolo della vita sotto Caracalla, 722, 723.
Cinegio, console. Suo zelo pel cattolicismo. II, 278.
Cingani o Cingari: loro primo apparire in Europa V, 1043.
Cinna (Gneo Cornelio), capo de' congiurati contro Cesare Augusto, ne ottiene il perdono, I, 16.
Cipri, isola devastata dai Saraceni, II, 1243. Suo regno preso dai Turchi, VI, 744, 745.
Cipriano (San), arcivescovo di Cartagine, e martire, I, 886. Sua morte, 887.
Ciriade, imperadore effimero, I, 890.
Cirillo (San), vescovo di Alessandria, II, 481 478, 480, 501. Sua morte, 520.
Cirino, V. Quirino (Publio Sulpicio).
Ciro, console orientale, alzato da Teodosio II ai primi posti, II, 511.
Ciro panopolita, console e poeta, vescovo di Cotico, II, 533.
Ciro, patriarca d'Alessandria, autore dell'eresia dei monoteliti, II, 1202, 1208, 1212, 1223. Condannato, 1245.
Ciro, monaco, patriarca di Costantinopoli, III, 121. È deposto da Filippico imperadore, 138.
Citonato, vescovo di Porto, III, 289.
Città Nuova, presso Modena, fondata dal re Liutprando, III, 201.
Città d'Italia: quando cominciassero a far guerra [848] l'una all'altra, IV, 76. Si cangiano in repubbliche, 513. Fan guerra insieme, 514. Alcune distrutte dal re Arrigo V, 524. Fiere discordie e guerre fra loro, 676, 677. Loro costumi, 719. Cominciano a far lega contro di Federigo Augusto, 788, 802. Ad essa costringono Lodi, 803, 804. Stromento della loro lega, 813, 814. La quale sempre più crebbe, 819.
Città di Lombardia, loro lega contra di Federigo I Augusto, IV, 835. Ristabiliscono l'antico loro distretto, 837. Marciano con forte esercito contra d'esso Federigo, 844. Loro battaglia contro di lui, 850, 851. E vittoria, 852, 853. Loro diritti sostenuti contro le pretensioni dell'imperadore, 857. Da cui solamente ottengono una tregua, 860. Si premuniscono contro di lui, 869. In Costanza fanno pace con lui, 882. Rinnovano la lor lega per timore di Federigo II Augusto, 1067, 1068, 1072. Rimesse al papa le differenze che passavano fra loro e il suddetto imperadore, 1074, 1075. Confermano la lega, 1092. Pace fra esse conchiusa per opera di fra Giovanni da Vicenza, 1113. Ma pace che poco dura, 1114, 1115.
Cividal di Friuli, presa e saccheggiata da Cacano re degli Unni, II, 1144, 1145.
Civile (Claudio), fa ribellar la Batavia, e parte della Germania e delle Gallie, I, 291. Resta abbattuto, ivi.
Cività Vecchia: origine di questo nome. III, 671.
Clara (Didia), figlia di Giuliano Augusto, moglie di Cornelio Repentino, I, 643.
Claro, (Caio Giulio Erucio), console, I, 630, 631. Fatto uccidere da Settimio Severo, 671.
Claro (Setticio), prefetto del pretorio sotto Adriano, I, 446. Poi deposto, 451.
Classe, città, borgo di Ravenna, II, 1000. Presa da Faroaldo duca di Spoleti, 1039. Ricuperata dai Greci, 1057, 1058.
Claudia, figlia di Lodovico XII re di Francia, promessa in isposa a Carlo duca di Lucemburgo, VI, 185.
Claudia o Claudilla (Giunia), maritata con Caligola, e poi da lui ripudiala, I, 98, 103, 120.
Claudio (Tiberio), fratello di Germanico Cesare, I, 111. Console col nipote Caligola, 115. Corre pericolo della vita, 138. Acclamato imperadore dai soldati, 143. Suoi buoni principii, 145. Sue mogli e suoi figli, 147. Porto di Roma da lui fabbricato, 148. Sedotto da Messalina sua moglie, 149, 150. Conquiste da lui fatte nella Bretagna, 157. Suo trionfo in Roma, 159, 160. Sue lodevoli azioni, 176. Prende Agrippina per moglie, 177. È signoreggiato da lei, 179. Adotta il figliastro Nerone, 180, 181. Tumulto del popolo [849] contra di lui, 184. Vuole seccare il lago Fucino, 187. Spettacolo funesto a lui dato in tale occasione, ivi. Acquidotti mirabili da lui fatti, 187, 188. Avvelenato dalla moglie, muore, 192, 193.
Claudio (Marco Aurelio), generale di Gallieno Augusto, I, 931. Sua congiura contra di lui, e innalzamento al trono imperiale, 934. Sue azioni prima dell'imperio, 936. Abbatte il tiranno Aureolo, 937. Buon principio del suo governo, 938. Sconfigge i Goti, 941. Perciò appellato Gotico, 944. Sua morte, 945.
Claudio, prefetto di Roma, II, 182, 187.
Claudio, vescovo di Torino, condanna la venerazione delle sacre immagini e delle reliquie, e i pellegrinaggi della gente pia, III, 550. È confutato da Dungalo e da Giona, 559.
Cleandro, maestro di camera di Commodo, promuove la rovina di Perenne, I, 608, 609. Diventa padrone della corte, 610. Sue iniquità, 613. Creato prefetto del pretorio, 614. Principio e fine della sua caduta, 618, 619.
Clearco, prefetto di Costantinopoli, II, 250.
Clefo, ossia Clefone, re de' Longobardi, succede ad Alboino, II, 1017. È ucciso, 1019, 1020.
Clemente I papa, I, 245. Suo martirio, 313.
Clemente (Marco Arricino), già prefetto del pretorio e console, fatto morire da Domiziano, I, 360, 361.
Clemente (Tito Flavio), console cristiano, ucciso da Domiziano, I, 561, 562.
Clemente (Cassio), partigiano di Pescennio. Sua franca risposta a Severo Augusto, I, 658, 659.
Clemente II papa. Sua elezione IV, 230. Corona il re Arrigo III, 231. Celebra un concilio contro i simoniaci, 234. Col veleno è tolto di vita, 240. Luogo dove egli morì, ivi.
Clemente III antipapa, V. Guiberto.
Clemente III papa. Sua elezione, IV, 905. Sua concordia co' Romani, 910. Chiamato da Dio a miglior vita, 920.
Clemente IV papa. Sua elezione, V, 48. Dà la corona di Sicilia a Carlo conte d'Angiò, 54. Sostiene Ottone Visconte eletto arcivescovo di Milano, 68. Scomunica Corradino, 73. Predice la di lui rovina, 74. È chiamato a miglior vita, 79.
Clemente V papa. Sua elezione, V, 296, 297. Trasferisce in Francia la Sede apostolica, 297. Decime da lui imposte col pretesto della guerra chiamata santa, 301. Abolisce i Templari, 309, 310. Promuove l'elezione di Arrigo VII re de' Romani, 317. Aspira al dominio di Ferrara, 319. Atti orribili suoi contro i Veneziani, 324. Strana concessione da lui fatta a Giacomo re d'Aragona, [850] 327. Arbitro di lui Roberto re di Napoli, 335. Concilio da lui celebrato in Vienna del Delfinato, 351, 361. Minaccie a lui fatte da Filippo il Bello re di Francia, 364. Si attribuisce la sovranità in Italia, 372. Termina i suoi giorni, 373. Varii suoi difetti, ivi, 374.
Clemente VI papa. Sua elezione, V, 561. Conferma contra di Lodovico il Bavaro tutte le censure di papa Giovanni XXII, 567. Fa eleggere Carlo di Boemia re de' Romani, 582. Compra Avignone dalla regina Giovanna, 601. Celebra il giubileo, 611. Mette pace fra i re d'Ungheria e di Napoli, 619, 625. Sua morte, 625. Sue qualità, 626.
Clemente VII antipapa, V. Roberto cardinale.
Clemente VII papa. Sua elezione, VI, 398. V. Medici (Giulio). Segretamente fa lega con Francesco I re di Francia, 409. Poi con Carlo V imperadore, 417. Poi col re di Francia, co' Veneziani, coi Fiorentini e con Francesco Sforza contra l'imperadore, 422. Da' Colonnesi è costretto a ritirarsi in castello Sant'Angelo, 426, 427. Ne fa vendetta, 427, 428. Assalito dalle sue armi il regno di Napoli, 431. Fa tregua col vicerè di Napoli, 432. Essendo presa Roma, si salva nel castello, 439. Accordo per la sua liberazione, 443. Resta tuttavia come prigione, ed esposto alla peste, ivi, 444. Finalmente è libero, 452. Torna a Roma ed a' maneggi di guerre, 463. Fa lega coll'imperadore, 468. Le cui armi spedisce contra de' Fiorentini, 469. Viene a Bologna, 471. Dove corona Carlo V, 476. Non accetta il laudo di questo sovrano favorevole al duca di Ferrara, 484. Ricupera Ancona, 489. A lui scrive Davide re d'Etiopia, 495. Suo abboccamento col re di Francia in Marsilia, 496. Termina la sua vita, 503.
Clemente VIII antipapa, V. Egidio Mugnos.
Clemente VIII papa. Sua creazione, VI, 839, 840. Non ammette l'abiura fatta da Arrigo IV re di Francia, 847. Sua inflessibilità su questo, 849. Finalmente l'ammette in grembo della Chiesa, 853. Dà soccorso a Rodolfo II contro i Turchi, 855. Procede contra Cesare d'Este duca di Ferrara, 868. L'obbliga coll'armi a cedergli il possesso del ducato ferrarese, 871. Sua solenne entrata in Ferrara, 873. Terribile inondazione di Roma sotto di lui, 874. Fa la promozione d'alcuni cardinali, 878. Spedisce soccorsi all'imperadore contro i Turchi, 895. Vengono a lui ambasciatori persiani, 897. Promozione da lui fatta d'altri cardinali, 904. S'imbroglia co' Farnesi, 907. Arriva al fine de' suoi giorni, 909.
Clemente IX papa. Sua elezione, VI, 1245. Stabilisce pace fra la Francia e la Spagna, 1248. Dà [851] soccorso a' Veneziani, 1251. Sua morte, ed insigni sue doti e virtù, 1256, 1257.
Clemente X papa. Sua elezione, VI, 1258, 1259. Promuove i suoi nipoti, 1259. Sue lodevoli massime, 1261. Suo editto, che accorda la nobiltà colla mercatura, 1263. Impegni del cardinale nipote cogli ambasciatori delle teste coronate, 1273. Giugne al fine de' suoi giorni, VII, 15.
Clemente XI papa. Sua elezione, VII, 152. Sua premura perchè le potenze cristiane non vengano all'armi, 155. Spedisce il cardinale Carlo Barberini legato a latere al re di Spagna a Napoli, 164. E monsignor Tommaso di Tournon alla Cina, ivi. Non riconosce Carlo III per re di Spagna, 174. Adirata contra di lui la corte di Vienna, 183. Suo armamento contro gl'imperiali, 222. Suo accordo coll'imperadore Giuseppe, 227. Risentimenti de' Gallispani contra di lui, ivi, 228. Sua bolla Unigenitus contro i Giansenisti, 258, 263. Sue bolle contro la monarchia di Sicilia, 263, 266. Sue grandi premure in soccorso de' Veneti contro i Turchi, 264. Insussistenti querele contra di lui per la guerra mossa dal re Cattolico all'imperadore, 280. Spedisce alla Cina monsignor Carlo Ambrosio Mezzabarba, 294. Ordina la prigionia del cardinale Alberoni, ma resta deluso, 302, 303. Fine de' suoi giorni, e suoi pregi, 304, 305.
Clemente XII papa. Sua elezione, VII, 350. Fa processare il cardinal Coscia, 355. Sostiene la sua dignità contro la corte di Portogallo, 362, 363, 373. Pretensioni che gli muovono i Franzesi sopra il contado d'Avignone, 373. Altre pretensioni dell'infante don Carlo, duca di Parma, sopra il ducato di Castro e Ronciglione, ivi, 374. Sentenza contra del Coscia, 374. Fabbrica la basilica Lateranense, 384. Forma la galleria del Campidoglio, 405. Altre sue belle opere, 407. Vessazioni recate dai monarchi al suo governo ed a' suoi Stati, 424. Compone le liti con varii potentati, 441. Suo nobile contegno verso la repubblica di San Marino, 459. Sua morte, e gloriose sue azioni, 461.
Cleto, romano pontefice, I, 313. Suo martirio, 331.
Clochilarco, capo de' corsari danesi, ucciso, II, 797.
Cloderico, figlio di Sigeberto re di Colonia. Uccide il padre ad istigazione di Clodoveo re de' Franchi, che poi fa assassinare lui stesso, II, 777, 778.
Clodio (Albino). V. Albino (Clodio).
Clodione, re de' Franchi, II, 483.
Clodomiro, figlio di Clodoveo re de' Franchi, II, 782, 783. (V. Clotario.) Sue barbarie, 817, 818. È ucciso in battaglia, 818.
Clodoveo, re de' Franchi, succede al re Childerico suo padre, II, 680. Dà una rotta e toglie la vita [852] a Siagrio generale romano, 691. Provincie romane nelle Gallie venute in suo potere, ivi. Prende per moglie Clotilde cristiana, 717. Pericolosa guerra da lui sostenuta contro gli Alamanni, 727. Clotilde gli fa abbracciar la fede di Cristo, ivi. Conquista l'Alemagna, 728. Rende tributarii i Borgognoni, 738, 741. Sottomette la Bretagna Minore, 743. Dopo una rotta data ai Visigoti occupa molte loro provincie, 765. Resta sconfitto dall'armi del re Teoderico, 768. Dichiarato console da Anastasio Augusto, 770. Sue iniquità per accrescere il dominio, 777. Sua morte e figliuolanza, 782.
Clodoveo II, re de' Franchi, II, 1220, 1228, 1239, 1264.
Clodoveo III, re de' Franchi, III, 96.
Clotario, figlio di Clodoveo re de Franchi, succede al padre, II, 782, 783. Muove guerra co' fratelli a Sigismondo re de Borgognoni, e lo spogliano del regno, 812, 818. Sua fiera crudeltà contro i nipoti, 843. Fa lega di nuovo co' fratelli contro i Borgognoni, 856. Suo trattato con Vitige re de' Goti, 866. Entra in Ispagna col suo esercito, ed è sconfitto da' Visigoti, 897, 898. Cade in lui tutta la monarchia, 955, 968. Rotta da lui data a' Sassoni, 964. Gli si ribella il figlio Cranno, 965. Gli dà una rotta, e lo fa barbaramente abbruciare colla moglie e colle figlie, 971. Sua morte, ivi.
Clotario II, re de Franchi, II, 1112, 1128, 1137. In lui si unisce la monarchia franzese, 1153. Sua morte 1220.
Clotario III, re de' Franchi, II, 1264. Bertarido, ottiene da lui aiuto per rimontare sul trono di Italia, usurpatogli da Grimoaldo, III, 32. Suo esercito rotto dal re Grimoaldo con uno stratagemma, ivi. Sua morte, 34.
Clotilde, nipote di Gundobaldo re de' Borgognoni. Suo matrimonio con Clodoveo re de' Franchi, II, 717. Gli fa abbracciar la sede di Cristo, 727. Inavvertentemente cagiona la morte de' suoi nipoti, 843. S'interpone tra' figli onde non si facciano guerra, 880.
Clotilde, moglie di Amalarico re de Visigoti, costante nella cattolica religione, II, 841. Sua morte, 842.
Clotsuinda, moglie d'Alboino re de' Longobardi, II, 977.
Cniva, re de' Goti, muove guerra ai Romani, I, 866.
Cnodomario, re degli Alamanni, II, 81. Rotta a lui data da Giuliano Cesare, 81, 82.
Cocceiano (Salvio), nipote di Ottone imperadore, ucciso da Domiziano, I, 355.
Cochebas, o Barcochebas, capo de' Giudei contro di Adriano, uomo crudele, I, 469.
[853]
Codice Giustinianeo, quando pubblicato, II, 836, 856.
Cola di Rienzo divien tribuno e come signore di Roma, V, 590, 591. Sue azioni parte lodevoli e parte ridicole, 591. Per una sollevazione è costretto a fuggirsene, 595, 596. Torna a signoreggiare in Roma, 635. È ucciso dal popolo, 636.
Collalto (Rambaldo conte di), generale dell'imperadore, blocca Mantova, VI, 1029. Resa da lui e saccheggiata quella città, 1039, 1040. Miseramente termina i suoi giorni, 1047.
Colomanno (Carlo Manno d'alcuni), re d'Ungheria, IV, 476.
Colombano (San), abbate celebratissimo, nativo di Irlanda, perseguitato da Brunechilde e dal re Teoderico, e cacciato dalla Borgogna, ove avea fondato il monastero di Luxevils, e molti altri, II, 1149. Fonda quello di Bobbio, 1150. Richiamato in Francia dal re Clotario II, si esime di andarvi, 1153. Sua lettera a papa Bonifazio, III, ivi. Passa a miglior vita, 1159.
Colonna Traiana: quando compiuta, I, 416, 417.
Colonna: nobiltà ed antichità di questa famiglia, IV, 487.
Colonna (Fabrizio), generale del papa nella battaglia di Ravenna, fatto prigione dal duca di Ferrara, VI, 283. Ne diviene difensore, 290.
Colonna (Marcantonio), generale dell'armi pontifizie, VI, 255. Difende Ravenna, 281. E protegge il duca di Ferrara, 290. Difende Verona, 331, 336. Generale di Massimiliano Cesare, 338, 339. Sua gloria in sostenere Verona, 339, 341. Ucciso da un colpo di colubrina, 379.
Colonna (Marcantonio), juniore, generale del papa nella vittoria a Lepanto, VI, 750, 752, 753, 755. Vicerè pel re Cattolico in Sicilia, 797.
Colonna (Prospero) dà una sconfitta a' Veneziani, VI, 309. Generale del duca di Milano, 310, 313. Suo tentativo contro Genova, 320. Fatto prigione da' Franzesi, 323, 324. Generale del papa assedia Parma, 366. E Milano, 368, 369. E lo prende, 369. Vince i Franzesi alla Bicocca, 383. S'impadronisce di Genova, 386. Difende Milano, 397. Fine di sua vita, 400.
Colonnesi: gran parzialità di papa Niccolò IV verso di loro, V, 209. Processati da papa Bonifazio VIII, 250, 251, 257. Processati da papa Eugenio IV, 1085, 1086. Gli fanno guerra, 1086.
Colosseo, mole stupenda in Roma, I, 321.
Comacchio, città posseduta dalla casa d'Este, VI, 260. Se ne impadroniscono l'armi imperiali, VII, 227. Ne è restituito il possesso alla santa Sede, 318.
Comaschi: la loro città presa e saccheggiata da' Milanesi, [854] IV, 568. Che fanno poi guerra a quel popolo, 573, 577, 584. Abbandonano la città, e poi si soggettano a Milano, 599, 600.
Cometa insigne, vedutasi in cielo, II, 516.
Commodiano, poeta cristiano, I, 1220.
Commodo (Lucio Ceionio). Suo consolato, I, 4?4. Adottato per figliuolo da Adriano: prende il nome di Lucio Elio Commodo, ivi. Sua morte, 479.
Commodo (Lucio Ceionio), figlio del precedente. Sua nascita, I, 479. Adottato per figliuolo da Antonino Pio, 480. Appellato Lucio Vero, 475, 504, 517. Era pochissimo amato dal padre adottivo, 504. È assunto al consolato, 516. Amore che portava a' suoi maestri, e qual profitto ne trasse, ivi. Creato console per la seconda volta, 522. Succede ad Antonino Pio, 528. V. Marco Aurelio Vero.
Commodo (Marco Aurelio Antonino), che fu poi imperadore, I, 556. Prende la toga virile, 570. Creduto nato d'adulterio, 576. Creato console, 579. Va col padre a guerreggiare in Germania, 583. Afflizione del padre infermo in riguardarlo suo successore, 588, 589. Succede nell'imperio al padre, 591, 592. Suoi vizii ed inclinazioni malvage nella puerizia, 593. Applauso con cui viene ricevuto in Roma, 594. Quali i principii del suo governo, 596. Congiura contra di lui Lucilla sua sorella, 601, 602. Si abbandona alla lussuria ed alla ritiratezza, 606, 613. Sua crudeltà, 614, 620. Prende il nome d'Ercole, con altre sue frenesie, 623, 624. Perduto dietro agli spettacoli delle fiere, 627. Ucciso da' congiurati, 630.
Comneni, famiglia d'imperadori d'Oriente. V. i loro nomi rispettivi.
Compagne, ossia compagnie di soldati masnadieri, quando nate in Italia, V, 545, 565, 566, 571, 572.
Conciliabolo di Tiro, in cui fu deposto santo Atanasio vescovo d'Alessandria, I, 1205.
Conciliabolo tenuto in Antiochia dagli ariani, II, 57.
Conciliabolo di Milano, in cui fu deposto santo Atanasio, II, 69.
Conciliabolo di Marano, tenuto da Severo arcivescovo di Aquileia, e da altri vescovi scismatici, II, 1063.
Concilio celebrato in Roma da Aniceto intorno il giorno di Pasqua, I, 521.
Concilio d'Arles, in cui vengono condannati i donatisti, I, 1131.
Concilio niceno, celebrato contro l'eresia d'Ario, I, 1172.
Concilio di Serdica, in cui è confermato il gius delle appellazioni alla santa Sede apostolica. II, 21.
Concilio di Rimini termina in un conciliabolo, II, 92.
[855]
Concilio d'Aquileia sotto Graziano Augusto, II, 230.
Concilio I generale in Costantinopoli, II, 233.
Concilio (Altro) in detta città, II, 239, 240.
Concilio di Milano contro Gioviniano eresiarca, II, 287.
Concilio di Roma contro Nestorio, II, 478, 480.
Concilio di Efeso contro lo stesso eresiarca, II, 480.
Concilio (Falso) di Efeso, II, 535.
Concilio ecumenico calcedonese, II, 548.
Concilio arausicano II, II, 615.
Concilio palmare, in cui restò assodata l'innocenza ed il pontificato di Simmaco, II, 747.
Concilio V generale, tenuto in Costantinopoli, II, 950. Approvato da papa Vigilio, 957, 958. Scisma per questo insorto in Italia, 962.
Concilio VI generale tenuto in Costantinopoli, III, 59.
Concilio trullano, quando tenuto, III, 87.
Concilio tenuto in Roma da Gregorio II, III, 164.
Concilio tenuto in Roma da Gregorio III contro Leone Isauro, III, 196.
Concilio Di Pavia, III, 560.
Concilio VIII generale tenuto in Costantinopoli, III. 720.
Concilio lateranense IV sotto Innocenzo III, IV, 1025.
Concilio generale di Lione, sotto Gregorio X, V, 105.
Concilio di Pisa, in cui è creato papa Alessandro V, V, 961, 962.
Concilio di Costanza, intimato da papa Giovanni XXIII, V, 986. Suo principio, 992. Ivi eletto papa Martino V, 1008.
Concilio di Basilea: suo principio, V, 1094, 1103, 1105. Atti di papa Eugenio IV in contrario, 1122, 1126. Elegge un antipapa, 1135.
Concilio generale in Ferrara, V, 1126. Trasportato a Firenze, 1134. Dove si uniscono le due Chiese latina e greca, 1135.
Concilio lateranense, sotto Leone X, VI, 343.
Concilio generale stabilito in Trento, VI, 556. Suo principio, 573. Trasferito a Bologna, 587. L'imperadore Carlo V tenta che sia restituito a Trento, 593. A ciò aderisce papa Giulio III, 603. Sciolto, 625. Riaperto da papa Pio IV, 692, 693. Dispute e dissensioni ivi quietate da' cardinali legati, 702. Suo fine, e gran bene che n'è derivato, ivi, 703.
Concordia, città distrutta da Attila, II, 561.
Condiano (Sesto Quintilio), console, I, 587. Tolto di vita da Commodo, 605.
Confraternite laicali, e loro origine, V. Bianchi.
Conone, vescovo d'Apamea, ucciso in battaglia, II, 712.
Conone papa. Sua elezione, III, 70. Termina il suo vivere, 73.
[856]
Conone, o Conrado, ossia Corrado, duca della Francia Orientale, padre di Ottone duca, eletto re di Germania, III, 981. Fu avo di Gregorio V papa, IV, 26.
Consalvo Fernandez, chiamato il gran capitano, VI, 130. È sconfitto da' Franzesi, 134. Suoi progressi contra di loro, 138. Sua venuta a Roma, 143. Sua simulazione col re di Napoli, 186. Conquista per Ferdinando il Cattolico la metà del regno di Napoli, 188. Cede alle maggiori forze de' Franzesi, 194. Prevale contro di essi, 207. Loro dà una rotta al Garigliano, 208, 209. Per l'acquisto di Gaeta s'impadronisce di tutto il regno, 213. Per sospetti contro di lui si porta Ferdinando re a Napoli, 220, 221. Condotto in Ispagna, miseramente muore, 226.
Consiglio generale e di credenza nelle città libere d'Italia, IV, 513.
Consolato abolito da Giustiniano Augusto, II, 888.
Consoli delle città d'Italia divenute repubbliche, IV, 513.
Constanziano, generale di Giustiniano Augusto, II, 863, 868, 892.
Contardo, duca di Napoli, ucciso, III, 634.
Contareni, dogi di Venezia, V. i loro rispettivi nomi.
Conte del sacro palazzo, dignità eminente, III, 433. Dignità primaria nella corte de' re d'Italia, 950.
Conte di Modena, che si pretende fatto indebitamente morire per calunnia della regina moglie di Ottone III, IV, 20, 21.
Conte cardinale legato dell'antipapa Anacleto, IV, 613.
Conte di Virtù, V. Gian-Galeazzo.
Contee: erano una volta piuttosto governi che feudi, II, 1169.
Conti: si chiamavano così i governatori delle città, II, 1104.
Conty, supremo comandante delle armi franzesi nella Savoia, VII, 534.
Copronimo, V. Costantino Copronimo.
Corasio, monte vicino ad Antiochia, I, 423.
Corbiniano (San), vescovo di Frisinga, III, 170, 173.
Corbulone (Gneo Domizio), console, I, 124. Generale sottomette i Cauci, 170. Generale delle armi in Oriente, 199. Sue imprese in Armenia, 209. Governatore della Soria, 219. Fa guerra ai Parti, 226, 227. Suo abboccamento con Tiridate re dell'Armenia, 229. Intimatagli la morte da Nerone, si uccide, 244.
Cordo (Cremuzio), storico romano, accusato s'uccide, I, 73.
Corfù, devastata da' Goti, I, 932. Assediata da' Turchi, VII, 268. I quali se ne fuggono all'avviso [857] della vittoria riportata dai Cesarei in Ungheria, 271.
Corippo, poeta africano, II, 982.
Cornelia, capo delle Vestali, condannata a morte da Domiziano, I, 348.
Corneliano (Attidio), governatore della Soria, I, 533.
Cornelio, romano pontefice, I, 866. Suo martirio, 873.
Corona Ferrea dei re d'Italia, II, 1125. Non usata nel secolo IX, III, 638.
Corone d'oro del re Agilolfo e di Teodelinda in Monza, II, 1125.
Corpi dei santi trasferiti da Roma in Francia e in Germania, III, 287. Frequenti una volta le lor traslazioni, 560.
Corradino, figlio del re Corrado. Sua nascita, IV, 1239. S'intitola re di Gerusalemme, e non di Sicilia, 1252. Per la sua finta morte Manfredi si fa coronare re di Sicilia, 1266, 1267. Cala in Italia, V, 66, 67. Passa colle armi in Toscana, 72. Suo esercito formidabile, 74, 75. Sconfitto nella fuga è preso, 76. E poscia decapitato, 77.
Corrado, duca della Francia orientale, V. Conone.
Corrado, re di Borgogna, figlio di Ridolfo II, III, 1072. Va a trovarlo Adelaide Augusta, sua sorella, 1219. Interviene alla dieta di Verona, 1243. Muore, 1279.
Corrado, duca di Lorena, III, 1123. Si ribella ad Ottone il Grande, 1127, 1130. Col quale fa pace, 1132.
Corrado; figlio del re Berengario II, III, 1161, 1186.
Corrado il Salico, primo fra gli Augusti, creato re di Germania, IV, 145. Eriberto, arcivescovo di Milano, il promuove alla corona d'Italia, 149. Venuto, riceve la corona da esso Eriberto, e fa guerra ai Pavesi, 152. Sua signoria in Ravenna, 153. Sottomette la Toscana, 156. È coronato imperadore, 157. Torna in Germania, 159. Crea duca della Baviera Arrigo suo figlio, 161. Poi lo fa eleggere re di Germania, ivi. Sua guerra con santo Stefano re di Ungheria, 167. Sue ragioni sopra il regno di Borgogna, 173. Colle armi va ad acquistarlo, 177, 179. Cala di nuovo in Italia, 187. Fa prigione Eriberto arcivescovo di Milano, 190. Il quale fugge, 191. Assedia Milano, 192. Infierisce contro Parma, 195. Torna a Roma, 196. A cagion della peste si ritira in Germania, 198. Sua morte, 202.
Corrado, figlio di Arrigo IV, re, creato duca di Lorena, IV, 372, 375, 378, 405. Cerca l'eredità della contessa Adelaide avola sua, 453. Si ribella al padre, 455. È coronato re d'Italia, 457. È ricevuto per figlio da papa Urbano II, [858] 464. Prende in moglie Matilda figlia di Ruggieri conte di Sicilia, 467. Sua morte, 489.
Corrado, fratello di Federigo duca di Suevia, fa guerra a Lottario re di Germania, IV, 592. Contro di lui è creato e coronato re d'Italia, 604. Scomunicato dal papa perde il credito, 605. Torna disingannato in Germania, 620. Fa pace con Lottario Augusto, 632. Viene eletto re di Germania, 657. Fa guerra ad Arrigo duca di Sassonia, 663. A lui fa guerra Guelfo VI, 672. È invitato a Roma dai Romani, 683. Prende la croce, e passa in Oriente, 689. Sue azioni e ritorno, 692, 694. Fine di sua vita, 706.
Corrado, vescovo di Perugia, IV, 62.
Corrado, duca di Carintia, IV, 94.
Corrado, duca di Franconia, IV, 145, 151, 159. Rimesso in grazia da Corrado Augusto, 162. Creato duca di Carintia e marchese di Verona, 182, 191.
Corrado, duca di Baviera, deposto da Arrigo III, IV, 265.
Corrado, figlio di Corrado già duca di Carintia, dà una rotta ad Adalberone duca di Carintia, IV, 124. Termina il suo vivere, 205.
Corrado, marchese di Toscana, IV, 605. Suoi atti, 608.
Corrado, conte palatino del Reno, IV, 744, 771, 779.
Corrado, figlio di Federigo I Augusto, creato duca di Franconia, IV, 822.
Corrado Moscaincervello, principe di Ravenna, IV, 832. Cede Capoa al re Tancredi, 925. Generale dell'esercito contro di lui, 932. Creato duca di Spoleti, 944. Ne è spogliato da papa Innocenzo III, 957.
Corrado, marchese di Monferrato, IV, 832. Rotta a lui data dai Milanesi, 833.
Corrado, figlio del marchese di Monferrato, milita in favore dei nobili di Viterbo, IV, 866. Sconfigge e fa prigione l'arcivescovo di Magonza, 871. A cui poscia vende la libertà, 879. Valorosamente difende Tiro contro di Saladino, 902, 905. Difende Tripoli, 909. Riscatta il padre, 910. Sostiene l'assedio d'Accon, 917. Sposa Isabella regina di Gerusalemme, 927. Assassinato, 930.
Corrado, figlio di Federigo II Augusto, va in Germania col padre per reprimere la ribellione del fratello Arrigo, IV, 1123. Eletto re de' Romani, 1139. Raduna un forte esercito, e va contro Arrigo langravio di Turingia, 1194. È sconfitto, ivi. Sorprende il langravio, e gli dà una rotta sì terribile, che gli cagiona la morte, 1197, 1198. È costretto a ritirarsi in Italia per la guerra fattagli da Guglielmo d'Olanda, 1209. È dichiarato dal padre erede dei suoi Stati, 1222. [859] Innocenzo IV lo dichiara scomunicato come suo padre, 1223. Cala in Italia, 1227. Va in Puglia, 1229. Concepisce astio contro il fratello Manfredi, 1230, 1231. Costringe Napoli alla resa, 1233, 1234 Creduto autore della morte del fratello minore Arrigo, 1237. Maltratta i popoli della Puglia, 1238. Nel più bel fiore degli anni muore, ivi.
Corrado Rusca, signor di Como, V, 279.
Corrado de' Trinci, signore di Foligno, V, 757. Perde stato e vita, 1129, 1141.
Correggeschi, tolgono Parma agli Scaligeri, V, 555, 556. La vendono ad Obizzo marchese d'Este, 573.
Corsi, loro insolenza in Roma contro i Franzesi, VI 1228, 1229, 1237.
Corsica, presa dai Goti, II, 933. Donata alla Chiesa Romana, III, 268, 318, 333, 460. Presa quasi tutta dai Turchi e Franzesi, VI, 630. Ricuperata dai Genovesi, 638. Ai quali si ribella, VII, 353, 354. Contro de' ribelli sono spedite le truppe imperiali, 363, 371, 375. Entra in quel dominio Teodoro Antonio barone di Newoff, e ne decade, 427, 439, 447, 451, 513.
Corso pubblico, cioè la posta, regolato da Traiano, I, 429.
Corte, una volta villa con castello e parrocchia, IV, 35, 200.
Corvolo, duca del Friuli, III, 124.
Coscia (Niccolò), creato cardinale, e poscia arcivescovo di Benevento, VII, 324. Sue tirannie, per cui è costretto a fuggire, 349. È interdetto da ogni funzione, 350. Per la sua ostinazione in non rinunziare all'arcivescovato si continuano i processi contra di lui, 355. Fugge, ivi. Censure fulminategli contro, 356. Va a Roma per difendersi, 368, 369. Sentenza contro di lui, 374. È migliorata la sua situazione mercè la protezione della corte di Vienna, 405, 461.
Cosimo de Medici il Magnifico. Sua morte, VI, 13.
Cosimo II, principe di Toscana. Suo matrimonio con donna Maria Maddalena d'Austria, VI, 924. Succede a Ferdinando suo padre, 927. Si dichiara in favore del duca di Mantova, 940. Manda soccorsi a Ferdinando II Augusto, 971. È rapito dalla morte, 982. Sue virtù, ivi.
Cosimo III, poscia gran duca di Toscana. Sue nozze con Margherita Luigia di Borbon, VI, 1220, 1225. Succede al padre, 1260. Suo divorzio colla moglie, VII, 10. Sua morte, 313.
Cosma, eletto imperadore contro Leone Isauro, III, 175.
Cosroe, re de' Parti. Sua ambascieria a Traiano, I, 415. Da cui è posto in fuga, 425. Rimesso in trono da Adriano, 436.
[860]
Cosroe, re di Persia, muove guerra a Giustiniano Augusto, II, 879, 884, 887. Con lui fa una pace vantaggiosa, 973. Torna a far guerra, 1010. Ne riporta delle busse, 1025. Sua morte, 1035.
Cosroe, re di Persia, fa guerra a Foca imperadore, II, 1128. Suoi progressi in Oriente, 1138, 1148. Occupa Gerusalemme, 1154. Poi l'Egitto, 1160. Fa scorticar vivo il suo generale Saito, 1161. Fa morire gli ambasciatori di Eraclio imperadore, ivi. Guerra a lui fatta da esso Augusto, 1172. Suo sdegno contro i cristiani, 1182. Messo in fuga da Eraclio, 1193. È ucciso da suo figlio Siroe, 1195.
Cosso, prefetto di Roma, I, 99,
Costante (Racio), governatore della Sardegna, I, 693.
Costante (Flavio Giulio), figlio di Costantino il Grande, creato Cesare, I, 1198. Stati a lui assegnati dal padre, 1209. Succede a lui nell'Italia, Africa ed Illirico, 1223. Discordia fra lui e i fratelli, ivi. Dall'esercito suo è ucciso il fratello Costantino, ed estensione del suo dominio, 1228. Sue leggi contro i pagani, II, 11. Sue vittorie, 15. Protettore de' cattolici, 21, 22. Congiura di Magnenzio contro di lui, 28, 29. Onde è ucciso, 29, 30. Suoi difetti e pregi, 30.
Costante, figlio di Costantino tiranno, II, 380. Dichiarato Augusto, 392, 408, 409. Mandato dal padre in Ispagna, 408. Ucciso in Vienna del Delfinato, 409.
Costante, ossia Costantino, nipote di Eraclio Augusto. Sua nascita. II, 1189. È dichiarato imperadore, 1226, 1227. Favorisce i Monoteisti, 1238, 1241. Pubblica il suo Tipo, o editto per quella eresia, 1242. Perseguita papa Martino, 1254. Il fa imprigionare, 1255. Dichiara Augusto e collega nell'imperio suo figlio Costantino Pogonato, 1260. Sconfitto dai Saraceni, a stento giunge a fuggire travestito, 1262. Fa guerra agli Sclavi, 1265, 1266. Pace dai Saraceni chiestagli, da lui non accettata, 1267. Si ritira fuori di Costantinopoli, 1272, 1273. Assedia Benevento, III, 10. E se ne ritira, 13. Passa a Roma, indi in Sicilia, 16. Incredibili avanie da lui fatte a que' popoli, 22, 23. Sostiene la ribellione di Mauro arcivescovo di Ravenna contro il papa, 27. Viene ucciso, 29.
Costantina, moglie di Maurizio Augusto, II, 1045, 1098. Colle figlie uccise da Foca, 1120, 1134.
Costantino (Flavio Valerio), il Grande, figlio di Costanzo Cloro, discendente da un fratello di Claudio II Augusto, I, 936, 1030, 1040, 1051. Sprezzato da Galerio, 1062, 1066. Pericolose azioni a cui lo espone Galerio, dalle quali ne esce vittorioso, ivi. Sua vittoria sui Sarmati, [861] 1067. Fugge da Galerio, e va a trovare il padre, 1068. A lui succede, ed è proclamato Augusto, 1073, 1074. Ma prende il solo titolo di Cesare, a ciò obbligato da Galerio, 1074. Dà la libertà ai cristiani di professar pubblicamente la loro religione, 1078. Sue vittorie contro i Franchi ed altri popoli, 1079. Massimiano lo crea Augusto, egli dà in moglie la figlia Flavia Massimiana Fausta, 1083. Lo accoglie nelle Gallie con tutti gli onori, 1089. Il qual poscia tenta di tradirlo, 1089, 1090. Preso da lui in Marsiglia, rimproverato e spogliatolo della porpora, lo lascia come prima nella sua corte per le preghiere di Fausta, 1090, 1091. Donativi da lui fatti al tempio d'Apollo in Autun, 1091. Per nuovo tradimento fa morire il suocero, 1093, 1094. Sconfigge le nazioni germaniche, 1096. Passa nella Gran Bretagna, e la soggioga in poco tempo, 1097. Invitato dai Romani contro l'iniquo Massenzio, 1105. Sua lega con Licinio, cui promette in moglie la figlia Flavia Valeria Costanza, 1106. Parte per l'Italia coll'armata, ivi. Prende Susa, 1107. Entra in Torino, ivi. Giunge a Milano, ivi. La prende, ivi. Passa a Brescia, ivi. Assedia Verona, 1108, 1109. Gli si arrendono Aquileia e Modena, 1109. Giunge a Roma, ivi. Miracolosa sua chiamata al Cristianesimo, 1109, 1110. Vittoria insigne da lui riportata colla morte di Massenzio, 1113. Divenuto padron di Roma, dell'Italia e dell'Africa, 1116. Dà più rotte ai Franchi, 1118. Non prende il titolo di pontefice massimo, 1130. Sue guerre con Licinio, a cui dà una rotta, 1133. E di poi fa pace, 1135. Sue lodevoli leggi, 1137. Suoi varii regolamenti, 1145, 1146 e seg., 1150 e seg., 1170, 1174, 1180, 1181, 1191, 1192, 1201. Sconfigge i Sarmati, 1154. E Licinio Augusto due volte, 1160, 1163, 1164. Divien padrone di tutto il romano imperio, 1165. Leva di vita Licinio, 1168. Sue premure per estinguere l'eresia di Ario, 1169. Ingiuriato da' Romani, 1175, 1176. Fa morire il figliuolo Crispo e la moglie Fausta, 1177, 1178. Fonda Costantinopoli, 1186. Vince i Sarmati e i Goti, 1195. Quanto rispettato e temuto dai Barbari, 1199. Divide fra i suoi figliuoli i suoi Stati, 1208. Sua infermità, 1212. Prende il battesimo, ivi. Sua morte, 1214. Glorioso in vita e dopo morte, 1216. Sua donazione alla Chiesa Romana, creduta anche ne' tempi di papa Adriano, III, 332.
Costantino juniore (Flavio Claudio), figlio di Costantino il Grande. Sua nascita, I, 1141, 1142. Creato Cesare, 1142. Vittorie da lui riportate contro i Goti, 1195. Stati a lui assegnati dal padre, 1208. Succede a lui nella Gallia, Spagna e Bretagna, 1220. Discordia fra esso e i fratelli, [862] 1222, 1223. Entra colle armi in Italia, 1227. In una battaglia ucciso, 1228.
Costantino, tiranno, occupa la Bretagna e le Gallie, II, 378. Varie sue imprese, ivi. Crea Augusto suo figlio Costante, 392. È riconosciuto a collega nell'imperio dall'imperadore Onorio, ivi, 407. Calato in Italia, 407. Tende insidie ad esso Augusto, 408. Rinserrato in Arles, 409, 413. Preso ed ucciso, 414 415.
Costantino papa. Sua elezione, III, 127. Chiamato a Costantinopoli, 130. Dove riceve grandi onori, 132, 133. Fine de' suoi giorni, 149.
Costantino pseudopapa, III, 289. Scrive al re Pippino, ivi. Vien deposto ed acciecato, 292. Riprovato nel concilio lateranese, 293, 294.
Costantino Pogonato, dichiarato Augusto, II, 1260. Ritenuto in Costantinopoli dopo la partenza del padre, 1273. Succede al medesimo, III, 30. Atterra il tiranno Mecezio in Sicilia, 31, 32. Come trattasse i suoi fratelli, 34, 63. Difende Costantinopoli assediata dai Saraceni, 40. La libera, e fa pace vantaggiosa con quegli infedeli, 50, 51. Promuove la pace della Chiesa, 52. Col concilio VI generale, 59. È benefico verso la Chiesa Romana, 63, 68. Rapito dalla morte, 69.
Costantino Copronimo. Sua nascita, III, 160, 161. Dichiarato Augusto, da Leone Isauro suo padre, 163. A cui succede, ed è detronizzato, 216. Riacquista l'imperio, 231. Liberalità sua verso Zaccheria, 234. Crea suo collega il figlio Leone, 245. Suo conciliabolo contro le sacre immagini, 257, 258. Seguita a perseguitarle, 282. Muove con una flotta per portar la guerra ai Bulgari, 324. Muore, ivi.
Costantino, figlio di Leone IV Augusto. Sua nascita, III, 308. Dichiarato dal padre collega nello imperio, 330. Gli succede, 341, 342. Suoi sponsali con una figlia dì Carlo Magno, 344. Protegge le sacre immagini, 355. Suo matrimonio, 373. Depone la madre, 384. Dalla quale è deposto ed accecato, 406, 407.
Costantino Porfirogenito, imperador de' Greci, succede al padre. III, 977, 978. A lui inviato dal doge veneto Orso Particiaco il figlio Pietro, 983. Sua sovranità rimessa in Benevento e Capoa, 988, 989, 1072. Ambasciatori a lui spediti dal re Ugo, 1035. Chiede una figlia a re Ugo in moglie a suo figlio Romano, 1091. Conferma i beni spettanti al monistero di San Vincenzo del Volturno, 1096. A lui chiede protezione il re Lottario, 1107.
Costantino Monomaco, imperador dei Greci, IV, 210.
Costantino duca imperadore dei Greci, IV, 322. [863] Sposa una figlia di Roberto Guiscardo, 375. Viene balzato dal trono, 390. Sua morte, 407.
Costantino Paleologo, ultimo imperador de' Greci, muore combattendo invittamente per la patria, V, 1251.
Costantinopoli: sua fondazione, I, 1186. Sua grandezza e popolazione, 1191. Parte delle sue mura fabbricate da Teodosio II imperadore, II, 502. Sollevazioni ivi tra le fazioni veneta e prasina, 470. Terribil sedizione sotto Anastasio, 784, 785. Altra sotto Giustiniano, 847. Assediata dal re degli Unni, e liberata, 1184. Assediata dai Saraceni III, 40. Liberata, 50, 51. Di nuovo assediata da' Saraceni, 157, 158. Liberata, 158. Espugnata e saccheggiata dalla crociata dei Latini, IV, 982. Facoltà de' Veneziani d'eleggerne il patriarca latino, 985. Creato ivi imperadore Baldovino conte di Fiandra, ivi. Ritolta ai Latini dai Greci, V, 31. Presa dai Turchi, 1251.
Costanza (Flavia Valeria), sorella di Costantino il Grande, maritata con Licinio Augusto, I, 1106, 1117, 1118, 1157, 1168.
Costanza o Costantina, figlia di Costantino il Grande, II, 39. Maritata a Gallo Cesare, 44, 61, 64.
Costanza (Flavia Massima), figlia di Costanzo Augusto, II, 108, 117, 154, 155. Maritata con Graziano Augusto, 108.
Costanza di Francia, maritata con Baomondo principe d'Antiochia, IV, 508.
Costanza, figlia del re Ruggieri di Sicilia, maritata ad Arrigo V re di Germania, IV, 892, 893. Solenni sue nozze celebrate in Milano, 894. Sue pretensioni al regno di Sicilia, dopo la morte di Guglielmo II, 914. Cade in mano del re Tancredi, 925. Ed è liberata, ivi. Partorisce Federigo II, 940. A lei ingiustamente imputate le traversie e la morte del marito, 950. Sua morte, 962.
Costanza, figlia del re Manfredi, maritata a Pietro figlio del re d'Aragona, V, 28, 29, 33. Viene in Sicilia, 160. Governa quel regno, 215. Va a Roma, 250.
Costanzo Cloro (Flavio Valerio), adottato e creato Cesare da Diocleziano Augusto, I, 1027. Suoi costumi, 1029, 1030. Volge le armi contro di Caralisio tiranno, 1032. Frisoni da lui soggiogati, 1033. Sue vittorie delle nazioni germaniche, 1034. Ricupera la Bretagna, 1038. Sconfigge gli Alamanni, 1046, 1047. Ed altre nazioni germaniche, 1050, 1051. Sua indulgenza verso i cristiani, 1058. Creato Augusto, 1063. Sua morte, 1069. Fu marito d'Elena, 1070. Sue belle qualità, 1071.
Costanzo (Flavio Giulio), figlio di Costantino il Grande. Sua nascita, I, 1142. Creato Cesare, [864] 1167. Sue prime nozze, 1207. Stati a lui assegnati dal padre, 1208. Succede a lui, 1220. Fa uccidere i suoi parenti, 1221, 1222. Discordia fra lui e i fratelli, 1223. Guerra a lui mossa da Sapore re della Persia, 1224; II, 15. Protegge gli ariani, II, 16. Terme da lui fabbricate in Costantinopoli, 18. E porto di Seleucia, 19. Sua celebre battaglia a Singara con Sapore re di Persia, 23, 24. Come dipinto da Libanio sofista, 27. Con deporre Vetranione acquista l'Illirico, 40. Sua insigne vittoria su Magnenzio, 49. Ricupera l'Italia e l'Africa, 52, 53. Passa nelle Gallie ed atterra Magnenzio, 55. Divien superbo e crudele, 56. Legge sua contro i templi e sacrifizii de' gentili, 59. Disgustato di Gallo Cesare, 60. A cui toglie la vita, 66. Crea Cesare Giuliano, 70. Suo trionfo in Roma, 75. Fa guerra ai Sarmati, 83, 84. E a lui la fanno i Persiani, 90, 91. Contra di lui insorge Giuliano Cesare, 95. Dà fine ai suoi giorni, 109. Sue lodi e suoi biasimi, ivi, 110.
Costanzo (Giulio), console fratello di Costantino il Grande, I, 1203, 1204. Ucciso da Costanzo Augusto, 1222.
Costanzo, arcivescovo di Milano, II, 1092. Termine di sua vita, 1113.
Costanzo (Flavio) conte, generale di Onorio Augusto, II, 410. Opprime Geronzio nelle Gallie, 411. Vince Edobico generale di Costantino tiranno, 414. Si disgusta con Ataulfo re de' Goti, 421. Creato console, 424 Altre sue imprese nelle Gallie, 426. Galla Placidia a lui data in moglie, 434. Dichiarato Augusto, 444. Termina il suo vivere, 445. Suo epitaffio, 446.
Costanzo Sforza, signore di Pesaro, VI, 46. Sconfitto da Alfonso duca di Calabria, 68. Gli è portata la guerra da Girolamo Riario signore d'Imola, 70. Generale di Lodovico il Moro duca di Milano, 76. Dà una sconfitta ad Obietto del Fiesco, 78. Va al servizio de' Veneziani, e muore, 84.
Court (il signore di la), ammiraglio franzese. Si unisce con la flotta spagnuola per battersi contro gli Inglesi, VII, 535. Sua inazione, per cui rimangono salve ed illese le sue navi, ivi.
Cozio (Marco Giulio), re delle Alpi Cozie, I, 160.
Cranno, figlio di Clotario re di Francia. Si ribella al padre, II, 965. Vinto in una battaglia, è bruciato, per ordine del padre, colla moglie e con le figlie, 971.
Crasso Frugi. Sua congiura contro di Traiano, I, 412.
Crema, cagione di gran guerra fra Milano e Cremona, IV, 607. Assediata dai Cremonesi e Tedeschi, 760. Si rende a Federigo Augusto, 762.
[865]
Cremaschi: si ribellano a Federigo Augusto, IV 758.
Cremona presa dai soldati di Vespasiano, I, 280. Strage e saccheggio orrendo ivi fatto da essi, 281. Presa e diroccata dal re Agilolfo, II, 1126. Sorpresa d'essa fatta dal principe Eugenio, ma con poco frutto, VII, 166.
Cremonesi: lor sedizione contro di Odelrico vescovo, III, 1274. Sconfitti dai Milanesi, IV, 525. A cagion di Crema guerra tra essi ed i Milanesi, 607, 608, 630, 637, 644. Son da loro sconfitti, 665. Danno una rotta ai Piacentini, 699. Rendono la pariglia ai Milanesi, prendendo loro anche il carroccio, 700. Inducono l'imperadore Federigo a seco loro assediare Crema, 759, 760. Uniti allo stesso Federigo fan guerra ai Milanesi, 765. Collegati con essi, 802, 823. Sdegnati con Federigo Augusto, 892. Messi al bando dell'imperio, 898. Ottengono la pace da esso Augusto, ivi. E dal figlio, 899, 900. Rotta loro data dai Bresciani, 927. E dai Milanesi, 934. Crema loro conceduta dagli imperadori, 945. Danno una rotta ai Piacentini, 971. E un'altra al popolo di Brescia, 974. Sconfitti dai Milanesi, 1002. Guerra civile fra loro, 1007, 1011, 1012, 1015. Gran rotta da loro data ai Milanesi, 1019. E ai Piacentini, 1032. E di nuovo ai Milanesi, 1037. Fanno pace coi Milanesi e Piacentini, ivi. In aiuto de' Modenesi sconfiggono i Bolognesi, 1085. Lor battaglia coi Milanesi, Piacentini e Bresciani, in cui restano sconfitti, 1120. E coi Bresciani soli, da' quali sono sbaragliati, 1128. Lor carroccio preso dai Parmigiani, 1206. Governati dal marchese Oberto Pelavicino, danno una rotta ai Parmigiani, 1218, 1219. E ai Bresciani, 1270. Scacciano il Pelavicino e Buoso da Doara, V, 69. Uniti coi Parmigiani, 143. Guerra lor fatta da' collegati Ghibellini, 312. Ribellati al re Arrigo VII, ne riportano un fiero castigo, 344, 345. Di nuovo si ribellano, 349. Rivoluzioni di quella città, 389, 402, 408, 421.
Crescenzio, console romano. Sua prepotenza in Roma, III, 1259, 1260; IV, 12. Processato da Ottone III Augusto, 19. Fa fuggire papa Gregorio V, 22. Usurpa il dominio di Roma, 23. Gli è tagliato il capo, 30.
Crescenzio, cardinale, governatore di Benevento, IV, 621, 622.
Cresconio, vescovo di Todi, legato pontificio ad Anastasio II imperadore, II, 730.
Cresto, prefetto del pretorio, ucciso, I, 790.
Crinito (Marco Ulpio), valente generale di Valeriano Augusto, I, 887. Designato console, 888, 891, 894.
Crisafio, potente eunuco nella corte di Teodosio II, [866] II, 515. Odia san Flaviano, 529. E l'abbatte, 535. Sua caduta e morte, 546.
Crisargiro, tributo abolito: voce greca, cioè oroargento, II, 709.
Crisolora (Manuello), accende in Italia lo studio della lingua greca, V, 899.
Crispina, moglie di Commodo Cesare, I, 571. Relegata, e poi fatta morire da lui, 621.
Crispino (Rufo), prefetto del pretorio, deposto, I, 184.
Crispino (Tullio), prefetto del pretorio sotto Giuliano, I, 641.
Crispo (Giulio), perchè ucciso da Severo Augusto, I, 678.
Crispo (Flavio Valerio Giulio), figlio di Costantino il Grande, creato Cesare, I, 1141. Sua vittoria degli Alemanni, 1148, 1150. Va a Roma, 1154. Milita contro di Licinio, 1161. Levato di vita dal padre, 1177.
Cristiani: perseguitati sotto Nerone, I, 234. Sotto Domiziano, 338, 361, 362. Sotto Traiano, 411. Uccisi dai Giudei, 469, 470. Perseguitati sotto Adriano, 478. Sotto Antonino Pio, 494. Sotto Marco Aurelio, 555. Impetrano la pioggia all'armata di esso Augusto, 564. Indulgenza di Commodo verso di loro, per cui se ne dilatò moltissimo il numero, 621. Persecuzion d'essi sotto Severo, 684. Amati da Alessandro Augusto, 776. Perseguitati da Massimino, 817. Favore che godono sotto i due Filippi, 851. Perseguitati da Decio, 865. Sotto Gallo e Volusiano, 873. Favoriti sul principio da Valeriano, 878, 879. Poscia da lui perseguitati, 886, 887. Vessati da Aureliano, 972. Persecuzione mossa da Diocleziano contro di essi, 1053. Lor pace e libertà sotto Costantino il Grande, 1143, 1165, 1171. Licinio gli scaccia dalla sua corte, 1148. Poi li perseguita, 1158. Persecuzione mossa da Sapore re di Persia contro di essi, II, 15, 16. Da Giuliano l'Apostata, 123. Da Isdegarde re di Persia, 381.
Cristiani (Reltrame), conte e gran cancelliere della Lombardia Austriaca: suoi rari pregi, VII, 500.
Cristiano, eletto arcivescovo di Magonza, IV, 794. Sconfigge i Romani, 805. Mandato da Federigo Augusto per sostenere il suo partito nella Romagna, ma inutilmente, 820. Spedito nuovamente in Italia dallo stesso imperadore, 828, 829. Mette i Pisani al bando dell'imperio, 832, 836. Fa la guerra in Toscana, 836. Assedia Ancona, 840. Suoi malvagi costumi, 841. Fa guerra ai Romagnoli e Bolognesi, 848. Spedito a Roma, 854. Fa guerra in Puglia, 855. Abiura lo scisma, 861. Sconfitto e preso da Corrado di Monferrato, 871, 872. Rimesso in libertà, [867] 879. Termina con discredito i suoi giorni, 884.
Cristiano (Federico), V. Federico Cristiano.
Cristiano o Cristierno, re di Danimarca, va a Roma, VI, 50.
Cristina, regina di Svezia, va a Roma, VI, 1201; VII, 25. Sua morte, 78.
Cristina, sorella di Lodovico XIII re di Francia, e duchessa di Savoia, prende la reggenza degli Stati, VI, 1083. Conferma la lega coi Franzesi, 1086. Abbandona ai medesimi sè stessa e il Piemonte, 1088. Guerra a lei fatta da' principi cognati, 1092. Occupato da essi Torino, ella va a Susa, 1096. Fa pace con essi, 1111. Sua morte, 1234.
Cristo Gesù, adorato insieme cogli altri dei da Alessandro imperadore, I, 775, 776.
Cristoforo, duca di Roma, III, 145.
Cristoforo, patriarca di Grado, III, 100.
Cristoforo, d'Olivolo, III, 438, 447, 455, 525.
Cristoforo papa, o piuttosto usurpator della Sede pontificia. III, 956. È deposto, 959, 960.
Cristoforo Moro, doge di Venezia, V, 1274. Cessa di vivere, VI, 40, 41.
Cristoforo Colombo, scuopre le Indie Orientali, VI, 113.
Croati, convertiti alla fede di Cristo, II, 1202.
Croce, sopra cui morì il nostro Signore Gesù Cristo, presa dai Persiani nel saccheggiar Gerusalemme, II, 1155. Ricuperata da Eraclio imperadore, 1196. Riportata in Gerusalemme, 1197. Asportata in Costantinopoli, 1207.
Crociata pubblicata da papa Urbano II nel concilio di Chiaramonte, IV, 464, 469. Italiani ad essa concorsi, 471.
Crociata dei Franchi, 977. Con Arrigo Dandolo doge di Venezia prende Zara, 979. Va a Costantinopoli, 981. E la prende per forza, 982. Crea imperadore ivi Baldovino conte di Fiandra, 985.
[868]
Crodegango, vescovo di Metz, III, 251, 403.
Cronologia di Teofane, difettosa nei testi, II, 1123.
Crotska: battaglia ivi coi Turchi svantaggiosa agli imperiali, VII, 454, 455.
Crouzas: sua temeraria censura contra sant'Ambrogio, II, 291.
Crummo o Crunno, re dei Bulgari. Dà una rotta a Niceforo imperadore, in cui questi rimane ucciso, III, 476. Pone in fuga Michele imperador de' Greci, 483.
Cunegonda, moglie di Bernardo re d'Italia, III, 519. Donazione da lei fatta al monistero di Santo Alessandro di Parma, 593.
Cunegonda (Santa), imperadrice, moglie di Arrigo I Augusto, IV, 59. Suoi fratelli fan guerra ad esso Arrigo, 83, 84. Cala in Italia coll'Augusto consorte, 101. Coronata imperadrice, 102. Sua morte e santità, 144.
Conegonda de' principi Guelfi, maritata con Azzo II marchese d'Este, IV, 239. Madre di Guelfo IV progenitore della casa di Brunsvich, 276. Sua morte, ivi.
Cuneo, assediato invano dai Gallispani, VII, 538. Sciolto quell'assedio, 540.
Cuniberto, figlio di Bertarido re de' Longobardi, II, 1276; III, 39. Dichiarato re dal padre, 54. Impetra ed ottiene da suo padre il perdono ad Alachi ribello duca di Trento, 60. Succede al padre, 76. Ribellione di Alachi contro di lui, 79, 80. Rientra in Pavia, 81. Battaglia e morte da lui data al tiranno, 84, 85. Fa cavare gli occhi ad Ansfrido usurpatore del Friuli, poi lo esilia, 90, 91. Suoi sospetti contro Aldone e Gransone, 93. Fine di sua vita, 105. Monisteri da lui fondati, ivi, 106. Suo epitaffio, 111, 112.
Cuniberto, vescovo di Torino, IV, 322.
Cunimondo, re dei Gepidi, II, 936. Vinto ed ucciso da Alboino re de' Longobardi, 986.
[869]
Daci, chiamati anche Geti e Goti, fanno guerra ai Romani, I, 339.
Dagalaifo generale di Giuliano Augusto, II, 104, 143, 148.
Dagiberto, abbate di Farfa, III, 1078.
Dagoberto, figlio di Clotario II re de' Franchi, dichiarato re dell'Austrasia, II, 1172. Succede al padre nella monarchia franzese, 1196. Suoi ambasciatori ad Arioaldo re de' Longobardi, 1204. Sua guerra con gli Sclavi, 1209. Varie sue leggi, 1217. Muore, 1220.
Dagoberto II, re de' Franchi, II, 1264; III, 36. Viene ucciso, 53.
Dagoberto III, re de' Franchi, III, 137. Sua morte, 151.
Daimberto, primo arcivescovo di Pisa, IV, 454. Creato patriarca di Gerusalemme, 483.
Daja o Daza. V. Massimino (Caio Galerio Valerio).
Dalmazia, signoreggiata da Teoderico re d'Italia, II, 752. Viene in potere di Giustiniano, 858. Di nuovo sottomessa dalle sue armi, 863. Molte città marittime di essa soggette all'imperadore Lodovico II Augusto, III, 735.
Damaso, pontefice romano eletto nello scisma, II, 156, 176, 225. Giugne al fine de' suoi giorni, 250.
Damaso II papa. Sua elezione IV, 242. Suo breve pontificato, ivi, 243.
Dame romane; loro glorioso zelo per la liberazione di papa Liberio, II, 77.
Damiano, vescovo di Pavia, III, 54, Uomo santo, 80.
Damiano, arcivescovo di Ravenna, III, 86. Sua morte, 127.
Damiano Cossadoca, vescovo eletto di Verona, IV, 1271.
Damiata, presa dall'armi cristiane, IV, 1039, 1209. È restituita a' Saraceni, 1048, 1217.
Danesi (Corsari), popoli pagani del Baltico. Loro prima irruzione nella Gallia, II, 796.
[870]
Dandoli, dogi di Venezia, V. i loro rispettivi nomi.
Dante Alighieri, sua morte in Ravenna, V, 424.
Dardano, prefetto del pretorio nelle Gallie, lodato dai santi Agostino e Girolamo, II, 417.
David, re di Etiopia, manda una lettera a papa Clemente VII, VI, 495.
Dazio, arcivescovo di Milano, II, 857. Va a Roma, 871. Orrori da lui descritti prodotti in Italia, e specialmente in Milano, dalla carestia e dalla guerra, 876, 877. Tenta di liberar Milano dai Goti, 878. Sostiene il papa Vigilio contro l'Augusto Giustiniano, 938.
Decebalo, re o capitano dei Daci, fa guerra ai Romani, I, 339. Tratta con essi di pace, 341, 343. E con suo gran vantaggio la ottiene, 344, 390. Muove guerra a Traiano, 390, 391. A' cui piedi infine si umilia, 395. Gli torna a far guerra, 398, 405. Si uccide, 405.
Decennali: loro origine, I, 38.
Decenzio (Magno), fratello di Magnenzio, creato Cesare, II, 32, 44. Si uccide da sè stesso, 55.
Decio (Caio Messio Quinto Traiano), spedito contro ai ribelli da Filippo Augusto, e proclamato imperadore, vince ed uccide lo stesso Filippo, I, 861. Suoi figli, 864. Persecutor de' cristiani, 865. Miseramente muore, 869.
Dei dell'Egitto: loro culto proibito in Italia, I, 60.
Delmazio (Flavio), figlio di un fratello di Costantino il Grande, I, 1197. Creato Cesare, 1205, 1206. Paese a lui assegnato da esso Costantino, 1209. Ucciso da Costanzo Augusto, 1222.
Demetrio, filosofo cinico, relegato, I, 303.
Demetrio, re di Tessalia, figlio di Bonifazio marchese di Monferrato, IV, 994. Viene a lui confermato dall'imperadore Teodoro Comneno il regno di Salonicchi, 1033. Spogliato del regno, 1041, 1063.
Demostene, capitano di Cesarea, I, 906. Sua bravura, 907.
[871]
Demostrato, eloquente deputato degli Ateniesi a Marco Aurelio, I, 561.
Deodato, vescovo di Parma, III, 1106.
Deogratias, vescovo di Cartagine, II, 567. Sua grande carità e morte, 583, 584.
Desiderio, fratello di Magnenzio, creato Cesare, II, 32. Da lui stesso privato di vita, 55.
Desiderio duca, non già di Toscana, aspira al regno de' Longobardi, III, 264. Sale sul trono, 265. Fa guerra ai duchi di Spoleti e di Benevento, 271. Sua andata a Roma, 272, 278. Coopera alla deposizione di Costantino falso papa, 290, 291. Sue liti coi Romani, 297. Sua ambasceria a papa Adriano, 309. Occupa varie città della Chiesa romana, 311. Rigettato da papa Adriano, 313. Guerra a lui mossa da Carlo Magno, 314. Assediato in Pavia, 315. Si rende ed è mandato in esilio, 318, 319.
Desiderio, abbate di Monte Casino, IV, 282. Creato cardinale, 288. Manda monaci in Sardegna, 319. Suo zelo e mansuetudine, 320. Fabbrica la basilica di Monte Casino, 322. La cui dedicazione è fatta da papa Alessandro II, 347. Chiamato da Arrigo IV, 414, 418. Rifiuta il pontificato, 424 È creato papa, 428. V. Vittore III.
Desippo, storico, capitano degli Ateniesi, I, 930, 931.
Destro (Domizio), prefetto di Roma sotto Severo, I, 653.
Deusdedit, arcivescovo di Milano, II, 1113.
Deusdedit papa. Sua consecrazione, II, 1158. Accoglie cortesemente Eleuterio esarco di Ravenna, 1163. È rapito dalla morte, ivi.
Deusdedit, figlio di Orso doge di Venezia, richiamato dall'esilio in patria, III, 210. Creato maestro de' militi, 212. Eletto doge, 230. Da Costantino Copronimo gli è conferito il titolo d'ipato, ivi. Ucciso dal popolo, 263.
Deusdedit, vescovo di Modena, III, 535.
Deusdedit, abbate di Monte Casino, III, 591.
Diadumeniano, figlio di Macrino Augusto, I, 744. Creato Cesare, e principe della gioventù, ivi. Gli è tolta la vita, 753.
Diana: suo tempio in Efeso incendiato dai Goti, I, 912.
Digesti, quando pubblicati da Giustiniano imperadore, II, 852.
Diluvio d'acque terribile in Italia, II, 1070.
Diocleziano (Caio Valerio), console, I, 1003. Proclamato imperadore, 1007. Abbattuti i suoi competitori, regna solo, 1010, 1011. Sue azioni e qualità prima che conseguisse l'imperio, 1011, 1012. Ricupera le provincie occupate da' Persiani, 1019. Sconfigge i Sarmati, 1022, 1035. Crea Cesare Costanzo Cloro, 1027. Si fa adorare qual dio, 1034. Sua crudeltà contro gli Alessandrini, [872] 1039. Dà con suo vantaggio la pace ai Persiani, 1045. Insigni fabbriche da lui fatte in Antiochia, 1048. Terme Diocleziane da lui fatte in Roma, 1050. Altre sue lodevoli azioni, 1052. Muove persecuzione contro i cristiani, 1053. Sua crudeltà contro gli Antiocheni e suo trionfo in Roma, 1056, 1057. Forzato da Galerio a deporre l'imperio, 1061, 1062. Suo ritiro in Dalmazia, 1063. Suo detto, 1081. Fine di sua vita, e sue qualità, 1119.
Diogene, filosofo cinico a' tempi di Vespasiano, I, 312.
Diogene Laerzio, storico sotto Severo Augusto, I, 713.
Dione Grisostomo, insigne oratore e filosofo, cacciato di Roma, I, 363. Amato e onorato da Traiano, 397.
Dione Cassio, storico, interviene agli spettacoli di Commodo, I, 627. Suo sensato giudizio intorno la caduta di Plauziano, 695. Accompagna Caracalla ne' suoi viaggi, 728. Quando terminasse la sua storia, 789. Creato console, 793. Si ritira alla sua patria, 794.
Dionigi Esiguo, monaco. Ha il merito di aver messa in credito l'Era cristiana in Occidente, I, 6; II, 827, 828.
Dionisio, da Mileto, eccellente oratore sotto Adriano Augusto, I, 459.
Dionisio, romano pontefice, I, 894. Sua morte, 943.
Dionisio (San), vescovo di Alessandria, I, 863, 878, 886.
Dionisio (Elio), prefetto di Roma, I, 1050.
Dionisio, vescovo di Piacenza, IV, 322.
Dioscoro, vescovo di Alessandria, eretico, II, 520, 522. Abbatte san Flaviano, 535. Condannato nel concilio calcedonense, 548.
Dioscoro antipapa. Sua elezione, e poco di poi muore, II, 838.
Docibile, duca di Gaeta, III, 785. Sue liti col principe di Capoa, 835.
Dodone, vescovo di Novara, III, 672.
Dodone, vescovo di Modena, IV, 517.
Dogi (due) in Venezia ad un tempo, III, 337, 338.
Dolabella (Publio), proconsole dell'Africa, I, 72.
Dolabella (Gneo Cornelio), illustre romano, ucciso da Vitellio, I, 273.
Domenico Leone, maestro de' militi eletto capo del governo in Venezia, III, 206.
Domenico Monegario, doge di Venezia, III, 267.
Domenico, vescovo di Malamocco, III, 983, 984.
Domenico Gradenico, ossia Gradenigo, vescovo di Venezia, IV, 155.
Domenico Orseolo, doge di Venezia, IV, 174.
Domenico Fiabanico, o Flabanico, doge di Venezia, IV, 174, 218.
[873]
Domenico, patriarca di Grado, IV, 218.
Domenico, vescovo di Venezia, IV, 218.
Domenico (San), abbate di Sera, IV, 170.
Domenico Contareno, doge di Venezia, IV, 218, 220, 227, 318. Sua morte, 349.
Domenico Silvio, doge di Venezia, IV, 349. Assegno di beni da lui fatto alla chiesa di Grado, 364. Deposto, 422, 423.
Domenico Michele, doge di Venezia, IV, 558. Muove guerra all'imperador de' Greci, 587. Sua vittoria sugli infedeli, ivi. Loro toglie Tiro, 590, 591. Sua morte, 615.
Domenico Morosini, doge di Venezia, IV, 698. Ricupera alcune città, 701. Sua morte, 738.
Domenico (San), institutore dell'ordine de' predicatori. Sua morte, IV, 1052. È canonizzato, 1119.
Domenico da Campofregoso, doge di Genova, V, 726. Manda un'armata in Cipri, 735. Deposto e imprigionato, 768.
Domenico Capranica, cardinale, V, 1238.
Domitilla (Flavia), moglie di Vespasiano, che fu poi imperadore, I, 304, 305.
Domitilla (Flavia), nipote di Domiziano, relegata muore martire, I, 362.
Domitilla (Flavia), nipote di Tito Flavio Clemente console, muore martire, I, 362.
Domizia, zia paterna di Nerone, da lui uccisa, I, 216.
Domizia Augusta, moglie di Domiziano imperadore, I, 328. Tolta ad Elio Lamia Emiliano, 355. Di lei non si fida Domiziano, 365. Ed essa congiura contra di lui, 366, 367.
Domiziano Augusto. Sua nascita, I, 183. Si salva nella presa del Campidoglio, 283. Proclamato Cesare, 285. Succede nell'imperio a Tito suo fratello, 327. Bei principii del suo governo, 328. Magnifiche sue fabbriche, 330. Va a guerreggiar contro i Germani, 332. Trionfo suo in Roma, 333. Giuochi capitolini da lui istituiti, 336. Altri suoi spettacoli, ivi, 337. Vuole il titolo di signore e dio, 338. Va a guerreggiar contro i Daci, 341. Suo trionfo, e spettacoli da lui dati in tale occasione, 345, 346. Ribellione di Lucio Antonio contra di lui, 349. Sua boria e prosunzione, 353. Crudeltà enorme, 354. Va alla guerra contra i Sarmati, 356. Altre sue crudeltà, 357, 360. Diffida fin della moglie, 365, 367. Ucciso dai congiurati, 368.
Domiziano, prefetto del pretorio d'Oriente, II, 63. Fatto uccidere da Gallo Cesare, ivi.
Domizio Africano, console, I, 124. Con qual arte si salvasse dalla crudeltà di Caligola, 125.
Donatisti, loro scisma, I, 1130. Loro eresia nell'Africa, II, 405, 418.
Donato, vescovo di Cartagine, eresiarca, I, 1186.
[874]
Donato (Giunio), prefetto di Roma sotto Valeriano, I, 887.
Donato, patriarca di Grado, III, 162. Fine di sua vita, 173.
Donato, vescovo di Jadra, III, 455.
Donato, vescovo d'Ostia, III, 720.
Donazione di Costantino alla Chiesa romana, creduta vera anche ai tempi di papa Adriano, III, 332. Accreditata nel secolo XI, IV, 291.
Donnino, ambasciatore di Valentiniano II, spedito a Alassimo tiranno, II, 269.
Douniverto, abbate della Novalesa, III, 968.
Dono papa. Sua elezione, III, 46. Fa tornare alla obbedienza, Reparato arcivescovo di Ravenna, 47. Manca di vita, 52.
Dono II papa. Sua elezione, III, 1209. Dà fine a suo vivere, 1211.
Doria, dogi di Genova, V. i loro nomi rispettivi.
Drogone, vescovo di Metz, III, 587, 636, 637.
Drottegango, abbate di Gorzia, III, 251.
Drottulfo, Svevo. Sue prodezze al servizio de' greci Augusti, II, 1057.
Drusilla (Giulia), figlia di Germanico Cesare, maritata con Lucio Cassio Longino, I, 84. Da Caligola suo fratello tenuta come moglie, 120. Muore, 121.
Druso (Nerone), figlio di Tiberio, I, 15, 38. Spedito nella Pannonia, 44. Va alla guerra di nuovo 55, 59. Conferita a lui la tribunizia potestà, 66. Sua morte immatura, 68.
Druso, figlio di Germanico, I, 59. Fatto morire di fame da Tiberio, 97.
Druso, figlio di Claudio, che fu poi imperadore Sua morte, I, 63.
Du-Bois creato cardinale, sua morte, VII, 306, 307.
Duca di Nemours, vicerè in Napoli di Lodovico XII re di Francia, VI, 193. Sua morte, 208.
Duca di Termine, difende Verona contro i tentativi dei Veneti, VI, 257.
Duca di Borbone (Carlo), governator di Milano per Francesco I, VI, 329. Difende Milano contro i cesarei, 336, 337. Torna in Francia con dimettere il comando, 338. Fugge in Germania, 394. Viene in Italia, 400. Persuade l'andata in Provenza dell'esercito cesareo, 404. Occupa Milano, 424. Si muove verso Roma, 432, 433. Sue azioni nel viaggio, 434. Nell'assalto dato a Roma è ucciso, 438, 439.
Duca Valentino (V. Cesare Borgia). Acquista Faenza, e suo tradimento, VI, 181. Dichiarato duca della Romagna, 182. Fa guerra a Bologna, ivi. Suo tentativo contro Firenze, 183. Interviene alla presa di Capoa, 186, 187. Assedia Piombino, 189. Per tradimento acquista il ducato di Urbino e Camerino, 191, 192. Riacquista [875] la grazia di Lodovico XII re di Francia, 194. Tradisce ed uccide molti signori d'Italia, 195. S'impadronisce di Perugia, 197. Avvelenato in una cena, 198, 199. Sua infermità e caduta alla morte del padre, 201. Rifugiato in castello Sant'Angelo, 203, 204. Liberato e rimesso in prigione, 206. È mandato in Ispagna, dove viene ucciso, 212.
Duca d'Alba (Ferdinando di Toledo), vicerè di Napoli, muove guerra al papa, VI, 653. Indarno chiede la pace, 655. Fa ritirare il duca di Guisa, 660. Infine ottiene la pace, 665. Va a Roma, e rende pubblica ubbidienza al papa, 666. Mandato al governo de' Paesi Bassi, 724. Sua crudeltà, 733. Chiede ed ottiene di tornare in Ispagna, 760. Ultimo tratto di barbarie a lui attribuito, 792. Sua morte, ivi.
Duca di Feria, governator di Milano, sostiene il partito de' cattolici nella Valtellina, VI, 974. Suoi progressi in quella guerra, 983. Assiste ai Genovesi contro il duca di Savoia, 999. Difende Genova contro i Gallo-Savoiardi, 1003. Passa in Germania in aiuto di Ferdinando II imperatore, 1061, 1062.
Duca di Guisa, generale de' Franzesi, spedito in soccorso di papa Paolo IV, VI, 655. Sue imprese, 659, 660. Richiamato in Francia, 666. S'impadronisce di Cales, 668. Assassinato ed ucciso dagli ugonotti, 704.
Duca di Guisa (Arrigo di Lorena), forma il disegno [876] di conquistare il regno di Napoli, VI, 1160. Fu dichiarato doge di quella repubblica, ivi. S'impadronisce di Aversa, 1162. Si compera l'odio di tutti, 1164, 1165. Fugge ed è fatto prigione, 1166. Nuovo suo tentativo contro Napoli, 1189.
Duca d'Ossuna, vicerè di Napoli, fa guerra ai Veneziani, VI, 961. Congiura a lui attribuita contro Venezia, 968. Suo bizzarro ingegno, e sospetti della corte di Madrid contra di lui, 976. Torna in Ispagna, e muore prigione, 978.
Ducati: erano una volta piuttosto governi che feudi, II, 1169.
Ducato del Friuli: suo principio, II, 999, 1020.
Ducato di Benevento e Spoleti, quando istituiti, 1020, 1069.
Duchi: dividono e governano dopo il re Clefo il regno dei Longobardi, II, 1020.
Duello: autenticato da Gundobado re de' Borgognoni, II, 740. Riprovato dal re Teoderico, 757. Suo abuso moderato dal re Grimoaldo, III, 30. Detestato dal re Liutprando, 171. Una volta familiare e permesso, IV, 254, 255.
Duello famoso a Trani fra tredici soldati italiani ed altrettanti franzesi, in cui i primi rimangono vincitori, VI, 207.
Dulcino, eretico manicheo, bruciato vivo colla moglie, V, 316.
Dungalo, monaco, difensore delle sacre immagini, III, 559, 568.
[877]
Ebbone, vescovo d'Arles, III, 194.
Ebbone, arcivescovo di Rems, III, 553. Alla testa di molti vescovi franzesi per detronizzare l'Augusto Lodovico, 585. Confessa i suoi falli e si dimette, 592.
Eberardo duca del Friuli, III, 652. Va ambasciatore pel re di Germania all'Augusto Lodovico, 685. Suoi figliuoli, 711. Suo testamento e sua morte, 717. Fu marito di Gisla figlia di Lodovico Pio, ivi, 781, 782.
Eberardo, vescovo di Bamberga, IV, 138.
Ebroardo, conte del sacro palazzo, III, 432.
Eccelino, avolo di Eccelino il crudele, IV, 846.
Eccelino da Onara, padre del crudele, si fa monaco, IV, 1084. Si scopre eretico paterino, ivi.
Eccelino da Romano, prende un po' d'autorità, in Verona, IV, 1068. Creato ivi podestà, dà principio alla sua potenza, 1080. S'impadronisce di Vicenza, ivi. Fa guerra a' Padovani, 1084. Corre in soccorso dei Veronesi, 1095. Caro a Federigo II Augusto, 1105. Introduce le di lui armi in Verona, 1107. Lo sollecita a calare in Italia, 1129. Caccia di Verona il conte di San Bonifazio e i suoi parziali, 1134. Si oppone all'armata dei Padovani, Trivisani e Vicentini contro di lui collegatisi, 1135. Chiama in suo aiuto l'imperadore Federigo, ivi. Entra in Padova, 1140. Comincia a dominare in essa città, ivi. Sposa una figlia bastarda dell'imperadore, 1146. Difende Padova contra il marchese d Este, 1150. A cui fa guerra, 1151. Prende Montagnana, 1173, 1174. Dà principio alle sue crudeltà, 1180. Va, in aiuto di Federigo II, all'assedio di Parma, 1202. Varie città e castella da lui conquistate pell'imperadore Federigo, 1207. Scomunicato da papa Innocenzo IV, ivi, 1237. Occupa Belluno, Monselice, Este ed altre terre, 1214, 1215. Sue crudeltà e pericolo di vita da lui corso, 1237. Fa guerra a Mantova, 1255. Gli è tolta Padova [878] dai crocesignati, 1257. Sua esecranda crudeltà contra i Padovani, ivi. Indarno tenta di ricuperare Padova, 1258. Infierisce contro i Veronesi, 1262. Dà una rotta ai Bresciani, 1271. Si impadronisce della lor città, ivi. Lusingandosi di conquistar Milano, s'invia a quella volta e si trova deluso, V, 11. Sconfitto e ferito dà fine alla empia sua vita, 14.
Ecdicio, figlio dell'imperadore Avito, generale dei Romani nelle Gallie, alla difesa della città d'Auvergne, II, 653. Richiamato in Italia, 655.
Echerigo, conte del palazzo, III, 433.
Eclana, città della Puglia, di cui fu vescovo Giuliano pelagiano, IV, 123.
Edelberto (Santo), re d'Inghilterra, II, 1142.
Edoardo, principe d'Inghilterra. Va per adempiere il suo voto in terra santa, ed è sorpreso da un'orribile burrasca, V, 88.
Edobico, generale di Costantino tiranno, II, 413.
Efrem, patriarca di Antiochia, II, 825.
Egidio, generale dell'armata romana, II, 594, 614. Sua vittoria contro i Goti, 614, 615. Eletto re de' Franchi, è quindi costretto a ritirarsi, 613, 617. Sua morte, 619.
Egidio, arcivescovo di Ravenna, IV, 994.
Egidio Albornoz, cardinale spedito in Italia, preso per protettore da' Romani, V, 635. Umilia i Malatesti, 646. Conquista varie città, 647. Richiamato in Avignone, 659. Prende Cesena, ivi. Torna in Italia, 670. Tenta inutilmente d'occupare Firenze, 673. S'impadronisce di Forlì, ivi, 674. A lui ceduta Bologna da Giovanni da Oleggio, 675. Sua lega contro i Visconti, 686. Cessa di vivere, 709.
Egidio Mugnos, canonico di Barcellona, eletto antipapa dopo la morte di Pietro di Luna, V, 1044, 1051. Rinunzia il papato, e per grazia viene eletto vescovo di Maiorica, 1077.
Egira: era dei Maomettani, II, 1172.
[879]
Egitto; facilmente soggetto alla peste, III, 42.
Elagabalo Augusto (V. Bassiano). Suo mal animo verso il cugino Alessandro, I, 764. Suoi tentativi per levarlo dal mondo, 765. Resta egli ucciso colla madre, 768.
Elefante mandato a papa Leone, VI, 315.
Elena, madre di Costantino il Grande, moglie di Costanzo Cloro, I, 1070. Va a Roma, 1154. Suo dolore per la morte di Crispo Cesare, 1178. Sua andata a Gerusalemme, e morte, 1182.
Elena (Flavia Giulia), sorella di Costanzo Augusto maritata a Giuliano Cesare, II, 71. Rapita dalla morte, 100.
Eleuterio, romano pontefice, I, 555. Sua gloriosa morte, 604.
Eleuterio, esarco di Ravenna, II, 1160. Ricupera Napoli, 1163. Ribellatosi, resta ucciso, 1166.
Elia Petina, moglie di Claudio, che fu poi imperadore, I, 147.
Elia, vescovo di Gerusalemme, cacciato in esilio da Anastasio Augusto, I, 787.
Elia, patriarca d'Aquileia. Suo concilio, II, 1037. Lettera a lui scritta da papa Pelagio, 1059. Cessa di vivere, 1060, 1061.
Elia, vescovo di Troia, IV, 856.
Eliano (Lucio), o Lolliano, usurpator dell'imperio nelle Gallie, I, 926.
Eliano (Lucio), usurpator dell'imperio nelle Gallie sotto Diocleziano, I, 1014.
Elipando, arcivescovo di Toledo, III, 393. Sua eresia, ivi.
Elisabetta, succede nel regno d'Inghilterra a Maria sua sorella, VI, 673. Rigettata da papa Paolo IV, 675. Scomunicata da papa Pio V, 745. Toglie di vita Maria regina di Scozia, 815. Cadice presa dalle sue armi, 862. Sua morte, 902.
Elisacaro, abbate di Centulae, 574.
Ellac, figlio di Attila, resta ucciso in una battaglia, II, 571.
Elmigiso, fratello di latte d'Alboino, re de' Longobardi. D'accordo con Rosmonda fa uccidere il fratello, II, 1114, 1115. Sposata Rosmonda, fuggono insieme a Ravenna: loro fine, 1016.
Elvidio il giovane, fatto morire da Domiziano, I, 358.
Emiliano (Elio Lamia), privato della moglie e della vita da Domiziano, I, 355.
Emiliano, proconsole dell'Asia. È sconfitto da Severo, I, 656.
Emiliano (Marco Giulio), proclamato imperadore, abbatte Gallo e Volusiano, I, 876. Ucciso dai suoi soldati, 877.
Emiliano, diverso dall'altro, usurpa l'imperio, I, 97
Emma, figlia di Lottario II re d'Italia, moglie di [880] Lottario re di Francia, III, 1113, 1178. Accusata dal figliuolo Lodovico di pratica scandalosa con Adalberone vescovo di Laon, 1258.
Emmanuel Filiberto, duca di Savoia, succede al padre, VI, 631. General supremo delle armi cesaree, 632. Governatore de' Paesi Bassi, 646. Dà una grande sconfitta ai Franzesi a San Quintino, 664. Prende in moglie una sorella del re di Francia, e ricupera la Savoia, 679. Grave pericolo da lui corso, 690. Ricupera Torino ed altri luoghi, 698. Manda aiuto a Cesare contro il Turco, 722. Accoglie Arrigo III, re di Francia, 765. Ricupera Pinerolo, ivi. Cessa di vivere, 783.
Emmingo, re di Danimarca, III, 478. Sua morte, 481.
Empirico (Sesto), scrittore a' tempi di Marco Aurelio, I, 591.
Enea Silvio, vescovo di Crema, che fu poi papa Pio II, V, 1224. Sua eloquenza e destrezza nei maneggi, 1242. Creato cardinale, 1244. Creato papa, 1252. V. Pio II.
Ennodio, vescovo di Pavia, II, 698. Suo panegirico in onore del re Teoderico, 760. Spedito per legato in Levante da papa Ormisda, 791, 796. Fine de' suoi giorni, 807.
Enobarbo (Gneo Domizio), padre di Nerone imperadore, prende in moglie Agrippina figlia di Germanico, I, 80. Creato console, 93.
Enotico: editto di Zenone Augusto, II, 682.
Enrico o Arrigo duca del Friuli, III, 401, 404, 419.
Enrico o Arrigo, figlio di Riccardo d'Inghilterra re de' Romani, assassinato in chiesa da Guido di Monforte, V, 91.
Enrico o Arrigo VIII, re d'Inghilterra, entra in lega contro Francesco I re di Francia, VI, 344. Suo abboccamento con Carlo V, 357. Fa lega colla Francia, 420. È scomunicato da Clemente VIII, a cagione del suo divorzio con Caterina d'Austria, 500. Sua lega con Carlo V, 558. Prende Bologna di Picardia, 570. Fa pace col re di Francia, 576. Muore lasciando il suo nome in obbrobrio alla posterità, 582.
Enriquez (Enrico), nunzio apostolico a Madrid, assicura la libertà alla repubblica di San Marino, VII, 459.
Enzo, figlio di Federigo II, prende in moglie Adelaide di Sardegna, IV, 1147. È creato re di Sardegna, ivi. Scomunicato da papa Gregorio IX. 1159. Sua vittoria sulla flotta genovese, 1167. Varie sue imprese, 1175, 1180, 1181, 1190. Assedia Parma, 1200. Sconfitto e preso dai Bolognesi, 1212. Sua morte, V, 97.
Epafrodito, potente liberto di Nerone, I, 236. Aiuta questo tiranno a darsi la morte, 255. Condannato a morte da Domiziano, 363.
[881]
Epagato, autore della morte di Ulpiano giureconsulto, ucciso, I, 790.
Epidemia bovina in Italia, VII, 244
Epidemia bovina in Lombardia, VII, 568, 569, 648, 675.
Epifanio (Santo), vescovo di Pavia. Sua ambasceria ad Antemio Augusto, II, 640. Altra a Teoderico re de' Goti, 702. Che lo lascia custode della madre e delle sorelle, 704. Spedito a Gundobaldo re de' Borgognoni, 719. Sua morte, 725.
Epifanio, prefetto di Roma, II, 377.
Epifanio patriarca di Costantinopoli, II, 805. Creato vicario della Sede apostolica, 807. Lettera a lui scritta da Giustiniano imperadore, 852. Muore, 859.
Epitetto, insigne filosofo, cacciato da Roma, I, 363. Suoi utili insegnamenti, 370. Amato da Adriano Augusto, 458, 484.
Equizio, generale di Valentiniano I Augusto, II, 148. Da lui mandato in Levante contro il ribelle Procopio, 151. Assedia vanamente Filippopoli, 161. Creato console, 187. Sua morte, 212.
Era cristiana volgare: anno in cui principiò, I, 6.
Eraclammone, ricco cittadino di Tiana, tradisce la sua patria, I, 960.
Eracleona, imperadore eletto e deposto, II, 1226, 1227.
Eracleone (Flavio), generale d'Alessandro imperadore, ucciso dai soldati, I, 791.
Eracliano, prefetto del pretorio sotto Gallieno, I, 931. Sua congiura contra di lui, 933. Suo progetto di crear Claudio imperadore, 937.
Eracliano, conte governatore dell'Africa, II, 385. Fedele ad Onorio Augusto, 399. Creato console: suoi vizii, 419. Ribellatosi, è sconfitto ed ucciso, 421.
Eraclio Edesseno, generale di Leone Augusto, spedito contro Genserico, II, 635.
Eraclio, governatore dell'Africa, si solleva contro Foca, II, 1140. Spedisce il figlio Eraclio contra di lui, ivi. Sua armata navale sotto Costantinopoli, 1141.
Eraclio, figlio dell'antecedente, dopo aver ucciso Foca, è proclamato imperadore, II, 1141, 1142. Sue seconde nozze, 1155. Più provincie a lui occupate dai Persiani, 1160. Suoi ambasciatori fatti morire da Cosroe re di Persia, 1161. Vuol fuggire in Africa, 1162. Esce di Costantinopoli per recarsi ad Eraclea, onde abboccarsi con Cacano re degli Unni, 1165. Da cui gli è macchinato un tradimento, ivi. Fa pace con lui, 1166, 1167. Suo preparamento contra i Persiani, 1168. Felicemente comincia la campagna, 1171. Dà il guasto alla Persia, 1172. Mette in rotta più corpi di Persiani, 1174, 1175. Felice continuazione [882] di essa guerra, 1181. Accoglie Ziebelo capo dei Turchi, 1185, 1186. Ricupera molte provincie, 1188. Dà una rotta all'esercito persiano, 1190. Dà alle fiamme i palazzi di Cosroe, 1193. Glorioso fine di quella guerra colla morte di Cosroe, 1195. Ricupera la vera croce del Signore, 1196. E la riporta a Gerusalemme, 1197. Sua liberalità verso la chiesa di Grado, 1201. Abbraccia l'eresia dei monoteliti, 1202. Guerra a lui mossa da' Saraceni, 1206. Che gli occupano Damasco e l'Egitto, 1212. È accusato dal Baronio, 1214, 1215. Dà fine al suo vivere, 1225.
Eraclio (Flavio Costantino), figlio di Eraclio imperadore. Sua nascita, I, 1148. È dichiarato Augusto, 1152. Nascita di Costante suo figlio, 1199. Succede al padre, e poco dopo muore, 1226.
Eraclio, fratello d'Absimaro, impiccato, III, 121.
Erarico, creato re dai Goti, ed ucciso, II, 891, 892.
Eras, filosofo cinico. Gli è tagliato il capo, I, 313.
Ercolano (Santo), vescovo di Perugia, ucciso, II, 920.
Ercole Estense, abbraccia il partito dell'Angioino, V, 1260. Va contro i Fiorentini, VI, 24. Dove rimane ferito in un piede, per cui rimane zoppo, ivi. Succede a Borso nel ducato di Ferrara, 39. Suo matrimonio con Leonora figlia del re Ferdinando, 45. Tentativo di Niccolò Estense, suo nipote, per torgli Ferrara, 52. Generale de' Fiorentini, 64. Guerra a lui mossa dai Veneziani, 77, 79. Lega di tutti i potentati italiani per far desistere i Veneziani dalla guerra, 82. Sua pace svantaggiosa con essi, 86. Matrimonio de' suoi figliuoli 107, 109. Suo laudo per le controversie di Pisa, 152. Sua morte e figliolanza, 217.
Ercole Bentivoglio, generale dell'armi fiorentine, VI, 216.
Ercole II d'Este, principe di Ferrara, sue nozze con Renea, figlia di Lodovico XII re di Francia, VI, 464. Succede ad Alfonso suo padre nel ducato, 508. Accoglie papa Paolo III in Ferrara, 559, 560. Arrigo II di Francia tenta indurlo nella lega col papa Paolo IV, 648. Finalmente, vinto dalle istanze, vi aderisce, 655. Si accorda col re Cattolico, 670. Fine de' suoi giorni, 684.
Ercole Rinaldo d'Este, principe ereditario di Modena, prende in moglie Maria Teresa Cibò duchessa di Massa e Carrara, VII, 403.
Erennio (Quinto Etrusco Messio Decio), figlio di Decio Augusto, creato Cesare, I, 864. Milita contro i Goti, 868. Ucciso in una battaglia, ivi.
Eribaldo, conte del sacro palazzo, III, 758.
Eriberto, arcivescovo di Ravenna, IV, 122. Sua lite di precedenza con quel di Milano, 158. Sua morte, 167.
[883]
Eriberto (Santo), arcivescovo di Colonia, IV, 73. Tempo della sua morte, 127.
Eriberto, arcivescovo di Milano, IV, 134. Promuove Corrado il Salico al regno d'Italia, 149. Gli dà la corona di esso regno, 152. Sua lite di precedenza coll'arcivescovo di Ravenna, 158. Fa guerra a Lodi, 160. Scuopre e castiga gli eretici manichei, 163, 164. Colle armi va ad assistere Corrado Augusto in Borgogna, 179, 180. Sua superbia, per cui insorsero guerre civili, 184, 186. Imprigionato da Corrado Augusto, 190. Si salva colla fuga, 191. Assediato in Milano, 192. Invita in Italia Odone conte di Sciampagna, 193, 194 Scomunicato da papa Benedetto IX, 197. Inventa il carroccio, 205. Riacquista la grazia di Arrigo III, 207. Per le discordie si ritira fuor di Milano, 212. Interviene al placito tenuto in Pavia da Adalgerio cancelliere e messo del re Arrigo, 215. In disgrazia del suddetto re Arrigo, 219. Fine del suo vivere, 224. Suo epitaffio, ivi.
Eriberto, vescovo di Modena, IV, 369.
Eriberto, vescovo di Reggio, IV, 452.
Erimanno, duca di Alemagna, IV, 59. Creato marchese di Susa, 189. Sua morte, 198.
Erioldo, re di Danimarca, III, 481. Cacciato dal regno, ricorre a Lodovico Pio, 495. Il quale per lui porta la guerra a' Danesi, 499, 511. Abbraccia la fede di Cristo, 553, 554. Apostata, e persecutor de' cristiani, 622.
Erizzo (Francesco), doge di Venezia, VI, 1048.
Erlembaldo Cotta, nobile milanese, si oppone alla incontinenza del clero, IV, 325, 330, 331. Fa eleggere ad arcivescovo di Milano Attone, od Azzo, 351. Ucciso da' suoi avversarli, 366.
Ermanno, duca di Suevia, III, 1083.
Ermanno di Lucemburgo, creato re di Germania, IV, 403. Fa fuggire il re Arrigo, 433. Fine dei suoi giorni, 437.
Ermanno, arcivescovo di Colonia, IV, 191, 252.
Ermanno, vescovo di Bamberga, IV, 345.
Ermelinda, moglie di Cuniberto re de' Longobardi, III, 77, 107.
Ermenberga, figliuola di Vitterico re de' Visigoti in Ispagna, sposa Teoderico re della Borgogna, II, 1136, 1137. Da lui ripudiata e rimandata in Ispagna, 1137.
Ermenegildo, figlio di Leovigildo re de' Visigoti in Ispagna, muore martire, II, 1056.
Ermenfredo, re della Turingia. Sue nozze con Amalaberga, nipote di Teoderico re d'Italia, II, 737. Perde regno e vita, 842.
Ermengarda, moglie di Lodovico Pio Augusto, III, 403. Coronata imperadrice in Roma da papa Stefano IV, 503. Nemica di Bernardo re d'Italia, 514, 516. Sua morte, 520.
[884]
Ermengarda, figlia di Lodovico II Augusto, III, 768. Monistero di San Sisto a lei lasciato da Angilberga sua madre, 780. È rapita da Bosone duca, 783. Sue solenni nozze con lui, 790. Viene in Italia col marito, 799. Sua ambizione, per cui è proclamata regina, 809. Assediata in Vienna del Delfinato, 814. Posta in libertà, 827. Resta vedova, 856. Va in Germania, 879. Fa riconoscere e incoronare re di Provenza Lodovico suo figliuolo, 882. Si fa monaca in San Sisto di Piacenza, 955, 956.
Ermengarda, moglie di Lottario Augusto, III, 611. Sua morte, 662.
Ermengarda, figlia di Adalberto II duca di Toscana, e moglie d'Adalberto marchese d'Ivrea, III, 999, 1023. Sua disonestà ed imbrogli per abbattere Rodolfo re d'Italia, 1025, 1026.
Ermerico, re degli Svevi in Ispagna, II, 413. Suoi progressi nella Gallizia, 475, 480. Fa pace, 486. Dichiara re suo figlio Rechila, 500. Sua morte, 512.
Ermigario, Svevo, disfatto da Genserico re de' Vandali, II, 472. Muore, ivi.
Ermingardo, conte di Ampuria, dà una rotta ai Mori di Spagna, III, 486.
Ermingerio, vescovo di Ceneda, IV, 134
Ermogene da Tarso, storico, fatto morire da Domiziano, I, 360.
Ermogene (Aurelio), prefetto di Roma, I, 1093.
Ermogene, generale di Costanzo Augusto, ucciso dalla plebe cattolica di Costantinopoli, II, 13.
Ermogene, console e prefetto di Roma, II, 25, 26.
Ermolao Barbaro, insigne letterato. Sua morte, VI, 125.
Ermoldo Nigello, autore di un poema, III, 491. Abbate di Aniana, 547. Va con Lodovico Pio a domare i popoli della Bretagna minore, ivi. Assiste al battesimo di Erioldo re di Danimarca, 554.
Ernesto duca d'Alemagna, IV, 151, 159.
Eroe, re degli Alemanni, ausiliario de' Romani, I, 1074.
Erode il Grande, re della Giudea. Sua morte, I, 22.
Erode, re di Calcide, I, 311.
Erode (Attico), console, I, 496. Maestro de' figli adottivi d'Antonino Pio, 496, 516. Sue opere perdute, 524. Suo ingiusto sdegno contra di Marco Aurelio, 561.
Erode, o Erodiano, figlio di Odenato, creato Augusto, I, 929, 958.
Erodiano, storico sotto i Gordiani, I, 850.
Eruli, popoli della Germania, II, 660, 763, 928, 948.
Esarcato di Ravenna donato alla Chiesa romana dal re Pippino, III, 260. Che cosa contenesse tal [885] donazione, 268. Una volta sotto il dominio degli Augusti, IV, 120, 153, 181.
Esca, figliuola d'Attila, presa in moglie dallo stesso genitore, II, 539.
Esilarato, duca di Napoli, III, 160.
Esquilo, arcivescovo di Lunden in Isvezia, IV, 739.
Etelvolfo, re de' Sassoni occidentali in Inghilterra, III, 669. Viene a Roma, 682.
Etruscilla (Erennia), Augusta, moglie di Decio imperadore, I, 864.
Eucherio, zio di Teodosio I Augusto, II, 320, 324.
Eucherio, figlio di Stilicone, II, 382, 386. Ucciso, 389.
Eude, duca d'Aquitania, III, 163. Sue vittorie de' Saraceni di Spagna, 165, 172. Sue guerre con Carlo Martello, 194, 195. Fa pace con lui, 197. Col suo aiuto sconfigge i Saraceni, 198. Sua morte, 203.
Eudo, vescovo di Camerino, III, 1095.
Eudocia, ossia Atenaide, sposata da Teodosio II Augusto, II, 443, 444. Gli partorisce Eudossia, 450. Dichiarata Augusta, 455. Suo poema in onore dell'Augusto consorte, 469. Suo viaggio in Gerusalemme, 499. Compone i Centoni di Omero, 501. Sua discordia col marito, 520. Abbatte Pulcheria Augusta sua cognata, 529, 530. Accidente per cui fa divorzio col marito, e si ritira a Gerusalemme, 531, 532. Abiura l'eutichianismo, 586. Sua morte, e suo encomio, 606.
Eudocia, figlia di Valentiniano III Augusto, moglie di Palladio Cesare, e poscia di Unnerico figlio del re de' Vandali, II, 578, 599, 611. Sen fugge, e, ritiratasi a Gerusalemme, quivi termina i suoi giorni, 646.
Eudocia, moglie di Eraclio imperadore, II, 1142. Sua morte, 1148.
Eudocia, figlia d'Eraclio imperadore, dichiarata Augusta, II, 1148. Maritata con Ziebelo capo dei Turchi, 1186.
Eudossia, moglie di Arcadio Augusto, II, 324. Vilipesa dall'eunuco Eutropio, 345, 346. Suoi vizii, 351. Fa esiliare san Giovanni Grisostomo, 367. Sua morte, 370.
Eudossia (Licinia), figlia di Teodosio II Augusto, II, 450, 481. Maritata con Valentiniano III Augusto, 496, 497. Poscia con Petronio Massimo, contra cui chiama il re vandalo a Roma, 577, 578. Da esso re condotta prigioniera in Africa colle figlie, 580. Rimessa in libertà, 598, 599, 612.
Eudossio, vescovo di Costantinopoli, capo degli ariani, II, 168.
Eufemia (Elia Marcia), moglie di Giustino Augusto, II, 799. Sua morte, 812.
[886]
Eufemia, figlia di Marciano imperadore, e moglie di Antemio Augusto, II, 623.
Eufemio, vescovo cattolico di Costantinopoli, II, 699. Dietro una promessa da lui avuta di seguitare il concilio calcedonese, corona l'imperador Anastasio, 706. Mal animo di esso imperadore verso di lui, 720. Deposto ed esiliato dallo stesso Augusto, 723, 724.
Eufrasio, patriarca d'Antiochia, II, 825.
Eugenio, usurpa l'imperio nelle Gallie, II, 302. Gli si sottomette anche l'Italia, 305. Occupa le Alpi Giulie, 308. Sua prima battaglia con Teodosio Augusto, 310, 311. Sconfitto ed ucciso nella seconda, 314.
Eugenio, eletto vescovo di Cartagine dopo ventiquattro anni di sede vacante, II, 678.
Eugenio I papa eletto, II, 1260. Rigetta la Sinodica di Pietro patriarca di Costantinopoli, 1262, 1263. Suo passaggio all'altra vita, 1264.
Eugenio II papa. Sua elezione, III, 541. Concilio da lui celebrato, 552. Fine de' suoi giorni, 558.
Eugenio III papa. Sua elezione, IV, 680. Sforza i Romani all'ubbidienza, 681. Si ritira in Toscana, 682. Va in Francia, 683. Concilio da lui tenuto a Rems, 691. Torna in Italia, ivi. Sua concordia coi Romani, 698, 705. È chiamato da Dio a miglior vita, 710.
Eugenio IV papa. Sua elezione, V, 1085. Processa i Colonnesi, che gli fan guerra, ivi. Dà la corona imperiale a Sigismondo, 1102. Gli è tolta la marca d'Ancona da Francesco Sforza, 1103. Fugge a Firenze, 1107. Va a Bologna, 1118. Scioglie il concilio di Basilea, e ne intima uno in Ferrara, 1122. Principio di questo concilio, 1126. Lo trasporta a Firenze, 1134. Creato contro di lui un antipapa, 1135. Toglie dal mondo il patriarca Vitellesco, 1143. Sua bolla contro Francesco Sforza, 1159. Torna a Roma, 1161, 1162. Sua lega col re Alfonso, 1161. Ricupera la Marca, 1170. Giunge al fine di sua vita, 1184.
Eugenio Francesco, principe di Savoia, generalissimo di Leopoldo imperadore, VII, 130. Sua insigne vittoria contro i Turchi, 131. Cala in Italia con un'armata contro i Gallispani, 156, 157. Sua vittoria contra d'essi a Chiari, 159. Sorpresa da lui fatta alla città di Cremona, 166. Sua battaglia co' Gallispani a Luzzara, 170. Sua vittoria contro i Gallo-Bavari ad Hogstedt, 187. Sua battaglia co' Franzesi a Cassano indecisa, 192. Sua calata in Italia, 196. Passa felicemente l'Adige, 197. Suoi progressi alla volta di Torino, 198. Giugne ad unirsi col duca di Savoia, 199. Sua gran vittoria colla liberazione di Torino, 200, 201. Ricupera quasi tutto lo Stato di Milano, di cui è fatto governatore, 203, 204. [887] Sua irruzione nella Provenza. 211. Sua vittoria dei Franzesi presso Odenard, 224. Espugna la città di Lilla, ivi. Sua battaglia poco felice a Malpacquet, 231, 232. Troppo infievolito per la ritirata degl'Inglesi, 248. Sua vittoria contro i Turchi a Petervaradino, 270. Prende la città di Temiswar, 272. Altra sua vittoria contro i Turchi colla presa di Belgrado, 276, 277. Comanda un'armata contra i Franzesi in Germania, 405. Giugne al fine de' suoi giorni, 419.
Eugipio abbate, scrittore, II, 1042.
Eulalio, eletto papa, in concorrenza di Bonifazio I, II, 437, 438. Scisma insorto nella Chiesa per tale elezione, 439. Contro l'accordo coll'imperatore va a Roma, 440. Cacciato da Roma e confinato a Capoa, ivi. Per misericordia creato vescovo di Nepi, ivi. Sua morte, ivi.
Eumene, insigne oratore, I, 1220.
Eunapio, storico, I, 1196; II, 135, 136.
Euprassio, prefetto di Roma, I, 187, 194.
Eurico, o Evarico o Eutorico, re de' Visigoti, dopo aver ucciso il fratello, muove guerra ai Romani, I, 625. Assedia la città d'Auvergne, 652, 653. Perseguita i cattolici, 654. Occupa Arles e Marsilia, 670.
Eusebia, moglie di Costanzo Augusto, II, 57. Protettrice di Flavio Giuliano, 66, 70. Sua andata a Roma, 74. Fine di sua vita, 108.
Eusebio, romano pontefice, I, 1097.
Eusebio, vescovo di Nicomedia, gran protettore dell'eretico Ario, I, 1169, 1170. Esiliato per questo, 1173. Torna in grazia di Costantino, 1185. È visitato da Gallo Cesare, II, 44.
Eusebio, vescovo di Cesarea. Panegirico di Costantino da lui recitato, I, 1206. Sua morte, II, 178. Fama incerta di sua credenza, ivi.
Eusebio (Santo), arcivescovo di Milano, II, 548. Tiene un concilio provinciale contro l'eresia da Eutichete, ivi.
Eustazio, filosofo, discepolo di Jamblico, II, 85.
Eustrasio, vescovo d'Albano, III, 289.
Eutarico Cillica prende in moglie Amalasunta figlia del re Teoderico, II, 790, 791. Creato console, 801. Magnifici spettacoli per questa sua dignità, ivi. Premuore ad esso re Teoderico, 823.
Eutiche, ossia Eutichete: sua eresia, II, 517. Condannato [888] da san Flaviano, 533. E nel concilio calcedonese, 548.
Eutichiani, condannati da papa Simplicio, II, 671.
Eutichiano Comazonte, uomo vile, promuove Elagabalo all'imperio, I, 750. Creato prefetto del pretorio, e poi console, 759.
Eutichiano, romano pontefice, I, 973. Muore, 1005.
Eutichiano (Flavio), prefetto del pretorio d'Oriente, e console, II, 335.
Eutichio, patriarca di Costantinopoli, II, 976. Esiliato, 980. Richiamato, 988, 989. Sua morte, 1044.
Eutichio, patrizio eunuco, creato di nuovo esarca di Ravenna, tenta di far uccidere Gregorio II, per cui Liutprando gli muove guerra, III, 183. Fa lega con questo principe, 189. Col suo mezzo è rimesso in grazia del pontefice, 191. Sollevazione suscitatasi contro di lui e dei Greci in Ravenna, 201. Ricorre a papa Zacheria per aiuto, 231. Fugge da Ravenna, 248.
Eutorico, re de' Visigoti, V. Eurico.
Eutropia, sorella di Costantino, I, 1207.
Eutropio, storico, vivente sotto Giuliano Augusto, II, 136.
Eutropio, eunuco, divien potente nella corte di Arcadio Augusto, II, 324. Abbatte Rufino, 326. Obbliga Stilicone a ritirarsi in Italia, 330. Legge da lui procurata per togliere la immunità delle chiese, 335, 336. Promuove il Grisostomo allo arcivescovato di Costantinopoli, 341. Odiato da Gaina generale, 344. Strapazzo da lui fatto ad Eudossia Augusta, 346. È abbattuto, ivi. E poscia relegato a Cipri, 347.
Evarico, re de' Visigoti, V. Eurico.
Evaristo, romano pontefice, I, 372. Suo glorioso martirio, 408.
Everardo, vescovo di Piacenza, III, 933.
Everardo, vescovo di Como, IV, 75.
Everardo, vescovo di Bamberga, IV, 824.
Evino, duca di Trento, II, 1020. Strage da lui fatta de' Franchi che sotto la condotta di Crannichi aveano devastato il Trentino, 1028, 1029. Generale del re Autari contro dell'Istria, 1066. Ambasciatore nelle Gallie pel re Agilolfo, 1084.
Evodo, balio di Caracalla, fatto morire dal medesimo, I, 714.
[889]
Fabano re de' Rugi, V. Fava.
Fabiano (Valerio), senatore, falsario, I, 220.
Fabiano, romano pontefice, I, 815. Suo martirio, 865, 866.
Fabio Sabino, detto il Catone de' suoi tempi, I, 771.
Facino Cane, usurpa la signoria d'Alessandria, V, 922. Muove guerra ad Ottobuono dei Terzi, 942. S'impadronisce di Piacenza, ivi, 943. Sue battaglie con Ottobuono, 950. Fa guerra al duca di Milano, 957, 958. Viene a battaglia con Pandolfo Malatesta, 965. Fa perder Genova a Bucicaldo, 966. Sua pace coi Milanesi, 973. Saccheggia Pavia, ivi. Ne divien padrone, 978. Termina i suoi giorni, 981.
Fadilla (Arria), madre di Antonino Pio, I, 485.
Fadilla, sorella di Commodo Augusto, I, 592.
Fado (Cuspio), governatore della Giudea, I, 161.
Faentini, lor vittoria dei Ravennati, IV, 1138. Lor città presa da Federigo II Augusto, 1165. Lor guerra civile, V, 241.
Faenza, saccheggiata da Giovanni Aucud, V, 749, 750. Occupata da Astorre de' Manfredi, 756.
Falcone (Quinto Sosio), console, I, 635. Nemico di Pertinace, ivi. Tratta co' pretoriani per ottenere il trono cesareo, 638. Gli è salvata la vita da Pertinace, 639.
Famagosta in Cipri: inumanità de' Turchi nella presa di essa, VI, 748, 749.
Faramondo, creduto primo re de' Franchi, II, 438.
Farasmane, re dell'Iberia, I, 460. Va a Roma a trovare Antonino Pio, 522.
Fardolfo, abbate di San Dionisio, III, 388.
Farfa: origine di quel monistero, III, 66.
Farnese (Pier-Luigi), figlio di papa Paolo III, VI, 506, 508. Dichiarato duca di Castro, 527. È data in moglie Margherita figlia di Carlo V ad Ottavio suo figlio, 536. Generale dell'esercito pontifizio, 548, 568. Sdegno di Carlo V imperadore contra di lui, 573, 587. Dichiarato duca di Parma [890] e Piacenza, 574. Creduto complice della congiura di Gian-Luigi de' Fieschi, 580, 582. Suoi enormi vizii, 588. Suo rigoroso reggimento, ivi, 589. Congiura contra di lui, per la quale resta ucciso, 589, 590. Suoi figli, 591.
Farnese (Ottavio), figlio di Pier-Luigi, prende per moglie Margherita d'Austria, VI, 536. Dichiarato duca di Camerino, 539. Generale delle armi pontificie in Germania, 577. Acclamato duca di Parma 591. Sue avventure dopo la morte del padre, ivi, 594, 598. Creato gonfaloniere della Chiesa, 603. Ricupera Parma, ivi. Fa lega con Arrigo II re di Francia, 607. Ricupera Piacenza, 652. Muove guerra ad Ercole II duca di Ferrara, 667, 669. Ricupera la cittadella di Piacenza, 806. Fine di sua vita, 811.
Farnese (Alessandro), cardinale; sue belle doti, VI, 509, 510, 591. Legato in Francia, 543, 577.
Farnese (Orazio), figlio di Pier-Luigi, VI, 567. Duca di Castro e destinato genero di Arrigo II, re di Francia, 591. Gli è confermata la prefettura di Roma da Giulio III, 603. Congiunge in lega il suddetto re di Francia con suo fratello Ottavio, 607. Trovasi alla difesa di Metz, 626, 627. Poi di Edino, 632. Sua morte, ivi.
Farnese (Alessandro), figlio di Ottavio duca di Parma: suo matrimonio con donna Maria di Portogallo, VI, 717. Mandato in Fiandra, 775, 776. Sua vittoria sui Fiamminghi, 776. Dichiarato governatore de' Paesi Bassi, 777, 785. Altre sue imprese, 782, 789, 792, 795. Assedia Anversa, 798. E la prende, 807. Succede al padre nel ducato, 811. S'impadronisce di Deventer, 815. Allestisce un poderoso esercito, 819. Libera Parigi dall'assedio, 833. E Roano, 839, 842. Sua morte, 843.
Faroaldo I, duca di Spoleti, s'impadronisce di Classe, II, 1039.
Faroaldo II, duca di Spoleti, III, 67, 117, 121. Occupa [891] Classe, e la restituisce, 155. Deposto da Trasmondo suo figlio, 171.
Fastrada, moglie di Carlo Magno, III, 351. Sua crudeltà, 359.
Fausta (Flavia Massimiana), figlia di Massimiano Augusto, maritata con Costantino il Grande, I, 1083, 1091. Rivela al marito il tradimento del padre, 1093. Per le sue trame è tolto di vita Crispo Cesare, 1177. Sua morte, 1178.
Faustina (Anna Galeria), moglie d'Antonino Pio, dichiarata Augusta, I, 488. Termina i suoi giorni, 492. Deificata, benchè non priva di vizii, 493.
Faustina (Annia), juniore, figlia di Antonino Pio, I, 488. Maritata a Marco Aurelio, che fu poi imperadore, ivi. Partorisce Lucilla, 504. E Commodo, che fu imperadore, 527. Appellata madre degli eserciti, 563. Sua morte ed infamia, 575.
Faustina (Annia), moglie di Elagabalo, I, 760.
Faustina (Massima), moglie di Costanzo Augusto, II, 108, 154.
Faustino (Appio Pompeo), prefetto di Roma, I, 1049.
Fausto (Cornelio Silla), fratello di Messalina, prende in moglie Antonia, figlia di Claudio Augusto, I, 168. Esiliato e poi tolto di vita, 207.
Fausto (Anicio), prefetto di Roma, I, 1047.
Fausto, prefetto di Roma, II, 457.
Fausto, monaco, discepolo di san Benedetto, mandato nelle Gallie con san Mauro, ritorna a Roma, II, 1138.
Fava o Fabano, re dei Rugi, è sconfitto da Odoacre, II, 692. Condotto prigioniero in Italia con la moglie Gisa, 694.
Favorino, oratore insigne sotto Adriano Augusto, I, 458, 484.
Fazioni veneta e prasina in Costantinopoli, II, 847, 973.
Federico, uccide suo fratello Torismondo re dei Visigoti, II, 571. Muore in battaglia, 614.
Federigo, re dei Rugi, implora il patrocinio di Teoderico Amalo re dei Goti contra del re Odoacre, II, 694, 697. Poscia si volge contra di Teoderico, 714, 715. Nata discordia fra lui e i suoi alleati, resta disfatto ed ucciso da essi, 715.
Federigo, cardinal legato della santa Sede, IV, 45. Arcivescovo di Ravenna, 48, 61.
Federigo, fratello di Gotifredo duca di Lorena, poi papa Stefano X, IV, 259. Inviato a Costantinopoli, 266. Si fa monaco, 273. Creato cardinale, 281. Eletto papa, ivi. V. Stefano X.
Federigo, arcivescovo di Colonia, IV, 521.
Federigo, duca di Suevia, prende in moglie Giuditta di Baviera, IV, 594, 595. Fa guerra al re [892] Lottario, 595. Ottiene perdono e pace da lui, 634. Dà fine al suo vivere, 689.
Federigo, duca di Suevia, figlio di Corrado, IV, 744, 771. Sua morte, 811.
Federigo I, poscia imperadore, succede al padre nel ducato di Suevia, e va in Terra santa, IV, 689. È eletto re di Germania, 707. Sua coronazione e suoi ambasciatori a papa Eugenio, 709. Suo amore alla giustizia, 712. Irritato contro i Milanesi, ivi. Decide la lite della Baviera in favore di Arrigo duca di Sassonia, 713. Cala in Italia, 718. Sua dieta in Roncaglia, 720. Comincia le ostilità contra di Milano, 721. Marcia verso Vercelli e Torino, 724. Prende e brucia Asti e Tortona, ivi. Non fu coronato in Milano, 726. Suo abboccamento con papa Adriano, 727. Da cui riceve la corona imperiale, e fa guerra ai Romani, 728, 729. Mette a sacco Spoleti, e torna in Germania, 729. Sue liti con Manuello imperador de' Greci, 731. E con papa Adriano, 738. Si porta a Besanzone per farsi conoscere padrone del regno della Borgogna, 789. Si prepara per calar nuovamente con un'armata in Italia, 742. Fa la pace con papa Adriano, 743. Calato in Italia, costringe i Bresciani a capitolare, 744. Mette al bando dell'imperio i Milanesi, 745. Assedia e prende Trezzo, 746. Va ad assediare Milano, 747. Condizioni colle quali accorda la pace ai Milanesi, 748, 749. Tiene una gran dieta in Roncaglia, 750. Insorgono principii di nuova discordia fra lui e il papa, 753. Ha mano segretamente nella elezione dell'antipapa, 756. Nuova rottura fra lui e i Milanesi, 758. Imprende l'assedio di Crema, 760. La costringe alta resa, 762. Rende tutti gli onori all'antipapa, 765. Viene scomunicato da papa Alessandro, ivi. Assedia Milano, 771. Crudeli patti coi quali si rende quel popolo, 774. Comanda la distruzione di quella città, 776. Sottomette varie altre città, 778. Suoi raggiri contro papa Alessandro, 781. Torna in Germania, ivi. Poscia in Italia, 785. Le città della marca di Verona fanno lega contra di lui, 788. Corona Barasone in re di Sardegna, 790. Torna in Germania, 793. Quindi in Lombardia, 798. S'invia coll'esercito a Roma, 801. Assedia indarno Ancona, ivi. Mette l'assedio a Roma, 807. Suo esercito disfatto da un'epidemia, 812. Torna a far guerra a Milano, ivi. Fugge in Borgogna, 816. Ingrandisce i suoi figliuoli, 821. Tratta di pace con papa Alessandro, 824. Ambasciatori e regali a lui inviati dal soldano di Babilonia, 834. Torna in Italia ed assedia Alessandria, 837. Sua ostinazione e crudeltà in quell'assedio, 843. Frode usata contra i difensori, 844. Fa tregua colle città lombarde, [893] 845. Resta sconfitto dal loro esercito, 853. Tratta di pace con papa Alessandro, 854. Sue pretensioni contro le città lombarde, 859. In Venezia conchiude la pace col pontefice, 861. Occupa Bertinoro non senza doglianza del papa, 867. Prende la corona del regno di Borgogna, 868. Sua ira contra Arrigo il Leone duca di Baviera e Sassonia, 874, 875. Per cui lo spoglia di quasi tutti i suoi Stati, 876. Pace di Costanza conchiusa fra lui e le città lombarde, 882. Calato in Italia, visita molte città, 885. Suo abboccamento in Verona con papa Lucio III, 888. Concede molte grazie ai Milanesi, 890. Maneggia le nozze di Costanza di Sicilia con Arrigo suo figlio, 892, 893. Prende la croce per andare in Levante, 908. Principio della sua spedizione, 911. Si impadronisce d'Iconio, 916. Miseramente muore, ivi.
Federigo, figlio di Federigo I Augusto, creato duca di Suevia, IV, 822, 908. Va col padre in Levante, 911. Ivi lascia la vita, 917.
Federigo II, poscia, imperadore. Sua nascita, IV, 940. Eletto re de' Romani, 946. Gli è in tal dignità anteposto Filippo suo zio, 960. Investito della Sicilia da papa Innocenzo III, 961, 962. Sue nozze con Costanza d'Aragona, 1007. Guerra a lui mossa da Ottone IV Augusto, 1013. Passa in Germania, 1016, 1017. Dove è coronato re, 1017, 1026. Fa proclamare re di Sicilia il figlio Arrigo, 1027. È coronato imperadore da papa Onorio, III, 1043. Manda aiuti ai cristiani in Levante, 1047. Sua ingratitudine e prepotenza, 1049. Suo abboccamento con papa Onorio, 1053. Suoi sponsali con Jolanta figlia di Giovanni re di Gerusalemme, 1059. Suoi preparamenti per passare in terra santa, 1061. Trasporta i Saraceni di Sicilia a Nocera, 1063. Sue nozze con Jolanta, 1067. Prende il titolo di re di Gerusalemme, 1069. Rottura fra lui e papa Onorio, 1071. Tuttavia rimette in esso papa le differenze sue colle città lombarde, 1074. Alle quali rende la sua grazia, 1076. Scomunicato da papa Gregorio IX, 1078, 1079. Cerca di far vendetta contro il papa, 1081. Passa colla sua flotta ad Accon, 1082. Mossa a lui guerra nel regno di Napoli dal papa, 1084, 1086. Strapazzi da lui patiti in Levante, 1087. Sua capitolazione col soldano d'Egitto, 1088. Tornato in Italia, ricupera i suoi Stati, 1090. Fa pace col papa, e seco si abbocca, 1092, 1093, 1094. Pubblica rigorosi editti contro gli eretici paterini, 1099. Sua dieta in Ravenna, 1104. Suo tirannico governo, 1105, 1129, 1130, 1182. Suo ordine severo contro i Genovesi ritrattato, 1109. Sua buona corrispondenza col sultano e col Vecchio della Montagna, [894] ivi. Riduce all'ubbidienza le città ribellatesegli, 1110, 1111. Si esibisce pronto ai servigi del papa 1117. Contra di lui si ribella il re Arrigo suo figlio, 1119. Ito in Germania, lo mette in prigione, 1124. Sue nozze con Isabella d'Inghilterra, ivi. Ira sua contro i Lombardi, 1125, 1131. Calato in Italia, comincia le ostilità contra di essi, 1133, 1141. Sua vittoria sull'esercito milanese, 1143. Fa l'assedio di Brescia, ma senza frutto, 1148. È scomunicato da papa Gregorio, 1154, 1159. Suoi progressi nella Toscana e negli Stati della Chiesa, 1161. S'impadronisce di Faenza, Cesena e Benevento, 1165. Sua flotta vince la genovese, 1167. Fa guerra ad essi Genovesi, 1174. Fermata pace colla corte pontificia, nuovi puntigli insorti il fanno retrocedere, 1183, 1184. Scomunicato e deposto nel concilio generale di Lione, 1189. Sua guerra coi Milanesi, 1190. Sua vittoria de' Perugini, 1196. Si mostra voglioso di pace, 1199. Se gli ribella Parma, 1200. La assedia, e vi fabbrica appresso la città di Vittoria, 1202. Da' Parmigiani e collegati questa è presa, ed egli fugge a Cremona, 1205, 1206. Dà fine a' suoi giorni, 1220. Sue buone qualità superate da' vizii, 1221, 1222.
Federigo, fratello di Giacomo re di Aragona, lasciato al governo della Sicilia, V, 215. Va a Velletri chiamato da papa Bonifazio VIII, 236. Proclamato re di Sicilia, 242. Processato da papa Bonifazio, 243. Sconfitto dal re Giacomo suo fratello, 260. Difende il suo regno, e fa pace con Carlo re di Napoli, 276. Accorre in aiuto di papa Bonifazio, 287. Collegato con Arrigo VII, 354. Assalito in Sicilia dal re Roberto, virilmente si difende, 378, 379. Beffato da papa Giovanni XXII, 391, 392. Collegato con Matteo Visconte e co' Genovesi fuorusciti, 414. Di nuovo fa guerra al re Roberto, 423. Collegato con Lodovico il Bavaro, 472. Sua morte, 538.
Federigo, duca d'Austria. Sue guerre con Federigo II Augusto, IV, 1132, 1138. Dal quale è spogliato di quasi tutti i suoi Stati, 1138. Li ricupera, 1139.
Federigo, duca d'Austria, va col re Corradino all'acquisto del regno di Sicilia, V, 71. Sconfitto e preso, 75, 76. E decapitato, 77.
Federigo, figlio di Guglielmo marchese di Monferrato, vescovo d'Alba, IV, 873.
Federigo, fratello di Alfonso re di Castiglia, sconvolge la Sicilia, V, 67. Fugge a Tunisi, 78.
Federigo juniore re di Sicilia, V, 652. Perde Messina, 658. Infelicità del suo regno, 678. Ricupera Palermo e Messina, 704. Suo accordo colla regina Giovanna, 734.
Federigo, duca d'Austria, eletto re de' Romani, V, [895] 377 Sua discordia con Lodovico il Bavaro, 398. Eletto signor di Trivigi e di Padova, 405. Muove contro i Visconti, 425, 426. Sconfitto e preso dal Bavaro, 433. Rimesso in libertà, 451. Sua morte, 485.
Federigo, duca di Brunsvich, eletto re de' Romani, V, 898.
Federigo, conte di Montefeltro, V, 281. Capitano della Chiesa romana, 333. Capo dei Ghibellini, 409. Divien signore d'Urbino, 417. È ucciso da quel popolo, 432.
Federigo de' Maggi, vescovo di Brescia, V, 322, 361, 461.
Federigo III, Austriaco, eletto re de' Romani, V, 1142. Cala in Italia, 1223. Coronato in Roma da papa Niccolò V re della Lombardia, 1225. Prende in moglie Leonora di Portogallo, ivi. Va con essa a Napoli, ivi. Va a Ferrara, ed ivi crea duca di Modena Borso Estense, ivi. Torna a Roma, VI, 27. Fa eleggere re de' Romani Massimiliano suo figlio, 93. Termina il corso del suo vivere, 114.
Federigo d'Aragona, zio di Ferdinando II re di Napoli, VI, 129. Creato re di Napoli, 139. Sua apprensione pei progressi delle armi franzesi in Italia, 157. Burlato da Consalvo Fernandez, perde il regno, 186, 187. Si ritira in Francia, 189. Termina i suoi giorni, 214.
Federigo, duca d'Austria, protegge papa Giovanni XXIII, V, 992. Dà ricetto a lui fuggito da Costanza, ma poi è costretto a consegnarlo al concilio, 995.
Federigo, marchese di Mantova, spedito contro gli Svizzeri, VI, 64. Succede a Lodovico suo padre, 65. Collegato col duca di Ferrara contro i Veneziani, 78. Dà fine a' suoi giorni, 85.
Federigo, conte d'Urbino, V, 1167, 1172, 1174, 1176. Va in aiuto de' Fiorentini, 1188. Fa guerra a Sigismondo Malatesta, 1246. Continua la guerra con lui, 1258. Sconfitto da Jacopo Piccinino, 1263. Prende Fano ed altri luoghi al Malatesta, 1277. Generale de' Fiorentini, VI, 23, 33, 44 Creato duca da Sisto IV, 49 Dà in moglie sua figlia Giovanna a Giovanni della Rovere, 51. Fa guerra a' Fiorentini, 64. Generale della lega contro i Veneziani, 78. Sua morte, 80, 81.
Federigo Gonzaga, marchese di Mantova, VI, 356, 379, 395, 449, 474. Creato duca, 478. Prende in moglie Margherita figlia di Guglielmo marchese di Monferrato, 487, 499. Ottiene il Monferrato, 523. Sua morte, 548.
Federigo Augusto, V. Augusto III.
Federigo III re di Prussia, succede al padre, VII, 464. Muove guerra a Maria Teresa regina d'Ungheria nella Slesia, 468, 472, 473. Gli è ceduta [896] essa Slesia, e però fa pace con la regina, 488. Volge di nuovo l'armi sue contra di lei, 542. Sua vittoria sugli Austriaci. 550 E sui Sassoni, 551. Fa pace con essi, ivi.
Federigo Cristiano, principe ereditario dell'elettor Sassone re di Polonia. Sua venuta in Italia, e rare sue doti, VII, 442.
Felice (Claudio), governatore della Giudea, I, 189. Ritiene due anni prigione san Paolo, ivi.
Felice I, papa, I, 943. Sua morte, 973.
Felice eletto papa da che Liberio fa mandato in esilio, II, 69. Scacciato, 86.
Felice, generale di Valentiniano III, II, 465. È innalzato alla dignità di patrizio, 476. Ucciso con Padusia sua moglie, 479.
Felice III papa. Sua elezione, II, 685. Concilio da lui tenuto contra Acacio vescovo di Costantinopoli, 689. Passa a miglior vita, 708.
Felice IV papa. Sua elezione, II, 826. Sua morte, 838.
Felice, oratore romano, II, 828.
Felice, vescovo di Trivigi, II, 1000.
Felice, arcivescovo di Ravenna, III, 127. Perde gli occhi, ed è esiliato, 130, 131, 132. Riacquista la libertà, 138.
Felice V antipapa, eletto dal concilio di Basilea, V. Amedeo.
Felice, grammatico a' tempi del re Cuniberto, III, 91.
Felice Cornicola, maestro dei militi in Venezia. Rimette la concordia in quel popolo, III, 210.
Felice, vescovo d'Urgel. Sua eresia, III, 388, 393. Si ritratta, 412.
Felicita, principessa d'Este, maritata con Luigi di Borbon duca di Penthievre, VII, 545.
Feltrino da Gonzaga, ito in aiuto di Fregnano dalla Scala, è fatto prigione, V, 637, 638. Generale d'armata contro i Visconti, 643, 661. Occupa Reggio, 668. Sconfigge l'esercito di Visconti, 691, 724. Vende Reggio a Bernabò Visconte, 728.
Ferdinando, figlio d'Alfonso re di Aragona e delle Due Sicilie, duca di Calabria, V, 1161. Sue nozze con Isabella di Chiaramonte, 1172. Fa guerra ai Fiorentini, 1226, 1227. Succede al padre nel regno di Napoli, 1250. Suo accordo con papa Pio II, 1253. Guerra insorta fra lui e molti baroni del regno, 1255, 1259. Guerra tra lui e Giovanni duca d'Angiò, 1259. Sconfitto da lui, 1262. Sua vittoria, 1271. Per la morte di Gian-Antonio Orsino principe di Taranto si assoda sul trono, 1278, 1279. Manca alla fede pubblica con Marino Marzano principe di Rossano, VI, 13. E con Jacopo Piccinino, 16, 17. E con altri, 20, 21. Sua lega coi Fiorentini, 23. Ottiene [897] da Sisto IV l'esenzione da' censi, 43. Va al giubileo di Roma, 50. Sue seconde nozze con Giovanna d'Aragona, 56. Muove guerra ai Fiorentini, 61. Fa pace con essi, 69. I Turchi gli occupano Otranto, 71, 72. Lo ricupera, 75. Collegato con Ercole duca di Ferrara contro i Veneziani, 77. Fa pace con papa Sisto, 81. E coi Veneziani, 86. Gli muovono guerra i baroni con papa Innocenzo VIII, 91, 92. Fa pace con quest'ultimo, 94. Sua mala fede e crudeltà, 95. Scomunicato da papa Innocenzo, 104. Con cui fa pace, 111. Placa papa Alessandro VI, 116. Cessa di vivere, 118.
Ferdinando II, principe di Capoa, primogenito di Alfonso duca di Calabria, va a Roma, VI, 111. Vien colle armi in Romagna, 119. Creato re di Napoli per la cessione del padre, 127, 128. Abbandonato da tutti, 128. Si ritira ad Ischia, 129. Ricupera Napoli, 135. Suoi progressi contro i Franzesi, 137. Prende in moglie Giovanna sua zia, 139. È rapito dalla morte, ivi.
Ferdinando il Cattolico, re di Aragona Sicilia, maneggia pace fra il papa e il re di Napoli, VI, 93. Acquista Granata e il suo regno, 110. Conchiude la pace fra il papa e il re di Napoli, 111. Sua gelosia pei progressi di Carlo VIII, 129, 130. Sua lega con Lodovico XII per l'acquisto del regno di Napoli, 185. Ne conquista la metà, 188. E poi tutto pel valore di Consalvo, 198, 213. Va in persona a Napoli, 222. Suo abboccamento in Savona con Lodovico XII re di Francia, 225, 226. Entra in lega con varii potentati a Cambrai contro i Veneziani, 229. Da cui si ritira, 269. Si unisce col papa contro i Franzesi, 270. A' quali fa guerra in Italia e nei Pirenei, 280. Rotta la sua gente a Ravenna, 283. Occupa la Navarra, 294. Sua lega con papa Leone, 318, 322. Fine di sua vita, 334.
Ferdinando I d'Austria, creato re dei Romani, VI, 483. Fa leghe contro i Turchi, 533. Rinunziato a lui l'imperio da Carlo V, 650. Fa dichiarare re de' Romani il figlio Massimiliano, 701. Passa a miglior vita, 708.
Ferdinando II arciduca, dichiarato re di Boemia VI, 965. La quale gli si ribella, 970. Eletto imperadore, 971. Ricupera la Boemia, 979. Suo matrimonio, 987. Sue vittorie, 1012. Niega le investiture al duca di Mantova, 1018. Manda lo esercito contro Mantova, 1028. Movimento del re di Svevia, e d'altri contro di lui, 1044. Rende Mantova al duca Carlo Gonzaga, 1045. Per la guerra mossagli da Gustavo re di Svezia, corre gran pericolo, 1049, 1058. Per la morte di esso respira, 1060. Riporta vittoria degli Svezzesi, 1067. Dà fine al suo vivere, 1030.
[898]
Ferdinando III re d'Ungheria, VI, 1005. Dichiarato anche re di Boemia, 1013. Obbliga Ratisbona alla resa, 1066, 1067. Eletto re de' Romani, 1080. Succede nell'imperial dignità al padre 1081. Fine di sua vita, 1206.
Ferdinando I granduca di Toscana. Suo tentativo contro Famagosta, VI, 920. Le sue armi prendono Bona in Africa, 925. Fine de' suoi giorni, 927.
Ferdinando II granduca di Toscana, succede al padre, VI, 983. Amore di lui verso i suoi popoli, 1047. Fa lega coi Veneziani e col duca di Modena, 1115. Sua guerra coi papalini, 1122. E poi pace, 1124 Fine di sua vita, 1260.
Ferdinando I Gonzaga, duca di Mantova, VI, 936. Sue differenze col duca di Savoia, 938. Da cui gli è mossa guerra, 940. Ricupera il suo, 942. Sue nozze, 966. Finisce il corso di sua vita, 1009, 1010.
Ferdinando Carlo, duca di Mantova, succede al padre, VI, 1241. Sue nozze, 1261. Dissolutezza nella sua corte, VII, 31, 32. S'impadronisce di Guastalla, 32. Vende Casale a' Franzesi, 40. Va a Roma, 62. Va a Vienna, 67. Con numeroso accompagnamento di bravi si reca all'assedio di Buda, tenuta dai Turchi, ivi. Ribellasi contro di lui Castiglione delle Stiviere, 103. Gli è tolta Guastalla, ivi. Ammette nella sua città presidio Gallispano, 155. Dichiarato ribello del romano imperio, 160. Passa alle seconde nozze, 186. Perde tutti i suoi Stati occupati dagli Austriaci, 210. Infelicemente muore in Padova, 219.
Ferdinando VI, re di Spagna, succede al re Filippo V suo padre, VII, 593, 595. Richiama dalla Italia le sue truppe, 599, 600. Prende la protezione de' Genovesi, 654.
Feria (Duca di). V. Duca di Feria.
Ferdolfo, duca del Friuli, III, 94. Sua morte, 124.
Fermo, principe Moro, si ribella in Africa a Valentiniano Augusto, II, 184.
Ferrara, città: suo principio, II, 1271. Forse prima fra le città ad eleggere per suo signore Azzo VI, marchese d'Este, IV, 1000. Che n'è cacciato da Salinguerra, 1007. Da cui è sottomessa a Federigo II Augusto, 1140. Assediata dai collegati Guelfi è tolta a Salinguerra, 1162, 1163. Prende per suo signore Obizzo marchese d'Este, V, 46. Sotto Fresco Estense, 319. Sotto i Veneziani 319. 320. Presa dalle armi pontificie, e data in vicariato al re Roberto, 525. Saccheggiata dai fuorusciti, 333. Torna sotto i marchesi Estensi, 396. Assediata dalle armi pontificie, 510. È liberata colla sconfitta de' nemici, 511. Suo ducato: pretensioni su di esso di papa Clemente VIII, VI, 868, 869. Sforza il duca Cesare a rilasciargliene [899] il possesso, 869. Se ne impadronisce colla forza, 871. Ove poi vi fa la sua solenne entrata, 872, 873.
Festo patrizio, tratta l'aggiustamento fra Anastasio Augusto e il re Teoderico, II, 730. Sostiene Lorenzo antipapa contra Simmaco, 732, 744, 747.
Fiandra, ricuperata dagli Austriaci, VII, 205.
Fidenzio, vescovo della città di Giulio-Carnico, capitale una volta della Carnia, III, 206.
Fieschi (Gian-Luigi), conte di Lavagna. Sua sedizione per impadronirsi di Genova, VI, 579, 580. Sua infelice morte, 581.
Fiesole, distrutta da' Fiorentini, IV, 89.
Filelfo (Francesco), letterato insigne, V, 1258, 1266. Sua morte, VI, 77.
Filiberto, duca di Savoia, VI, 44. Termina i suoi giorni, 81.
Filiberto II, duca di Savoia succede a Filippo duca suo padre, VI, 146. Sua lega col re Lodovico XII, 155. Sua morte, 215.
Filagrio, segretario di Giuliano, II, 102.
Filippico, poscia imperadore, cacciato in esilio, III, 113. Proclamato imperadore, 136. Fautore degli eretici, fa abolire il concilio VI generale, 137, 138. Perciò non riconosciuto dai Romani, 139. È deposto ed acciecato, 145, 146.
Filippino Gonzaga, signor di Reggio. Tradimento da lui usato al marchese d'Este, V, 574. A cui anche fa guerra, 579. Dà una rotta alla milizia di Luchino Visconte, 604.
Filippo (Marco Giulio), che fu poi imperadore, creato prefetto del pretorio, I, 848. Toglie di vita Gordiano III Augusto, 848, 849. Proclamato imperadore, 849. Creduto da alcuni cristiano, 851. Vince i Sarmati, 854. Celebra l'anno millesimo di Roma, 857. Spettacoli da lui dati in tale occasione, 858. Perde la vita in una battaglia contra Decio, 862.
Filippo (Caio Giulio) juniore, creato Cesare dal padre, I, 851. Poscia imperadore, 855. Lasciato dal padre al governo di Roma, 861. Ucciso, 862.
Filippo, prefetto del pretorio sotto Costanzo Augusto, II, 46.
Filippo, re di Francia, per li suoi eccessi corretto da papa Gregorio VII, IV, 363. Scomunicato e poscia assolto da papa Urbano II, 468.
Filippo, arcivescovo di Colonia, corona in re di Germania e d'Italia Arrigo figlio di Federigo I, IV, 821.
Filippo Augusto, re di Francia, prende la croce, IV, 908. Fa pace con Arrigo re d'Inghilterra, ivi. Si riaccende tra loro la guerra, 912. Si pacificano, ivi. Con sua flotta giunge a Messina, 917. Coll'aiuto suo è presa Accon, 926. Se ne torna [900] in Francia, 927. Fa eleggere re da' Romani Filippo duca di Suevia, 960.
Filippo arcivescovo di Colonia, IV, 846. Cala in Italia coll'esercito, 850. Fa guerra ad Arrigo duca di Baviera e Sassonia, 868. Sua morte, 924.
Filippo, fratello di Arrigo VI imperadore, sposa Irene figlia di Isacco Angelo imperadore de' Greci, IV, 942. È creato duca della Toscana, ivi, 955. Poi duca di Suevia, 942. Viene eletto re de' Romani, 960. Dà una rotta ad Ottone IV suo competitore, 993. Favorito da papa Innocenzo III, 996. Assassinato da Ottone di Witelspach, 997.
Filippo, arcivescovo di Milano, IV, 993.
Filippo, vescovo di Ferrara, legato del papa Innocenzo IV in Germania, IV, 1193.
Filippo, re di Francia, figlio di San Lodovico, V, 87, 91, 162. Va alla conquista di Catalogna, 179. Miseramente termina il suo vivere, 180.
Filippo il bello, re di Francia. Sue liti con papa Bonifazio VIII, V, 252, 276. Contra cui pubblica orrende calunnie, 282. Ne è scomunicato, ivi. Nefando insulto fatto ad esso papa di suo ordine, 283. È a lui favorevole papa Benedetto XI, 289. Promuove al papato Bertrando del Gotto arcivescovo di Bordeaux, 296, 297 (V. Clemente V). Perseguita il defunto papa Bonifazio, 309, 323, 351. Promotore dei processi contro i Templarii, 309, 361, 374. Sua morte, 375, 376.
Filippo dalla Torre, signore di Milano e Como, V, 40. Se gli sottomettono altre città, 47. Manca di vita, 54.
Filippo, arcivescovo di Ravenna, ammassa un esercito di crocesignati, IV, 1255. Toglie Padova ad Eccelino, ivi, 1256. Pacifica i Bresciani, 1263. Fatto prigione da Eccelino, 1271. Ricupera la libertà, V, 16. S'interpone tra i Bresciani e i Torriani per comporli, 84.
Filippo de' Boschetti, vescovo di Modena, V, 197.
Filippo o Filippone, conte di Langusco, divien signore di Pavia, V, 268, 269, 278, 300, 307, 314, 337, 339. Si ribella al re Arrigo, VII, 348, 349, 357. Occupa Vercelli, 348. Giura fedeltà a Roberto re di Napoli, 360. Processato da re Arrigo, 363, 364. Sua prigionia e morte, 369.
Filippo di Savoia, principe della Morea, V, 294. Perde quel principato, 308. Governatore d'Asti, 330. Favorisce Arrigo VII re dei Romani, 337. Creato vicario di varie città, 348, 357.
Filippo de' Tedici, signor di Pistoia, V, 442. La vende a Castruccio, 446.
Filippo di Valois, fa guerra ai Visconti, V, 410, 412, 413. Con poco onore se ne torna in Francia, 413. Creato re di Francia, 475.
[901]
Filippo d'Alanzone, cardinale e patriarca d'Aquileia: sue guerre, 809, 810.
Filippo degli Scolari, Fiorentino, generale di Sigismondo re dei Romani, riporta una vittoria contra i Turchi, V, 1025.
Filippo Maria Visconte, lasciato conte di Pavia e d'altre città dal padre, V, 912, 914. Carcerato in Pavia, 924. Si tien nel castello, 958, 973. Ridotto in camicia da Facino Cane, 978. Succede al fratello ucciso nel ducato di Milano, 981, 982. Ricupera Piacenza, 994. Poi la perde, 999. Acquista Lodi e Como, 1005. Poscia Piacenza, 1012. Sua crudeltà e ingratitudine verso la moglie 1016. Fa guerra a' Genovesi, ivi. Fa con essi la pace, 1023, 1024. Divien padrone di Bergamo, 1024. Poscia di Cremona, 1031. Di Parma, 1032. Di Brescia, 1037. Di Genova, 1039. Ivi fa un grande armamento, 1047. E lo spedisce in aiuto della regina Giovanna, 1049. Dà una rotta ai Fiorentini, 1057, 1058. Da lui si ritira il Carmagnola, 1059. Gli è tolta Brescia dai Veneziani, 1064, 1065. Co' quali fa pace, 1067, 1068. Rotta la pace, torna a far guerra ai Veneziani, 1069. Varie battaglie fra loro, 1070. Fa pace con essi, e perde Bergamo, 1074. Manda soccorsi a Lucca, 1082. Sua vittoria dei Veneziani a Soncino, 1088. E poscia al Po, 1089. Con loro fa pace, 1100, 1101. Dà la libertà al re Alfonso, e gli si ribellano i Genovesi, 1116. Si rinnova la guerra fra lui e i Veneziani, 1124, 1125. Sue cabale e finzioni, 1127, 1128. Sconfitte da Francesco Sforza a lui date, 1145, 1146. Torna a far guerra ai Veneziani, 1150, 1151. E poi pace 1152, 1153. Suo mal animo contro Francesco Sforza, 1156. Fa lega co' Veneziani, 1168. Muove guerra ai Bolognesi, 1174. Fa assediar Cremona, 1179. Sconfitto l'esercito suo da' Veneziani, 1182. Sue grandi angustie, 1186. Termina i suoi giorni, 1189.
Filippo, principe di Savoia, tenta invano Genova, VI, 134. Creato duca di Savoia, succede a Carlo Giovanni Amedeo suo nipote, 142. Sua morte, 146.
Filippo degli Arcelli, occupa Piacenza, V, 999. Ne è cacciato da Francesco Carmagnola, 1012. Generale de' Veneziani, fa guerra nel Friuli, 1025.
Filippo di Ravensten, regio governatore in Genova per Lodovico XII, non potendo acquietare la sedizione, si ritira, VI, 222.
Filippo (San) Neri, prete, ottiene da papa Gregorio XIII la confermazione dell'istituto dell'oratorio, VI, 769.
Filippo II, figlio di Carlo V, dichiarato duca di Milano, VI, 548. Successore ne' regni di Spagna, 558. Viene a Genova e a Milano, 594. Poscia va [902] in Fiandra, 596. Torna in Ispagna, 612. Dichiarato dal padre re di Napoli, 638. Va in Inghilterra, e sposa la regina Maria, ivi. Rinunziati a lui dal padre i Paesi Bassi e la Borgogna, 645. Poscia i regni di Spagna, 650. Sua guerra con papa Paolo IV, 653. Vittoria delle sue armi a San Quintino contro i Franzesi, 664. È rapita dalla morte la regina Maria sua moglie, 673. Fa pace con la Francia, 679. Prende in moglie Elisabetta figlia di Arrigo II re di Francia, ivi. Si sollevano contro di lui i Paesi Bassi, 724. Fa morire Carlo suo figlio, 731. Vittoria delle sue armi contro i Turchi, 751. Aspira al regno di Portogallo, 781. E l'acquista, 785. Celebra le nozze di sua figlia Caterina con Carlo Emmanuele duca di Savoia, 804, 805. Collegato coi cattolici di Francia, 806, 807. Fa un grande armamento ai danni di Elisabetta regina d'Inghilterra, 915. Sua infelice spedizione contro di lei, 820. Entra nella lega santa, 826. Arrigo IV gli dichiara la guerra, 856. Acquista Marsilia, 860. Gli è preso Cadice dagli Inglesi, 862. Fa pace col re di Francia, 875. Fine del suo vivere, 877.
Filippo III, re di Spagna. Sua nascita, VI, 779. Filippo II, suo padre, gli fa prestar giuramento dai Portoghesi, 794. Sue nozze coll'arciduchessa Margherita d'Austria, 873, 874. Succede a suo padre, 873. Fa pace cogli Inglesi, 906. La tratta cogli Olandesi, 922. Tregua con essi, 926. Scaccia da Granata e da Valenza i Mori, 927. Si oppongono le armi sue al duca di Savoia, 941, 943, 948. Con cui fa la pace, 963. Abbatte il duca di Ossuna, 977. Fine del suo vivere, 982.
Filippo IV, primogenito di Filippo III re di Spagna. Sue nozze con madama Elisabetta figlia di Arrigo IV re di Francia, VI, 933. Succede al padre, 982. Manda soccorsi ai Genovesi, 1000, 1001. Si accorda co' Franzesi per la Valtellina. 1006. Manda in Italia il marchese Ambrosio Spinola contra il duca di Mantova, 1028. Se gli ribellano la Catalogna ed il Portogallo, 1105. Depone il conte di Olivares, 1123. Suo abboccamento con Luigi XIV re di Francia, 1219. Sua morte, 1240.
Filippo, duca d'Angiò, succede a Carlo II nella monarchia di Spagna, VII, 147. Va a Napoli, accollo con somma gioia da quel popolo, 163, 164. Da Napoli va a Milano, 168. Interviene alla battaglia di Luzzara, 169. Ritorna in Ispagna, 171. Sue guerre in Portogallo, 187. Assedia Barcellona, ed è forzato a ritirarsene, 206, 207. Suoi progressi contra i collegati, 225. Rotte a lui date dal re Carlo III, 234, 235. Riacquista Madrid, e mette in rotta gl'Inglesi e Tedeschi, 235, 236. [903] Accorda l'Assiento agl'Inglesi, 250. Ricupera Barcellona, 261. Sue seconde nozze con Elisabetta Farnese, 262. Ricupera la Sardegna, 278. Sua rottura colla corte pontificia, 281. Passano le armi sue all'acquisto della Sicilia, 285. Guerra a lui mossa dalla quadruplice alleanza, 289. Licenzia dal suo servizio il cardinale Alberoni, 297. Fa pace colle potenze nemiche, 298. Rinunzia il regno a don Luigi suo primogenito, 316. Lo ripiglia, 319. Fa pace con Carlo VI imperadore, 321. Indarno assedia Gibilterra, 332. Ricupera Orano, 398. Collegato coi Franzesi manda un'armata in Italia contra dell'imperadore, 377, 378. Cede a Don Carlo suo figlio l'una e l'altra Sicilia, 402. Manda le sue armi in Italia contro la regina d'Ungheria, Maria Teresa, 479. Termina il corso di sua vita, 592.
Filippo (Luigi), duca d'Orleans, spedito dal re di Francia in Italia al comando delle sue armi, VII, 197. Marcia in Piemonte colla sua armata, 199. Indarno propone di far giornata campale contro i Tedeschi, 200. Rotta la sua armata dal principe Eugenio sotto Torino, ivi. Generalissimo dell'armi Gallispane, e suoi progressi in Ispagna contra il re Carlo III, 225. Dichiarato reggente del regno di Francia per la minorità del re Luigi XV, 267. Termina il suo vivere, 315.
Filippo, infante di Spagna. Suo matrimonio con Luigia Elisabetta primogenita del re di Francia Luigi XV, VII, 452. Viene in Provenza, 505. Unito coi Franzesi contra Carlo Emmanuele re di Sardegna, 534. I cittadini di Nizza gli presentano le chiavi della lor città, 536. Penetra con un'armata in Lombardia, 559. Acquista Tortona, Piacenza e Parma, 560, 561. Entra in Milano, 567. Forzato ad abbandonarlo, 573. Si ritira in Provenza, 600. Assiste alla liberazione del castello di Ventimiglia, 681. Nella pace d'Aquisgrana a lui ceduti i ducati di Parma, Piacenza e Guastalla, 689, 695, 708.
Fillide, nutrice di Domiziano, I, 369.
Filopatore, re della Cilicia, I, 54.
Filosofi, cacciati da Roma, e perchè, da Vespasiano, I, 301. Da Domiziano, 362.
Filostorgio; sua storia, II, 462.
Filostrati, il maggiore d'essi fiorì sotto Severo Augusto, I, 713.
Finale di Spagna, venduto dall'imperadore ai Genovesi, VII, 255.
Fiorentini, distruggono Fiesole, IV, 89, 90. Lor guerra e vittoria contro i Sanesi, 1099, 1108. Assediano Siena, 1111. Pace fra loro per interposizione di papa Gregorio IX, 1128. Cagione per cui nuovamente muovono guerra ai Senesi, V, 21. Dai quali con uno strattagemma sono [904] terribilmente sconfitti, 22. Dalla loro città se ne fuggono i Guelfi, 23. Segue pace fra loro, 63. Prendono per signore Carlo I re di Sicilia, 65, 82. Fan guerra ad Arezzo, 195. E sconfiggono gli Aretini, 201. Uniti coi Lucchesi fan guerra ai Pisani, 221. Nobili: lor gara colla plebe, 239. Fazioni gravi fra loro insorte, 270. Fan guerra a Pistoia, 280. Sconvolta la lor città dalle fazioni, 289, 291. Assediano Pistoia, 300. E la costringono con inganno alla resa, 304. Lor guerra civile, 323. Danno una rotta agli Aretini, 332. Si preparano contro Arrigo VII, 340, 349. Guerra lor fatta da esso Arrigo, 354. Prendono per lor signore il re Roberto, 365. Rotta loro data da Uguccione dalla Faggiuola sotto Montecatino, 333. Pace fra essi e i Pisani, 393. Lor muove guerra Castruccio, 414. Nuova guerra con lui, 446. Da cui hanno una gran rotta ad Altopascio, 447. Poscia loro inferisce altri danni, 450. Prendono per loro signore Carlo duca di Calabria, 454. S'impadroniscono di Pistoia, 469. Loro è ritolta da Castruccio, 470. Assediano Lucca, 499. Usurpano la signoria di Pistoia, 503. Danni d'un diluvio nella lor città, 514. Mandano lor genti a Bologna per salvare il legato del papa Beltrando dal Poggetto, 518. Lo scortano fino a Firenze, ivi. Collegati coi Veneziani contra gli Scaligeri, 533. Acquistano Arezzo, 537. Lor inutile tentativo per impedire la pace tra i Veneziani e gli Scaligeri, 542. Comprano Lucca dagli Scaligeri, 556. Sconfitti sotto Lucca dai Pisani, 558. Dai quali vien loro tolta quella città, 563. Prendono per signore Gualtieri duca d'Atene, 564. Congiurano contra di lui, e lo scacciano, 570. Lor guerra civile, 571. Guerra lor mossa da Giovanni Visconte, 622. S'impadroniscono di Volterra, 685. Lor guerra co' Pisani, 689, 695. Gli sconfiggono e fan pace, 699. Sconfitti da Giovanni Aucud, 720. Ripigliano San Miniato, 723, 724. Muovono a ribellione le città della Chiesa, 746. Fiere censure del papa contra di essi, 751. Ambasciatori loro mandati dal papa per accordo, 754. Congiura de' Ciompi, 768. Comprano Arezzo, 799. Si oppongono al conte di Virtù, 838, 848. Si oppongono al duca di Milano Gian-Galeazzo, 875, 902, 905. Tentano l'acquisto di Pisa, 925. La comperano, e restano beffati, 935. Ne divengono padroni, 945. Guerra lor mossa dal re Ladislao, 963. Acquistano Cortona coll'oro, 976. Sconfitte loro date dal duca di Milano, 1005. Collegati coi Veneziani contro di esso duca, 1062. Loro milizie spedite a Brescia, 1066. Sottomettono Volterra ribellata, 1078, 1079. Forzati a ritirarsene, 1082. [905] Tornati a quell'assedio, restano sconfitti, 1083. Loro fa guerra il Piccinino, 1090. Danno una rotta ai Collegati, 1095. Sconfitti da Niccolò Piccinino, 1109. Guerra mossa loro dal re Alfonso, 1196, 1202. Fanno pace, 1214. Torna il re a far loro guerra, 1226. Contra d'essi va il Coleone, VI, 23. Fan guerra a Volterra, 44. Congiura dei Pazzi contra i Medici, 59. Scomunicati da papa Sisto, 61. Guerra lor mossa da esso pontefice e dal re Ferdinando, 62. Loro esercito sconfitto, 68. Pace d'essi con Ferdinando, 69. E col papa, 72, 73. Ricuperano Sarzana, 98. Loro imbrogli con Carlo VIII re di Francia, 121, 122. Perdono Pisa, Sarzana, ed altri luoghi ceduti a Carlo VIII, 122. Si accordano con esso lui, 124. Vani loro sforzi per ricuperar Pisa, 136. Che è soccorsa da' Veneziani, 140, 148. Indarno tornano ad assediarla, 153. Imbrogli del duca Valentino contra d'essi, 183. Fanno guerra a Pisa, 210, 214, 231. Se ne impadroniscono, 249. Riacquistano Monte Pulciano, 271, 272. Forzati a rimettere in città i Medici, 292. Acquistano San Leo e Montefeltro, 356. Ripigliano la libertà, e cacciano i Medici, 442. Contra d'essi marcia l'esercito cesareo, 467. Ostinati a volersi difendere, 469, 4?5, 479. S'arrendono, 480, 486.
Fiorentino, prefetto di Roma, II, 313, 328.
Fiorenzo (Flavio), prefetto del pretorio delle Gallie, II, 97. E console, 101. Fugge in Oriente, 105, 106. Si nasconde, 119.
Firenze: anno in cui comincia ad acquistarsi nome, IV, 76. Vi entrano le fazioni de' Guelfi e Ghibellini, 1028. Guelfi discacciativi, 1192. Torna essa a parte guelfa, 1228, 1244. Fa guerra a Pisa, 1258.
Firmico (Giulio), scrittore, I, 1220; II, 13, 15.
Firmo o Firmio (Marco), imperadore effimero, I, 966, 967.
Flacco (Caio Valerio), poeta sotto Domiziano, I, 370.
Flacilla o Placilla (Elia), moglie di Teodosio Augusto, II, 219. Sua morte, 257.
Flacilla, figlia di Arcadio Augusto, II, 346.
Flacilla, sorella di Teodosio II Augusto, II, 481.
Flagellanti: lor pia commozione per l'Italia, e frutto che se ne ricavò, V, 25.
Flagelli orribili in Oriente e in Occidente, II, 968, 969.
Flaviano (Giunio), prefetto di Roma, I, 1098.
Flaviano (San), vescovo di Antiochia: prende l'assunto di passare a Costantinopoli per placare lo imperadore Teodosio giustamente sdegnato contro gli abitanti di essa città, II, 266. Ottiene il suo intento, 267. Ritorna in Antiochia, 268.
[906]
Flaviano, prefetto del pretorio sotto Eugenio tiranno, II, 305, 307. Si uccide, 310.
Flaviano, prefetto di Roma, II, 342, 349.
Flaviano (San), patriarca di Costantinopoli, odiato da Crisafio eunuco, II, 529. È abbattuto da lui, 535. Suo esilio e morte, ivi.
Flaviano, patriarca cattolico di Costantinopoli, cacciato in esilio, II, 785.
Flavio Destro: sua storia apocrifa. II, 430.
Flegonte, liberto di Adriano Augusto, suoi libri, I, 459
Floriano (Marco Annio), fratello di Tacito Augusto, I 979. Prefetto, del pretorio, 980. Proclamato imperadore, 981. Sua morte, 983.
Foca, giurisconsulto, incaricato di compilar il codice di Giustiniano, II, 836.
Foca, proclamato imperadore, barbaramente toglie la vita a Maurizio Augusto e a' suoi figli, II, 1119, 1120. Riconosciuto in Roma, 1127. Guerra a lui fatta dai Persiani, 1128. Sua crudeltà, 1134. Favorevole alla Chiesa romana, 1136. A cui dona il Panteon, 1138. Come mal sostenesse la guerra contro i Persiani, 1139. Si ribellano contra di lui l'Africa e l'Egitto, 1140. E il popolo di Costantinopoli, 1141. È messo in pezzi, ivi.
Folco, arcivescovo di Rems, III, 853, 866, 885. Corona Carlo il Semplice, 891. Promuove gli interessi di Lamberto Augusto, 906.
Folco, figlio di Alberto Azzo II marchese di Este progenitore della casa d'Este, IV, 339, 394, 440. Succede al padre, 474. Guerra a lui fatta da Guelfo duca suo fratello, ivi. Varii suoi atti, 548, 549. Muore, 633.
Folco II, marchese d'Este, IV, 633, 722.
Formoso, vescovo di Porto, inviato da papa Niccolò ai Bulgari, III, 708. È mandato da Adriano II, in Lorena, 724, 725. Perseguitato da papa Giovanni VIII, 796. Da lui imprigionato, 798. Nemico di esso papa, 832. Rimesso sulla sua sede, ed assolto da papa Marino, 836. Viene eletto papa, 886. Avverso a Guido Augusto, 889. Pure dà la corona dell'imperio a Lamberto di lui figlio, ivi. Chiama in Italia Arnolfo re di Germania, 895, 907. Lo corona imperadore, 910. È chiamato da Dio all'altra vita, 915. Suo cadavere dissotterrato e gittato nel Tevere, 917.
Foro di Flaminio, città ora distrutta, I, 876.
Fortunato, vescovo di Todi, II, 791.
Fortunato, patriarca di Grado, II, 1200.
Fortunato, patriarca di Grado, III, 441. Data a lui in Francia un'abbadia, 442. Va in Istria ad una dieta tenuta dai deputati di Carlo Magno, 450. Va a Torcello, 455. Suoi maneggi segreti coi Franzesi, 460. Impetra ed ottiene all'Istria dall'imperadore Lodovico Pio di poter eleggere i [907] proprii governatori, 524, 525. Accusato d'infedeltà da Tiberio suo prete, 530. Sua morte, 548.
Foscarini (Antonio), nobile veneto, innocente condannato a morte, VI, 988.
Fosco (Cornelio) prefetto del pretorio, sconfitto ed ucciso dai Daci, I, 341, 342.
Fozio, intruso nel patriarcato di Costantinopoli, III, 683, 692, 713. Ne è cacciato, 717, 718. Rimesso in quella cattedra, 801. Cacciato in esilio da Leone Augusto, 855.
Fraate, re dei Parti, suo abboccamento con Caio fratello di Augusto imperadore, I, 9. È ucciso da suo figlio, 18.
Francescano Rusca signor di Como, V, 526.
Francesco d'Assisi (San), istitutore dei Minori, disapprova l'indipendenza de' suoi frati dai vescovi, III, 46. Va a predicare al sultano di Egitto, IV, 1040. Mirabili sue prediche in Bologna, 1056. Chiamato a miglior vita, 1075. Sua canonizzazione, 1083.
Francesco Dandolo, doge di Venezia, V, 479. Manca di vita, 551.
Francesco, marchese d'Este, V, 318. Ucciso dai Catalani, 356.
Francesco Orsino, cardinale, V, 284.
Francesco di Parma, arcivescovo di Milano: sua morte, V, 322.
Francesco, o Cecco, degli Ordelaffi, divien signore di Forlì, V, 386.
Francesco degli Ordelaffi, signore di Forlì, vi è assediato dalle armi pontifizie, V, 502. Cede Forlì al papa, ivi. Fatto prigione dai Ferraresi, 511. Ribella Forlì alla Chiesa, e se ne impadronisce, 512. Va al servigio di Lodovico re d'Ungheria, 594. Occupa Meldola, 616. Va all'assedio d'Imola, 622. Nimicizia tra lui e Malatesta signore di Rimini, 646, 647. Gli fa guerra il cardinale Egidio Albornoz, 656. Perde Cesena, 659, 660. Rende Forlì, 673, 674. Sua morte, 749.
Francesco Pico dalla Mirandola, signore di Modena, V, 401. Rende quella signoria a Passerino de' Bonacossi signore di Mantova, 407. Sua mirabil morte, 420.
Francesco Scotto, signor di Piacenza, V, 528. Cede quella città ad Azzo Visconte, 531.
Francesco Gonzaga, toglie di vita il fratello Ugolino, e s'impadronisce della signoria di Mantova, V, 690. Fa lega contro i Visconti, 705. Che gli muovono guerra, 711, 713. E poi fan pace, 718. Sua morte, 791.
Francesco da Carrara, proclamato signor di Padova, V, 616, 617. Accoglie con grande onore Carlo IV re di Boemia e dei Romani, 640. Generale dell'armata collegata contro i Visconti, 643, [908] 650. Mette in prigione Jacopino suo zio per dominar solo, 650. Odio de' Veneziani contro di lui, 665. Lodovico re d'Ungheria gli dona Feltre e Cividal di Belluno, 678. Sua lega contra i Visconti, 686, 687. Pace con essi, 696. Sue liti coi Veneziani, 702. E guerra, 733, 734, 739. Collegato coi Genovesi, con Lodovico re d'Ungheria e col patriarca d'Aquileia contro i Veneziani, 767. Indarno assedia Trivigi, 774. Continua la guerra ad essa città, 782, 795, 796. Lo acquista in fine con altri luoghi, 801. Guerra a lui mossa da Antonio Scaligero, 810. A cui dà una gran rotta, 815, 816. E poscia un'altra, 819, 820. Sua lega col conte di Virtù, 820, 821. Da cui resta burlato, 823. Inveisce contro di lui, ciò che serve di pretesto a quest'ultimo per muovergli guerra, 826. Rinuncia la signoria di Padova a Francesco Novello suo figlio, e si ritira a Trivigi, 829. Lo perde, e si rimette nelle mani del conte di Virtù, 828. Per la fuga del figlio è imprigionato, 833, 834, 849. Sua morte, 858.
Francesco Novello da Carrara, figlio di Francesco: sue nozze con Taddea d'Este, V, 756. Va allo assedio di Trivigi, 774. Gli è rinunziato dal padre il dominio di Padova, 827. Di cui è spogliato dal Visconte, 828. E ritenuto in Milano, 832. Fugge dalle sue mani, e si ricovera a Firenze, 833. Ricupera Padova, 839. Stacca Alberto di Este dalla lega del conte di Virtù, 841. Guerra a lui fatta da esso conte, 848. Pace con esso, 849. Va all'improvviso in Ferrara, e la fa da padrone, 883. Generale di Roberto re de' Romani, 902. Collegato coi Bolognesi, 908. Fa guerra al duca di Milano, 913, 916. S'impadronisce di Verona, 926, 927. Guerra a lui mossa da' Veneziani, 929. Perde Verona, 937. Poscia Padova, 938, 939. E finalmente insieme a' proprii figli, la vita, 939.
Francesco da Vico, tiranno di Viterbo, V, 754.
Francesco Carmagnuola, V. Carmagnuola (Francesco).
Francesco, signor di Sassuolo. Si solleva contro il marchese Niccolò II marchese d'Este, V, 862, 869, 870.
Francesco Tebaldeschi, cardinale, VI, 760. Sua morte, 762.
Francesco II da Gonzaga, signore di Mantova, VI, 792. Collegato col Visconte, 826, 837. Si stacca dalla sua lega, 845. Ne maneggia una contra di lui, 850. Gli muove guerra il duca di Milano, 873. Che dà una rotta all'armata di lui e dei collegati, 876, 877. Cerca secretamente di ottener pace col duca suddetto, 878. La conchiude finalmente, 881. Milita per esso contro Bologna, 908. Occupa Ostiglia e Peschiera, [909] 927. Muove guerra ai Carraresi, 937. Muore, 951.
Francesco Sforza, sua nascita, VI, 900. Imprigionato a Benevento, 998. Principiò del suo innalzamento, 1007. E della sua milizia, 1011. Prende moglie, 1017. Combatte contro Braccio di Montone, 1052. Va al servizio del duca di Milano, 1063, 1064. E alla difesa della cittadella di Brescia, 1065. Sconfitto dai villani del Genovesato, 1072, 1073. Soccorre i Lucchesi, 1082. Dà una rotta ai Veneziani, 1088. Occupa la Marca d'Ancona, 1105. Continua le conquiste negli Stati della Chiesa, ivi. Creato gonfaloniere della Chiesa, ivi. Generale de' Fiorentini, 1109, 1110. Sue guerre in Toscana, 1120, 1124. Chiamato al suo servigio dal duca di Milano, 1127. Fa guerra nel regno di Napoli, 1128. Saccheggia Sassoferrato, 1132. Va in soccorso de' Veneziani, 1139. Ricupera Verona colla sconfitta del Piccinino, 1141. Libera Brescia e fa altri acquisti, 1145, 1146. Manda i suoi contro il re Alfonso, 1149. Col matrimonio di Bianca Visconte acquista Cremona, 1153. Gli fa guerra il Piccinino, 1156. Bolla di papa Eugenio contro di lui, 1159. Spogliato delle città della Marca dalle armi del re Alfonso e del Piccinino, 1165, 1166. Dà una rotta ad esso Piccinino, 1167. Poscia un'altra a Francesco suo figlio, 1170. Ricupera molte terre e si accorda col papa, 1170, 1171. Che poi torna a fargli guerra, 1176. Perde la Marca, 1177. Si accorda col duca di Milano, 1183. Creato dai Milanesi lor capitan generale, 1192. Acquista Pavia e assedia Piacenza, 1191, 1193. Sconfigge la flotta veneta, 1199. E l'armata terrestre, ivi. Fa lega co' Veneziani, 1201. Acquista Piacenza, 1203. Novara ed Alessandria, 1204. E Tortona e Parma, 1206, 1207. Vigevano, 1210. Tratta d'accordo con Carlo da Gonzaga, per cui gli sono cesse Lodi e Crema, 1210, 1211. Cede Crema a' Veneziani, 1211. Contra di lui si rivolgono i Veneziani, ivi. Va coll'armata sotto Milano, 1212. Ad istanza dei Veneziani fa tregua, ivi. Stringe nuovamente Milano d'assedio, ivi. Tratta di pace con Lodovico duca di Savoia, ivi. Mette in fuga Jacopo Piccinino e Sigismondo Malatesta, generale de' Veneziani, ivi. Acquista Trezzo per denari, ivi. Gli si rende Milano, 1216. Acclamato duca, ivi. A lui si sottomettono Como, Monza e Bellinzona, 1217. Sua magnifica entrata in Milano, ivi. Rimette in libertà Guglielmo fratello di Giovanni marchese di Monferrato, e capitolazione da lui avuta per questo, 1218. Ritiene prigione Carlo da Gonzaga, ivi. Lo lascia in libertà e a quali patti, ivi, 1219. Manda il suo [910] primogenito Galeazzo Maria a Ferrara ad ossequiare l'Augusto Federigo III, 1224. Guerra a lui mossa dai Veneziani, 1226, 1229. Sua pace con essi, 1236. Ammoglia i suoi figliuoli, 1243. Manda aiuti ai Genovesi, 1265. Acquista Genova, VI, 11, 12. Tien mano a tradire Jacopo Piccinino, 15. Fine del suo vivere, e sua figliolanza, 19.
Francesco III da Carrara, spedito dal padre con alquanti cavalieri a difendere Bologna dalle armi del duca di Milano, V, 908. Colà resta prigione di Facino Cane, 909. Scappa di prigione, 910. Va ad assediare Vicenza, 927, 928. Fa una sortita da Padova sui Veneziani, a' quali dà una forte rotta, 937. Viene tolto di vita da' Veneziani, 939.
Francesco degli Ordelaffi signor di Forlì: sua morte, V, 933.
Francesco, figlio di Niccolò Piccinino, perde Bologna, V, 1164. Sconfitto e fatto prigione da Francesco Sforza, 1170. Assedia Cremona, 1179. Sconfitto da' Veneziani, 1188. Milita sotto Francesco Sforza, 1199, 1205, 1206. Va ad assediare Monza per lui 1207. A lui si ribella, 1208. Sua morte, 1212.
Francesco Foscari, doge di Venezia, V, 1951. Suoi affanni e sua morte, 1246, 1247.
Francesco Gonzaga, cardinale, VI, 27.
Francesco Salviati, arcivescovo di Pisa, congiurato contro dei Medici, VI, 60.
Francesco de' Pazzi, unito a Francesco Salviati contro de' Medici, VI, 59.
Francesco Alidosio, detto il cardinal di Pavia, governator di Bologna, VI, 264. Si porta a Ravenna per giustificarsi con papa Giulio, 206. Viene ucciso, ivi.
Francesco I re di Francia, succede a Lodovico XII, VI, 318. Suo grande preparamento contro lo Stato di Milano, 320. Entrano le sue armi in Genova, 322. In Novara e Pavia, 325. Gran battaglia, e vittoria sua a Marignano contro gli Svizzeri, 326, 327. Se gli rende Milano col resto delle città, 328. Fa lega con Leone X, ivi. Mette l'assedio a Brescia, 331. Va a Bologna a conferire col papa Leone, 331. Aboliscono la prammatica sanzione, ivi. A forza d'oro trae gli Svizzeri ad una pace perpetua, 344. Rinnova la lega colla repubblica Veneta, 349. Gli nasce Francesco II e ne chiama padrino il papa, 351. Indarno aspira all'imperio, 353. Sue doti e suoi difetti, 354. Muove guerra, a Carlo V, 362. Manda il Bonivet in Italia, 395. Gli si rende Milano, 407. Va all'assedio di Pavia, 408. Sua lega con papa Clemente, 409. Aspira al regno di Napoli, 410. Sua battaglia sotto Pavia, [911] in cui rimane prigione, 45. È condotto in Ispagna, 417. Sua malattia, 419. Liberato di prigione, 421. Fa lega col papa contro Cesare, 422. Fa lega con varii principi in difesa del papa, 445. Rimanda in Italia un'armata e s'impadronisce di Genova, 446. Suo accordo con Carlo V, 468. Suo abboccamento con papa Clemente, 496. Fa guerra a Carlo duca di Savoia 515. E a lui la fa Carlo V in Provenza, 521. Viene in Piemonte, 532. Sua lega con Solimano sultano dei Turchi, 533, 546, 547, 550. Suo abboccamento con papa Paolo III, 534. Poscia con Carlo V, 537. Riceve con grande magnificenza lo stesso imperadore in Parigi, 543. Contro cui prepara le armi, 550. Gli muove guerra in più parti, 523, 554. Unito coi Turchi fa guerra ai Cristiani, 556, 562. Sua pace con Carlo V, 569. Chiude il corso di sua vita, 583.
Francesco Maria della Rovere, signore di Sinigaglia e prefetto di Roma. Gli è tolta quella città dal duca Valentino, VI, 195. Adottato da Guidobaldo duca di Urbino, 213. Duca d'Urbino e generale del papa, muove guerra ai Veneziani, 234. E al duca di Ferrara, 254. Uccide il cardinale Alidosio, 266. Ricupera le città della Romagna e Bologna, 289. Spogliato d'Urbino da papa Leone, 333. Suo sforzo per ricuperare i suoi Stati, 345. Ma invano, 347. Ricupera il ducato d'Urbino, 375. Generale dei Veneziani 395, 423, 458, 471, 474. Va coll'armata de' Veneziani, che comandava, a rinforzare l'armata cesarea, 401. Generale del papa, 441. Acquista Camerino pel figlio, 508. Cessa di vivere, 538.
Francesco Maria Sforza, dichiarato duca di Milano, VI, 370. Gli si sottomettono quasi tutti i luoghi, ad eccezione di Cremona, Alessandria, ed castello di Milano, ivi. Acquista Alessandria, 378. Entra in Milano, 381. Ricupera varie città, 384 E il castello di Milano, 390. Fa lega coll'imperadore, 392. Abbandona Milano ai Franzesi, 407. Non vuol ritenere il re Francesco I prigioniero degli Spagnuoli nel castello di Milano, 416. Rimesso in Milano si trova privo d'autorità, 419. Gli è tolto il governo, 420. Ricupera Cremona, e Pizzighettone, 427. Riacquista, con gravi condizioni, il ducato, 472, 473. Sue nozze, 502. Termina i suoi dì senza prole, 514.
Francesco Donato, doge di Venezia, VI, 575. Sua morte, 632.
Francesco III, duca di Mantova, e di Monferrato, succede al padre, VI, 548. Sue nozze, 602. Fine de' suoi giorni, 606.
Francesco Veniero, doge di Venezia, VI, 639, 656, 657.
[912]
Francesco II, re di Francia, VI, 681. Sua morte immatura, 691.
Francesco Gonzaga, marchese di Mantova, V. Gian-Francesco II, Gonzaga.
Francesco, duca d'Angiò, preso per difensore dai popoli della Fiandra, VI, 782. Proclamato duca del Brabante, conte di Fiandra, ec., 792. Suo tentativo per farsi signor assoluto, da cui ne sorte con vergogna, 794. Tornato in Francia, miseramente muore, 797.
Francesco Maria, principe d'Urbino. Sue nozze VI, 746. Va contro i Turchi, e combatte nella celebre battaglia di Lepanto, 750. Succede a Guidubaldo suo padre, 762. Gli è tolto dalla morte l'unico figlio Federigo, 993, 1010. Imbrogli suoi colla corte di Roma, ivi. Sue belle qualità d'animo, 1011. Rinunzia al papa il suo ducato, ivi. Muore lasciando buon nome, e con lui resta estinta la famiglia della Rovere, 1055.
Francesco Cenci, Romano. Sua brutalità, e morte, VI, 881, 882.
Francesco Gonzaga, principe di Mantova. Sue nozze coll'infanta di Savoia, VI, 923. Succede al padre, 935. Muore, 936.
Francesco Giacinto, duca di Savoia, succede a suo padre VI, 1083. Sua morte, 1089.
Francesco I, duca di Modena, succede al padre, che si fa cappuccino, VI, 1031. Unito cogli Spagnuoli fa guerra a Parma, 1074. S'impadronisce di Rossena e Colorno, e di altre terre, mettendo tutto a sacco, 1075. Sua pace col duca di Parma, ivi. Acquista Correggio, 1079. Va in Ispagna, 1091. Padrino dell'infanta Maria Teresa, poi moglie a Lodovico XIV, re di Francia, ivi. Fa lega coi Veneziani e col gran duca in favore di Parma, 1115. Guerra fra lui e i Papalini, 1121. E poi pace, 1124. Entra in lega coi Franzesi, 1161. Sue seconde nozze, 1169. Assedia Cremona, ivi. Ma invano, 1171. Fa pace cogli Spagnuoli, 1172. Sua magnificenza, 1186. Passa alle terze nozze, 1193. Guerra a lui mossa dagli Spagnuoli per mezzo del marchese di Caracena, governatore del Milanese per essi, 1196. Che è costretto a ritirarsi, 1197. Mortalmente ferito nell'assedio di Pavia, 1199. Riacquistata la sanità, va a Parigi, ivi. Torna in Italia, generalissimo delle armi franzesi, e prende Valenza, 1201. Assedia Alessandria, 1207. Obbliga il duca di Mantova alla pace, 1211. Dopo l'acquisto di Mortara manca di vita, 1212.
Francesco II, duca di Modena, succede ad Alfonso IV suo padre, VI, 1229. Va a Roma, VII, 62. Prende in moglie Margherita Farnese, 104. Fine di sua vita, 112.
Francesco III, duca di Modena. Sua nascita, VII, [913] 138. Suo solenne battesimo, 143. Prende in moglie Carlotta Aglae figlia del duca d'Orleans, 301. Succede al padre nel ducato, 438. Trovandosi fra due fuochi di guerra, risolve di aderire al partito dell'imperadore e della Spagna, 493. Si ritira a Venezia, 497. Cede ai nemici tutte le sue piazze, 500. Dichiarato generalissimo della armata spagnuola in Italia, passa a Rimino a prendervi possesso della carica, 512, 513. Si ritira con essa armata verso il regno di Napoli, 525. Suo pericolo nella sorpresa di Velletri, 529. In Roma va ad inchinare il papa, 532. Marita Felicita sua figlia col duca di Penthievre, 545. Conduce l'armata napoloispana in Garfagnana, e ricupera quella provincia, 556. Gli è preso tutto il bagaglio dagli Usseri, 580. Si ritira coll'Infante don Filippo in Provenza, 600. Assiste alla liberazione del castello di Ventimiglia, 681. Nella pace d'Aquisgrana sono a lui restituiti tutti i suoi Stati, 690, 696. Rimesso in possesso dei comitati di Arad e Jeno in Ungheria, e riconosciuto giusto erede degli allodiali de' già duchi di Guastalla, 700, 701. Suoi pregi e lodi, 707, 708.
Francesco Farnese, duca di Parma, succede a Ranuccio II suo padre, VII, 113. Salva le sue città dall'introduzion di guarnigioni tedesche, 165. Procura la depressione del cardinal Alberoni, 296. Termina i suoi giorni, 329.
Francesco Morosino, capitan generale della flotta Veneta. Sua vittoria contra i Turchi, VI, 1250. Per la perdita di Candia, il popolo di Venezia lo chiama traditore, 1256. È accusato e poi assoluto in pien senato, 1261. Prende Corone ed altre città, 58, 59, 61, 62. Acclamato doge, 72. Viene a Venezia, 77. Eletto capitan generale, muore, 107.
Francesco Pico, duca della Mirandola, prende il partito de' Franzesi, VII, 182. Dichiarato ribello e decaduto da' suoi Stati dall'imperadore, 234.
Francesco Maria, cardinale de' Medici. Suo matrimonio, VII, 229. Sua morte, 238.
Francesco Stefano, duca di Lorena, cede i suoi Stati alla Francia, e riceve in iscambio la Toscana, VII, 413. Sue nozze con Maria Teresa primogenita dell'imperadore, Carlo VI, 419. Entra in possesso della Toscana, 433, 435. Generalissimo dell'imperatore in Ungheria, 435. Colla consorte cala in Italia e Toscana, 448, Dichiarato correggente dalla regina d'Ungheria sua moglie, 466. Eletto imperadore, 546. Suoi gloriosi pregi, 706.
Franchi, popoli della Germania, quando si cominci ad udire il lor nome, I, 885. Devastano le Gallie, e la Spagna Taragonese, 911. Lor guerra [914] con Costante Augusto, II, 9, 15. Contra di loro milita Giuliano Cesare, 86, 87, 100. Lor primo re Faramondo, e loro origine, 438. Cacciati dalle Gallie da Aezio, 473. Fanno pace co' Romani, 483, Altri uniti coi Romani ed altri con Atila, 553. Quando cominciassero a conquistar le Gallie, 594. S'impadroniscono di Colonia, 619. Danno una rotta ai Borgognoni, 741. Sconfiggono i Visigoti, 755. Sono rispinti all'assedio di Arles, 767. Calano in Italia, 881, 920, 921. Tornano in Italia cogli Alamanni, 947. Sono sconfitti e distrutti da una terribile peste, 951, 953. Quali armi usassero, 952. Abbandonano per forza tutti i luoghi, che occupavano in Italia, 961. Pulizia de' loro costumi, ivi. Loro crudeltà, 1073. Fanno guerra ai Longobardi, 1074.
Franchino Rusca, occupa Como, V, 914.
Francoforte, gran concilio ivi tenuto contro di Felice, vescovo d'Urgel, III, 393.
Francone. V. Bonifazio pseudo-papa.
Francone, abbate di Santa Sofia, IV, 610.
Franzesi: lor duello a Trani cogli Italiani, e loro perdita (V. Duello). Cacciati d'Italia, VI, 287. Rotti sotto Novara, 303. Uniti col re di Sardegna occupano quasi tutto lo Stato di Milano, 379, 386. Reggio e Modena, 394. Sospension di armi fra essi e l'imperadore, 412. Pace fra loro, 413. Si uniscono coll'elettor di Baviera contro la regina d'Ungheria, 475. Assediati in Praga, l'abbandonano, 489. Ricuperano la Baviera, 490. S'uniscono cogli Spagnuoli contro il re Sardo, 516. Battaglia navale della loro flotta unita colla Spagnuola, contro gli Inglesi verso Tolone, 535. Dichiarano la guerra alla regina di Ungheria e all'Inghilterra, 541. Prendono Friburgo, 544.
Fravita, Goto, generale della flotta imperiale, abbatte Gaina, II, 356. Console, 357.
Fredegario, storico non bene informato delle cose longobardiche, II, 1156. Poco esatto nelle circostanze dei tempi e dei fatti, 1204. Mette insieme fatti accaduti sotto anni diversi, 1205, 1215, 1229. Anno a cui arriva la sua Storia, 1232.
Fregnano dalla Scala toglie a Can Grande, suo fratello, Verona, V, 637. Muore, 638.
Fresco Estense, signor di Ferrara, V, 319.
Frigerido, duca, generale di Graziano Augusto, II, 205. Gli vien tolto il comando delle armi nell'Illirico, 209.
Fritigerno, capo de' Goti, II, 204. Rotta da lui data a Valente Augusto, 211.
Friuli (ducato del), quando instituito, II, 999, 1020.
Frontino (Sesto Giulio), scrittore e console, I, 385, 431.
[915]
Frantino (Giulio): sue conquiste nella Bretagna, I, 310.
Frontone (Cornelio), oratore sotto Antonino Pio, I, 516, 524.
Frontone, arcivescovo scismatico di Milano, II, 1003. Sua morte, 1043. Dove fosse sepolto, ivi.
Frumentarii (uffizio degli), aboliti da Diocleziano, I, 1052.
Fucino, lago. L'imperadore Claudio tenta di seccarlo, I, 187.
Fulberto, vescovo di Sciartres, IV, 81.
[916]
Fulgenzio (San), vescovo africano, e scrittore della chiesa, è mandato in esilio, IV, 81.
Fulvia, nobile romana, ingannata dai Giudei, I, 60.
Fuoco, solito a portarsi innanzi agli Augusti, I, 602.
Fuoco sacro: comincia ad affliggere la Lorena, e poi si sparge per la Francia e per l'Italia, IV, 442.
Furnilla (Marcia), seconda moglie di Tito Augusto, I, 319.
[917]
Gabinio, re dei Quadi, assassinato dai Romani, II, 189.
Gabriello Adorno, doge di Genova, V, 694. Accoglie ed accompagna il papa Urbano V, che da Avignone trasferiva la sede pontificia in Roma, 707. Deposto, 726.
Gabriello, bastardo di Gian-Galeazzo Visconte, signore di Pisa, V, 911. Guerra a lui mossa dai Fiorentini, 925. A quali vende Pisa, 935. Perde Sarzana, 949. Va a Genova, 957. Dove, iniquamente preso ed accusato da Bucicaldo, gli è mozzo il capo, ivi.
Gabriello Condolmieri, cardinale, V, 1027. Poscia papa, V. Eugenio IV.
Gabrino Fondolo, tiranno di Cremona: a tradimento s'impadronisce di Cremona, V, 943. Fa lega con varii altri signori contro Ottobuono de' Terzi, 960. Accoglie il papa e il re de' Romani, 988. Guerra a lui fatta dal duca di Milano, 1024. Si reca a Bologna qual generale di quelle genti, 1026. Perde Cremona, 1031. E poi la vita, 1063.
Gaddo de' Gherardeschi, conte di Donoratico, creato signore di Pisa, V, 388. Termina i suoi giorni, 415.
Gaeta, assediata e presa dalle armi imperiali, VII, 214.
Gaideriso, principe di Benevento, III, 808. Viene deposto, 824. Consegnato a' Franzesi, ivi. Va a Costantinopoli, dove dall'imperadore Basilio è benignamente accolto, 825. Viene in Italia governatore della città d'Oria, ivi.
Gaidolfo, o Gandolfo, duca di Bergamo, si ribella al re Agilolfo, II, 1084. Rimesso in sua grazia, 1085. È ucciso, 1112.
Gaina, Goto, generale de' Romani, II, 309, 326. Sue trame contro di Eutropio primo ministro di Arcadio Augusto, 344. Sue astuzie, ivi, 347, 348. E prepotenza, 351, 352. Medita l'occupazione [918] di Costantinopoli, 354. Sconfitto dal popolo di essa città, 355. Sconfitto in una battaglia navale, fugge ed è ucciso, 356.
Gaiserio, V. Genserico.
Galasso, conte di Monfeltro, V, 246.
Galba (Servio, e non Sergio Sulpicio), creato console, poscia imperadore, I, 96. Generale delle armi nella Germania, sua virtù, 145, 146. In Ispagna proclamato imperadore, 249, 250. Suo viaggio a Roma, 257. Quivi si scredita per alcune sue azioni, 259, 260. Sua debolezza, 263. È ucciso dai soldati, 265.
Galba (Caio), già console, si uccide, I, 107.
Galdino, arcivescovo di Milano, IV, 800. Si reca a Venezia in abito di pellegrino, poi alla sua città, 813. Sua morte, 856.
Galeazzo Visconte, figlio di Matteo. Sue magnifiche nozze con Beatrice Estense, V, 268. S'impadronisce di Bergamo, 273. Ramingo si rifugia a Ferrara, 279. Podestà di Trivigi, 306. Fedele ad Arrigo VII re de' Romani, 344. Vicario imperiale in Cremona, 356. Fa guerra ai Pavesi, 357. Vicario, poi signore di Piacenza, 368. La difende contro lo sforzo de' vicini, 381. Si pacifica coi fuorusciti piacentini, 394. Fa tornare in Francia Filippo di Valois. 413. Assedia Cremona, 422. E se ne impadronisce, 424. Si fa proclamare signor di Milano, 428. Perde Piacenza, ivi. Cacciato da Milano ne ripiglia il dominio, 430. Assediato in Milano dalle armi pontificie, 434. Suo trattato per acconciarsi col papa, 440. Discordia fra lui e i parenti, 445. Imprigionato da Lodovico il Bavaro, 461. Liberato, termina meschinamente i suoi giorni, 472.
Galeazzo II Visconte, esiliato da Lucchino, V, 552. Richiamato dall'esilio, 609. Mandato in aiuto de' Pepoli, 614. Sue nozze con Bianca di Savoia, 615. Succede in parte negli Stati di Giovanni [919] suo zio, 639, 649. Fa guerra a Pavia, 653, 666. Vengono a lui restituite dal marchese di Monferrato Novara ed Alba, 668. Diviene padrone di Pavia, 673. Ottiene una figlia del re di Francia per moglie di Gian-Galeazzo, conte di Virtù, suo figlio, 667. Fonda la università di Pavia, 682. Gli fa guerra il marchese di Monferrato, 683, 688. Assolda il conte Lando colla sua compagnia, 689. Fa pace col suddetto marchese di Monferrato, 697. Suo ritiro e sue fabbriche in Pavia, 701. Intima guerra a Genova, 706. Dà per moglie a Lionetto d'Inghilterra una sua figlia, 711, 712. Fa guerra sul Mantovano, 713. Fa pace col papa e coll'imperadore, 718. Sua nuova guerra col marchese di Monferrato, 720, 725, 728. Va a Piacenza colle sue genti per impedire il passo all'infedele conte Lucio e alla sua compagnia, 729. Indarno assedia Asti, 731. Armata contro di lui spedita dal papa Gregorio XI, 735. Proditoriamente gli è tolta Vercelli da Giovanni del Fiesco, vescovo di quella città, 738. Ricupera gran parte delle castella a lui ribellatesi sul Piacentino, 739. Perde anche la cittadella di Vercelli contro le armi pontificie, 743. Gli si ribellano i Vigevanaschi, i Piacentini e i Pavesi, 743. Emancipa il figlio Gian-Galeazzo, assegnandogli il governo di Novara, Vercelli, Alessandria e Casale di Santo Evasio, ivi. Fa pace col papa, che gli rilascia Vercelli, 751. Ultimo giorno di sua vita, 765.
Galeazzo Maria Sforza, figlio di Francesco. Sua nascita, V, 1169. Spedito dal padre a Firenze ad inchinare papa Pio II, 254. Succede al padre nel ducato di Milano, VI, 20. Sua lega coi Fiorentini, 23. Sue nozze con Bona di Savoia, 28. Sua ingratitudine verso la madre. 29. Dà aiuto a Roberto Malatesta, 33. Va a Firenze con pazzo sfoggio di magnificenza, 41. Fa lega coi Veneziani. È ucciso dai congiurati, 54.
Galeazzo Malatesta, signore di Pesaro V, 1167, 1174.
Galeno, medico famoso ai tempi di Marco Aurelio, che lo lascia in Roma, I, 556, 591.
Galeotto Malatesta, s'impadronisce di Ascoli, V, 605. Fatto prigione dalle genti della Chiesa, 647. Generale de' Fiorentini, 695. Dà una rotta ai Pisani e Inglesi, 699. Sua morte, 811.
Galeotto Pico signor della Mirandola, VI, 23.
Galeotto de' Manfredi, signori di Faenza, VI, 59. È Ucciso per ordine della moglie, 101.
Galerio (Caio Valerio Massimiano), adottato e creato Cesare da Massimiano Augusto, I, 1027. Gli Vengono assegnate le provincie di Tracia, Illirico, Macedonia, Pannonia e Grecia, 1028. Sua estrazione, e suoi costumi, 1030, 1031. Dà il [920] nome di Valeria ad una provincia della Pannonia, 1036. Sconfitto dai Persiani, 1042. Reca la nuova di ciò a Diocleziano, da cui è ricevuto sgarbatamente, con isprezzo ed alterigia, ivi. Raunato un nuovo esercito dà a' Persiani stessi una gran rotta, 1043. Gli viene chiesta la pace da Narse, re di quelle genti, 1044. Diviene insolente per questo, 1045. Sua persecuzione contro i Cristiani, 1054. Sforza Diocleziano a deporre la porpora, 1061. Vien dichiarato Augusto, 1063. Ripartizione dell'impero fatta tra lui e Costanzo Cloro, 1064. Provincie a lui toccate, ivi. Odia Costantino, 1066. Lo spedisce contro i Sarmati, 1067. Costantino fugge da lui, 1068. Suoi vizii ed iniquità, 1075. Marita con Massenzio una sua figlia, 1077. Sedizione in Roma contro di lui per gli aggravi che intendevale imporre, ivi. Manda contro Massenzio Severo Augusto, 1082. Cala in Italia con poderoso esercito, 1083. Suo infelice tentativo contro Roma, 1083, 1084. Sua rapacità, 1095, 1096. È preso da una fetente infermità, 1096. Termina l'odiata sua vita, 1099.
Galileo Galilei, ritratta la opinione di Copernico del moto della terra, VI, 1065. Sua morte, 1118.
Galla, figlia di Valentiniano I, moglie di Teodosio I Augusto, II, 263, 270, 302. Sua morte, 309.
Galla Placidia, figlia di Teodosio I Augusto. V. Placidia (Galla.)
Galla, uomo scelleratissimo, III, 263. Dopo che il suo popolo uccise Deusdedit doge di Venezia, si porta a Malamocco, e ne usurpa il dogado, ivi. Gli sono cavati gli occhi, e deposto, 267.
Gallicano (Ovinio), prefetto di Roma, I, 1138.
Gallieno (Publio Licinio), dichiarato Cesare ed Augusto da Valeriano suo padre, I, 878, 880. Sua vittoria contro i Germani, 884. Sue imprese al Reno, 885. Non cura la prigionia del padre, 898. Resta solo imperadore, 899. Sue buone qualità, 901. Guerreggia contra Postumo, 915. Suo ridicolo trionfo, 916. Dà il titolo di Augusto ad Odenato Palmireno, 922. Rifà le mura di Verona, 924. Suo screditato governo, 924, 925. Va ad Atene, e sua crudeltà, 931, 932. Fine di sua vita, 934.
Gallieno juniore, figlio di Gallieno Augusto, I, 900.
Gallione (Giulio), senatore Romano, I, 94.
Gallispani, passato il Varo, prendono Nizza e Villafranca, VII, 536. Passano nella valle di Demont, ed assediano Cuneo, 538. Sciolgono l'assedio, 540. Acquistano Tortona, Piacenza e Parma, 560, 561. E Pavia, 562. Sloggiano da Bassignana l'armata del re Sardo, 563. S'impadroniscono di Valenza e Casale, 565, 566. Entrano in Milano, 567. Forzati ad abbandonarlo, 573. Lor battaglia sotto Piacenza cogli Austriaci, [921] 585. Entrano in Lodi, 589. Si ritirano di qua dal Po, 595, 596. Battaglia fra essi e gli Austriaci al Vidone, 596. S'inviano verso Genova, 599. E poi verso Nizza, ivi.
Gallo (Cestio), governatore della Soria, I, 244.
Gallo (Annio), generale di Vespasiano, I, 269.
Gallo (Caio Freboniano), generale dei due Decii, I, 867. A lui imputata la loro morte, 869. Proclamato imperadore, 871. Sua vergognosa pace coi Goti, 873. Il suo molle governo lo fa disprezzar dalla gente, e incoraggisce i Barbari ad assalire e malmenare le provincie romane, 874, 875. Va contro Emiliano usurpatore, 875. È ucciso col figlio Volusiano, 876.
Gallo (Flavio Costanzo), figlio di Costanzo. Come preservato dalla morte, I, 1222. Creato Cesare da Costanzo Augusto, II, 43. Sue azioni nel governo dell'Oriente, 53. Disgustato di lui Costanzo pe' suoi cattivi portamenti, 60. Richiamato in Italia, 63. Sua morte, 66.
Gamenolfo, vescovo di Modena, III, 931.
Gandolfo, duca di Bergamo, V. Gaidolfo.
Gandolfo vescovo di Reggio, IV, 421.
Gano: conghiettura intorno all'origine di questo vocabolo usato dai romanzisti franzesi e italiani, III, 687.
Garamanno, duca, messo di Carlo Magno, III, 353.
Garibaldo, primo duca di Baviera, II, 968. Non vuol riconoscere la sovranità de' re franchi, 1028. Padre della regina Teodelinda, 1067. Abbattuto dai Franchi, 1068, 1097.
Garibaldo II, duca di Baviera, II, 1140.
Garibaldo, duca di Torino, II, 1273.
Garibaldo, figlio del re Grimoaldo, III, 39.
Garibaldo, vescovo di Bergamo, III, 765.
Gariberto, arcivescovo di Milano, III, 1010.
Garsenda, contessa, moglie di Azzo II marchese di Este, eredita il principato del Maine, IV, 339. Sua morte, 360.
Gastone, ossia Castone, comunemente Cassone dalla Torre, arcivescovo di Milano, V, 322. Imprigionato da Guido dalla Torre suo parente, 329. Pace fra lui e i Visconti, 338.
Gastone di Fois, duca di Nemours: suo valore, VI, 264. Creato governator di Milano, 270. Libera Bologna dall'assedio, 275. Riacquista e saccheggia Brescia, 278. Assedia Ravenna, 280. Sua battaglia contro gli Spagnuoli, e vittoria, 284. È ucciso, ivi.
Gaudenti, frati, ordine militare, V, 32.
Gaudenzio, figlio di Aezio, II, 572. Condotto in ischiavitù dal re vandalo Genserico, dopo la presa di Roma, 580.
Gaudenzio, vescovo di Velletri, III, 715.
Gebeardo, arcivescovo di Ravenna, IV, 167. Dallo [922] imperadore Corrado II è investito del contado di Faenza, 181. Ne cede la metà ad Ugo conte di Bologna, ivi. Sua morte, 223.
Gebeardo, vescovo di Auhstet poscia papa Vittore II, IV, 259. Eletto papa, 269. V. Vittore II.
Gebeardo, vescovo di Ratisbona, IV, 275.
Gebeardo, vescovo di Costanza, IV, 462. Legato di papa Pasquale II alla dieta di Magonza, conferma la scomunica contro l'imperadore Arrigo, V, 504.
Gelasio papa. Sua elezione, II, 709. Suo decreto intorno ai libri sacri, 720. Termina i suoi giorni, 724.
Gelasio II papa. Sua elezione, 560, 561. All'arrivo di Arrigo V Augusto a Roma fugge, 561. In Capoa scomunica l'imperadore e l'antipapa Burdino, 564. Ritorna secretamente a Roma, 564. Assalito dai Frangipani mentre canta messa nella chiesa di santa Prassede, è difeso dagli altri nobili e da Crescenzio suo nipote, ivi. Trova maniera di fuggire, 565. Perviene a Pisa, ivi. Passa a Genova, ivi. Va in Francia, ivi. Instituisce l'arcivescovato di Pisa, 566. Termina i suoi giorni, 569.
Gelimere, in Africa, fa imprigionare il re Ilderico, II, 838. Sprezza le ambasciate a lui spedite da Giustiniano Augusto, 846. Contra di lui spedito Bonifazio da esso Augusto, 849. Sconfitto fugge, 851. Si arrende ed è ben trattato da Giustiniano, 853.
Gelio (Aulo), scrittore a' tempi di Marco Aurelio, I, 591.
Geminiano (San), vescovo di Modena, II, 561. Traslazione del suo corpo, IV, 507.
Geminiano II, vescovo di Modena, III, 254.
Generido, generale d'Onorio, II, 396.
Geniale (Flavio), prefetto del pretorio sotto Giuliano, I, 641.
Gennadio, vescovo di Costantinopoli, II, 604.
Gennadio (Avieno), console sotto Odoacre, II, 703.
Gennadio, continuatore del Trattato di san Giromo degli scrittori ecclesiastici, II, 703.
Genova, saccheggiata e rovinata dai Franchi, II, 883. Presa e saccheggiata dai Longobardi, 1229. Saccheggiata dai Mori, III, 1064. Epoca in cui comincia a far figura ed acquistarsi nome, IV, 76. Si ribella a Lodovico XII re di Francia, VII, 222, 224. Che la ricupera, 224. Papa Giulio II tenta di farla nuovamente ribellare al re Cristianissimo, 257. Assediata, ma indarno, dallo stesso papa, 258. Si solleva contro i Franzesi, 289. Torna sotto il loro dominio, 302. Loro è tolta dai Cesarei, e saccheggiata, 386. Torna sotto Francesco re di Francia, 447. Andrea Doria la rimette in libertà, 462. Ricupera Savona, [923] ivi. Congiura di Gian-Luigi Fieschi per impadronirsene, 579. Sollevazione de' popolari contro i nobili, 766.
Genovesi: cacciano i Mori dalla Sardegna, IV, 116, 131. Lor vittoria de' Tunisini, 434. Mandano soccorsi in Terra Santa, 483. Cominciano la guerra contro i Pisani, 574. La continuano, 578, 584. La loro quistione a cagione dei vescovati della Corsica, portata a Roma, 587. Decisa dal papa Callisto II a favore d'essi, 588. Continuano la guerra contro i Pisani, 590, 596, 610. Eretta la lor chiesa in arcivescovato, 620. Fan guerra ai Saraceni in Minorica e ad Almeria, 684. Conquistano sui Saraceni stessi Almeria, 690. Loro pace col re di Sicilia, 738. Loro accordo con Federigo Augusto, 751, 780. Fanno guerra ai Pisani, 783, 795, 799, 813, 819, 824. Loro leghe contro i Pisani, 828, 836. Pace rimessa fra loro da Federigo I, 849. Di nuovo tornano alla guerra, 906. Prestano aiuto ad Arrigo VI imperadore, 924, 936. Vengono alle mani coi Pisani, 938. Burlati dal suddetto Augusto, 941. Tornano a guerreggiar contro i Pisani. 944, 948. A' quali tolgono Siracusa, 986. In guerra coi Veneziani, 1001. Pace fra loro, 1036. Beffati da Federigo II Augusto, 1050. Lor baruffa coi Pisani in Accon, 1058. Ricuperano Savona ed altri luoghi, 1081. Giurano fedeltà a Federigo II, e poi fan lega contra di lui, 1152, 1153. Lor flotta vinta da quella di Federigo colla presa di molti prelati, 1167. Valorosamente si difendono da Federigo, 1175. Indarno assediano Savona, 1181. In fine la ricuperano, 1224. Fan guerra coi Pisani, 1258, 1259. Sconfitti da essi e dai Veneziani, 1273, 1274. Uniti coi Greci contro i Latini, e però scomunicati da papa Urbano IV, V, 31. Lor guerra coi Veneziani, 63, 71. Guerra civile fra essi, 89. Tentativi di Carlo I re di Sicilia per assoggettarseli, 99. Valorosamente si difendono contro la sua prepotenza, 102, 108. Sorge guerra fra loro e i Pisani, 159, 165. A' quali danno delle terribili sconfitte, 128, 182, 192. Principio della lor guerra co' Veneziani, 226. De' quali sconfiggono la flotta, 232. Lor guerra civile, 241, 246. Memorabile rotta da loro data ai Veneziani a Curzola, 256. Pace fra essi, 263, 264. Lor guerre civili, 306, 331, 334. Dominio della lor città data ad Arrigo VII re de' Romani, 148. Risorge la guerra fra i cittadini, 381, 386, 387, 392. Prendono per loro signori il re Roberto e papa Giovanni XXII, 400. I Lombardi e i fuorusciti assediano quella città, ivi. Si continua l'assedio, 403, 414. Scioglimento d'esso, 436. Guerra loro fatta da' Catalani, 503. Tolgono il dominio della lor città [924] al re Roberto, 528. Creano a primo lor doge Simone o Simonino Boccanegra, 549. Nuove loro discordie, 576, 581. S'impadroniscono di Scio, 587. S'accende la guerra fra essi e i Veneziani, 617. Prendono e bruciano Negroponte, 624. Continuano la guerra coi Persiani, ivi, 625. Formidabil battaglia navale fra loro, 627. Assediano Costantinopoli, 628. Grave sconfitta loro data dai Veneziani e Catalani, 631. Prendono per loro signore Giovanni Visconte, 632. Riportano una riguardevol vittoria sui Veneziani, 641. Pace vantaggiosa da lor conchiusa co' Veneziani, 651. Prendono Tripoli, ivi. Nuova guerra coi Veneziani a cagion di Cipri, 735. S'impadroniscono di quell'isola, 741. Onde nata una fierissima guerra fra essi e i Veneziani, 767. Danno una rotta alla flotta di essi Veneziani, 771. Loro alterigia nella buona fortuna, 772. S'impadroniscono di Chioggia picciola, ivi. Danno un furioso assalto alla città di Chioggia, ivi. Se ne impadroniscono, ivi. La danno a sacco, ivi. Prendono Loreo, Malamocco ed altri luoghi, ivi. Son ristretti in Chioggia, 774. La rendono cd presidio prigioniero, 778. Pace fra essi e i Veneziani, 784. Perdono Savona, 843. Lor civili discordie, ivi, 857, 861. La lor città è data a Carlo VI re di Francia, 871. Sorgono fra loro nuove turbolenze, 878. Entra la peste nella lor città, 879. Seguitano le turbolenze fra loro, 883, 896. Lor battaglia navale co' Veneziani, da' quali sono rotti, 917. Riconoscono per papa Pietro di Luna, 926. Il quale si porta nella loro città, 934. Acquistano Sarzana, 949. Si sollevano contro di Bucicaldo, lo uccidono, e si levano dalla soggezione de' Franzesi, 866, 867. Danno una rotta a' Provenzali, 971, 972. Cacciano il marchese di Monferrato, 989. Lor guerre civili, 993, 1000, 1001. Sottomessi a Filippo duca di Milano, 1038. Lor grande armamento per mare, 1049. Loro fatti in aiuto della regina Giovanna, 1053. Guerra loro mossa dai Catalani, 1060. Danno una rotta ai Fiorentini, 1083, 1084. Sconfiggono e fan prigione il re Alfonso, 1115. Si ribellano al duca di Milano, 1116. Loro fa guerra il re Alfonso, 1242, 1245, 1246. Si danno a Carlo VII re di Francia, 1248. Lor guerra contra i fuorusciti, condotti da Pietro da Campofregoso, 1256. Si ribellano ai Franzesi, 1264. E li mettono in rotta, 1265, 1266. Si sottomettono a Francesco Sforza, VII, 12. Si ribellano al duca di Milano, 63. Guerra civile tra essi, 73. Perduta Sarzana, si sottomettono al duca di Milano, 98. A lui fedeli, scacciano i Franzesi, 134. Si sottomettono a Lodovico XII re di Francia, 157. Contra di essi collegato il duca di Savoia coi Francesi, [925] 995, 999. Congiura di lui scoperta, 1000. Aiutati dal governator di Milano, ivi, 1002. Ricuperano il perduto, 1003. Fanno pace col duca di Savoia, 1008. Nuova guerra col duca di Savoia, 1265. La loro città maltrattata dalle bombe franzesi, VII, 53. Con dure condizioni rimessi in grazia del re franzese, 56. Comperano il Finale di Spagna dall'imperadore, 255. Loro si ribella la Corsica, 354. Colà spediscono le truppe cesaree, 363. Pace e nuova rottura coi Corsi, 371, 404. Ottengono truppe di Francia contra i ribelli, 440, 452. A cagione del trattato di Worms aderiscono ai re di Spagna e Francia, 557. Acquistano Serravalle, 559. Loro costernazione in trovarsi abbandonati dai Gallispani, 602. Trattano coi generali Austriaci, 605. Accordano di dare due porte della città agli Austriaci, 606. Capitolazione con essi, ivi. Contribuzione di tre milioni di genovine loro imposta dal generale austriaco 608. Avanie lor fatte dai Tedeschi, 620. Principio di sollevazione nella lor città contra i Tedeschi, 621. Questa va maggiormente crescendo, 625. Tutti danno alle armi, e ne scacciano gli Austriaci, 627, 628. I quali si ritirano in Lombardia, 629. Indarno tentano di dar soccorso al castello di Savona, 633. Animati dalla protezione che d'esse prendono le corti di Francia e Spagna, 653. Dalle quali ricevono rinforzi di gente, danaro e munizioni, 655. Contro la lor città procede lo esercito austriaco, 657. Inutil chiamata di sottomettersi fatta lor dal generale nemico, 657, 658. Loro imprese militari in difesa della città, 662, 663. Ritiransi infine gli Austriaci da quello assedio, 668. Gravissimi danni da loro patiti, 670. Nella pace d'Aquisgrana restituiti loro tutti gli Stati che da prima possedevano, 690, 696. Lor gloria fra tante sciagure, 709, 710.
Genserico, ossia Galserio, o Giserico, re de' Vandali in Ispagna, II, 466. Fa lega con Bonifazio conte contro l'imperadore Valentiniano III, 469. Sue qualità, 472. Occupa la Mauritania, ivi. Dopo una sconfitta data a Bonifazio conte, assedia Ippona, 477. E se ne impadronisce, 480. Fa pace coll'imperadore 491. Perseguita i Cattolici, 496. Con tradimento occupa Cartagine, 503. Seguita sfogare il suo odio contro i vescovi e il clero cattolico, 508. Infesta la Sicilia, ivi. Sua nuova pace con l'Augusto Valentiniano, 516. Sue crudeltà, 550, 551. Muove Attila contro i Visigoti, 551. Chiamato da Eudossia Augusta a Roma, la prende e saccheggia, 578, 579. Seguita a perseguitare i Cattolici, 588. Infesta la Sicilia ed altre contrade romane, ivi. Va a saccheggiare l'Illirico e il Peloponneso, 595. Manda le sue [926] genti a radere quel poco che restava nella tante volte spogliata Campania, 598. Occupa tutta l'Africa, 601. Rende vani gli Sforzi di Majoriano Augusto, 602. Dopo la morte di Majoriano porta colle sue flotte l'eccidio in varii luoghi d'Italia, 610. Seguita ad infestare i lidi dell'imperio, 624. Fa sventare la grandiosa spedizione fatta contra di lui da Leone ed Antemio Augusti, 628, 629, 630. Termina i suoi giorni, 668.
Gentile da Mogliano, signor di Fermo, V, 633. Cede quella città al cardinal legato Egidio Albornoz, 636. La ripiglia, 646.
Gepidi, sconfitti da Teoderico re degli Ostrogoti, II, 699. Presi al servigio, ed inviati di presidio nelle Gallie, 781. Lor nazione quasi annientata dai vittoriosi Longobardi, 934. Gli Unni vengono ad accostarsi ad essi, 972. Lega fatta da Alboino re dei Longobardi per abbatterli, 985. 986. La lor nazione resta disfatta, 987.
Geraldo I o Gerardo duca di Spoleti, III, 505, 506, 531.
Gerarchia ecclesiastica: suo ordine stabilito dagli Apostoli, e regolato dai concilii generali, III, 28.
Gerberto, abbate di Bobbio, III, 1203. Creato arcivescovo di Rems, 1275; IV, 9. Deposto, ricorre ad Ottone III, 11. Creato arcivescovo di Ravenna, 30. Poscia papa, V. Silvestro II.
Germani: lor guerre coi Romani, I, 17, 21. Strage da lor fatta delle legioni di Quintilio Varo, 29, 30.
Germaniano, prefetto del pretorio delle Gallie, II, 148.
Germanico, figlio di Claudio Druso, adottato da Tiberio suo zio paterno, I, 15. Sue imprese nella guerra contro i Dalmatini, 23, 24. E in Germania, 33. Dalla Gallia corre in Germania per calmare una sedizione dei soldati romani alla morte di Augusto, 45. Lo vogliono eleggere imperadore: sua costanza nel rifiutare, 45, 46. Vittorie da lui riportate, 51. Generale in Oriente, 54, 55, 56. Suo viaggio in Egitto, 57. Fine di sua vita, 58. Portate a Roma le di lui ceneri, 61.
Germano, vescovo di Capoa, II, 780.
Germano, nipote di Giustiniano Augusto, sposa Malasunta Gota, II, 889. Spedito generale delle armi verso l'Italia, 926, 928. Rapito dalla morte, 929.
Germano, patriarca di Costantinopoli, III, 150. Deposto da Leone Isauro, 185.
Geronzio, comandante delle milizie romane nella piccola Tartaria fa tagliare a pezzi molti barbari che tentavano una sedizione, II, 263. Per questo a furia di regali soltanto scappa la vita, ivi.
[927]
Geronzio, generale di Costantino tiranno, II, 380. Proclama imperadore Massimo in Ispagna, 409. Sue imprese nella Gallia, ivi. Si uccide, 411.
Gerusalemme, assediata da Tito Cesare, I, 289. Immensi guai, e sua presa, 290, 291. Chiamata Elia Capitolina da Adriano Augusto, 440, 464. Presa e distrutta da Cosroe re di Persia, II, 1154. Ricuperata dai Cristiani, IV, 482. Presa da Saladino, 902.
Gesuiti, cacciati di Francia, VI, 851.
Geta (Osidio), sconfigge i Mauritani, I, 148.
Geta (Lucio), prefetto del pretorio, I, 173. Deposto, 184.
Geta (Publio Settimio), che fu poi imperadore, figlio di Severo, I, 653. Domande che fa al padre ed al fratello, riguardate come predizione di ciò che poi gli accadde, 682. Si dà in preda ai vizii, 700. Gara di lui col fratello Caracalla, ivi. Creato console ed imperadore, 705. Va col padre in Bretagna, 706. Insidie a lui tese dal fratello, 712. Diffidenza insorta fra loro, 715. Trattano insieme di dividere l'imperio, 716. Viene ucciso da Caracalla, 717.
Geta (Publio Settimio), fratello di Severo Augusto, I, 690, 693. Sua morte, 694.
Getulico (Gneo Lentolo), generale di Tiberio, si salva dai suoi processi, I, 102. Fatto morire da Caligola, 129.
Ghello da Calisidio, ribella Cesena alla Chiesa, V, 512
Gherardino Spinola, signor di Lucca, V, 492. Assediato da' Fiorentini, 499. Perde il dominio di quella città, ivi.
Gherardo, cardinale, governatore di Benevento, IV, 604. Spedito in Germania, 638, 654.
Gherardo, vescovo di Firenze, eletto papa col nome di Niccolò II, IV, 286. (V. Nicolò II.)
Gherardo, o Geraldo, vescovo d'Ostia, IV, 359. Imprigionato, 379.
Gherardo, arcivescovo di Ravenna, IV, 829, 881. Va in Levante, 909.
Gherardo degli Scannabecchi, vescovo di Bologna, IV, 934.
Gherardo, cardinale di Sant'Adriano, IV, 983.
Gherardo Bianco da Parma, cardinale, V, 150, 169, 189.
Gherardo da Camino, signor di Trivigi, V, 232.
Gherardo d'Appiano, signor di Pisa, V, 881, 882. Vende quella città al duca di Milano, 886.
Gherardo, vescovo d'Aleria, V, 467.
Ghiberto da Correggio, V. Giberto.
Ghibellini, V. Guelfi e Ghibellini.
Giacinto, cardinale di Santa Maria della scuola greca, IV, 743.
Giacomo, figlio di Pietro re d Aragona e Sicilia, V, 177. Creato re d'essa Sicilia, 181. Sua coronazione, [928] 183. Sua gran vittoria sulla flotta napoletana, 189. Assedia Gaeta, ed è assediato, 199, 200. Esibizioni delle sue forze al papa Niccolò IV per rientrare in grazia della Chiesa cattolica, 211. Succede al fratello nel regno di Aragona, 215. Suo accordo con Carlo di Valois, 235. Sua venuta a Roma, 248. A lui si unisce Ruggieri di Loria, 249. Fa guerra a Federigo suo fratello, 260.
Giacomo d'Aragona, preso per marito da Giovanna regina di Napoli, V, 690. Viene in Italia, e scontento se ne parte, 696. Rimane prigione nella guerra in Ispagna, 704. Riscattato dalla regina sua moglie, ivi. Torna povero in Italia, ivi.
Giacomo I, figlio dell'infelice Maria Stuarda re di Inghilterra, VI, 815, 902. Sua pace col re di Spagna, 906. Sua morte, 998.
Giacomo II, re d'Inghilterra, succede al re Carlo II suo fratello, VII, 56. È detronizzato dal principe d'Oranges, 76. Sua morte, 288.
Giacomo III, re cattolico d'Inghilterra. Sua nascita, VII, 75. Suo matrimonio, 288. Dal papa Benedetto XIII gli è accresciuto il patrimonio, 326. Sua discordia colla moglie, ivi. Si riunisce, 336. Resta vedovo, 407.
Gian-Antonio Orsino, principe di Taranto. A lui fa guerra la regina Giovanna, V, 1111. Resta prigione de' Genovesi, 1115. Varia sua figura nella guerra del regno di Napoli, 1123, 1147. Sua discordia col re Ferdinando, 1255. Si dichiara del partito angioino, 1261. Sua doppiezza, 1263. Fa pace col re Ferdinando, 1272. Fine de' suoi dì, 1278.
Gian-Francesco Gonzaga, signore di Mantova, V, 951. Collegato co' Veneziani contro il duca di Milano, 1065, 1071. Generale de' Veneziani, 1097. Creato marchese, da Sigismondo imperadore, 1102. Diffidenze di lui in Venezia, 1124. Va al servizio del duca di Milano, 1133. Nella pace fra i Veneziani e il duca di Milano è costretto a cedere molti luoghi da lui acquistati, 1153. Termina la sua vita, 1172.
Gian-Francesco II Gonzaga, marchese di Mantova, succede ai padre suo Federigo, VI, 85. Sue nozze con Isabella Estense, 107. Generale della lega contro Carlo VIII, 132. Battaglia fra lui e il re franzese al Taro, ivi. Mandato in soccorso al re di Napoli, 137. E de' Pisani, 149. Generale di Luigi re di Francia, 209. Si ritira, ivi. Capitan generale dell'esercito pontifizio, 219, 220. Entrato nella lega di Cambrai, assale i Veneziani, 234. Da' quali è fatto prigione, 245. È liberato per interposizione di papa Giulio II, 256. Dà fine al suo vivere, 357.
[929]
Gian-Francesco Pico, conte della Mirandola, celebre letterato, sua apologia di fra Girolamo Savonarola, VI, 152. Spedito da Giulio II allo Sciomonte generale franzese a trattar seco lui di pace, 259. Entra in possesso della Mirandola, 262. La perde di nuovo, 267. Odiato dal popolo si ritira in Toscana, ivi.
Gian-Galeazzo Visconte sposa Isabella figlia del re di Francia, V, 677. Perchè chiamato conte di Virtù, 678. Morte di sua moglie, 734. E di un figlio, 738. Emancipato dal padre, 743. Suo accordo col marchese di Monferrato, 757. Succede a Galeazzo II suo padre, 765. Occupa Asti, 765. Sue nozze con una figlia di Bernabò suo zio, 781. Sua ipocrisia, 806. Imprigiona Bernabò, e s'impadronisce delle sue città, 807. Muove guerra ad Antonio dalla Scala, 821. Lo spoglia di Verona e di Vicenza, 822. Marita Valentina sua figlia a Lodovico duca di Turena, 823. Collegato co' Veneziani, 826. S'impadronisce di Padova, 828. Sua finta lega co' principi italiani, 831. Muove guerra a Bologna, 837. Gli è tolta Padova, 839. Guerra a lui fatta da' collegati, 844, 845. Sua vittoria sul conte d'Armagnacco, 846. Fa guerra ai Fiorentini, 848. Fa tregua co' collegati, 849. Nuova lega di potentati contro di lui, 850. Creato duca di Milano, 865. Muove guerra al signore di Mantova, 873. Sua vittoria de' collegati, 875. Grande sconfitta a lui data da' collegati, 877. Più di prima continua la guerra, ivi, 878. Fa tregua, 880. Acquista Pisa, 886. Siena, ivi. Poi Perugia ed Assisi, 894. Guerra a lui mossa da Roberto re de' Romani, 902. Il fa tornare in Germania con poco onore, 903, 904. Dà una rotta ai Bolognesi, e s'impadronisce della loro città, 909. Sua morte, 910, 911. Sua potenza e suo funerale, 911.
Gian-Galeazzo de' Manfredi, signore di Faenza, V, 971. Sua morte, 1004, 1014.
Gian-Galeazzo Maria Sforza duca di Milano, succede al padre, VI, 55, 67, 71. È sforzato dallo zio Lodovico il Moro di assumere il governo, quantunque di anni dodici, 73. Dominio a lui usurpato dallo stesso Lodovico il Moro, 86. Se gli sottomettono i Genovesi, 98, 102. Sue nozze con Isabella d'Aragona, 104. Misero fine dei suoi giorni, 120.
Gian-Giorgio, marchese di Monferrato, VI, 487. Suo matrimonio, 498. Sua morte, e fine della sua famiglia, 409.
Gian-Jacopo, marchese di Monferrato, V, 1016. Muove guerra a Filippo Maria duca di Milano, 1067. Fa lega coi Veneziani e Fiorentini per far guerra allo stesso duca di Milano, 1091. Da cui è spogliato de' suoi Stati, 1091, 1092. Li [930] ricupera, ma con difficoltà, 1098. Fine dei suoi giorni, 1177.
Gian-Maria Visconte, duca di Milano, succede al padre Gian-Galeazzo, V, 911. Gli fanno guerra il papa e Fiorentini uniti, 913. Fa pace con essi, 915. Sua crudeltà verso la madre, 923. Prende per suoi difensori nella guerra contro Facino Cane i Malatesti, 958. Suo tumultuante governo, 965. Ucciso da' congiurati, 980, 981.
Giannozzo Manetti, insigne letterato: sua morte, V, 1259.
Giano (tempio di) chiuso da Vespasiano imperadore, I, 294.
Giano, re di Cipri, a lui fanno guerra i Genovesi, V, 916.
Giano da Campofregoso, doge di Genova, V, 1195. Sua morte, 1206.
Giapponesi venuti a Roma, VI, 799. Assistono alla incoronazione di papa Sisto V, da cui ricevono ogni possibile onore, 804. Partono da Roma regalati ed onorati pel loro paese, ivi.
Giberto da Correggio, proclamato signore di Parma, V, 288. Tradisce Alberto Scotto, 294. Alcuni nobili parmigiani, ad istigazione del marchese Azzo, d'Este tentano di deporlo dalla signoria, 298, 299. Per questo, collegatosi coi Bolognesi, Veronesi e Mantovani, fa guerra al marchese d'Este suddetto, 299. Gli fa ribellar Modena e Reggio, 302. Congiura contro di lui scoperta, 311, 312. È cacciato da Parma, 321. Vi rientra, ivi. Va colle truppe di Parma sotto Brescia in aiuto del re Arrigo VII, al quale dona la corona di Federigo II Augusto, 346. Creato vicario di Parma, 347. Ribella quella città al re Arrigo VII, 349. Da cui è processato, 363. Difende Cremona, 385, 386. Si fa proclamare signor di Cremona, 390. È cacciato da Parma, ivi. Ottiene ottocento cavalieri dal re Roberto di Napoli, co' quali va contro Parma, ivi. Fa la pace, ed è rimesso in città, 394. Capitano di mille cavalieri va alla volta di Brescia e combatte per essa i fuorusciti, 407, 408. Con questa gente occupa e dà al sacco Cremona, 408. Se ne fa padrone, ivi. Muore, 422.
Gilberga, vedova del re Carlomanno, si rifugia presso il re Desiderio co' figli, III, 307.
Gilberto conte. Sua congiura contro Berengario III, 1010. Preso e bastonato, è condotto a questo principe, che gli rimette la colpa, 1012. Va in Borgogna, e fa calare in Italia Rodolfo II, ivi. Intercede dal suddetto Rodolfo al vescovo e a' cittadini di Bergamo di poter fortificare la loro città, 1014, 1015.
Gildone conte, governatore dell'Africa, II, 308. Suoi enormi vizii, 332. Sua ribellione, 333. Sconfitto [931] ed ucciso dall'armi di Onorio Augusto, 338.
Gioachino abbate del monistero Florense, in concetto di profeta, IV, 919.
Gioiosa (Francesco cardinale di), conchiude l'accordo di papa Paolo V co' Veneziani, VI, 917, 918.
Giona, monaco e scrittore, quando fiorisse, II, 1167.
Giona, vescovo d'Orleans, difensore delle sacre immagini, III, 559.
Giordano, storico, corrottamente chiamato Giornande, II, 364. Storico de' Goti, 937.
Giordano, vescovo di Segna, III, 296.
Giordano I, principe di Capoa, IV, 310, 311. E duca di Gaeta, 316. Difende Aquino, 324. Succede al padre, 386. Prende l'investitura del suo principato da Arrigo IV imperadore, 415. Sua morte, 446.
Giordano II, principe di Capoa, succede in quel ducato al nipote Riccardo III, IV, 577. Fine del suo vivere, 601.
Giordano da Clivi, arcivescovo di Milano. Sua elezione, IV, 537. Vince la lite con Grossolano, 550. Sua prepotenza, 567, 568. Accoglie papa Callisto II, 575.
Giordano Orsino, cardinale, V, 1067.
Giorgio, patriarca di Costantinopoli, III, 62.
Giorgio, vescovo di Porto, III, 131.
Giorgio, capo del popolo di Ravenna, sollevato contro Giustiniano II, III, 134.
Giorgio, vescovo di Palestrina, III, 289.
Giorgio, arcivescovo di Ravenna, III, 611. Suo viaggio in Francia, 621. Fatto prigione, perde il suo tesoro, ivi.
Giorgio, patrizio, generale de' Greci nel ducato di Benevento: suo privilegio, III, 892. Indarno assedia Capoa, ivi. E poi tenta Salerno, 897. Vien cacciato da' Beneventani, 918.
Giorgio, abbate di Subiaco, III, 1179.
Giorgio Adorno, doge di Genova, V, 989. Contro di lui si sollevano i popolari ghibellini, 993. È deposto, 1000.
Giorgio degli Ordelaffi, signore di Forlimpopoli, V, 970, 989. Entra in Forlì con due mila pedoni, e ne prende possesso, 977. Gli è macchinata la vita ed il comando dal fratello Antonio, ivi. Sua morte, 1042.
Giorgio Benzone, signor di Crema, V, 1066.
Giorgio d'Ambosia, arcivescovo di Roano, creato cardinale, VI, 148. Va con somma fretta a Roma alla morte di papa Alessandro VI per somma voglia della tiara, 202. Restano deluse le sue ambiziose speranze, ivi. Va a Cambrai per trattar della lega contro i Veneziani, 229.
Giorgio Castriota, detto Scanderbech, viene nel regno di Napoli, V, 1268.
Giorgio Lodovico, duca ed elettore di Brunsvich, [932] dichiarato re d'Inghilterra, VII, 262. Sua lega coll'imperadore, e rotta data dalle sue armi alle navi spagnuole, 284. Sua morte, 332.
Giorgio II, succede al padre nel regno d'Inghilterra, VII, 332. Fa pace e lega colla Spagna, 341. Sua battaglia co' Franzesi a Dettingen, 522. Promuove la spedizione degli Austro-Sardi in Provenza, 614.
Giornande, storico, V. Giordano.
Giovan-Gaetano degli Orsini, solo cardinale italiano negli otto primi creati da papa Giovanni XXII, V, 387. Mandati dallo stesso papa a suo legato in Toscana, 455. Non è ricevuto in Roma, 464. S'impadronisce di San Pietro e della città Leonina: da dove n'è poi cacciato, 464. Ricupera pel papa la Marca d'Ancona ed il Patrimonio, 492.
Giovanna, nipote del re Roberto, promessa in moglie ad Andrea figlio del re d'Ungheria, V, 516. Succede all'avolo nel regno di Napoli, 569. A lei imputata la morte di Andrea suo marito, 577. Sposa Luigi principe di Taranto, 589. Fugge in Provenza, all'arrivo del re d'Ungheria, 598. Vende Avignone al papa, 601. Ricupera Napoli, 602. Suo accordo col re d'Ungheria, 619, 625. Sua coronazione, 628. A lei si dà Messina, 658. Si rimarita con Giacomo d'Aragona, 690. Dissensioni con lui, 696. Perde Palermo e Messina, 704. Dà una rotta ad Ambrosio Visconte, 710. Suo accordo con Federigo re di Sicilia, 734. Prende per marito Ottone duca di Brunsvich, 748. Sue solenni sponsalizie con lui, 753. Coopera allo scisma contro Urbano VI, 762, 769. Cerca, e non ottiene pace dal papa, 770. Fiere censure di papa Urbano VI contra di lei, 776. Adotta per suo figlio Lodovico d'Angiò, 778. Viene presa e imprigionata da Carlo di Durazzo, 785, 787. Lodovico duca d'Angiò arma per venire a liberarla, 787. Suo odio contra di lui, e magnanimità, 790. È tolta di vita, ivi.
Giovanna II, regina di Napoli, succede a Ladislao suo fratello, V, 991. Torbidi nella sua corte, 997. Prende per marito Jacopo di Borbone conte della Marca, 998. Da lui maltrattata, 1005. Lo salva da' baroni napolitani, 1006. Cerca di ridurlo al dovere, ivi. Si pacifica con lui, ivi. Manda il gran contestabile Sforza contra Braccio di Mantone occupator di Roma, 1010. Poi cerca di deprimerlo, 1018. Sen fugge in Francia Jacopo suo marito, 1021. Sua coronazione, e feste in Napoli in tale circostanza, ivi. Cerca d'allontanare Sforza dal regno suo, 1022. Guerra a lei mossa da Sforza e da Lodovico III d'Angiò, 1027. Adotta per figlio il re Alfonso, 1030. Chiama in suo aiuto Braccio, 1034. Sue gelosie contro il re Alfonso, 1040. Il quale in [933] fine le fa la guerra, 1044, 1045. Adotta in figlio Lodovico d'Angiò, 1046. Accoglie con tenerezza e distinzione Francesco Sforza, dopo la morte del padre, 1053. Ripiglia Napoli, 1054. Sua vittoria di Braccio, 1056. Ricupera il principato di Capoa ed altri luoghi, ivi. E la Calabria, 1076. Rivoluzioni nella sua corte, 1099. Muove guerra al principe di Taranto, 1111. Sua morte, 1144.
Giovanni Calliopa, esarca di Ravenna, mandato dall'imperadore Costante, II, 1254. Va con un esercito contro Roma per far prigione il papa Martino IV, ivi. Intima al papa la sua deposizione come intruso, per ordine dell'imperadore, 1255.
Giovanni Grisostomo predica agli Antiocheni, II, 265, 266. Creato vescovo di Costantinopoli, 341. Difende Eutropio, e l'immunità degli asili, 347. Cerca a tutto potere di salvare Aureliano, Saturnino e Giovanni ministri d'Arcadio perseguitati da Gaina, 353. Rende vani gli sforzi degli ariani in Costantinopoli, protetti da Gaina, 354. Va a trovarlo mentre desolava le campagne intorno Costantinopoli, ed è da lui bene accolto, 355. Eudosia lo fa deporre e mandar in esilio, 367. Dove termina la sua vita, 370. Traslazione del suo corpo a Costantinopoli, 499, 500.
Giovanni (San), anacoreta, predice a Teodosio Augusto la vittoria contro Massimo tiranno, II, 275. E contro il tiranno Eugenio, 309.
Giovanni, segretario d'Arcadio, creduto padre di Teodosio II, II, 352.
Giovanni, primicerio de' notai, usurpa l'imperio in Ravenna, II, 453. Sprezzato da Teodosio II Augusto, ivi. Tenta indarno l'Africa, 456. Resta prigione, 459. È ucciso, ivi.
Giovanni, prefetto del pretorio in Italia sotto Onorio, II, 453.
Giovanni, vescovo d'Antiochia, rinuncia all'eresia di Nestorio per opera di Sisto III, II, 485.
Giovanni Cassiano, scrittore, II, 485.
Giovanni Vandalo, ribello di Valentiniano III, forse lo stesso che Giovanni tiranno, II, 515.
Giovanni Scita, generale di Zenone Augusto, II, 688, 710, 728. Creato console, 731.
Giovanni, arcivescovo di Ravenna, corretto da papa Simplicio, II, 683.
Giovanni Cappadoce, patriarca di Costantinopoli sotto Giustino seniore Augusto. Tiene un concilio, in cui fu scomunicato e deposto Severo, vescovo intruso d'Antiochia, II, 800, 802. Sua lettera al papa Ormisda per l'union delle due Chiese Greca e Latina, 802. Passa a miglior vita, 805.
Giovanni I papa eletto, II, 811. Inviato dal re Teoderico a Costantinopoli, 817. Grande onore a [934] lui fatto da Giustino Augusto, 819. Ottenuto quanto voleva dall'imperadore Giustino, torna in Italia, con ricchi doni per le chiese di Roma, 820. Si presenta a Teoderico, ivi. Che inferocito lo fece imprigionare, ivi. Termina in prigione i suoi giorni, 821.
Giovanni II papa. Sua elezione, II, 844. Fine dei suoi dì, 857.
Giovanni, giurisconsulto, incaricato di compilare il codice di Giustiniano, II, 836.
Giovanni III papa. Sua elezione, II, 970. Fa tornare l'irato Narsete a Roma, 992. Sua morte, 1012.
Giovanni il Digiunatore, patriarca di Costantinopoli: sua superbia, II, 1098.
Giovanni, arcivescovo di Ravenna, II, 1063. Sua morte, 1098.
Giovanni prefetto di Roma, II, 1111.
Giovanni Batista (san), precursore di G. C., eletto protettore de' Longobardi, II, 1124.
Giovanni, arcivescovo di Ravenna, II, 1132.
Giovanni, eletto patriarca d'Aquileia, II, 1134.
Giovanni (San), il Limosiniere, patriarca d'Alessandria, II, 1155. Muore, 1160.
Giovanni IV papa, II, 1224. Scrive contro i Monoteliti, 1226. Sua morte, 1232.
Giovanni Lemigio, esarco di Ravenna. Sua pace, ossia tregua col re Agilolfo, II, 1143. Ottiene dal re stesso tregua per altri tre anni, 1148. Ucciso in una sedizione, 1159, 1160.
Giovanni Consino ribella Napoli ad Eraclio Augusto, II, 1162. È tolto di vita, 1163.
Giovanni o Teodoro Calliopa esarco di Ravenna, II, 1254. Mette le mani addosso a san Martino papa, 1255.
Giovanni il Buono, arcivescovo di Milano, II, 1267.
Giovanni (San), vescovo di Bergamo, è perseguitato da' Longobardi, II, 1267. Onorato dal re Cuniberto, III, 92.
Giovanni, vescovo di Reggio in Calabria, III, 55.
Giovanni V papa. Sua elezione, III, 69. Termina i suoi giorni, 70.
Giovanni Platyn, esarco di Ravenna, III, 74. Sua avarizia, 75.
Giovanni, vescovo di Porto, III, 55, 89.
Giovanni, abbate di San Giovanni di Ravenna; favola che di lui si racconta, III, 103.
Giovanni VI papa. Sua elezione, III, 112. Difende l'esarco Teofilatto contro le truppe imperiali in Roma, 113. Placa il duca Gisolfo, 114. Muore, 119.
Giovanni VII papa. Sua elezione, III, 119. Non osa purgare i Canoni Frullani, 122. Ricupera l'Alpi Cozie, 126. Fine de' suoi giorni, ivi.
Giovanni Rizocopo, esarco d'Italia, III, 131. Sua crudeltà, 134. Sua morte, 135.
[935]
Giovanni, patriarca di Costantinopoli, fautore dei Monoteliti, III, 138. Scrive una lettera al nuovo papa Gregorio II, 150. Deposto, ivi.
Giovanni, duca di Napoli, III, 157.
Giovanni Damasceno (San), scrive in favore delle sacre immagini, III, 179.
Giovanni, patriarca di Gerusalemme, scrittore della Vita di San Giovanni Damasceno, III, 179.
Giovanni, arcivescovo di Ravenna, III, 197. Saccheggio di Ravenna fatto dalle armi di Leone Isauro per le sacre immagini al tempo del suo pontificato, 200.
Giovanni Fabriciaco, maestro di militi in Venezia. Deposto ed accecato, III, 226.
Giovanni, patriarca Gradense, III, 309. Nega di consecrare Cristoforo in vescovo d'Olivolo, e lo scomunica, 438. Per questo è ucciso dal doge di Venezia Giovanni, ivi.
Giovanni, associato al padre Maurizio nel dogado di Venezia, III, 337. Resta solo doge alla morte del padre, 366. Uccide Giovanni patriarca di Grado, 438. Eletto in Trevigi da' molti nobili a doge Obelerio, scappa col figlio da Venezia, 446. Muore in esilio, ivi.
Giovanni, vescovo d'Olivolo, III, 447. È imprigionato dal patriarca di Grado, 456. Si fa creare patriarca di Grado, benchè il legittimo vivesse, 461.
Giovanni, vescovo d'Arles, III, 502.
Giovanni, vescovo di Selva Candida, mandato dal papa Leone II a Bernardo re d'Italia, III, 498. Va alle corti dell'Augusto Lodovico il Pio, 539.
Giovanni, abbate di San Servolo in Venezia, III, 525.
Giovanni Particiaco, o Participazio, doge di Venezia, 571. Assedia il deposto doge Obelerio nell'isola Vigilia, 574. Iscacciato, si rifugia in Francia, 593. Torna al governo, 594. È deposto e muore, 600.
Giovanni Tradonico, doge di Venezia col padre, III, 600. Va incontro all'imperadore Lodovico II, che si porta a Venezia coll'augusta sua moglie, 680. Gli è tenuto al sacro fonte un figlio dallo stesso imperadore, ivi. Sua morte, 704.
Giovanni, vescovo eletto di Napoli, III, 602.
Giovanni Diacono, scrittore della Vita di san Gregorio Magno, III, 672.
Giovanni, vescovo di Ficocle, oggidì Cervia, III, 698.
Giovanni VIII papa. Sua elezione, III, 744. Tratta la pace fra Lodovico Augusto ed Adelgiso principe di Benevento, 756. Richiede un organo dalla Germania, 758, 759. Ricusa di ergere la Chiesa di Capoa in arcivescovato, 759. Suo abboccamento con Lodovico re di Germania, 760. Dà la corona dell'imperio a Carlo Calvo, 770. Implora [936] il suo soccorso contro i Saraceni, 778. Concilio da lui celebrato in Roma, 786. Altro, tenuto in Ravenna, 788. Va a Vercelli ad incontrare Carlo Calvo Augusto, 790. In fretta se ne torna a Roma, 791. Va in Francia, 797, 798. Dichiarato vicario del re Carlomanno in Italia, 803. Sue liti con Ansperto arcivescovo di Milano, ivi. Ammette Fozio alla sua comunione, 806. Va a Napoli per indurre Atanasio, vescovo e duca di Napoli a desistere dall'indegna lega co' Saraceni, 824. Lo scomunica, ivi. Giunge al fine di sua vita, 832. Ripreso dal cardinale Baronio, 836.
Giovanni, vescovo d'Arezzo, III, 774.
Giovanni, vescovo di Tuscania, III, 774.
Giovanni, figlio di Orso, doge di Venezia col padre, III, 788. Gli muore il padre, 825. Rinnovati a lui i privilegii da Carlo il Grosso, 837. Cede il governo, e poi lo riprende, 859. Sua morte, 874.
Giovanni, arcivescovo di Ravenna, scomunicato nel concilio romano, III, 694. Si sottomette agli ordini del papa, 695. Suoi reati, ivi. Litiga con papa Giovanni VIII, 764. Divien suo amico, 797. Muore, 801.
Giovanni, vescovo di Pavia, lasciato da papa Adriano alla difesa di Roma, III, 848. Aderisce alla consecrazione di papa Stefano, V, come ministro dell'imperadore Carlo il Grosso, 850.
Giovanni IX papa. Sua elezione, III, 827. Concilio da lui celebrato, III, 928. Canoni d'esso concilio, e di un altro tenuto in Ravenna, 929, 930. Fine di sua vita, 944.
Giovanni X papa. Sua elezione, III, 986. Difeso dalla penna satirica di Liutprando, 988. Invita il re Berengario alla corona dell'imperio, 989. Come eseguita essa coronazione, 993. Scaccia dal Garigliano i Saraceni, 996. Si libera da Alberico marchese, 1029. Sua andata a Mantova ed abboccamento col re Ugo, 1034. Suo miserabile fine, 1037, 1040.
Giovanni XI papa, nato da Alberico marchese, e non già da papa Sergio, III, 980. Eletto papa, e indebitamente ingiuriato dal cardinal Baronio, 1048. Imprigionato da Alberico suo fratello, 1054. Sua morte, 1065.
Giovanni, duca di Gaeta; dal greco imperadore gli è conferito il titolo di patrizio, III, 981. Fa lega col papa Giovanni X per isnidiare i Saraceni dal Garigliano, 996.
Giovanni, vescovo di Cremona, cancelliere dell'Augusto Berengario, III, 1021.
Giovanni XII papa, dianzi Ottaviano. Sua elezione, III, 1135. Fa guerra ai principi di Benevento, 1143. Manda ambasciatori al re Ottone per atterrare Berengario ed Alberto re d'Italia, 1145. [937] Giuramento a lui prestato da esso Ottone, 1153. A lui dà la corona dell'imperio, 1154. Suoi depravati costumi, 1161. È deposto dal conciliabolo romano, 1163. Suoi tentativi per tornare in Roma, 1165. Miserabile suo fine, 1167.
Giovanni XIII papa. Sua elezione, III, 1171. Imprigionato da' Romani, ivi, 1175. È liberato, 1176. Concilii da lui tenuti in Roma, 1179, 1192, 1202. Suo soprannome, 1201. Passa a miglior vita, 1202.
Giovanni Tzimisce, imperadore de' Greci, III, 1192, 1197. Pace conchiusa tra lui e l'imperadore Ottone II, 1199. Sua morte, 1215.
Giovanni, vescovo d'Imola, III, 1195.
Giovanni XIV papa. Sua elezione, III, 1249, 1250. Sua infelice morte, 1253.
Giovanni XV papa. Sua elezione, III, 1255. Perseguitato da' Romani, 1259. Invita Ottone III in Italia, 1260; IV, 13. Sua morte, 14.
Giovanni, vescovo di Salerno, III, 1236.
Giovanni, vescovo di Modena, III, 1263.
Giovanni, archimandrita greco, diviene abbate di Nonantola, II, 1135, 1240. Creato vescovo di Piacenza, 1264. Ottiene il titolo d'arcivescovo, 1265. Suo placito in Ravenna, 1269, 1275. Ambasciatore di Ottone III all'imperadore de' Greci, IV, 12. Sue cabale e suo ritratto, 22, 23. Usurpa il papato, 23. Preso, è obbrobriosamente trattato, 28, 29. Fu indebitamente chiamato Giovanni XVI, 64.
Giovanni, duca d'Amalfi principe di Salerno, III, 1234. Cacciato dai Salernitani col padre dal governo, 1249.
Giovanni, duca di Napoli, III, 1241, 1242.
Giovanni II, principe di Salerno, III, 1249, 1254. Sua morte, IV, 10.
Giovanni, vescovo di Belluno, III, 1278.
Giovanni Orseolo, doge di Venezia, IV, 39. Sua morte, 75.
Giovanni Petrella, duca d'Amalfi, IV, 43. Sua morte, 77.
Giovanni XVII papa. Sua elezione e morte, IV, 64.
Giovanni XVIII papa. Sua elezione, IV, 65. Sua bolla, con cui conferma in vescovato la chiesa di Bamberga, 82. Termina i suoi giorni, 86. Epitafio a lui non bene attribuito, ivi.
Giovanni, juniore, duca d'Amalfi, IV, 77. È costretto dai Guaimario IV principe di Salerno e di Capoa di fuggire col figlio Sergio, 206. Torna ad Amalfi, 206, 207. Ricupera l'autorità, 265. Sua morte, 340.
Giovanni, patriarca d'Aquileia, IV, 93.
Giovanni, duca e marchese, forse di Spoleti e Camerino, IV, 97, 103.
Giovanni duca di Gaeta, IV, 124.
[938]
Giovanni, vescovo di Verona, IV, 134
Giovanni, principe di Capoa, IV, 142.
Giovanni XIX papa. Sua elezione, IV, 143. Dà la corona dell'imperio a Corrado il Salico, 157. Fine di sua vita, 175.
Giovanni, duca di Napoli, IV, 234.
Giovanni, vescovo della Sabina, IV, 251.
Giovanni, vescovo di Velletri, falso papa col nome di Benedetto X, IV, 285.
Giovanni Gualberto (san), fondatore di Vallombrosa, IV, 312, 327.
Giovanni, abbate de' SS. Ilario e Benedetto, IV, 318.
Giovanni II, arcivescovo di Napoli, IV, 322.
Giovanni o Pietro Igneo, poi cardinale, passa illeso pel fuoco, IV, 328. Legato in Germania, 391.
Giovanni, abbate di Canossa, IV, 452.
Giovanni, abbate del monistero ambrosiano in Milano, IV. 522.
Giovanni da Crema, cardinale. Con Giordano, arcivescovo di Milano, scomunica il re Arrigo V, IV, 550. Va con le armi pontificie ad assediare l'antipapa Burdino in Sutri, 579. Scomunica lo arcivescovo di Milano, 607.
Giovanni Comneno, figlio di Alessio imperadore de' Greci, succede al padre, IV, 559. Gli fanno guerra i Veneziani, 494. Lega da lui fatta col re Corrado contro di Ruggieri, 686.
Giovanni, cardinale, governatore di Benevento, IV, 666.
Giovanni, cardinale d'Anagni. Scomunica Ottaviano antipapa e l'imperadore Federigo I, IV, 765. Ristabilisce la pace tra i re Filippo di Francia ed Arrigo d'Inghilterra, 912.
Giovanni, duca di Traversare, IV, 747.
Giovanni, cardinale de' SS. Giovanni e Paolo, vicario in Roma per papa Alessandro III, IV, 792.
Giovanni, abbate di Struma, antipapa, assume il nome di Callisto III, IV, 821. Si umilia a papa Alessandro III, 866.
Giovanni di Brema, re di Gerusalemme: sue imprese sturbate dal legato pontifizio, IV, 1047. Va a Roma ed in Francia per soccorsi, 1058, 1059. Prende in moglie Berengaria di Castiglia, 1062. Suo sdegno contro Federigo II Augusto, 1069. Stati a lui dati in governo dal papa, 1077. Assale il regno di Napoli, 1084. Suoi progressi in questa guerra, 1086. Creato imperadore di Costantinopoli, 1101.
Giovanni dalla Colonna, cardinale. Va ad assalire il regno di Napoli, IV, 1084. In Perugia calma il furor delle parti, 1100. Va contra di Arrigo, ossia Euso re di Sardegna, 1159. Si ribella al papa, 1166.
Giovanni, cardinale, vescovo savinese, IV, 1093.
[939]
Giovanni da Vicenza, insigne missionario dell'ordine de' predicatori, mette pace fra le città della marca di Verona, IV, 1112, 1113. Svaniscono in breve la sua autorità ed il suo concetto, 1114. Va con molti banditi alla difesa di Padova contra Eccelino, 1257.
Giovanni XXI papa. Sua elezione, V, 116. Fine di sua vita, 120.
Giovanni Dandolo, doge di Venezia, V, 140. Sua morte, 205.
Giovanni da Procida: suoi maneggi per dare la Sicilia a Pietro re d'Aragona, V, 147, 148, 153. Va ad esibire al papa Niccolò IV tutte le forze del re Giacomo di Sicilia, 211. Va con don Federigo fratello del re Giacomo a visitare il papa Bonifacio VIII, 236.
Giovanni, marchese di Monferrato, V, 206. A lui tolti molti Stati, 220. Suo matrimonio, 247. Fa guerra a Matteo Visconte, 263. Acquista Vercelli, 273. Cerca deprimere i Visconti, 278, 287. Viene scacciato dagli Astigiani dalla loro città, ove la facea da padrone, 294. Dà fine al suo vivere, 299.
Giovanni XXII papa. Sua elezione, V, 387. Schiavo de' voleri del re Roberto, 399. È ricercato di aiuto dal re Roberto stesso per vendicarsi dei Longobardi che l'aveano assediato in Genova, 410. Scomunica i principi ghibellini, 411, 425. Fa gran guerra ai Visconti, 433, 434. Sua rottura con Lodovico il Bavaro, 437. Lo scomunica, e fa predicar la crociata contra di lui, 444. Come eretico lancia contro di lui tutte le censure, 466. Enormi azioni d'esso Bavaro in Roma contra di lui, 468. Torna Roma alla sua divozione, 472. Si riconciliano con lui gli Estensi, 483. Lo stesso fanno i Visconti, 484. Ha in suo potere lo antipapa, 489. Sua morte, 521.
Giovanni Visconte, imprigionato da Lodovico il Bavaro, V, 461. Liberato, 471. Creato cardinale dall'antipapa, 481. Toglie di vita Marco Visconte, 488. Creato vescovo di Novara, 493. Occupa la signoria di quella città, 509. Ottiene l'amministrazione dell'arcivescovato di Milano, 514. Creato arcivescovo di quella città, 566. Col fratello Luchino fa grandi preparamenti per andar ad assediar Pavia, 567. Va a Cassano ad incontrar il marchese Obizzo Estense, 585. Succede nel dominio a Luchino suo fratello, 609. Compra Bologna dai Pepoli, 614. Pacifica papa Clemente VI, 621. Fa infelicemente guerra a' Fiorentini, 623. E poi pace, 630. Genova lo prende per signore, 632. Sua morte, 639.
Giovanni Soranzo, doge di Venezia, V, 361. Sua morte, 479.
Giovanni di Lucemburgo, figlio dell'imperadore [940] Arrigo VII, re di Boemia, preso per loro signore da' Bresciani, V, 496. E da' Bergamaschi, 498. Da' Pavesi e da altre città, ivi. Libera Lucca dall'assedio dei Fiorentini, 499. Va ad Avignone, 501. Suo ritorno in Italia, 514. Poi va in Germania, 515, 516.
Giovanni II, marchese di Monferrato, succede al padre Teodoro, V, 542. Toglie Asti al re Roberto, 550. In aiuto di Luchino Visconte prende Tortona ed Alba, 596. Sua guerra co' principi di Savoia, 597. Fugge da Milano, per iscampare dalla gelosia del Visconte, 603. Vicario generale dell'imperadore Carlo IV, 653. Intima guerra ai Visconti, ivi. Loro toglie prima Asti, poi Alba, ivi. Gli fa ribellare Cherasco, Chieri, e tutte le città del Piemonte, ivi. Prende al suo servigio la compagnia del conte Lando, 655. Toglie Novara agli stessi Visconti ivi. Costretto a rendere Novara ed Alba, 668. Porta soccorsi a Pavia assediata da' Visconti, 672. Assolda la compagnia Bianca inglese, 682. Sua nuova guerra con Galeazzo Visconte, 683. Toglie al Visconte varie città e castella, 689. Sminuite le sue forze per mancanza di soldo, perde molti luoghi che avea acquistati nei contadi di Pavia e Tortona, 694. Fa pace col Visconte, 697. Poi guerra di nuovo, 720. Gli è occupata Valenza ed altri luoghi sul Po, 725. Per tal guerra trovasi ridotto a mal partito, perciò assolda la compagnia del conte Lucio, 729. Termina i suoi giorni, 730.
Giovanni Visconte da Oleggio, generale di Luchino, V, 557. Fatto prigione dai Fiorentini, 558. Messo in libertà, 564. Governatore di Bologna, 621. Infelice guerra da lui fatta contro i Fiorentini, 623. Suo barbarico governo de' Bolognesi, 643. Usurpa il dominio di Bologna, 648. Fa lega col cardinale Egidio Albornoz, legato del papa Innocenzo VI per abbattere i Visconti, 661. Bernabò Visconte gli fa guerra, 670. Cede Bologna al cardinale Albornoz, dal quale riceve in cambio il dominio della città di Fermo, 675. Sua morte, 706, 707.
Giovanni de' Pepoli, signor di Bologna, V, 595. Tratta d'aggiustamento tra il conte della Romagna e Giovanni Manfredi, 612. Imprigionato a tradimento dal conte della Romagna, ivi. Vende Bologna a Giovanni Visconte, 614.
Giovanni da Murta, doge di Genova, V, 576, 581. Termina i suoi giorni, 617.
Giovanni de' Manfredi, signor di Faenza, V, 612. Assediato dal conte della Romagna nel castello di Solaruolo, ivi.
Giovanni di Valente, doge di Genova, V, 617.
Giovanni de' Gabrielli, signore di Gubbio, V, 619.
Giovanni da Vico, prefetto di Roma e signore di [941] Viterbo, V, 633. Si sottomette al cardinale Alnoz, 636.
Giovanni Gradenigo, doge di Venezia, V, 651. Sua morte, 658.
Giovanni e Rinieri de' Manfredi, signori di Faenza, V, 656.
Giovanni Delfino, doge di Venezia, V, 658. Sua morte, 684.
Giovanni Aucud (Kauchouod), capo d'una compagnia di masnadieri inglesi, V, 698. Entra in Perugia, commettendo i soliti disordini, 701. Danni da lui recati a varii paesi, 709. Dà una rotta all'esercito dei Fiorentini, 720. Va al servigio del papa, 733. Sue vittorie delle milizie de' Visconti, 736, 737. Dà il sacco a Faenza, 749. Sua infedeltà, 766. Generale de' Fiorentini, 780. Va al servigio di Carlo re di Napoli 791. Passa a quello di Francesco da Carrara 815. Dà una rotta al signor di Verona, 820. Fa guerra a quel di Milano, 845. Sua morte, 860.
Giovanni dell'Agnello, doge di Pisa, V, 699. È deposto, 716.
Giovanni d'Auspurgo, conte, capitano d'una compagnia di masnadieri tedeschi, V, 700.
Giovanni Bentivoglio, diviene signore di Bologna, V, 905. Guerra a lui fatta dal conte Alberico di Barbiano, 908. È sconfitto dal duca di Milano, ed ucciso dal popolo, 909.
Giovanni Paleologo, imperadore de' Greci, viene a Roma, V, 717. Viene al concilio di Ferrara, 1126. Va a Firenze, 1135.
Giovanni, cardinale della Grangia, vescovo d'Amiens, plenipotenziario del papa Urbano VI al congresso di Sarzana, V, 758.
Giovanni III, marchese di Monferrato, V, 766. Sua morte, 785.
Giovanni, conte di Armagnacco, chiamato in Italia contra il Visconte, V, 844. Sconfitto, finisce i suoi giorni, 846, 847.
Giovanni dall'Aceto, tiranno di Fermo, V, 869.
Giovanni da Vignate usurpa il dominio di Lodi, V, 922. Accoglie il papa Giovanni XXIII e Sigismondo re de' Romani, e dona all'ultimo Piacenza, 987. Dal duca di Milano gli è tolta la vita e la città, 1005.
Giovanni XXIII papa. Sua elezione, V, 970. Favorisce l'innalzamento di Sigismondo in re de' Romani, 973. Entra in Roma, 974. Se gli ribella Bologna, 976, 977. Poi Forlì, 977. Sua vendetta contro Sforza da Catignola, per aver esso abbandonato il suo servigio, 979. Compera la pace da Ladislao, ivi. Riacquista Bologna, 983. Per la mala fede di Ladislao è costretto a lasciar Roma, 985. È ammesso in Firenze, in cui cerca di unirsi [942] con Sigismondo, proponendogli un concilio per la pace della Chiesa, 986. S'abbocca con questo principe, 987. Stabiliscono il concilio di Costanza, dopo cui si separano, 989. Sua gioia per la morte di Ladislao, 992. Va quasi per forza a Costanza, dove fa l'apertura del concilio generale, ivi. Suo batticuore per tema di perdere il papato, 994. Alle istanze dei padri si obbliga alla cessione del pontificato: si pente, e fugge travestito a Sciaffusa, 995. Per forza è condotto a Costanza, e quivi deposto, ivi. Si umilia a Martino V, 1020. Sua morte, ivi.
Giovanni da Varano, signore di Camerino, V, 1071. Ucciso da' fratelli, 1110.
Giovanni de' Vitelleschi da Corneto, vescovo di Recanati, poi patriarca d'Alessandria, V, 1107. Sua crudeltà, 1110, 1117. Fa guerra a' baroni romani, 1121. Toglie Palestrina a Lorenzo Colonna, e la fa diroccare e spianare al suolo, 1122. Creato cardinale, dà una rotta al re Alfonso, 1123. Preso Foligno a tradimento fa prigione Corrado Trinci signore di quella città, cui fa mozzare il capo, 1141. È tolto dal mondo, 1143.
Giovanni IV, marchese di Monferrato, succede al fratello Guglielmo, V, 1210. Si collega coi Veneziani contro il duca di Milano, 1221. Pace fra essi coll'interposizione del re Renato, 1232. Termina i suoi giorni, VI, 14.
Giovanni d'Angiò, figlio del re Renato duca di Calabria, V, 1234. Va in Provenza, 1241, 1242. Governatore di Genova, 1249. Sue intelligenze co' baroni di Napoli, 1255. Sbarca in quel regno, 1257. Viene in suo aiuto Jacopo Piccinino, 1260. Sua vittoria contro il re Ferdinando, 1262. S'impossessa di varie città e castella, 1271. Sua rotta, ivi. Sua decadenza, 1276, 1280. Torna disperato in Provenza, VI, 9. Sua morte, 34.
Giovanni II Bentivoglio, quasi signor di Bologna. Presta aiuto a Galeotto Manfredi per ordine della duchessa di Milano, VI, 59. Si unisce co' Fiorentini, contra del papa e del re Ferdinando di Napoli, 65. Assiste il duca di Ferrara, 78. Soccorre i Riarii nella sollevazione di Forlì, 101. Si porta a Faenza per proteggere la figlia Francesca ed il nipote Astorre ivi. Ad istigazione e malizia de' Fiorentini quivi è imprigionato, 102. Cacciato da papa Giulio II da Bologna, 219. Vi rientrano Annibale ed Ermes Bentivoglio, 265.
Giovanni della Rovere, signore di Sinigaglia, sposa Giovanna figlia di Federigo duca d'Urbino, VI, 51.
Giovanni d'Aragona, creato cardinale, VI, 56. Sua morte, 90.
[943]
Giovanni Mocenigo, doge di Venezia, VI, 65. Fine de' suoi dì, 93.
Giovanni de Medici, V. Medici (Giovanni).
Giovanni Borgia, cardinale, VI, 118.
Giovanni Pico, signore della Mirandola, chiamato, Fenice degl'ingegni: sua morte, VI, 125.
Giovanni Sforza, signore di Pesaro, succede a Costanzo suo padre, VI, 84. Suo matrimonio con Lucrezia Borgia, 116. Gli sono tolte Forlì e Pesaro dal duca Valentino, 160, 165.
Giovanni da Varano, figlio di Giulio signore di Camerino, VI, 194.
Giovanni Maria di Monte, ossia del Monte, V. Giulio III.
Giovanni d Austria, figlio di Carlo V, VI, 672, 673, 746. Vince i Turchi a Lepanto, 750, 751. Prende Tunisi, 760. Governatore de' Paesi Bassi, 772, 774, 776. Manca di vita, 777.
Giovanni Bembo, doge di Venezia, VI, 952. Sua morte, 969.
Giovanni d'Austria, figlio bastardo di Filippo IV re di Spagna. Giunge a Napoli, VI, 1158. Vicerè pro interim, 1163. Poi vicerè di Sicilia, 1168. Prende Piombino e Portolongone, 1177, 1178.
Giovanni Sobieschi, re di Polonia, VI, 1267. Collegato con Leopoldo Augusto, VII, 46. Concorre alla liberazion di Vienna assediata da' Turchi, 47. Ricupera Coccino, 54
Giovanni Gastone de Medici, gran duca di Toscana, VII, 313, 322. Dà fine al suo vivere, 432.
Giovanniccio, segretario di Teodoro esarco di Ravenna, e poi di Costantino Pogonato e di Giustiniano II imperadore de' Greci, III, 58. Ritorna a Ravenna, 86. Condotto prigione a Costantinopoli, 130. Per ordine di Giustiniano Augusto messo a morte, 135.
Gioviano (Flavio Claudio), proclamato imperadore dopo la morte di Giuliano Augusto, II, 136. Guerra tra lui e i Persiani, 138. Pace svantaggiosa da lui fatta con essi, ivi. Sua morte, 142.
Gioviano, governatore de' militi in Venezia, V. Giuliano.
Gioviniano, eresiarca: concilio celebrato da santo Ambrosio contro di esso in Milano, II, 287.
Giovino, generale di Valentiniano, II, 148. Rotta da lui data agli Alemanni, 159. Console, 162. Nelle Gallie prende il titolo d'Augusto, 415. Discordia fra lui e il re Ataulfo, 417. Vien privato di vita, ivi.
Giovio, primo ministro d'Onorio Augusto, II, 395, 396. Abbandona Onorio per seguitar il partito d'Attalo, 408.
Giriberto, vescovo di Tortona, III, 1242.
Girolamo (San), dottore della chiesa, passa a miglior vita, II, 444.
[944]
Girolamo Riario, nipote di papa Sisto IV, VI, 43. Divien padrone d'Imola, 47. Mischiato nella congiura de' Pazzi, 59. Fatto signore di Forlì, 70, 71. Creato capitano della lega fatta dal papa coi Veneziani, 71. Suoi maneggi co' Veneziani per far guerra al duca di Ferrara, 77. Va contro il duca di Calabria, e lo vince, 80. I Veneziani lo fanno aderire a far la pace col duca di Ferrara, 81. Ucciso dal popolo di Forlì, 100.
Girolamo Savonarola, Ferrarese, frate dell'ordine di san Domenico. Regge il popolo di Firenze anche nei politici affari co' suoi consigli, VI, 149. Accusato da' maligni suoi nemici a Roma, Alessandro VI papa gli proibisce di predicare, 150. Disprezza la proibizione, e ritorna a predicare contro la corruttela d'allora, e specialmente del pontefice e della sua corte, ivi. È scomunicato per questo, ivi. Un frate di Puglia predica contro varie sue proposizioni, ivi. Predizioni da lui fatte tutte col tempo avverate, ivi. Giudizio del fuoco proposto per decidere la verità di sua dottrina, 150, 151. Per una sollevazione di scapestrati contro di lui, i magistrati, temendo anche le tante minaccie del papa, lo carcerano, 151. Tormentato per fargli confessare quel che non era vero, ivi. Fatto ignominiosamente morire, ivi. Giudizio del Muratori intorno a lui, 151, 152.
Gisela, imperadrice, moglie di Corrado II Augusto, IV, 157, 173.
Giselico e Gisalico, bastardo di Alarico re de' Visigoti, acclamato re da que' popoli, II, 665. Abbattuto dal re Federico, 772. Cacciato di Spagna fugge in Africa, 775. Dove è protetto da Trasamondo re de' Vandali, 775. Torna in Ispagna; suoi inutili sforzi, dopo i quali perde la vita, 780.
Giserico, re de' Vandali, V. Genserico.
Gisla, sorella di Lodovico II Augusto, costituita badessa di Santa Giulia di Brescia, III, 662.
Gisla, figlia di Lodovico Pio, moglie di Everardo, duca del Friuli, III, 782.
Gisleberto, vescovo di Bergamo, III, 1234.
Gisolfo, da Paolo Diacono creduto primo duca del Friuli, II, 999. Figlio di Grasolfo, forse succedette al padre in quel ducato, 1078, 1079, 1133. Ucciso in una battaglia, 1144.
Gisolfo, figlio di Romoaldo duca di Benevento, III, 28, 49. Succede in quel ducato a Grimoaldo II suo fratello, 61. Fa guerra allo stato romano, 114. Sua morte, ivi.
Gisolfo II, duca di Benevento, III, 227. Sua morte, 243.
Gisolfo, duca di Spoleti, III, 279. Sua morte, 284.
Gisolfo, principe di Salerno, III, 1060. Va in soccorso [945] de' Beneventani, 1143. Sua riputazione, ivi. Accoglie in Salerno i Greci, 1193. Va contro i Beneventani, 1208. Fatto prigione da Landolfo suo cugino, 1210. Sua morte, 1220.
Gisolfo II, principe di Salerno, IV, 253. Succede al padre, 257. Marita sua sorella Sigelgaita con Roberto Guiscardo, 287. Sue liti con esso Roberto, 381, 382. Che lo spoglia degli Stati, 382.
Gisone, vescovo di Modena, III, 524.
Giubileo celebrato da papa Bonifazio VIII nel 1300, V, 265.
Giubileo insigne del 1350, V, 611.
Giubileo del 1400, V, 891.
Giubileo del 1600, VI, 884.
Giudei, cacciati di Roma, I, 60, 180. Perseguitati in Egitto, 123. E da Caligola, 135. Si ribellano sotto Nerone, 244. Vespasiano fa loro la guerra, 248. Ridotti da lui in angustie, 260. Assedio di Gerusalemme fatto da Tito, 290. Loro immensi guai, e rovina della loro città, ivi, 291. Perseguitati da Domiziano, 358. Si rivoltano in Oriente contra de' gentili, 426, 428. Si ribellano sotto Adriano Augusto, 440, 464, 468. Che loro fa guerra, 469. Strage immensa di essi, e fine di tal guerra, 470, 471. Loro sollevazione in Palestina, per cui vengono messi a migliaia a fil di spada, II, 53, 54. Miracolosamente impediti dal rifabbricare il tempio di Gerusalemme, 127. Onorio dà loro la permissione di poter tenere schiavi cristiani, 430. Loro insolenza repressa da Teodosio Augusto, 431. Scacciati da Alessandria, ivi. Con un editto di Onorio sono privati di tutti gli uffizii di corte, II, 369. Cercano imputare di tradimento san Cesario vescovo d'Arles, 767. Loro contesa co' cristiani in Ravenna, 808. Si ribellano uniti a' Samaritani, 837, 839.
Giuditta, moglie di Lodovico Pio Augusto, III, 521. Partorisce Carlo Calvo, 539. È costretta a farsi monaca, 573. Pruova la sua innocenza, 575. Sua ambizione, 582. Esiliata in Italia, e confinata nella città di Tortona, 584. Rimessa in libertà, 588. Sua morte, 629.
Giuditta, figlia di Carlo Calvo, sposa Etelvolfo re de Sassoni, III, 682. Rimane vedova, ivi. È rapita da Baldoino, 698, 700.
Giudizio del fuoco, IV, 327, 328, 496.
Giulia, figlia di Cesare Augusto, moglie di Marco Agrippa, I, 6. Poi di Tiberio, 10. Suoi vizii, per i quali è relegata, ivi. Fatta morire, 46.
Giulia Livilla, sorella di Germanico Cesare, e moglie di Druso figlio di Tiberio, sedotta da Seiano, I, 68. Invano chiesta da lui in isposa, 74. Fatta morire, 93.
Giulia Livida, figlia di Germanico Cesate, I, 59. Maritata con Marco Vinicio, 84. Sua congiura [946] contra del fratello Caligola, per cui è relegata nell'isola di Ponza, 130. Richiamata da Tiberio Claudio a Roma, 147. Dove è fatta morire da Valeria Messalina Augusta, 156.
Giulia, figlia di Giulia figliuola d'Augusto; sua disonestà, I, 31. Sua morte, 80.
Giulia, figlia di Druso figlio di Tiberio, maritata a Nerone primogenito di Germanico Cesare, I, 62. Fatta uccidere da Valeria Messalina Augusta, 156.
Giulia, moglie di Settimio Severo. Le è conferito dal marito il titolo di Augusta, I, 653. Maltrattata da Plauziano prefetto del pretorio, 692. Fama della sua impudicizia mal fondata, 699. Sua cura, rimasta vedova, per tenere uniti i figli Caracalla e Geta, 714, 716. Le è ucciso in grembo il figlio Geta, 717. Suoi biasimi e sue lodi, 741. Sua morte, 743.
Giulia Mammea, madre di Alessiano, che fu poi Alessandro Augusto, I, 748, 749. Come allevasse il figliuolo, 765. Veglia alla sua buona condotta e preservazione, 772. Onorata col titolo d'Augusta, ivi. Creduta da alcuni cristiana, 774, 776. Sua possanza nel governo, 777. Suo eccessivo amore pel figliuolo, 802. Con esso lui uccisa, 811, 812. Deificata, 813.
Giulia Soemia, madre di Vario Avito Bassiano, cioè di Elagabalo: il promuove all'imperio, I, 749, 752, 753. Onorata col titolo d'Augusta, 757. Uccisa, 768.
Giulia Mesa, avola materna d'Elagabalo, il promuove all'imperio, I, 749, 752, 753. Dichiarata Augusta, 757. Avola di Alessandro Augusto, ha cura di salvarlo dalle insidie di Elagabalo, 765, 766. Veglia alla sua buona condotta e preservazione, 772.
Giuliana, figlia di Olibrio Augusto, moglie di Ariobindo juniore, II, 645.
Giuliano (Marco Salvio), insigne giurisconsulto: suo Editto perpetuo, I, 466. Creato console, 506.
Giuliano (Marco Didio), che fu imperadore: suo consolato, I, 565. Corre pericolo della vita sotto Commodo, 606. Compera da' soldati l'imperio, 640, 641. Viene ucciso, 647.
Giuliano, prefetto del pretorio sotto Commodo, I, 619, 620.
Giuliano (Quinto Frebonio), usurpatore dell'imperio in Africa, I, 1024. Si uccide, 1031, 1032.
Giuliano (Anicio), prefetto di Roma, I, 1175, 1181, 1183.
Giuliano (Flavio Claudio), figlio di Giulio Costanzo, I, 1204. Fortunatamente preservato dalla morte, 1222; II, 66, 113. Creato Cesare da Costanzo Augusto, 70. Prende in moglie Elena [947] sorella dello stesso Costanzo, 71. Suo viaggio nelle Gallie, ivi. Sua prima campagna contro gli Alemanni, 73, 74. Varie sue imprese in quella guerra, 78. Sua vittoria, 80. Sue altre celebri imprese, 86, 87, 88, 89. È proclamato da' soldati imperadore Augusto, 95. Occupa l'Illirico, e l'Italia se gli rende, 104, 105. Sue azioni di gioventù e qualità, 113. Sua apostasia, 114. Succede a Costanzo Augusto, 117. Sua infame corte, 120. Concede al senato di Costantinopoli gli stessi privilegii di quello di Roma, 121. Vi fabbrica un porto, ivi. Vi fa condurre da Alessandria un obelisco, ivi. Richiama dall'esilio santo Atanasio e tutti gli altri vescovi esiliati da Costanzo, ivi. Passa ad Antiochia, 122. Perseguita i cristiani, 123. Deriso dagli Antiocheni, contra de' quali compone una satirica invettiva intitolata Misopogon, 126. Sue imprese contro i Persiani, 127, 128, 129. È ucciso in un combattimento, 131. Dedito agl'indovini ed alle superstizioni, 133. Suoi libri, 135.
Giuliano, vescovo di Eclana, difensore di Pelagio, II, 441; IV, 123. Cacciato dall'Italia dal papa Celestino, II, 455. Tenta con furberia, ma inutilmente, di rimettersi in grazia di Sisto III, 506.
Giuliano o Gioviano, ipato, governatore de' militi in Venezia ai tempi di Costantino Copronimo imperadore d'Oriente, III, 215.
Giuliano Cesarino, cardinale legato di papa Eugenio IV, al concilio di Basilea, V, 1094, 1102.
Giuliano della Rovere, creato cardinale dallo zio Sisto IV papa, VI, 43. Va colle armi pontificie a Todi, che pacificò, 49. Obbliga il popolo di Spoleti ad arrendersi alla sua obbedienza, ivi. Va a Città di Castello e vi sloggia il tiranno Niccolò Vitelli, ivi. Assedia Osimo, 96. Fugge per timore di papa Alessandro VI, 113. Suscita zizzanie contro il papa stesso, 119, 126, 145. Eletto papa, 204. (V. Giulio II.)
Giulio Cesare, primo fra' Romani imperadori, I, 1.
Giulio I papa, I, 1207. Fine di sua vita, II, 51.
Giulio, cardinale di San Marcello, IV, 736.
Giulio, vescovo di Palestrina, vicario in Roma del papa Alessandro III, IV, 770. Sua morte, 792.
Giulio da Varano, signore di Camerino, VI, 97. Spogliato de' suoi Stati ed ucciso dal duca Valentino, 192.
Giulio II, creato papa, sue qualità, VI, 204. Ricupera alcune città della Romagna, 211. Poi Perugia e Bologna, 219. Entra nella lega di Cambrai contro i Veneziani, 229. Da essi ricupera le città della Romagna, 238. Quindi con esso loro si pacifica, 251. E ne imprende la difesa, 254. Assedia in persona la Mirandola, 260. La [948] prende, e ne dà l'investitura a Gian-Francesco Pico, 262. Indarno tratta di pace, 263. Perde Bologna, 265. Fa lega col re Cattolico e con altri, 269. Piacenza e Parma vengono in suo potere, 289. Manca di fede ad Alfonso duca di Ferrara, 290. Fa nuove leghe, 293. Fine de' suoi giorni, e sue qualità, 296.
Giulio III papa. Sua elezione, VI, 602. Suo discredito pel cardinalato dato ad Innocenzo del Monte, 605. Suo sdegno contro i Farnesi, 608. Suo nepotismo, ivi. Fa lega con Carlo V, 610. Fa tregua co' Franzesi, 617. È chiamato all'altra vita, 639. Quali fossero le sue applicazioni, ivi.
Giunio (Marco), governatore della Cappadocia sotto Traiano imperadore, I, 417.
Giunio Donato, prefetto di Roma sotto Valeriano imperadore, I, 887.
Giuochi secolari: quando celebrati in Roma, I, 166.
Giuochi capitolini, istituiti da Domiziano Augusto, I, 336.
Giuochi quinquatri, cioè in onor di Minerva, I, 337.
Giuochi apollinari: quando si celebravano, I, 829. Vietati nei giorni festivi, II, 626.
Giuseppe Ebreo, storico, fatto prigione da Vespasiano, I, 248.
Giuseppe, vescovo di Brescia, è ingiustamente cacciato da quella chiesa da Berengario, III, 1099.
Giuseppe, arciduca d'Austria, figlio di Leopoldo imperadore, eletto re d'Ungheria, VII, 68. E re de' Romani, 89. Sue nozze, con Amalia Guglielmina di Brunsvich, 140. Succede a Leopoldo Augusto suo padre, 189. Spedisce una armata all'acquisto del regno di Napoli, 212, 213. Manda le sue armi ad impadronirsi di Comacchio, 222. Si accorda col papa, restando in possesso di questa città, 227. Immatura sua morte, 239.
Giusta, sorella di Valentiniano II, II, 301.
Giusta Grata Onoria, sorella di Valentiniano III Augusto, II, 451. Riceve il titolo d'Augusta, 487. Suo gravissimo fallo, 490. Ricorre ad Attila, 549. Suo misero fine, 566.
Giustina, moglie di Valentiniano I, II, 164, 194, 198. Prende le redini del governo, 247. Ariana di credenza, 258. A lei resiste sant'Ambrosio in difesa delle basiliche, ivi, 260. Sua morte, 277.
Giustina, badessa di Capoa, II, 1001.
Giustiniano, nipote di Giustino Augusto, II, 799. Fama ch'egli facesse assassinar Vitaliano console, 804, 805. Creato console, ricrea il popolo con magnifici spettacoli, 806. Preso per collega dall'Augusto zio, 830. A cui succede, ivi. Suoi buoni principii, 831, 832. Sborsa grandi somme [949] d'oro per far risorgere Antiochia abbattuta da un orribile terremuoto, e le dà il nome di Teopoli, 834. Ordina ed unisce in un Codice tutte le leggi meritevoli d'approvazione pubblicate da' precedenti Augusti e da lui stesso, 836. Muove una grandissima persecuzione contro i gentili d'Oriente, 838. Irato contra Gelimere usurpatore del trono in Africa, 846. Fiera sedizione mossa contra di lui in Costantinopoli dalle fazioni veneta e prasina, 847. Spedisce Belisario coll'armata in Africa, 849. Che ne fa l'acquisto, 850. Istituzioni e Digesti da lui pubblicati, 852. Sua spedizione contro i Goti regnanti in Italia, 858. Conquista la Dalmazia, ivi. E la Sicilia, ivi. Per il valore e la buona condotta di Belisario s'impadronisce di Roma, di Ravenna e di tutta l'Italia, 867. Guerra a lui mossa da Cosroe re di Persia, 879. Chiama papa Vigilio a Costantinopoli, 912. Dalle Indie fa venire i vermi da seta, 931. Sua biasimevole prepotenza negli affari di religione, 938, 942. Manda in esilio papa Vigilio con altri vescovi, 950. Ne lo richiama, 957. Usurpa i diritti della Chiesa, 958. Vecchio trascura il governo, 967. Pace vergognosa da lui fatta coi Persiani, 973. Congiura contra di lui, per la quale deprime Belisario, 975, 976. Lo rimette, in sua grazia, 978. Suo editto contrario alla dottrina della Chiesa, 980. Depone e caccia in esilio Eutichio patriarca di Costantinopoli, ivi. Muove persecuzione contro tutti i vescovi a lui contrarii, e specialmente contro Atanasio patriarca di Antiochia, ivi. Tempo della sua morte, 981. Sua avarizia e rapacità, 982.
Giustiniano, pronipote di Giustiniano I Augusto, II, 928. Viene con una flotta in Italia, 929. Giunge in Dalmazia, 930. Spedito da Giustiniano Augusto con un'armata in soccorso di Audoino re de' Longobardi, 935. Generale dell'armi contro i Persiani, ne riporta molti vantaggi, 1025.
Giustiniano II imperadore, figlio di Costantino Pogonato, dichiarato Augusto e collega nello imperio, III, 63. Gli succede, 69. Sua pace con Abimelec califa de' Saraceni, 71. Da lui rotta ben tosto, 72. Sue sconsigliate risoluzioni contro i Barbari, 75. Infelicemente fa guerra ai Bulgari, 78. Rompe la pace co' Saraceni, 85, 88. Persecuzione da lui fatta a papa Sergio, 89. Sua tirannia, 92. Vien deposto, e, tagliatogli il naso, è confinato in Chersona di Crimea, 96. Suoi sforzi per ricuperare l'imperio, 118. È rimesso in trono, e sua crudeltà, 120. Sconsigliatamente fa guerra ai Bulgari, 128. Chiama a Costantinopoli papa Costantino, 130. [950] Orrido scempio da lui fatto de' Ravennati, 131. Fa grande onore al papa, 133. Sua crudeltà contro il popolo di Chersona, 136. Gli è tolto regno e vita, 137.
Giustiniano Particiaco, ossia Participazio, è mandato dal padre a Costantinopoli, ove ottiene dallo imperadore Leone Armeno il grado e titolo di ipato, ossia console imperiale, III, 524. Associato dal padre nel ducato, ivi. Concede un privilegio a Giovanni abbate del monistero di San Servolo, 525. Succede al padre, 561. Manca di vita, 571.
Giustino, martire: sue Apologie in favor de' cristiani, I, 495, 506, 524.
Giustino, storico, è incerto in qual tempo vivesse, I, 524.
Giustino, o Giustiniano, generale di Costantino tiranno della Gran Bretagna, sconfitto ed ucciso nelle Gallie da Saro generale di Onorio Augusto, II, 379.
Giustino Trace, dopo Anastasio eletto imperadore d'Oriente, II, 798. Sue qualità, e principio del suo governo, 799. Suo zelo per la religione cattolica, 800. Acqueta i torbidi da essa insorti, 802, 803. Fa trucidare Vitaliano console, 804, 805. Pubblica una legge contro i pagani ed eretici, 812. Se ne offende il re Teoderico, 814. E però gli spedisce papa Giovanni, 817. Che viene accolto con magnificenza e divozione, 819. Sua carità verso gli Antiocheni danneggiati dal tremuoto, 825, 826. Prende per collega Giustiniano suo nipote, 830. Muore, ivi.
Giustino juniore, nipote di Giustiniano, dichiarato imperadore, II, 982. Procede console, 983. Uccide Giustino figlio di Germano, 989. Richiama alla corte Narsete, 991. Manda ambasciatori ai Turchi, 1005. Sua guerra co' Persiani, 1010. Dichiara Cesare Tiberio Trace, 1018. Giugne al fine di sua vita, 1030.
Giustino, nipote di Giustiniano Augusto, II, 928. È da lui mandato in soccorso di Audoino re dei Longobardi, 935. Tolto di vita da Giustino II, 989.
Giutunghi, popoli della Germania, II, 476.
Giuvenale (Flavio), prefetto del pretorio sotto Severo, I, 647, 683.
Giuvenale (Decimo Giunio), poeta sotto Domiziano, I, 370.
Giuvenco, poeta cristiano sotto Costantino, I, 1220.
Glabrione (Marco Acilio), console, I, 347. Fatto morire da Domiziano, 363.
Glabrione (Aulo), senatore riguardevole, caro a Pertinace, I, 634.
Gladiatori vietati da Costantino il Grande, I, 1174. E aboliti da Onorio Augusto, II, 368.
[951]
Glicerio si fa proclamare imperador d'Occidente, II, 647. Abbattuto da Giulio Nipote Augusto, 652.
Goffredo Barbato, V. Gotifredo.
Godeberto, o Gundeberto, re de' Longobardi in Pavia, II, 1271, 1272. Nella discordia col fratello Bertarido chiama in aiuto Grimoaldo duca di Benevento, 1273. Il quale gli toglie la vita e la corona, 1275.
Godefrido, re de' Normanni, III, 349.
Godemaro, re de' Borgognoni, ricupera il regno perduto da Sigismondo suo fratello, II, 817. Di nuovo lo perde, 818, 856.
Godescalco, genero del re Agilolfo, fatto prigione da' Greci, II, 1114. Rimesso in libertà, 1128.
Godescalco, duca di Benevento, III, 209. Aiuta Trasmondo duca di Spoleti a ricuperare quel suo ducato, 214. Deposto dal re Liutprando, 220, 227.
Godigisclo, re de' Vandali, lascia la vita in un combattimento contro i Franchi, II, 377.
Goffredo di Buglione, V. Gotifredo.
Goffredo abbate vindocinense, IV, 460.
Gonzaga (Don Ferrante), generale dell'imperadore Carlo V, VI, 480, 488. Va in soccorso dell'esercito cristiano in Africa con varie navi cariche di vettovaglie, 512. Vicerè di Sicilia, 514. Tradimento da lui fatto ai soldati spagnuoli, 538. Ricupera Lucemburgo, 566. Governator di Milano, 576. Manda un rinforzo al vicerè di Napoli don Pietro di Toledo per sedar Napoli rivoltala, 586. Sua congiura contro Pier Luigi Farnese, 589. Occupa Piacenza, 590. Acquista Guastalla, 661. Suo fine, 663.
Gonzaga, marchesi di Mantova, V. i loro rispettivi nomi.
Gorda, re degli Unni, abbraccia la fede cristiana, II, 833.
Gordiana (Ulpia), madre di Gordiano I Augusto, I, 824.
Gordiano (Marco Antonio), seniore, che fu poi Augusto, consigliere d'Alessandro imperadore, I, 771. Creato console, 794. Acclamato imperadore in Africa, 824. Sue belle qualità, ivi. Si uccide, 827, 828.
Gordiano (Marco Antonio, o Antonino), figlio dell'antecedente creato Augusto col padre, I, 824, 825. Muore in battaglia, 827.
Gordiano (Marco Antonio), il terzo, nipote del primo, creato Cesare, I, 830, 833, 835. Poi imperadore, 837. Va alla guerra contro i Persiani, 843. Sue imprese in quelle parti, 844. È tolto di vita da Filippo, 848.
Gotescalco, monaco: suoi errori, III, 652.
Goti: loro orribili scorrerie nelle provincie romane, [952] I, 912, 930, 939. Sconfitti da Claudio Augusto, 941. Lor guerre con Valente Augusto, II, 166, 167. Pace con lui, 174. Fanno irruzione nella Tracia, 186. Ammessi da Valente nelle terre dell'imperio, 202, 203. Alle cui milizie danno una rotta, 206. Poi restano essi sconfitti, ivi. Danno una nuova rotta alle armi di Valente, nella quale egli stesso perisce, 212. Desolano le provincie romane, 214. In esse assegnata la loro abitazione da Teodosio Augusto, 237. Si rivoltano contro le provincie romane, 325, 326. Lor pace coll'imperadore Arcadio, 330. Il loro re Alarico preso per generale delle sue truppe, ivi. Chiamati Visigoti sotto Alarico, 350. Sconfitti dal popolo di Costantinopoli, 355. Occupano alcune città d'Italia, 362. Sconfitti da Stilicone, 363, 364, 365. Assediano Roma, 389. La prendono e saccheggiano, 400. Passano nelle Gallie, 416. S'impadroniscono dell'Aquitania, 422. E di gran tratto della Spagna, 427. Favorevoli ad Onorio Augusto, 431, 432. Si stabiliscono nella Linguadoca, 437. Forzati da Aezio a sciogliere l'assedio d'Arles, 465. E di Narbona, 494. Sconfitta da loro data a Littorio conte, 505. Gran battaglia fra essi ed Attila, 554.
Goti, Ostrogoti, cacciano gli Unni dalla Pannonia, II, 467. Ausiliarii de' Romani contro d'Attila, 552. Sotto Teoderico figlio di Triario fissano la loro sede nella Tracia, 649. E nella Pannonia, 657. Entrano in possesso dell'Italia, 701. Perdono la Sicilia, 859. Sbaragliano i Greci in una battaglia navale, 934. Rovesciati e posti in fuga dall'esercito di Narsete, 941. Altra battaglia, e loro accordo di deporre l'armi con questo generale, 945. Fine del loro regno in Italia: ingiustamente derisi da alcuni, 936. Non affatto cacciati d'Italia, 975.
Gotifredo, re di Danimarca, III, 446. Fa guerra a Carlo Magno, 462. Cerca di far pace con lui, 467. Continua la stessa guerra, 473. Viene ucciso da un suo soldato, 474.
Gotifredo, vescovo di Modena, III, 953, 958, 1032.
Gotifredo, duca di Lorena, III, 1168.
Gotifredo, arcivescovo di Milano, III, 1187, 1212. Sua morte, 1273.
Gotifredo, vescovo di Brescia, III, 1221.
Gotifredo, vescovo di Luni, IV, 34.
Gotifredo, abbate del monistero di Sant'Ambrosio di Milano, IV, 123.
Gotifredo, o Goffredo Barbato, duca della Lorena mosellanica, si ribella al re Arrigo III, IV, 222. Rimesso in sua grazia, 226, 228. Torna a ribellarsi, 227, 243. S'umilia all'imperadore, 245. Viene in Italia, 259. Prende per moglie Beatrice [953] duchessa di Toscana, 267. Contra di lui sdegnato Arrigo III imperadore, 269. Si ritira in Lorena, 274 Rimesso in grazia del re Arrigo IV, 279. Suoi diplomi 287. Padrone della Toscana, 296. Scaccia Cadaloo antipapa da Roma, 305. Guerreggia contro il principe di Capoa, 311, 312, 323. Fine di sua vita, 340.
Gotifredo, ossia Gozelone, il Gobbo, duca di Lorena, marito della contessa Matilda, IV, 341. Suo dominio in Toscana, 359. Va in aiuto di Arrigo IV contro i Sassoni, 365. È ucciso, 371.
Gotifredo, arcivescovo di Milano, rigettato dal papa e dal popolo, IV, 338, 339. Assediato in Castiglione, 346. Poi scomunicato, 352.
Gotifredo, o Goffredo di Buglione, figlio del conte Eustachio, creato marchese d'Anversa, IV, 372. Conduce in Levante l'armata de' crociati, 469. È proclamato re della ricuperata Gerusalemme, 482. Passa a miglior vita, 487.
Gotifredo, patriarca d'Aquileia, dà la corona d'Italia ad Arrigo VI re di Germania, IV, 897.
Gozelone, o Gotolone, duca di Lorena, sconfigge Odone conte di Sciampagna, IV, 194. Fine dei suoi giorni, 222.
Gozelone il Gobbo, V. Gotifredo.
Gracco, prefetto di Roma, II, 199, 204
Grado, isola presa dal patriarca d'Aquileia per sua sede, II, 1037. Concilio ivi tenuto, è un'impostura, ivi, 1038. Ha principio un nuovo patriarcato, 1134.
Grammatica sola, insegnata una volta, che comprendesse, III, 569.
Grano piovuto dal cielo, I, 986.
Grasolfo, forse duca del Friuli prima di Gisolfo suo figlio, II, 1078, 1079, 1147, 1211. Sua morte, 1248.
Grata, sorella di Valentiniano II Augusto, II, 301.
Grausone, congiurato contro re Cuniberto, III, 79 (V. Aldone.)
Graziano (Turranio), prefetto di Roma, sotto gli imperadori Massimiano e Diocleziano, I, 1023.
Graziano, padre di Valentiniano imperadore, II, 143.
Graziano (Flavio), figlio di Valentiniano imperadore, II, 163. Dichiarato Augusto, 164. Prende per moglie Flavia Massima Costanza figlia di Costanzo imperadore, 189. Sue belle doti, 199, 209, 245, 246. Sua vittoria degli Alemanni, 208. Succede a Valente suo zio, 216. Dichiara Augusto Teodosio, 218. Suo zelo per la religione cattolica, 235, 236. Ucciso da uno de' suoi uffiziali, 244.
Graziano, tiranno nella Bretagna, resta ucciso, II, 378.
Graziano, monaco, autore del Decreto, IV, 704.
[954]
Greca Chiesa: principio della sua divisione dalla latina, III, 122.
Greci: se tentassero di spogliare la basilica di San Michele posta nel Monte Gargano, II, 1246, 1247. Soliti a cangiare i nomi agli stranieri, III, 118. E a magnificare le cose loro, 136. S'impadroniscono di Bari, 778. Loro tolta la Sicilia da' Saraceni, 802. Riportano due vittorie contra d'essi Saraceni 817, 844. Occupano il ducato di Benevento, 887, 888. Che poi loro è tolto, 919. Rotta loro data da' Saraceni, 1174. Occupano Bari, 1254. Possessori della Lombardia minore, IV, 84, 90, 123, 201, 208.
Grecia, privata della libertà da Vespasiano, I, 300.
Grecino (Giulio), senatore, fatto morire da Caligola, I, 120.
Gregorio (san) Nisseno, celebre scrittore sotto Giuliano Apostata, II, 135.
Gregorio Nazianzeno; ritratto che fa di Giuliano Apostata, II, 116. Orazioni sue contra di lui, 133. Amministra la chiesa di Costantinopoli, 228. Vescovo di quella città, 233.
Gregorio il Grande papa, prima pretore o prefetto di Roma, II, 1003, 1004. Si fa monaco, 1025. Sua lettera, in cui dipigne i costumi de' suoi dì, 1033. Va a risiedere a Costantinopoli col titolo di apocrisario pontificio, 1036. Suo ritorno in Italia, 1046, 1047, 1058. È eletto papa, 1071. Sua vigilanza contro i Longobardi, 1087. Suoi affanni per la desolazione de' contorni di Roma, 1090, 1091. Lettere di lui a Teodelinda regina de' Longobardi, 1092. Alla quale invia in dono i suoi Dialoghi, 1093. Sua bella apologia a Maurizio Augusto, 1093, 1094. Reprime la superbia di Giovanni il Digiunatore patriarca di Costantinopoli, 1098. Procura la conversione degli Inglesi alla fede di Cristo, 1099. Si duole di Romano esarco, perchè nemico della pace, 1101. Sue lettere e doni alla regina Teodelinda, 1129. È chiamato a miglior vita, 1130.
Gregorio (San) vescovo turonense, storico insigne, passa a miglior vita, II, 1097.
Gregorio, patrizio de' Romani, non esarco di Ravenna, II, 1211.
Gregorio prefetto del pretorio, in Africa, II, 1238. Si ribella all'imperadore Costante, 1240. Viene co' Saraceni ad una giornata campale, ivi. Nella quale rimane sconfitto e morto, ivi.
Gregorio, esarco di Ravenna, III, 27.
Gregorio II papa. Sua elezione, III, 149. Ricupera il patrimonio delle Alpi Cozie, 150, 151. E il castello di Cuma, 157. Si oppone a Leone Isauro in difesa delle immagini, 176, 177. Perciò perseguitato da lui, 177, 178. Sue lettere a lui, 184. Placa il re Liutprando, 190. Sua morte, 193.
[955]
Gregorio III papa eletto, III, 193. Suo concilio contra gl'iconoclasti, 196, 197. Sua munificenza, 203. Protegge Trasmondo duca di Spoleti ribello al re Liutprando, 213. Offerisce a Carlo Martello il dominio di Roma, 219. È chiamato a miglior vita, 223.
Gregorio, nipote del re Liutprando, duca di Benevento, III, 163, 195. Sua morte, 209.
Gregorio IV papa. Sua elezione, III, 558. Placito tenuto in Roma contra di lui dai ministri dello imperadore Lodovico Pio, 569. Fabbrica Ostia nuova, 580. Ito in Francia, è mal ricevuto, 583. Sua malattia, 597. Manda legati di pace in Francia, 620, 621. Fine di sua vita, 636.
Gregorio, figlio di Sergio duca di Napoli, maestro de' militi, III, 693. Succede al padre, 730. Dichiara suo collega nel ducato il proprio figlio Sergio, 731. Muore, ivi.
Gregorio, abbate di Santa Sofia di Benevento, III, 1234.
Gregorio V papa. Sua elezione, IV, 14. Fatta liberamente da' Romani, ivi. Forzato a fuggire di Roma, 22. Sua bolla dubbiosa, 25. È rimesso sul trono, 28. Fine de' suoi giorni, 35.
Gregorio, abbate del monistero de' Santi Cosma e Damiano in Roma, IV, 39.
Gregorio VI papa eletto, ma simoniacamente, IV, 222. Trova la sedia romana in infelice stato, 223. Deposto nel concilio romano, 229. Viene condotto in Germania, termina ivi suoi giorni, 230. Riprovato da' contemporanei scrittori, 231.
Gregorio vescovo di Vercelli, scomunicato, IV, 250. Creato cancelliere d'Italia, 308, 345. Assiste alla consacrazione di Gregorio VII papa, 356, 357. Termina i suoi giorni, 380.
Gregorio VII papa, autore d'una sposizione di sette Salmi penitenziali, II, 1072. Sua elezione, IV, 355. (V. Ildebrando.) Legati da lui spediti per mettere in dovere il re Arrigo, IV, 359. Tiene in Roma un gran concilio, 360. In un altro condanna le investiture delle Chiese, 364 Sacrilego insulto a lui fatto in Roma, 367, 368. Arrigo IV cerca di deporlo, 370. Contra di cui fulmina le censure, 371. Come lo accogliesse in Canossa, 377. Gli dà la pace, 378. Che poco dura, 379. Scomunica Roberto Guiscardo, 385. Fa pace con lui, 387. Tiene un concilio in Roma, nel quale fulmina le scomuniche contro Niceforo Botoniata usurpatore del trono imperiale d'Oriente, 390. Si dichiara pel re Ridolfo, e depone re Arrigo, 395. Si riconcilia con Roberto Guiscardo, 397. Assediato in Roma dal re Arrigo, 402, 408, 412. Sua costanza nella persecuzione, 413. Si ritira in castello Sant'Angelo, 418. Ricorre [956] a Roberto Guiscardo, ivi. Da cui è liberato, 419. Sua morte, 423.
Gregorio, cardinale di Sant'Angelo, IV, 533, 588. Eletto papa, 611, V. Innocenzo II.
Gregorio, arcivescovo di Benevento, IV, 662.
Gregorio VIII papa. Sua elezione, IV, 904. Breve suo pontificato, e sua morte, 905.
Gregorio IX papa. Sua elezione, IV, 1077, 1078. Dichiara incorso nelle censure Federigo II Augusto, 1078, 1079, 1081. Da' Romani congiurati forzato a ritirarsi da Roma, 1082. Fa guerra a Federigo nel regno di Napoli, 1086. E in Levante, 1087. Torna a Roma, e fa pace con Federigo, 1092, 1093. Suo abboccamento con lui ad Anagni, 1094. Richiamato da' Romani, 1110. Di nuovo per loro cagione esce di Roma, 1117. Motivi del suo favore verso i Lombardi, 1132. Sua discordia, e concordia co' Romani, 1144, 1145. Sua lega co' Veneziani e Genovesi contro l'imperadore Federigo, 1153. Contra del quale fulmina la scomunica, 1154. Muove i Romani alla difesa propria e di Roma, 1161, 1162. Suo dolore per molti vescovi e cardinali presi in mare da Federigo, 1167, 1168. Sua inflessibilità e morte, 1169.
Gregorio da Montelungo, legato pontifizio in Milano, IV, 1159. Assedia co' collegati Ferrara, e la toglie a Salinguerra, 1162, 1163. Mena soccorsi a Parma, 1201. Promotore della gran vittoria de' Parmigiani contro Federigo II. 1205. Creato patriarca d'Aquileia, 1232.
Gregorio X papa. Sua elezione, V, 92. Suo arrivo a Roma, e zelo per gli affari di Terra santa, 95, 96. Fa eleggere re de' Romani Ridolfo conte dì Habspurch, 100. Indarno procura la pace in Firenze, 101. Scomunica i nemici di Carlo I re di Sicilia, 104. Concilio generale da lui tenuto in Lione, 105. Abboccamento da lui poscia tenuto con Alfonso re di Castiglia e con Ridolfo re de' Romani, 110. Dà fine alla sua vita in Arezzo, 115.
Gregorio XI papa. Sua elezione, V, 723. Fa guerra ai Visconti, 735, 739. I Fiorentini muovono a ribellione la maggior parte delle città pontifizie, 746. Aduna un esercito per venire in Italia, 750. Sua venuta ivi, 752. Cerca la pace, 758. Passa a miglior vita, 759.
Gregorio XII papa. Sua elezione, V, 941, 942. Sue finzioni e difetti, 946. Fugge l'abboccamento coll'antipapa Benedetto, 947, 948. Va a Lucca, 952. È abbandonato da' vecchi cardinali, 955. E gli scomunica, 956. È deposto nel concilio di Pisa, 961. Fugge a Rimini, 980. Citato dal concilio di Costanza, 993. Rinunzia al papato, 996. Dà fine al suo vivere, 1008.
[957]
Gregorio XIII papa. Sua creazione, VI, 754, 755. Fonda in Roma il collegio germanico, 761. Celebra l'anno del giubileo, 767. Fonda il collegio greco, 772. E l'inglese, 779. Altre sue opere, 782. A lui ricorrono i Moscoviti, 786. Fa la correzione del calendario, 790. Fonda il collegio de' Maroniti, 796. Riceve l'ambascieria dei Giapponesi, 799. Sua morte, e sue lodi, 800.
Gregorio XIV papa. Sua creazione, VI, 830. Aiuta i cattolici di Francia, 835. Passa a miglior vita, 837.
Gregorio XV papa. Sua elezione, VI, 981. Acquista la biblioteca di Federigo elettor Palatino, 989. È chiamato all'altra vita, 991.
Greti re degli Eruli si fa cristiano, II, 833.
Griffone, figlio di Carlo Martello, confinato in una prigione dopo la morte del padre, III, 226.
Grimani, cardinale, macchina una sollevazione in favor dell'imperadore Leopoldo in Napoli, VII, 161.
Grimbaldo, vescovo di Cività di Penna, III, 754.
Grimerio, vescovo di Piacenza, costretto ad abbandonare la città, IV, 987.
Grimoaldo, figlio di Gisolfo duca del Friuli, come si sottraesse alla schiavitù degli Unni, II, 1145, 1146. Fugge a Benevento, 1211, 1212. Ivi è proclamato duca, 1241. Caccia da monte Gargano i Greci, 1246, 1247. Chiamato in aiuto da Godeberto re de' Longobardi, 1273. Gli toglie la vita ed il regno, ed è proclamato re da questo popolo, 1275, 1276. Vola in soccorso del figlio Romoaldo assediato in Benevento, III, 11. Fa cacciare dalla Pannonia Beriarido, 17. Lo accoglie, venuto a sè, ed approva la di lui fuga, 18, 19. Sua vittoria de' Franzesi, 22. Muove gli Unni contro Lupo duca del Friuli, 24. Suo stratagemma per farli ritirar dall'Italia, 25, 26. Sua crudeltà contra di Forlimpopoli, 28. Sue leggi, 30. Fine di sua vita, 37. Fu principe cattolico, 38.
Grimoaldo, figlio di Arigiso principe di Benevento, dato per ostaggio a Carlo Magno, III, 362. Rimesso in libertà, torna al governo di Benevento, 370. Fedele a Carlo Magno, sconfigge i Greci, 374. Si ribella, 390. Guerra a lui fatta dal re Pippino, 432, 437. Fa prigione Guinigiso duca di Spoleti, 437. Lo mette in libertà, 440, 441. Fine di sua vita, 457.
Grimoaldo II, duca di Benevento, III, 28, 49. Fine di sua vita, 61.
Grimoaldo Storesaiz, principe di Benevento, III, 457. Stabilisce pace con Carlo Magno, 480. E con Lodovico Pio, 491. Fa guerra a Napoli, 500, 501. E ucciso, 515.
Grimone abbate di Corbeia, III, 218, 219.
[958]
Gritti (Andrea), V. Andrea Gritti.
Grossolano, vescovo di Savona, vicario di Anselmo IV arcivescovo di Milano, IV, 487, 488. Sua ipocrisia, 494. È creato arcivescovo di Milano, 495. Per provarlo simoniaco Liprando fa il giudizio del fuoco, 496. Difende la sua causa in Roma, 500, 501. Va in Terra santa 520. Il clero della metropolitana di Milano lo depone, 537. Ritornato in Italia, va a Milano per ricuperare la sedia arcivescovile, ma ne è cacciato da Giordano da Clivi suo successore, 542, 543. Sua morte, 550.
Guaiferio, principe di Salerno, III, 696, 707. È in disgrazia di Lodovico II Augusto, 709. Fa cavare gli occhi ad Adeniario già principe di Salerno, 712. Fortifica Salerno, 749. Assediato dai Saraceni, implora l'aiuto di Lodovico Augusto, 750. Landolfo vescovo di Capoa tenta di farlo prigione, 763. Si stacca dall'amicizia dei Saraceni, 785. Gli è mossa guerra da Sergio II duca di Napoli, 789. Porta la guerra a Pandonolfo conte di Capoa, 808. Sua morte, 820, 821.
Guaimario, principe di Salerno, III, 750, 821. Fa guerra ai Saraceni, 835. Va a Costantinopoli, 860. Si fa vassallo de' greci imperadori, 898. Concorre a cacciar di Benevento i Greci, 917, 918. Gli sono cavati gli occhi da Adelferio di Avellino, 921. Ricusa una figlia sua a Landolfo principe di Capoa, 945. È deposto dal figlio Guaimario II, 949.
Guaimario II, principe di Salerno, imprigiona Guaimario I suo padre, III, 949. Fa guerra a' Greci, 1041. Muore, 1060.
Guaimario III, principe di Salerno, IV, 10, 125. Riconosce per sovrano Arrigo II re di Germania, 138. Fondatore del monistero della Cava, 150, 151. Termina il suo vivere, 169.
Guaimario IV, principe di Salerno, IV, 169. Principato di Capoa a lui conceduto da Corrado I Augusto, 197. S'impadronisce del ducato d'Amalfi, 206. E di Sorrento, 209. Assedia Bari, 221. Dimette Capoa, 237. Ucciso da' suoi parenti, 256, 257.
Gualamire, re degli Ostrogoti, II, 552.
Gualberto, vescovo di Modena, III, 707.
Gualberto, arcivescovo di Milano, III, 1129, 1131. Va in Germania ad implorar soccorso contro il re Berengario, 1145. Dà la corona d'Italia ad Ottone il Grande, 1152.
Gualdone, vescovo di Como, V. Waldone.
Gualfredo, duca e marchese del Friuli, III, 875, 908. Sua morte, 915.
Gualla, cardinale di San Martino, IV, 1066.
Gualla, vescovo di Brescia, IV, 1085.
[959]
Gualperto, patriarca d'Aquileia, III, 786.
Gualtieri, arcivescovo di Ravenna, IV, 565. Ha lite di precedenza con quel di Milano, 585. Favorevole a papa Innocenzo II, 613.
Gualtieri, arcivescovo di Palermo, IV, 914.
Gualtieri, vescovo di Troia, gran cancelliere di Sicilia, IV, 969. Scomunicato da Innocenzo III papa, 973. Per cui è obbligato a fuggirsene dalla corte, ivi. Torna in Sicilia, 980.
Gualtieri, conte di Brenna, acquista la contea di Lecce, IV, 970. Dà una rotta al conte Diopoldo, 974. Prende Terracina, 986. Assassinato da' Tedeschi, muore, 988, 989.
Gualtieri, vescovo di Catania, IV, 1049.
Gualtieri, conte di Brenna e duca d'Atene, va in soccorso de' Fiorentini, V, 455. Creato da essi loro signore, 564. Poi cacciato per le sue enormità, 570, 571.
Guanilone arcivescovo di Sena. Traditore del re Carlo Calvo, III, 687. Accusato di questo in un concilio, con furberia si giustifica, e rientra in grazia del re Carlo, ivi. Creduto da alcuni il Gano de' Romanzi, ivi. (V. Gano.)
Guarino, abbate di San Michele di Cusano in Guascogna; venuto a Venezia, persuade al doge Pietro Orseolo di dimettere il dogado ed abbracciare la vita monastica, III, 1220.
Guarino, vescovo di Modena, IV, 130.
Guarnì, popoli della Germania, che abitavano il paese ove è ora il ducato di Meclemburgo, III, 763.
Guarnieri, forse primo marchese della marca di Ancona, IV, 261.
Guarnieri, giudice e dottore di Bologna, IV, 552. Il primo ad aprire scuola di giurisprudenza romana in Bologna, 552. Fa credere unitamente a varii altri giureconsulti, che la elezione dell'antipapa Burdino fatta dal re Arrigo V, era giusta, 563.
Guarnieri, marchese d'Ancona, IV, 487, 509. Sua empietà, 510.
Guarnieri, duca di Spoleti, IV, 558.
Guarnieri, marchese di Camerino, IV, 761.
Guarnieri, Alemanno, duca, capo d'un esercito di masnadieri: danni da lui inferiti a varie città, V, 565, 566. Si disfà la sua armata, 572. La rifà, e va nel regno di Napoli, 602. Milita in Romagna, 613. Torna nel regno di Napoli, e sua infedeltà ed ingordigia, 617. Va al servigio degli Scaligeri, 621.
Guastalla, presa da' Gallispani, e data al duca di Mantova, VII, 170. Battaglia presso ad essa fra i cesarei e Gallo-Sardi, 396.
Gudio: alcune sue iscrizioni sospette, I, 506, 516, 518, 532, 580, 596, 597, 600, 649, 707, 779, 783, 801, 840, 850, 855, 948; II, 187.
[960]
Guecelo da Camino. Succede a suo fratello Ricciardo nella signoria di Trivigi, V, 356. Ne perde il dominio, 360. S'impadronisce di Feltre, 391.
Guelfi e Ghibellini, sette; loro origine, IV, 657, 707. Quanto dilatata questa peste, 958; V, 41.
Guelfo duca, padre di Giuditta moglie di Lodovico Pio. Da lui fu propagata l'insigne famiglia de' principi Guelfi in Germania, III, 521.
Guelfo conte della Suevia, nemico di Corrado I Augusto, IV, 151.
Guelfo III conte, creato duca di Carintia e marchese di Verona, IV, 239. Varii suoi atti, e sua morte, 276. Sua eredità passa negli Estensi, ivi.
Guelfo IV, figlio di Azio II marchese d'Este, IV, 276. Eredita gli Stati della casa de' principi Guelfi, ivi, 348. Creato duca di Baviera, 339, 349, 365. Abbandona re Arrigo IV, 373, 374. Il quale gli fa la guerra, 390. Prende Augusta, 421. Ma gli è ritolta da esso Arrigo, ivi. Dà una rotta all'armate di esso re, 430. Matrimonio di Guelfo V suo figlio colla contessa Matilda, 439, 448. Abbraccia il partito di Arrigo IV, 466. Fa guerra a' suoi fratelli estensi, 474, 475. Va a Gerusalemme, 491. Termina i suoi giorni, ivi.
Guelfo V, figlio di Guelfo IV duca della Baviera, prende in moglie la contessa Matilda, IV, 439, 448. Guerra a lui fatta dal re Arrigo IV, 443. Gli è tolta Mantova con altri luoghi 446, 447. Suo divorzio da Matilda, 465. Succede al padre nel ducato della Baviera, 492. Favorisce Arrigo V contro il padre, 502. Va ambasciatore in Francia, 511.
Guelfo VI, figlio di Arrigo il Nero duca di Baviera, IV, 594. Fa guerra a Leopoldo nuovo duca di essa Baviera, 668. Va in Terra santa col re Corrado, 689. Ricomincia la guerra, 694. Si pacifica col re Corrado, 703, 707. Creato marchese di Toscana e duca di Spoleti, 714. Ambasciatori di Toscana e Spoleti a lui venuti, 722. Sue lodi, 759, 761. Esercizio del suo dominio in Toscana e Spoleti, 763. Fa guerra in Germania, 794. Rinunzia i suoi Stati a Federigo Augusto, 822.
Guelfo VII, lasciato dal padre al governo della Toscana, IV, 763. Guerra da lui fatta in Germania, 794. Sua morte, 811.
Guglia, od obelisco, fatta condurre in Roma da Costanzo Augusto, II, 76. Fatta di poi innalzare nella piazza del Vaticano da Sisto V, 77; VI, 810.
Guglielmo, duca di Tolosa, III, 392, 397, 405.
Guglielmo, arcivescovo di Magonza, III, 1150, 1169, 1183.
Guglielmo, conte di Provenza, III, 1204.
Guglielmo IV, duca d'Aquitania, invitato alla corona da' principi d'Italia, IV, 147.
[961]
Guglielmo, abbate di Digione, celebre nella storia monastica, IV, 171.
Guglielmo Bracciodiferro. Normanno. Sua venuta in Italia, IV, 200. 201. Conte d'Ascoli, 215. Fine di sua vita, 233.
Guglielmo il Conquistatore, re d'Inghilterra, IV, 342. Sua morte, 440.
Guglielmo, vescovo di Pavia, IV, 360.
Guglielmo il Rosso, figlio di Guglielmo il Conquistatore re d'Inghilterra, succede al padre, IV, 440.
Guglielmo, duca di Puglia, succede a Ruggieri suo padre, IV, 535. Interviene ad un concilio tenuto da papa Pasquale II, 543. Va a rendere omaggio a papa Gelasio II, 562. Arma contro Arrigo V, 564. Va a Benevento ad ossequiare papa Callisto II, 576. Va a Costantinopoli, 581, 582. Da Ruggieri II gli sono tolti alcuni Stati, 582. A cui altri ne cede, 584. Fine di sua vita, 596.
Guglielmo, terzogenito del re Ruggieri, dichiarato duca di Capoa e di Napoli, IV, 676. Dei suoi fratelli resta in vita egli solo, 698. Dichiarato re e collega dal padre, 702. A cui defunto succede, 716. Fa guerra al papa, 723. Congiura de' baroni contra di lui, 730, 731. Voce falsa di sua morte, 733. Ricupera gli Stati perduti nella Puglia, 735, 736. Fa pace con papa Adriano, 736. Perduto ne' piaceri, lascia le redini del governo al suo ministro Maione, 741. Dalla sua flotta è sconfitta quella de' Greci, 752. Riconosce per papa Alessandro III, 762. Gli è tolta Mahadia in Africa, 767, 768. Per l'uccisione di Maione si sveglia, 769. Cospirazione contra di lui, 772. Ricupera gli Stati perduti, 773. Fine de' suoi giorni, 796.
Guglielmo, marchese di Monferrato, IV, 689. Guerreggia in favore de' Pavesi, 741. Muove guerra a' Genovesi, 799. Aiuta Federigo I a fuggire 815. Nobiltà e celebrità della sua famiglia, 872. Fatto prigione da Saladino, 901. Riscattato dal figlio Corrado, 909, 910. Milita in aiuto d'Arrigo VI Augusto, 937. A lui confermato il regno di Tessalonica, 1033. Ambasciatore di Federigo II, 1040. Suoi preparamenti per ricuperar Tessalonica, 1063. Impegna tutte le sue terre a Federigo Augusto, e fine de' suoi giorni, 1064.
Guglielmo, cardinale diacono, IV, 754.
Guglielmo II, re di Sicilia, succede al padre, IV, 796. Soccorre papa Alessandro III, 806, 809. Beffato da Manuello Comneno nel trattato di matrimonio con una sua figliuola, 833. Rifiuta una figlia di Federigo I Augusto, 834, 835. Sua spedizione contro i Saraceni, 849. Prende in moglie Giovanna figlia di Arrigo II re d'Inghilterra, [962] 856. Fa vantaggiosamente pace col re di Marocco, 877, 878. E con Federigo Augusto, 893. Sua guerra co' Greci, ivi. Fine del suo vivere, 913.
Guglielmo, Pavese, cardinal di San Pietro in Vincola, IV, 847.
Guglielmo Longaspada, figlio del marchese di Monferrato, sposa Sibiglia sorella di Baldovino re di Gerusalemme, IV, 872. Sua battaglia col Pelavicino, e vittoria, V, 51. Sue nozze con una figlia d'Alfonso re di Castiglia, 95. Chiamato in aiuto da quei d'Asti, si oppone a Carlo I re di Sicilia, 104, 107. Fa lega coi Genovesi, Pavesi ed Astigiani contro lo stesso, 104. Sua potenza: è preso da' Milanesi per loro capitano, contro i Torriani, 128. Sue cabale, 133. Suo viaggio in Ispagna colla moglie: è fatto prigione da Tommaso conte di Savoia, e si libera, 141, 142. Sua vittoria de' Torriani, 142. Fa da signore in Milano, 157. È abbattuto da Ottone Visconte arcivescovo di quella città, 165. Marita sua figlia Jolanta Violante ad Andronico Paleologo imperadore greco, 171. Lega contra di lui, 196. Sua potenza, 205. Preso dagli Alessandrini, è cacciato in una gabbia di ferro, 206. Muore, 219.
Guglielmo III, figlio di Tancredi re di Sicilia, a lui succede, IV, 933. Messo in prigione da Arrigo VI Augusto, 939, 941. Poi condotto in Germania, 943. Si fa monaco, 962.
Guglielmo degli Adelardi, soprannominato della Marchesella, Ferrarese, libera Ancona dall'assedio degli imperiali e de' Veneziani, IV, 841. Passa l'eredità sua ne' marchesi estensi, pel matrimonio di Azzo con Marchesella sua figlia, 949.
Guglielmo da Rozolo, arcivescovo di Milano, IV, 1097.
Guglielmo, eletto vescovo di Valenza, poi di Liegi, dà una sconfitta a' Piacentini, IV, 1149, 1150.
Guglielmo, già vescovo di Modena, spedito dal papa Innocenzo IV all'imperadore Federigo II, IV, 1179. Creato cardinale, ivi.
Guglielmo, cardinale, nipote d'Innocenzo, IV, IV, 1185. Comanda l'esercito pontificio in una battaglia data alle truppe del re Corrado, 1258.
Guglielmo, conte d'Olanda, eletto re de' Romani e di Germania, IV, 1198. Prevale al re Corrado, 1208, 1209. Fa da padrone nella Romagna, 1214. Perde il credito, 1227. Dà fine al suo vivere, 1252.
Guglielmo, cardinale, vescovo sabinicense, corona ad Aquisgrana Guglielmo conte d'Olanda in re di Germania, IV, 1198.
Guglielmo, vescovo di Ferrara, legato apostolico, V, 114.
[963]
Guglielmo degli Ubertini, vescovo d'Arezzo, fa ribellare a' Sanesi il Poggio a Santa Cecilia, V, 187. Creato signore d'Arezzo, 192. Ucciso in una battaglia contro i Fiorentini, 201.
Guglielmo Durante, vescovo mimatense, eletto da papa Bonifazio VIII marchese della marca d'Ancona e conte della Romagna, V, 241, 242, 244. Richiamato dal governo di essa Romagna, 248.
Guglielmo da Nogareto, d'ordine di Filippo il Bello re di Francia, fa prigione papa Bonifazio VIII, V, 282, 283.
Guglielmo marchese Cavalcabò, signore di Cremona, V, 337. Fugge all'arrivo del re Arrigo VII, 345. È ucciso, 356.
Guglielmo, cardinale legato di Bologna, V, 745. Scacciato da' Bolognesi, 748, 749.
Guglielmo, fratello di Giovanni marchese di Monferrato, V, 1177. Passa al servigio del duca di Milano, 1180. Poi a quello de' Veneziani, ivi. Dà una rotta a Carlo Gonzaga, 1181. Suoi patti con Francesco Sforza, 1201. Entra in possesso d'Alessandria, 1204. Imprigionato dallo Sforza, 1209, 1210. Rimesso in libertà, 1218. Va al soldo de' Veneziani, 1222. Con suo fratello Giovanni porta la guerra agli Stati di esso Sforza, 1226. Gli è data una grande sconfitta da Sagramoro da Parma, 1227. Fa pace col duca di Milano, 1232. Succede al marchese Giovanni suo fratello, VI, 14. Sua lega con Galeazzo Maria Sforza duca di Milano, 24. Termina i suoi giorni, 85.
Guglielmo Gonzaga succede al fratello Francesco nel ducato di Mantova e Monferrato, VI, 606. Interviene a Ferrara ad un magnifico torneo datovi dal duca Alfonso II, 695. Assiste alle nozze del duca Alfonso con Barbara d'Austria, 713, 714. Sposa Leonora d'Austria, 714. Contribuisce buona somma di danaro per la guerra in Ungheria contro i Turchi, 722. Viene a Venezia ad ossequiare Arrigo III re di Francia, 764, 765. Dà in moglie all'unico suo figlio Vincenzo Margherita Farnese, 786. Fine de' suoi giorni, 813.
Guglielmo, principe d'Oranges, autore della ribellione de' Paesi Bassi, VI, 756, 757, 771, 774. Sua morte violenta, 797.
Guglielmo, re d'Inghilterra: sua lega coll'imperadore Leopoldo contro la Francia e Spagna, VII, 162. Sua morte, 172.
Guibaldo, abbate di Monte Casino, IV, 651.
Guiberto, vescovo di Modena, IV, 199.
Guiberto, cancelliere d'Italia, deposto, IV, 308. Creato arcivescovo di Ravenna, 350. Aspira al papato, 367. Scomunicato in due concilii romani, 374, 385. Raduna a Pavia un conciliabolo, e [964] vi scomunica papa Gregorio VII, 374. Creato antipapa assume il nome di Clemente III, 396. Va all'assedio di Roma, 402, 408. Si fa consecrare nella basilica lateranense. 416, 417. È cacciato da Roma, 438. E di nuovo in essa ammesso, 448. È riconosciuta la di lui autorità in Reggio di Lombardia, 455. Tiene forte castello Sant'Angelo, 461. Fine de' suoi giorni, 486. D'ordine di papa Pasquale II, le sue ossa sono disotterrate e gittate nel fiume, 506.
Guicciardini (Francesco): fine della sua Storia di Italia, VI, 509.
Guidantonio da Montefeltro, conte d'Urbino, succede al padre, V, 926. Toglie Assisi a Braccio da Montone, 1123. Ma la perde subito dopo, ivi. Aiuta papa Martino V a ricuperare gli Stati della Chiesa, 1080. Generale de' Fiorentini, 1082. Sconfitto da Niccolò Piccinino, 1083, 1084. Sua morte, 1162.
Guidantonio, o Guidazzo, de' Manfredi, figlio di Gian Galeazzo signore di Faenza, gli succede, V, 1004. Fa lega co' Fiorentini, 1060. Soccorre Brescia, 1066. Fa guerra ad Imola, 1108. È sconfitto da Niccolò da Tolentino, 1109. Sua morte, 1202.
Guidino, conte de' Goti, vinto da Narsete, II, 961, 974. Preso ed inviato a Costantinopoli, ivi.
Guido, conte longobardo, muore, III, 267.
Guido I, duca di Spoleti, libera Benevento dall'assedio, III, 630, 631. Preso da un Saraceno e liberato, 632. Mediatore fra Lodovico re e Siconolfo principe di Salerno, 640. Sua morte, 711, 712.
Guido II, duca di Spoleti, III, 778, 785, 816. Succede al fratello Lamberto, 817. Infesta gli Stati della Chiesa romana, 829. È messo da Carlo il Grosso al bando dell'imperio, 838. Riacquista la grazia di esso Carlo, 845, 846. Adottato in figlio da papa Stefano V, occupa Capoa e Benevento, 853, 854. Alla morte di Carlo il Grosso va in Francia, aspirando a quel regno, 866. Tornato in Italia, assume il titolo di re, e muove guerra al re Berengario, 868, 869. Sua battaglia infelice contra di lui, 871, 872. Altra in cui sconfigge l'avversario, 876, 877. È solennemente eletto re d'Italia, 878. Sua genealogia, 883, 884. È creato e coronato imperadore de' Romani, 884. Suo diploma dubbioso, 888. Finisce di vivere, 902, 903.
Guido Novello, duca e marchese di Spoleti, poco conosciuto, libera Benevento dalle mani de' Greci, III, 917, 918, 919.
Guido, vescovo, di Piacenza, III, 960, 962, 1006, 1007, 1014, 1022, 1059. Sua morte, 1076.
Guido, duca di Toscana, III, 999. Fatto prigione [965] da Berengario Augusto, 1003. Promuove la venuta in Italia d'Ugo conte di Provenza, 1025. Prende per moglie Marozia Romana, 1029, 1034. Imprigiona papa Giovanni X, 1037. Sua morte, 1041.
Guido, vescovo di Modena, si rivolta contra di Ugo re d'Italia, III, 1098, 1107, 1114. Arcicancelliere del re Berengario II, 1131. E di Ottone il Grande, 1159, 1160. Cade in disgrazia di lui, 1172, 1173.
Guido, marchese, figlio del re Berengario II, III, 1134, 1147, 1158, 1160. Ucciso in un conflitto, 1172.
Guido, vescovo di Pavia, IV, 47.
Guido abbate della Pomposa, IV, 149, 166, 223. Sua santità e morte, 231, 232.
Guido, abbate di Farfa, IV, 94, 96, 100.
Guido, marchese, forse uno degli antenati della casa d'Este, IV, 193.
Guido, monaco aretino, ristoratore del canto fermo, IV, 232.
Guido da Velate, arcivescovo di Milano, IV, 225. Fautore dell'incontinenza de' preti, 294. Scomunicato dal papa Alessandro II, 325. Rinunzia la mitra, 338.
Guido, duca di Sorrento, IV, 257.
Guido, vescovo di Luni, IV, 271.
Guido, vescovo di Volterra, IV, 298.
Guido, arcivescovo di Vienna, IV, 570. È creato papa, ivi. V. Callisto II.
Guido, vescovo di Como, IV, 567. Manca di vita, 593.
Guido, cardinale, di nascita Pisano, IV, 629. Legato pontificio presso re Corrado, III, 684.
Guido da Castello, cardinale, IV, 654.
Guido Guerra, conte ricco di Toscana, IV, 729.
Guido da Biandrate, cardinale, IV, 754.
Guido da Crema, cardinale di San Callisto, IV, 754, 756. Creato antipapa, prende il nome di Pasquale III, 788. V. Pasquale III.
Guido, arcivescovo di Ravenna: sua morte, IV, 829.
Guido Lusignano, re di Gerusalemme, fatto prigione da Saladino, IV, 901. È liberato, 990. Assedia Tolemaide, ed è anch'esso assediato, 912, 917. Compera da Riccardo re d'Inghilterra l'isola di Cipri, 926.
Guido, cardinale vescovo di Palestrina, IV, 976.
Guido, conte di Monforte, vicario in Toscana di Carlo re di Sicilia, assassina Arrigo figlio di Riccardo d'Inghilterra, V, 91.
Guido, conte di Montefeltro, capitano di Forlì: sua vittoria de' Bolognesi, V, 113. Prende Bagnacavallo, 119. Fa di nuovo fronte a' Bolognesi, 124. Continua a proteggere i Ghibellini [966] di Forlì e Bologna, 144. Dà una gran rotta al conte della Romagna, 156. Mandato a' confini da papa Martino IV, 164. Preso per loro signore da' Pisani, 208. Scomunicato dal papa, se non dimetteva quella signoria, ivi. Varie sue vicende nella guerra sostenuta da lui in favore di quella città, ivi, 209. S'impadronisce d'Urbino, 221. Licenziato da' Pisani, 225. Rimesso in grazia del papa Bonifazio VIII, gli sono restituiti tutti i suoi beni, 242. Si fa frate, ivi. Suo consiglio dato a papa Bonifazio, 258.
Guido Novello da Polenta diviene signore di Ravenna, V, 114. Suoi figli Astasio e Ramberto si oppongono a Stefano della Colonna nuovo conte della Romagna, e lo fanno prigione con varii de' suoi, 210. Va ad occupare Forlì, ivi. Diede ricovero a Dante Alighieri, 424.
Guido dalla Torre signore di Milano e Piacenza, V, 314, 322. Si burla di Matteo Visconte depresso, 327, 328. Perde Piacenza, 328. Sua pena per la venuta in Italia di Arrigo VII re de' Romani, 337. Perde il dominio di Milano, 339. Dai Tedeschi è costretto a fuggire, 344. Sua morte, 356.
Guido, conte di Fiandra: sua morte, V, 348.
Guido de' Tarlati, vescovo d'Arezzo, V, 436. Chiama in Italia Lodovico il Bavaro, 459. Lo abbandona, e muore, 463, 464.
Guido de' Pii, vicario di Modena, V, 491, 494. Cede questa città a' marchesi estensi, 530.
Guido de' Fogliani, signore di Reggio, V, 525.
Guido Gonzaga, figlio del signore di Mantova, acquista Reggio, V, 525. Collegato contro gli Scaligeri, 534, 555. E contro gli Estensi. 584.
Guido da Polenta juniore, signore di Ravenna, V, 674, 789, 795. Imprigionato da' figli, 832. Sua morte, ivi.
Guido di Monforte, cardinale, governatore di Lucca, V, 719. Le rende la libertà, ivi.
Guidotto da Correggio, vescovo di Mantova, IV, 1126. Sua morte, 1129.
Guidubaldo I, duca d'Urbino, generale del papa, VI, 143. E de' Veneziani, 148. Spogliato dei suoi Stati dal duca Valentino, 191, 195. Li ricupera, 202, 213.
Guidubaldo della Rovere, signore di Camerino: sue nozze, VI, 508. Succede al padre nel ducato di Urbino, 538, 539. Sue seconde nozze con Vittoria Farnese, 591. Generale de' Veneziani, ivi. E del papa, 648. Fine de' suoi giorni, 762.
Guifredo, abbate di San Dionisio di Milano, IV, 742.
Guiliberto, vescovo di Colonia, III, 777.
Guilla. V. Willa.
Guinigiso, duca di Spoleti, III, 377. Accorre in [967] soccorso di papa Leone III, 413, 414. E lo conduce a Spoleti, 414. Sua lite coi monaci di Farfa, 433. Fatto prigione da Grimoaldo duca di Benevento, 437. È rimesso in libertà, 440, 441, 454, 496, 499, 506, 531. Sua morte, 531, 534.
Guinizone, abbate del monistero di San Salvatore di Monte Amiato, IV, 81.
Guisa, V. Duca di Guisa.
Gundabondo, o Gundamondo, re de' Vandali, II, 689, 716. Sua morte, 726.
Gundebaldo, re de' Borgognoni, V. Gundobado.
Gundeberga, figlia di Agilolfo re d'Italia. Sua nascita, II, 1151. Moglie di Arioldo re de' Longobardi, 1178. Sua pericolosa avventura, 1198. Vedova, elegge per suo marito Rotari duca di Brescia, 1213. Il quale poi la fa imprigionare, 1217. Riacquista la libertà, 1228. Errore di Paolo Diacono intorno ad essa, 1251.
Gundeberto, re de' Longobardi, V. Godeberto.
Gunderico, re de' Vandali, lì, 377. Occupa la Galizia, 413, 436. Prende Siviglia, 463. Sua morte, 466.
Gundibalo, Gundiburo o Gundibaldo, figlio di Gundeuco re de' Borgognoni, creato patrizio, II, 645.
Gundibrando, duca di Firenze, III, 357.
[968]
Gundoaldo, duca d'Asti, ucciso, II, 1150.
Gundobado, Gundebaldo o Gundobaldo, re dei Borgognoni: sua irruzione in Italia, e sua barbarie, II, 705, 716, 717, 719. Tradito dal fratello Godigisclo, 738. Lo prende ed uccide, ivi. Divien padrone di tutta la Borgogna, 739. Leggi da lui pubblicate, ivi. Collegato con Clodoveo re de' Franchi, 764. Prende Narbona, 772. Sua morte, 795.
Guntario, o Gundicario, re de' Borgognoni, II, 422. Sconfitto in una battaglia da Aezio, è costretto a chiedere la pace, 491. In un'altra battaglia contro Aezio perde la vita, 494.
Guntario, arcivescovo di Colonia, III, 698. È deposto, 701.
Guntranno, re de' Franchi. Stati di cui rimane in possesso, morto il padre Clotario, II, 972. Manda Eunio Mummolo suo generale incontro ai Longobardi che rimangono sconfitti, 1023, 1026. Sua bontà, 1074, 1079. Sua morte, 1091.
Gustavo Adolfo, re di Svezia, mosso dal cardinale Richelieu a portare l'armi contro Ferdinando II imperadore, VI, 1044. Sue vittorie, 1049. Suoi terribili progressi in Germania, 1058. Resta ucciso nella battaglia di Lutzen, 1060.
Handegis, vescovo di Pola, non conosciuto dall'Ughelli al tomo quinto dell'Italia sacra, III, 736.
Herenniano Augusto, figlio di Odenato Palmireno, I, 929, 958, 964.
Hogstedt: fiera battaglia quivi data dagli Anglocesarei contro i Gallo-Bavari, colla rotta degli ultimi, VII, 187.
Hostiliano (Caio Valente Messio Quinto Decio), figlio di Decio Augusto, creato Cesare, I, 864. Dichiarato Augusto, 872. Sua morte, 874.
[969]
Ibba, Ida, ossia Ebbane o Elbane, generale del re Teoderico, soccorre Arles contro i Franchi, II, 767. Gli è ordinato da Teoderico di restituire i poderi alla chiesa di Narbona, 773. Caccia di Spagna Gesalico, re intruso de' Visigoti, 775, 780.
Ibrioni, popoli in aiuto de' Romani contro Attila nelle battaglie date nelle Gallie, II, 553.
Iconoclasti, V. Immagini.
Idacio, vescovo di Limica o delle Acque Flavie, e storico, II, 485, 605. Fatto prigione dagli Svevi, poi ricupera la libertà, 607.
Igino, romano pontefice, I, 479. Sua morte, 494.
Ignazio (Santo), vescovo di Antiochia e martire I, 416. Traslazione delle sue reliquie, II, 500.
Ignazio (Santo), patriarca di Costantinopoli, deposto, III, 683, 698. Rimesso nella sua cattedra, 713, 717. Presidente del concilio generale tenuto a Costantinopoli, 720. Sua morte, 801.
Ignoranza delle buone lettere ai tempi de' Longobardi, III, 55, 102.
Ilariano (Mecilio), prefetto di Roma sotto Costantino juniore, I, 1220.
Ilario (Santo), vescovo di Poitiers, mandato in esilio da Costanzo imperadore, II, 73. Sua celebrità come scrittore, 135. Sua morte, 168.
Ilario, vescovo d'Arles, II, 522.
Ilario, prefetto di Roma, sotto l'imperadore Onorio, II, 381.
Ilario papa. Sua elezione, II, 609. Manca di vita, 631.
Ilaro (Santo), fondatore del monistero della Galeata alle radici dell'Apennino nella Romagna, II, 793.
Ildelberto, conte di Marsi, V. Ildeperto.
Ildeberto, abbate di Siena, IV, 81.
Ildebrando, o Ilprando, nipote del re Liutprando, fatto prigione da' Veneziani, III, 188. Nella malattia dello zio eletto e proclamato re, 204. Gli [970] succede, 234, 236. Da lì a non molto è deposto, 236.
Ildebrando, duca di Spoleti, III, 318, 327. Suo viaggio in Francia, 340. Cessa di vivere, 377.
Ildebrando, vescovo di Modena, III, 1174, 1262.
Ildebrando, abbate di Nonantola, IV, 618.
Ildebrando, monaco, accompagna in Germania il deposto papa Gregorio VI, IV, 230. E di colà conduce san Leone IX papa, 245. Promuove al papato Gebeardo vescovo di Aichstet (Vittore II), 269. Spedito dallo stesso papa in Francia, 271. Mandato poi in Germania, 285. Torna in Italia, 286. Creato arcidiacono della Chiesa romana, 290. Fa eleggere papa Anselmo da Badagio Alessandro II, 300. Mobile principale della corte pontificia, 321. Sostiene i diritti della santa Sede, 329, 331. È eletto papa, 355. V. Gregorio VII.
Ildegarda, o Ildegarde moglie di Carlo Magno, III, 307, 316. Sua morte, 350.
Ildeperto, duca di Spoleti, III, 328.
Ildeperto, o Ildeberto conte, forse di Marsi, forse ancora duca di Camerino, III, 690, 742.
Ilderico, figlio di Unnerico re dei Vandali, II, 580, 646. Succeduto a Trasamondo, favorisce i Cattolici, 811. Morte da lui data ad Amalafreda sorella del re Teoderico, 835. Imprigionato dai suoi, 838. L'imperadore Giustiniano manda ambasciatori a Gelimere usurpatore del regno per liberarlo, 846. Gli è abbreviata la vita, 850.
Ilderico, duca di Spoleti, III, 213. Sua morte, 214.
Ilderico, abbate di Casauria, III, 1139.
Ildibado, o Ildibaldo, eletto re dai Goti, II, 888, 890. È ucciso, 891.
Ildobrandino, o Ildobrando da Romena, vescovo d'Arezzo, dichiarato conte della Romagna da papa Niccolò IV, V, 216. Dai principali signori della Romagna è cacciato da Forlì, 220. Il re [971] Carlo II di Napoli ottiene da papa Celestino V, che sia cacciato dalla Romagna, 233.
Ilduino, abbate di san Dionisio in Parigi, congiurato contro l'imperadore Lodovico Pio, III, 574. Viene condannato a un lieve castigo, 575. Si sottomette all'imperadore Lottario, 615.
Ilduino, arcivescovo di Milano, III, 1047. Passa all'altra vita, 1073.
Illo, console orientale, II, 671. Generale di Zenone Augusto, 675. È dichiarato prefetto di tutto lo Oriente, ivi. Fa cacciare da Costantinopoli Verina Augusta vedova dell'imperadore Leone, 681. Gli è salvata la vita da un suo servo, 682. Passa in Asia, ivi. Sua ribellione contra di Zenone, ivi, 686, 687. È sconfitto dall'armata cesarea, 688. Preso ed ucciso, 696.
Ilprando, nipote del re Liutprando, V. Ildebrando.
Imbricone, vescovo di Augusta; sua morte, IV, 380.
Imelda, badessa di San Sisto di Piacenza, IV, 493.
Immagini sacre; loro uso vietato dall'imperadore Leone Isauro, III, 175. Concilio romano, tenuto ila papa Gregorio III, in lor difesa, 196. Conciliabolo de' Greci contra di esse, 257, 258. Favorite da Costantino e Irene Augusti, 355. Fiero tumulto suscitato in Costantinopoli dagli iconoclasti, 358. Stabilite nel concilio piceno, 360, 361, 393. Leone l'Armeno risveglia la persecuzione contro coloro che ne proteggono il culto, 499, 522. Culto di esse rimesso da Michele imperador de' Greci, 624, 625.
Imperio romano: sua declinazione, II, 357. Per cagione in parte dei generali barbari, 591.
Inemaro, arcivescovo di Rems, III, 728.
Indizioni; loro origine, I, 1116. Lor vario uso. III, 831.
Indulgenza plenaria, rarissima una volta, conceduta per la crociata, IV, 465.
Ingelberto, marchese di Toscana, IV, 638, 645.
Ingenio, principale cittadino di Narbona, in casa del quale il re goto Ataulfo sposò la principessa Galla Placidia sorella dell'imperadore Onorio, II, 425.
Ingenuino (Santo), vescovo di Sabione, II, 1076. Trasporla la sede a Brixen, 1219, 1220.
Ingenito (Decimo Lelio), generale di Valeriano Augusto, proclamato imperadore, I, 892, 904.
Inglesi, s'impadroniscono di Cadice, VII, 172. Le danno un fiero sacco, 173. Prendono i galeoni spagnuoli venuti d'America carichi d'oro e di merci. Fanno lega coll'imperadore Carlo VI contro la Spagna, 275, 286. Rotta da loro data alla flotta spagnuola, 287. Lor battaglia navale co' Gallispani verso Tolone, 535.
Ingoaldo, abbate di Farfa, III, 506, 531, 561.
[972]
Ingone, vescovo di Ferrara, IV, 90.
Ingone, vescovo di Modena, IV, 154, 181. Sua morte, 199, 202.
Innocenzo I papa. Sua elezione, II, 360. Si affatica in favore di san Giovanni Grisostomo 369. Falsamente incolpato da Cosimo, 391. Inviato dal senato e popolo romano all'imperadore Onorio in Ravenna, 395. Condanna le opinioni dei Pelagiani, 434. Finisce di vivere, 435.
Innocenzo II papa. Sua elezione, IV, 611. Per cagion della scisma d'Anacleto va in Francia, 612. Tiene un concilio in Chiaramonte, 615. Ed un altro in Rems, in cui scomunica l'antipapa Anacleto, 616. Torna in Italia, 619. Celebra in Piacenza un terzo concilio, ivi. Si abbocca a Calcinaja con re Lottario III, 623. Al quale dà la corona dell'imperio, 624. Va a Pisa, 625. Suo concilio in essa città, 627. Va in Puglia, 649. Sue discordie con Lottario Augusto, 650. Torna a Roma, 651. Per la morte dell'antipapa ricupera tutta questa città, 654, 655. Concilio generale lateranense tenuto da lui, 658. È preso dal re Ruggeri, 660. Con cui poscia fa pace, 661. Assedia Tivoli con poca fortuna, 669, 670. Pure sottomette quel popolo. 671, 673. Chiamato da Dio a miglior vita. 674.
Innocenzo III papa. Sua elezione, IV, 956. Ricupera molti Stati della Chiesa romana, 957. Promuove l'elezione di Ottone IV in re de' Romani, 960. Dichiarato balio di Federigo II re di Sicilia, 962. Spedisce un esercito in questo paese, 968. Che sconfigge Marquardo, ivi. Appruova l'elezione di Ottone IV, 976. Sue liti coi Romani, 982, 983. Rivolge il suo favore a Filippo re de' Romani, 996. Tiene a San Germano un parlamento co' baroni del regno per aiuto del re Federigo, 1001. Dà la corona romana ad Ottone IV, 1004, 1005. Con cui entra in discordia, 1006. Lo scomunica, 1010. Muove contra di lui i principi della Germania, 1013. Concilio generale lateranense da lui celebrato, 1025. Passa a miglior vita, 1029.
Innocenzo IV papa. Sua elezione, IV, 1177. Tratta di pace con Federigo II Augusto, 1183. Si ritira a Genova, 1185. E di là a Lione, 1186. Tiene il concilio generale in quella città, 1187. Nel quale scomunica e depone Federigo, 1189. Dopo la cui morte torna a Genova, 1224. Va a Milano, 1225. Si ferma in Perugia, 1226. Esibisce il regno di Sicilia a varii principi, 1234, 1235. Richiamato alla sua sede dai Romani, 1235. Suoi maneggi per impadronirsi del regno di Sicilia, 1239. Suo ingresso in quelle parti, 1240, 1241. Manca di vita, 1243.
Innocenzo V papa. Sua elezione e morte, V, 115.
[973]
Innocenzo VI papa. Sua elezione, ed atti lodevoli, V, 627. Manda in Italia il cardinale Egidio Albornoz, 633. Si scarica degli inglesi masnadieri, 682. Passa a miglior vita, 685.
Innocenzo VII papa. Sua elezione, V, 920, 921. Per la crudeltà d'un suo nipote si ritira da Roma, 931, 932. Vi ritorna, a muore, 940, 941.
Innocenzo VIII papa. Sua elezione, VI, 88. Entra in guerra con Ferdinando re di Napoli, 90. Fa pace con lui, 94. Ha prigione Zizim fratello di Baiazette imperador de' Turchi, 103. Baiazette gli manda un ambasciatore, 106. Fa pace col re di Napoli, 110, 111. Termina il corso di sua vita, 111.
Innocenzo IX papa. Sua creazione, VI, 887. È rapito poco dopo dalla morte, 838.
Innocenzo X papa. Sua elezione, VI, 1128. Processa i Barberini, 1133, 1134. Soccorre i Veneziani contro il Turco, 1137. Fa smantellare Castro, e lo incamera, 1175. Celebra l'anno santo, 1176. Abolisce i conventini, 1181. Condanna le proposizioni di Cornelio Giansenio, 1187. Sua morte, 1194.
Innocenzo XI papa. Sua elezione, VII, 16. Aborrisce il nepotismo, ivi, 17. Suo zelo per la riforma dei costumi ed abusi, 21. E per la giustizia, 22, 23. Sua discordia con Luigi XIV re di Francia per cagion della regalia, 33. Manda soccorsi a' Veneziani ed all'imperadore Leopoldo contro il Turco, 55, 62. Riceve una ambasceria speditagli da Jacopo II re della Gran Bretagna, 62. Altre sue liti col re di Francia per cagion delle franchigie, 64. Condanna Michele Molinos, 66, 67. Fierezza del re di Francia contra di lui, 70. Ordina l'erezione di convenevole sepolcro nella basilica Vaticana a Cristina regina di Svezia, 79. Passa a miglior vita, 80. Sue virtù, ivi.
Innocenzo XII papa. Sua elezione, VII, 91. Riforma il nepotismo, 99. Altre sue insigni azioni pel pubblico bene, 104. Toglie la venalità dei cherici di camera, 106. Promuove la riforma degli ordini regolari, 114. Novità contra di lui fatte in Roma da' Tedeschi, 125, 128. Altre sue gloriose azioni, 132. Condanna alcune proposizioni di monsignor Feuelon arcivescovo di Cambrai, 141. Appruova la succession della Francia alla Spagna, 146, 147. Passa a miglior vita, 149. Sue virtù, ivi, 150.
Innocenzo XIII creato papa, VII, 306. Sua costanza in non voler concedere la sacra porpora a monsignor Bichi, 311. Chiamato a miglior vita, 316.
Innondazione terribile in Italia sotto il re Autari, II, 1070.
[974]
Inquisizione rigettata da' Napoletani, VI, 585.
Inquisizione spagnuola non voluta da' Milanesi, VI, 705.
Inquisizione in Napoli regolata da quel re, VII, 637, 638.
Interim di Carlo V, riprovato dai cattolici e dai protestanti, VI, 593.
Investiture de' vescovi ed abbati, come regolate fra Callisto II papa ed Arrigo V Augusto, IV, 583.
Ipato, cioè console imperiale, dignità conferita dai greci Augusti, III, 215.
Ipazio, prefetto di Roma sotto gl'imperadori Graziano, Valentiniano II e Teodosio, II, 218.
Ipazio, nipote di Anastasio Augusto, creato console, II, 735. È richiamato dalla guerra contro i Persiani, 753. Spedito contro Vitaliano Scita, resta prigioniero, 789. Ne è riscattato da Secondino suo padre, 792. Sua sollevazione contro Giustiniano imperadore, per cui perde la vita, 847, 848.
Ippolito d'Este, cardinale, VI, 217, 224. Va alla guerra contro i Veneziani, 247. Dà una rotta alla lor flotta, 249.
Ippona (oggidì Bona). È assediata da Genserico re de' Vandali, II, 477, 479. Abbandonata dai suoi cittadini, vi entrano questi Barbari, 480. Presa da Belisario, 852. Presa ed incendiata dalla squadra di Ferdinando I gran duca di Toscana, VI, 925.
Irene, figlia d'un principe dei Tartari Turchi, abbraccia la religione cristiana. III, 198. Sposa Costantino Copronimo, ivi. Sue buone qualità, 199.
Irene, moglie di Leone IV Augusto, III, 294. Partorisce Costantino, 308. Protegge le sacre immagini, 341, 355, 358. Rimasta vedova, amministra l'imperio pel figlio Costantino, 342, 344. Fa pace co' Saraceni, 348. Fa la guerra agli Schiavoni nella Morea, ivi. Fa guerra a Benevento, 373. Deposta dal figlio Costantino, 384. Essa lo fa poi acciecare e deporre, e torna sul trono, 406, 407. Manda ambasciatori a Carlo Magno, 409, 435. È deposta, e mandata in un monistero di Lesbo, oggidì Metelino, dove termina i suoi giorni, 436.
Irnerio, V. Guarnieri giudice.
Isacco (Santo), romito, fatto imprigionare da Valente Augusto, II, 210.
Isacco, esarco di Ravenna, II, 1166. Fautore del re Adaloaldo, 1179, 1180. Uccide a tradimento Tasone e Cacone duchi del Friuli, 1210, 1211. Spoglia il tesoro della basilica lateranense, 1222. Chiamato ai conti da Dio, 1237. Suo epitaffio, ivi.
Isacco Angelo, imperadore de' Greci, IV, 894. Vuol [975] impedire il passaggio alla crociata, 912. Dà sua figlia Irene in isposa a Ruggieri duca di Puglia, 922. Alessio suo fratello lo accieca e lo priva del trono, 978. Sua morte, 984.
Iscamo, califa de' Saraceni, III, 230.
Isdegarde, re di Persia, II, 346. Tutore di Teodosio II Augusto, 381. Perseguita i cristiani, 382. Manca di vita, 469.
Isidoro (Santo), monaco e abbate di Pelusio, II, 485.
Isidoro (Santo), celebre arcivescovo di Siviglia e scrittore; quando fiorisse, II, 1182.
Isole in Roma, che cosa fossero, I, 513.
Istituzioni del diritto Civile, quando pubblicate da Giustiniano imperadore, II, 852.
Italia sotto Diocleziano e Massimiano, al pari delle provincie oltramontane, comincia a pagar tributo [976] agli imperadori romani, I, 1029. Tutta data alla musica e ad altri divertimenti, VII, 84.
Italiani: lor duello co' Franzesi, e vittoria, V. Duello.
Itolfo, vescovo di Mantova, diploma in suo favore dell'imperatore Arrigo II, IV, 134. Corrado II conferma i suoi privilegii, 196.
Ittone, abbate di Casauria, a' suoi tempi i Saraceni diedero un fierissimo sacco a quel monistero, e distrussero tutte le castella e poderi di quel luogo, III, 1000.
Ivizone, abbate leonense, sul Bresciano, IV, 81.
Ivo d'Allegre, capitano franzese, alla difesa di Bologna contro l'armi del papa Giulio II, VI, 275. Sua morte, 283.
[977]
Jaboleno, giurisconsulto celebre sotto Antonino Pio, I, 509.
Jacopino da Carrara, proclamato signore di Padova, V, 616. Imprigionato da Francesco suo nipote, 650.
Jacopo (San), vescovo di Nisibi nella Mesopotamia, II, 38.
Jacopo, abbate di San Vincenzo del Volturno, va ad implorar aiuto da Lodovico II Augusto contro i Saraceni, III, 666.
Jacopo, vescovo di Torino, ambasciatore del re Federigo II a papa Onorio III, mette Bologna al bando dell'imperio, IV, 1040, 1041.
Jacopo Tiepolo, doge di Venezia, IV, 1092. Interviene all'assedio e alla conquista di Ferrara, 1162. Rinunzia la dignità, e muore, 1216.
Jacopo cardinale vescovo di Palestrina, IV, 1103. Preso da Federigo II imperadore, 1167.
Jacopo da Pecorara, cardinale, IV, 1132.
Jacopo Contareno doge di Venezia, V, 114. Rinunzia la carica, 140.
Jacopo dalla Colonna, cardinale, V, 209, 218, 250, 289, 296.
Jacopo da Varagine, arcivescovo di Genova, V, 229. Mette pace fra i cittadini, 240.
Jacopo Pagano, vescovo di Rieti, V, 275.
Jacopo Orsino, cardinale, V, 284.
Jacopo Gaetano, cardinale, V, 285.
Jacopo, marchese Cavalcabò, signor di Cremona, V, 386. Abbattuto da Giberto da Correggio, 389, 390. Ripiglia il dominio, 397. Ne è cacciato, 402, 408. È sconfitto da Galeazzo Visconte, 421. Sua morte, ivi.
Jacopo da Carrara, signor di Padova, V, 402, 403, 405. Termina il suo vivere, 443.
Jacopo Alberti, vescovo di Venezia, V, 467.
Jacopo di Savoia, signor del Piemonte, V, 545. Sua guerra con Giovanni marchese di Monferrato, 596, 597.
[978]
Jacopo II da Carrara uccide Marsilietto Pappafava, V, 578. E si fa proclamare signore di Padova, 579. Pel suo buon governo amato dal popolo, 616. Ucciso da Guglielmo suo parente, ivi.
Jacopo de' Pepoli, signor di Bologna, V, 595. Vende Bologna a Giovanni Visconte, 614. Imprigionato, 622.
Jacopo Bussolari, agostiniano, raggira il governo di Pavia, V, 654, 664. Commuove il popolo a varii eccessi, 666. Suoi ultimi sforzi e prigionia, 672, 673.
Jacopo da Campofregoso, doge di Genova, V, 843. Poca sua durala in quel grado. ivi.
Jacopo del Fiesco, arcivescovo di Genova, V, 861.
Jacopo d'Appiano usurpa il dominio di Pisa, V, 853. Ricorre per aiuti a Gian-Galeazzo Visconte duca di Milano, 861, 870. Fa guerra ai Fiorentini, 874. Si rivolta contro d'esso duca, 881. Muore, 882.
Jacopo III da Carrara, V, 908, 909. Prigione di Francesco Gonzaga, 910. Scappa e si riduce a Padova, ivi. Preso e condotto nelle carceri di Venezia, 937. Dove è fatto morire, 939.
Jacopo degli Isolani, creato cardinale da papa Giovanni XXIII, V, 992. Governatore di Roma, 1008. E di Genova, 1058, 1059.
Jacopo, conte della Marca, sposa Giovanna II regina di Napoli, V, 998. Usurpa il titolo di re, ivi. Maltratta la regina, 1005. Da cui gli è tolto il titolo di re, 1006. Sua fuga e morte, 1021.
Jacopo Piccinino milita sotto Francesco Sforza, V, 1191. Va all'assedio di Lodi, 1198. Sua infedeltà verso di lui, 1208, 1209. Generale de' Milanesi, 1212. Spoglia Bartolomeo Coleone di tutte le sue truppe, 1222. Generale de' Veneziani, 1230. Fa guerra ai Sanesi, 1241. E a Sigismondo Malatesta, 1246, 1258. Va al servigio di Giovanni d'Angiò duca di Calabria, 1260. [979] Dà una rotta ad Alessandro Sforza, 1263. Va in aiuto di Rogerotto conte di Celano, 1275. Va al servigio del re Ferdinando, 1276; VI, 15. Suo credito nell'armi, 16. Proditoriamente fatto imprigionare da re Ferdinando, 17. Per ordine del quale è strozzato, ivi.
Jacopo Ammanati, cardinale, celebre per la sua letteratura, V, 1269; VI, 10. Sua lettera piena di saviezza, 27.
Jacopo, cardinale di Tiano, V, 1277.
Jacopo d'Appiano, signore di Piombino: guerra a lui fatta dal duca Valentino, VI, 189. Il quale lo spoglia di quella terra, 190. La riacquista, 202.
Jamblico, filosofo platonico. Fiorì sotto Costantino il Grande, I, 1220.
Januario (Pomponio), console e prefetto di Roma sotto gl'imperadori Diocleziano e Massimiano, I, 1019, 1021.
[980]
Jasdegirde, nipote di Cosroe, re di Persia, II, 1195. Disfatto in una battaglia dagli Arabi Saraceni, 1217. Non gli resta che parte del regno, 1225. Sua morte, 1249. Ultimo re di quel regno, 1217, 1249.
Jerocle, ministro infame di Elagabalo, I, 766. Ucciso, 768.
Jesse, vescovo d'Amiens, III, 575.
Jolanta, figlia di Giovanni di Brenna re di Gerusalemme, promessa sposa a Federigo II Augusto, IV, 1059. Sue nozze, 1067. Gli partorisce Corrado, e muore, 1082.
Jolanta, o Violante, figlia di Guglielmo Lungaspada marchese di Monferrato, sposa Andronico Paleologo imperadore d'Oriente, V, 171.
Jomaro, vescovo tuscolano, IV, 757.
Juvenzio, prefetto di Roma sotto gl'imperadori Valentiniano, Valente e Graziano, II, 156, 163.
Koningsegg (Giuseppe conte di), generale cesareo, sorprende i Franzesi a Quistello, VII, 395. Ritira le sue genti verso la Germania, 410.
[981]
Labeone (Pomponio), pretore della Mesia sotto l'imperadore Tiberio, si uccide, I, 101.
Lacone (Cornelio), uomo dappoco e vizioso, creato da Galba prefetto del pretorio, I, 257, 258. Sua poltroneria, 264. Viene ucciso dai congiurati di Ottone, che fu poi imperadore, 265.
Ladislao, re d'Ungheria, IV, 454.
Ladislao, re di Napoli, succede a Carlo suo padre, V, 814. Gli è occupato Napoli dalle armi di Lodovico II duca d'Angiò, 817, 818. Prende in moglie Costanza, figlia del conte Manfredi di Chiaramonte, 830. Coronato re di Napoli, 835. Comincia il mestier dell'armi, 850. Va a Roma per aiuto, 860. Indarno assedia Napoli, 864. Poi lo ricupera, 891. Fa guerra ad Onorato Gaetano conte di Fondi, 893. Sua crudeltà contro i suoi baroni, 901. Sue nozze con Maria di Cipri, 906. Indarno aspira al regno d'Ungheria, 918. Fa imbrogli in Roma, 921, 931. Tenta d'impadronirsene, 932. Prende castello Sant'Angelo, ivi, 940. Da papa Innocenzo VII è dichiarato decaduto dal regno, 941. Gli restituisce castello Sant'Angelo, ivi. È creato da esso papa gonfalonier della Chiesa, ivi. Assedia e prende Taranto, 943, 944. Prende per moglie Maria vedova di Raimondo Orsino, 944. S'impadronisce di Roma, 953, 954. E di Cortona, 963. Perde Roma, 965. Rotta a lui data da Lodovico d'Angiò, 975. Vende Cortona ai Fiorentini, 976. Fa pace con papa Giovanni XXIII, 979. Di nuovo s'impadronisce di Roma, 985. Vien rapito dalla morte, 991.
Lago di Babilonia, il cui alito fa morire gli animali e gli uccelli che vi s'appressano, I, 425.
Laidolfo, principe di Capoa, III, 1277. Cacciato in esilio, IV, 38.
Lambertini (Prospero), cardinale, eletto papa, VII, 462, V. Benedetto XIV.
Lamberto, duca di Spoleti, dà addosso ai Saraceni, [982] ma ne riceve una solenne disfatta, III, 705. Generale dell'imperadore Lodovico II, 711. Violenze da lui commesse in Roma, 715. Fugge dallo sdegno di Lodovico Augusto, 742, 742. Cessa di vivere, 755.
Lamberto juniore, duca di Spoleti, III, 778, 785, 787. Sua prepotenza in Roma, 796, 797. È scomunicato, da papa Giovanni VIII, 798, 799. Sua morte, 816.
Lamberto figlio di Guido Augusto, III, 888. È coronato imperadore da papa Formoso, 889. Ricupera parte degli Stati, 904, 905. Infierisce contro di Milano, 914. Fa pace col re Berengario, 923. Dà una rotta ad Adalberto duca di Toscana, e il fa prigione, 926. Si abbocca in Ravenna con papa Giovanni IX, 929. Ucciso alla caccia, 932, 933.
Lamberto, figlio di Adalberto II duca di Toscana, III, 999, 1025. Sua congiura per esaltare Ugo conte di Provenza, suo fratello uterino, alla corona d'Italia, 1025, 1028. Creato duca di Toscana, 1041. Il re Ugo gli fa cavare gli occhi, e gli toglie il ducato, 1050, 1051.
Lamberto, arcivescovo di Milano, congiura contro Berengario Augusto, III, 1010, 1013. Si ribella al re Rodolfo, 1026. Promuove l'esaltazione di Ugo in re d'Italia, 1031. Fine di sua vita, 1047.
Lamberto, abbate di San Lorenzo di Cremona, IV, 88.
Lamberto, vescovo di Ostia, consacra papa Callisto II, IV, 571. Spedito legato apostolico in Germania, 583. È creato papa, 589, V. Onorio II.
Lamia (Lucio Elio), prefetto di Roma sotto Tiberio Augusto, I, 96.
Lampadio, prefetto del pretorio sotto Costanzo Augusto, II, 64. 67.
Lampadio, creato prefetto del pretorio da Attalo effimero imperadore in Roma ai tempi di Onorio, II, 397.
[983]
Lampridio, scrittore sotto Costantino il Grande, I, 1220.
Landau, tolto ai Franzesi da Giuseppe re de' Romani, VII, 172.
Landenolfo, principe di Capoa, III, 844.
Lendenolfo, principe di Benevento e di Capoa, III, 1239, 1241, 1276. Ucciso da' congiurati, 1277.
Landenolfo, vescovo di Capoa nuova, III, 807.
Lando (Corrado), conte tedesco, capo d'una gran compagnia di masnadieri, ma infedele, V, 643, 651. Sconfitto dalla milizie de' Visconti, 656. Va in aiuto di Francesco degli Ordelaffi, signor di Forlì, 660. Messo in fuga e ferito dai Fiorentini, 669, 670. Sua morte, 693.
Landolfo, padre di Landolfo conte e vescovo di Capoa, III, 581, 617, 623. Termina i suoi giorni, 628.
Landolfo, vescovo di Capoa, III, 628. Mandato dai Capoani a complimentare l'imperadore Lodovico II, 666. Edifica co' suoi fratelli Capoa nuova, 681. Sue iniquità, 689. Congiura contro Ademario principe di Salerno, 696. Signoreggia in Capoa, 707. Visita da lui fatta a Lodovico II Augusto, 711. Sue frodi cagionano l'assedio di Capoa, ivi. Muove l'imperadore al soccorso di Salerno assediato da' Saraceni, 750. Indarno tenta di ergere in arcivescovato la sua chiesa, 709. Sue cabale, 763. Sua morte, 807.
Landolfo juniore, vescovo di Capoa vecchia, III, 807.
Landolfo, figlio di Atenolfo principe di Benevento e di Capoa, III, 945. Sposa Gemma figlia di Atanasio II vescovo e duca di Napoli, ivi. Dichiarato collega dal padre, 949, 950. Che l'invia a Costantinopoli ad implorare da Leone il Saggio imperadore soccorsi contro i Saraceni, 973. Succede al padre, 977, 981. Creato patrizio dall'imperadore d'Oriente, 988. Fa lega col papa Giovanni X per cacciare dal Garigliano i Saraceni, 996. Sue battaglie co' Greci, 1009, 1041, 1062. Fine di sua vita, 1092.
Landolfo II, principe di Benevento e di Capoa, III, 1093. Guerra a lui mossa da Giovanni XII papa, 1143. Termina il corso di sua vita, 1153.
Landolfo III, principe di Benevento e di Capoa, III, 1153. Accoglie l'imperadore Ottone I, 1164. Riconosce l'alto dominio dell'imperadore, 1181. Sua morte, 1189.
Landolfo IV, principe di Benevento e Capoa, III, 1197. Succede al padre, 1231. Cacciato da Benevento, 1234. Muore in battaglia, 1239.
Landolfo, arcivescovo di Milano. Sedizione del popolo contra di lui, III, 1273, 1274. Sua morte, IV, 32.
Landolfo IV da Sant'Agata, principe di Capoa, IV, 38. Sua morte 83.
[984]
Landolfo, vescovo di Cremona, IV, 83, 88. Dà due corti in livello al marchese Bonifacio, padre della contessa Matilda, 140. Il popolo di Cremona si rivolta contra di lui, e lo caccia dalla città, 185. Sua morte, ivi.
Landolfo, principe di Benevento, IV, 135.
Landolfo V, principe di Benevento e di Capoa, IV, 248. Da papa Leone IX gli è tolto il principato, 263. A lui tolti gli Stati, di nuovo, 311.
Landolfo VI, principe di Benevento, IV, 359. Manca di vita, 384.
Landolfo, vescovo di Ferrara, IV, 450, 500, 519.
Landolfo, vescovo d'Asti, IV, 537.
Landolfo, arcivescovo di Benevento, IV, 543. Suo concilio, 573.
Landone, conte di Capoa, III, 628, 670. Fabbrica Capoa nuova, 681. Se gli ribella il popolo, 688. Sua grave infermità, 692. Sua morte, 696.
Landone, figlio di Landone conte di Capoa, mette in rotta i Napoletani, III, 692, 693. Succede al padre, 696. È cacciato da Landolfo suo zio; ivi. Sua morte, ivi.
Landone papa. Sua elezione, III, 985.
Landone Sitino, antipapa, IV, 867. È preso e mandato in esilio, 876, 877.
Lanfranco (San), abbate di Becco, e poi arcivescovo di Cantorberì, IV, 247, 342. Fine di sua vita, 442.
Laterano (Plauzio), console disegnato, congiura contro Nerone, I, 236.
Latino Orsino, cardinale e vescovo d'Ostia: suoi maneggi per mettere pace fra le città d'Italia, V, 129, 131. Rinserrato a pane ed acqua in una camera da Carlo re di Sicilia per la elezione di un papa franzese, 140.
Latino Malabranca, cardinale, vescovo d'Ostia, V, 228.
Latino Orsino, cardinale, corona re di Napoli Ferdinando duca di Calabria, V, 1255.
Lattanzio Firmiano, maestro di Crispo Cesare, I, 1141.
Laudari, duca del Friuli, II, 53.
Lautrec (Odetto di Fois), governator di Milano, VI, 338. Assedia Verona, 339, 341. Abbandona Milano, 369. Assedia Pavia, 381. Battuto in più incontri da Prospero Colonna, ivi, 382, 383. Passa in Francia, 384. È rimandato in Italia con un'armata, 446. Prende Pavia, che resta saccheggiata, 448. Fa conquiste nel regno di Nespoli, 454. Sua vittoria, 459. Termina i suoi dì, 460.
Lavardino (Arrigo Carlo marchese di), ambasciatore di Francia: sua insolenza contro i divieti di papa Innocenzo XI, VII, 65, 66.
Lazii, popoli: si sottomettono a Giustino imperadore, [985] II, 832. Abitanti sul fine del mar Nero, 1185.
Leandro (San), arcivescovo di Siviglia, II, 1056, 1064.
Lebbra, morbo una volta familiare in Italia, II, 1158.
Lega di varii potentati in Cambrai contro i Veneziani, VI, 229.
Lega delle città d'Italia contro Federigo I Augusto, V. Città d'Italia.
Lega delle città lombarde contro il medesimo Augusto e contro Federigo II V. Città lombarde.
Leganes (marchese di), governatore di Milano pel re di Spagna, VI, 1075. Sua battaglia co' Franzesi a Tornavento, 1077. Rovina gli Stati del duca di Parma, 1078. Fa pace con lui, 1079. Caccia i Franzesi dalla Valtellina, 1081. Prende a Cristina reggente dì Savoia la fortezza di Breme, e la fa tutta smantellare, 1085. Assedia Vercelli, 1087. La prende, ivi. Assedia Casale di Monferrato, 1100. Sconfitto da' Francesi, 1101. Richiamato a Madrid, 1107.
Legge Papia Poppea, pubblicata da Augusto Cesare, I, 27.
Legge dello stesso contro i libelli famosi, I, 37.
Legge di Costantino, che leva le pene intimate nella legge Papia contro i nubili, I, 1147.
Leggi di Giustiniano, II, 836, 852, 856.
Leggi longobardiche, quando pubblicate, II, 1233. V. Liutprando.
Leggi varie, usate in Italia, III, 352.
Leodino, o Leodoino, vescovo di Modena, III, 800. Fortifica la sua città, 891.
Leonardo da Montaldo, legista, eletto doge di Genova, V, 796. Sua morte, 800.
Leonardo Aretino, celebre letterato: sua morte, V, 1172.
Leonardo dalla Rovere, creato prefetto di Roma dallo zio Sisto IV papa, VI, 143.
Leonardo Loredano, doge di Venezia, VI, 190. Sua morte, 374.
Leone, chiamato Acinace, tenuto a tavola e in letto da Caracalla, I, 738.
Leone, diacono della santa romana Chiesa, scopre la frode di Giuliano pelagiano e fa che sia rigettato da papa Sisto III, II, 506. Creato papa, 508. Scuopre e caccia i manichei, 518, 520. Scrive contro i priscillianisti, 528. Abolisce il falso concilio d'Efeso, 535. Suo fervore contro di Eutichete, 541. Va ambasciatore ad Attila, 563. Placa Genserico, 579. Sua morte, 609.
Leone, vescovo di Triassone nella provincia tarraconese, ucciso in chiesa, II, 536.
Leone (Flavio), eletto imperadore d'Oriente, II, [986] 596. Sua pietà, 604. Antemio da lui creato imperador d'Occidente, 622. Suo editto per la osservanza delle feste, 626. Procede rigorosamente contro gli ariani, ivi. Grandiosa, ma sfortunata, sua spedizione contro di Genserico, 627, 628. Suo editto contro i pagani, 631. Per politica ingrandisce i figli di Aspare, 632. Altro suo editto contro i simoniaci, 634. Opprime Aspare stesso coi suoi figli, ivi. Crea Cesare Leone suo nipote, 648. Sua morte 650.
Leone juniore, nipote Augusto, creato Cesare, II, 648. Succede all'avolo nell'imperio d'Oriente, 650. Accetta per collega nell'imperio il marito di sua madre, Zenone, 651. Sua presta morte, ivi.
Leone II papa. Sua elezione, III, 64. Fine di sua vita, 66.
Leone Isauro, eletto imperadore d'Oriente, III, 157. Sue lettere e sua professione di fede al papa Gregorio II, ivi. Difende Costantinopoli assediata dai Saraceni, 158. Manda a sedar il popolo di Sicilia ammutinato, 160. Abbatte Artemio detto Anastasio, che vuol risalire sul trono, 161. Fa coronare Costantino Copronimo suo figlio, 163. Suo editto contro le sacre immagini, 176. Ribellione contro di lui, ivi. Sdegnato contro papa Gregorio II, 177. Dà a suo figlio in moglie una figlia del principe dei Tartari Turchi, che, abbracciata la religione cristiana, prese il nome d'Irene, 198, 199. Sua rabbia verso chiunque non aderiva all'editto contro le sacre immagini, 199. Fine de' suoi giorni, 215.
Leone IV, figlio di Costantino Copronimo, dichiarato Augusto, III, 245. Sua morte, 341.
Leone, arcivescovo di Ravenna, III, 303. Mandato prigione a Rimini per ordine del re Desiderio, 304. È di nuovo accolto in Ravenna, 308. Per ordine del papa Adriano I imprigiona Paolo afiarta, uccisore di Sergio secondicerio della Chiesa romana, 310. Suo dominio nell'esarcato, 334.
Leone III papa. Sua elezione, III, 399. Suo triclinio, 410. Strapazzo ed offese a lui fatte da alcuni Romani, 412. Non furono a lui cavati gli occhi, 414. Va in Francia, 415. Suo ritorno a Roma, 417. Giustifica sè stesso, 421. Dà la corona dell'imperio a Carlo Magno, 422. Sua bolla, 441. Ritorna in Francia, 445. Suoi atti, 487. Torbidi in Roma contra di lui, 498. Passa a miglior vita, 501.
Leone Armeno, al comando dell'esercito di Michele imperadore de' Greci contro i Bulgari, III, 483. Proclamalo imperadore, 484. Assediato in Costantinopoli da' Bulgari, fa una sortita, e li mette in fuga, ivi. Spedisce ambasciatori all'imperadore [987] Carlo Magno per la pace, 491. La ottiene da Lodovico Pio, che manda ei pure a questo i suoi ambasciatori a Costantinopoli, ivi. Perseguita le sacre immagini, 499, 522. È ucciso, 525.
Leone, vescovo di Como, III, 546.
Leone, vescovo di Selva Candida, III, 553.
Leone, duca di Napoli, III, 600.
Leone IV papa. Sua elezione. III, 648. Sua consecrazione differita, 650. Fabbrica la città Leonina, 656. Altre sue fabbriche, 658. Compie essa città Leonina, 664. Fortifica altri luoghi, 665. Suo concilio, 668. Fabbrica Leopoli, 671. Muore, 674.
Leone, vescovo di Teano, III, 807.
Leone il Saggio, III, 855. Occupa il ducato di Benevento, 888. Poi lo perde, 918. Atenolfo, principe di Benevento, gli chiede aiuto, contro i Saraceni, 973. Compie la carriera del suo vivere, 977.
Leone V papa. Sua elezione e depressione, III, 956.
Leone, abbate di Monte Casino, III, 960.
Leone, vescovo siciliano, governatore della Calabria, III, 1034.
Leone VI papa. Sua elezione, III, 1038. Passa a miglior vita, 1040.
Leone, vescovo di Pavia, III, 1043.
Leone, abbate di Subiaco, III, 1067, 1091.
Leone VII papa. Sua elezione, III, 1066, 1067. Termina il corso del suo vivere, 1079.
Leone, vescovo di Volterra, III, 1086.
Leone abbate del Volturno, III, 1110.
Leone VIII papa, III, 1162. Sua elezione, 1163. Fugge da Roma, e si ricovera presso l'imperadore Ottone i, 1166. Dichiarato usurpatore della sedia di san Pietro, ivi. Rimesso dall'imperadore nella sua dignità, 1167. Fine de' suoi dì, 1170.
Leone, vescovo di Ferrara, III, 1195.
Leone, abbate di San Bonifazio, IV, 9.
Leone, abbate nonantolano, arcivescovo di Ravenna, IV, 37. Caduto in mala sanità, rinunzia la sua Chiesa, 48.
Leone, vescovo di Vercelli, IV, 42, 66, 107, 134, 136. Sua morte, 162.
Leone IX papa, giovinetto appellato Brunone, milita in Italia sotto il re Corrado, IV, 153. Vescovo di Tullo, eletto papa, 244, 245. Varii suoi viaggi e concilii, 245, 251, 252. Tenta di rimettere la pace fra l'imperadore Arrigo III ed Andrea re d'Ungheria, 253. Acquista Benevento, 257. Conduce soldatesche in Italia, 259. È sconfitta la di lui armata dai Normanni, ed egli stesso resta prigione, 262. Rimesso in libertà, ivi. Sua malattia e morte, 266.
Leone da Perego, arcivescovo di Milano, IV, 1171, [988] È cacciato fuori della città, 1232, 1264. Sua morte, V, 39.
Leone da Fontana, vescovo di Piacenza, V, 328.
Leone X papa. Sua elezione, VI, 298. Sue belle doti, ivi, 299. Bel principio del suo pontificato, 299. Regali a lui inviati da Emmanuello re di Portogallo, 315. Compra Modena dall'imperadore Massimiliano, 316. Fa lega cogli Svizzeri, 319. Nobile accasamento da lui procurato a Giuliano suo fratello, ivi. Fa lega per la difesa di Milano, 322. Poscia con Francesco I re di Francia, 328. Con cui ha un abboccamento in Bologna, 331. Spoglia del ducato d'Urbino Francesco Maria della Rovere, e lo dà a Lorenzo suo nipote, 333, 334. Corre pericolo di esser preso dai Turchi, 342. Fa lega con varii potentati, 344. Guerra mossa ad Urbino da Francesco Maria della Rovere, 345. Terminata in pro del papa, 347, 348. Congiura del cardinale Alfonso Petrucci contra di lui, 348. Suoi movimenti per resistere ai Turchi, 349. Unisce il ducato d'Urbino alla Chiesa per la morte del nipote, 355. Condanna l'eresia di Martino Lutero, 358. Ricupera Fermo e la Marca tutta, 360. Tenta di fare assassinare Alfonso duca di Ferrara, ivi, 361. Semina la discordia fra i principi, 363. Sua lega con Carlo V imperadore, ivi. Fa assediar Parma, 366. La ricupera insieme con Piacenza, 370. Suoi fulmini contro Alfonso duca di Ferrara, 371. Ordina grandi feste in Roma per la presa di Milano e per la ricuperazione di Parma e Piacenza, 372. Passa a miglior vita, ivi.
Leone XI papa. Sua creazione, VI, 910. Sua morte, ivi.
Leonzio, ariano, ves. di Tripoli, sua alterigia, II, 58.
Leonzio, prefetto di Roma sotto l'imperadore Costanzo, II, 69, 72.
Leonzio, legista, creato conte del primo ordine da Teodosio II Augusto, II, 263.
Leonzio, creato imperadore contro Zenone Augusto, II, 682, 687. È depresso, 688. Finalmente preso ed ucciso, 696.
Leonzio, giureconsulto, incaricato da Giustiniano di compilar il Codice, II, 836.
Leonzio, vescovo di Lemissa, II, 1160.
Leonzio, prefetto di Costantinopoli, spedito dall'imperadore Eraclio ambasciatore a Cosroe re di Persia, II, 1161.
Leonzio, proclamato imperadore de' Greci, III, 96. Ricupera l'Africa dalle armi dei Saraceni, 99. È deposto ed esiliato, 101. Poscia ucciso, 121.
Leopardo, abbate di Nonantola, III, 937.
Leopoldo, marchese, creato duca di Baviera, IV, 658. Gli fa guerra Guelfo VI, 668.
[989]
Leopoldo, duca d'Austria, fa prigione Riccardo re d'Inghilterra, IV, 931. È forzato a cederlo ad Arrigo VI Augusto, 933. Entra a parte del riscatto, 935. Sua morte, 1092, 1093.
Leopoldo duca d'Austria. A lui donato Trivigi dai Veneziani, V, 783. Viene in Italia a soccorrerlo, 796. Vende quella città a Francesco da Carrara, 801.
Leopoldo I, succede al padre, ed è eletto imperadore, VI, 1206, 1210. Guerra a lui mossa dai Turchi, 1234. Sua insigne vittoria su di essi, 1238. Suo matrimonio coll'infanta Margherita di Spagna, 1243. Fa lega cogli Olandesi, 1267. Sua pace con Luigi XIV re di Francia, VII, 30. Se gli ribellano gli Ungheri, 42. Assediata Vienna dai Turchi, 45. È liberata, 47. Sue guerre in Ungheria, 83. Insoffribili contribuzioni imposte da' suoi ministri a' principi di Italia, 97. Acquista Gran Varadino, 101. Mal soddisfatto della corte di Roma, 125, 128. Fa pace colla Francia, 129. E co' Turchi, 134, 138. Spedisce le sue armi per ricuperar lo Stato di Milano, 156. Sollevazione infelice in Napoli, in suo favore, 161. Fa lega colla Gran Bretagna e coll'Olanda, 162. Fine di sua vita, 188.
Lepida, madre di Messalina Augusta, I, 176.
Lepida (Domizia), fatta morire da Agrippina Augusta, I, 191, 192.
Lepido (Marco Emilio), pel suo valore premiato cogli ornamenti trionfali, I, 24. Sua congiura contro Caligola, 129.
Leta, moglie di Graziano Augusto, II, 245.
Leti, appellati i popoli barbari abitanti nelle Gallie, II, 340.
Leto (Quinto Emilio), prefetto del pretorio sotto Commodo, I, 620, 621. Cospira con altri alla morte d'esso Augusto, 629, 630. Promuove Publio Elvio Pertinace all'imperio, 631, 632, 634. Ucciso da Didio Giuliano, 646.
Leto, generale di Settimio Severo contra Clodio Albino, I, 668. Poscia ucciso, 678.
Lettere: loro deplorabile stato in Italia a' tempi di Carlo Magno, III, 345. Il quale cerca di ravvivarle, 347, 348. Risorte in Italia, V, 898.
Leutari, duce degli Alemanni, con forte esercito cala in Italia contro i Greci, II, 947. Varie sue azioni, 951. Disfatto l'esercito suo, ivi.
Leva (Antonio da), difende Pavia assediata da Francesco I re di Francia, VI, 408, 411. Governator di Milano, 445. Avanie ivi da lui fatte al popolo, 456. Ricupera Pavia, 457. Sua vittoria contra i Franzesi, 466, 467. Diviene signore di Pavia, 471. Assume il comando dell'esercito cesareo contra i Turchi, 487. Alla morte di Francesco [990] Sforza duca di Milano, prende il governo di quel ducato, 514, 520. Manca di vita sotto Marsilia, 522.
Libanio sofista: suo Panegirico in onore di Giuliano Augusto, II, 124. Altro, funebre per la sua morte, 133, 135. Deputato dagli Antiocheni a Teodosio Augusto, 266. Suo detto intorno al Grisostomo, 341.
Libanio, mago e incantatore, ucciso, II, 446.
Liberi Muratori: setta nata in Inghilterra, e sparsa per la Francia e Germania, VII, 429. Vietata da papa Clemente XII, 430.
Liberio, romano pontefice, II, 51. Esiliato dall'imperadore Costanzo, 69. Intercedono per lui le dame romane, 77. Ritorna a Roma, ma con pregiudizio del suo onore, 85. Sua morte, 156.
Liberio, dal re Teoderico creato prefetto del pretorio, poscia patrizio, II, 737.
Libertà: una volta era una spezie di nobiltà, III, 164.
Liberti, ingrati ai padroni, gastigati, I, 204.
Libone (Flavio), console e prefetto di Roma sotto gl'imperadori Settimio Severo e Caracalla, I, 693.
Luciniano (Lucio Pisone Frugi), adottato da Galba, I, 263. Ucciso, 265.
Liciniano (Valerio), pretore di Roma, uno de' più eloquenti uomini del suo tempo, esiliato da Domiziano, I, 348.
Liciniano (Marco Aufidio Perpenna), imperadore efimero nelle Gallie sotto l'imperadore Hostiliano Decio, 872.
Licinio (Cajo Flavio Galerio Liciniano), creato Augusto da Galerio, I, 1086. Dopo la cui morte divien padrone dell'Illirico, 1099. Dall'imperadore Massimino gli è tolta la Bitinia, ivi, 1100. Suo abboccamento ed accordo collo stesso imperadore, 1100. Fa lega con Costantino, 1106. Prende in moglie la sorella di lui Flavia Valeria Costanza, ivi. Suo proclama in favore de' cristiani, 1122. Gli è mossa guerra da Massimino, 1123. Suo abboccamento con Costantino imperadore a Milano, ivi. Ricorre al Dio de' cristiani, 1124. Dà una sconfitta ad esso Massimino, 1125, 1126. Passa il mare coll'esercito vittorioso, e ricupera la Tracia e la Bitinia, 1126. S'impadronisce di tutto l'Oriente, 1128. Sua crudeltà, ivi. Muove guerra a Costantino, che gli dà una rotta, 1133. Crea Cesare Valente, uffiziale assai valoroso, 1134. Manda ambasciatori a Costantino per aver la pace, che gli è negata, ivi. Nuova battaglia fra loro, ivi. Manda nuovamente ambasciatori allo stesso imperadore, ivi. Ottiene la pace colla deposizione dell'Augusto Valente, 1135. Al quale fa levare la porpora e la vita, ivi. Si mostra [991] seguace, o almen fautore della religione cristiana, 1144. A lui muovono guerra i Goti nella Tracia e Mesia inferiore, 1156. Protetto dall'armi di Costantino, ivi. Sua ingiusta querela per ciò, ivi. Da ciò irritato Costantino gli muove aperta guerra, 1157. Enormità de' suoi vizii, ivi. Suo iniquo governo, ivi. Perseguita i cristiani, 1158. Grande armamento da lui fatto per terra e per mare contro Costantino, 1159. Si va a postare con tutte le sue forze ad Adrinopoli, 1160. Deride la pietà di Costantino, ivi. Sconfitto due volte da Costantino Augusto, ivi, 1161, 1164. Invia Costanza supplichevole al fratello, per cui ottiene salva la vita, 1164. Rimette in sue mani la porpora, ivi. Vien relegato in Tessalonica, ivi. Dove è ucciso, 1168.
Licinio (Valerio Liciniano), juniore, figlio di Licinio Augusto, creato Cesare, I, 1142. Spogliato della porpora, 1164. E poscia ucciso, 1180.
Lictestein (Wincislao principe di), viene al comando dell'armata austriaca in Italia, VII, 565. Con Carlo Emmanuele re di Sardegna si ritira da Casale di Monferrato di là del Po, 566. Si trattiene sul Novarese, stendendosi fino ad Oleggio, 568. Ad Oleggio ed Arona pianta il campo, 570. Mette fine al saccheggio di Parma con esemplar rigore di castighi, togliendo la vita a' disubbidienti, 576. Si accampa al Taro, 577. Dirige la battaglia coi Gallispani sotto Piacenza, 587.
Lidio, capo degli Isauri: sua crudeltà, I, 989. È ucciso, 990.
Liemano, arcivescovo di Brenna, IV, 438.
Liguria: sua estensione, in gran parte occupata da Alboino re dei Longobardi, II, 1033.
Limenio (Ulpio), prefetto di Roma e prefetto del pretorio nell'Italia sotto gl'imperadori Costanzo e Costante, II, 20.
Limenio, già prefetto del pretorio nelle Gallie, ucciso in una sollevazione di truppe in Pavia sotto Onorio Augusto, II, 385.
Lingua romanza franzese: qual fosse una volta, III, 623.
Linguadoca; ivi si stabiliscono i Visigoti, II, 437.
Lino (San), papa, succede a san Pietro, I, 240. Suo martirio, 245.
Lionello, figlio di Niccolò d'Este marchese di Ferrara. A lui Eugenio IV papa dona Lugo, V, 1118. Succede al padre, 1154. Sposa Maria figlia di Alfonso re d'Aragona e delle Due Sicilie, 1172. Conchiude la pace fra il re Alfonso ed i Fiorentini, 1214. Sua morte, ivi.
Leonetto, figlio del re d'Inghilterra, sposa Violante Visconte, V, 712. Immatura sua morte, ivi.
Liprando, prete di Milano, maltrattato dagli scismatici, IV, 479. Per provare Grossolano simoniaco [992] fa il giudizio del fuoco, 406. Va a Roma, 501. Sua morte, 543.
Lisbona, presa dagli Svevi, II, 603.
Litifredo, vescovo di Novara, IV, 609.
Litigerio, vescovo di Como, IV, 216.
Litolfo, V. Lodolfo.
Littorio, conte, generale di Valentiniano III Augusto, libera Narbona dall'assedio de' Goti, III, 493. Sconfitto poscia da essi, e fatto prigione, 504, 505.
Liutaldo, duca di Corintia: suo placito, IV, 427.
Liutardo, vescovo di Pavia, III, 694.
Liutberto, re de' Longobardi, succede a Cuniberto suo padre, III, 111. A lui usurpato il regno da Ragimberto e da Ariberto II, 112, 113. Preso ed ucciso, 116.
Liutifredo, duca di Trento, III, 644.
Liutifredo, abbate di Bobbio, III, 1083.
Liutifredo, vescovo di Pavia, III, 1100.
Liutifredo, vescovo di Tortona, IV, 26.
Liutprando, figlio di Ansprando, lasciato in vita da re Ariberto II, III, 117. Succede al padre nel regno de' Longobardi, 142. Pubblica molte leggi, 146. Trama contra di lui ordita in Pavia, 147. Suo mirabile ardire, 148. Pauluccio doge di Venezia ottiene la sua amistà con varie esenzioni ai Veneti nel regno suo, 150. Non approva la restituzione delle Alpi Cozie alla Chiesa romana fatta da re Ariberto, ivi. Ma convinto dall'intrepido pontefice Gregorio II cedette e confermò alla santa sede quel possesso, ivi, 151. Suo diploma, 152. Fa restituir Classe all'esarca Scolastico, 155. Altre sue leggi, 156, 162, 165. Occupa Ravenna ed altre città, 181. Gli è ritolta Ravenna dai Veneziani e data ai Greci, 188. Sua pace co' Greci, 189. Irritato contro i duchi di Spoleti e Benevento, e placato da papa Gregorio II, 190. Fonda Città-Nuova, 201. Adotta Pipino per suo figlio, 204. Accoglie e ritiene seco per qualche tempo san Bonifacio, vescovo ed apostolo della Germania, 209. Va in soccorso dei Franchi, 211. Se gli ribella Trasmondo duca di Spoleti, 213. Abbassa i duchi di Spoleti e di Benevento, 220. Non saccheggiò la basilica Vaticana, 221. Suo abboccamento col papa Zacheria a Terni, 228. Sua sommessione e pace con lui, ivi, 229. Fa guerra all'esarcato e alla Pentapoli, 231. Di nuovo papa Zacheria s'abbocca con lui a Pavia per distorlo dal far questa guerra, 232, 233. Fine di sua vita, 234.
Liutprando, duca di Benevento; cacciato dal re Desiderio e deposto, III, 272.
Liutprando, o Liuzo, scrittore maledico, spacciò le pasquinate per istoria, III, 979, 988. Paggio nella corte del re Ugo, 1030. Errori della sua storia, [993] 1038, 1055. Preso per segretario da Berengario marchese d'Ivrea, 1101. È inviato ambasciatore al greco Augusto Costantino. 1108. Creato vescovo di Cremona, 1156, 1170. Torna a Costantinopoli ambasciatore dei due Augusti Ottoni all'imperadore Niceforo Foca, 1185. Mal ricevuto e maltrattato a quella corte, ivi. Suoi affanni per la guerra insorta tra i due imperii, 1187. Mal soddisfatto se ne torna in Italia, 1189. Suo placito in Ferrara, 1195.
Liutuardo o Liutvardo, vescovo di Vercelli; e arcicancelliere dell'imperadore Carlo Grosso, III, 820. Ingiustamente calunniato, 834. Interviene al concilio tenuto in Roma da papa Adriano III, 846. Mandato dall'imperadore a Roma a papa Stefano V, 851. Insulto a lui fatto da Berengario, duca del Friuli, 852. Da Berengario è rifatto dei danni recatigli, 856. È calunniato ed abbattuto dagli emuli, 857. Sua miserabil morte, 941.
Liutuardo (per errore alla prima citazione Liutprando), vescovo di Como, ed arcicancelliere dell'imperadore Lodovico III. III, 947, 963.
Livia Augusta, moglie di Tiberio Claudio Nerone, poscia di Augusto, promuove gli interessi di Tiberio suo figlio, I, 9, 10. Sospetti che essa avesse procurata la morte dei nipoti d'Augusto, 14. E dello stesso Augusto, 40. Sua ambizione, 48, 64, 76. Fine di sua vita, 82.
Livio (Tito), storico insigne; sua morte, I, 56.
Locuste; lor flagello in Italia, VI, 65.
Lodigiani: loro querele contro i Milanesi portate al re Federigo I, IV, 711, 712. Giurano fedeltà ad esso re, 721. Edificano Lodi nuovo, 746.
Lodolfo, o Litolfo, figlio di Ottone il Grande, spedito in Italia dal padre, III, 1119. Comincia delle novità contro di lui, 1123. Si ribella al padre, ivi, 1130. Torna all'obbedienza, 1132. Da lui nuovamente inviato in Italia, di parte di essa si impadronisce, 1136. È rapito dalla morte, 1138.
Lodovico Pio: sua nascita, III, 339. Creato re d'Aquitania, 344. Viene in Italia, 389. Fa guerra a Benevento, 390. Predizione del suo imperio, 395. Prende moglie, 403. Riacquista Barcellona, 431. Stati a lui lasciati dal padre, 451. È creato imperadore, 484, 485. Succede al padre, 490. Sue prime azioni, 492. Messi da lui spediti per la giustizia, 495, 504, 505. È coronato da papa Stefano IV, 503. Incerto se legittimo il suo diploma in favor della Chiesa Romana, 509. Dichiara imperadore e suo collega nell'imperio il proprio figlio Lottario, 511, 512. Sottomette la Bretagna Minore, 519. Dichiara re d'Italia il figlio Lottario, 527. Assegna Stati ai suoi figli, 528. Atti suoi signorili in Roma, 540, 569. Ribellione [994] de' figli contra di lui, 571, 572. Abbattuto, risorge, 573, 574 Di nuovo insorgono i figli contro di lui, 582. Angustiato da Lottario. 585. Gli perdona, 590. Sua morte, 613.
Lodovico re di Baviera, poi Lodovico I re di Germania, figlio di Lodovico Pio, III, 512, 529. Si ribella contro il padre, 571, 572. Riconciliato con lui, 574, 575. Insorge di nuovo contro di lui, 582. Poscia il protegge, 587. Divisione di Stati fatta in suo pregiudizio, 604. Per cui fa guerra al padre, 606. Il quale però gli perdona, ivi. Ripiglia l'armi, 612. Occupa gli Stati di Germania assegnati dal padre a Lottario suo fratello, 614. Da cui è incalzato e si ritira in Baviera, 619. Sua lega con Carlo Calvo, ivi. Dà una rotta a Lottario Augusto, 620. Conquista molte provincie, 622. Stati a lui toccati nella nuova division co' fratelli, per cui diviene re di Germania, 628. Pace confermata fra loro, 641, 651. Occupa gran paese a Carlo Calvo suo fratello, 686. Acquista l'Alsazia, 692. Pretende parte della Lorena, 726. La divide con Carlo Calvo, 727. Suo abboccamento con Lodovico Augusto, 760. Fine di sua vita, 776.
Lodovico, figlio di Lottario, poi Lodovico II imperadore, è inviato a Roma, III, 636, 637. Proclamato ivi re d'Italia, 638. Suo esercito sconfitto dai Saraceni, 646. Dà loro la pariglia, 653. Divide il ducato di Benevento fra i competitori Siconolfo e Radelgiso, 654. Da suo padre è dichiarato Augusto e collega nell'imperio, 657. Epoca della sua coronazione romana, 659, 660. Sue nozze, 661, 662. Assedia Bari, 665. Corre a Roma per sospetto che gli si ribelli il popolo romano, 673. Succede al padre, 678. Ceduto a lui un tratto di paese da Carlo re di Provenza suo fratello, 687. Suo placito nel ducato di Spoleti, 689. Guerre da lui fatte, 691. Acquista buona parte della Provenza, 700. Incitato contro papa Niccolò, 701, 702. Insulti da lui fatti ai Romani, 702. Dona Guastalla alla moglie, 707, 708. Chiamato in aiuto dai Beneventani, 709. Suo rigoroso editto per la spedizion militare, ivi. Assedia Capoa, 711. Fonda il monistero di Casauria, 712, 743, 754. Rotta a lui data dai Saraceni, 716. Fa giustizia in Roma, 718. Conquista varie città, 719, 720. Da suo zio Carlo Calvo gli è tolta la Lorena, 725, 726. Sue imprese sotto Bari e in Calabria, 728, 729. Prende Bari, e ne caccia i Saraceni, 732. Sua lettera a Basilio imperadore de' Greci, 734. È imprigionato da Adelgiso principe di Benevento, 740. Rimesso in libertà, 741. Gli è restituita da Carlo Calvo parte della Lorena, 745, 746. È coronato in Roma da papa Adriano II, 747. Manda una [995] armata in soccorso di Salerno, 750. Gran corte da lui tenuta in Capoa, 754. Libera Salerno, ivi. Fa pace con Adelgiso principe di Benevento, 756. Suo abboccamento con Lodovico re di Germania, 760. Fine di sua vita, 764. Sua sepoltura in Milano, 766. Suo epitaffio, 767.
Lodovico II, figlio di Lodovico I re di Germania, III, 671. Dà una rotta all'esercito di Carlo Calvo Augusto, 777. Amoreggia la Baviera, 803. Acquista parte della Lorena, 809. E poi la Baviera, 813, 814. Termina i suoi giorni, 826.
Lodovico, re di Germania, figlio di Arnolfo, III, 939. Muore senza prole, 981.
Lodovico Balbo, re di Francia, III, 797. Viene a morte, 809.
Lodovico, re di Provenza, poi Lodovico III imperadore, dopo la morte di Bosone suo padre si sostenta nel regno, III, 856, 863. Solennemente coronato re, 882. Viene in Italia contro di re Berengario, ma scornato se ne torna in Provenza, 936. Cala di nuovo in Italia, 942. È coronato imperadore in Roma da papa Benedetto IV, 946. Caccia Berengario d'Italia, 950, 951. Da cui poscia è preso ed acciecato, 952, 961, 963, 964. Ritiene il titolo d'imperadore, ma senza giurisdizione nè su Roma nè sul regno d'Italia, 968, 989.
Lodovico V, figlio di Lottario re di Francia, soprannominato il Dappoco, succede al padre, III, 1258. Sua morte, 1259.
Lodovico, vescovo di Belluno, IV, 134.
Lodovico VII, re di Francia, presa la croce, va in Terra santa, IV, 687. Sue azioni in quelle parti, 692. Torna in Francia, 694. Fatto prigione dai Greci, è liberato dai Siciliani, 695, 696. Passa in Italia, 696. Protegge papa Alessandro III, 780.
Lodovico, langravio di Turingia, morto nel viaggio verso Terra santa, IV, 1078.
Lodovico IX, poi santo, re di Francia, tratta di pace fra papa Innocenzo IV e Federigo II Augusto, IV, 1195. Colla sua flotta si muove per Terra santa, 1209. S'impadronisce di Damiata, ivi. Oppresso dai Saraceni, resta lor prigioniere, 1216, 1217. Da papa Urbano IV gli è proposto l'acquisto della Sicilia per Carlo suo fratello, V, 33, 34 38. Sua impresa di Tunisi, dove termina i suoi giorni, 87.
Lodovico il Bavaro, creato re de' Romani, V, 376. Sua discordia con Federigo duca d'Austria, 382, 398. Sua gran vittoria, in cui lo fa prigione, 433. Sua rottura con papa Giovanni XXII, 437. Il quale lo scomunica e gli grida contro la crociata, 444. Chiamato in Italia dai Ghibellini, 459. Coronato in Milano, imprigiona i Visconti, [996] 461. Passa in Toscana, 463. Acquista Pisa, ivi. Va a Roma, 464. Ivi è coronato da Jacopo Alberti vescovo di Venezia e da Gherardo vescovo d'Aleria, 467. Sue altre turpi azioni contro Giovanni XXII, ivi, 468. Parte da Roma, 472. Torna a Pisa e a Lucca, 473. Viene a Milano, che gli si era ribellata, e la stringe d'assedio, 484, 485. Va a Pavia, e dà l'investitura del vicariato di Milano ad Azzo Visconte, 485. Torna con poco onore in Germania, ivi. Tenta, ma inutilmente di mettersi in grazia di papa Benedetto XII, 541. Gli sono confermate da papa Clemente VI le scomuniche fulminategli da Giovanni XXII, 567. Sua morte, 588.
Lodovico di Savoia, va in soccorso di Azzo Visconte suo genero, V, 545.
Lodovico re d'Ungheria, succede a Carlo Uberto suo padre, V, 557. Infelicemente fa guerra ai Veneziani, 583. Suo preparamento per vendicar la morte di suo fratello Andrea, 588, 589. Cala in Italia, 593. Se gli rende Napoli col regno, 599. Leva di vita il duca di Durazzo, ivi. Torna in Ungheria, 600. E di nuovo nel regno di Napoli, 618. Suo accordo colla regina Giovanna, e suo ritorno in Ungheria, 619. Gran guerra da lui fatta ai Veneziani, 657, 658, 663. Fa una pace vantaggiosa con loro, 665. Collegato coi Genovesi e con Francesco da Carrara e il patriarca d'Aquileia contro i Veneziani, 767. Manda gente in Italia per questo, 773, 774. Concorre alla rovina di Giovanna regina di Napoli, 776. Compie il corso di sua vita, 792.
Lodovico Gonzaga, trucida il fratello Ugolino, e si fa signore di Mantova, V, 690. Fa pace con Bernabò Visconte, 696. Entra in lega contro di lui, 705. Il quale all'improvviso porta la guerra nei suoi Stati, 713. Fine de suoi giorni, 791.
Lodovico, duca d'Angiò, adottato dalla regina Giovanna, V, 778. Signore della Provenza, 787. Sua armata per venire in Italia ad impedire la caduta della regina Giovanna, 787, 788. Entra nel regno di Napoli, e se gli dà l'Aquila, 791. Sua decadenza, 794, 795. Fine del suo vivere, 798.
Lodovico II, duca d'Angiò, V, 798. Chiamato a Napoli da quelli del suo partito alla morte del re Carlo, 814. Prende il titolo di re di Napoli, e comincia la guerra, 817. S'impadronisce di Napoli, 818. Coronato in Avignone re delle Due Sicilie dall'antipapa Clemente, 834. Giugne, a Napoli, 835. Procede lentamente la guerra contro il re Ladislao, 842. Assediato in Napoli, se ne libera, 864 Perde tutto, 891. Torna in Italia per ricuperar Napoli, 963. Col cardinale Cossa va a Roma, 964. Suoi inutili sforzi contra il re Ladislao, 971. Va col papa Giovanni XXIII a [997] Roma, 974. Dà una rotta al re nemico, 975. È costretto ricondurre la sua armata a Roma, da dove spiega le vele verso Provenza, 976.
Lodovico, conte di Savoia, V. 872.
Lodovico de' Migliorati, nipote d'Innocenzo VI: sua crudeltà, V, 931, 932. Creato marchese della Marca d'Ancona, 941. Spogliato di questa dignità da Gregorio XII, s'impadronisce d'Ascoli e Fermo, 947. Creato conte di Monopello dal re Ladislao di Napoli, 949. Ma poi ne è spogliato, ivi. Pandolfo Malatesta gli muove guerra e gli toglie molte castella, 1000. Con Braccio da Montone va contro i Bolognesi pel papa, 1027. Generale delle truppe di Carlo Malatesta in aiuto di Pandolfo signor di Rimini contro il duca di Milano Filippo Maria Visconti, 1032. Vi resta prigioniero del suddetto duca, che lo rimanda libero con molti regali, ivi.
Lodovico, patriarca d'Aquileja, cardinale, V, 1025. Perde il Friuli, 1033. Legato del papa Eugenio IV contro Francesco Sforza in Romagna, 1177.
Lodovico degli Alidosi, signore d'Imola, V, 1026. Per tradimento dal duca di Milano Filippo Maria Visconti è condotto a Milano, 1057. Dopo parecchi mesi di prigionia rilasciato si fa frate dell'ordine francescano, ivi.
Lodovico III, duca d'Angiò, aspira al regno di Napoli, V, 1027. Il papa Martino V manda Francesco Sforza nel regno di Napoli a combattere in favore di lui, 1027, 1028. Suo arrivo in quel regno, 1030. Suoi aderenti, 1034. Va a Roma, 1036. È abbandonato da papa Martino, 1040. Adottato dalla regina Giovanna, 1046. Entra in Napoli, 1054. Sottomette la Calabria, 1076. Sua morte, 1111.
Lodovico Gonzaga, marchese di Mantova, succede al padre, V, 1172. Collegato co' Veneziani, 1197. Sua lega con Francesco Sforza, 1218. Dà una rotta a Carlo suo fratello, e ai Veneziani, 1230. Generale de' Veneziani stessi, 1275. Muore, VI, 65.
Lodovico, duca di Savoia, fa guerra allo Stato di Milano, V, 1202. Dalle truppe spedite contro dà Francesco Sforza gli sono fatti molti prigionieri, 1205. Sua lega co' Milanesi contro lo stesso Sforza, 1208. Sua pace con lui conchiusa, 1212. Torna a fargli guerra, collegatosi co' Veneziani, con Alfonso re d'Aragona ed altri, 1221, 1229. Si oppone al passaggio delle truppe di Renato duca d'Angiò e di Lorena, 1232. Sua morte, VI, 18.
Lodovico da Campofregoso, doge di Genova, V, 1219. È deposto, 1274.
Lodovico Scarampo, cardinale di San Lorenzo in [998] Damaso, va a combattere contro i Turchi, V, 1244, 1247.
Lodovico Sforza, soprannominato il Moro. Sua congiura contro la duchessa Bona, VI, 58. Relegato da essa duchessa a Pisa, 58. Le toglie la reggenza, 67, 73. Collegato col duca di Ferrara contro i Veneziani, 78. Avvedutosi dei maneggi del fratello Ascanio Maria, manda secretamente a trattar seco lui di pace, 82. Lo richiama a Milano, e lo rimette in possesso de' primi onori, ivi. Congiura contro di lui scoperta, 85. Fa pace coi Veneziani, 86. Manda aiuti al re Ferdinando di Napoli, 91. Sua crudeltà, 93. S'impadronisce delle fortezze del ducato, 105. Sue nozze con Beatrice Estense, 107. Invita Carlo VIII di Francia a venire in Italia, 115. Suoi maneggi con Massimiliano Cesare, 116. Ostinato in far calare i Franzesi in Italia, 119. Dichiarato duca di Milano, 121. Fa lega contro i Franzesi, 130. Perde Novara, 131. La ricupera, 133. Chiama in Italia Massimiliano Cesare, 141. Aiuta i Fiorentini, 149. Lega di Lodovico XII re di Francia, e dei Veneziani contro di lui, 155. Occupato dai Franzesi il suo Stato, fugge in Germania, 156. Torna a Milano, 161. È fatto prigione dai Franzesi, 162. Condotto in Francia, quivi termina i suoi dì, 163.
Lodovico, marchese di Saluzzo, spogliato de' suoi Stati dal duca di Savoia, VI, 99.
Lodovico, duca d'Orleans, poi Lodovico XII, re di Francia, minaccia Lodovico il Moro, VI, 130. Gli toglie Novara, 131. Ivi assediato e liberato, 133. Creato re di Francia, 147. Suo nuovo matrimonio, 148. Fa lega co' Veneziani, 155. S'impadronisce dello Stato di Milano, 156. Sua solenne entrata in quella città, ed acquisto di Genova, 157. Aiuta il papa alla conquista della Romagna, 159. Da' suoi è fatto prigione Lodovico il Moro, e condotto in Francia, 162. Sua benignità verso il popolo di Milano, 164. Medita la conquista del regno di Napoli, 185. Accordatosi con Ferdinando il Cattolico, manda le sue armi colà, ivi. Se ne impadronisce, 187. Per cagion d'esso regno gran guerra fra lui e Ferdinando, 193, 206. Rotta funesta data alle sue genti al Garigliano, 210. Perde Gaeta, e tutto il regno, 213. S'inferma gravemente, e poi risana, 217. Ricupera Genova ribellata, e sua moderazione, 224, 225. Suo abboccamento con Ferdinando il Cattolico, 226. Si collega con varii potentati contro i Veneziani in Cambrai, 229. Venuto in Italia, muove loro in persona la guerra, 234. Sua vittoria in Ghiaradadda, e acquisto di molte terre e città, 236. Disegni di papa Giulio II contro di lui, 251, 254. [999] Perde lo Stato di Milano, 288. E Genova, 289. Gli fan guerra i re d'Aragona e d'Inghilterra, 294. Sua lega coi Veneziani, 295. Ricupera Milano e Genova, 301, 302. Perde in una battaglia tutto, 303. Sua morte e sue belle doti, 317, 318.
Lodovico da Todi, tradito dal duca Valentino, e messo a morte, VI, 196.
Lodovico d'Ambosia, vescovo di Albi, a cui Giulio II promette il cappello cardinalizio, VI, 220.
Lodovico Pico, conte della Mirandola, mandato dal papa Giulio II a rinforzare l'esercito cesareo, VI, 247. Perì nella battaglia tra Alfonso duca di Ferrara e i Veneziani in faccia la Polesella, 248.
Lodovico XIII, re di Francia. Sua nascita, VI, 897. Succede ad Arrigo IV suo padre, 931. Si accorda cogli Spagnuoli per la Valtellina, 1007. Assedio da lui posto alla Rocella, 1012. Di cui s'impadronisce, 1023, 1024. Prende le armi in aiuto del duca di Mantova, 1026. Fa pace col duca di Savoia, 1028. Invia in Italia il Richelieu colle armi in aiuto nuovamente del duca di Mantova, 1033. Occupa la Savoia, 1036. Gli nasce Lodovico XIV, 1090. Esalta il cardinale Mazzarino, 1114. Dà fine al suo vivere, 1119.
Lodovico XIV, re di Francia. Sua nascita, VI, 1090. Succede al padre, 1119. Sue nozze, e pace con la Spagna, 1217, 1219. Suntuosità del suo matrimonio, 1219. Manda soccorsi ai Veneziani, 1222. Garbugli da lui suscitati in Roma, 1228. Minaccia guerra al papa, 1231. Accordo fra loro, 1236. Suo genio di conquista, 1246. Si impadronisce della Franca Contea, 1248. Sua pace cogli Spagnuoli, ivi. Manda nuovi soccorsi alla repubblica Veneta, 1252. Fa rapide conquiste contro gli Olandesi, 1264. Fa desistere dalle armi Savoia e Genova, 1265. Lega contra di lui, 1267. S'impadronisce di nuovo della Franca Contea, 1269. Fa pace co' collegati avversarii in Nimega, VII, 29. Sua discordia con papa Innocenzo XI per cagion della regalia, 33. Acquista con Argentina l'Alsazia e compra Casale del Monferrato, 38, 39. Fa pubblicar quattro proposizioni dal clero di Francia contro il papa, 43. Fa maltrattare Algeri colle bombe, ivi, 49. Prende Lucemburgo, 51. Affligge colle bombe Genova, 53. E Tripoli, 56. Vieta l'esercizio della setta ugonotta ne' suoi regni, 57. Sue liti con papa Innocenzo XI per cagion delle franchigie, 64. Infierisce contra di lui, 70. Muove le armi contra la Germania, 74. E contro il duca di Savoia, 86. Fa pace con lui, 121, [1000] 122. E coi collegati, 129. Suoi maneggi per la monarchia di Spagna, 136, 145, 148. Trae al suo partito varii principi contro la casa d'Austria, 154, 172. Dichiara la guerra al duca di Savoia, 177. Sconfitto il suo esercito ad Hogstedt, 187. Abbandona tutta l'Italia, 210. Suoi trattati di pace coi collegati riescono vani, 229. Guadagna in suo favore Anna regina d'Inghilterra, 243. Suo regno ridotto in gravi miserie per la lunga guerra, 246, 247. Rapiti a lui varii principi suoi discendenti, 247. Pace stabilita in Utrecht tra lui ed altre potenze, 250. Passa all'altra vita, onorato col titolo di Grande, 267.
Lodovico XV, succede a Lodovico XIV nel regno di Francia, VII, 267. Fa guerra alla Spagna, 291. Suoi sponsali coll'infanta di Spagna, 308. Che poi è rimandata in Ispagna per la sua troppo tenera età, 323. Sue nozze con Maria figlia di Stanislao re di Polonia, 324. Muove guerra a Carlo VI Augusto, 378. Fa pace con lui ed acquista la Lorena, 419. Muove guerra alla regina d'Ungheria, come ausiliaria dell'elettor di Baviera, 474. Va all'armata in Fiandra, 541. S'impadronisce di Friburgo, 544. Tornato in Fiandra, dà battaglia agli Inglesi, 552. Prende la protezion de' Genovesi, e loro manda gente e denaro, 654. Altra campagna da lui fatta in Fiandra, 676. Sua vittoria contro gli Inglesi, ivi. Assedio di Berg-op-Zoom fatto dalle sue truppe, e presa d'esso, 677.
Lodrisio Visconte cerca presso Lodovico il Bavaro la maniera di far deporre Galeazzo dalla signoria di Milano e ritornare a repubblica la città suddetta, V, 461. È cacciato da Milano da Azzo Visconte, 544. Raduna una forte armata contro Azzo Visconte, ivi. Battaglia sulle prime a lui favorevole, 546. Resta sconfitto e prigione, ivi. Ricupera la libertà, 609.
Logioni, popoli della Germania, vinti da Probo imperadore, I, 987.
Lolliano, usurpator dell'imperio nelle Gallie, V. Eliano (Lucio).
Lolliano, prefetto di Roma sotto Valeriano, I, 881.
Lolliano (Mavorzio), prefetto di Roma sotto gli imperadori Costanzo e Costante, II, 12. Console, 68.
Lollio (Marco), aio di Caio Cesare, muor di veleno, I, 9.
Londra, città celebre, I, 222.
Longiniano (Flavio Macrobio), prefetto di Roma sotto Onorio, II, 361.
Longiniano, prefetto del pretorio sotto Onorio, II, 375.
Longino, generale di Traiano, proditoriamente [1001] preso da Decebalo re de' Daci, I, 400. Prende il veleno, 401.
Longino, insigne filosofo, I, 958. Ucciso da Aureliano Augusto, 964.
Longino fratello di Zenone Augusto, creato Cesare e console, II, 690, 691, 702. Indarno ambisce lo imperio, 706. Sua morte, 710.
Longino, generale delle armi cesaree, II, 728.
Longino esarco d'Italia all'arrivo de' Longobardi, II, 1000. Presso di lui si ritira Rosmonda dopo la morte del re Alboino, suo marito, 1015, 1016. È richiamato a Costantinopoli, 1048.
Longobardi, domati da Tiberio, I, 17. Quando si cominciasse a udire il lor nome, II, 221. Morti i lor duci, creano il primo re di lor nazione, 285, 286. S'impadroniscono della Pannonia, 831. Collegati con Giustiniano Augusto, 879. Loro liti coi Gepidi, 922, 923. Ai quali danno una grande sconfitta, 935. Rinforzo da essi dato a Narsete, 939. Dominanti nella Pannonia, e in altri siti, 973, 995. Appellati Goti, 977. Gran rotta da lor data ai Gepidi, 986. Onde prendessero il lor nome, 998. Entrano in Italia, ivi. V. Alboino e i re seguenti. Loro crudeltà ne' primi anni del regno, 1018. Paesi da lor conquistati in Italia, 1021. Fanno irruzione nelle Gallie, ivi, 1024. Sono due volte sconfitti da Mummolo generale de' Franchi, 1026. Poscia si accordano coi re franchi, 1027. Onde procedesse la lor crudeltà contra gli Italiani, 1032. Fra essi molti gentili, 1038. Eleggono re Autari, 1049. Buona lor disciplina nei paesi sudditi, 1031. Guerra lor fatta dai Greci e Franchi, 1065, 1074. Stabiliscono pace coi Franchi, 1080, 1086.
Longobardia Minore; qual fosse IV, 84. Si ribella ai Greci, 91.
Lorenzo (San), diacono, riceve la palma del martirio, I, 887.
Lorenzo I arcivescovo di Milano, II, 705. Si porta a Ravenna per ottenere dal re Teoderico soccorso contro i Borgognoni, 718.
Lorenzo II, arciv. di Milano, II, 1003, 1043. Lettera a lui diretta da Childeberto re de' Franchi, 1054.
Lorenzo, eletto antipapa contra Simmaco, II, 731. Creato vescovo di Nocera, 737. Concilio quarto romano che termina la lite fra lui e Simmaco, 744. Richiamato a Roma, rinnova lo scisma, ivi. Condannato da un concilio tenuto da papa Simmaco, 745. Sua morte, 747.
Lorenzo, arcivescovo di Cantuaria, II, 1142.
Lorenzo Tiepolo, doge di Venezia, V, 81. Sua morte, 114.
Lorenzo Celso, doge di Venezia, V, 684. Sua morte, 703.
[1002]
Lorenzo de Medici, succede a Pietro suo padre, VI, 34. Sua magnificenza, 41. Congiura de' Pazzi contra di lui, 59. Va a Napoli ed acconcia col re Ferdinando i suoi interessi, 68. Maneggia la pace fra esso re e il papa Innocenzo VIII, 93. Fa restituire al papa stesso la città d'Osimo dall'usurpatore Boccolino, 96. Ricupera Sarzana, 98. Sua morte, e suoi figli, 110.
Lorenzo Valla, celebre letterato romano: sua morte, VI, 18.
Lottario, figlio di Lodovico Pio, dichiarato imperadore, III, 511, 512. Epoca in cui si cominciò in Roma a contare gli anni del suo imperio, 523. Creato re d'Italia, 527. Altra sua epoca, 533. È coronato imperadore in Roma, 536. Va colà e vi fa buona giustizia, 543. Ordinazioni ivi da lui fatte, ivi. Stabilisce scuole di lettere pel regno d'Italia, 568. Si ribella contro il padre, 571. Malcontento se ne ritorna in Italia, 576. Di nuovo prende la armi contro il padre, 582. A lui si umilia, 590. Ambasciatori a lui mandati dal padre per ricordargli l'ubbidienza filiale e la concordia fra loro, 594. Cade pericolosamente ammalato, 595. Manca alle promesse fatte al padre, ivi. Infesta la Chiesa Romana, ivi. Fa fortificar le chiuse delle Alpi, 599. Rimesso in grazia del padre, 603. Provincie a lui toccate nella divisione fatta dal padre dell'imperio, 604. Riceve da lui la corona, la spada, lo scettro, 613. Suoi raggiri dopo la di lui morte, 614. Fa tregua co' fratelli, ivi. A fronte de' giuramenti passa la Mosa e si impossessa di Parigi, 615. Per questo e per l'armata che gli si andava crescendo s'insuperbisce, ivi. Nuova tregua da lui fatta con Carlo suo fratello, ivi. Va contro il fratello Lodovico in Vormazia, 619. Lega conchiusa fra i due fratelli Lodovico e Carlo per combatterlo, ivi. Battaglia fra loro, in cui resta sconfitta la sua armata, 620. Ambasciatori mandati a lui dal papa Gregorio IV per far cessare questa guerra fraterna, ivi. Li trattiene dall'andare a trattare co' fratelli d'accordo, 621. Torna in Vormazia, 622. Incalzato dai fratelli, dopo avere spogliato il palazzo d'Aquisgrana, si ritira a Lione, 624. Suo abboccamento con essi in un'isola del fiume Sona, in cui si giurano reciproca pace e fratellanza, ivi. Dichiarato decaduto dai fratelli stessi, ivi. Divisione del regno fatta co' fratelli, 628. Dichiara re d'Italia il suo primogenito Lodovico, 635, 637. Sdegnato contro i Romani per la consecrazione, senza il suo beneplacito, di papa Sergio II, 636. Dieta da lui tenuta co' fratelli a Teodone, 641. Ricupera la Provenza, che se [1003] gli era ribellata, 643. Suo abboccamento a Coblentz col fratello Lodovico re di Germania, 650, 651. Contra i Saraceni di Puglia manda un esercito, 653. Fa pace con Carlo Calvo, 657. È infestato da' Normanni, 661. Sua incontinenza, 668. Sua mortale infermità, 677. Suo testamento e sua morte, 678.
Lottario, figlio di Lottario Augusto, III, 662. Succede al padre nel regno di Lorena, 678. Scaccia Teotberga sua moglie, 682. Aiuta Carlo Calvo suo zio, 686. Persecuzioni di lui contra Teotberga, 692. Cede l'Alsazia a Lodovico re di Germania, ivi. Ripudia la moglie, 698. Parte della Provenza a lui toccata, 700. Manda soccorsi a Lodovico Augusto suo fratello, 716. Viene in Italia a trovare il papa, 724. Muore in Piacenza, 725.
Lottario, figlio di Ugo re d'Italia, dichiarato re e collega del padre, III, 1044. Tempo di tal dichiarazione, 1046. Suoi sponsali con Adelaide figlia di Rodolfo II re di Borgogna, 1058, 1074. Salva da un gran pericolo Berengario marchese d'Ivrea, 1081. Impetra dai principi italiani di continuare nel regno, 1099. Ma è re più di nome che di fatti, 1101. Col veleno è levato di vita, 1111.
Lottario, re di Francia. Sposa Emma, figlia di Lottario già re d'Italia, III, 1178. Nasce discordia fra lui e l'imperadore Ottone II a cagione del ducato della Lorena, 1216. Vengono ad un accomodamento, 1227. Si dichiara in favore di Teofania madre di Ottone III, 1250. A cui cede anche il regno della Lorena, 1256. Sua morte, 1258.
Lottario, duca di Sassonia, rimesso in grazia di Arrigo V Augusto, IV, 545. È eletto re di Germania, 592. Dà la Sassonia, poi la figlia in moglie ad Arrigo duca di Baviera, 595. Presta ubbidienza a papa Innocenzo II, 615. Viene in Italia, 619. Riceve la corona dell'imperio in Roma, 624. Ritorna in Germania, 625. Fa pace con Corrado di Svevia, 632. E con Federigo duca, 633. Pulsato per la sua venuta in Italia, 638. Torna in Italia con possente esercito, 639. Sue guerre ed azioni in Lombardia, 641. Espugna varie città ed entra nella Puglia, 647. Sottomette Capoa, Benevento, Salerno ed altre terre, 649. Crea duca di Puglia Rainolfo, 650. Tornando in Germania, muore, 651.
Lottario, figlio di Trasmondo conte di Segna, cardinale de' Santi Sergio e Bacco, IV, 956. Eletto papa, ivi. V. Innocenzo III.
Lottieri Rusca, cede Como al duca di Milano, V, 1005.
Lotto Gambacorta, arcivescovo di Pisa, V, 854.
[1004]
Lotto di Genova, proibito da papa Benedetto XIII, VII, 336. Si dilata per tutta l'Italia, 440.
Luca del Fiesco, cardinale, V, 283.
Luca de' Pitti, potente cittadino di Firenze, tenta di abbatter Pietro de Medici, VI, 21.
Lucano (Marco Anneo), poeta. Sua congiura contro Nerone, I, 235. Tolto di vita, 237.
Lucca, assediata da Narsete, II, 948. A cui si rende, 949. Antichità della zecca in quella città, IV, 878. Fa guerra a Pisa, 1244, 1258. Le fan guerra i Ghibellini, V, 31, 35. Co' quali si accorda, 35. Vittoria de' suoi su' Pisani, 82. Quest'ultimi se ne impadroniscono, 378. Liberata, elegge per suo signore Castruccio degli Interminelli, 388. Sue mutazioni sotto Lodovico il Bavaro, 471. Presa da' Tedeschi, 487. Venduta da Costoro a Gherardino Spinola, 492. Ceduta a Mastino dalla Scala, 529. Il quale la vende a' Fiorentini, 556. Assediata da' Pisani, 557. Che la costringono alla resa, 563. Tenta di cacciarli, ma inutilmente, 646. Ne prende il possesso Carlo IV imperadore, 715. Riacquista la libertà, 719, 726. Sua repubblica saggia e fortunata nelle ultime guerre d'Italia, VII, 707.
Lucchesi: loro discordie civili, V, 273. Fan guerra a Pistoia, 280. Assediano quella città, 300. Se ne impadroniscono, 304. La perdono, 332.
Luchino Visconte: sua nascita, V, 190. Mandato da suo padre con quattrocento cavalli in difesa di Alessandria contro i Provenzali, 406. Gli sconfigge, ivi. Imprigionato da Lodovico il Bavaro, 461. È liberato, 471. Toglie di vita Marco suo fratello, 488. Ciò che dall'Azario viene negato, ivi. Messo in fuga dall'esercito degli Scaligeri, 535. Comanda l'armata del nipote Azzo contro di Lodrisio, 545. Dà una terribile battaglia a Parabiago, in cui resta prigione, 546. Poi liberato da' suoi, ivi. Succede al nipote Azzo nel dominio di Milano, 549. Suo severo governo, 552. Congiura contro di lui, 553. Vicario del papa, 555. Aiuta i Pisani, 557. Sue belle ed utili leggi, 559. Suo preparamento per assediare Pavia, 567. Unito coi Gonzaga contro Obizzo, marchese d'Este, 572. Fa guerra a' Pisani, 575, 579. L'Estense gli cede Parma, 585. Acquista Asti, Tortona ed altri luoghi, 586, 596. Manda un gagliardo rinforzo di truppe al re Carlo IV contro Lodovico il Bavaro, 588. Magnifico viaggio di sua moglie a Venezia, 589. Fa guerra a Genova, 603. E ai Gonzaga, 604. Chiude i suoi giorni, 607.
Luciano Samosatense, scrittore ai tempi di Marco Aurelio, I, 591.
Lucifero, vescovo di Cagliari, II, 111.
Lucilla, figlia di Marco Aurelio, maritata a Lucio [1005] Vero, I, 504, 528. Sue nozze con lui, 534. Rimaritata con Claudio Pompeiano, 554. Sua congiura contro del fratello Commodo, 602. Scoperta, è relegata nell'isola di Capri, poi fatta uccidere, ivi.
Lucio Vero Augusto, V. Commodo (Lucio Ceionio).
Lucio, figlio di Agrippa, adottato da Cesare Augusto, suo avolo materno, I, 6. Sua morte, 9.
Lucio I papa, 1, 873. Suo martirio, 878.
Lucio, creato console dall'imperadore Onorio, II, 419.
Lucio II papa. Sua elezione, IV, 675. Fine del suo vivere, 679.
Lucio III papa. Sua elezione, IV, 878. Sua discordia col popolo romano, 884. Viene a Modena, e consacra la cattedrale, 887. Suo abboccamento in Verona con Federigo Augusto, 888. Termina ivi il suo vivere, 892.
Lucio Lando, conte di Svevia, capo di una compagnia di masnadieri, dà il sacco a Reggio, V, 727. Va al servigio del marchese di Monferrato, 729. Sua infedeltà, 766. Va al servigio di Antonio dalla Scala, 816. Staccato da lui da Francesco da Carrara, 819.
Lucrezia Borgia, figlia di papa Alessandro VI. Sposa Giovanni Sforza signore di Pesaro, VI, 116. Sue discordie col marito, 144. Moglie di don Alfonso d'Aragona, 158. In assenza del padre, abita le stanze pontificie, ed ha autorità di aprir le lettere, 189. Maritata con don Alfonso d'Este, 191.
Lucullo (Sallustio), governatore della Bretagna, I, 335. Fatto morire da Domiziano, 355.
Luigi, conte di Savoia, accompagna Carlo d'Angiò all'acquisto della Sicilia, V, 48, 49.
Luigi da Gonzaga, dopo la uccisione di Passerino, de' Bonacossi proclamato signore di Mantova, V, 474, 478. Fa lega contro Giovanni re di Boemia, 500, 505. Divien padrone di Reggio, 525. Tien corte bandita, 554.
Luigi, o Lodovico, re di Sicilia, succede a don Pietro d'Aragona suo padre, V, 565. Ricupera [1006] Milazzo, 583. Sua pace colla regina Giovanna, 589. Gran parte dell'isola gli è tolta da Luigi re di Napoli, 642. Fine de' suoi giorni, 652.
Luigi, principe di Taranto, sposa la regina Giovanna, V, 589, 593. Fugge a Siena, 598, 599. Indi io Provenza, 601. Dichiarato re, torna a Napoli, 602. Guerreggia poco felicemente contro gli Ungheri, 605, 606, 618. Suo accordo col re di Ungheria, 619, 625. Sua coronazione, 628. Si impadronisce di Palermo, e d'altre città della Sicilia, 642. Compra la pace dal conte Lando, 651, 652. Prende Messina, 658. Indarno assedia Catania, 663. Sua morte, e suoi costumi, 690.
Luigi Bozzuto, arcivescovo di Napoli, V, 777.
Luigi de' Casali uccide Francesco suo zio signore di Cortona, e ne usurpa il dominio, V, 949.
Luigi, marchese di Saluzzo, V, 1101.
Luigi Mocenigo, doge di Venezia, VI, 743.
Lullo, arcivescovo di Magonza, III, 293.
Luni, città presa dai Longobardi, II, 1229. Poi dai Saraceni, IV, 115. Diversa da Lucca, ivi, 116.
Luperziano, vescovo di Arezzo, III, 143, 151.
Lupicino, generale di Valente Augusto, e console, II, 162, 163.
Lupo (Furio), prefetto di Roma sotto l'imperadore Probo, I, 988.
Lupo (San), vescovo di Troyes, miracolosamente libera detta città dal furore d'Attila, II, 554.
Lupo, duca del Friuli, uomo iniquo, III, 17, 24. Valorosamente muore, combattendo cogli Unni, 25.
Lupo, duca di Spoleti, III, 238.
Lusitania, saccheggiata dagli Svevi, II, 603, 604.
Lustro, cioè descrizione de' cittadini romani, V. Censo.
Lutero (Martino), eresiarca. Suoi principii, VI, 343, 352. È condannato da Leone X, 358. Chiamato dinanzi a Carlo V, sostiene i suoi errori, 362. Terribile bando pubblicato contro di lui, ivi. Sua improvvisa morte, 577.
Luzzara: battaglia ivi fra i Gallispani e i Tedeschi, VII, 169, 170.
[1007]
Macario, patriarca d'Antiochia, favorisce i monoteliti, III, 59, 61.
Macedoniani, eretici, II, 141.
Macedonio, vescovo di Costantinopoli sotto Anastasio Augusto, II, 724. Suo cattolicismo, 760. Esiliato, per cagion d'esso, da Anastasio, 783.
Macello, o sia Macellaio, soprannome di Leone Augusto, II, 639.
Macriano (Marco Fulvio), favorito di Valeriano Augusto, I, 885, 886. Lo tradisce, 896. Sotto lo imperadore Gallieno si rivolta, 905. Proclamato imperadore, ivi, 906. Ucciso da' suoi, 909.
Macriano (Quinto Fulvio), figlio di Macriano seniore, creato Augusto dal padre, I, 906. È ucciso da' suoi soldati, 909.
Macriano, re degli Alemanni, II, 177, 180. Sua pace con Valentiniano Augusto, 190. Porta la guerra a' Franchi, ivi. Ma colto in un'imboscata, è ucciso da Mellobaude re di quella nazione, 191.
Macrino (Marco Opellio), prefetto del pretorio sotto Caracalla, I, 738. A cui fa togliere la vita, 739. Proclamato imperadore, 743. Compera la pace da' Parti, 745. Suoi costumi, 747. S'alza contra di lui Elagabalo, 750. Fugge per timore, 752. Nel viaggio è ucciso, 753.
Macrino (Vario), generale di Alessandro Augusto, I, 805.
Macro (Bebio), prefetto del pretorio sotto Valeriano, I, 891.
Macrobio, proconsole dell'Africa sotto Teodosio Augusto, II, 405.
Macrone, prefetto del pretorio sotto l'imperadore Tiberio, opprime Seiano, I, 90. Sua prepotenza, 101. Per opera di lui Caligola ottiene l'imperio, 112. Da sè stesso si uccide, 119.
Maestri delle lettere stabiliti da Lottario Augusto nel regno d'Italia, III, 568.
Maffeo ossia Matteo de' Maggi, signore di Brescia, V, 322.
[1008]
Maginfredo, duca di Milano, V. Magnifredo.
Maginfredo (Olderico), marchese di Susa, V. Manfredi.
Magna, sorella d'Anastasio imperadore, II, 735. Sposa Secondino console, 779.
Magnenzio (Magno), sua congiura in Autun contro Costante Augusto, II, 28, 29. Acclamato Augusto, 29. Suoi costumi ed azioni, 32. Sua crudeltà contro i Romani, 36. Con possente armata va nella Pannonia contro l'augusto Costanzo, 45. Da lui sconfitto in una fiera battaglia, 49. Costanzo viene in Italia con un'armata e lo obbliga a ritirarsi nelle Gallie, 52. Manda a lui ambasciatori per aver pace, ivi. Che non ottiene, ivi. Estorsioni da lui fatte colà, 54. Battaglia fra le due armate, nella quale sconfitto, scappa a Lione, 55. Toglie a sè stesso la vita, ivi.
Magnifredo, ossia Maginfredo, duca di Milano ai tempi di Berengario re d'Italia, III, 908. Gli è reciso il capo per ordine di Lamberto imperadore, 914.
Magno, uomo consolare: sua congiura contro Massimino imperadore, e sua morte, I, 818.
Magno, uomo santo, vescovo d'Oderzo, impadronitosi Rotari re d'Italia di quella città, col suo popolo si ritira in una delle isole della Venezia, e quivi fonda Eraclea, e vi fissa la sua sede, II, 1230.
Magonza, presa e saccheggiata da Randone uno dei principi Alemanni, II, 166. Metropoli una volta della Germania prima, presa e distrutta da' Vandali sotto il re Gunderico, 377.
Mainardo, vescovo di Selva Candida, IV, 282, 330.
Mainardo, vescovo di Torino, V. Mamardo.
Maiolo (San), abbate di Clugnì, rifiuta la tiara, III, 1211. Riconcilia santa Adelaide con Ottone suo figlio, 1228. Viene in Lombardia, in cui cogli esempli fa dilatare il monachismo, 1261.
Maione, abbate di San Vincenzo del Volturno, III, 860, 874, 892, 946.
[1009]
Maione, ammiraglio e favorito di Guglielmo re di Sicilia, IV, 731, 734. La fa da re, perseguitando qualunque barone siciliano a lui contrario, 741. Congiura scoppiata contra di lui, per cui rimane trucidato, 768, 769.
Maiorano, generale dell'imperadore Teodosio Augusto, II, 222.
Maioriano (Giulio), eletto imperadore d'Occidente, II, 597. Sue savie leggi, 599. Suoi sforzi per far guerra a Genserico re de' Vandali, 601. A questo fine ricorre a Leone imperadore d'Oriente per aiuto di Navi, ivi. Riescono inutili tutte le sue premure, 605. Gli è tolta la vita da Ricimere, 608.
Maiorica e Minorica, isole saccheggiate da' Vandali, II, 463.
Malatesta da Verucchio, capitano de' Bolognesi, V, 113. Cacciato da Rimini, 197. Diviene signore di quella città, 210. Vi scaccia i Ghibellini suoi nemici, 242.
Malatesta de' Malatesti, signor di Rimini, generale dell'armi pontifizie, V, 495. Fatto prigione sotto Ferrara, 511. Con gli altri della sua casa, e con rinforzi venutigli da Arezzo, dalla Marca e da Ferrara fa guerra al legato pontificio. Beltrando cardinale, 512. Le genti di Ubertino da Carrara, signore di Padova, gli danno una rotta, 554. Generale de' Fiorentini infelicemente tenta il soccorso di Lucca, 562. Perde e ricupera Fano, 566. S'impadronisce di Ancona, 605. Generale della lega contro Bernabò Visconte, duca di Milano, sue imprese, 687. Termina i suo giorni, 700.
Malatesta de' Malatesti, soprannominato l'Unghero, figlio del precedente, prende Jesi, V, 610. Succede a suo padre, 700. Sua lega contro Bernabò Visconti, 705. Accompagna a Roma il papa Urbano V, 708. Vicario imperiale in Siena, 716. Cacciato da quel popolo, 718. Fine de' suoi dì, 734.
Malatesta de' Malatesti, signor di Cesena, marita sua figlia Antonia a Giovanni Maria Visconte duca di Milano, V, 958. Fa guerra a Lodovico de' Migliorati signore di Fermo, e gli prende varii luoghi, 1000. Sua morte, 1004.
Malatesta de' Malatesti, signore di Pesaro, generale de' Fiorentini, V, 963. Fa guerra ad Ancona, 994. Sua morte, 1078.
Malatesta de' Malatesti, altro signor di Pesaro, V, 1080, 1093. Gli è tolta quella signoria dalle genti del papa, 1099. Sua morte, 1133.
Malatesta Novello, signor di Cesena, V, 1078. Con Niccolò Piccinino guerreggia contro Rimini, 1167. Va in soccorso di Sigismondo signor di [1010] Rimini, 1176. Cade in disgrazia di papa Pio II, VI, 15.
Malatesti, signori di Rimino: grave discordia fra loro, V, 315. Si pacificano, 512. V. i loro rispettivi nomi.
Malatestino de' Malatesti: suoi tentativi di guerra, V, 315. S'impadronisce di Cesena, 382. Fatto prigione dai Modenesi, 449.
Malco, vescovo longobardo. Sua morte ingiustamente attribuita a san Gregorio Magno, II, 1094.
Malloni, mandati a Roma da Costantino Pogonato imperadore, che cosa fossero. III, 68.
Malpacquet: fiera battaglia ivi fra i Franzesi e collegati, VII, 231.
Malta conceduta dall'imperadore Carlo V ai cavalieri gerosolimitani, VI, 482, 483. Assediata dai Turchi sotto Solimano, 711. Dissensioni fra i cavalieri, contro il gran maestro Giovanni della Cassiera, 787.
Maltesi: loro presa d'un galeone turco, cagione di immensi guai alla repubblica di Venezia, VI, 1130, 1136.
Malvezzo (Lucio), generale de' Veneziani, VI, 252. Sua morte, 268.
Mamardo, ossia Mainardo, vesc. di Torino, IV, 537.
Mamertino (Petronio), prefetto del pretorio sotto Antonino Pio, I, 492. Marito d'una sorella dell'imperadore Commodo, 592. Ucciso dal cognato Augusto, 620.
Mamertino, oratore sotto Massimiano Augusto, I, 1020, 1021.
Mamertino, tesoriere ed oratore sotto Giuliano Augusto, II, 104. Console, 113.
Mamertino, prefetto del pretorio dell'Illirico, dell'Italia ed Africa sotto gl'imperadori Valentiniano e Valente, II, 148.
Mammea (Giulia), V. Giulia Mammea.
Manasse, arcivescovo d'Arles, creato marchese di Trento dal re Ugo, III, 1063. Si rivolta contro il re Ugo stesso, 1098. Sua gara per la chiesa di Milano con Adelmanno, 1110. In un col competitore è forzato a rinunciare a quella dignità da' Milanesi, 1129. Sostenuto per quella cattedra da Willa, ossia Guilla, moglie di Berengario, seguita ad intitolarsi arcivescovo di Milano, 1145, 1146.
Manete, sua eresia quando avesse principio, I, 988.
Manfredi, o Maginfredo (Olderico), marchese di Susa, assediato in Asti da Arnolfo arcivescovo di Milano, IV, 112. Invita in Italia Roberto re di Francia, 146. Fonda monisteri, 164. Sua morte, 189.
Manfredi, vescovo di Mantova, suo infelice fine, IV, 545.
Manfredi, vescovo di Palestrina; sua morte, IV, 784.
[1011]
Manfredi, marchese del Carretto, accoglie e scorta Innocenzo IV, IV, 1185.
Manfredi, figlio illegittimo di Federigo II, cui lascia il principato di Taranto, IV, 1223. Difende il regno, 1224. Decade dalla grazia del re Corrado, 1231. Della cui morte è imputato, 1239. Sue liti con Borello Anglone, barone molto favorito alla corte di papa Alessandro IV, 1241. Fugge dalla corte pontifizia, 1242. Assistito dai Saraceni di Nocera, ivi. Conquista quasi tutta la Puglia, 1246, 1249. Si danno a lui la Sicilia e Terra di Lavoro, 1253, 1261. Finta la morte di Corradino, si fa coronare re di Sicilia, 1266. Sue belle doti, 1267. È scomunicato da papa Alessandro, V, 18. Sua fidanza nei Saraceni, 20. Aiuto da lui recato a' Sanesi, per cui danno una gran rotta ai Fiorentini, 21. Marita la figlia Costanza a Pietro figlio del re d'Aragona, 29. Suoi preparativi contro Carlo d'Angiò, 45, 49, 50. Fa battaglia con lui, nella quale pugna da prode, e resta morto sul campo, 56, 57.
Manfredi, ossia Manfredino da Beccheria, bandito da Pavia, V, 202. Creato signore di quella città, 206, 207. Scacciato da Filippo conte di Langusco, 269.
Manfredi, marchese di Saluzzo, fa lega con Giovanni marchese di Monferrato contro d'Asti, che prende e mette a sacco. V, 247. Aspira al dominio del Monferrato, 300. Ne occupa gran parte, 307.
Manfredi de' Pii, fatto vicario di Modena da Lodovico il Bavaro, V, 491. Sconfigge le genti del papa Giovanni XXII venute per impadronirsi di Rubbiera, 494. Sua vittoria su' marchesi estensi, 508. Stringe lega col papa, 515. Cede in fine Modena ai marchesi d'Este, 530.
Maniaco (Giorgio), generale de' Greci sotto l'imperadore Michele, conquista varie città in Sicilia, IV, 200. Disgusta i Longobardi e i Normanni, 206. Sua vittoria contro i Saraceni, 208. È condotto in ferri a Costantinopoli, 209. È rispedito in Italia, 214. Si fa proclamare imperadore, 216. È vinto ed ucciso, 218.
Manichei eretici. Leggi di Valentiniano II contro d'essi, II, 459. Scoperti in Roma, 518, 520. Cacciati dalle città, ed esclusi dalle successioni, 521, 522. Quando introdotti e scoperti in Italia, IV, 163.
Mansone, duca d'Amalfi, III, 985. Parteggia per Landolfo principe di Benevento, 1210. Degradato da suo fratello Ofenio, morto il quale, torna a regnare, 1226. Spossessa Pandolfo II del principato di Salerno, 1234.
Mansone, fratello di Giovanni duca d'Amalfi, occupa quel ducato, IV, 206.
[1012]
Mansueto (San), arcivescovo di Milano: concilio da lui tenuto, III. 53.
Mantova, con altre città acquistata da Maurizio Augusto, II, 1077. Ricuperata dal re Agilolfo, 1127. Sangue di Cristo ivi scoperto. III, 444. Suo primo vescovo, 445. Suo ducato lasciato da Vincenzo duca a Carlo Gonzaga duca di Nevers, VI, 1015. Il quale è preteso da più principi, 1016. Bloccata dall'esercito austriaco, 1029, 1036. Che porta la desolazione nel suo territorio, 1037. La prende, e vi dà un orribile sacco, 1039. Restituita al duca Carlo, 1054. Ammessovi dal duca presidio gallispano, VII, 155. Presa dagli Austriaci coll'esclusione di quel duca, 210.
Mantovani. Fanno guerra a Verona, IV, 1107. Danni loro inferiti da Federigo II, 1133. A cui si sottomettono, 1141. Se gli ribellano, 1162, 1163. Sconfitti da' Veronesi, 1164. E dal re Enzo, 1205. Prendono per loro signore Pinamonte dei Bonacossi, V, 86.
Manuello Comneno, imperadore de' Greci. Gli fa guerra Ruggieri re di Sicilia, IV, 685. Tradisce i crocesegnati, 690. Al ritorno di Terra santa accoglie il re Corrado, 694. Fa guerra al re Ruggieri, per vendicarsi dell'usurpazione dell'isola di Corfù a lui fatta, 695. Sue liti con Federigo I Augusto, 733. Rotta a lui data dai Siciliani, 753. Suoi negoziati con papa Alessandro III, 820. Aiuta i Milanesi contro Federigo Augusto, 823. Fa guerra a' Veneziani, 829, 830. Sua morte, 876.
Manuello Spinola, vescovo d'Albenga, ucciso, V, 419.
Maometto semina la sua falsa dottrina, ed è scacciato dalla Mecca, II, 1172. Sua morte, 1205. Sua sepoltura in Medina, III, 86.
Maometto II, imperadore de' Turchi, prende e saccheggia Costantinopoli, V, 1231. Obbligato a levare l'assedio di Rodi da quei cavalieri, VI, 71. Sua morte, 74.
Maometto III imperadore de' Turchi. Sua sfrenata libidine e sua morte, VI, 901.
Marca e marchesi: loro origine, III, 562.
Marca trivisana, quando formata, III, 562.
Marca d'Ancona, chiamata anche di Guarnieri, IV, 558. Quali città abbracciasse, 737, 957, 1008.
Marcantonio Colonna, V. Colonna (Marcantonio).
Marcantonio Trevisano, doge di Venezia, IV, 632. Sua improvvisa morte, 639.
Marcantonio Memo, doge di Venezia, VI, 935. Sua morte, 952.
Marcario, duca del Friuli, III, 330, 341.
Marcelliano, V. Marcellino.
Marcellino (Bebio), senatore, condannato a morte dal senato sotto Severo Augusto, I, 702.
[1013]
Marcellino, pontefice romano, I, 1037. Suo martirio, 1060. Falsamente accusato da' donatisti di idolatria, ivi.
Marcellino, prefetto del pretorio delle Gallie sotto gl'imperadori Valentiniano e Valente, II, 188.
Marcellino, tribuno nell'Africa a' tempi dell'imperadore Onorio, fatto morire da Marino, II, 423. Sant'Agostino avea dedicato a lui la sua opera della Città di Dio, scritta per le premure di lui, ivi.
Marcellino, o Marcelliano, sotto Leone Augusto occupa la Dalmazia ed altri paesi, II, 611. Sua vittoria de' Vandali, 618. Generale dell'armata occidentale contro i Vandali, 628. Da' soldati romani con frode ucciso, 630.
Marcellino, vescovo d'Arezzo, preso e fatto impiccare da Federigo II, IV, 1210.
Marcello (Eprio), scoperta la sua congiura contro l'imperadore Tito, si uccide, I, 316.
Marcello (Publio Orazio), console ed amico di Traiano, I, 398.
Marcello (Ulpio), giurisconsulto celebre, I, 509. Generale di Commodo nella Bretagna, 600. Si facea recare il pane secco e duro da Roma per mangiar meno, 601.
Marcello, romano pontefice, I, 1088. Suo martirio, 1097.
Marcello (San) Archimandrita, abbate, II, 633.
Marcello, doge di Venezia, III, 158. Sua morte, 176.
Marcello II papa. Sua creazione e morte, VI, 640.
Marchese di Caracena, governatore di Milano, VI, 1169. Fa pace col duca di Modena, 1172. Prende Trino e Crescentino, 1183. Prende la città ed il castello di Casale, e in fine la cittadella, 1184. Muove guerra al duca di Modena, 1196. Che il fa vergognosamente ritirare da Reggio, 1197. È richiamato dal suo governo, e mandato in Fiandra, ivi.
Marchesi d'Este, verisimilmente discendenti dagli Adalberti duchi di Toscana, III, 1051, 1146.
Marchesi, una volta senza apparire di quali marche, III, 1147.
Marciano Augusta, sorella di Traiano, I, 383, 433.
Marciano, prefetto di Roma sotto Onorio imperadore, II, 397.
Marciano, marito di Pulcheria Augusta, sorella di Teodosio II, eletto imperadore d'Oriente, II, 544, 545. Sue qualità, 546. Riconosciuto Augusto in Roma, 557. Fine di sua vita, 595. Sue belle doti, ivi.
Marciano, figlio d'Antemio Augusto, creato console, II, 632. Destinata a lui in moglie Leonzia figlia di Leone Augusto, 639, 641. Sua sedizione contra di Zenone Augusto, 674.
[1014]
Marciano, vescovo di Mantova, IV, 226.
Marco Agrippa, V. Agrippa (Marco Vipsanio).
Marco Elio Aurelio Antonino Vero, figliuolo di Annio Vero, che fu poi imperadore, adottato dall'imperadore Antonino Pio, I, 480. La cui figlia Anna Faustina prende in moglie, 489. Creato Cesare, ivi. Tribunizia potestà a lui conferita, 504. Succede nell'imperio ad Antonino Pio, 524. Perchè appellato Filosofo, 525. Dichiara imperadore Lucio Elio Commodo (in seguito conosciuto per Lucio Vero), 527. E lo spedisce in Oriente, 531. Gli dà in moglie Lucilla sua figlia, 534. Vittorie de' suoi generali contra de' Parti, 535, 537, 538, 539. Suo trionfo per la guerra gloriosamente compita contra i Parti, 540. Sua applicazione al governo, 542. E al pubblico bene, 543. Va alla guerra contro i Marcomanni, 548. Ingiustamente imputata a lui la morte di Lucio Vero, 552. Torna a guerreggiar co' Marcomanni, 556. Sue vittorie, 558. Soffre l'insolenza d'Erode Attico, 561. Miracolosa sua vittoria de' Quadi, 563. Accorda la pace ai Jazigi, 566. Varie nazioni a lui si sottomettono, ivi. Gli si ribella Avidio Cassio, 567, 569. Sua clemenza in questa occasione, 570. Passato in Oriente per dar sesto agli affari della Soria e dello Egitto, a Faustinopoli, città da lui fabbricata, gli è rapita dalla morte la moglie Faustina, 575. Suoi viaggi, 577. Ritorna in Italia, ed entra trionfalmente in Roma, 578, 579. Suo congiario dato al popolo romano in tale occasione, 580. Ordina che i gladiatori nelle loro battaglie adoperassero spade senza punta e senza taglio, 581. Torna alla guerra in Germania, 583. Dove muore, 589. Altre sue virtù, ivi. Deificato, e riguardato qual sacrilego chi non teneva la sua immagine in casa, ivi. Suoi libri, 591. Suoi figli, ivi.
Marco, romano pontefice, I, 1207.
Marco, tiranno nella Bretagna, ucciso, II, 378.
Marco, figlio di Basilisco, usurpatore dell'imperio io Oriente, da lui creato Cesare, II, 658.
Marco Visconte figlio di Matteo: celebre assedio di Genova da lui fatto, V, 400. Fa dichiarare Cane dalla Scala capitano generale de' Ghibellini, 403. Dà una rotta a Raimondo da Cardona, 425. Una altra a' fuorusciti milanesi, 434. Sua discordia col fratello Galeazzo, 445. Tenuto in ostaggio da Lodovico il Bavaro per avere il mantenimento de' patti fatti co' suoi, 481. Fatto generale dai Tedeschi che s'erano ribellati al Bavaro, prende Agosta, 487. Chiamato in soccorso dai Pisani, ivi. Va a Bologna e tratta col cardinal Bertrando per avere Milano, 488. Portatosi a Milano, è amorevolmente accolto dal nipote, Azzo, ivi. Viene ucciso da' suoi, ivi.
[1015]
Marco Cornaro, doge di Venezia, V, 703. Sua morte, 711.
Marco Barbarigo, eletto doge di Venezia, VI, 93. Sua morte, 96.
Marcomanni, a' tempi dell'imperadore Diocleziano, sconfiggono l'esercito romano, I, 544. Nuova guerra da essi fatta a' Romani sotto Marco Aurelio, 547, 550. Vinti dallo stesso imperadore, 557.
Marcomiro, Franco, padre del re Faramondo, II, 438.
Mardaiti, V. Maroniti.
Mare, stranamente gonfiato, inonda Alessandria in Egitto, II, 125, 152.
Margherita, regina di Sicilia, tutrice del re Guglielmo II suo figlio, IV, 796, 806.
Margherita di Borgogna passa alle nozze di Carlo d'Angiò, re di Napoli, V, 79. Solennizzate le sue nozze con gran magnificenza a Napoli, 82.
Margherita d'Austria, maritata con Alessandro de Medici duca di Firenze, VI, 516. Poi con Ottavio Farnese, 536, 539. Governatrice de' Paesi Bassi, 717. Sua saviezza, e suo ritorno a Parma, 728, 729, 785. Sua morte, 811.
Maria, figlia di Stilicone, maritata con Onorio Augusto, II, 340. Sua morte, 382.
Maria, moglie di Giovanni Orseolo doge di Venezia: sua estrema delicatezza, IV, 78, 79.
Maria, regina di Sicilia, imprigionata, V, 781. Ricupera il suo regno, 852.
Maria, sorella del re di Cipri, sposa Ladislao re di Napoli, V, 906.
Maria, vedova di Raimondo Orsino, sposa Ladislao re di Napoli, V, 944.
Maria, figlia di Alfonso re di Aragona e delle Due Sicilie, sposa Lionello marchese di Ferrara, V, 1172.
Maria, regina cattolica d'Inghilterra, succede a suo fratello Odoardo, VI, 632. Sposa Filippo po II, figlio di Carlo V imperadore, 658. Sua morte, 673.
Maria Stuarda, regina di Scozia, sposa Francesco Delfino di Francia, VI, 674. Arrigo II re di Francia sostiene i suoi diritti al trono d'Inghilterra contro Elisabetta di lei sorella, 675. Con la quale fa pace, 679. Da essa poi fatta ingiustamente morire, 815.
Maria Teresa, primogenita di Carlo VI Augusto, per la Prammatica Sanzione destinata erede degli Stati della casa d'Austria, VII, 322. Maritata con Francesco Stefano duca di Lorena, 419. Viene con esso e col principe Carlo, fratello di lui, in Toscana, 448. Va a Reggio, dov'è accolta dai marchesi estensi, ed assiste ad un'opera in musica, 450. Poi a Milano, ivi. Succede al padre nella monarchia [1016] austriaca, 466. Pretensioni di Carlo Alberto elettor di Baviera contra di lei, ivi. Il quale le occupa alcuni luoghi della Slesia austriaca; e manifesto da esso pubblicato, 472, 473. Le muove guerra il re di Prussia Federigo III, 468. Dà alla luce Giuseppe Benedetto, 474. Muove gli Ungheri alla sua difesa, 476, 477. S'impadronisce della Baviera, 486. Colla cessione della Slesia fa pace col re di Prussia, 488. Ricupera la Boemia, 490. E di nuovo perde la Baviera, 521. Dichiarata imperadrice, 549. Fa pace col re di Prussia, 551, 570. Manda in Italia un gran rinforzo di gente, 570. Indarno propone la conquista delle Due Sicilie, 613. Assaissimo irritata per la rivoluzione di Genova, 651. Sua moderazione ed altri pregi, 702, 709.
Maria Amalia, figlia di Federico Augusto re di Polonia, maritata a Carlo re delle Due Sicilie, VII, 442.
Maria Teresa Cibò, duchessa di Massa, sposata con Ercole Rinaldo d'Este, principe ereditario di Modena, VII, 483, 637.
Mariade, uno de' magistrati d'Antiochia tradisce a Sapore re di Persia la sua patria, I, 889. Dallo stesso Sapore fatto bruciar vivo, ivi.
Marina, sorella di Teodosio II Augusto. Sua nascita, li, 367. Sua morte, 536.
Mariniano, arcivescovo di Ravenna, II, 1097. Sua morte, 1132.
Marino (Publio Carvilio), centurione, proclamato imperadore nella Mesia e Pannonia a' tempi degli imperadori Filippo, I, 860.
Marino, conte, uffiziale d'Onorio Augusto, mette in rotta le truppe del tiranno Eracliano, II, 420. Spedito dall'imperadore con ampia facoltà in Africa, 423. Sue iniquità colà usate, ivi. Toglie barbaramente la vita a Marcellino tribuno e notaio, uomo di rara virtù e santi costumi, ivi. Richiamato e spogliato di tutte le cariche, ivi.
Marino, primo vescovo di Ferrara, II, 1270.
Marino, duca d'Amalfi, soccorre di vettovaglia i Salernitani assediati da' Saraceni, III, 750.
Marino papa. Sua elezione, III, 833. Assolve Formoso vescovo di Porto, 836. Suo abboccamento con Carlo Grosso Augusto, 837. È rapito dalla morte, 840.
Marino (per isbaglio Martino), conte di Comacchio, III, 825.
Marino II papa, erroneamente da alcuni detto Martino. Sua elezione, III, 1090. Chiamato a miglior vita, 1101.
Marino, duca di Napoli, III, 1096, 1193.
Marino, vescovo di Sutri, III, 1170.
Marino, vescovo olivolense, III, 1200.
Marino, arcivescovo di Capoa, IV, 667.
[1017]
Marino Morosino, doge di Venezia, IV, 1216.
Marino Giorgi, doge di Venezia, V, 351. Sua morte, 361.
Marino Faliero, doge di Venezia, V, 642. Sua congiura e morte, 650.
Mario, effimero imperadore nelle Gallie a' tempi dell'imperadore Gallieno, I, 927.
Mario, vescovo aventicense, storico, II, 1043.
Marlboroug (Curchil conte di), generale degl'Inglesi ne' Paesi Bassi, VII, 172. Sua vittoria contro i Gallo-Bavari ad Hogstedt, 187. Sua vittoria contro i Franzesi a Rameglì, 205. Altra vittoria contro i medesimi presso Odenard, 224.
Maroboduo, generale de' Germani, emulo di Arminio, prende il titolo di re, I, 55.
Maroniti, o Mardaiti, popoli del monte Libano, formidabili contro i Saraceni sotto l'imperadore Giustiniano II, III, 71. Dodici mila de' più valenti tra essi colle loro famiglie sono trasportati nell'Armenia, 72.
Marozia (Maria) moglie di Alberico marchese, da cui generò papa Giovanni XI, III, 980. Ed Alberico, che fu poi principe di Roma, 986, 998. Si rimarita con Guido di Toscana, 1029. Sue prepotenze in Roma, 1034. Fa uccidere Pietro fratello di papa Giovanni X, 1037. Imprigiona il papa stesso, ivi. Ebbe figli da esso Guido, 1051. Si rimarita con Ugo re d'Italia, 1053. Imprigionata dal figlio Alberico, 1054.
Marquardo, abbate di Prumia, III, 589.
Marquardo, marchese d'Ancona e duca di Ravenna, IV, 944. Spogliato della marca da papa Innocenzo III, 957. È cacciato dalla Marca, e si riduce in Puglia, 963. Raunato un esercito di Tedeschi e scapestrati suoi aderenti, vuole assumere la tutela di Federigo figlio di Arrigo VI, ivi. Assedia Monte Casino, dal quale è costretto a desistere, 964. Da un esercito mandatogli incontro dal papa Innocenzo III è obbligato a mostrarsi pentito, per cui è assolto dalle censure, ivi. Passa a Salerno, ove trova l'aiuto mandatogli dai Pisani, ivi. Sopra la flotta dei Pisani passa in Sicilia, ivi. Prende varie città di quella isola, 968. Si porta all'assedio di Palermo, ivi. Cerca far pace all'apparire dell'esercito pontificio colà, ma non l'ottiene, ivi. Fiera battaglia, in cui resta sconfitto, 969. Si rimette, e con Gualtieri vescovo di Troia divide il governo di quel regno, ivi. Colla caduta di Gualtieri, diviene onnipossente, 973. Sua morte, ivi.
Marsilia: colà portata la peste, vi fa strage, VII, 300, 301. E si dilata, 308.
Marsilietto Pappafava, signore di Padova, ucciso, V, 578.
Marsilio da Carrara, creato signore di Padova, la cede [1018] a Cane dalla Scala, V, 477. Sue ricchezze, 478. Fedele agli Scaligeri, alla morte di Cane, 486. Poscia infedele, 532, 535. Dà l'ingresso in Padova all'armi venete, ed è fatto signore nuovamente di quella città, 536. Termina i suoi giorni, 539.
Marsilio de' Rossi, scaccia da Parma Passerino dalla Torre, governatore pontifizio, e si fa signore di essa, V, 480. Gli è dato il dominio della città di Cremona, 497. Vicario di Lucca, 515. Cede Parma agli Scaligeri, 525. A' quali poi si ribella, 533. Si porta a Venezia, 536. Ove muore, ivi.
Marsilio Ficino, celebre filosofo, VI, 36. Sua morte, 154.
Marso Isauro, valoroso generale di Leone Augusto, spedito contro Gerserico, II, 635.
Martina, seconda moglie di Eraclio Augusto, II, 1155. Esiliata, 1227.
Martiniano (Marco), creato Cesare da Licinio Augusto, I, 1162. Ucciso da Costantino, 1164.
Martinitz (Giorgio Adamo conte di), ambasciatore dell'imperador Leopoldo: sue insolenze in Roma, VII, 125, 128. È richiamato a Vienna, 142.
Martino (San), vescovo di Tours. Sua predizione a Massimo tiranno, II, 276.
Martino, sofista, creato conte da Teodosio II Augusto, II, 463.
Martino I papa eletto. Suo concilio contro i monoteliti, II, 1244. Condanna il Tipo di Costante, e varii vescovi, 1245. Perseguitato da Olimpio esarco, 1246, 1252. Pace con lui, per cui gli viene suscitata contra una fiera persecuzione, 1253. Imprigionalo dall'esarco Giovanni Calliopa, 1255. Patimenti da lui sofferti nel lungo viaggio fatto per mare, 1256. Giugne a Costantinopoli, 1257. Calunnie contra di lui, ivi. Strapazzi indegni a lui fatti, 1259. È condotto nel Chersoneso, e patimenti ivi sofferti, 1261. Sua morte, per cui è onorato martire, ivi.
Martino, arcivescovo di Ravenna, III, 478, 496. Accoglie papa Stefano IV, 503.
Martino, abbate della Vangadizza, III, 1149.
Martino, abbate di San Genesio di Brescello, IV, 111.
Martino, vescovo d'Aquino, IV, 296, 297.
Martino Gossia, giurisconsulto: sua adulazione, IV, 750.
Martino dalla Torre, capo del popolo di Milano, IV, 1232. Obbliga l'arcivescovo e i nobili ad uscir di città, 1264. Difende Milano da' tentativi di Eccelino, V, 10, 13. Divien padrone di Lodi, 17. Manca di vita, 40.
Martino IV papa. Sua elezione, V, 141. Scomunica Michele Paleologo imperadore de' Greci, ivi. [1019] Favorisce i Guelfi, e scomunica i Forlivesi, 144. Crea conte della Romagna Giovanni d'Eppa, Franzese, ivi. Dichiara Pietro d'Aragona decaduto da' suoi regni, 163. Dà fine al suo vivere, 177.
Martino d'Aragona, re di Sicilia, V, 782. Ricupera la Sicilia, 862. Ricupera Catania a lui ribellatasi, 863. Continua ad abbassare la fazione contraria aderente al partito di papa Bonifazio IX, 869. Sua morte, 961.
Martino, re d'Aragona, dà una terribile sconfitta ai popoli della Sardegna, V, 961.
Martino V papa. Sua elezione, V, 1007. Mette fine al concilio di Costanza, 1014. Viene in Italia, 1015. Va a mettere la sua residenza in Firenze, 1019. A lui si umilia il già papa Giovanni XXIII, 1020. Fa lega colla regina Giovanna, ivi. Manda Braccio da Montone contro Bologna, 1026. Nemico alla regina Giovanna, 1027. Va a Roma, 1033. Dà aiuto a Lodovico d'Angiò, 1036. Mette pace fra i pretendenti del regno di Napoli, 1040. Protegge Lodovico d'Angiò, 1047. Sua premura di liberar l'Aquila assediata da Braccio, 1052. Sua vittoria contro esso, 1056. Ricupera Perugia ed altre città, ivi. Mette pace fra i Veneziani e il duca di Milano, 1067, 1068, 1072. Fa guerra a' Bolognesi, 1075, 1077. Ricupera quella città, 1077. Altri luoghi da lui ricuperati, 1080. Termina il suo vivere, 1084.
Martino Lutero. V. Lutero (Martino).
Martiri, chiamati una volta anche confessori, I, 604.
Marzia, concubina di Quadrato, poi di Commodo Augusto, I, 618. Onorata quale imperadrice, 621. Cospira con altri alla morte di esso Commodo, 629.
Marziale (Marco Valerio), poeta, grande adulatore di Domiziano, I, 330, 570.
Marziano, generale di Gallieno Augusto, I, 912, 931. Sua congiura contro esso imperadore, 933.
Marziano, suocero d'Alessandro Augusto, da lui creato Cesare, poi per invidia fatto uccidere, I, 774.
Mas-Aniello, capo della sollevazione di Napoli, VI, 1150. Dichiarato capitan generale del popolo, 1153. Fa una visita al vicerè, 1155. È ucciso, 1156.
Masceldel, o Mascezel, scappa dalla ribellione fatta dal fratello Gildone in Africa contro l'Augusto Onorio, e si rifugia in Italia alla corte imperiale, II, 337. Gildone gli fa uccidere due figli in vendetta, ivi. Va con una flotta contro il fratello, ivi. Si fa accompagnare in quella spedizione da molti romiti dell'isola Capraia, ivi. Secondo Paolino, confortato da un'apparizione [1020] di santo Ambrosio, 338. Sbaraglia le truppe del fratello, che fugge, ivi, 339. Torna a Milano, ove è accolto con molte carezze, 339. Fatto miseramente morire de Stilicone, ivi.
Massar, capo de' Saraceni, va in aiuto di Radelgiso principe di Benevento, III, 652.
Massenzio (Marco Aurelio Valerio), figlio di Massimiano Augusto, I, 1077. Proclamato Augusto in Roma, ivi. Rende vani i tentativi del nemico Galerio, 1084. Ricupera l'Africa, 1102. Sue enormi iniquità in Roma, 1104. Preparamenti da lui fatti contro Costantino, 1105. Sua armata da lui postata al Tevere, 1111. Nel qual fiume resta sommerso, 1113.
Massenzio, patriarca d'Aquileia, III, 561.
Massimiano (Marco Aurelio Valerio), creato Cesare da Diocleziano Augusto, I, 1013. Poi imperadore, 1015. Sue imprese contro i Germani, 1019. Sconfitto da Carausio, 1022. Crea Cesare Galerio, 1027. Sconfigge Giuliano tiranno, 1031, 1032. Vince i Marcomanni, 1049. Sua infame libidine, 1052. Depone l'imperio, 1064. Da che il figlio Massenzio fu proclamato Augusto, ripiglia la porpora, 1078. Inganna ed uccide Severo Augusto, 1082. Ricorre a Costantino, 1083. Indarno tenta di deporre Massenzio suo figlio, 1085. Ricorre a Galerio, ivi. Poi di nuovo a Costantino, 1089. Contra cui ordisce un tradimento, 1090. Altro suo tradimento, e sua morte, 1093, 1094.
Massimiano, mandato dal senato romano all'imperadore Onorio, perchè approvi la pace fatta dai Romani con Alarico re de' Goti, II, 394. Caduto in mano di essi Goti, è riscattato da Mariniano suo padre, ivi.
Massimiano, vescovo di Costantinopoli, II, 480.
Massimiliano, Austriaco, figlio di Federigo III eletto re de' Romani, VI, 93. Succede nell'imperio a suo padre, 114. Prende per moglie Bianca Maria Sforza, sorella di Gian-Galeazzo, 116. Chiamatovi da Lodovico il Moro, viene in Italia, 141. Con grande magnificenza accolto a Milano, ivi. Si porta a Genova, poi a Pisa, ivi. S'accinge all'assedio di Livorno tenuto da' Fiorentini, ivi, 142. Tenta varie imprese, ma senza venirne a capo, ivi. Torna in Germania, ivi. Muove guerra a' Veneziani, 227. Costretto ad una vergognosa pace, 228. In Cambrai si collega con varii potentati contra di essi Veneti, 229. Se gli rendono Verona, Vicenza e Padova, 239. Perde vilmente quest'ultima città, 243, 245. Le mette l'assedio, 246. Se ne ritira, 247, 248. Vende Verona al re di Francia, 252. Si stacca da' Franzesi, 280. Unito co' Veneziani caccia essi Franzesi d'Italia, 286, 287. Manda [1021] gente contro i Veneziani, 305. Sua lega con papa Leone X in difesa di Milano, 322. Difende Brescia, e cala armato in Italia, 335. Suoi inutili sforzi contro i Franzesi, 336. Sue leghe, 342. Fine de' suoi giorni, 353.
Massimiliano Sforza, dichiarato duca di Milano, entra in quella città, VI, 293. Se gli ribellano i Milanesi ed altri, 300. Ristretto in Novara, 302. Riporta vittoria de' Franzesi, 303. Ricupera le città perdute, 304. E i castelli di Milano e Cremona, 312. Ritirato nel castello di Milano, 323, 328. Cede tutto al re di Francia, ove va a dimorare, 329.
Massimiliano II, re de' Romani e d'Ungheria, manda i suoi due figli Ridolfo ed Ernesto a Madrid, VI, 704. Creato imperadore, 708. Dà fine al suo vivere, 772.
Massimiliano Emmanuele, elettor di Baviera, interviene alla liberazione di Vienna, VII, 47. Fa guerra a' Turchi, 55, 60. S'impadronisce di Belgrado, 73. Viene a guerreggiare in Piemonte, 95. Governatore di Fiandra, 150. Fa dichiarare erede del trono di Spagna da re Carlo II il suo figlio Ferdinando, ivi. Che gli muore, 154. Abbraccia il partito de' Gallispani, ivi. Occupa varie città in Germania, 174. Poco tempo dopo il Tirolo, 175. Poscia lo perde, 176. Dopo la sconfitta di Hogstedt perde la Baviera, 187. Rotta a lui data dagl'inglesi a Ramegli, 205. Assedia Brusselles, ed è costretto a ritirarsi, 224. Ricupera gli aviti suoi Stati, ma desolati, 260.
Massimino (Caio Giulio Vero), che fu poi imperadore, conosciuto la prima volta da Severo Augusto, I, 686. Milita nell'armata d'Alessandro Augusto, 811. Trama ed eseguisce la sua morte, 812. Sua fortuna da privato, 815. Proclamato imperadore, 817. Sue imprese contro i Germani, 819. E contro i Sarmati e i Daci, 821. Sua crudeltà ed avidità, ivi, 822. Gordiano creato imperadore contra di lui, 824. Roma se gli ribella, 826. Vola in Italia, 827. Mormorazioni dei soldati contra di lui, 831. Assedia Aquileia, ivi. Ove è ucciso da' soldati, 834.
Massimino (Caio Galerio Valerio), dichiarato Cesare da Diocleziano, I, 1064. Suoi vizii, 1065. Prende il titolo d'Augusto, 1088. Occupa la Bitinia dopo la morte di Galerio, 1100. Indegno trattamento da lui fatto a Valeria vedova d'esso Galerio, 1101. Sua infame libidine, 1103. Fa lega con Massenzio, 1106. Muove guerra a Licinio Augusto, 1123. In una battaglia resta sconfitto, 1125. Dopo di che, gettata vilmente la porpora, se la dà a gambe travestito da servo, 1126. Si avvelena, 1127.
[1022]
Massimino, uffiziale di Valentiniano I: sue crudeltà, II, 179, 187. Sua morte, 200.
Massimo (Lucio Appio) sconfigge ed uccide Lucio Antonio, I, 349, 350. Suo valore nella guerra co' Daci, 394, 395. Creato console, 395. Ucciso da' Parti, 427.
Massimo (Laberio): sua congiura contro Traiano, I, 412.
Massimo (Mario), scrittore della vita di Adriano Augusto, I, 477.
Massimo (Gavio), prefetto del pretorio sotto Antonino Pio, I, 492, 497.
Massimo (Claudio), maestro di Marco Aurelio, Augusto, I, 497.
Massimo Tirio, Filosofo vissuto a' tempi d'Antonino Pio, I, 524.
Massimo (Quintilio), generale in Germania sotto l'imperadore Marco Aurelio, I, 582. Ucciso da Commodo, 605.
Massimo (Caio Giulio Vero), ossia Massimino juniore, creato Cesare, I, 816. Ucciso col padre, 834.
Massimo (Valerio), prefetto di Roma sotto Valeriano, I, 881.
Massimo (Giunio), prefetto di Roma sotto gli imperadori Diocleziano e Massimiano, I, 1016.
Massimo (Artorio), prefetto di Roma sotto gli imperadori Diocleziano e Massimiano, I, 1046.
Massimo (Valerio Basilio), prefetto di Roma sotto Costantino, I, 1144, 1146, 1148, 1153.
Massimo, prefetto di Roma sotto l'imperadore Giuliano, II, 106.
Massimo Efesio, mago, maestro di Giuliano Apostata, II, 115. Chiamato da lui alla corte, 119. Dopo la morte dell'Apostata, dilegiato dal popolo d'Antiochia, 140. Condannato alla prigione dall'Augusto Valentiniano finchè avesse pagato una grossa pena pecuniaria, 148. È condannato a morte, 192.
Massimo (Magno Clemente), tiranno: sua origine, II, 241. Suoi costumi e sua ribellione, 242. Ucciso da' suoi uffiziali Graziano Augusto, 244. Pace da lui fatta con Valentiniano II Augusto, 249, 251. Fa da zelante della fede cattolica, 261. A lui da Valentiniano spedito santo Ambrosio per iscoprire i suoi disegni, 268. D'improvviso col suo esercito sbocca in Italia, 269. Occupa varie città, ed anche Roma e l'Africa, 271. Sue estorsioni e tirannie, 275. Rotta data da Teodosio Augusto alle di lui armate, 277, 278. Preso in Aquileia, e tolto di vita, 279.
Massimo, creato imperadore da Geronzio in Ispagna, II, 409. Degradato, 412. Risorge, 441. Preso ed ucciso, 448.
Massimo, sofista, creato conte da Teodosio II Augusto, II, 463.
[1023]
Massimo (Petronio), uno de' senatori romani più ricchi e potenti sotto Valentiniano III, creato console II, 484. A lui attribuita la morte di Aezio, 5?3, 575. Si vendica d'un affronto fattogli da Valentiniano Augusto con farlo uccidere, 575. Si fa proclamare Augusto, 577. Gli è tolta la vita dall'infuriato popolo, 579.
Massimo (San), vescovo di Torino, II, 548.
Massimo, vescovo di Salona, II, 1111.
Massimo (San), abbate: sua disputa con Pirro, II, 1237. Condotto prigione a Costantinopoli, 1260. Gli vien tagliata la lingua per ordine di Costante Augusto, 1266. Passa a miglior vita, 1273.
Massimo, patriarca gradense, II, 1245.
Massimo, vescovo di Pisa, III, 152.
Mastaro, duca d'Amalfi, III, 1039.
Mastaro II, duca d'Amalfi, III, 1189.
Mastino dalla Scala, signore di Verona, V, 16, 36. Scaccia da quella città Lodovico conte di San Bonifazio, 40. Maggiormente assoda ivi la sua signoria, 85. Ucciso da' congiurati, 125.
Mastino dalla Scala, marito di Taddea da Carrara, V, 477. Succede a Cane nella signoria di Verona, 486. Assedia indarno Brescia, 496. Fa lega contro Giovanni re di Boemia, 500. Si impossessa di Brescia, 506. Sconfitta da lui data all'armata pontifizia, 511. Fa guerra a varie città, 519. Divien padrone di Parma, 525. E di Lucca, 529. Sua alterigia, 531. Guerra a lui mossa da' Veneziani e Fiorentini, 532. Mette in fuga l'armata de' collegati, 535. Perde Padova e Brescia, 536, 637. Uccide il vescovo di Verona, 540. Sua pace co' Veneziani, 542. Sottopone al papa i suoi Stati, 550. Gli è tolta Parma, 555. Vende Lucca a' Fiorentini, 556. Marcia in danno de' Mantovani, 604. Dà fine al suo vivere, 625.
Matasunta, figlia d'Amalasunta, costretta a prendere per marito il re Vitige, II, 866. Congiura contra di lui, 875. Maritata con Germano nipote di Giustiniano Augusto, 889.
Materno, capo de' sediziosi sotto Commodo nelle Gallie e nelle Spagne: sue imprese, I, 612. È giustiziato, 613.
Matidia, nipote di Traiano; porta a Roma le ceneri dell'Augusto zio, I, 433. Ebbe il titolo di Augusta, 446, 447.
Matilda, figliuola d'Ottone I, Augusto, badessa quindiliuburgense; sua morte, IV, 36. A lei avea lasciato Ottone il governo del regno alla sua venuta in Italia, ivi.
Matilda, contessa, figlia di Bonifazio e Beatrice marchesi di Toscana. Sua nascita, IV, 234. Perde in tenera età il padre, 256. Erede di [1024] tutti gli Stati del padre, 270. Data in moglie a Gotifredo il Gobbo duca di Lorena, 341. Atti del suo dominio in Toscana, 353, 357, 358. Resta vedova, 372. Accoglie papa Gregorio in Canossa, 377. Suo esercito sconfitto, 400. Lucca le si ribella, 403. Suoi Stati in Lorena, 408. Guerra a lei fatta dal re Arrigo IV, 411. Assedia Nonantola, 416. Le è di nuovo mossa guerra dal re Arrigo, 421. Il cui esercito resta sconfitto, ivi. Suo matrimonio con Guelfo V d'Este, 439. Mantova, sua città, assediata dall'armi del re Arrigo, 444. È presa con altre terre, 446, 447. Rifiuta la pace, 452. Suo divorzio con Guelfo V, 465. Libera Nogara dall'assedio, 468. Sua gloria per aver liberato l'Italia dall'armi d'esso Arrigo IV Augusto, 472, 473. Sue dissensioni col re Corrado, 489. Ricupera Ferrara, 492. Dona i suoi Stati alla Chiesa romana, 498. Si accorda col re Arrigo V, 524. Che va a visitarla, 534. Ricupera Mantova, 546. Fine de' suoi giorni, 547.
Matteo Rosso degli Orsini, cardinale, nel conclave radunato dopo la morte di Niccolò III si oppone perchè non sia eletto un papa franzese, V, 140. Alla morte di Niccolò IV si fa capo del partito affezionato a re Carlo di Napoli, 218. Esce incontro a papa Bonifazio VIII, che torna a Roma dopo le soperchierie sofferte in Anagni da un emissario di Filippo il Bello re di Francia, 284. Protegge papa Benedetto XI, contro gli altri cardinali, 290. Capo del partito italiano nell'elezione di papa Clemente V, 295.
Matteo Visconte: principio di sua grandezza, V, 172. Sue doti e sua figliolanza, 190. Come signore di Vercelli, 207. Cresce in potenza, 219. Creato signor di Novara, 224. E vicario della Lombardia, 231. Sua guerra coi Torriani, 237. Perde il dominio di Bergamo, 247. Gli sono tolte altre città, 263. Magnifiche nozze di Galeazzo suo figlio con Beatrice sorella di Azzo VIII marchese d'Este, 268. S'impadronisce di Bergamo, 273. Perde gli Stati, e va ramingo, 278. Tenta di ritornare in Milano, ma indarno, 287. Sue saggie risposte intorno al suo Stato, 328. Ben ricevuto da Arrigo VII re de' Romani, 338. A cui si mostra fedele, 343. Fa guerra a Pavia, 357. E a Vercelli, ivi. Abbatte Alberto Scotto già signor di Piacenza, ed altri vicini, 368. Fabbrica sul Po il castello detto da lui Ghibellino, 384. Divien padrone di Pavia e d'altre città, 385. Abbatte Giberto da Correggio signor di Parma, 389. S'intitola signor di Milano, 399. Ricupera, poscia restituisce alla chiesa di Monza [1025] il suo tesoro, 409. Scomunicato da papa Giovanni XXII, 411. Acquista Vercelli, 418. Guerra a lui mossa dallo stesso papa e dal re Roberto, 420. Il cardinale Bertrando dal Poggetto con gran solennità fulmina tutte le maledizioni di Dio e pubblica e conferma tutte le scomuniche e gl'interdetti contra di lui, 424, 425. Battaglia tra lui e Raimondo da Cardona, generale del papa e del re Roberto, in cui questo ultimo resta pienamente sconfitto, 425. Declinazione di sua fortuna, morte e figliuolanza, 427.
Matteo de' Maggi, V. Maffeo.
Matteo d'Acquasparta, cardin., mandato da papa Bonifazio VIII governatore della Romagna, V, 269.
Matteo II Visconte, nipote di Luchino, V, 552. Succede in parte agli Stati di Giovanni suo zio, 639. Sua morte e suoi difetti, 649.
Matteus, ammiraglio inglese, si batte contro la flotta gallispana, VII, 555. Rimane indecisa la vittoria, ivi. È richiamato a Londra, ed è sottoposto a rigoroso processo, 556.
Mattia Corvino, re d'Ungheria. Suo matrimonio, con Beatrice, figlia di Ferdinando re di Napoli, VI, 50. Sua morte, 107.
Mattias arciduca, coronato re d'Ungheria, VI, 922. E di Boemia, 934. Suo matrimonio con l'arciduchessa Anna figlia del già arciduca Ferdinando, ivi. Eletto imperadore, 935. Fa incoronar l'arciduca Ferdinando re di Boemia, 965. La quale se gli ribella, 970. Passa all'altra vita, 971.
Mauricione, duca di Perugia, V. Maurizio.
Mauringo, o Moringo, conte di Brescia, III, 538. Creato duca di Spoleti, 548.
Maurizio, autore delle sedizioni in Africa sotto lo imperadore Massimino, I, 823.
Maurizio, figlio di Mundone, o Mondo, Unno, generale bravissimo di Giustiniano imperadore, II, 862.
Maurizio, generale dell'armi di Tiberio Augusto, II, 1035. Dichiarato Cesare ed imperadore, succede ad esso Tiberio, 1044, 1045. Maltrattato dagli Unni Avari, 1047. Muove i Franchi contro i Longobardi, 1052, 1057, 1073. Ricupera alcune città in Italia, 1077. Infelice suo governo, 1096. Cade infermo con pericolo della vita, 1102. Sua lagrimevole fine, 1120. Suoi difetti e sue virtù, ivi.
Maurizio ossia Mauricione, o Mauritione, duca di Perugia, si ribella al re Agilolfo, II, 1086. Dal quale è ucciso, 1090, 1111.
Maurizio, vescovo d'Altino, II, 1230.
Maurizio, nobile d'Eraclea, doge di Venezia, III, 286. Gli è nominato a collega il figlio Giovanni, 337. Sua morte, 366.
Maurizio, figlio di Giovanni doge di Venezia, III, 438. Ribellatisi i nobili, eleggono in Trivigi Obelerio [1026] in doge, per cui fugge, e si ritira in Francia, ove muore, 446.
Maurizio, arcivescovo di Braga, soprannominato Burdino, corona Arrigo V Augusto, ed è scomunicato da papa Pasquale II, IV, 557. È creato antipapa dall'imperadore Arrigo, 563. Preso da papa Callisto II, muore in prigione, 580.
Maurilio, conte di Nassau, figlio di Guglielmo principe d'Oranges, succede a suo padre, VI, 797. Generale delle Provincie Unite, sue imprese, 839, 841, 843, 848, 852, 866, 867, 889, 894, 900, 903, 905, 916, 920.
Maurizio, cardinale di Savoia. Guerra da lui fatta contro la duchessa Cristina reggente, VI, 1085, 1092, 1095, 1097, 1105. Fa pace con essa, 1111. Sposa la nipote Maria Luigia, ivi. Resta ucciso in battaglia, 1133.
Mauro, arcivescovo di Ravenna, II, 1245. Si ribella al papa Vitaliano, III, 26. Sua morte, 40, 65.
Mavorzio, generale sotto l'imperadore Valentiniano III, spedito in Africa contro Bonifazio conte, governatore di quella regione, II, 469.
Mazzarino (Giulio), cardinale: principio di sua fortuna, VI, 1029. Stabilisce tregua fra il duca di Savoia e i Franzesi, 1043. E la pace sotto Casale, 1046. Trattato da lui maneggiato fra il duca di Savoia e i Franzesi, 1049, 1050. Nunzio straordinario del papa Urbano VIII a Parigi, 1073. False dicerie contro di lui, 1090. È promosso alla sacra porpora, 1110. Sua esaltazione nella corte di Francia, 1114. Protegge i Barberini contro il papa, 1135. Sua infelice spedizione contro Orbitello, 1139. Con altra si impadronisce di Piombino e dell'Elba, 1141. Per l'odio contra di lui guerra civile in Francia, 1172. Trionfa de' suoi emuli, 1188. Sua magnifica funzione in Parigi, 1214. Allontana dalla corte la nipote Maria Mancini, 1216. Fine di sua vita, e sue mirabili qualità, 1224.
Meati, popoli feroci della Bretagna, I, 708.
Mebaraspe, re dell'Adiabene, soggiogato da' Romani, I, 424.
Mecca: luogo della nascita, non della sepoltura di Maometto, III, 85, 86.
Mecenate, favorito d'Augusto, 1, 2.
Mecezio, o Mizizio, usurpa l'imperio in Sicilia, II, 30. Trucidato da' Greci, 32.
Meciano (Lucio Volusio), valente giuriscousulto, I, 526.
Medici, stabiliti in Roma per servigio de' poveri da Valentiniano I imperadore, II, 170.
Medici (Giovanni de), creato cardinale, VI, 104. È costretto fuggir da Firenze per una ribellione di popolo contro il fratello Pietro, 123. Legato del papa nell'armata spagnuola, 273. Nella battaglia [1027] di Ravenna resta prigione de' Franzesi, 283. È aiutato a fuggire, 288. Rimesso co' suoi in Firenze, 292. È creato papa, 298. V. Leone X.
Medici (Caterina de), V. Caterina de Medici.
Medici (Giulio de), cugino di papa Leone, creato cardinale, VI, 317. Per opera sua ricacciato da Urbino Francesco Maria della Rovere, 347. Comanda in Firenze, 355. Va per legato all'armata contro i Franzesi, 368. È eletto papa, 398. V. Clemente VII.
Medici (Giuliano de), fratello di papa Leone X, suo illustre matrimonio, VI, 319. Sua immatura morte, 332, 333.
Medici (Lorenzo de), generale de' Fiorentini, VI, 322. Creato duca d'Urbino, 334, 345. Sue suntuose nozze in Francia, 351. Vien rapito dalla morte, 355.
Medici (Gian-Giacomo), marchese di Marignano, occupa Chiavenna, VI, 413. S'impadronisce di Monguzzo, 445. Passa al servigio dell'imperadore Carlo V, 544, 578. Generale delle armi cesaree contro Siena, 634. Riporta una vittoria su' Franzesi, 636. Sua crudeltà, e presa, di Siena, 642, 643. Sua morte, 645.
Medici (Alessandro de), figlio bastardo di Giuliano Juniore, VI, 418. Dichiarato dall'imperadore Carlo V capo detta repubblica fiorentina, 480, 485. Va a Firenze, 485. Dichiarato duca, 490, 503. Congiura contra di lui sventata, 510, 511. Sposa Margherita d'Austria, 616. È ucciso, 529.
Medici (Ippolito de), cardinale, VI, 464. Miserabile sua morte, 505, 511.
Medici (Cosimo de), dichiarato capo della repubblica fiorentina, VI, 530, 531. Dichiarato duca di Firenze, 541. Sue nozze con donna Leonora di Toledo, ivi. Ricupera le cittadelle di Firenze e di Livorno. 559. Fa guerra a Siena, 633. Sua vittoria contro i Franzesi, 636. Acquista Siena, 657, 680. A lui rapiti dalla morte due figli, 699. Cede il governo a Francesco suo figlio, 708, 709. Dichiarato gran duca da Pio V, 739. Termina la sua vita, 761.
Medici (Francesco de), figlio del duca Cosimo. A lui rinunziato dal padre il governo, VI, 708, 709. Sue nozze con Giovanna d'Austria, 713. Succede al padre, 762. Riconosciuto per gran duca dall'imperadore Massimiliano II, 768. Sposa Bianca Cappello, 780. Sua morte, 813.
Medici (Ferdinando de), cardinale, succede a Francesco suo fratello nel gran ducato, VI, 814. Sue nozze con Cristiana di Lorena, 827. Marita la nipote Maria col re di Francia Arrigo IV, 886.
Medici (Maria de). Sue nozze con Arrigo IV re di Francia, VI, 886, 887. [1028] Melania (Santa). È chiamata a Costantinopoli da Volusiano suo zio paterno, che converte alla fede di Cristo, II, 489. Onori che riceve da Eudocia imperadrice, 499.
Melchiade, romano pontefice, I, 1097. Sua morte, 1129,
Melchiore, vescovo di Tortona, V, 171.
Mella (Anneo), fratello di Seneca, fatto morire da Nerone, I, 240.
Mellobaude, re de' Franchi, II, 191. Va al servizio de' Romani, 207, 244.
Melo, potente cittadino di Bari, fa ribellar la Puglia da' Greci, IV, 91. Fugge dalla loro ira, 92. Gli sconfigge coll'aiuto dei Normanni, 119. Riceve da essi una rotta, 124, 125. Ricorre ad Arrigo I Augusto, 125. Tempo di sua morte, 129.
Memmia figlia di Supplizio console, moglie d'Alessandro Augusto, I, 774, 781.
Menna, patriarca cattolico di Costantinopoli, II, 862. Sua morte, 944.
Meonio, cugino d'Odenato imperadore in Oriente, I, 929.
Mercy (conte di), maresciallo, generale dell'armi cesaree in Sicilia, VII, 292, 299. E in Italia, 387. Lascia la vita nella battaglia sotto Parma, 392.
Merobaude (Flavio), generale di Valentiniano I Augusto, II, 195, 197. Creato console, 199, 238. Comanda le truppe di Graziano imperadore contro il tiranno Massimo, 243. Sua morte, 247.
Meroboduo, re de' Marcomanni, V. Maroboduo.
Meroveo, il più giovane figlio di Clodione re dei Franchi, II, 483. Coll'aiuto di Aezio succede al padre, 551, 555. Sua morte, 594.
Mesia, poi appellata Bulgaria, II, 756.
Messalina (Valeria), moglie di Tiberio Claudio imperadore, I, 147. Seduttrice del marito, 149. Vende le grazie e le cariche, 155. Sua infame lussuria, ivi. Sue iniquità, 169. Con incredibile sfacciataggine sposa Caio Silio, 172. Perciò uccisa, 176.
Messalina (Statilia), moglie di Nerone, I, 240.
Messi regii spediti a far giustizia. III, 495, 504.
Messina: sua ribellione, VI, 1263, 1270. Come terminasse, VII, 26. Presa dall'armi imperiali, 293.
Messinesi, si ribellano a Carlo d'Angiò re di Napoli, V, 150. Determinano di morire colla spada alla mano: loro memorabile difesa, 151, 152. (V. Siciliani.)
Metiano (Volusio), giurisconsulto celebre, I, 509.
Metrodoro, filosofo persiano, I, 1210.
Metz, città devastata da Attila, 11, 553.
Michele Arcangelo (San), protettore de' Longobardi, II, 1247.
Michele Curopalata, imperadore de' Greci, III, 477. Carlo Magno spedisce ambasciatori per confermar [1029] la pace con lui, 400. Deposto, prende per forza l'abito monastico, 404.
Michele Balbo, creato imperadore de' Greci, III, 526. Angelo Particiaco doge di Venezia a lui manda ad ambasciatore il nipote Angelo, 532. Suoi ambasciatori presentati a Lodovico Pio in Roano, 548. Dà a Giustiniano Particiaco, doge di Venezia, il titolo di consolo imperiale, 561. Sua morte, 566.
Michele, imperadore de' Greci, succede a Teofilo suo padre, III, 624. Amareggiato contro Lodovico II Augusto, 667. Scaccia santo Ignazio patriarca dalla sede di Costantinopoli, e pone in sua vece Fozio, 683. È ucciso, 714.
Michele, re de' Bulgari, abbraccia la religione cristiana, III, 708.
Michele, duca della Schiavonia, III, 983.
Michele Paflagone, imperadore de' Greci, IV, 198. Abulafar Saraceno a lui ricorre per aiuto contro il fratello, 200. Manda un catapano al governo della Puglia e Calabria, 210.
Michele Calafata, imperadore de' Greci, IV, 210.
Michele Duca, imperadore de' Greci, IV, 375, 390.
Michele Paleologo, imperadore de' Greci, toglie Costantinopoli ai Latini, V, 31. Collegato coi Genovesi, 38. Suoi ambasciatori al concilio di Lione per la riunione delle due Chiese greca e latina, 105. Scomunicato da papa Martino IV, 141.
Michele Morosino, doge di Venezia, V, 792.
Michele Steno, doge di Venezia, V, 895. Riceve i due Carraresi, che dimandano a lui e alla repubblica misericordia e grazia, 939. Sua morte, 988.
Michele, re di Polonia. Sua vergognosa pace coi Turchi, VI, 1266.
Michele Angelo de' Conti, cardinale, eletto papa, VII, 306. V. Innocenzo XIII.
Milanesi: loro sedizione contro Landolfo arcivescovo, III, 1273, 1274. Sconfiggono i Pavesi, IV, 518, 618. A cagione di Crema entrano in guerra co' Cremonesi, 630. Con loro danno combattono co' Cremonesi, 637. Accolgono Lottario Augusto, 941. Rotta loro data da' Pavesi, 643. Sconfiggono l'armata cremonese, 665. Rotti anch'essi da' Cremonesi, perdono il carroccio, 700. Querele de' Lodigiani contra di loro, 712. Sprezzano una lettera del re Federigo I, ivi. Loro battaglia co' Pavesi, 718. Alterigia d'essi, 719. Contra di loro Federigo comincia le ostilità, 721. Rifabbricano Tortona, 732. Sconfitti da' Pavesi, ivi. Altra loro battaglia co' Pavesi, 738. Messi al bando dell'imperio da Federigo Augusto, 745. Che assedia la loro città, 747. Condizioni colle quali ottengono [1030] pace, 748, 749. Nuova rottura fra essi e Federigo Augusto, 757. Prendono Trezzo, 758. Torna esso Federigo a far loro guerra, 765, 766. Varii fatti d'armi fra loro, 766. È assediato Milano, 771. Si rende quel popolo a Federigo, 775. Evacuata, e poi data a sacco la città, ivi. Viene poi smantellata, 776. Infelicità di quel popolo, 785, 795. Fanno lega contro Federigo, 802. Rientrano in Milano, 803. Di nuovo fa loro guerra Federigo, 812. Rifabbricano Milano, 823. Continuano a rifare e maggiormente ampliare la loro città, 827. Danno una rotta al marchese di Monferrato, 833. Co' collegati sconfiggono Federigo imperadore, 853. Ottengono da lui un vantaggioso diploma, 890. Sconfitta da loro data a' Cremonesi, 934. Sbaragliati da' Pavesi, 971. A' quali tolgono Vigevano, 975. Danno una rotta a' Cremonesi, 1002. Da' quali poi restano fieramente sconfitti, 1019. E di nuovo da' Pavesi, 1020. Poi da' Cremonesi, 1037. Insorge guerra civile fra loro, 1051, 1057. Pace ed unione d'essi, 1068. Alieni d'animo verso Federigo II Augusto, 1069. Loro lega colle città lombarde, 1072. Fanno guerra al Monferrato e ad Asti, 1097. Inducono Arrigo re, figlio di Federigo II, a ribellarsi al padre, 1119. Loro battaglia co' Cremonesi, 1121. Fanno fronte all'armata di Federigo, 1134. Da cui sono messi in rotta colla perdita del carroccio, 1143, 1144. Lo pregano di pace, e non la ottengono, 1146. Fanno guerra a Pavia ed a Bergamo, 1149. Vanno a fronte di Federigo, 1159. Guerra civile fra loro, 1171. Mettono a ferro e fuoco il distretto di Como, 1174. Si difendono dall'Augusto Federigo, 1190. Costringono Lodi a rendersi, 1225. Guerra civile fra i nobili e il popolo, 1245, 1258. Sono cacciati di città i primi, 1264. Vanno sotto Lodi, da dove scacciano i nobili fuorusciti e se ne impossessano, V, 17. Prendono per loro signore Oberto Pelavicino, 18. Poi Filippo dalla Torre, 40. Indi Napo dalla Torre, 54. Si sottomettono a Carlo I re di Sicilia, 86. Danno la loro signoria ad Ottone Visconte arcivescovo, 123. Dopo la morte di Filippo duca si mettono in libertà, 1199. Creano loro generale Francesco Sforza, 1191. Trattano di concordia co' Veneziani, 1198. Loro discordie, 1205. Fanno accordo co' Veneziani, 1211. Si rendono a Francesco Sforza, 1216.
Milano, città ripresa da' Goti con orrido sacco e macello de' cittadini, II, 878. Con altre città occupate da Alboino re de' Longobardi, 1002. Suoi arcivescovi stabiliscono in essa la loro sedia, 1229. Maltrattata da Lamberto imperadore, III, 913. Città aderente ad Arrigo I Augusto, e perciò [1031] nemica di Pavia, IV, 99. Suo arcivescovo precede a quel di Ravenna, 158, 236. Guerre civili ivi insorte fra i signori e i loro valvassori, 184, 186. Assediata da Corrado I Augusto, 192. Guerra civile ivi insorta fra i nobili e la plebe, 211, 213, 216. Rimessa la pace fra loro, 220. Guerra di quel popolo co' Pavesi, e vittoria, 293, 294. Scisma ivi per l'incontinenza degli ecclesiastici, 294. Simonia del suo arcivescovo, 295. Ravveduti per opera di san Pier Damiano, ivi. A poco a poco acquista la libertà, 331. Fieri incendii in essa, 346, 366. Il suo popolo dà una rotta a' Cremonesi, 525. S'impadronisce di Lodi, e lo distrugge, 536. Prende e saccheggia Como, 568. Poi fa guerra a quel popolo, 573. Finalmente prende Como, 599. Fa guerra a Crema ed a Pavia, 608. Cessa in essa la signoria di Matteo Visconte, V, 279. Ne torna signore Guido dalla Torre, 312, 322. Ne prende il dominio Arrigo VII re de' Romani, 339. Di colà fuggono i Torriani, 344. Suo vicariato conceduto a Matteo Visconte, 348. Rivoluzioni in essa, 430. Che è assediata dall'esercito pontifizio, 438. Difesa e liberata, 439. Elettovi vicario Azzo Visconte, 485. Si sottomette a Lodovico XII re di Francia, VI, 156. Si ribella, 161. Torna alla di lui obbedienza, 162. Assediata da' cesarei e pontifizii, 369. E presa, ivi. Afflitta dalla peste, 407, 770. Entrano in quella città l'armi di Francesco I, ivi. Incredibili miserie di quel popolo, 423, 430, 445, 456. Varie sue vicende alla morte del duca Francesco Sforza, 514. Decade a Carlo V, 515. Ricuperata da' cesarei con altre città, VII, 203. Suo stato occupato da' Gallo-Sardi, 379, 386. Restituita all'imperadore Carlo VI, 42. Occupata dagli Spagnuoli, 567. E da essi abbandonata, 573.
Milizia: quando in auge per l'Italia, V, 899.
Milone, conte di Verona, vendica la morte di Berengario imperadore, III, 1019. Dà quella città ad Arnolfo duca di Baviera, 1060. Si rivolta contro il re Ugo, 1098.
Milone, vescovo di Padova, IV, 427.
Milone da Cardano, arcivescovo di Milano, IV, 906.
Milone, vescovo di Beauvais; viene in Italia con truppe in aiuto di papa Gregorio IX contro l'imperadore Federigo II, IV, 1094. Dallo stesso papa gli è dato il governo di Spoleti e della marca d'Ancona, ivi. Al ritornarsene poscia in Francia è spogliato d'ogni avere da' Longobardi, ivi.
Milonia (Cesonia), moglie di Caligola, I, 122, 136.
Mimi: loro uffizio ne' funerali, I, 317.
Minchione, onde nata questa parola, IV, 285.
[1032]
Minervina, prima moglie di Costantino il Grande, e madre di Crispo, I, 1083.
Minolfo, duca dell'isola di San Giulio (nel lago di Omegna nella diocesi di Novara), ucciso dal re Agilolfo, II, 1084.
Minori: loro ordine quando istituito, IV, 1029. Frullo delle loro prediche, 1115.
Minorica, occupata dagl'Inglesi, VII, 309.
Minuciano o Viniciano (Marco Annio), congiurato contro Caligola, II, 138, 151. Leva a sè stesso la vita, 152.
Mirandola, assediata da papa Giulio II, VI, 260. E presa, 262. Vien ricuperata dal Trivulzio, 267. Bloccata da' papalini, 611. Occupata da' Tedeschi, VII, 160. Presa da' Franzesi, 192. Venduta a Rinaldo duca di Modena dall'imperadore, 234. Assediata e presa dagli Spagnuoli, 410, 411. Assediata e presa dagli Austro-Sardi, 499.
Misecone, duca di Polonia, va in aiuto dell'Augusto Ottone III, III, 1258.
Miseno, vescovo, rimesso in grazia della Chiesa, II, 724.
Misiteo, suocero di Gordiano III Augusto, I, 841. Mette sul buon cammino il genero, ed è creato prefetto del pretorio, ivi. Sua militar disciplina, 843. Muore in Oriente, 846.
Mitridate, re dell'Armenia, I, 105. Mandato in esilio da Caio Caligola, 132. Messo in libertà da Tiberio, che gli restituisce il regno, 147.
Mitridate, re del Ponto, fatto morire da Galba, I, 259.
Mittola, o Micola, conte di Capoa, III, 13.
Mizizio, V. Mecezio.
Mnasea (Settimio), prefetto di Roma sotto l'imperadore Costanzo, II, 51.
Mnesteo, segretario d'Aureliano: sua furberia per far assassinare il suo padrone, I, 975.
Mnestore, istrione, drudo di Messalina Augusta, I, 155, 156. Statue da lei innalzate in suo onore, 159. Desiderato dal popolo in teatro, 165. Fatto morire, 175.
Moatz, luogo in Ungheria, ove le armi cesaree, sotto la condotta di Carlo di Lorena, e Massimiliano elettor di Baviera, diedero una potente rotta ai Turchi, VII, 68.
Modare, generale di Teodosio Augusto, II, 222, 223.
Modena, ricuperata con altre città dall'armi di Maurizio Augusto, II, 1077. È distrutta interamente dal fuoco, IV, 693. Sforzo de' Bolognesi contra essa, V, 299. Si ribella al marchese di Este, 302. Sue guerre civili, 311. Passerino signore di Mantova, ne acquista il dominio, 359. Sua signoria data a Francesco della Mirandola, 401. Torna sotto il dominio di Passerino, 407. [1033] Suo accordo col cardinale Beltrando, 490. Riceve il presidio del Bavaro con suo gran danno, ivi. Si rende all'armi del papa, VI, 255. Depositata in mano dell'imperadore, 256, 262. Che la vende a papa Leone X, 316. Ricuperata da Alfonso duca di Ferrara, 442, 484. Occupata da' Gallispani unitamente a Reggio, VII, 169. Ricuperate queste due città dal duca Rinaldo, 204, 205, 209. Di nuovo occupate da' Franzesi, 394. E restituite, 422. La cittadella prima assediata dagli Austro-Sardi, 497. Che si rende, 499.
Modenesi: loro liti co' Bolognesi, IV, 618. Da' quali sono sconfitti, 671, 672. Fanno lega co' Parmigiani, 704. Messi in rotta da' Reggiani, 976. Pace fra essi, 980. Guerra loro mossa da' Bolognesi, 983, 987, 1081, 1127. Li mettono in isconfitta, 1086, 1090, 1160, 1203. Da' quali sono loro tolte varie castella, 1207. Gran rotta ad essi ed al re Enzo data da' Bolognesi, 1211. Che forzano la loro città alla resa, 1212. Maltrattati dalla loro prepotenza, 1265. Cacciati dalla loro città i Ghibellini, V, 47. Co' quali fanno guerra, 64. Guerra loro co' Bolognesi, 94, 98. E civile fra essi, 108, 118, 172, 185, 190. Prendono per loro signore Obizzo marchese d'Este, 197. Raimondo d'Aspello, marchese d'Ancona, assassinato da alcuni di loro, 371. Loro vittoria nella battaglia co' Bolognesi, 449. Loro fanno guerra l'armi pontifizie, 453. Si ribellano a Passerino, 459. Sconfiggono le genti pontifizie, 494. Si danno al re di Boemia, 500. Difendono la loro città contro gli Estensi e collegati, 508. Rotta da loro data agli Estensi stessi, ivi. Niccolò d'Este loro toglie varie terre, 526. A' quali poi si rendono, 530.
Modestino, insigne giurisconsulto, I, 771.
Modesto, patriarca di Gerusalemme, II, 1206.
Molinos (Michele), suoi libri e sua setta condannati, VII, 66, 67.
Monache: loro antichissimi monisteri e badesse, II, 1002. Vietato loro il tornare al secolo e maritarsi, III, 166. Proibito alle vedove farsi monache prima che sia passato l'anno della morte del marito, 171.
Monachismo, ristabilito in Italia, III, 67. Sua corruzione nel secolo decimo, 1078. Risorge per gli esempli di Maiolo abbate di Clugnì, 1261.
Monaci: introducono in Europa la fabbrica della seta, II, 931.
Monarchia di Sicilia, che sia, IV, 478.
Monasio, prefetto del pretorio d'Oriente sotto l'imperadore Teodosio II, II, 437. Caccia da tutte le città dell'imperio gli eretici pelagiani e celestini, ivi. Creato console, 439.
[1034]
Mondo, V. Mundone.
Monferrato per mancanza della casa Paleologa, occupato dal fisco cesareo, VI, 499. Ne è dato il possesso a Federigo duca di Mantova, 523. Mondati, fortezza in Ungheria: i cesarei la prendono ai Turchi, VII, 68.
Monisteri, in Gran copia fabbricati nel secolo ottavo in Italia, III, 249.
Monisteri più rinomati d'Italia, III, 760.
Monistero di Monte Casino, preso da' Longobardi, II, 1046. Rimesso in piedi da Petronace, III, 160. Svaligiato da Siconolfo principe di Salerno, 641. Preservato dalle unghie de' Saraceni, 647. Finalmente saccheggiato da essi, 844, 845. Rifabbricato, 960. Maltrattato da Pandolfo IV principe di Capoa, IV, 168.
Monistero di Farfa; sua origine, III, 66. Come mal condotto nel secolo decimo, 1078.
Monistero di San Vincenzo del Volturno nel ducato di Benevento: suo principio, III, 67. Desolato da' Saraceni, 706.
Monistero di Subbiaco nella Campagna di Roma, V. Subbiaco.
Monistero insigne di Santa Giulia in Brescia, III, 287.
Monistero di Casauria fondato da Lodovico II Augusto, III, 713, 743.
Monistero di San Sisto in Piacenza, fabbricato da Angilberga imperadrice, III, 762. Beni ad esso da lei lasciati, 780.
Monistero di San Savino di Piacenza, III, 954.
Monistero di San Benedetto di Polirone, IV, 95. Scuola di grande esemplarità, 114.
Monistero della Cava: quando cominciato, IV, 150.
Monoteliti: loro eresia, II, 1201, 1207, 1215.
Montanisti, eretici, II, 839.
Montano (Giulio), ucciso da Nerone, I, 203.
Montepulciano, in potere de' Perugini, V, 670.
Monza, nobile terra, e insigne pel tempio ivi fabbricato dalla regina Teodelinda, II, 1223. Ed anche pel palazzo regale, 1125, 1126.
Morbo gallico: quando introdotto in Italia, VI, 136.
Morea: suo regno tolto da' Turchi a' Veneziani, VII, 265, 283.
Mori, cacciati di Spagna, VI, 927.
Moringo, conte di Brescia, V. Mauringo.
Moroello, marchese Malaspina, IV, 836.
Morosino (Francesco), detto Peloponnesiaco, capitano generale de' Veneziani, riporta una strepitosa vittoria sulla flotta turchesca. VI, 1200. Sue conquiste, 1218. V. Francesco Morosino.
Moscoviti ricorrono a papa Gregorio XIII, perchè loro faccia accordar la pace dal re Batori di Polonia, VI, 786.
[1035]
Muavia, Saraceno, governatore della Siria, e generale di Osmano: sue imprese contro i cristiani II, 1239, 1243, 1246. Prende Rodi, 1260. Sua vittoria sulla flotta cristiana, speditagli contro dall'imperadore Costante, 1262. Sua discordia con Alì, genero di Maometto, 1263, 1264, 1166. Chiede pace a Costante Augusto, ma non la ottiene, 1266, 1267. Abbattuto Alì, diviene padrone di tutta la monarchia de' Saraceni, 1269. Assedia Costantinopoli, III, 42, 43. Fa pace coi Greci, 51.
Muciano (Marco Licinio), governatore della Soria sotto l'imperadore Galba, I, 267. Promuove Vespasiano all'imperio, 276, 277. Console, 286. Sua ambizione, ivi. Fa toglier di vita Elvidio Prisco filosofo, poi cacciare da Roma tutti gli altri filosofi, 302, 303. Come tollerato da Vespasiano, 309.
Mugetto, re saraceno, occupa la Sardegna, IV, 78. Con una grossa armata viene a prendere Pisa, la saccheggia, e ne brucia parte, ivi. Prende Luni, [1036] onde è scacciato, 115. Gli è tolta la Sardegna da' Pisani e Genovesi, 116, 118, 131.
Mummolo (Eunio), patrizio e generale de' Franchi, dà più rotte a' Longobardi, II, 1023, 1026.
Mundone, o Mondo, Unno, fa guerra a' Greci, II, 755. Aiutato dalle soldatesche del re Teoderico, gli sbaraglia, 756. Generale di Giustiniano Augusto, costringe i Goti e Bulgari alla fuga, 839, 840. Prende Salona, 858. È ucciso in una zuffa, 862.
Murmanno, principe della Bretagna minore, III, 519.
Musoniano, prefetto del pretorio d'Oriente sotto l'imperadore Costanzo, II, 84.
Mustafà II, sultano dei Turchi, muove egli stesso le armi contro quelle dell'imperadore Leopoldo comandate dal principe Eugenio di Savoia, VII, 130. Rotto il suo esercito, si ritira a Belgrado, e fugge, 131, 133. Pace fra essi stabilita a Carlowitz, 138.
Musulmani, V. Saraceni.
Muzio, storico, inventore d'imposture, II, 1268.
[1037]
Napo, ossia Napoleone, dalla Torre, si fa proclamar signore di Milano, V, 54. Soccorre Brescia, 61. Rigetta Ottone Visconte eletto arcivescovo, 68. È insultato dai Vestarini, 84. Se gli ribellano i Comaschi, 93. Suoi negoziati con papa Gregorio X, 101. Riconosce per re de' Romani e d'Italia Ridolfo, 107. Sua guerra coi Pavesi, 112. Sconfitto e fatto prigione da Ottone Visconte, 122. Sua morte, 172.
Napoleone degli Orsini, cardinale, V, 227. Governatore del ducato di Spoleti, va, per ordine di papa Bonifazio VIII, ad assediar Gubbio, 269. Tratta con Filippo il Bello re di Francia contro il papa, 282. Alla morte di Bonifazio XI, capo della fazione parteggiante per l'elezione d'un papa franzese, 295. Spedito in Italia da papa Clemente V per pacificare le città, 304. Fa una gran raunata di gente contro i Fiorentini, 314, 315. Aderisce all'elezione di Cassone dalla Torre in arcivescovo di Milano, 322.
Napoletani, sudditi de' Greci, III, 362, 368. Guerra loro fatta da Sicone duca di Benevento, 557. E da Sicardo, 600. Si danno a Lodovico re di Ungheria, V, 599. Ripigliano la regina Giovanna, 602. Sconfitti dagli Ungheri, 607. La loro capitale è presa da Lodovico duca d'Angiò, 817. Si danno al re Ladislao, 890. A Carlo VIII, VI, 128. Richiamano il re Ferdinando II, 135.
Napoli, presa da Belisario, e barbaramente saccheggiata, II, 864, 865. Assediata dal re Totila, 895. E presa, 898. Assediata dai Longobardi, 1042. Presa da Pandulfo IV principe di Capoa, IV, 161. Guerra ad essa fatta dal re Ruggieri, 636, 639. A lui si sottomette, 661. Si ribella al re Corrado, 1223. Che ne forma l'assedio, 1230. E forza i cittadini alla resa, con infierir poscia contro essa, 1234. Riceve Carlo I conte d'Angiò, V, 59. È presa da Lodovico duca d'Angiò, 817. Suo regno conquistato parte da' Franzesi, [1038] parte dagli Spagnuoli, VI, 186, 187. Resta tutto agli ultimi, 208. Invaso di nuovo da' Franzesi, 453. Sollevazione del popolo per cagion dell'Inquisizione, 585. Altra a causa dell'annona, 805. Altra per cagione d'una gabella loro imposta, 1149, 1150. La quale quetata si rinvigorisce, 1157, 1165. Strage ivi fatta dalla peste, 1205. Fiero tremuoto in quel regno, VII, 113. Mal ordita sollevazione ivi mossa in favor dell'imperadore Leopoldo, 161. Suo regno conquistato dalle armi imperiali, 213. Inondazione grave in quella città, 335. Fieri tremuoti in quel regno, 363, 364, 372. Suo regno conquistato dall'infante don Carlo, 400.
Narbona, capitale della Linguadoca, presa dai Saraceni, III, 165.
Narciso, iniquo e prepotente liberto di Claudio Augusto, I, 150, 157. Sua destrezza per abbattere l'infame Messalina Augusta, 173, 174, 186, 187. Protegge Britannico, 192. Ucciso per ordine d'Agrippina, 196.
Narni, città presa dai Longobardi, III, 182.
Narsete, re di Persia, dà una rotta a Galerio Massimiano, I, 1042. Da cui poscia resta disfatto e ferito, 1043.
Narsete, eunuco, capitan delle guardie di Giustiniano Augusto, II, 847, 848. Spedito in Italia, non va d'accordo con Belisario, 876. Richiamato a Costantinopoli, 880. Rispedito in Italia, 932, 939. Colla sua armata giugne a Ravenna, 940. Rotta da lui data a Totila re de' Goti, il quale nella zuffa resta morto, 941. Riacquista Roma, 943. Dà battaglia ai Goti, nella quale resta ucciso il loro re Teia, 945. Assedia e prende Lucca, 948, 949. Sconfigge Buccelino duce degli Alemanni, 953. Sue virtù, 965, 966. Ricupera Verona e Brescia, 975. Abbatte Sindualdo re degli Eruli, 983. È richiamato a Costantinopoli, 991. Termina i suoi giorni, 992.
[1039]
Nasamoni, popoli vinti dai Romani, I, 339.
Naulobat, capitano degli Eruli disfatto, I, 930.
Navi, ornate d'oro e d'avorio, I, 230.
Navarro, ammiraglio spagnuolo, si unisce a Tolone con la flotta franzese per battersi contro gli Inglesi, VII, 535. Sue maraviglie di valore, ancorchè abbandonato dalla flotta franzese, ivi.
Nazario, insigne oratore ai tempi degli imperadori Costantino juniore, Costanzo e Costante, I, 1220.
Nebridio, prefetto del pretorio delle Gallie, sotto l'imperadore Costanzo, II, 98. Corre pericolo di perdere la vita, 104.
Negrino (Domizio), congiurato contro Adriano, è tolto di vita, per ordine di lui a Faenza, I, 442, 443.
Negro (Caio Pescennio), soprannominato Giusto, I, 597. Spedito contro i sediziosi da Commodo, 612. Si fa proclamare imperadore nell'Asia, 644, 653. Sua vanità e preparamenti per la guerra, 654, 655. Sconfitto e preso, perde il capo, 658.
Negroponte, assediata da Maometto II, imperadore de' Turchi, VI, 35. Niccolò Canale, general dei Veneziani tacciato di poco provvedimento nel difenderla, ivi. Presa per assalto, data al sacco, e i soldati ed abitanti posti a fil di spada, ivi.
Neocesarea, città del Ponto, intieramente rovinata dal tremuoto, eccetto la cattedrale, e la casa del vescovo (era san Gregorio Taumaturgo), II, 17.
Neoterio, generale di Valentiniano, spedito in Oriente, II, 151.
Nepotismo, riformato da papa Innocenzo XII, VII, 99.
Nepoziano (Flavio Popilio), console, nipote di Costantino il Grande, I, 1207. Sue pretensioni all'imperio, per cui, presa la porpora, con una frotta di scapestrati, ladri e gladiatori va alla volta di Roma, II, 35. Sconfigge le genti contra di lui spedite da Magnenzio, ivi. Per forza entra in quella città, ivi. Per tradimento sconfitta la sua armata, ed egli ucciso, ivi.
Nepoziano, padre dell'imperadore Giulio Nipote, II, 652.
Nerone, primogenito di Germanico Cesare, I, 59. Sue nozze con Giulia figlia di Druso, figlio di Tiberio, 62. Tradito da Seiano, 77, 78. Relegato nell'isola di Ponza, 84. Ucciso, 89.
Nerone (Lucio Domizio Enobarbo), che fu poi imperadore, amato dal popolo perchè figlio d'Agrippina, I, 176. Sua giovinezza e sponsali con Ottavia figlia di Claudio Augusto, 179. Adottato da esso Augusto, 181. È intitolato principe della Gioventù, 183. Nozze di lui con Ottavia, 189. Creato imperadore, 194. Buoni principii del suo governo, 197. La rompe colla madre, 199. Morte [1040] da lui data a Britannico, 200. Abbassa la madre, 201. Si dà ad una vita scapestrata, 203. Spettacoli da lui dati in Roma, 205. S'innamora di Poppea Sabina, 208. Da cui è acceso contro Agrippina sua madre, 210. Trama per farla perire in mare, 212. Finalmente la fa uccidere, 214. Perseguitato da orridi fantasmi, 215. Perduto nel divertimento delle carrette o della musica, 217. Ripudia, e poi fa uccidere Ottavia sua moglie, 225. Creduto autore del formidabile incendio di Roma, 231. Sua premura nel far rifabbricare la rovinata città, 232. Suo mirabil palazzo, ivi, 233. Sua persecuzione contro i cristiani, la prima, ivi, 234. Congiura scoperta contro di lui, 235. Con un calcio nella pancia uccide la moglie Poppea, 239. Fa crocifiggere san Pietro Apostolo, e nello stesso giorno decollare san Paolo, ivi. Si rimarita con Statilia Messalina, 240. Varii personaggi da lui fatti uccidere, ivi, 241. Sua magnificenza nel dare al re Tiridate la corona dell'Armenia, 242, 243. Va in Grecia per farsi conoscere eccellente musico, 245. Corre in carretta ne' giuochi olimpici d'Elide, e cade, per cui è obbligato a letto per varii giorni, 246. Nei giuochi istimici fa strangolare sul teatro un tragico impolitico, 247. Tenta di tagliare lo stretto di Corinto, ivi. Suo ritorno in Roma, ove entra trionfalmente, 248. Spedisce generale nella Giudea Flavio Vespasiano, ivi. Ribellione contra di lui nelle Gallie, 249. Altra nelle Spagne, 251. Suo sbalordimento per ciò, ivi. Poi torna alle sue ragazzerie, ivi. Suoi pensieri d'inumanità e barbarie, 253. Condannato e disperato si uccide, 255.
Nerva (Marco Cocceio), insigne giurisconsulto, uomo giusto, uno del consiglio di Tiberio, non potendo più tollerare le iniquità di quell'imperadore, si uccide, I, 99, 100.
Nerva (Marco Cocceio), console, I, 292, 345. Gli è esibito l'imperio, 367. Sue belle doti e virtù, 370. Dichiarato imperadore, 371. Sue lodevoli azioni, e governo, 373, 374. Congiura contro di lui, 376. Insultato dai pretoriani, ivi. Elegge Traiano suo collega, 378. Fine dei suoi giorni, 379.
Nestore (Giuliano), prefetto del pretorio sotto Macrino, ucciso da Elagabalo, I, 755.
Nestorio, vescovo eretico di Costantinopoli, II, 473. Condannato da papa Celestino, 478. E dal concilio efesino, 480. Confinato in un monastero d'Antiochia, ivi. Suoi libri abbruciati, 490. Rilegato in Oasi d'Egitto per ordine dell'imperadore Teodosio II, 403. Sua mala morte, ivi.
Neustria: così chiamata la parte occidentale della Lombardia, III, 82.
[1041]
Nevigaste, generale di Costantino, tiranno della Gran Bretagna, tratta di pace con Saro generale dell'imperadore Onorio nelle Gallie, II, 379. Per ordine di Saro gli è tolta la vita, ivi.
Nevitta, generale di Giuliano Augusto, poi console, II, 104, 112, 119.
Niccolò I papa. Sua elezione, III, 684. Suo libro dogmatico perduto, 688. Manda legati a Costantinopoli in favore di sant'Ignazio, 692. Scomunica Giovanni arcivescovo di Ravenna, 694. Abolisce le inique di lui consuetudini, 695. Suo zelo contro Lottario re di Lorena pel ripudio della moglie, 698. Da re Carlo Calvo ottiene il perdono a Baldoino conte di Fiandra, 700. Procede contro i vescovi da lui spediti a Metz pel ripudio fatto da re Lottario, e venduti alla corte, e riprova il concilio colà celebrato, ivi. Insulti a lui fatti da Lodovico II Augusto, 702. A lui spediscono un'ambascieria i Bulgari, 708. È richiamato a miglior vita, 714.
Niccolò II papa. Sua intronizzazione e concilio, IV, 288. Celebra un altro concilio in Melfi, 290. Stabilisce un accomodamento coi Normanni, 291. Umilia i baroni romani, 293. Suoi viaggi, 297. Dà fine a' suoi giorni, 299. Sconcerti accaduti dopo la sua morte, ivi.
Niccolò, arcivescovo di Salerno, IV, 946.
Niccolò, vescovo di Reggio, per ordine di papa Gregorio IX mette concordia tra i Bolognesi e i Modenesi guerreggianti tra loro, IV, 1091.
Niccolò III papa. Sua elezione, V, 121. Ottiene da Bidolfo re de' Romani il dominio e possesso della Romagna, 126. Abbassa Carlo re di Sicilia, 127. Fine di sua vita, e suoi alti disegni, 136.
Niccolò IV papa. Sua elezione, V, 193. Stabilisce tregua tra i due emuli re di Sicilia, Carlo e Giacomo, 200. Sua gran parzialità pei Colonnesi, 209. Sua premura e diligenza nel far pubblicare la crociata per tutti i regni cristiani, e somministrar denaro per soccorrere i cristiani in Soria, 211. Passa all'altra vita, 217.
Niccolò, patriarca di Gerusalemme, V, 213.
Niccolò da Prato, cardinale, spedito da papa Benedetto XI per pacificare i Fiorentini in guerra fra loro V, 290. Nel conclave dopo la morte di detto papa capo della fazione franzese, 295. Suggerisce al papa Clemente V di rispondere al re Filippo di Francia, che non poteasi che in un concilio trattare le faccende in quistione tra essi, 309. Consiglia lo stesso pontefice a far che tosto s'unissero gli elettori dell'imperio per eleggere Arrigo conte di Lucemburgo a successore dell'imperadore Alberto d'Austria, 517.
Niccolò I, marchese d'Este, V, 483, 503. Fatto [1042] prigione in battaglia, 510. Guerreggia contro Modena, 526. Che gli è ceduta, 530. Manca di vita, 573. Niccolò, patriarca d'Aquileia, fratello naturale dell'imperadore Carlo IV, fatto signore di Siena, poi vergognosamente deposto e cacciato, V, 645.
Niccolò II, marchese d'Este, signor di Ferrara, V, 685. Sua lega contro i Visconti, 687. Pace fra essi, 696. Di nuovo fa lega contro di essi, 705. Va al servigio del papa Urbano V, venuto in Italia, 708. Sua flotta sbaragliata da quella de' Visconti, 713. Fa pace con essi, 718. Infelice suo tentativo per prendere Reggio, 727. Ripiglia Sassuolo, 737. Compra e perde Faenza, 756. Fine di sua vita, 825.
Niccolò di Guarco, doge di Genova, V, 768. È deposto, 796.
Niccolò III, marchese d'Este, signor di Ferrara, succede al padre, V, 857. Guerra fattagli da Azzo, pur marchese d'Este, 862, 866. Capitan generale del papa Bonifazio IX contro i duchi di Milano, 913, 916. Invano tenta l'acquisto di Reggio, 923. Va in aiuto del Carrarese, 927. Ricupera Rovigo, 930. Lo rende, e fa pace co' Veneziani, 936. Gli muove guerra Ottobuono de' Terzi tiranno di Parma e di Reggio, 959. A cui fa levare la vita, 968. Divien padrone di Parma e di Reggio, 968. Fatto prigione, e rilasciato, 990. Cede Parma al duca di Milano, 1032. Tratta la pace fra i Veneziani e il duca di Milano, 1072, 1074, 1101, 1112. Ricupera Rovigo, 1133. Tratta ancora di pace tra i Veneziani e il duca di Milano, 1150. Sua morte, 1154.
Niccolò Piccinino: principii della sua milizia, V, 1010. Va all'assedio d'Aquila, 1055. Fatto prigione in Val di Lamone, 1060. Va al servigio del duca di Milano, 1062. E al soccorso della cittadella di Brescia, 1065. Generale dei Genovesi, 1083. Dà una rotta a' Fiorentini, ivi, 1084. E a' Veneziani, 1088. Fa guerra in Toscana, 1090. In Valtellina, 1097. Fa guerra al conte Francesco Sforza, 1106. Dà una rotta a Veneziani e Fiorentini, 1109, 1125. Occupa Bologna, 1131. Fa nuovamente guerra ai Veneziani, 1133. Assedia Brescia, 1134, 1137. Suoi pregressi contro i Veneziani, 1138. Prende Verona, ed è sconfitto da Francesco Sforza, 1140. Guerreggia in Toscana, 1143. Torna a far guerra ai Veneziani, 1151. Fa pace col conte Francesco Sforza, 1159. Prende e saccheggia Assisi, ivi. Se gli ribellano i Bolognesi, 1163. Fa guerra a Francesco Sforza, 1164. Da cui resta sconfitto, 1167. Rotta da esso [1043] Sforza data a Francesco di lui figlio, 1170. Fine del suo vivere, 1171.
Niccolò Albergati, cardinale, da papa Martino V spedito a Venezia per trattar di pace fra quella repubblica ed il duca di Milano, V, 1067. Malcontento del duca di Milano, se ne torna al suo vescovato di Bologna, 1069. Rimandato a trattar di pace, 1073. E la conchiude, 1074. Presidente del concilio generale tenuto in Ferrara, 1026.
Niccolò, cardinale di Capoa, V, 1119.
Niccolò V papa. Sua elezione, V, 1185. Estingue lo scisma dell'antipapa Felice V, 1203. Fugge dalla peste, che faceva strage in Roma, 1213. Solennizza il giubileo, ivi. Sue insigni opere e fabbriche 1220. Suo zelo contro i Turchi, 1231. Congiura contro di lui, 1234. Fine del suo vivere, 1239.
Niccolò Forteguerra, cardinale, VI, 14.
Niccolò Tron, doge di Venezia, VI, 41. Sua morte, 46.
Niccolò Marcello, doge di Venezia, VI, 46. Manca di vita, 49, 50.
Niccolò Orsino, conte di Pitigliano, generale dei Fiorentini, ricupera Sarzana, VI, 98. Generale de' Veneziani, 198, 227. Obbliga i Franzesi ad abbandonar varii luoghi da essi presi e ritirarsi oltre l'Adda, 234, 235. Intervenne alla battaglia di Ghiaradadda, da cui fuggendo vergognosamente si mise in salvo, 236. Ricupera Padova, 242. Difende essa città assediata dagli imperiali, 247. Termina i suoi giorni, 250.
Niccolò da Ponte, doge di Venezia, VI, 778.
Niccolò Sfondrati, vescovo di Cremona, eletto papa, VI, 830. V. Gregorio XIV.
Niccolò Donato, doge di Venezia, VI, 959.
Niccolò Contarino, doge di Venezia, VI, 1032. Sua morte, 1048.
Niccolò Coscia. V. Coscia (Niccolò).
Nicea, città totalmente atterrata dal tremuoto, II, 171, 172.
Niceforo, figlio di Artabaso, dichiarato imperadore dal padre, III, 230.
Niceforo, patrizio e logoteta generale in Costantinopoli, si rivolta e si fa proclamare imperadore, III, 436. Suoi ambasciatori all'imperadore Carlo Magno, 439. Compera la pace da' Saraceni con promessa d'un annuo tributo, 450. S'attira addosso l'odio di tutto il popolo, 468, 469. Esce contro Crumno re da Bulgari, da cui è disfatto coll'esercito, e morto, 476.
Niceforo, patriarca di Costantinopoli, III, 477.
Niceforo Foca, generale di Romano imperador di Grecia, conquista l'isola di Creta, III, 1152, 1153. Divenuto imperadore, rinfaccia a Liutprando, [1044] ambasciatore d'Ottone, la crudeltà del suo signore, 1179. Sua alterigia e suoi vizii, 1185, 1186. La moglie ed il popolo tutto congiurano contra di lui, e l'uccidono, 1192, 1197.
Niceforo Botoniata, scomunica contro di lui fulminata da un concilio tenuto in Roma da papa Gregorio VII, perchè avea usurpato il trono imperiale, IV, 390.
Niceta, vescovo d'Aquileia, II, 559.
Niceta, vescovo di Selva Candida, III, 131.
Niceta, patrizio greco, viene in soccorso de' Veneziani, III, 460.
Nicezio, vescovo di Treveri: sua lettera. II, 977.
Nicomedia, città della Bitinia, in un istante ruinata dal tremuoto, II, 86.
Nigidio, generale de' Romani nelle Gallie, II, 610. Lo stesso che Egidio, 614. V. Egidio.
Nigriniano, forse figlio di Alessandro tiranno dell'Africa, I, 1092.
Nilo (San), abbate, fondatore del monistero di Grottaferrata. Sua predizione ad Aloara principessa di Capoa, III, 1276. Detesta l'obbrobrioso trattamento fatto da' Romani all'antipapa Giovanni, IV, 29.
Nipote (Giulio), da Leone imperadore spedito con un'armata in Italia contra di Glicerio sedicente imperadore, II, 652. Sposa una nipote dello stesso Leone, ivi. D'ordine dell'imperadore proclamato a Ravenna Cesare da Domiziano uffiziale imperiale, ivi. Va a Roma, ivi. Obbliga colà Glicerio a deporre la porpora, ivi. Proclamato poscia imperadore d'Occidente, ivi. Spedisce santo Epifanio Vescovo di Pavia ad Enrico re de' Visigoti a Tolosa, da cui ottiene la pace, 653. Crea patrizio, indi generale d'armata nelle Gallie Oreste, 655. Il quale gli si ribella, ivi. Si ritira in Ravenna, ivi. Da dove, non potendo resistere, fugge a Salona in Dalmazia, e quivi ritiene il dominio, 656. Ricorre a Zenone imperadore d'Oriente, acciò lo aiuti a ricuperare l'imperio, 665. È ucciso per insidie degli uffiziali della sua corte. Viatore ed Odiva, 676.
Nizone, vescovo di Frisinga, IV, 254.
Nizza presa da' Franzesi, VII, 190, 191, 211. Congresso ivi tenuto fra i ministri delle potenze, 699.
Noaglies (Adriano Maurizio duca di), generale dei Franzesi in Italia, VII, 409. Dichiara la sospension d'armi fra essi e l'imperadore Carlo VI, 412.
Nocera, città della Puglia presa e diroccata da Costante Augusto, III, 11.
Nola, distrutta dai Vandali, II, 581.
[1045]
Nolfo, conte, toglie al conte Speranza il dominio di Urbino, V, 530. Generale de' Pisani, 562.
Nomenoio, duca della minor Bretagna, si ribella a Carlo Calvo, III, 629, 644.
Nonantola, monistero insigne del Modenese, III, 253, 443, 838. Ivi seppellito Adriano III papa, 847. Distrutto dagli Ungheri, 938. Sue ricchezze, 1077, 1098, 1173, 1235.
Nonnechia, moglie di Geronzio, ribelle all'imperadore Onorio nella Spagna e nelle Gallie, II, 411. Lodata da Sozomeno, ivi.
Norbano, prefetto del pretorio, congiura contro Domiziano, I, 367.
Norberto, vescovo di Reggio, spedito ambasciatore al greco imperadore Leone dall'Augusto Lodovico Pio, III, 491.
Norberto, abbate di S. Pietro in Coelo aureo di Pavia, III, 1196.
Nori Sitifensi, popoli dell'Africa soggetti al romano imperio, mandano ambasciatori a Valentiniano Augusto, II, 522.
Noris (Enrico), Veronese, cardinale: sua morte, VII, 188.
Normanni, o Danesi, cominciano ad infestar le Gallie, II, 796. Corsari, quai popoli fossero, III, 463. Loro incursioni nella Frisia, 599. Saccheggiano e bruciano Roano, 622. E Parigi, 643. Occupano varie provincie delle Gallie, 650. Altre provincie e città da loro desolate, 663, 668, 684. Passano nel Mediterraneo, 688. Danno il sacco a Pisa, 690, 691. Loro inumanità nella bassa Germania, 827, 833. Poco prosperamente fa lor guerra Carlo il Grosso Augusto, ivi, 834. Assediano Parigi, 851. Lor venuta in Puglia, IV, 117. Danno una rotta ai Greci, 119. Poi sconfitti da essi, 125. Fondano la città di Aversa, 165. Privilegiati da Corrado Augusto, [1046] 198. Fan guerra ai Greci, 208, 210. Loro vittorie, e divisione di Stati, 214, 215. Danno aiuto ai Greci, 217. Sempre più divengono potenti nella Puglia, 233. Odiati per le loro avanie, 258. Loro armata contro il papa Leone IX e collegati per cacciarli dalla Puglia, 261. Che sbaraglia quella dei collegati, e fa il papa stesso prigione, 262. Lor battaglia con Argiro duca d'Italia per l'imperador greco, 264. Loro progressi in Puglia e Calabria, 268. Difensori della santa Sede, 293.
Notekerio, ossia Noterio vescovo di Verona, III, 1008, 1047,
Notingo, vescovo di Brescia, III, 652. Dall'imperadore Lodovico II spedito ambasciatore a Lodovico re di Germania, 685.
Novalesa, monistero a piè del monte Cenisio: sua fondazione, III, 211.
Novaio, cattolico, vescovo di Sitifa, esiliato da Genserico re de' Vandali, II, 496.
Numaziano (Claudio Rutilio): suo Itinerario, II, 447.
Numeriano, grammatico: curiosa sua malizia in favore di Severo Augusto, I, 666, 667.
Numeriano (Marco Aurelio, ossia Marco Numerio), figlio di Caro Augusto, I, 1001. Succede al padre nell'imperio mentre si trova nell'Oriente contro i Persiani, 1004, 1005. Riconosciuto in Roma e in tutte le provincie, 1005. Parte per l'Italia, e mentre si trova in Eraclea della Tracia, dal suocero Ario Apro, prefetto del pretorio, è ucciso, 1006.
Numerio Attico, senatore, finge deificato Augusto, I, 43.
Numidi, popoli dell'Africa, soggetti al romano imperio, mandano ambasciatori a Valentiniano Augusto, II, 522.
[1047]
Obelerio tribuno, eletto doge di Venezia in Treviso dai nobili, viventi i due indegni Giovanni e Maurizio, III, 446. Con suo fratello Beato, doge egli pure, e con altri legati si porta con doni a visitare l'imperadore Carlo Magno, 455. Deposto e condotto a Costantinopoli, 476. Ritorna in patria e si fa forte nell'isola appellata Vigilia sostenuto da quei di Malamocco suoi compatriotti, 574. Preso, gli è tagliata la testa, ivi.
Obelisco, V. Guglia.
Oberto I, marchese, va in Germania a sollecitare Ottone il Grande contro il re Berengario, III, 1146. Progenitore de' marchesi Estensi, 1147. Creato conte del sacro palazzo da Ottone il Grande, 1157. Due placiti da lui tenuti in Pavia e in Lucca, 1169. Altro nel ducato di Benevento, 1181. Suoi ultimi giorni, e suoi figliuoli, 1203.
Oberto II, marchese, progenitore de' principi Estensi, III, 1203, 1204, 1266. Suo placito tenuto nella chiesa di Lavagna, IV, 10. Suo aggiustamento con Gottifredo, vescovo di Luni, 34. Messo al bando dell'imperio da Arrigo I Augusto, 107.
Oberto, arcivescovo di Milano, dichiara scomunicati l'antipapa Ottaviano e l'imperadore Federigo I, IV, 765. Va alla testa di cento cavalieri contro dello stesso imperadore, 767. Scomunicato nel conciliabolo tenuto dall'antipapa Vittore a Lodi, 771. Si porta a Genova a trovar papa Alessandro III ivi dimorante, 775. È creato cardinale. 792. Cessa di vivere, 800.
Oberto dall'Orto, autore delle Consuetudini feudali, IV, 828.
Oberto od Uberto Pelavicino, marchese, cacciato da Piacenza, IV, 1132. Insieme coi Pisani e coi Lucchesi occupa la Garfagnana, 1161. Vicario dell'imperadore Federigo II, in Lunigiana, insieme [1048] con Manfredi Lamia, governatore imperiale d'Alessandria, entra ostilmente nel Genovesato, 1164, 1165. Fa guerra ai Genovesi, 1168. Distrugge Pontremoli, 1171. Imprende l'assedio di Levanto, 1175. Che è poi costretto d'abbandonare, ivi. Podestà di Cremona, dà una gran rotta ai Parmigiani, 1218. Toglie loro le castella di Rivalgario e di Raglio, 1226, 1227. Eletto per loro signore dai Piacentini, 1245. Comincia signoreggiare anche in Pavia, 1259. Da' Guelfi cacciato da Piacenza, 1264. Unito con Eccelino, mette in rotta i Bresciani, 1270. Si collega coi Guelfi contro Eccelino, V, 12. Divien signore di Brescia, 16. Capo dei Ghibellini nella Lombardia dopo la morte di Eccelino, 17. Sua lega con Azzo marchese d'Este, con Lodovico da San Bonifazio, e coi comuni di Mantova, Ferrara e Padova, ivi. Chiamato da Martino della Torre, signor di Milano, in soccorso contro i nobili, 18. Signore di quella città, ivi. Fa guerra a Piacenza, 27. Di cui ripiglia la signoria, 30. Non si arrischia a battaglia coll'armata di Carlo d'Angiò, 52. Se gli ribellano i Bresciani, 61. Perde la signoria di Cremona, 69. Gli è tolto Borgo San Donnino dai Parmigiani, 80. Cessa di vivere, 82.
Oberto da Colobiano, vescovo di Vercelli, V, 358.
Obizzo, marchese d'Este, figlio di Folco, IV, 633, 722. Interviene alla pace di papa Alessandro III coll'imperadore Federigo I conchiusa in Venezia, 864. Podestà di Padova, 881. Investito da Federigo I delle marche di Milano e di Genova, 881. E delle Appellazioni della marca di Verona, 900.
Obizzo Malaspina, marchese, svaligia Pietro abbate di Clugnì, IV, 678. Interviene all'assedio di Tortona fatto dall'Augusto Federigo I, 725. È in favor de' Pavesi, 741. Dà scampo per le sue terre a Federigo I Augusto, 812. Si unisce colla [1049] lega lombarda contro questo principe, 818. Guerra da lui fatta ai Genovesi, 836. Sua concordia con essi, 842. Compreso nella pace di Costanza, 883.
Obizzo II, figlio di Rinaldo Estense, IV, 1228. Succede all'avolo suo, cioè ad Azzo VII marchese d'Este, ed è eletto signor di Ferrara, V, 46. Collegato con Carlo conte d'Angiò, va in suo aiuto, 52. In aiuto dei Padovani contro i Veronesi, per cui ricupera la terra di Cologna, 130. Preso per lor signore dai Modenesi, 197. E dai Reggiani, 207. Termina di vivere, 224.
Obizzo da San Vitale, arcivescovo di Ravenna, V, 238.
Obizzo, marchese d'Este figlio di Aldrovandino, ricupera Ferrara, V, 396. Scomunicato dal papa, 417. Va in aiuto di Cane della Scala, 443. Ritoglie all'arcivescovo di Ravenna la grossa terra d'Argenta, 444. Va a Verona alle magnifiche feste date da Cane della Scala, 478. Si riconcilia col papa, 483, 503. Fa lega contro Giovanni re di Boemia, 500. Va in aiuto di Mastino della Scala, 505, 506. Divien padrone di Modena, 530. Mediatore fra Mastino e i Fiorentini, 556. Colla morte del fratello suo Niccolò resta solo signor di Ferrara, 573. Compra Parma dai Correggieschi, ivi. Tradimento a lui fatto da Filippino Gonzaga, 574. Il quale poi gli muove guerra aperta, 579. Cede Parma a Luchino Visconte, 585. Sua morte e figliuolanza, 630.
Obizzo da Polenta, coi fratelli imprigiona il padre, V, 832.
Ocberto, od Olberto, vescovo di Verona, alcuni beni a lui decretati in confronto di Teodaldo, marchese di Toscana, avo della contessa Matilda, III, 1280.
Oddo Antonio, conte di Montefeltro e d'Urbino, succede al padre, V, 1162. Sua morte, 1171.
Odelberto, arcivescovo di Milano: libro de Baptismo da lui composto, III, 483.
Odelrico, marchese conte del sacro palazzo, III, 1005. Trama una ribellione contro l'imperadore Berengario, 1010. Ciò scoperto dall'imperadore, lo fa imprigionare da Lamberto, arcivescovo di Milano, ivi. Il quale poi lo mette in libertà, ivi. Mentre trattava coi compagni congiurati di chiamar Rodolfo II re della Borgogna in Italia, dalle truppe, mandate loro contro dall'imperadore, è ucciso, dopo aversi battuto da prode, 1011.
Odelrico, od Olderico, vescovo di Cremona: beni a lui confermati dall'imperadore Ottone III, III, 1236. Sedizione del popolo contro di lui, 1274. Diplomi di Ottone III in suo favore, IV, 18, 41. Sua morte, 83.
[1050]
Odelrico, vescovo di Trento, IV, 81.
Odelrico, duca e marchese di Carintia; sua morte, IV, 342.
Odelrico, od Olderico, vescovo di Padova, dal papa Gregorio VII mandato in Germania come suo legato al congresso che dovea tenere l'imperadore Arrigo IV, IV, 391. Suoi privilegii confermati dallo stesso imperadore, 393.
Odenato, principe di Palmira: sue imprese contro Sapore re di Persia, I, 921. Creato Augusto, 922. Sua morte, 928, 929.
Oderisio, cardinale, IV, 296.
Oderzo, città presa da' Longobardi, II, 1229.
Odetto di Fois, capitano francese, VI, 275.
Odilone, abbate di Clugnì, III, 1219, 1228.
Odoacre, Scita, conquistator dell'Italia; suoi principii, II, 659. Come abbattesse Oreste ed Augustolo, e s'impadronisse di tutta l'Italia, 660, 661. Prende il titolo di patrizio, e non di re, 662. Passa con grande esercito in Dalmazia, ove vince ed uccide il conte Odiva, uccisore dell'imperador Nipote, 679. S'impossessa di tutta quella provincia, ivi. Suo buon governo, 683. Mette mano nell'elezione dei papi, 684. Sconfigge Fava (da altri chiamato Feleteo o Febano), re dei Rugi, 693. Contro di lui prende l'armi Teoderico re degli Ostrogoti, 697. Da cui resta sconfitto, 701. Guerra a lui fatta da Alarico re de' Visigoti, dal quale pure è sbaragliato, e fugge, 704. Assediato in Ravenna, ivi. Sconfitto di nuovo, 707. Si arrende, ed è ucciso, 712, 713.
Odoardo, re d'Inghilterra: suo passaggio per l'Italia, V, 100. Stabilisce la pace fra gli Aragonesi e Carlo II re di Sicilia, 187, 194.
Odoardo, figlio d'Arrigo VIII re d'Inghilterra, succede al padre, VI, 582. Cede Bologna di Picardia ad Arrigo II re di Francia, 603. Sua morte, 632.
Odoardo Farnese, duca di Parma, succede al padre, V, 988. Fortifica Sabbioneta per vietar ai Tedeschi di porvi il piede, 1030. Collegato co' Franzesi contro lo Stato di Milano, 1070. Deluso dagli stessi Franzesi, 1074. Rovinati i suoi Stati, e però fa pace cogli Spagnuoli, 1078. Suoi imbrogli con papa Urbano VIII, 1108. Scomunica contro di lui fulminata dallo stesso papa, 1115. Fa un'irruzione negli Stati della Chiesa, 1116. Burlato dagli alleati suoi, se ne torna a casa, 1118. Suo tentativo andato a vuoto, 1120. S'accampa nel Ferrarese, 1123. E poi fa pace, 1125. Compie il corso di sua vita, 1144.
Odoardo Farnese, principe ereditario di Parma. Sue magnifiche nozze con Dorotea Sofia principessa di Neoburgo, VII, 89. Sua morte, 113.
[1051]
Odone, ossia Eude, conte di Parigi assediato dai Normanni, III, 851. È creato re di Francia, 863. Si sottomette ad Arnolfo re di Germania, 864. Riconosciuto re da tutti i popoli della Gallia, ossia Francia Orientale, a riserva della Aquitania, 891. Sue guerre, ivi. Sua morte, 935.
Odone, abbate di Clugnì; si adopera per intavolar pace fra Ugo re d'Italia ed Alberico principe romano, III, 1067, 1077. Suoi viaggi a Roma, 1088. Ritratto che fa di Willa moglie di Berengario re d'Italia, 1116.
Odone II, conte di Sciampagna, s'impadronisce del regno di Borgogna, IV, 173. Contro di lui procede Corrado II Augusto, 177, 179. Gli è proferto il regno d'Italia, 194. Muore in una battaglia contro Gozelone duca di Lorena, ivi.
Odoteo, re o principe d'una tribù di Goti sul Danubio, sconfitto ed ucciso da Promoto generale dell'imperadore Teodosio II, 262.
Olderico, vescovo di Cremona, V. Odelrico.
Olderico, vescovo, di Padova, V. Odelrico.
Olibrio (Quinto Clodio Ermogeniano), prefetto di Roma sotto gl'imperadori Valentiniano e Valente, II, 169. Console, 217.
Olibrio (Flavio Anicio), senatore romano, marito di Placidia figlia di Valentiniano III Augusto, II, 586. Creato console, 616. Poscia imperador d'Occidente, termina in breve i suoi giorni, 644.
Olibrio juniore, console orientale sotto l'imperadore Zenone, II, 705.
Olimpia Maidalchina, cognata di papa Innocenzo X: sua ambizione e potere in Roma, VI, 1194.
Olimpio, uffizial palatino sotto l'imperadore Onorio, provoca la morte di Stilicone, II, 584. Maggiordomo di Onorio Augusto, 387. Pei suoi imbrogli l'imperadore non volle dar ostaggi ad Alarico re dei Goti, nè acconsentire alla capitolazione, 394. È deposto, poscia ucciso, 395.
Olimpio, esarco d'Italia, II, 1241. Perseguita papa Martino, 1245, 1252. Va con una flotta in Sicilia per iscacciarne i Saraceni, 1253. Sconfitto da essi, ivi. Vi muore, ivi.
Olimpiodoro, scrittore pagano: fine della sua Storia, II, 461.
Oliverotto da Fermo, ucciso Giovanni suo zio, è fatto signore di quella città, VI, 194. Strangolato dal duca Valentino, 196.
Olivieri Caraffa, cardinale, capitano delle galee armate da papa Sisto IV contro i Turchi, VI, 42.
Olanda, fa lega coll'imperadore contro Francia e Spagna, VII, 162.
[1052]
Olonna, corte, un tempo luogo dilizioso dei re d'Italia, III, 551, 761.
Olrico, od Orderico, arcivescovo di Milano, IV, 577. Fa lite di precedenza coll'arcivescovo di Ravenna, 585. Sua morte, 593.
Omaro, califfo de' Saraceni, II, 1207. Sue conquiste, 1212, 1216. Sua morte, 1239.
Omaro od Umaro, califfo de' Saraceni, III, 158.
Omulo, ossia Omullo (Marco Valerio): sua insolenza, I, 503, 504. Creato console, 512.
Onesto, arcivescovo di Ravenna, III, 1012.
Onesto, altro arcivescovo di Ravenna, III, 1199. Suo concilio, 1206.
Ongari o Ungheri, V. Ungri.
Onolfo, fedel servo di re Bertarido, III, 19. Sua bella azione per salvar la vita del padrone, ivi.
Onorato, arcivescovo di Milano, presa quella città da Alboino, re de' Longobardi, fugge a Genova, II, 1002, 1003.
Onorato (Santo), vescovo di Arles, II, 465.
Onorio (Flavio), figlio di Teodosio Augusto, II, 251. Dichiarato Augusto, 307. Stati da lui assegnati dal padre, 316. A cui succede nell'Occidente, 321, 322. Sua discordia col fratello Arcadio, 330. Prende in moglie Maria figlia di Stilicone, 340. Sue leggi contro i pagani, 343, 450. Sua debolezza, 358, 405. Si ritira ad Asti, 362. Quindi ritorna a Ravenna, 366. Va a Roma per celebrare i decennali del suo imperio, 367. Sua legge, colla quale proibisce i giuochi dei gladiatori, 368. Cerca di difendere san Giovanni Grisostomo perseguitato da Eudossia imperadrice, 369. Torna a Ravenna, ivi. Suoi editti rigorosi contra i donatisti, 371. Raduna truppe per opporsi a Radagaiso re degli Unni, ivi. Contro di lui si ribella l'armata romana in Bretagna, che avea successivamente nominato tre imperadori, Marco, Graziano e Costantino, 378. Passa di nuovo a Roma, 379. Sposa Termanzia figlia di Stilicone, 382. Al quale fa poi levare la vita, 385. Riconosce Costantino per collega nell'imperio, e gli manda la porpora, 392. Sua grande pietà, e suo amore per la religione cattolica, 405. Perchè sprezzato dai Barbari, ivi. Per quattro anni esenta le provincie d'Italia da varie imposte, 423. Sua legge per l'immunità delle chiese, 426. Fa pace con Ataulfo, cognato d'Alarico, 432. Forza sua sorella Placidia a sposar Costanzo di lui generale, 434. Che poi dichiara Augusto, 444. Odio suo contro questa principessa, 450. Termina i suoi giorni, 451.
Onorio, fratello di Teodosio I Augusto, II, 320.
Onorio I papa. Sua consecrazione, II, 1179. Fa eleggere Primigenio patriarca di Grado, 1200. [1053] Suoi ripieghi per l'eresia dei Monoteliti, 1208. Sua morte, 1218. Sua difesa e lodi, III, 62.
Onorio antipapa, IV, 302. V. Cadaloo.
Onorio II papa. Sua elezione e torbidi in essa accaduti, IV, 589. Non vuol mandare il pallio all'arcivescovo di Milano Anselmo da Pusterla, 595. Si oppone ai progressi di Ruggieri conte di Sicilia, 598. Dà l'investitura di Capoa a Roberto II, 601. Scomunica e fa guerra a Ruggieri, ivi. A cui poscia dà l'investitura del ducato di Puglia e di Calabria, 603. Depone i patriarchi d'Aquileia e di Grado, 606. Passa a miglior vita, 611.
Onorio III papa. Sua elezione, IV, 1030. Corona imperador de' Greci Pietro conte d'Auxerre, 1033. Dà l'investitura della Marca d'Ancona ad Azzo VII marchese d'Este, 1035. Si ritira da Roma e va a Viterbo, 1036, 1037. Dà la corona dell'imperio a Federigo II, 1043. Nasce odio fra loro, 1047, 1049. Accoglie in Roma Giovanni di Brenna, re di Gerusalemme, 1058. Suo abboccamento con Federigo II, 1059. Per le vessazioni usategli da Parenzio, senatore di Roma, e dal senato, è costretto a partirsi da quella città e passare a Tivoli, 1066. Dissapori nuovi insorgono fra loro, ivi, 1071. Fatto arbitro delle liti insorte fra l'Augusto Federigo e le città Lombarde, 1074. Manca di vita, 1077.
Onorio IV papa. Sua elezione, V, 178. Conferma l'ordine de' Carmelitani, 186. Fine del suo vivere, 188.
Onulfo, fratello del re Odoacre, da lui spedito con un potente esercito contro Federigo, figlio di Fava, re dei Rugi, II, 694.
Optato, abbate di Monte Casino, IV, 249.
Optaziano (Publio), prefetto di Roma sotto l'imperadore Costantino il Grande, I, 1185, 1198.
Optaziano (Publilio Porfirio); suo Panegirico in lode di Costantino il Grande, I, 1180, 1185, 1198, 1220.
Oranges (Filiberto principe di), generale dell'armata cesarea, VI, 441, 460. Sua severità in Napoli, 461. Manda a ricuperar Aquila, 465. Spedito contro i Fiorentini, 469. Ucciso in un fatto d'armi, 479.
Orano, preso dalle armi Spagnuole, VII, 367.
Orbiana (Sallustia Barbia) Augusta, creduta moglie di Alessandro imperadore, I, 775.
Orca, mostro marino, apparso nel Tevere durante la fabbrica del porto fatto fare ad Ostia dall'imperadore Claudio, I, 146.
Ordelafo Faledro, doge di Venezia, IV, 495. Ricupera Zara, 549. Va contro gli Ungheri in Dalmazia, 558. Muore in una battaglia, ivi.
Orderico, V. Olrico. [1054] Oreste, patrizio, abbatte Nipote Augusto, e fa proclamare imperadore Romolo, ossia Augustolo suo figlio, II, 655, 656. Da Odoacre è tolto di vita, 661.
Orestilla (Livia), moglie dell'imperatore Caligola, I, 122.
Orfito (Memmio Vitrasio), prefetto di Roma sotto l'imperadore Costanzo, II, 54, 69, 75, 83.
Organi da fiato, lor fabbrica introdotta in Occidente, III, 354.
Origene, celebre scrittore sotto i Filippi Augusti, I, 865. Sua morte, 878.
Orio Mastropietro, V. Aureo.
Orlando, famoso ne' romanzi, morto in Roncisvalle, III, 338.
Orlando de' Rossi, signor di Parma, V, 489. Imprigionato dal cardinal Bertrando, ivi. Riscattato dai fratelli, 494. Dà aiuto a Manfredi dei Pii, 508. Entra in lega col re di Boemia, 515, 525. Cede Parma agli Scaligeri, 525. A' quali si ribella, 533. Generale de' Veneziani, 540.
Ormanno de' Tedici, abbate di Pacciana, signor di Pistoia, V, 442.
Ormisda, figlio del re di Persia, fugge a Costantino: suo bel detto, I, 1165; II, 76. Milita con Giuliano imperatore contro il fratello Sapore, 129.
Ormisda, figlio del precedente, creato proconsole nell'Ellesponto dall'usurpatore Procopio, II, 156. È inviato in Egitto da Teodosio imperatore con un'armata, 227.
Ormisda, papa. Sua elezione, II, 788. Legati da lui spediti in Oriente all'imperatore Anastasio per un concilio che dovea tenersi in Eraclea, 791. Burlato da Anastasio Augusto, 792. Suo zelo per la fede cattolica, 796. Sua morte, 810.
Ormisda, re di Persia, fa guerra al greco imperio, II, 1035.
Ormisda, re di Persia, V. Jasdegirde.
Orode, re de' Parti, ucciso, I, 18.
Oro coronario: contribuzione all'entrare del nuovo principe, I, 786.
Orozio (Paolo), storico, testimonio oculare delle vittorie di Vallia, re de' Goti, contro i Vandali di Spagna, II, 436. Dà fine alla sua Storia, da lui dedicata a Sant'Agostino, ivi.
Orsini: lor casa quasi disfatta dal duca Valentino, VI, 196.
Orso, tribuno a Costantinopoli sotto l'imperadore Teodosio II, fa atterrare in Cartagine il tempio della dea celeste, II, 447.
Orso doge di Venezia, III, 176. Sua morte, 206.
Orso, vescovo di Napoli, III, 581.
Orso Particiaco, o sia Participazio, doge di Venezia, III, 704, 705. Sua lite con Pietro patriarca [1055] di Grado, da papa Giovanni VIII decisa in suo favore, 763, 788. Sua morte, 825.
Orso, fratello di Giovanni doge di Venezia, collega nel ducato, III, 859.
Orso principe di Benevento, III, 884. Gli sono occupati gli Stati dai Greci, 887.
Orso Particiaco, ossia Participazio II soprannominato Paureta, doge di Venezia, III, 983. Diploma da lui ottenuto da Rodolfo re d'Italia, 1024. Rinuncia al dogado e si fa monaco, 1056.
Orso patriarca di Grado, fratello del doge di Venezia Ottone Orseolo, con lui esiliato, IV, 143, 155. Creato vice-doge, governa con molta lode, 171. Rinunzia il governo, 174. Chiede giustizia al papa contro Poppone, patriarca d'Aquileia, 220.
Orvieto, occupato dai Longobardi, II, 1135.
Ospizio (Santo), romito di Nizza in Provenza, II, 1022.
Ostasio da Polenta, signore di Cervia, toglie di vita barbaramente il fratello Rinaldo arcivescovo eletto, e signore di Ravenna, di cui poi s'impossessa, V, 432. Fatto prigione sotto Ferrara dai marchesi d'Este e collegati, 511. Ribella Ravenna alla Chiesa, 512. Sua lega con varii signori per opporsi alla grande compagnia condotta dal duca Guarnieri, 566. Dà aiuto al marchese Obizzo d'Este per riacquistare Parma, 574. Sua morte, 594.
Ostasio da Polenta, signor di Ravenna, caccia i Veneziani dalla sua città, V, 1132. Chiamato a Venezia sotto aspetto d'amico, gli è tolto e dominio e libertà, 1153, 1154. Mandato in Candia col figlio, ove poi morì, 1154.
Ostenda: suo memorabil assedio fatto dall'arciduca Alberto governator delle Fiandre, VI, 894, 903. Si rende ai Cattolici, 905.
Ostilio, filosofo, relegato da Vespasiano Augusto, I, 303.
Ostro, conte goto, capo di una sedizione in Costantinopoli, II, 639.
Ostrogoti. V. Goti.
Otberto, V. Ocberto.
Otgario, arcivescovo di Magonza, III, 593.
Otgerio, vescovo di Spira, fatto flagellare da papa Giovanni XII, III, 1166. Mandato a Roma dall'imperadore Ottone I, 1170.
Otranto, preso dai Turchi, VI, 82. Ricuperato da Alfonso duca di Calabria, 75.
Otta, badessa di Santa Giulia di Brescia, IV, 255.
Ottavia, figlia di Claudio imperadore, promessa a Lucio Silano, che poi sposò Nerone, divenuto in seguito imperadore, I, 147, 178. Suo maritaggio con quest'ultimo, 189. Sua virtù nella morte del fratello Britannico, 201. Sua saviezza [1056] e pazienza, 224. È ripudiata dall'empio marito che l'odiava, ivi. Accusata da Poppea Sabina, 225. Relegata nella Campania, ivi. Pel mormoramento del popolo, che l'amava, è richiamata, ivi. Per l'allegrezza mostrata dal popolo stesso al suo ritorno in Roma nuovamente calunniata dalla perfida Poppea, ivi. Accuse contro lei portate dall'iniquo Aniceto, per le quali vien relegata nell'isola Pandataria, e poco dopo fatta uccidere, ivi.
Ottaviano, figlio di Alberico, creato principe di Roma, III, 1131. Poscia papa, 1135. V. Giovanni XII. Fu il primo che abbia introdotto l'uso di cambiare il nome de' novelli papi, con servirsi poi di due nomi, Ottaviano nelle cose temporali, Giovanni nelle spirituali, ivi.
Ottaviano, cardinale di Santa Cecilia, spedito da papa Adriano IV all'imperadore Federigo I, IV, 750. Diviene antipapa, 756. V. Vittore III.
Ottaviano, vescovo d'Ostia, IV, 982.
Ottaviano degli Ubaldini, cardinale, IV, 1198. Spedito in soccorso a Parma, 1202. Ricupera varie città della Romagna, 1208. Presede all'esercito pontificio contro Manfredi, 1247. Fa una capitolazione con lui, 1251. Leva l'interdetto a Bologna, V, 30.
Ottaviano di Belforte, s'impossessa della signoria di Volterra, e ne scaccia il vescovo suo nipote, V, 553.
Ottaviano Riario, proclamato signore di Forlì, VI, 101.
Ottobuono del Fiesco, cardinale; va ad Asti per ottenere la libertà dei suoi nipoti, figli di Tommaso conte di Savoia, colà tenuti in ostaggio, V, 19. Al suo ritorno in Genova tumulto per timore ch'ei volesse far deporre il doge Guglielmo Boccanegra, ivi. Coi nobili banditi genovesi, da lui chiamati a Roma, soggetta Genova a Carlo re di Sicilia, 99.
Ottobuono de' Terzi, occupa Piacenza, Parma e Reggio, V, 922, 923. Gli muove guerra Facino Cane, 942. Loro battaglia, 950. Sua crudeltà e sua rapacità, ivi, 951. Fa guerra al marchese di Ferrara, 959. Sua crudeltà, e lega contro di lui, 960. È ucciso da Sforza, 968.
Ottone (Marco Salvio), poi imperadore: sua nascita, I, 93, 97. Confidente di Nerone, 199. Lo adula e corrompe, 206. Toltagli Poppea Sabina sua moglie da Nerone, 209. Presidente della Lusitania, ivi. Aiuta Galba a divenire imperadore, 251. Viene a Roma con lui, 258. Ove si fa egli proclamare imperadore, 264. Provincie dell'impero che lo riconoscono, 267. Muove il senato a scrivere a Vitellio, nuovo imperadore, lettere amorevoli, 268. Irritato per [1057] vedersi deriso, manda degli assassini per trucidarlo, ivi. Parte da Roma con un'armata per andar contro allo stesso Vitellio, 269. La quale è disfatta da quella dell'emulo, 271. Abbandonato dal fratello Tiziano e dai soldati, ivi. Perlochè si dà da sè stesso la morte, 272.
Ottone (Lucio Salvio): console padre di Ottone imperadore, I, 97. Governatore dell'Illirico, 153.
Ottone, conte di Bergamo, mandato da Lodovico II imperadore in soccorso dei popoli della Calabria contro i Saraceni, III, 729, 730.
Ottone, duca di Sassonia, avolo di Ottone il Grande, III, 899. Ricusa il regno della Germania, 981.
Ottone I il Grande, eletto re di Germania, III, 1070. Accoglie Berengario, marchese d'Ivrea fuggitivo, 1083. Aspira alle nozze di Adelaide vedova di Lottario re d'Italia, 1118. S'impadronisce di Pavia, e sposa la suddetta regina, 1120. Suo ritorno in Germania per la ribellione del figlio Lodolfo, 1123. Rimette Berengario in possesso del regno d'Italia, 1125. Si pacifica col figlio e col genero Corrado, 1132. Insigne sua vittoria sugli Ungheri, 1133. A lui inviano preghiere il papa Giovanni XII ed altri principi d'Italia contro de' due re Berengario ed Adalberto, 1145. Fa eleggere e corona re di Germania Ottone II suo figlio, 1150. Calato di nuovo io Italia, entra in Pavia, ivi. È coronato re d'Italia in Milano, 1151, 1152. Poscia imperadore in Roma, 1154. Benefico verso i suoi aderenti, 1156, 1157. Prende l'isola di San Giulio con la regina Willa, moglie del re Berengario, 1158. Assedia Berengario in San Leo, 1160. Querele a lui portate contro Giovanni XII papa, 1161. Messi a lui spediti dallo stesso papa, 1162. Va con parte dall'armata a Roma, ove giunto il papa se ne fugge, 1163. Si fa prestar giuramento da tutti gli ordini di non eleggere nè consecrare da lì innanzi alcun papa senza il consentimento di lui e del figlio, ivi. Fa deporre lo stesso papa, ivi. Congiura preparata contro di lui in Roma, 1165. Fa prigione Berengario, ivi, 1166. Stringe Roma d'assedio, e talmente l'affanna che i Romani ricorrono alla sua misericordia, 1167. Entra in quella città e rimette papa Leone VIII, ivi. Suo diploma in favore del monistero di Monte Casino, 1168. Torna in Germania, 1169. Poscia a Roma, 1177. Dove fa troppo rigorosa giustizia, 1178. Manda Liutprando ambasciatore al greco Augusto Niceforo Foca, 1184. A cui di poi fa guerra, 1186, 1190. Insulto a lui fatto dai Greci, 1191. Dei quali riporta vittoria, 1193. Suo palazzo fatto erigere in Ravenna, 1194, 1198. Con una poderosa [1058] armata si porta al danno de' Napoletani, 1197. Fa pace co' Greci, 1199. Torna in Germania col figlio e colla nuora Teofania, 1201. Rende l'anima al suo creatore, 1205.
Ottone II, figlio di Ottone il Grande; sua nascita, III, 1133. Eletto re di Germania, 1150. E d'Italia, 1160. Viene a Ravenna ed a Roma, 1183. Dove è coronato imperadore, 1184. Prende in moglie Teofania, greca, 1199, 1201. Succede al padre, 1206. Muove guerra alla Boemia, 1214. Sue militari imprese, 1216. Sua dissensione colla madre, 1219. Fa pace con Lottario re di Francia, 1227. Pretensioni sugli Stati posseduti dai greci Augusti, messe a lui in capo dalla moglie, ivi. Gli nasce un figlio che fu poi Ottone III, 1228. Sue azioni in Italia, 1232. Sconfitto dai Saraceni, 1238. Come liberato dalle mani dei Greci, 1239, 1240. Dieta da lui tenuta in Verona, 1243. In cui sono promulgate le sue leggi, ivi. Suo diploma in favore del doge di Venezia, 1245. Suoi cattivi disegni contro i Veneziani, 1246. Dà fine a' suoi giorni, 1248.
Ottone Guglielmo, figlio di Adalberto re d'Italia, divien duca di Borgogna, III, 1177.
Ottone III imperadore: sua nascita, III, 1228. Proclamato re di Germania e d'Italia, 1243. Coronato re in Aquisgrana, 1248. Contro di lui si solleva Arrigo già duca di Baviera, 1249. Suoi prosperi successi in Germania, 1256. Anni suoi non contati in Italia, 1265, 1275. Suo diploma in favore di Pietro Orseolo II doge di Venezia, 1276. Suoi ambasciatori al greco Augusto, IV, 12. Cala in Italia, 13. Va a Roma, dov'è coronato imperadore da papa Gregorio V, 17. Come ancora re d'Italia, 19. Racconto dubbioso della infedeltà di sua moglie, che dicesi fatta morire da lui, 20, 21. Sua guerra contro gli Slavi, 24. Torna in Italia, 25. Viene a Venezia, 27. Con papa Gregorio V e con un fioritissimo esercito d'Italiani e Tedeschi si porta a Roma, 28. Depone Giovanni Calabrese usurpator del papato, ivi. Fa morire Crescenzio console, 30. Sua costituzione che vieta l'alienazione de' beni delle chiese, 31. Placito da lui tenuto in Roma, 34. Promuove Gerberto, già stato suo precettore, al papato, 36. Suo ritorno in Germania, 40. Poscia di nuovo in Italia, 41. Sua penitenza, 44, 47, 52, 55. Assedia Benevento e Tivoli, 45. Perdona ai Tiburtini, 46. Sollevazione de' Romani contro di lui, 49, 53. Immatura sua morte, e sue belle doti, 55.
Ottone, figlio di Litolfo, creato duca di Baviera, III, 1222. Va in aiuto dello zio Ottone II imperadore in Calabria contro i Saraceni, 1237. Sua morte, 1241.
[1059]
Ottone, duca di Carintia e marchese della marca di Verona, figlio di Corrado, duca della Francia orientale, padre di Gregorio V papa, IV, 26, 57. Ricusa la corona del regno d'Italia, 61. Sconfitto da Ardoino, marchese d'Ivrea, 62. Parteggia per re Arrigo contro Ardoino, 65.
Ottone Orseolo, doge di Venezia, IV, 87. Esiliato e poi richiamato, 143. Di nuovo è scacciato, 155. Chiamato di nuovo al ducato, 170, 171. Sua morte, 174.
Ottone, conte del palazzo sotto Arrigo I Augusto, IV, 105.
Ottone, marchese di Susa, IV, 275.
Ottone, duca di Baviera, si ribella ad Arrigo IV, re di Germania, per cui è deposto, IV, 348, 349.
Ottone, vescovo d'Ostia, legato del papa Gregorio VII, imprigionato da Arrigo IV re, IV, 413. Dallo stesso papa designato a suo successore, 423. Liberato dalla prigionia, 427. Eletto papa, 433. V. Urbano II.
Ottone, arcivescovo eletto di Ravenna, IV, 500.
Ottone, vescovo di Palestrina, IV, 570.
Ottone, vescovo di Frisinga: ritratto che fa della Italia al suo tempo, IV, 719.
Ottone, conte palatino di Baviera, IV, 740. Riduce Ferrara al dominio di Federigo I imperadore, 750. Dallo stesso imperadore mandato a Milano, 757.
Ottone, figlio di Federigo I Augusto, creato re di Borgogna, IV, 822.
Ottone IV, figlio del duca Arrigo Leone, eletto re de' Romani, IV, 960. Sua elezione approvata da papa Innocenzo III, 976. A lui dà una rotta Filippo di Suevia suo competitore, 993. Perciò verso di lui si sminuisce il favore del papa, 996. Dopo la morte di Filippo da tutti è accettato per re, 998. Sue nozze con Beatrice, figlia d'esso Filippo, ivi, 1003. Cala in Italia e riceve la corona di questo regno, 1004. Da papa Innocenzo riceve la imperial corona, 1005. Sue dissensioni con esso pontefice, 1006. Dà l'investitura della [1060] marca d'Ancona ad Azzo VI marchese d'Este, 1008. Muove guerra a Federigo II re di Sicilia, 1009. Scomunicato da papa Innocenzo, 1010. Sue conquiste nel regno di Napoli, 1011. Molti vescovi della Germania, a suggestione del papa, pubblicano la scomunica contro di lui, e lo dichiarano decaduto, trattando di eleggere in suo luogo Federigo II, 1013. Per questo è forzato a tornarsene in Germania, 1016. Resta in una fiera battaglia sconfitto dai Franzesi, 1023. Sua malattia e morte, 1035, 1036.
Ottone, cardinale di San Niccolò, IV, 1103. Preso da Federigo, II, 1167.
Ottone, cardinale, vescovo di Porto, IV, 1183.
Ottone Visconte, eletto arcivescovo di Milano, V, 39. Sostenuto da papa Clemente IV contro i Torriani, 69, 79. Ricorre a papa Gregorio X per ottenere il suo aiuto contro la prepotenza degli stessi, 96. Sono deluse le sue speranze, 102. Per cui si ritira a Biella, 111. Fa guerra ai Torriani, 116. Loro dà una gran rotta e li fa prigioni, 122. Proclamato anche signore di Milano, 123. Gli fan guerra i Torriani, 128. Abbatte il marchese di Monferrato, 165. Fa pace coi Torriani, 185. Esalta la propria casa, 189. Termina il corso di sua vita, 237.
Ottone, duca di Brunswich, va al servigio del marchese di Monferrato, V, 693. Difende Asti, 731. Suo dominio in Monferrato, ed elezione di lui in marito fatta dalla regina Giovanna di Napoli, 748. Va a Napoli e solennemente la sposa, 753. Promesse a lui fatte da Gian-Galeazzo duca di Milano, 758. Mandato dalla moglie ad Urbano VI papa con ricchi donativi, 762. Tutore del marchese di Monferrato, Giovanni Terzo, 766. Sconfitto e fatto prigione da Carlo dalla Pace, 785. Sua liberazione, 797. Prende Napoli, 818. Passa al servigio del re Ladislao, 823, 824. Sconfitto e preso, 851. Sua morte, 884, 885.
Ovidio, poeta, esiliato nella Scizia, e perchè, I, 31. Sua morte, 55.
[1061]
Pacato (Latino Drepiano): suo panegirico in onore di Teodosio I Augusto, II, 271, 284.
Pace di Costanza fra l'imperador Federigo I e le città lombarde, IV, 882.
Pace di Munster, dannosa al cattolicismo, VI, 1171.
Pace dei Pirenei, tra la Francia e la Spagna, VI, 1217.
Pace Di Nimega, VII, 25, 30.
Pace di Riswich fra i collegati e i Franzesi, VII, 129.
Pace di Utrecht, tra la Francia ed altre potenze, VII, 250.
Pace di Rastat tra l'imperadore Carlo VI e Luigi XIV re di Francia, VII, 258, 259.
Pace tra l'imperadore stesso e i Turchi, VII, 283.
Pace fra i Turchi e i Veneziani, VII, 283.
Pace e lega di Siviglia fra la Spagna, Francia, Inghilterra, ec., VII, 341.
Pace di Aquisgrana stabilita fra le potenze guerreggianti, Francia, Inghilterra ed Olanda, VII, 689.
Pacifico, arcidiacono di Verona, vince nel giudizio della Croce, III, 376. Sua morte, 648. Suo epitaffio, ivi.
Pacifico, abbate di Brescello, IV, 714.
Pacoro, re della Media, dai Tartari obbligato a fuggire, I, 298.
Padova, città distrutta da Attila, II, 561. Presa e smantellata dal re Agilolfo, 1114, 1116. Si sottomette a Federigo II Augusto, IV, 1140. Tentata in vano da Azzo VII marchese d'Este, 1150. Liberata dai croce-signati dalle mani di Eccelino, 1256. Che fa morire migliaia di Padovani, 1257. Cresce in potenza, V, 16. Fa guerra ad Azzo VIII marchese d'Este, 231. Fa suo signore Jacopo da Carrara, 403. Il quale, per l'assedio postole da Cane dalla Scala, la esibisce a Federigo [1062] duca d'Austria; 405. Soccorso dei Tedeschi quanto a lei dannoso, 442, 443. Elegge signore Marsilio da Carrara, che indi la cede a Cane, 477. Proclama di nuovo signore il primo di essi, 536. Tolta a' Carraresi dal signor di Milano, 827. Ricuperata da Francesco II da Carrara, 839. Presa da' Veneziani, 939. Si renda a Massimiliano imperadore, VI, 239. Ricuperata dai Veneziani, 243. Infelicità di essa e de' nobili, 244. Assediata dall'imperadore Massimiliano, 246. Che se ne ritira, 247.
Padovani, sconfitti dai Veneziani, IV, 535, 674. Sconfitti da' Veronesi, 955. Lor vittoria sui Vicentini, ivi. Lor discordia coi Veneziani, 1024. Cacciati da Vicenza, 1080. Loro differenze con Eccelino e co' Trevisani, composte, 1085. Fan guerra a Verona, 1096. A Trivigi, 1123. Loro angustie per la venuta di Federigo II, 1135. Lor guerra co' Veneziani, V, 295. Vicenza loro tolta da Cane dalla Scala, 350. Contro di cui cominciano un'aspra guerra, 355, 359. Da lui sono messi in rotta sotto Vicenza, 380. Fanno pace, 381. Di nuovo sconfitti a Vicenza, 395. Perdono Monselice ed altre terre, ivi.
Padre della patria: titolo dato per la prima volta a Cesare Augusto, I, 4.
Paesi Bassi, a cagione dell'Inquisizione, si sollevano contro Filippo II re di Spagna, VI, 724, 756. Fanno un ammutinamento per cacciar tutti gli Spagnuoli, 771. Ciò ottenuto dall'incauto governatore Giovanni d'Austria, cercano di liberarsi anche di lui, 774.
Pagano dalla Torre, vescovo di Padova viene a Milano per cercar d'accordar tra loro i suoi parenti, V, 329. Divenuto patriarca d'Aquileia, fa guerra a Galeazzo Visconte dura di Milano, 421. Scomunica i Visconti e predica contro di loro la crociata, 426. Conduce molte schiere combattenti a' danni di essi, 434.
[1063]
Palazzo imperiale in Roma: sua grandezza troppo innalzata da Erodiano, I, 716.
Palazzo ducale di Spoleti, III, 493.
Palermitani, lor sollevazione, VI, 1146. Fine di essa, 1149, 1167.
Palermo afflitto da un fiero tremuoto, VII, 327.
Palladio (Gunio Quarto), console sotto l'Augusto Onorio, II, 431.
Palladio, prefetto del pretorio d'Italia, sotto l'imperadore Onorio, II, 437.
Palladio apostolo e primo vescovo di Scozia, II, 482.
Palladio, figlio di Petronio Massimo Augusto, dichiarato Cesare, II, 578. Ucciso, 579.
Palladio, vescovo eretico d'Antiochia a' tempi dell'imperadore Zenone, II, 695.
Pallante, liberto di Claudio Augusto. Sua possanza, I, 177, 181. Onori a lui conferiti dal senato, 186. Sua ostentazione e vanagloria, ivi. Protettor di Nerone, 192. Che poi l'abbassa, 200. E lo fa avvelenare, 226.
Palma (Aulo Cornelio), uomo consolare, governatore della Soria sotto l'imperadore Traiano, I, 402. Creduto complice di Domizio Negrino, accusato di trama contro la vita dell'imperadore Adriano, per ordine del quale è fatto uccidere, 442.
Palmato (Giunio), generale di Alessandro Augusto, nell'Armenia, I, 805.
Palmato, prefetto di Roma sotto l'imperadore Onorio, II, 416.
Pamprepio, senatore sotto l'imperadore Zenone, accusato di magia, II, 682.
Pandolfo, ossia Paldolfo Capodiferro, figlio di Landolfo II, principe di Benevento e di Capoa, III, 1093. È dichiarato dal padre collega nel principato, ivi. A lui fa guerra Giovanni X papa, 1143. Succede al padre, 1153. Riceve in Capoa con grande onore e magnificenza l'imperadore Ottone II, 1164. Dal quale è creato duca di Spoleti e marchese di Camerino, 1182. Sua potenza accresciuta colla morte di suo fratello Landolfo III, 1189. Fa erigere la chiesa di Benevento in arcivescovato, 1192. Dà una rotta ai Greci, 1193. Dai quali è preso e inviato a Costantinopoli prigione, ivi. Liberato torna in Italia, 1197. Unito ai Beneventani e Spoletini va a devastare il territorio di Napoli e di Salerno, 1208. Ma uscitogli incontro Gisolfo I, principe di Salerno, se ne torna a casa, ivi. Va in aiuto di essi Gisolfo, tenuto prigione in Salerno dal cugino di lui Landolfo, e lo mette in libertà, 1210, 1211. Suo figlio Pandolfo è adottato in figliuolo da Gisolfo, 1211. Assume il titolo di principe di Salerno unitamente al figliuolo, 1221. Muore, 1231.
[1064]
Pandolfo, figlio di Pandolfo Capodiferro, principe di Benevento e Capoa, è adottato in figliuolo da Gisolfo I principe di Salerno, III, 1211. Gli succede in quel principato, 1221, 1231. Ne è spogliato da Mansone duca d'Amalfi, 1234.
Pandolfo II, figlio di Landolfo III, si fa principe di Benevento, III, 1234. Riceve in Benevento Ottone III Augusto, IV, 38.
Pandolfo II, succede nel principato di Capoa a Landolfo IV suo padre, IV, 83. Prende per suo collega Pandolfo II suo zio principe di Benevento, 87. Fa lega co' Greci, 128, 131.
Pandolfo IV, principe di Capoa, IV, 125. Fatto prigione da Arrigo I Augusto, 135. È condotto in Germania, ivi. Torna in Italia, 151. Riacquista il principato, 155. S'impadronisce di Napoli, 161. Che gli è ritolto da Sergio duca, 164, 165. Sue violenze contro il monistero di Monte Casino, 168. Spogliato de' suoi Stati da Corrado Augusto, 197. Li ricupera, 237. Sua morte, 248.
Pandolfo, conte di Tiano, creato principe di Capoa, IV, 137. Gli convien cedere a Pandolfo IV, 155. Fugge a Roma, dove muore, 161.
Pandolfo V, figlio di Pandolfo IV principe di Capoa, dichiarato dal padre collega nel principato, IV, 156, 161, 197. Gli succede, 248. Gli è tolto Benevento, 263. Assediato in Capoa, 310. Muore, ivi.
Pandolfo III, principe di Benevento, IV, 211.
Pandolfo, cardinale de' Santi dodici Apostoli, IV, 948.
Pandolfo Malatesta, signor di Sinigaglia, V, 305, 306.
Pandolfo Malatesta, generale dei Fiorentini, V, 695. Succede al padre nel dominio di Rimini, 700. Cessa di vivere, 735.
Pandolfo Malatesta juniore, signor di Rimini, V, 811. Sua guerra cogli Ordelaffi, 856. Acquista Brescia, 922. Bergamo, 958. Sua battaglia con Facino Cane, 965. Dal quale è assediato in Bergamo, 981. Fa guerra a Gabrino Fondolo, 988. Perde Bergamo, 1024. Guerra a lui mossa da Filippo Maria Visconte duca di Milano, 1031. Cede Brescia ad esso duca, 1037. Rotta a lui data da Angelo della Pergola, 1058. Sua morte, 1073.
Pandolfo Malatesta, figlio di Roberto, succede a suo padre, VI, 80. Gli è tolto Rimini dal duca Valentino, 165.
Pandolfo Petrucci, come signor di Siena, VI, 192, 194. Si salva dalle mani del duca Valentino, 196.
Pandonolfo, principe di Capoa, III, 807. Muove guerra a Gaeta, 835.
Pannonia, si ribella ai Romani, e Tiberio la sottomette, I, 26.
[1065]
Panteon, oggidì la Rotonda di Roma, tempio nobilissimo, nella cui fabbrica non entrava legno, I, 411. Ridotto oggidì dai cristiani in onore del vero Dio, II, 1138.
Paola (Giulia Cornelia), moglie di Elagabalo, I, 759.
Paolina, nobile romana, ingannata dai sacerdoti egiziani, I, 60.
Paolina (Lollia), moglie di Caligola, I, 122. Aspira alle nozze di Claudio Augusto, 177. Esiliata, 179.
Paolina, moglie di Seneca, I, 237.
Paolina, sorella di Adriano Augusto, I, 470.
Paolino (Svetonio), sconfigge i Mauritani, I, 148. E i Britanni ribelli, 222. Generale di Ottone imperadore, 269. Mette in rotta l'armata di Vitellio, ivi. Sua vile azione per mettersi in grazia di Vitellio Augusto, 273.
Paolino (Anicio), prefetto di Roma sotto l'imperadore Costantino, I, 1191, 1194. Creato console, 1201.
Paolino, prefetto di Roma sotto l'imperadore Graziano, II, 223.
Paolino I (San), vescovo di Nola, fatto prigione dai Goti, II, 403. Sua morte, 480.
Paolino, maggiordomo e favorito di Teodosio II Augusto, perchè ucciso da lui, II, 531.
Paolino II (San), vescovo di Nola; sua mirabile carità per liberare uno schiavo dai Vandali, II, 581.
Paolino, arcivescovo d'Aquileia, si dichiara contro il concilio V generale, per cui ne nasce lo scisma della sua Chiesa, II, 962. All'avvicinarsi d'Alboino re de' Longobardi all'Italia, si ritira nell'isola di Grado con tutto il tesoro della sua chiesa, 999. Sua morte, 1006.
Paolino, console sotto il re Teoderico, II, 731.
Paolino (San), maestro di grammatica conosciuto da Carlo Magno imperadore, III, 345. Diploma dello stesso Augusto, con cui gli dona alcuni beni nel Friuli, 346. Dallo stesso imperadore innalzato a patriarca d'Aquileia, 347. Interviene al concilio di Francoforte, 394. Sua predizione, 395. Concilio da lui celebrato in Cividale del Friuli, 405. Suoi tre libri contro l'eresia di Felice vescovo d'Urgel, 410. Sua lettera a Carlo Magno, 438. Sua morte, ivi.
Paolo Apostolo martirizzato sotto Nerone, I, 239.
Paolo, insigne giurisconsulto sotto Severo Augusto, I, 698, 771.
Paolo, vescovo cattolico di Costantinopoli, esiliato da Costanzo Augusto, II, 13.
Paolo, zio dell'imperadore Augustolo, preso da Odoacre e fatto morire, II, 661.
[1066]
Paolo, console orientale sotto l'imperadore Anastasio, II, 724.
Paolo Diacono, storico di nazion longobarda, II, 997. Sua genealogia, 1147. Quando fiorisse, III, 349. Sua morte, 408.
Paolo, patriarca di Costantinopoli, II, 1227. Eretico monotelita, 1238. Lettere a lui scritte dai vescovi dell'Africa, perchè volesse reprimere i seminatori di quella abbominevol dottrina, 1239. Rimproverato da papa Teodoro sull'incertezza di sua fede, si leva la maschera in favore dell'eresia, 1240. Scomunicato dallo stesso papa, 1243. Termina i suoi giorni, 1259.
Paolo, vescovo di Altino; presa la città da Rotari, re de' Longobardi, si ritira col suo popolo a Torcello, 1230.
Paolo, archivista, spedito dall'imperador Leone Isauro in Sicilia col titolo di patrizio e duca a sedar quel popolo sollevato, III, 160. Inviato esarco in Italia, 178. È scomunicato, 179.
Paolo I papa. Sua elezione, III, 269. Sue lettere al re Pipino, 271, 275. Dà fine al suo vivere, 289.
Paolo, patriarca cattolico di Costantinopoli, III, 342.
Paolo, vescovo di Popolonia, con Obelerio, doge di Venezia, e varii altri legati della Dalmazia con molti regali si recano all'imperadore Carlo Magno, III, 455.
Paolo, vescovo di Popolonia, III, 708.
Paolo, vescovo di Piacenza, III, 800.
Paolo, vescovo di Reggio, III, 800.
Paolo Guinigi, proclamato signor di Lucca, V, 894. Gli fan guerra i Fiorentini, 1079. È assediato in Lucca, 1081. Ricorre per soccorso a Filippo Maria duca di Milano, e a Siena, ivi. Aiutato da Antonio Petrucci, ivi. È liberato dal conte Francesco Sforza, in lui favore spedito dal duca di Milano, 1082. I Lucchesi lo fanno prigione, ivi. Poscia co' figli condotto prigione a Milano, ove muore, ivi.
Paolo II papa. Sua elezione, VI, 11. Leva gli Stati a Francesco e Deifobo Orsini, 14. Mette pace fra i principi d'Italia, 26. Sua lega coi Veneziani, 32. Rotta data alle sue genti, 33. Crea duca di Ferrara Borso Estense, 38. Sua morte, 39.
Paolo Fregoso, cardinale, arcivescovo di Genova, V, 1265. Fattosi proclamar doge, dopo un mese è detronizzato, 1274. Imprigionato Battistino Fregoso, si fa egli nuovamente proclamar doge, VI, 85. Sottomette Genova a Milano, 98. Gli è mossa guerra da' fuorusciti genovesi, 102.
Paolo III papa. Sua creazione, VI, 506. Fa indarno assediare Camerino, 509. Ricupera Perugia, [1067] 510. Accoglie Carlo V in Roma, 517. Convoca il concilio generale, 518. Sue premure per la pace, 520, 525. Crea de' cardinali insigni, 526. Sua lega contro i Turchi, 533. Suo abboccamento con Carlo V e con Francesco re di Francia nella città di Nizza in Provenza, 534. Margherita d'Austria da lui procurata in moglie ad Ottavio suo nipote, 536. Se gli ribella Perugia, 545. La ricupera, ivi. Fa guerra ai Colonnesi, 546, 548. Suo abboccamento con Carlo V in Lucca, 551. Stabilisce il concilio generale da tenersi in Trento, 556. Visita Ferrara, e di nuovo si abbocca con Carlo V in Busseto, 559, 560. Dà Piacenza e Parma al figlio, 573. Fa lega con Carlo V contro i Protestanti, 577. Nuova funesta a lui recata a Perugia, che suo figlio è assassinato, 591. Si sconcerta la sua buona armonia con Carlo V, 592. Unisce di nuovo Parma alla Chiesa, 597, 598. Fine di sua vita, 599. Sue qualità, ivi, 600.
Paolo IV papa. Sua creazione, VI, 641. Suo nepotismo, 646. Sua lega con Arrigo II, re di Francia, 648. Gli muovono guerra gli Spagnuoli, 653. Rifiuta la pace, 655. È sconfitta la sua gente, 660. Fa pace col re Filippo, 665. Niega di riconoscere per imperadore Ferdinando I, VI, 650, 672. Rigetta Elisabetta regina d'Inghilterra, 675. Caccia da sè i nipoti, 677. Mal animo de' Romani contro di lui a cagion dell'Inquisizione, 678. Giugne al fine dei suoi giorni, 682. Sollevazione del popolo romano dopo la sua morte, ivi.
Paolo V papa. Sua creazione, VI, 910. Suo impegno contro la repubblica veneta, 911. Suo monitorio ed interdetto contro d'essi Veneti, 913. Concordia del papa con loro conchiusa dal cardinale di Gioiosa, 917, 918. Riceve un ambasciatore del re del Congo, 921. Sua nobil costituzione, 934. Sua briga colla corte di Francia, 948. Protegge l'Augusto Ferdinando II, 972. Sua morte e sue lodevoli azioni, 980.
Paolo Sarpi, chiamato anche Pietro Soave, servita, pugnalato in Venezia, per ordine della corte di Roma, VI, 921. Sua morte, 985.
Paoluccio, primo doge di Venezia, III, 100. Suoi patti con Liutprando, re de' Longobardi, 150. Sua morte, 158.
Papessa Giovanna, sciocchissima favola de' secoli ignoranti, III, 675.
Papi: loro elezione, come regolata a' tempi di Arrigo II Augusto, IV, 235.
Papiano, proclamato imperadore sotto gli Augusti Filippi, ed ucciso, I, 860.
Papiniano, celebre giurisconsulto sotto Severo Augusto, [1068] prefetto del pretorio, I, 698, 710. Deposto da Caracalla, 714. Poscia da lui tolto di vita, 722.
Papirio (Dionisio), presidente dell'annona sotto l'imperadore Commodo, I, 617. Ucciso da Commodo stesso, 619.
Papo, matematico, che fiorì sotto Teodosio il Grande, II, 321.
Papurio, castello della Cappadocia, ove dall'imperadore Zenone venne relegato il ribelle Marciano figliuolo dell'imperadore Antemio, II, 675. Ivi pure relegata Verina Augusta, vedova di Leone imperadore, 681.
Para, figlio di Arsace re dell'Armenia ricorre alla protezione dell'imperadore Valente, II, 171. Il quale gli manda Arinteo con un'armata in soccorso, 181. Accusato presso lo stesso imperadore da Terenzio duca difensor dell'Armenia, 193. Fatto uccidere a tradimento dallo stesso Valente, ivi.
Parigi, città: quando si cominciasse ad udire questo nome, II, 82. Stabilita città capitale del regno de' Franchi dal re Clodoveo, 770.
Parma, Piacenza e Reggio, ricuperate da Maurizio Augusto, II, 1077. Le due prime restituite a Francesco I re di Francia. VI, 328.
Parma: famoso assedio fattole dall'imperadore Federigo II, IV, 1202. Sua liberazione, 1203. Elegge per suo signore Giberto da Correggio, V, 289. Fa guerra al marchese d'Este Azzo VIII, 299. Il Correggio perde il dominio di essa, 321. Me è cacciato dal popolo levatosi a rumore, 390. Si dà al papa Giovanni XXII, 429, 453. Azzo Visconte le fa guerra, 445. Se ne impadroniscono Marsilio de' Rossi ed Azzo da Correggio, 480. Giovanni re di Boemia ne è proclamato signore, 498. È ceduta a Mastino dalla Scala, 525. La riprendono nuovamente i Correggeschi, 556. Venduta da essi ad Obizzo, marchese d'Este, 573. E da lui ceduta a Luchino Visconte, 585. Assediata dalle armi pontificie, VI, 366. Ma indarno, 367. Scandalo grave quivi accaduto, 492. Data a Pier-Luigi Farnese, 574. Acclama Ottavio di lui figlio per duca, 591. Battaglia nelle sue vicinanze fra i Cesarei e Gallo-Sardi, VII, 391. Occupata dagli Spagnuoli, 561. Ricuperata dagli Austriaci, 579.
Parmigiani, collegati coi Modenesi, IV, 704. Loro vittoria ottenuta sui Reggiani, 710. E sui Piacentini, 711. Loro guerra con questi ultimi per cagione di Borgo San Donnino, 965. Vanno in aiuto de' Modenesi, e mettono in rotta i Bolognesi, 1085, 1090. Guerra civile fra loro, 1175, 1176. Aderenti a Federigo II imperadore, 1192. A lui si ribellano, 1200. Sconfitti dal re Enzo [1069] verso Montecchio, 1201. Terribile rotta loro data dai Cremonesi, 1219. Prendono e smantellano Borgo San Donnino, V, 80. Uniti coi Cremonesi vanno in aiuto di Lodi contro i Milanesi, 143. Loro sforzi per mettere la pace fra i Modenesi, 173, 185, 186. Che al fine giungono a stabilire, 190. Guerra civile fra essi, 237, 238. Congiura d'essi contro Giberto da Correggio lor signore, 299, 311, 312. Guerra civile fra essi, 321. Fanno oste contro Borgo San Donnino, 330.
Partamasire, fratello di Cosdroe re di Persia, re dell'Armenia, I, 415. Sua sommessione all'imperadore Traiano, 417. Si presenta a lui e depone a' suoi piedi il diadema, 418. Da lui deposto, ivi. Sua guerra contro lo stesso Augusto, ivi. Ucciso, ivi.
Partamaspare, dato per re ai Parti da Traiano, I, 428. Deposto da Adriano, 436.
Partenio, maestro di camera di Domiziano, congiurato contro di lui, I, 367. Ucciso da' soldati, 377.
Pasquale I papa. Sua elezione, III, 507. Diploma dell'imperadore Lodovico Pio in favore suo, se legittimo, 509. Sua bolla a Petronace arcivescovo di Ravenna, col quale conferma i privilegii di quella chiesa, 523. Dà la corona imperiale a Lottario Augusto, 536. Si giustifica presso Lodovico Pio, 539. Sua morte, 541.
Pasquale II papa. Sua elezione, IV, 482. Concilio da lui tenuto in Roma, 492. Creduto da alcuni fautore della ribellione di Arrigo V contro Arrigo IV suo padre, 498. Fa atterrar le case della nobil famiglia de' Corsi in Roma, per cui Stefano, capo di essa a lui si ribella, 500. Suoi concilii, ivi, 501. Fa disotterrare il cadavere dell'antipapa Guiberto, e gettare nel fiume, 506. Passa in Francia, 508. Insigne concilio da lui tenuto in Guastalla, ivi. Torna dalla Francia in Italia, 511. Poscia a Roma, 515. Suo concilio in Benevento, 516. Altro concilio da lui tenuto nella basilica lateranense, 521. Strana esibizione da lui fatta al re Arrigo V, 527. Lite insorta fra lui e questo principe, 529. Per cui è imprigionato, ivi. Fa pace con lui, e gli dà la corona, 532. Ritratta il privilegio a lui accordato, 536, 537. Si porta a Benevento per rimediare a' disordini di essa, 540. Dove celebra un concilio, 540. Scoperti gli autori e dati in mano alla giustizia, torna a Roma, ivi. Suoi affanni per Benevento stessa assediata da' Normanni, 543. Tiene un concilio in Ceperano, in cui dà l'investitura della Puglia, Calabria e Sicilia al duca Guglielmo, ivi, 544. Suo concilio in Troia, 546. E Lateranense, 549. Suoi affanni, 553. Pel ritorno [1070] di Arrigo V Augusto in Roma si ritira a Benevento, 556. Scomunica e depone l'arcivescovo Burdino, 557. Riceve gli ambasciatori di Alessio Comneno, imperadore d'Oriente, 559. Fine di sua vita, ivi.
Pasquale III antipapa, IV, 788. Induce l'imperadore Federigo I all'assedio di Roma, 807. Muore impenitente, 821.
Pasquale Malipiero doge di Venezia, V, 1247.
Passerino de' Bonacossi (Rinaldo), signor di Mantova, V, 349. Acquista la signoria di Modena, 359. Fa guerra a Cremona, 385, 390. Gli è tolta Modena, 401. E restituita, 407. Scomunicato da papa Giovanni XXII, 411. Sua crudeltà contro Francesco dalla Mirandola, 420. Dà una gran rotta ai Bolognesi, 449. Gli si ribella Modena, 458. È ucciso dai Gonzaghi, 474.
Passieno (Vibio), proconsole dell'Africa sotto lo imperadore Gallieno, I, 923.
Paterini o Catari appellati gli eretici manichei, IV, 856. Come diffusi per l'Italia, 1098, 1099, 1115.
Paterno (Tarrutino, ossia Tarutennio), prefetto del pretorio sotto Commodo, I, 585. Creato senatore, poi da lui fatto uccidere, 604.
Paterno (Ovinio), prefetto di Roma sotto l'imperadore Probo, I, 997.
Patriarca, titolo con cui si disegnavano in Occidente gli arcivescovi e metropolitani, II, 845, 1007. Assunto dagli arcivescovi scismatici d'Aquileia per essere indipendenti dai romani pontefici, 1006.
Patricio, o Patriciolo, figlio di Aspare, creato Cesare da Leone Augusto, II, 632. È ucciso col padre, 637.
Patriziato di Roma, esibito da Gregorio III papa a Carlo Martello, III, 218. Che dignità fosse, 368, 379.
Patrizio, console sotto l'imperadore Anastasio, II, 735.
Patroclo, vescovo d'Arles, ucciso, II, 465.
Pavesi, distruggono il palazzo regale, IV, 145, 150. Guerra lor fatta da Corrado re d'Italia, 152. Rimessi in grazia sua, 160. Lor guerra coi Milanesi, e da loro vinti, 294. Fan guerra a Tortona e a Milano, 514. Sconfitti dai Milanesi, 518, 618. Salvati dalla clemenza di Lottario Augusto, 642. Loro battaglie coi Milanesi, 718, 732. Uniti coll'imperadore Federigo I danno un'altra battaglia agli stessi Milanesi, 766. Distruggono Tortona, 786. Lor guerre coi Milanesi, 817, 972, 975, 1020, 1031. Dagli stessi è tolto lor Vigevano, V, 69. Pace co' loro avversarii, 123. Si fa loro signore Guglielmo marchese di Monferrato, 202. Poi Manfredi di Beccheria, [1071] 206. Prendono Ricciardino conte di Langusco per loro signore, 369.
Pavia, saccheggiata dagli Eruli sotto la condotta d'Odoacre, II, 661. Assediata da Alboino re dei Longobardi, 1004. Dopo lungo assedio a lui si rende, 1010. Onde abbia preso il suo nome, 1075. Suo vescovato esente dalla metropoli di Milano, III, 145. Assediata dal re Pippino, 257, 261. E da Carlo Magno, 316. A cui si rende, 318. Presa e incendiata dagli Ungheri, 1020. Bruciata dai Tedeschi sotto Arrigo I imperadore, IV, 73. Aderente ad Ardoino re, e perciò nemica di Milano, 99. Maltrattata da Corrado I Augusto, 152. Signoreggiata da Filippo conte di Langusco, V, 268. Congiura con altri per la caduta di Matteo Visconte, duca di Milano, 278. Guerra mossale da Matteo Visconte, 357. Giura fedeltà al re Roberto, 360. Presa da Azzo Visconte, 509. Carlo, figliuolo del re di Boemia, tenta inutilmente di portarle soccorso, 514. Castellano da Beccheria suo signore, 585. Assediata da Galeazzo e Bernabò Visconti, 653, 666. Si rende a Galeazzo II, 673. Il quale vi fonda una celebre università, 682. Assediata da Francesco I re di Francia, VI, 408. Che è rotto e fatto prigione, 415. Presa da' Franzesi e messa a sacco, 448. Ricuperata da Antonio da Leva, 457. Ripresa dai Franzesi, 458. Poi dagli Spagnuoli, 471. Goduta da Antonio da Leva, 473.
Pausania, scrittore a' tempi di Marco Aurelio, I, 592.
Pazzi: loro congiura contro i Medici, VI, 59.
Pediano (Quinto Asconio), storico a' tempi dell'imperadore Vespasiano, I, 310.
Pelagia, moglie di Bonifacio conte, II, 484.
Pelagiani, condannati da Innocenzo I papa, II, 434. E da Zosimo, 437. Costituzione dell'imperadore Onorio contro d'essi, 441.
Pelagio, patrizio e poeta, fatto morir da Zenone Augusto, II, 690.
Pelagio, diacono romano, inviato al re Totila, II, 909. Il placa entrato in Roma, 911, 912. Dallo stesso Totila spedito all'imperadore Giustiniano per trattar di pace, 912. Eletto papa, 959. Tenta di reprimere lo scisma di Paolino arcivescovo di Aquileia, 962. Passa all'altra vita, 970.
Pelagio II papa. Sua consecrazione, II, 1031. Sua lettera ad Elia arcivescovo d'Aquileia, 1059. Fine de' suoi giorni, 1071.
Pelagio, re dei cristiani in Ispagna: sue vittorie contro i Saraceni, III, 144.
Pelagio, vescovo di Albano, da papa Onorio III spedito all'imperadore Federigo II per istabilire seco lui una convenzione, IV, 1066.
Pellegrino, vescovo di Miseno, II, 796.
[1072]
Pellegrino, patriarca d'Aquileia, IV, 762. Interviene al conciliabolo tenuto a Lodi dall'antipapa Vittore, 771.
Pemmone, duca del Friuli, III, 124. Sua vittoria sugli Schiavoni, 160. È deposto, 207.
Perenne, prefetto del pretorio sotto Commodo, I, 598. La sua avidità cagionò la rovina al suo padrone, 599. Mal arnese di esso Augusto, 601, 602, 605. Divien padrone della corte, 606. Principio e fine della sua rovina, 607, 609.
Perfetti (Bernardino), sanese, poeta, coronato in Roma, VII, 321.
Persia, occupata dai Saraceni, II, 1225.
Persiani, Maomettani di setta diversa da quella dei Turchi, II, 1225, 1269, 1290. V. Sapore.
Persico, storico. V. Prisco.
Pertinace (Elvio), che fu poi imperadore, va alla guerra contro i Marcomanni, I, 556. Creato console, 565. Generale di Commodo nella Bretagna, 611. Presidente dell'annona, 619. Proclamato imperadore, 632. Suo lodevol governo, 636. Ucciso dai soldati, 639, 640. Suo funerale 652.
Pertinace (Elvio), figlio di Pertinace Augusto, creduto console, I, 721. Suo detto acuto, 727. Fatto uccidere dall'imperador Caracalla, ivi.
Perugia, ritolta ai Longobardi da Romano esarco, II, 1086. Ripigliata da essi Longobardi, 1090. Non capitale della Toscana dei Longobardi, III, 224. Occupata da Ridolfo Buglione, VI, 507. Ricuperata da papa Paolo III, 510.
Perugini: lor guerra civile, IV, 1100. Sconfitti da Federigo II, 1196. Fan guerra a Foligno, V, 159. Lor guerre coi vicini, 335. Assediano Spoleti, 409. Loro si ribella Assisi, 417. Loro crudeltà in ripigliarla, 432. Costringono alla resa Spoleti, 441. Guerra fra essi e i Sanesi, 669. Pace fra loro, 670. Fa loro guerra Braccio da Montone, 1002. Il ricevono per loro signore, 1004. Tornano all'ubbidienza del papa 1056. Guerra civile fra loro, VI, 109.
Peste orribile ai tempi di Tito, I, 312, 322.
Peste orribile ai tempi di Marco Aurelio, I, 544, 553.
Peste orribile ai tempi di Commodo, I, 616.
Peste orribile ai tempi di Gallo e Volusiano, I, 874.
Peste orribile ai tempi di Giustiniano a Costantinopoli, II, 966.
Peste orribile ai tempi di Giustino II, che quasi disertò l'Italia, II, 984.
Peste orribile ai tempi del re Bertarido, in Roma e Pavia, III, 59.
Peste nel 1340, V, 551.
Peste nel 1348, V, 597.
Peste nel 1361, V, 684.
[1073]
Peste nel 1374 in quasi tutta la Lombardia, V, 743.
Peste nel 1383, specialmente dal Friuli a Venezia, V, 794.
Peste nel 1397 in Genova e in altre città, V, 879.
Peste nel 1449, in Roma, V, 1213.
Peste nel 1450, in Milano e Piacenza specialmente, V, 1219.
Peste nel 1463, specialmente in Ferrara, V, 1280.
Peste nel 1478 a Venezia, VI, 65.
Peste nel 1481 a Roma, VI, 77.
Peste nel 1576, particolarmente in Venezia, VI, 769, 770.
Peste nel 1630, specialmente in Venezia, e nel dominio in terra ferma di quella repubblica, VI, 1047.
Peste nel 1631, in quasi tutta l'Italia, VI, 1047.
Peste nel 1713 nell'Austria e Baviera, minacciante l'Italia, che ne fu preservata dalle precauzioni prese particolarmente dalla repubblica veneta, VII, 256.
Peste nel 1720 in Marsilia, VII, 300.
Peste nel 1743 in Messina, VII, 518.
Petervaradino, battaglia quivi data dalle truppe dell'imperadore Carlo VI, sotto il comando del principe Eugenio di Savoia, ai Turchi, colla disfatta di questi, VII, 270.
Peto (Cecina), uomo consolare, reo di sollevazione, sotto l'imperadore Claudio, ucciso, I, 153.
Peto (Lucio Cesennio), da Nerone inviato generale in Armenia contro i Parti, I, 226. Dov'è disfatto, 228. Tuttavia ottiene il perdono dall'imperadore, ivi. Creato governatore della Soria dall'imperadore Vespasiano, 297.
Petrarca (Francesco), poeta insigne, con molte dimostrazioni di stima e finezza ricevuto e trattato da Roberto re di Napoli, V, 559. Sua coronazione in Roma, ivi. Sua riputazione, 610. Alle nozze di Lionello, figlio del re d'Inghilterra con Violante figlia di Bernabò Visconte duca di Milano, 712. Da Francesco da Carrara, signore di Padova, spedito a Venezia per ottener pace, 740, 741. Sua morte, 744.
Petronace, abbate ristoratore del monistero di Monte Casino, III, 160, 239.
Petronace, arcivescovo di Ravenna, III, 523.
Petronio (Caio), già console, fatto morir da Nerone, I, 240.
Petronio, suocero di Valente Augusto, sua crudeltà, II, 154.
Petronio (San), vescovo di Bologna, II, 511.
Piacentini: loro armata sconfitta dai Parmigiani e Cremonesi, IV, 699. Lor lega co' Milanesi, 700. Rotta loro data dai Parmigiani, 711. Fortificano la lor città, 738. Come si acconciassero con Federigo Augusto, 751. Al quale poi fan guerra, [1074] 765. Con dure condizioni ottengono da esso la pace, 779. Lor guerra coi Parmigiani per cagione di Borgo San Donnino, 965. Sconfitti dai Cremonesi, 971. Cacciati da quella città gli ecclesiastici, 987. Rotta lor data dai Cremonesi, 1031. Guerre civili fra essi, 1038, 1040, 1046. Pace fra loro procurata dal cardinale Ugolino, vescovo d'Ostia, 1051. Nuova discordia fra loro, ivi. Gozzo de' Coleoni, podestà di Cremona, mette pace nuovamente fra essi, 1057, 1058. Nuova rottura fra d'essi, 1115. Si tornano a pacificare, 1121. Guerra ancora civile tra di essi, 1128. Si ribellano all'imperadore Federigo II, 1132. Lor guerra coi circonvicini, 1149. Aderenti al papa Innocenzo IV, 1191. Prevale nella lor città la fazion ghibellina, 1218. Guerra civile fra essi, 1226. Eleggono per loro signore Oberto marchese Pelavicino, 1245. Lo scacciano, 1264. Sono da lui sconfitti, V, 27. Lo ripigliano, 30. Si sottraggono di nuovo dalla sua ubbidienza, 62. Guerra d'essi coi fuorusciti, 83, 84. Si sottopongono a Carlo I re di Sicilia, 86. Prendono per loro signore Alberto Scotto, 208. Scacciatolo, si rimettono in libertà, 294. Per forza a lui di nuovo si sottomettono, 328, 329. Riacquistano la libertà, 334. Di nuovo ritornano sotto la signoria di lui, 358.
Piacentino, vescovo di Veletri, III, 64.
Piacenza. Galeazzo, figlio di Matteo Visconte, duca di Milano, dall'imperadore Arrigo VII creato vicario imperiale in essa, V, 368. Si dà al papa Giovanni XXII, 429. Francesco Scotto ne divien signore, 528. Che poi la cede ad Azzo Visconte, 531. Si ribella al duca di Milano, 915. Occupata da Ottobuono de' Terzi, 923. Poi da Giovanni di Vignate, che la dona a Sigismondo Cesare, 987. È ricuperata da Filippo duca di Milano, 994. Occupata da Filippo degli Arcelli, 999. Si sottomette ai Veneziani, 1190. Assediata da Francesco Sforza, 1192. Presa e saccheggiata, 1193. Riceve per padrone Francesco Sforza, 1203. Si rivoltano i contadini, 1270. Occupata dall'armi dell'imperadore Carlo V, 590. Consegnata al duca Ottavio Farnese duca di Parma, 652. Si rende agli Spagnuoli, VII, 560, 561. Bloccata dagli Austriaci, 582. Battaglia sotto di essa fra i Gallispani e gli Austriaci, 586. I quali ultimi abbandonano quel blocco, 591. E poi se ne impadroniscono pel re sardo, 598.
Piacenza e Parma, si rendono all'armi di papa Giulio II, VI, 289. Ritolte dal Cardona, 298. Ritornano al papa, 300. Date a Pier-Luigi Farnese, 574.
[1075]
Piazza Traiana, in Roma, fabbrica mirabile, I, 414.
Picco (Gian-Francesco), signor della Mirandola, ucciso, VI, 500.
Pier Crisologo (San), primo arcivescovo di Ravenna, II, 502.
Pier Saccone de' Tarlati, signore di Arezzo, V, 464. Cede quella città ai Fiorentini, 537.
Pierio, conte de' domestici, ossia capitano delle guardie del re Odoacre, ucciso, nella battaglia sull'Adda, da Teoderico re de' Goti, II, 704.
Pietra-Santa, terra: suo principio, V, 363.
Pietro Apostolo: anno primo del suo pontificato, I, 81. Martirizzato sotto Nerone, 239.
Pietro Fullone, eretico, occupatore della Chiesa antiochena, condannato, II, 690. Sua morte, 695.
Pietro Mongo, eretico, occupatore della Chiesa di Alessandria, condannato, II, 690. Sua morte, 703.
Pietro, vescovo d'Altino, eletto dal re Teoderico, ariano, per visitatore della Chiesa Romana, II, 745. E perciò condannato in un concilio, ivi.
Pietro, patriarca di Costantinopoli, II, 1262. Sua lettera sinodica rigettata dal clero e popolo romano, 1263.
Pietro, patriarca d'Aquileia, III, 102.
Pietro, duca ossia governatore di Roma, III, 145, 146.
Pietro, vescovo di Pola, eletto patriarca di Grado, III, 173.
Pietro, duca del Friuli, III, 240.
Pietro Pisano, maestro di Carlo Magno, III, 345.
Pietro, arcivescovo di Milano, III, 394.
Pietro, abbate di Nonantola, III, 444, 524. Inviato da Carlo Magno ambasciatore a Leone III Augusto, 483.
Pietro, vescovo di Cento Celle, III, 529, 597.
Pietro Tradonico doge di Venezia, III, 600. Conchiude un trattato di pace co' pirati schiavoni, 608. È creato spatario imperiale da Teofilo imperadore de' Greci, ivi. Ottiene dagl'imperadori Lottario e Lodovico II la conferma delle esenzioni de' beni goduti da' Veneziani nel regno d'Italia, 627, 680. È ucciso in una congiura, 704.
Pietro, eletto tutore ed aio del giovinetto Sicone principe di Salerno, III, 664, 669. Col veleno lo toglie di vita, 670. Creato principe di Salerno, fa guerra ai Saraceni ed è sconfitto, 680, 681.
Pietro, vescovo di Salerno, III, 696.
Pietro, patriarca di Grado, III, 763, 788.
Pietro, vescovo di Sinigaglia, III, 790.
Pietro, vescovo di Fossombrone, III, 790.
Pietro, vescovo di Salerno, III, 809.
[1076]
Pietro Candiano, doge di Venezia, III, 859.
Pietro Tribuno, doge di Venezia, III, 874. È creato protospatario da Leone imperadore di Costantinopoli, ivi. Diploma di Guido Augusto in favore di lui, 888. Mette in fuga gli Ungheri, 966. Suo fine, 983.
Pietro, arcivescovo di Benevento, III, 897. È esiliato da Guido duca di Spoleti, 920. Da lui richiamato, ivi. Lasciato governatore di Benevento da Atenolfo principe beneventano, 970.
Pietro, vescovo d'Arezzo, III, 943.
Pietro, vescovo di Reggio, III, 953, 984.
Pietro, vescovo di Lucca, III, 1009, 1019, 1039.
Pietro, vescovo di Como, III, 1042.
Pietro Candiano II, doge di Venezia, III, 1056. Manda il figlio Pietro, che fu poi doge, alla corte di Costantinopoli con assaissimi regali, ed ottiene da quell'Augusto la dignità di protospatario, ivi. Prende Comacchio, e la dà alle fiamme, 1063. Giugne al fine di sua vita, 1079.
Pietro Badoero, doge di Venezia, III, 1079. Arriva al fine di sua vita, 1090.
Pietro, arcivescovo di Ravenna, III, 1080, 1095. Rinunzia alla sua Chiesa, 1199.
Pietro Candiano III, doge di Venezia, III, 1190. Sconfigge il re Adalberto, 1130. Col consiglio ed assenso del popolo crea suo collega il figlio Pietro, 1133. Che gli si ribella, ivi. Sua morte, 1142.
Pietro Candiano IV, si ribella dal padre, che l'avea assunto a collega nel dogado, III, 1133. Esiliato, va a trovare Guido, figlio del re Berengario, 1134. Fa guerra a' Veneziani, ivi. Rimesso in governo dal popolo dopo la morte del padre, 1142. Abolisce la mercatanzia dei servi o schiavi cristiani, rinnovando il decreto già fatto dal doge Orso I, 1148. Manda due ambasciatori all'imperadore Ottone I, da cui ottiene la conferma di tutti i privilegii, 1169. Suo editto contro i Saraceni, 1200. Ripudia la moglie, obbligandola al chiostro, 1214. Si sposa con Gualdrada, sorella di Ugo duca e marchese di Toscana, ivi. Tratta con troppo rigore e superbia il popolo, ivi. Congiura contro di lui, ivi. Non potendo espugnare il palazzo, per consiglio di Pietro Orseolo, che poi fu doge, vi attaccano il fuoco, ivi. Preso, mentre fuggia, col figlio è trucidato dai principali della città, ivi.
Pietro, vescovo di Pavia, III, 1203, 1242. Creato papa, 1250, 1251. V. Giovanni XIV.
Pietro Orseolo, doge di Venezia, III, 1214. Con destrezza manda un ambasciatore all'imperadrice Adelaide, madre dell'Augusto Ottone II, suscitata contro lui e la repubblica da Gualdrada, vedova dell'ucciso Pietro Candiano, ed [1077] ottiene una composizione, 1218. Da Guarino abbate di San Michele di Cusano in Guascogna è persuaso di farsi monaco, 1220. Segretamente fugge da Venezia, e si porta in Francia, ove prende l'abito monastico, ivi.
Pietro II, vescovo di Vercelli, va in Oriente, ove resta prigione per gran tempo, III, 1238.
Pietro, abbate di San Pietro in Coelo aureo di Pavia, III, 1257.
Pietro Orseolo II, figlio dell'altro Pietro Orseolo, doge di Venezia, III, 1272. Manda i suoi legati a Costantinopoli, ed ottiene dagli imperadori Basilio e Costantino la conferma de' privilegii, 1275. Come pure dall'imperadore Ottone III la conferma dei vecchi patti, ivi. Ristora Grado, 1278. Invia suo figlio Pietro a Verona a far riverenza al re Ottone III, che lo tiene alla cresima, IV, 16. Dal quale ottiene un privilegio, ivi. A requisizione di Basilio e Costantino, imperadori d'Oriente, manda a Costantinopoli il figlio Giovanni, cui è data in moglie Maria, figlia di Argiro, 39. Il qual figlio gli è poi dato a collega, ivi. Sua vittoria contra i Saraceni, padroni della Sicilia, 60. Gli sono rapiti dalla morte la nuora e il figlio, 78. Dà fine al suo vivere, 87.
Pietro, vescovo di Vercelli, ucciso, IV, 36.
Pietro, vescovo di Como, ed arcicancelliere dell'imperadore Ottone III, IV, 47, 48.
Pietro, vescovo di Novara, IV, 49.
Pietro Damiano insigne cardinale e scrittore: sua nascita, IV, 83. Suo opuscolo intitolato Gratissimus, diretto all'imperadore Arrigo III, 254. Creato cardinale, e vescovo d'Ostia, 283. S'oppone a Benedetto X papa intruso, 286. Toglie lo scisma del clero milanese incontinente, 295. Sua predizione non avverata, 308. Spedito da papa Alessandro II a Firenze per lite mossa dai monaci e dal popolo a quel vescovo Pietro, 313. Suoi versi pungenti per Ildebrando cardinale, 321. Da papa Alessandro mandato quale legato in Germania, 336. Dallo stesso mandato a Ravenna per dar sesto a quella sconcertata Chiesa, 350. Sua morte, ivi.
Pietro, abbate della Pomposa, IV, 121.
Pietro Barbolano, doge di Venezia, IV, 155. È deposto ed esiliato a Costantinopoli, 170.
Pietro, vescovo d'Asti, IV, 212.
Pietro Igneo. V. Giovanni e Pietro Igneo.
Pietro, abbate di San Tommaso di Pesaro, IV, 240.
Pietro, arcivescovo di Amalfi, spedito qual legato a Costantinopoli dal papa Leone IX, IV, 266.
Pietro, vescovo di Lavicano, IV, 284.
Pietro, vescovo di Venafro e d'Isernia, IV, 297.
Pietro di Leone, potente in Roma a' tempi di papa Alessandro II, di nazione giudaica, IV, 305. Consente [1078] e fa accettare per papa Guido arcivescovo di Vienna, sotto il nome di Callisto II, già eletto a succedergli da papa Gelasio II, 71.
Pietro, vescovo di Firenze, accusato di simonia, IV, 312. Lite a lui mossa perciò dai monaci e dal popolo, 313. Quietata da san Pier Damiano colà spedito a questo fine da papa Alessandro II, ivi. Suscitata di nuovo questa accusa dai monaci vallombrosani, si ricorre a san Giovanni Gualberto, 327. Il quale propone il giudizio del fuoco, ivi. Si fa monaco, 328.
Pietro, abbate della Vangadizza, IV, 326.
Pietro, marchese di Susa, IV, 333.
Pietro romito, primo banditore della Crociata, IV, 464. Armata da lui condotta per l'Ungheria e Bulgaria, 469.
Pietro, vescovo di Porto, IV, 571.
Pietro, figlio di Pietro di Lione, cardinale, IV, 571.
Pietro, arcivescovo di Pisa, con una flotta va contro i pirati Mori, IV, 544.
Pietro, cardinale di Santa Anastasia, IV, 606.
Pietro Polano, doge di Venezia, IV, 615. Ottiene dall'imperadore Lottario III la conferma dei patti e privilegii, 643. Fa guerra ai Padovani, 674. Collegato coi Greci contro il re Ruggieri, 695. Termina il suo vivere, 698.
Pietro, vescovo di Tortona, deposto da papa Innocenzo II nel concilio da lui tenuto a Pisa, perchè fautore dell'antipapa Anacleto, IV, 627.
Pietro Abailardo, seminator di nuove dottrine, IV, 665.
Pietro, abbate di Clugnì, svaligiato dal marchese Obizzo Malaspina mentre va a Roma, IV, 678. Onori impartitigli dal papa Eugenio III e dal senato romano, dai cardinali e dai vescovi, 700.
Pietro Lombardo, Novarese, già vescovo di Parigi, sua morte, IV, 791.
Pietro Ziani, conte d'Arbe, figlio del già doge Sebastiano doge di Venezia, IV, 992. Sua morte, 1091, 1092.
Pietro di Auxerre, con grande solennità in Roma coronato imperador di Costantinopoli da papa Onorio III, IV, 1033.
Pietro, abbate di Monte Casino, accoglie l'imperadore Federigo II, IV, 1044.
Pietro da Collemezzo, arcivescovo di Roano, IV, 1179.
Pietro dalle Vigne, gran cancelliere e favorito dell'imperadore Federigo II, IV, 1195. Caduto dalla grazia di quell'Augusto, è abbacinato e spogliato di tutto, poi confinato in una prigione, dove, dopo tre anni, si dà da sè la morte, ivi.
Pietro Capoccio, cardinale, spedito in Germania dal papa Innocenzo IV, dove fa eleggere in re Guglielmo conte d'Olanda, IV, 1198.
[1079]
Pietro, cardinale, legato apostolico presso il re Manfredi, IV, 1228.
Pietro da Verona, dell'ordine de' Predicatori, ucciso dagli eretici, e poscia canonizzato, IV, 1231.
Pietro, re d'Arragona, marito di Costanza, figlia del re Manfredi, V, 29. Accudisce alla conquista della Sicilia, 147, 148. Entra in Palermo, ed è proclamato re, 152. Acquista Reggio, ed accetta il duello col re Carlo I, 160, 161. Al quale poi manca, 162. Dal papa Martino IV dichiarato usurpatore e decaduto dal regno, 163. Difende la Catalogna dai Franzesi, 179. Fine de' suoi giorni, 180.
Pietro da Tarantasia, cardinale, eletto papa, V, 115. V. Innocenzo V.
Pietro Gradenigo doge di Venezia, V, 205. Congiura contra di lui, 327. Fine de' suoi giorni, 351.
Pietro dalla Colonna, cardinale, V, 209. Processato dal papa Bonifazio VIII, 250, 251. Assolto da Benedetto XI, 289, 296.
Pietro figlio di don Federigo re di Sicilia, coronato re, V, 423. Sue nozze con Isabella figlia del duca di Carintia, ivi. Conduce una flotta in favore di Lodovico il Bavaro, contro il re Roberto, 472. Succede al padre, 538. Gli si ribellano i conti di Ventimiglia e di Lentino, 539. Termina il suo vivere, 565.
Pietro Tremacoldo, soprannominato il Vecchio, uomo fiero, d'estrazione vile, tiranno di Lodi, V, 475, 476. Gli è tolto il dominio da Azzo Visconte, 527.
Pietro da Corvara, antipapa, V, 468. Fugge da Roma, 472. Dai Pisani è consegnato a papa Giovanni XXII, 489. Abiurati i suoi errori, ne riceve l'assoluzione, ivi. Passato ad Avignone, quivi pubblicamente innanzi al papa rinnova la sua abiura, ivi. È cacciato in prigione, ove muore, ivi.
Pietro de' Rossi, signore o vicario di Lucca per Giovanni re di Boemia, V, 515. La cede agli Scaligeri, 525. Generale de' Fiorentini, 533. Prende Padova e fa prigione Alberto dalla Scala, che manda a Venezia, 536. Ucciso sotto Monselice, ivi.
Pietro di Beltrando, cardinale, corona Carlo IV imperatore, V, 645.
Pietro Ruggieri, cardinale di Santa Maria Nuova, eletto papa, V, 723. V. Gregorio XI.
Pietro Bituricense, cardinale, legato in Italia di papa Gregorio XI, V, 732. Sua vittoria sui Visconti, 736.
Pietro Lusignano, re di Cipri, oppresso da' Genovesi, V, 741. A cui lasciano il titolo di re nell'accordargli la pace, coll'obbligo d'un tributo, ivi.
[1080]
Pietro Corsini, cardinale, vescovo di Porto, si ribella a papa Urbano VI, V, 763.
Pietro di Luna, cardinale, uno degli autori del grande scisma contro Urbano VI papa, V, 763. È creato antipapa col nome di Benedetto XIII, 859. Suoi finti trattati per l'union della Chiesa, 864, 868, 880. È assediato dai Franzesi, 880, 884. V. Benedetto antipapa.
Pietro Gambacorta, signor di Pisa, riceve ed onora papa Urbano VI, V, 811. Dal quale ottiene la liberazione de' sei cardinali che tenea prigioni, ivi. Cerca di accordare fra loro i Fiorentini e Bolognesi con Gian-Galeazzo Visconte, 831. Ucciso da Jacopo d'Appiano, che usurpa quel dominio, 853.
Pietro, vescovo di Meaux, governatore di Genova, V, 879.
Pietro Filargo, da Candia, arcivescovo di Milano, V, 913. È creato papa col nome di Alessandro V, 962. Va a Bologna, e quivi passa a miglior vita, 969, 970.
Pietro Stefanacci, cardinale di Sant'Angelo, V, 1008.
Pietro da Campofregoso, doge di Genova, V, 1220. Si difende contro l'armi del re Alfonso, 1242, 1245, 1246. Dà la sua città a Carlo VII re di Francia, 1249. Suoi sforzi per toglier Genova ai Franzesi, 1256. V'entra co' suoi aderenti, ma combattendo resta ucciso, 1257.
Pietro Riario, cardinale, VI, 43. Suo lusso poco lodato, 46. Fine de' suoi giorni, 48.
Pietro Mocenigo, doge di Venezia, VI, 50. Sua morte, 55.
Pietro de Medici, succede a Lorenzo suo padre negli onori, VI, 110. Suoi imbrogli coi Fiorentini, 122. Che il dichiarano ribello, 123. Cerca di tornare in patria, ma inutilmente, 145.
Pietro Loredano, doge di Venezia, VI, 730. Sua morte, 743.
Pietro II, re di Portogallo, entra in lega con l'imperador Leopoldo, VII, 179.
Pilato (Ponzio), spedito dall'imperadore Tiberio per procuratore e governator della Giudea, I, 73.
Pileo da Prata, cardinale a arcivescovo di Ravenna, in sospetto a papa Urbano VI, fugge a Genova, poi va ad unirsi coll'antipapa Clemente, V, 812.
Piligrino, arcivescovo di Colonia, IV, 134, 135, 187.
Pinamonte de' Bonacolsi, ossia de' Bonacossi, creato signore di Mantova, V, 86. Sposa la fazion ghibellina, 97, 191. Dal figlio Bardelone è cacciato in prigione, 217.
Pinerolo ceduto ai Franzesi, VI, 1051. Restituito al duca di Savoia, VII, 122.
[1081]
Piniano (Severo), prefetto di Roma sotto l'imperadore Valentiniano II, II, 256, 259, 264.
Pino degli Ordelaffi, nipote di Sinibaldo, signore di Forlì, V, 811. Sua guerra co' Malatesti, 858. Sua morte, 912.
Pino degli Ordelaffi, figlio di Antonio signore di Forlì, V, 1203. Chiamato a quella signoria, dopo cacciato il fratello Cino, VI, 22. Generale dell'armi venete in aiuto di papa Paolo II contro il re Roberto di Napoli, 32. Termina i suoi giorni, 70.
Pio I, romano pontefice, I, 494. Suo martirio, 508.
Pio II papa. Sua elezione, V, 1252. (V. Enea Silvio.) Suo accordo col re Ferdinando, e viaggio a Mantova, 1253. Dove tiene una gran dieta, 1257. Fine del viver suo, VI, 11.
Pio III papa, dianzi Francesco Piccolomini. Suo breve pontificato, VI, 202, 203.
Pio IV papa. Sua elezione, VI, 685. Suo buon principio, ivi. Rigorosa giustizia contro i Caraffi, 686. Riapre il concilio di Trento, 693. Benefizii da lui fatti a Roma, 694, 701. Dà fine al concilio di Trento, 703. Congiura scoperta contro di lui, 709. Varie azioni sue, 715. Termina la vita, 716.
Pio V papa. Sua creazione, VI, 719. Dà soccorsi contro i Turchi, 722. E contro gli Ugonotti di Francia, 729, 738. Varie sue lodevoli azioni, 737. Dichiara granduca Cosimo de' Medici, 739. Scomunica Elisabetta regina d'Inghilterra, 745. Vittoria delle Curzolari contro i Turchi a lui rivelata da Dio, 752. Sua morte e santità, 753.
Pipa, figlia del re de' Marcomanni, concubina dell'imperadore Gallieno, il quale, per averla, cedette a quel re una parte della Pannonia superiore, I, 925.
Pippino, duca, avo di Pippino re di Francia, II, 1173.
Pippino il Grosso, usurpa la redini del regno di Francia, mentre regna Clodoveo III, III, 76. E continua sotto Childeberto III, 96. Poi anche sotto Dagoberto III, 137. Sua morte, 148.
Pippino, figlio di Carlo Martello. Sua nascita, III, 148. Adottato dal re Liutprando, 204. Succede al padre, 226, 230. Sue guerre, 237. Creato re de' Franchi coll'autorità del papa Zacheria, 246. Conquista varie città de' Saraceni, 250. È coronato e dichiarato patrizio de' Romani da papa Stefano II, 255. Cala in Italia, e costringe il re Astolfo alla restituzione dell'Esarcato, 257. Torna in Francia, ivi. Viene di nuovo in Italia contra di lui, 259, 260. Dona l'Esarcato alla Chiesa Romana, 260. Che cosa comprendesse tal donazione, 268. Sua guerra con Guaifario duca d'Aquitania, 282. Cessa di vivere, 292.
[1082]
Pippino, figlio di Carlo Magno. Sua nascita, III, 332. Battezzato in Roma da papa Adriano, 343. Creato re d'Italia, 344, 351, 365. Fa guerra a Grimoaldo duca di Benevento, 390. Prende moglie, e fa guerra agli Unni, 403, 404. S'impadronisce di Rieti, 432. Continua la guerra al duca Grimoaldo, 437. Stati a lui lasciati dal padre, 451. Fa guerra ai Veneziani, 469. È rapito dalla morte, 470.
Pippino, figlio bastardo di Carlo Magno, congiura contro il padre, III, 387.
Pippino, re d'Aquitania, figlio di Lodovico Pio, III, 499, 512. Riduce al dovere i popoli della Guascogna, 522. Stati a lui toccati nella partizione fatta dal padre, 528, 529. Si ribella al padre, 571. Riconciliato con lui, 574. Fugge dal padre, 577. Ripiglia le armi contro di lui, 582. Poscia il protegge, 588. Se ne risente al padre stesso per l'esaltazione del minor fratello Carlo, 599. È rapito dalla morte, 605.
Pippino II, figlio di Pippino re d'Aquitania, proclamato re di quel paese dopo la morte del padre, III, 607. Protetto dallo zio Lottario, 614. Riconosciuto per re dalla maggior parte degli Aquitanii, 629. Dallo zio Carlo gli è tolto a forza il regno, ivi. Lo racquista, 643.
Pirro, patriarca di Costantinopoli, fautore del Monotelismo, II, 1221. Rinunzia la sua dignità, 1227. Sua disputa con san Massimo abbate, e va a Roma, 1238. Scomunicato da papa Teodoro, 1242, 1245. Soa morte, 1262.
Pirro, abbate casinense, V, 1125.
Pisa, posta a sacco e devastata dai Normanni, III, 691. Tempo nel quale comincia a segnalarsi nelle armi e nel commercio, IV, 76. Saccheggiata dai Saraceni, 77. Presa da Lodovico il Bavaro, che vi crea vicario Castruccio degli Interminelli, V, 463. Il quale si porta a prenderne il possesso, 469. Torna sotto il Bavaro, e le costa caro, 473. Riacquista la libertà, 487. Le fan guerra i Fiorentini, VI, 210, 214, 231. Soccorsa dal vicerè di Napoli, 216. Costretta alla resa da essi Fiorentini, 250. Conciliabolo in essa tenuto, 269.
Pisani, conquistano la Sardegna, IV, 116, 118, 131. E varii luoghi in Africa, 182, 183. Vincono Mugetto re de' Saraceni africani, 248. Insultano i Mori in Palermo, 316. Loro guerra coi Genovesi, 392. Lor vittoria sui Tunisini, 434. Da papa Urbano II, ad istanza della contessa Matilda, eretta la lor chiesa in arcivescovato, 454. Daiberto primo loro arcivescovo, a cui sono sottomessi i vescovati della Corsica, ivi. Mandano soccorsi in Terra Santa, 483. Acquistano Evizza, 544. E Maiorica, 548. Da una bolla [1083] di Gelasio II è confermata alla lor chiesa il privilegio sopra i vescovati di Corsica, 567. Guerra loro mossa dai Genovesi per questo, 574, 578, 584. Portata a Roma la lor lite, la sentenza è loro contraria, per cui maggiormente s'accese la guerra tra loro, 588. Che continua, 594, 596, 610. Saccheggiano Amalfi, 636. Colle lor forze assistono Lottario Augusto nella guerra di Puglia, 649. Fan guerra ai Lucchesi, 677. Loro discordia coi Genovesi nella città di Costantinopoli, per cui ne nasce un'accanita guerra, 783. Loro ambascieria all'imperadore Federico I, 786. Dal quale sono investiti di tutte le regalie, ivi. In cui favore armano molte galee contro il re di Sicilia, ivi. Dallo stesso imperadore sono investiti di tutta l'isola di Sardegna, 791. Della quale s'impossessano, ivi. Lor guerra coi Genovesi per ciò, 795, 799. Uniti con Federigo Augusto, 809. Guerra di essi coi Lucchesi, 819. E coi Genovesi, ivi. Loro lega coi Fiorentini contro i Genovesi stessi, 828. Messi al bando dell'imperio da Cristiano arcivescovo eletto di Magonza ed arcicancelliere dell'imperio, 831, 832. Mettono in rotta i Lucchesi, 836. Pace fra essi e i Genovesi, 849. E di nuovo guerra, 906. Vanno in aiuto di Arrigo VI Augusto, 936. Vengono alle mani coi Genovesi, 938. Delusi da Arrigo VI Augusto, 941. Guerra lor fatta dai Genovesi, 945. S'impadroniscono di Siracusa, che loro è tolta dipoi dai Genovesi, 986. Tornano indarno ad assediarla, 990. Sardegna loro sottoposta, 1035. Lor vittoria sulla flotta genovese, 1167. Guerra lor fatta dai Fiorentini e Lucchesi, 1244, 1258. Danno coi Veneziani una rotta ai Genovesi, 1274. Liberati dall'interdetto da papa Clemente IV, V, 63. Sconfiggono la flotta de' Provenzali, 74. Rotta loro data dai Lucchesi, 82. Guerra fra essi e i Genovesi, 159, 166. Grandi sconfitte date loro dai Genovesi, 174. Lor pace coi Fiorentini, 182. Danno la signoria della città a Guido conte di Montefeltro, 208. Favoriscono Arrigo VII re de' Romani, 352. Per la morte di lui costernati, prendono per loro signore Uguccione dalla Faggiuola, 368. S'impadroniscono di Lucca, 378. Assediano Montecatino, 382. Grande sconfitta da loro data ai Fiorentini, ivi. Scacciano Uguccione, e creano lor signore il conte Gaddo de' Gherardeschi, 388. Fanno pace coi Fiorentini, 393. Assediano Lucca, e danno una rotta ai Fiorentini, 558. Prendono quella città, 563. Lor civili discordie, 596. Varie loro azioni per la venuta di Carlo IV imperadore, 644. Loro guerra coi Fiorentini, 689. Sconfitti, fanno pace, 698, 699. Venduti a' Fiorentini, [1084] riacquistano la libertà, 935. Creano lor capitano o doge Giovanni de' Gambacorti, 936. Si rendono a' Fiorentini, 945. Si sottraggono al loro dominio, VI, 123. Sforzi vani de' Fiorentini contro di loro, 136. Smantellano la cittadella, ed hanno soccorso dai Veneziani, 140. In aiuto di essi viene pure Massimiliano Cesare, 142. Protetti da' Veneziani contro gli stessi Fiorentini, 148. Assediati indarno dai Fiorentini, 153.
Pisone (Lucio), prefetto di Roma sotto l'imperadore Tiberio, I, 96.
Pisone (Gneo Calpurnio), governatore della Soria, ai tempi dell'imperadore Tiberio, mentre Germanico Cesare era generale in quelle parti, I, 55. Uomo violento e poco amico del suddetto Germanico, ivi. Sospetti che gli procurasse la morte, 58. Processato per questo, si uccide, 62.
Pisone (Caio Calpurnio); sua congiura contro Nerone scoperta, I, 235. La paga colla sua vita, 237.
Pisone Frugi (Lucio Calpurino), imperadore efimero, I, 908.
Pistoia. Divisione in essa fra la nobiltà in due fazioni, bianchi e neri, V, 240, 270. Afflitta dalle fazioni civili, 273. E da' Fiorentini e Lucchesi, 280. Che l'assediano, ivi, 300. E se ne impadroniscono, 305. Si rimette in libertà, 332. Ne diviene signore Castruccio degli Interminelli, 446. Perduta e ripresa da lui, 469. Riacquista la libertà, 487. Ne viene usurpata la signoria dai Fiorentini, 503.
Pitti, popoli della Scozia, vinti da Costanzo Cloro, I, 1069. Infestano la Bretagna, 524.
Pittura, quando perfezionata in Italia, V, 899.
Pitzia, generale del re Teoderico, va in soccorso di Mundone, Unno, nella Mesia, II, 576.
Placidia (Elia). V. Flacilla.
Placidia (Galla), sorella di Onorio Augusto, II, 263. Accompagna il fratello Arcadio a Milano, 315, 316. Acconsente alla morte di Serena sua parente, 390. Presa da Alarico re de' Goti, 402. Condotta nelle Gallie dal re Ataulfo, che aspira alle sue nozze, 407. Per sua insinuazione è trattenuto dall'inferocire contro l'Italia, 416. Continua a dimorare con quel barbaro, 421. Finalmente s'induce a prenderlo per marito, 424. Strapazzata dopo la morte di lui, 429. Torna a Ravenna, 432. Sposata da Costanzo conte, 434. Partorisce Valentiniano III, 440. Dichiarata Augusta, 445. Calunnie contro di lei, ivi, 446. Esiliata dal fratello, si rifugia a Costantinopoli, 450, 451. Torna in Italia dopo la morte di lui, 456, 461. Tutrice del figliuolo di Valentiniano, 461, 464. Sospetta [1085] di tradimento Bonifazio conte, per la perfidia di Aezio, 468. Di cui ne viene in chiaro, 474. Suo odio verso Aezio, 482. Rimette in grazia Bonifazio, e lo dichiara generale delle milizie, 483. Suo voto, per cui fabbrica la basilica di San Giovanni Evangelista in Ravenna, 487. Pel matrimonio del figlio, cede l'Illirico a Teodosio II padre dalla sposa, 498. Ottiene dal papa Sisto III, che sia eretta in arcivescovato la Chiesa di Ravenna, 502. Va a Roma, 541. Sua morte, 547.
Placidia, figlia di Valentiniano III Augusto, condotta prigioniera da Genserico in Africa, II, 580. Maritata ad Olibrio, 586. Rimessa in libertà, 599, 612.
Placidio, o Placido, console sotto re Odoacre, II, 679.
Placido, prefetto di Roma sotto l'imperadore Costanzo, II, 19.
Placilla (Elia), V. Flacilla.
Platina (Bartolommeo Sacchi detto il), scrittore insigne ai tempi del papa Paolo II, VI, 21. Dallo stesso pontefice fatto imprigionare per sospetti, 37. Sua morte, 77.
Platone, esarco di Ravenna, II, 1237, 1241, 1245.
Plautilla (Fulvia), figlia di Plauziano, già favorito dell'imperadore Severo, maritata con Caracalla, I, 689. Da esso poi fatta morire, 714.
Plauto (Rubellio), esiliato ed ucciso da Nerone, I, 219.
Plauziano (Lucio Fulvio), favorito di Severo Augusto, I, 653. Prefetto del pretorio, commette molte iniquità, 682, 683. Sua figlia maritata con Caracalla, 689. Console, 690. Suoi vizii, 691. Severo cerca d'abbassare la sua albagia, 693. Disgusti tra lui e il genero, 694. Da cui è ucciso, 696.
Plauziano (Quintilio), senatore fatto morire da Severo Augusto, I, 701.
Plauzio (Aulo), pretore e governatore della Germania Inferiore sotto l'imperadore Tiberio Claudio, 156, 157. Dal quale ottiene il piccolo trionfo dell'ovazione, 170.
Plinio (Caio Secondo), il Vecchio, amico di Vespasiano Augusto, I, 295. Sua storia naturale dedicata a Tito Cesare, 312. Quando e come morisse, 319, 320.
Plinio (Caio Cecillo), il Giovane nipote del precedente, corre rischio della vita alla morte dello zio, I, 320. Console, 386. Assiste ai giudizii di Traiano, 397. Inviato vice-pretore al governo del Ponto, 399. Lettere di lui a Traiano, 409. Celebre sua lettera in favor dei cristiani, 412, 413.
Plotina (Pompea), moglie di Traiano: sue virtù, [1086] I, 382. Favorisce Adriano, 408. Il porta allo imperio, 431. Onorata da lui in vita e in morte, 447. Le è da lui fabbricata una maravigliosa basilica a Nimes in Provenza, 452.
Plotino, celebre filosofo platonico sotto i Gordiani, I, 846. Sua morte, 946.
Plutarco, insigne storico, e filosofo ai tempi di Adriano, I, 484.
Po: sua gran rotta con danno del Ferrarese, del Mantovano, Mirandolese e Modenese, VII, 194.
Poggio de' Bracciolini, segretario della repubblica fiorentina, insigne letterato: sua morte, V, 1258.
Polemone, re del Ponto, I, 119.
Polemone, re della Cilicia, I, 311.
Polemone, sofista a' tempi degl'imperadori Adriano ed Antonino Pio: sua alterigia, I, 502.
Policarpo (San), interviene al concilio dal papa Aniceto tenuto in Roma, nel quale fu decisa la controversia intorno al giorno di Pasqua, I, 521.
Polieno, scrittore sotto l'imperadore Marco Aurelio, I, 591.
Pollenza, o Potenza, città una volta nel Monferrato. Presso di essa i Goti sotto Alarico sono sconfitti da Stilicone generale dell'imperadore Onorio, II, 364, 365.
Polo. V. Reginaldo Polo.
Polonia, assalita dai Turchi, VI, 1266.
Pompeiano (Claudio); con lui si rimarita Lucilla figlia di Marco Aurelio, I, 554. Coll'Augusto suocero va a guerreggiar contro i Marcomanni, 556. Creato console, 577. Congiura di Lucilla sua moglie contro il fratello Commodo senza che n'abbia seniore, 602. Rifiuta la dignità imperiale a lui offerta in pubblico senato da Pertinace, 634. Colla sua prudenza fugge i pericoli sotto d'esso Augusto, ivi.
Pompeiano iuniore, perde la vita sotto Caracalla, I, 727.
Pompeiano (Ruricio), prefetto del pretorio sotto Massenzio; difende Verona contro Costantino il Grande, I, 1108.
Pompejano, prefetto di Roma sotto l'imperadore Teodosio II, II, 381.
Pompeo (Gneo), genero di Claudio Augusto, I, 147, 158. Da lui è ucciso per la malignità e calunnie di Messalina, 168.
Pomponio, celebre giurisconsulto a' tempi d'Alessandro imperadore, I, 771.
Pomposa, monistero insigne in Comacchio posseduto da Giovanni VIII papa, e da lui restituito alla Chiesa di Ravenna, III, 763.
Pomposiano (Metio): clemenza di Vespasiano verso di lui, I, 309. Esiliato in Corsica, poi fatto uccidere da Domiziano, 355.
[1087]
Ponte mirabile fatto sul Danubio, dall'imperadore Traiano, I, 401.
Ponte magnifico, fabbricato sul Reno da Costantino il Grande, I, 1079.
Pontefice Massimo, titolo non preso da Costantino il Grande, I, 1130.
Pontefice romano: da chi fatta una volta la sua elezione, III, 70; IV, 289, 299.
Pontefici romani: loro elezione e consecrazione, come regolate una volta, III, 924, 928, 956, 957.
Pontificato romano, ambito anche negli antichi secoli, II, 158.
Ponziano, pontefice romano, I, 796. Esiliato, e sua morte gloriosa, 814.
Ponzino de' Ponzoni, signor di Cremona, V, 397, 515. Rende quella città ad Azzo Visconte, 520.
Ponzio, abbate di Clugnì, IV, 547.
Poppea Sabina. V. Sabina.
Poppone, patriarca d'Aquileia, viene in Italia coll'imperadore Arrigo II, IV, 133. Muove lite al patriarca di Grado, chiamandolo usurpatore di quel titolo, e come soggetto alla sedia sua, 142. S'impadronisce di Grado, da dove poi viene scacciato dai Veneziani, 143. Dall'imperadore Corrado II riceve in custodia Eriberto arcivescovo di Milano, 191. Dal papa Benedetto IX ottiene un decreto che la Chiesa di Grado dovesse riconoscere per metropolitano l'arcivescovo aquileiense, 220. Portatosi con gente armata a Grado dà il sacco a tutto, non risparmiando neppur le chiese, ivi.
Poppone, vescovo di Brixen, V. Damaso II.
Porfirio, filosofo celebre al tempo di Diocleziano imperadore, I, 1122.
Porga, principe de' Croati, II, 1203.
Portica di San Pietro, che fosse, IV, 559.
Porto vastissimo vicino a Roma, fatto fabbricare dall'imperadore Tiberio Claudio, I, 148.
Portogallo, d'onde così chiamato, II, 590. Dominato dagli Svevi, 672. Suo regno acquistato da Filippo II re di Spagna, VI, 785.
Portoghesi in lega con Carlo III, dichiarato re di Spagna, VII, 179.
Possidio, cattolico vescovo di Calama, esiliato da Genserico re de' Vandali, II, 496.
Postumo (Marco Cassio Lazieno), generale di Valeriano Augusto, poscia governatore delle Gallie sotto Gallieno, I, 900. Proclamato imperadore, 904. Sue azioni prima della ribellione, 913, 914. Riconosciuto da quasi tutte le provincie, 914, 915. Suo mirabil fine, 926.
Postumo (Caio Giunio Cassio), figlio di Postumo seniore, creato Augusto, 915. Sua morte, 926.
Precedenza tra gli arcivescovi di Milano e Ravenna, cagion di lite, IV, 158, 235.
[1088]
Predicatori: loro ordine quando istituito, IV, 1029. Frutto delle loro prediche, 1115.
Prefetti del pretorio d'Italia, Gallia, Illirico ed Oriente, I, 1115, 1193.
Prefetti di Roma, ristabiliti sotto gli Ottoni Augusti, loro autorità, IV, 110.
Prefetto del pretorio: dignità onorevole e temuta, I, 184.
Prefetto di Roma, prestava una volta giuramento di fedeltà agli imperadori, IV, 956. In seguito ai romani pontefici, 957.
Presente (Bruttio), suocero di Commodo Cesare, I, 581. Console, 587.
Presidio, console orientale sotto l'imperadore Anastasio, II, 717.
Pretestato (Vezio Agorio), prefetto di Roma sotto l'imperadore Valentiniano, II, 156. Risposta da lui data a papa Damaso che l'esortava a farsi cristiano, 158. Designato console, muore, 253.
Pretoriani, soldati, il terrore di Roma, I, 3, 88. Per forza vogliono imperadore Claudio II, 142. Poi Nerone, 194. Insolenti sotto Nerva, 376. Proclamano Pertinace imperadore, 632. Poi Giuliano, 641. Svergognati dall'imperadore Settimio Severo, 648. Sotto l'imperadore Alessandro combattono col popolo di Roma, 789. Loro grande ardire sotto lo stesso, 790. Altra loro rissa col popolo romano sotto l'imperadore Massimino, 832. Nel qual tempo attaccano fuoco a Roma, 833. Ridotti a poco numero da Galerio, 1077. Creduti i più valorosi degli altri soldati, 1105. Aboliti da Costantino, 1114.
Priamo, Franco, avo del re Faramondo, II, 438.
Primigenio patriarca gradense, II, 1200.
Primo (Antonio), soprannominato Becco di Gallo: sue imprese in favore di Vespasiano, I, 277. Mette in rotta le truppe di Vitellio, 279. Giunto a Roma, opprime Vitellio stesso, 274. Abbattuto da Muciano console, 286, 287.
Principi d'Italia: esorbitanti contribuzioni loro imposte dai ministri cesarei a' tempi dell'Augusto Leopoldo, VII, 97, 102, 111.
Principio, prefetto di Roma sotto l'imperadore Valentiniano, II, 175.
Prisca, moglie di Diocleziano Augusto, I, 1013, 1110, 1121. Uccisa da Licinio, 1128, 1129.
Priscillianisti, eretici; scritti di papa Leone contro di essi, II, 528.
Prisciano: sua congiura contro Antonino Pio, I, 495.
Prisco (Stazio), generale romano contro i Parti sotto l'imperadore Marco Aurelio, I, 534.
Prisco (Caio Lutorio), poeta celebre sotto l'imperador Tiberio, condannato a morte, I, 65.
Prisco (Giulio), prefetto del pretorio sotto Vitellio, [1089] I, 274. Mandato contro l'esercito di Vespasiano, 281.
Prisco (Elvidio), senatore e filosofo a' tempi degli imperadori Galba, Vitaliano e Vespasiano: sua superbia, I, 301, 302. Esiliato, poi ucciso, 302, 303.
Prisco (Nerazio), giurisconsulto celebre sotto lo imperadore Adriano, I, 431.
Prisco da Nicea, ingegnosissimo architetto, I, 661.
Prisco, fratello di Filippo seniore Augusto, governatore della Soria, I, 853. Sollevazione di quei popoli contro di lui, 859, 860. Unitosi coi Goti nella Macedonia, è proclamato imperadore, poi ucciso, 868.
Prisco, storico, da Teodosio Augusto inviato ambasciatore ad Attila, II, 525, 537.
Proba (Valeria Faltonia), moglie di Adelfio proconsole, compone i Centoni di Virgilio, II, 501.
Probato (Celio), prefetto di Roma sotto l'imperadore Costanzo, II, 42.
Probiano (Petronio), prefetto di Roma sotto l'imperadore Costantino, I, 1185, 1186.
Probiano, prefetto di Roma, sotto l'imperadore Valente, II, 204, 207.
Probiano, prefetto di Roma sotto Valente imperadore, II, 204, 207.
Probiano, prefetto di Roma sotto Teodosio II imperadore, II, 431.
Probino, prefetto di Roma sotto Costanzo imperadore, II, 17.
Probino, patrizio, creato console a' tempi di re Odoacre, II, 699. Insieme con Fosto e col senato romano sostiene Lorenzo antipapa contro Simmaco, 744, 745.
Probo, genero di Severo Augusto, I, 653.
Probo (Marco Aurelio), spedito dall'imperadore Aureliano a ricuperare l'Egitto, I, 966. È proclamato imperadore, 982. Sue lettere al senato romano dopo la morte di Floriano, 983. Da tutti riconosciuto come imperadore, ivi. Sue belle doti, 984. Sue militari imprese, 986. E vittorie riportate contro i Barbari, ivi. Doma gli Isauri, 989. Il re di Persia Narseo o Narsete cerca di placarlo, con replicate ambascierie a lui spedite, 991. Suo trionfo in Roma, 997. Sue applaudite provvisioni, 998. È ucciso da' suoi, 999.
Probo (Sesto Anicio Petronio), prefetto d'Italia ai tempi dell'imperadore Valentiniano, II, 169. Creato console, 178. Prefetto dell'Illirico, 188. Con Valentiniano II, per timore di Massimo, fugge dall'Italia, imbarcandosi per Tessalonica, 270.
Probo, figliuolo d'Alipio, pretore in Roma ai tempi di Giovanni tiranno, II, 404.
[1090]
Probo, console orientale sotto l'imperatore Anastasio, II, 742.
Probo, console occidentale sotto re Teoderico, II, 786.
Procle, o Proclo, patriarca di Costantinopoli, predica le lodi di san Giovanni Grisostomo, II, 490. Sua morte, 529.
Proclo, eletto questore da Giustino Augusto, II, 800. Sua autorità presso quell'imperatore, e sua lealtà nell'amministrare la giustizia, ivi.
Procolo (Tito Elio), usurpatore dell'imperio nelle Gallie, ucciso, I, 995, 996.
Procolo (Valerio), prefetto di Roma sotto l'imperatore Costantino juniore, I, 1210. E sotto Costanzo, II, 42, 51.
Procolo (Furio): sua vanità nel consolato, e sontuosi giuochi da lui dati, II, 14.
Procopio, generale di Giuliano Augusto in Mesopotamia, II, 128. Ribellatosi, occupa Costantinopoli a Valente imperatore, 151. Sue qualità ed azioni, 153. Suoi progressi, 155. Tradito dai suoi generali, cerca salvarsi colla fuga, ma da due suoi capitani, Fiorenzo e Barcalbo, preso e condotto all'imperatore Valente, da cui gli è fatto mozzare il capo, 160, 161.
Procopio, storico, seguita Belisario in Africa, II, 849. Sua descrizione della presa di Napoli fatta da quel generale, 864, 865. Sua narrazione del come sia stata presa Ravenna, 874. La sua storia segreta di Giustiniano ha molte cose incredibili, 981.
Proietto, vescovo, legato del papa Celestino al concilio terzo universale tenuto in Efeso, II, 480.
Promoto, general di Teodosio Augusto: sua vittoria sui Grutongi, II, 262. Generale della cavalleria contro Massimo tiranno, 274. Sua morte, 293.
Prospero (San) d'Aquitania, prete e scrittore della Chiesa cattolica, II, 615.
Prospero Adorno, doge di Genova, V, 1265. Sua caduta, 1266. Riduce Genova all'ubbidienza del duca di Milano, dal quale è nominato governatore, VI, 57, 58. Si rivolta contro lo stesso duca di Milano, 62. È cacciato, 63.
Prospero Colonna, cardinale, nipote del papa Martino V: processo contro di lui intentato da papa Eugenio IV, V, 1085. Fugge da Roma, 1086. Il suo palazzo è messo a sacco, ivi.
Proterio (San), patriarca d'Alessandria, ucciso dagli eretici, II, 597.
Proverbio militare, II, 630.
Prudenzio (San), poeta cristiano, scrive contro i pagani, II, 366.
Psamatossiris, re de' Parti, V. Partamaspare.
Publio Asprenate, generale de' Romani al Reno sotto Augusto, I, 30.
[1091]
Publio Sulpicio, V. Quirino.
Pudente (Lucio Valerio), di soli tredici anni nei giuochi capitolini a Roma riporta la corona sopra gli altri poeti latini, I, 404.
Pugliesi, si ribellano ai Greci, IV, 91.
Pulcare, duca d'Amalfi, III, 785. Sua lega coi Saraceni, per cui è scomunicato dal papa Giovanni VIII, 809.
Pulcheria, figlia di Teodosio I Augusto, II, 257. Orazione funebre a lei scritta da San Gregorio Nisseno, 258.
Pulcheria, sorella di Teodosio II imperadore, dichiarata [1092] Augusta, II, 426. Consiglia al fratello di prendere Atenaide per moglie, 443. Costretta a ritirarsi dalla corte, 530. Tornata alla corte, 542. Divenuta imperadrice si marita con Marciano, 544, 545. Fine di sua vita, 571.
Pupieno (Marco Clodio Massimo), creato imperadore alla morte dei due Gordiani, I, 828. Va coll'esercito contro Massimino, 830. Dopo la vittoria riportata dalle sue armi va ad Aquileia, dove è ricevuto con indicibile plauso, 835. Sue dissensioni con Balbino Augusto, 836. Con Balbino ucciso dai pretoriani, 837.
[1093]
Quadrato (Caio Ummidio Durmio), governatore della Soria sotto Nerone, I, 199. Sua morte, 219.
Quadrato (Asinio), scrittore della guerra partica a' tempi dell'imperadore Marco Aurelio, I, 537.
Quadrato, mastro di camera di Commodo, congiura contro lui, I, 602. Da cui è fatto morire, 603.
Quadruplice alleanza contro la Spagna, VII, 286.
Quartino (Tito), proclamato imperadore da alcuni soldati, I, 818. Assassinato poscia da Macedonio suo amico, ivi.
Querini (Angelo Maria), cardinale chiarissimo, e vescovo di Brescia, VI, 40, 601, 648.
Quietismo (il), eresia condannata da Innocenzo XI, VII, 66, 67.
Quieto (Lusio), Moro di nazione, generale di Traiano: sue prodezze in Oriente, I, 427. Viene depresso da Adriano per sospetti, 437. Con molti altri personaggi di gran credito accusato di macchinazioni contro la vita dello stesso imperadore, 442.
Quieto (Gneo Fulvio), figlio di Macriano, dichiarato Augusto dal padre, I, 906. Lasciato governator [1094] della Soria, 908. Ucciso dai suoi, 909.
Quinquegenziani, popoli dell'Africa, domati da Massimiano Augusto, I, 1047.
Quinquennali, decennali, vicennali e tricennali: loro origine, I, 38.
Quintiliano (Marco Fabio), Spagnuolo; insigne maestro di eloquenza in Roma, I, 342, 370.
Quintilio (Massimo), tolto di vita dall'imperadore Commodo, I, 605.
Quintilio (Condiano), tolto di vita dall'imperadore Commodo, I, 605.
Quintilio (Sesto), come fuggisse l'ira di Commodo, I, 605.
Quintillo (Marco Aurelio Claudio), fratello di Claudio Augusto, I, 936. Proclamato imperadore, 946. Ucciso da' suoi soldati, 947.
Quinziano, vescovo di Rodes, cacciato dai Goti, II, 784. Da Teoderico poi, figlio di Clodoveo, nominato alla chiesa d'Auvergne, ivi.
Quirinio (Publio Sulpicio), fa la descrizione della Giudea, I, 12. Quando impiegato in tale uffizio, 13, 24.
Quod-vult-Deus, vescovo di Cartagine, II, 567.
[1095]
Rabano Mauro, arcivescovo di Magonza; sue controversie con Gotescalco monaco, III, 652.
Rabodo, marchese di Toscana, IV, 558.
Radagaiso, re degli Unni o Goti, viene in Italia, II, 350, 359. Sua nuova mossa contro l'Italia, 369. Procede sino in Toscana, 371. Dove da Stilicone, generale dell'imperadore Onorio, è sconfitto, poi morto, 372.
Radaldo, conte e marchese, III, 991.
Radelchi, V. Radelgiso.
Radelgario, principe di Benevento, III, 664. Cessa di vivere, 672.
Radelgiso, ossia Radelchi, conte di Conza, III, 514. Suoi disegni contro Sicone principe di Benevento, 555. Si fa monaco a Monte Casino, 556.
Radelgiso, ossia Radelchi, principe di Benevento, III, 611. Contro di lui eletto principe Siconolfo, 617. Sconfitto dai Salernitani, 618. Guerra a lui fatta dal suddetto Siconolfo, principe di Salerno, 623. Chiama in aiuto i Saraceni, 625, 626. Sua armata sconfitta, 626, 630. Assediato in Benevento, 630. Di nuovo prende i Saraceni al suo soldo, 652. Diviso il ducato fra lui e Siconolfo, 654. Dà fine alla sua vita, 664.
Radelgiso II, ossia Radelchi, principe di Benevento, III, 824. Viene deposto, 843. Ricupera Benevento, 920. Poi lo perde, 945, 946.
Radoaldo, figlio di Gisolfo duca del Friuli, II, 1144. Dimora in Benevento, 1211, 1212. Proclamato duca di quelle contrade, 1233. Termine di sua vita, 1241.
Radoaldo, re dei Longobardi, ucciso, II, 1257.
Raffaello Adorno, doge di Genova, V, 1168. Rinunzia alla dignità, 1195.
Raffaello Riario, cardinale, VI, 60.
Ragenario, o Regnacario, signor di Cambray, perde regno e vita per mano di Clodoveo, II, 778.
Ragimberto, o Ragumberto, figlio di Godeberto re de' Longobardi, salvato dalle mani di Grimoaldo, [1096] II, 1275. Usurpa il regno, e muore, III, 112.
Ragimberto, governatore d'Orleans, III, 141, 142.
Raimondo II, conte di Barcellona, IV, 384, 545.
Raimondo, conte di Provenza, IV, 399.
Raimondo, conte di Sant'Egidio, conduce un corpo di Crociati in Levante, IV, 469.
Raimondo dalla Torre, vescovo di Como, V, 61. È cacciato fuori di Brescia dalla fazione guelfa, 81. Creato patriarca d'Aquileia, 101. Fa guerra ai Milanesi, 128. Fa pace con essi, 133. Abbattuti i Torriani, torna colla testa bassa ad Aquileia, 142. Stringe lega con Guglielmo marchese di Monferrato, 172.
Raimondo d'Aspello, marchese di Ancona, ucciso da alcuni Modenesi, V, 371.
Raimondo da Cardona, vicario del re Roberto, fa guerra ai Visconti, V, 420. Sconfitto da Marco Visconte, 425. Assedia Milano, 435. S'impadronisce di Tortona e d'Alessandria, 436. Fatto prigione, come liberato, 439. Torna generale in Toscana, 446. Sconfitto e preso da Castruccio degli Interminelli, 448.
Raimondo di Cardona, vicerè di Napoli, guida gli Spagnuoli contra il duca di Ferrara, VI, 270. Assedia Bologna, 273. Rotto dai Franzesi sotto Ravenna, 282. Rimette in Firenze i Medici, 291. Orrido sacco dato dalle sue genti alla terra di Prato, ivi. Occupa Brescia ed altri luoghi, 292, 293. Vano assedio da lui fatto di Padova, 306. Dà una rotta all'armata veneta, 307.
Raimondo, conte di Montecuccoli, generale di Francesco I duca di Modena, VI, 1122. Generale dell'imperadore Leopoldo, riporta un'insigne vittoria contro i Turchi, 1238. Cessa di vivere, VII, 37.
Rainolfo, capo de' Normanni, IV, 165. È creato conte d'Aversa da Michele imperadore de' Greci, 198. Va in aiuto di Ardoino contro i Greci, [1097] 208, 217. Nella divisione della Puglia, gli tocca Siponto col Monte Gargano, 215. È investito dall'imperadore Arrigo II de' suoi Stati, 237.
Rainolfo, conte di Alife, IV, 598, 601. Cognato di Ruggieri re di Sicilia, 609. A cui dà una gran rotta, 622. Fa pace con lui, 631. Di nuovo si ribella, 635. Costretto a fuggire, 636. Creato duca di Puglia, 650. Dà un'altra rotta a Ruggieri, 653. Continua con lui la guerra, 656. Sua morte, 659.
Ramberto, abbate d'Asti: diploma di Berengario II re d'Italia in suo favore, III, 1126.
Rameglì: battaglia ivi data colla rotta dei Franzesi, VII, 205.
Ramito, o Ramisco, patrizio, ucciso presso Classe da Ricimere, II, 594.
Rampretto, marchese di Toscana, IV, 628.
Rangone (conte Guido), generale di papa Clemente VII, VI, 423, 425, 434, 437, 441, 442, 443, 460. Generale del re di Francia, suo tentativo contro Genova, 522, 523.
Ranuccio Farnese, figlio d'Alessandro duca di Parma, gli succede in quel ducato, VI, 843, 844. Sue nozze con Margherita Aldobrandina pronipote di papa Clemente VIII, 891. Congiura contro di lui, 936. Termina i suoi giorni, 987.
Ranuccio II Farnese, figlio di Odoardo duca di Parma, gli succede in quel ducato, VI, 1144, 1145. Conchiude la pace fra gli Spagnuoli e Francesco I duca di Modena, 1172. Gli è smantellato Castro, e tolto dal papa Innocenzo X, 1175. Sue nozze con Margherita di Savoia, 1220. Rimasto vedovo, sposa Isabella d'Este, 1233, 1239. Morta anche questa, sposa in terze nozze Maria d'Este sorella della defunta, 1251. Sue straordinarie feste per le nozze del figlio Odoardo colla principessa Dorotea Sofia di Neoburgo, VII, 89. Termina i suoi giorni, 112.
Rataldo, vescovo di Verona, III, 512, 589. In disgrazia dell'imperadore Lottario, 597. Interviene ad una dieta tenuta in Aquisgrana, ivi.
Ratchis, figlio di Pemmone duca del Friuli, III, 125. È creato da Liutprando re d'Italia duca in luogo di suo padre, 207. Con un esercito entra nella Carniola, 212. Sua bravura, ivi. Creato re de' Longobardi, 236. Sue leggi, 237. Va ad assediar Perugia, 241. Ma, ad istanza di papa Zacheria, si ritira, ed abbraccia la vita monastica, ivi. Torna al secolo per voglia della corona, 264, 265.
Raterio, monaco, va a Roma, per ottenere da papa Giovanni XI l'approvazione d'Ilduino arcivescovo di Milano, III, 1048. Eletto vescovo di Verona, ivi, 1055. Posto in prigione dal re Ugo, 1061.
[1098]
Ravenna, assediata da Teoderico, II, 704. E presa, 713. Assedio d'essa fatto da Belisario, 883. Che vi entra a patti, 886. Città composta di tre città, 1000. Combattimento e giuoco popolare, che brutti effetti ivi producesse, III, 97. Presa dal re Liutprando, 181. Ricuperata, 186. Suo esarcato donato alla Chiesa Romana da Pippino re di Francia, 260. Sua metropoli reintegrata dal papa Gelasio II, IV, 565. Tolta a Federigo II da Paolo da Traversara, 1158. Ricuperata da esso Federigo, 1164. Ne è cacciata la parte guelfa, 1214. Assediata dai Franzesi sotto la condotta di Gastone di Foix, VI, 281. I quali riportano una gran vittoria, 283. Presa e saccheggiata da essi, 284.
Ravennati: strage di loro fatta da Giustiniano II Augusto, III, 129, 131. A cui si ribellano, 134. Come pure a Leone Isauro, del quale sconfiggono l'armata lor mandata contro, 200.
Ravizza Rusca, signor di Como, V, 498.
Razale, general de' Persiani, sconfitto e morto in singolar certame da Eraclio imperadore, II, 1192.
Reano, governatore d'Arabia, ucciso da Elagabalo, I, 755.
Recaredo, re de' Visigoti in Ispagna, abbraccia la religione cattolica, II, 1107.
Rechiario, o Riciario, re degli Svevi in Ispagna, succede al padre Rechila, II, 534. Suo matrimonio con una figliuola di Teoderico re de' Visigoti, 536. Saccheggia la Guascogna, ivi. Dà il saccheggio a Cesaraugusta, oggi Saragozza, ivi. Infesta la Spagna tarraconese, 588, 589. Sanguinosa battaglia da lui sostenuta contro Teoderico II re de' Visigoti, suo cognato, presso il fiume Urbico in Ispagna, 590. In cui vinto fugge, ivi. Preso, da lì a qualche tempo è ucciso, ivi.
Rechila, re degli Svevi in Ispagna, succede al padre Ermerico, II, 500. Presso Singilo, fiume della Betica, sconfigge Andevoto generale dello imperadore Valentiniano III, ivi. Prende Merida, 506. E Siviglia, 512. Sua morte, 534.
Reduce, vescovo di Napoli, II, 1042.
Reggiani, sconfiggono i Modenesi, IV, 976. Fanno pace, 980. Cacciano fuor della lor città i Guelfi, 1192. Poscia tornano a parte guelfa, con cacciarne i Ghibellini, V, 51. Lor guerra civile, 186, 196. Prendono per loro signore Obizzo marchese d'Este, 207.
Reggio, si ribella agli Estensi, V, 302. Presa dal cardinal Bertrando, legato e generale del papa Giovanni XXII, 489. Poi ripresa da Lodovico il Bavaro, che vi pone un suo vicario, 490. Suo dominio conferito a Giovanni re di Boemia, 498, 499. Se ne impadroniscono i Gonzaghi, [1099] 525. Feltrino solo ivi padrone, 668. Dallo stesso è poi venduta a Bernabò Visconte, 728. Desolazione di essa per l'inutile tentativo dell'Estense Niccolò per torla al Visconte, 728, 729.
Regilliano, generale di Gallieno Augusto nell'Illirico, I, 903. Sua vittoria sui Sarmati nella Mesia superiore, ivi. Sua ribellione, 904. Proclamato imperadore, 910. È ucciso dai suoi, 911.
Regillo, prefetto del pretorio sotto Commodo, I, 619. Dal quale è ammazzato, 620.
Reginaldo, ossia Regnibaldo, duca di Chiusi, sua congiura contro l'imperadore Carlo Magno, III, 324, 343.
Regolo (Caio Memmio), governatore della Macedonia ed Acaia: a lui tolta la moglie da Caligola, I, 122.
Rei, per la solennità della Pasqua liberati, II, 230.
Remigio (San), vescovo di Reims, battezza Clodoveo re dei Franchi, II, 727.
Remismondo, capo degli Svevi a' tempi dell'imperadore Avito, II, 590.
Renato d'Angiò, erede di Giovanna II regina di Napoli, V, 1114. Fatto prigione da Filippo duca di Borgogna, 1116. Liberato, va a Napoli, 1130. Sua guerra con Alfonso re d'Aragona, 1136, 1146, 1155. Perde Napoli e tutto il regno, 1157. Torna in Italia in aiuto di Francesco Sforza, 1229, 1232. Torna in Francia, 1234.
Renato II, duca d'Angiò, viene al servizio de' Veneziani, VI, 83.
Renea, figlia di Lodovico XII, re di Francia, sposata da Ercole d'Este principe di Ferrara, VI, 464. Infetta degli errori di Giovanni Calvino, 525. Suo infelice fine, 690.
Renzo da Ceri, capitano della fanteria veneta: sue imprese, VI, 252. Abbandona Brescia, 304. Sue azioni in Bergamo, 306. Difende Crema, 310, 313. Rende Bergamo, 314. Generale de' Veneziani, 321. Va al servigio di papa Leone X, 330. A cui sottomette il ducato di Urbino, 334, 346. Difende Marsilia, 405. Deputato alla difesa di Roma, 438.
Reparato, arcivescovo scismatico di Ravenna, III, 41. Si sottomette al papa Dono, 47. Muore, 48.
Repentino (Fabio), prefetto del pretorio sotto Antonino Pio, I, 493.
Repentino (Cornelio), prefetto di Roma, sposa Didia Clara figlia di Giuliano Augusto, I, 643.
Repubblica, nome una volta significante il romano imperio, II, 1078, 1200, 1201; III, 262.
Riccarda, imperadrice, moglie di Carlo il Grosso, III, 826. Giustifica la sua innocenza, e muore santamente, 857, 858.
Riccardo, padre di san Willebaldo e di santa Walpurga, non mai re, muore in Lucca, III, 244.
[1100]
Riccardo, abbate di Fulda, IV, 104.
Riccardo I, conte di Aversa, IV, 261. Creato da papa Niccolò II principe di Capoa, 293. Protegge papa Alessandro II, 305. Dal quale è investito di Capoa, 310. Acquista Gaeta, 316. Guerra a lui fatta da Goffredo duca di Toscana, 324, 331. Giura vassallaggio al papa, 359. Assedia Napoli, e manca di vita, 386.
Riccardo, abbate di Marsiglia, IV, 432.
Riccardo II, principe di Capoa: se gli ribella quella città, IV, 449. Dopo lungo assedio la ricupera, 477. Termina il corso di sua vita, 508.
Riccardo, vescovo di Albano, IV, 504.
Riccardo dall'Aquila, duca di Gaeta, IV, 562.
Riccardo, vescovo di Siracusa, IV, 856.
Riccardo, re d'Inghilterra, prende la croce, IV, 912. Giunto a Messina, fa guerra al re Tancredi, 918, 919. Occupa l'isola di Cipri, e dà mano alla conquista di Accon, 926. Fu spavento dei Saraceni, 929. Nel ritorno a casa è preso da Leopoldo duca di Austria, 931. A caro prezzo compra la libertà, 935. Promuove Ottone IV all'imperio, 960.
Riccardo, fratello del re d'Inghilterra, tratta di pace fra il papa Gregorio IX e l'imperadore Federigo II, IV, 1168. Gli è esibito da papa Innocenzo IV il regno di Sicilia, 1235. Eletto re de' Romani, 1261. Sua contesa per l'imperio con Alfonso re di Castiglia, V, 32. Arrigo suo figlio empiamente ucciso da Guido conte di Monforte, 91.
Riccardo, cardinale di Sant'Angelo, V, 55.
Ricciardino, conte di Langusco, creato signor di Pavia, V, 369. Ne perde colla vita il dominio, 385.
Ricciardo, conte di San Bonifazio, proditoriamente preso da Salinguerra, IV, 1064. Liberato, 1067. Posto in prigione dai Ghibellini in Verona, 1095. Rimesso in libertà, 1102. Cacciato da Verona, 1133. Abbraccia il partito di Federigo II, 1141. Poscia si rivolta contro di lui, 1163. Sua morte, 1232.
Ricciardo da Camino, signor di Trivigi, V, 350. Ucciso, 356.
Ricciardo de' Manfredi, signor di Faenza e d'Imola, V, 523.
Richecourt (Emmanuele conte di): sua rara attività nel governo economico della Toscana, VII, 707.
Richelieu (Armando di Plessis di), cardinale, arbitro della corte di Francia, VI, 994. Fa un accordo cogli Spagnuoli per la Valtellina, 1006. Fa imprendere l'assedio della Rocella, 1012. E se ne impadronisce, 1024. Cala colle armi in Italia, e fa pace col duca di Savoia, 1026, 1027. Di nuovo [1101] come generale cala in Italia in aiuto del duca di Mantova, 1033. Tenta di sorprendere il duca di Savoia, 1034. Suo imperio in Francia, 1048. Come conseguisse una porta aperta per l'Italia, cioè Pinerolo, 1051. Leghe e guerre da lui promosse, 1068, 1069. Sue idee contro la real casa di Savoia, 1097, 1104. Sua morte, e sue qualità, 1113.
Richenza, moglie di Lottario re di Germania, incoronata col marito a Liegi dal papa Innocenzo II, IV, 615. Suo placito tenuto in Reggio, 645. Riconosce Corrado III per re di Germania, 658.
Richerio, abbate di Monte Casino, accompagna papa Leone IX a Roma, IV, 266.
Richilda, figlia di Giselberto conte del palazzo. Moglie di Bonifazio marchese, IV, 114. Suo ricorso all'imperadore Arrigo II per ottenere alcuni beni sul Ferrarese, 116. Sua cessione fatta al vescovato di Cremona, 126. Sue virtù, e morte, 187.
Richilda, badessa di Santa Giulia di Brescia, IV, 704.
Riciario, V. Rechiario.
Riciario, fratello di Ragenario, o Regnacario, signore di Cambray, fatto prigione e ucciso dal re Clodoveo, II, 778.
Ricimere (Flavio), conte, generale di Avito Augusto, II, 582. Promuove la di lui rovina, 591. Da lui preso, lo costringe a dimettere l'imperio, 593. Fa egli da imperadore, 594. Creato console, 603. Toglie di vita Maioriano imperadore, 608. Dà una rotta agli Alani, 616. Sposa una figlia di Antemio Augusto, 623. La vuol far da imperadore, 640. Assedia Roma, 642. Vi entra, ivi. Fa uccidere il suocero, 643. Dà il sacco a quella misera città, ivi. Termina i suoi giorni, ivi. Chiesa da lui edificata in Roma per sepoltura sua e de' Goti ariani, ivi. Suoi epitaffii, ivi.
Ricomere (Flavio), generale di Graziano Augusto, II, 205, 209, 211. E di Teodosio, 222. Console, 250. Va contro Massimo tiranno, 274.
Ridolfo, o Rodolfo, duca di Svevia, IV, 314, 349, 354. Si ritira dalla corte del re Arrigo IV, 355. Con lusinghe e promesse il suddetto re lo tira nel suo partito contro il papa Gregorio VII, 365. Poscia lo abbandona, 374. Vien creato re, 379. Sue battaglie con esso Arrigo, 389, 392, 395. In suo favore si dichiara il papa, 395. Mortalmente ferito nella quarta battaglia data ad Arrigo, poco dopo muore, 400.
Ridolfo d'Habspurch, eletto re de' Romani, V, 100. Riconosciuto per re dai Milanesi, 107. Suo abboccamento con papa Gregorio X in Losanna, [1102] 110. Città d'Italia che gli prestano fedeltà, 114. Concede la Romagna a papa Niccolò III, 125. Sua vittoria su Ottocaro re di Boemia, 131. Tratta con papa Onorio IV di andare a Roma per prender la corona dell'imperio, 183, 184. Sue pretensioni sul regno d'Ungheria alla morte di quel re Ladislao, 212. Sua morte, 214.
Ridolfo da Varano, signore di Camerino, V, 750. Generale de' Fiorentini, 751. Va al servigio del papa Gregorio XI, 754, 755, 757.
Rigizone, vescovo di Feltre, IV, 134.
Rignomere, signore dei Cenomanni (oggidì le Maine), è levato di vita da Clodoveo re dei Franchi, II, 778.
Riminesi: loro vittoria sui Cesenati, IV, 1032.
Rimetalce, o Remetalce, re della Tracia, I, 75. Parte della Tracia a lui conceduta dall'imperadore Caligola, 119. È ucciso dalla propria moglie, 165, 166.
Rimetalse, re del Bosforo, I, 522.
Rinaldo, vescovo di Pavia, III, 1217; IV, 215.
Rinaldo, vescovo di Como, IV, 359, 413.
Rinaldo, arcicanceliere dell'imperio, eletto arcivescovo di Colonia, IV, 771. A lui donati i creduti corpi dei tre re magi, li fa portare nella sua città, 776. Arnese pessimo di Federigo Augusto, 782, 786. Dà una rotta ai Romani, 800. Muore da una epidemia sotto le mura di Roma, 811.
Rinaldo, duca di Spoleti, IV, 1066. Lasciato per governatore del regno dall'imperadore Federigo II, invade gli Stati della Chiesa, 1083. Imprigionato e spogliato dei beni da esso Augusto, 1100.
Rinaldo, vescovo di Vicenza, governatore della Romagna, V, 281. Sua morte, ivi.
Rinaldo, marchese d'Este, ricupera Ferrara dal re Roberto, V, 396. Scomunicato da papa Giovanni XXII, 411, 417. Toglie Argenta all'arcivescovo di Ravenna, 444. Va in soccorso di Passerino de' Bonacossi, signor di Mantova e Modena, 448. Gran rotta da lui data ai Bolognesi, 449. Si riconcilia col papa, 483, 508. Fa lega contro Giovanni re di Boemia, 500. Assedia San Felice, castello sul Modenese, 507. Gli è data una rotta dai Modenesi, 508. Sotto Ferrara sconfigge l'esercito pontifizio, 511. Ricupera Argenta, 517. Fine de' suoi giorni, 526.
Rinaldo d'Este, cardinale, protettor della Francia, sue liti in Roma coll'almirante di Castiglia, VI, 1142. Altro suo grave impegno contro i Chigi, nipoti del papa Alessandro VII, 1221.
Rinaldo I, duca di Modena: sua nascita, VI, 1198. Succede al nipote Francesco II nel ducato, VII, 112. Suo matrimonio con Carlotta Felicita di [1103] Brunsvich, 126. Suntuose nozze di Giuseppe re dei Romani da lui celebrate in Modena, 140. Magnifica solennità con cui celebra il battesimo del figlio Francesco Maria, 143. È costretto a cedere Brescello ai cesarei, 165. Impadronitisi i Franzesi della città di Reggio, si ritira a Bologna, 169. Per suggestione di Francesco Farnese, duca di Parma, suo nipote, gli stessi Franzesi gli smantellano tutte le fortificazioni, 175. Con un pretesto gli confiscano tutte le rendite e i mobili, 179. Ricorre al papa Clemente XI per protezione, 180. Coll'aiuto de' cesarei ricupera Modena e Reggio, 204, 205. Rientra in possesso di tutti i suoi Stati, 209. Suoi diritti su Comacchio, 221, 222, 223, 227. Acquista la Mirandola, 234, 260. Dà in moglie una figlia al duca di Parma, 328, 336. I suoi stati occupati nuovamente dai Franzesi, si ritira colla famiglia a Bologna, 394. Promesse a lui fatte dal duca di Noaglies, 416. Torna nella sua capitale, 422. Sua morte, 438.
Rinieri, marchese di Toscana, IV, 106. Suo placito tenuto in Arezzo 114. Si arrende a Corrado re d'Italia, e vien deposto, 156, 157, 174.
Rinieri, prete cardinale di San Clemente, eletto papa, IV, 482, V. Pasquale II.
Rinieri, figlio del marchese di Monferrato, creato re di Tessalonica dall'imperadore greco Manuello Comneno, del quale avea sposata una figlia, IV, 873.
Rinieri, cardinale. Co' Perugini sconfitto da Federigo II imperadore, IV, 1196.
Rinieri Zeno, doge di Venezia: sua morte, V, 81.
Rinieri dalla Gherardesca conte, signor di Pisa, V. 415.
Riotimo, re della Bretagna Minore, sconfitto dai Visigoti, II, 626. Si ricovera presso i Borgognoni, ivi.
Riparii, popoli ausiliarii de' Romani, II, 553.
Risinda, badessa della Posterla, in Pavia, ottiene dal re Berengario di fabbricar castella nelle tenute del suo monistero contro le incursioni de' pagani, III, 974, 984.
Riuprando, vescovo di Novara, IV, 215, 216.
Robaldo, o Roboaldo, vescovo di Alba, eletto arcivescovo di Milano, IV, 637. Giura fedeltà al papa Innocenzo II, 644. Va in Roncaglia a far la corte all'imperadore Lottario III, ivi. Per ordine di esso Augusto scomunica i Cremonesi, ivi.
Roberto, figlio di Roberto il Forte, progenitore della real casa di Francia, III, 863.
Roberto, re di Francia, IV, 20. Ricusa il regno d'Italia, 147.
Roberto Guiscardo: quando dalla Normandia venisse [1104] in Puglia, IV, 172. Sua guerra contro il papa Leone IX, 261. Sue conquiste in Calabria, 268. Occupa gli Stati di Unfredo suo fratello, 282. Prende in moglie Sigelgaita figlia di Guaimario IV principe di Salerno, 287. È creato duca di Puglia, 291, 297. Sue maggiori conquiste, 297. Aiuta il fratello Ruggieri all'acquisto della Sicilia, 303. Sue liti con lo stesso suo fratello, che lo libera dalla prigionia, 309, 310. Occupa Taranto, 314. Fa guerra ai Mori in Sicilia, 319. Assedia Bari, 332. Altre sue conquiste, 335. Insidie tese alla vita di lui, 337. S'impadronisce di Bari, 344, 347. Assiste alla consecrazione della basilica di Monte Casino, fatta da papa Alessandro II, 347. Assedia Palermo, 348. E se ne impadronisce, 352. Scomunicato da papa Gregorio VII, 361. Marita una sua figlia con Costantino Duca Augusto greco, 375. S'impadronisce di Salerno, 381. Marita una figlia ad Ugo figlio del marchese Azzo II Estense, 384. Assedia Benevento, 385, 386. È di nuovo scomunicato dal papa, ivi. Fa pace con lui, 387. Se gli ribellano varie terre, 393. Dà per moglie a Raimondo II conte di Barcellona una sua figlia, 394. Giura omaggio al papa, 397. Ripiglia molte terre, e protegge un finto imperador dei Greci, 398, 399. Mossa guerra ai Greci conquista Corfù, 405. Assedia Durazzo, e dà ai Greci una rotta, 406, 407. S'impadronisce di quella città, 410. Ricupera Canne, 415. Venuto a Roma, la saccheggia, 419. Libera papa Gregorio, e seco il conduce, ivi. Muove guerra a Giordano principe di Capoa, 422. Sconfigge la flotta dei Greci e Veneziani, ivi. Dà fine ai suoi giorni in Cefalonia, 425.
Roberto, principe di Capoa, IV, 508. Suo trattato col papa Pasquale II contro il re Arrigo V, 525. Congiura contro Landolfo della Greca, governatore di Benevento pel papa, 543. Interviene alla consecrazione di papa Gelasio II, e a lui giura fedeltà, 562. Fine del suo vivere, 577.
Roberto, figlio di Guglielmo il Conquistatore re d'Inghilterra, tenta inutilmente di avere in moglie la contessa Matilda, IV, 439. Succede al padre nel ducato di Normandia, 440. Va in Levante colla crociata, 469.
Roberto, conte di Fiandra, IV, 372. Va in Levante in crociata, 469.
Roberto, vescovo di Traina, IV, 478.
Roberto, vescovo d'Alba, IV, 596.
Roberto II, principe di Capoa, succede al padre, IV, 601. Unito col papa Onorio II contro Ruggeri conte di Sicilia, ivi. Corona esso Ruggieri [1105] in re, 614. Aiuta l'antipapa Anacleto contro i Beneventani, 616. Sua rottura col re Ruggieri, 621, 624. Suoi maneggi contro di lui, 630. Va in Germania legato del pontefice Innocenzo II, 638. Ricupera i suoi Stati, 648. All'assedio di Salerno, 649. Torna a perdere i suoi Stati, 652. Ricorre al re Federigo I per giustizia, 709. Ripiglia Capoa, 731. Suo miserabile fine, 736.
Roberto di Bissavilla, congiura contro il cugino Guglielmo re di Sicilia, IV, 731.
Roberto, conte d'Artois, balio del re di Sicilia, V, 177, 188. Se ne torna sdegnato in Francia, 201.
Roberto, duca di Calabria: sue vittorie su' Siciliani, V, 261. Assedia per mare Messina, 267. Entrata l'epidemia nella sua armata, scioglie l'assedio, ivi, 268. Sua infelice impresa di Sicilia, 275. Da Carlo II, re di Napoli, è inviato per capitano dei Fiorentini, 300. Succede al padre nel regno di Napoli, 326. Vicario di Ferrara, viene in Italia, 335. Dove stende le ali di sua potenza, 336. Suoi preparamenti contro Arrigo VII, 340. Ambasciatori a lui spediti dallo stesso Arrigo per un accordo fra loro, 352. Gli fa guerra in Roma, 353. A lui giura fedeltà Asti con altre città, 360. Fatto signor di Firenze, 365. Guida a suo talento la corte pontificia, 372. Creato vicario dell'imperio e senator di Roma, 373. Sua impresa contro la Sicilia d'infelice riuscita, 378. Dichiarato signor di Genova, va in persona al soccorso di quella città, 400. Sfidato a singolar tenzone da Marco Visconte, 401. Libera Genova dallo assedio dei Ghibellini, 404. Lasciato quivi per suo vicario Ricciardo Gambatesa va in Provenza, 404. Creato signor di Brescia, 407. Incita il papa contro i Ghibellini, 410. Muove guerra ai Visconti, 419, 425. Cessa il suo dominio in Firenze, 432. Fa guerra a Milano, 433, 434. Sua mira all'acquisto dell'Italia, 440, 441. Continua il suo dominio in Genova, 442. Gran danno reca alla Sicilia, 452, 456, 464. Suoi sforzi contro Lodovico il Bavaro, 464. Perde l'unico suo figlio, 475. Promette in moglie Giovanna sua nipote ad Andrea suo nipote, 516. Privato del dominio di Genova, 529. Fa nuova guerra alla Sicilia, 541. Perde Asti, 550. Prende Milazzo in Sicilia, 559. Con molte dimostrazioni di stima riceve Francesco Petrarca, ivi. Vuole indurlo a ricevere la laurea poetica in Napoli, ivi. Fine dei suoi giorni, 568.
Roberto, cardinale di Ginevra, generale dell'armata pontificia, V, 750. Sua barbarie incredibile contro il popolo di Cesena, 755. È creato [1106] antipapa, 763, 764. Va a Napoli, e ne è cacciato dal popolo, 769. Si ritira ad Avignone, ivi. Corona re di Napoli Lodovico II d'Angiò, 834. Divien padrone di Ginevra, 843. Termina la sua vita, 858.
Roberto, arcivescovo di Milano, corona re d'Italia Carlo IV, V, 644.
Roberto, duca di Baviera, eletto re de' Romani, V, 898. Sua venuta in Italia, 902. Vergognosamente torna in Germania, 903. Arriva al fine del suo vivere, 972.
Roberto Galeotto Malatesta, signor di Rimini, sua morte, V, 1099.
Roberto Malatesta, figlio di Sigismondo, signor di Rimini, VI, 30. S'impadronisce del potere, 32. Sua vittoria sull'armata del papa Paolo II, 33. Va al servigio dei Fiorentini, 65, 66. Poscia dei Veneziani, 78. Dà una rotta al duca di Calabria, e muore, 80.
Roberto da San Severino, spedito contro il duca di Savoia, V, 1287. E contro Jacopo Piccinino, 1241. Gli è dato il principato di Salerno dal re di Napoli Ferdinando, 1264. Capitano dei Bentivogli, VI, 33. Unito con Lodovico il Moro, fa guerra alla reggenza di Milano, 57, 66. Grande perturbatore, coopera alla ribellion di Genova, 63. Suoi imbrogli nella guerra di Toscana, 66. Generale de' Veneziani, 78. Generale delle armi della Chiesa, 92. Muore in battaglia, 97.
Robusto, o Roburro (Titurio), prefetto di Roma sotto l'imperador Probo, I, 1003.
Rodelinda, moglie di Bertarido re de' Longobardi, II, 1276; III, 39. Fabbrica Santa Maria alle Pertiche, fuori di Pavia, 48.
Rodgauso, duca del Friuli, III, 329. Ribellatosi all'imperadore Carlo Magno, è privato di vita, 330.
Rodi, isola presa dai Saraceni, II, 1260. Suo mirabil colosso, ivi.
Rodoaldo, figlio di Rotari, è proclamato re dei Longobardi, II, 1251. Dà fine al suo vivere, 1256, 1267.
Rodoaldo duca del Friuli, III, 53. Gli è rapito il ducato, 90. Ricorre al re Cuniberto per aver giustizia contra dell'usurpatore, ivi.
Rodoaldo, vescovo di Porto, spedito da papa Niccolò alla corte dell'imperadore Lodovico II, per difendere sant'Ignazio patriarca di Costantinopoli ingiustamente deposto e carcerato, III, 698. Dal quale si lascia corrompere, ivi. Mandato poscia in Francia, ove egualmente è corrotto, ivi. Processato, 700.
Rodolfo I, figlio di Corrado, proclamato re di Borgogna superiore, III, 863. Guerra a lui fatta [1107] da Arnolfo re di Germania, 864, 900. Termina i suoi giorni, 982.
Rodolfo II, re della Borgogna, succede al padre, III, 982. Invitato in Italia contro Berengario imperadore, 1012. È coronato re d'Italia, 1013. Dà una rotta a Berengario, 1016. Dopo la cui morte acquista tutto il regno, 1021. Se gli ribella Pavia, 1026. Abbandona l'Italia, 1027. Sua pace con re Ugo, 1058. Fine di sua vita, 1072.
Rodolfo, re di Borgogna, sottomette il suo regno al romano imperio, IV, 117, 173. Muore, 172.
Rodolfo, principe di Benevento, IV, 261, 263.
Rodolfo II, re d'Ungheria, figlio dell'imperadore Massimiliano, eletto re de' Romani, VI, 769. Ed imperadore dopo la morte del padre, 772. Gli fanno guerra i Turchi, 848, 852. Ottiene aiuti dal papa Clemente VIII, 855. Sue prosperità, 877. Sua guerra coi Turchi, 895, 896. Fan tregua con essi, 915. Suo imbroglio coll'arciduca Mattias, 922, 934. Termina i suoi giorni, 935.
Rodrigo, re cattolico di Spagna, resta disfatto ed ucciso in una battaglia contro i Musulmani, III, 132.
Rodrigo Borgia, dallo zio Callisto III è eletto cardinale, V, 1244. È spedito da papa Sisto IV legato in Ispagna, dove fa gran bottino, VI, 42. Carica d'ingiurie il cardinal di Balua, 94. Creato papa, 12. V. Alessandro VI.
Roffredo, arcivescovo di Benevento, IV, 586.
Roffredo, abbate di Monte Casino, IV, 924, 929. Fa da guerriero, 932.
Rolando, arcivescovo d'Arles: suo infelice fine, III, 723.
Rolando, vescovo di Trivigi, IV, 391.
Rolando, cardinale di San Marco, IV, 736.
Rolando, cardinale di San Callisto, cancelliere della Chiesa romana, IV, 739. È eletto papa, 756. V. Alessandro III.
Rollone, capo dei Normanni, primo duca di Normandia, chiamato Roberto, III, 982.
Roma, formidabile suo incendio sotto Nerone, I, 231. Fu esso cagione che divenisse più bella, 232. Altro suo incendio sotto Tito Flavio, 322. E sotto Commodo, 622. Anno suo millesimo magnificamente solennizzato dai Filippi Augusti, 857 Sue mura ristaurate sotto Aureliano, 955. Invano assediata da Galerio, 1083. Infelice sotto Massenzio, 1104. Scossa per tre giorni dal tremuoto, II, 18. Regina delle città, 75. Suoi pregi, 76. Assediata da Alarico re de' Goti, 389. Trattato dei suoi cittadini con questo barbaro, 390. Con cui si accordano, 391. Presa e saccheggiata da esso Alarico, 400. Qual fosse allora [1108] la ricchezza e magnificenza de' Romani, 403. Presa e saccheggiata da Genserico re de' Vandali, 579. Poscia da Ricimere, 642. Da Belisario, 867. Assediata dal re Totila, 905. Orribile fame di que' cittadini, 909. Presa dai Goti, 910. Sue mura diroccate, 912. Ripigliata da Belisario, e difesa, 914. E poi da Totila, 923. Co' suoi contorni afflitta dai Longobardi, 1091. Suo dominio esibito da papa Gregorio III a Carlo Martello, III, 219. Incerto che ivi signoreggiasse Pippino, 284. Soggetta a Carlo Magno come patrizio, 380, 402, 424. Signoreggiata da' papi, 426. Assediata da Arrigo IV re di Germania, IV, 402, 409, 412. A lui si rende, 416, 417. Danni immensi ad essa recati da Roberto Guiscardo, 419. Chiamata nuova Babilonia, 565. Presa da Braccio da Montone, V, 1009. Parte d'essa presa e saccheggiata dai Colonnesi, VI, 426. Assalita e presa dai Tedeschi sotto la condotta di Carlo duca di Borbone, 439. Lagrimevol sacco della medesima, ivi. Peste in essa, 444. Terribili innondazioni del Tevere in essa, 482, 666, 874. Afflitta da fiera carestia ed infermità, 834, 837.
Romagna: antichità del suo nome, III, 443. Sottoposta a Guglielmo re de' Romani, IV, 1214. Ceduta a papa Niccolò III da Ridolfo re de' Romani, V, 126.
Romana Chiesa, capo di tutte le altre, II, 225, 1136. Sempre custode della vera dottrina, III, 55.
Romani, ai tempi di Cesare Augusto, sono sconfitti dai Germani sotto la condotta di Arminio e Sigimero, I, 30. Lor costumi e vizii dipinti da Ammiano, II, 175. Accusano Narsete all'imperadore Giustino, per cui da quell'Augusto è richiamato dal governo d'Italia, 991. Loro mal animo contro l'imperadore Leone Isauro per cagion delle sacre immagini, III, 180. Lor giuramento di fedeltà agli imperadori Lodovico e Lottario, 545. Sottoposti una volta alla sovranità imperiale, 675. Invettiva di Goffredo Malaterra contro di loro, IV, 420. Loro conflitto colle armate del re Arrigo V, 529, 530. Loro sedizione a' tempi di papa Pasquale II, 553. Sconfitti da quei di Tivoli, 670. Lor sedizione contro Innocenzo II, 673. Stabiliscono il senato e il senatore, ivi, 676. Lor sedizione contro papa Lucio II, 679. Forzati da Eugenio III all'ubbidienza, 681. Insolentiscono di nuovo, 682. Invitano a Roma il re Corrado, 683. Lor baldanzosa ambasciata a Federigo I Augusto, 728. A cui fan guerra, 729. Lieto accoglimento da lor fatto ad Alessandro III papa, 793. Assediano Tuscolo, 804. Sconfitti dalle armi di Federigo 1, 805. Che poi assedia Roma, 807. Fanno [1109] accordo con lui, 810. Distraggono Albano, 820. Tornano a far guerra a Tuscolo, ivi, 825. Lor fraudolento accordo con papa Alessandro, dopo cui smantellano le mura di Tuscolo, 830, 831. Richiamano a Roma esso papa, 865. Loro discordia con papa Lucio III, 880, 884, 886. Sacrileghe loro insolenze contro di lui, 886. E poscia contro Urbano III, 899. Si accordano con Clemente III, 910. Distruggono Tuscolo, 922. Sottomettono Viterbo, 972. Inquietano papa Onorio III, 1036. Congiurati contro Gregorio IX, 1081. Inviperiti contro Viterbo, 1100, 1106. Richiamano in Roma esso papa Gregorio, 1110. Dalla quale per loro cagione costretto ad uscire, si porta a Rieti, 1117. Rotta loro data dai Viterbesi, 1118. Assediano Tivoli, 1223. Cacciano in prigione Brancaleone lor senatore, 1260. Lo rimettono in posto, 1269. Loro discordie, V, 42. Creano loro signore Jacopo dalla Colonna, col dargli anche il titolo di Cesare, 212. Portano la guerra a Viterbo ed altre terre, ivi. Creano due senatori, e cessano così le guerre civili tra essi, 222. Favorevoli a Lodovico il Bavero, 464. Lo dichiarano senatore e capitano, poi lo fanno coronare imperadore, 466, 467. Poscia lo beffano, 472. Cacciano Guglielmo da Ebole, vicario del re Roberto, e lor senatore, e creano due senatori de' loro, 482. Lor dissensioni per le fazioni de' Colonnesi ed Orsini, 513. Eleggono Cola di Rienzo per loro tribuno, 590. Sollevati, il mettono in fuga, 595, 596. Essendo egli tornato al governo, l'uccidono, 635, 636. Si sottomettono a papa Innocenzo VI, 685. Loro istanze a papa Urbano V, richiamandolo a Roma, 707. Accolgono Gregorio XI, 753. Lor sedizione contro Innocenzo VII papa, 932. Lor sedizione contro papa Eugenio IV, 1106, 1107. Loro ambasciata per indurre lo stesso papa a tornare a Roma, 1118.
Romano, patrizio, macchina di usurpar l'imperio, e per ordine di Antemio Augusto gli è tagliato il capo, II, 636.
Romano imperio, cominciato da Romolo, stabilito da Augusto, termina con Romolo Augustolo, II, 661.
Romano, patrizio, creato esarco dell'Italia, II, 1064. Fa guerra ai Longobardi, 1077, 1078. Toglie loro Perugia ed altre città, 1086. Sua avarizia e sue calunnie contro di san Gregorio papa, 1095. Altri suoi vizii, 1097. Impedisce la pace fra i Romani e i Longobardi, 1101. O manca di vita, o è richiamato in Oriente, 1102, 1103.
Romano, duca di Viterbo, III, 454, 506.
Romano, arcivescovo di Ravenna, III, 801. Fine del suo vivere, 823.
[1110]
Romano, papa: sua elezione, III, 925. Passa a miglior vita, 927.
Romano, imperador dei Greci: ambasciatore a lui spedito da Ugo re d'Italia, III, 1035. Brutto affare a lui toccato, ivi, 1036. Navi da lui spedite ad Ugo stesso contro i Saraceni, 1088.
Romano juniore, figlio dell'imperadore Costantino, prende per moglie Berta figlia di Ugo re d'Italia, III, 1094. Riacquista l'isola di Creta, 1152. Manda per governator generale de' suoi Stati in Italia Costantino protospata, IV, 174, 175.
Romano Diogene, imperador dei Greci, IV, 343.
Romeo de' Pepoli, cacciato da Bologna, V, 422. Tenta indarno di rientrarvi, e muore, 431.
Romilda, moglie di Gisolfo, duca del Friuli, con infame tradimento si dà a Cacano re degli Avari, II, 1145. In premio è fatta da lui impalare, 1146.
Romoaldo, figlio di Grimoaldo duca di Benevento, II, 1274. Difende Benevento assediata dai Greci, III, 11. Suo concordato con essi, 12. Suoi figliuoli, 28. S'impadronisce di Taranto e Brindisi, 31. Termina il corso di sua vita, 49. Incertezza intorno al tempo del suo governo e della sua morte, 114.
Romoaldo II, duca di Benevento, succede al padre Gisolfo, III, 115. Occupa con frode il castello di Cuma, 157. Sua morte, 163, 195.
Romoaldo, figlio di Arigiso principe di Benevento, mandato dal padre a Roma con regali all'imperadore Carlo Magno, III, 361. Sua morte, 364.
Romoaldo (San), abbate di Classe, III, 1220; IV, 16. Instituisce l'ordine de' Camaldolesi, 90. Sua morte, 160.
Romoaldo, arcivescovo di Salerno, IV, 597.
Romoaldo, altro arcivescovo di Salerno, IV, 793. Intendente di medicina, 796. Accompagna a Venezia papa Alessandro, III, 857.
Romolo (Marco Aurelio), figlio di Massenzio Augusto, dichiarato Cesare, I, 1087. Sua morte, 1092.
Romolo (Flavio Pisidio), prefetto di Roma a' tempi dell'imperadore Onorio, II, 375.
Romolo, figlio d'Oreste, proclamato imperadore d'Occidente, II, 656. V. Augustolo.
Roncaglia sul Piacentino: ivi tenuta la gran dieta dei re d'Italia ai tempi di Federigo I imperadore, IV, 720.
Rosmonda, figlia di Cunimondo, re dei Gepidi, presa per moglie da Alboino re dei Longobardi, II, 987. Cagione per cui essa gli facesse levare la vita, 1014. Fugge a Ravenna, dove incontra la morte, 1016.
Rotari, creato re de' Longobardi, II, 1214. Muove [1111] guerra ai Romani, 1227. Acquista Genova, ed altre città del lido ligustico, 1229. Dà una rotta ai Romani, 1232. Pubblica le leggi longobardiche, 1233. Se impedisse ai vescovi l'intervenire al concilio romano, 1244. Fine di sua vita, 1250.
Rotari, duca di Bergamo, III, 112. Assume il titolo di re, 116. Preso ed ucciso dal re Ariberto, ivi.
Rotari, parente di Liutprando: sua congiura contro questo principe scoperta, per cui rimane ucciso, III, 147.
Rotilde, moglie di Adalberto II duca di Toscana, III, 798.
Rotrude, moglie di Carlo Martello, III, 148. Sua morte, 172.
Rotrude, figlia di Lottario Augusto, III, 611.
Rufino (Eraclio, o sia Araclio), prefetto di Roma sotto l'imperadore Diocleziano, I, 1059. Creato console, 1098. Prefetto di Roma sotto Massenzio, 1103.
Rufino (Stazio), prefetto di Roma sotto gl'imperadori Galerio e Massenzio, I, 1087.
Rufino (Vettio), prefetto di Roma sotto Costantino, I, 1136, 1138.
Rufino, prefetto di Roma sotto l'imperadore Valente, III, 199.
Rufino, maggiordomo di Teodosio Augusto, III, 288. Sue iniquità, 293. Console, 295. Prefetto del pretorio, 303. Suoi molti vizii, 322. Principio di sua rovina, 323. Ucciso per ordine di Stilicone, 327.
Rufo (Fenio), prefetto di Roma, sotto Nerone, I, 224.
Rufo (Lucio Virginio), governatore della Germania, ricusa l'imperio, I, 252. Aiuta Galba a salire sul trono, 257. Creato console, 265, 372. Fine di sua vita, 373.
Rufo (Caio Musonio), filosofo, I, 303.
Rufo (Attilio), governatore della Soria a' tempi dell'imperadore Domiziano: sua morte, I, 335.
Rufo (Tenio), governatore della Giudea sotto lo imperadore Adriano, I, 469.
Rufo (Vettio), già console, ucciso da Commodo Augusto, I, 605.
Rufo, console occidentale sotto l'imperadore Anastasio, II, 708.
Rugi, popoli, col re loro sconfitti da Odoacre re di Italia, II, 692. Entrano in Pavia, 714.
Ruggieri, fratello di Roberto Guiscardo, viene in Italia, IV, 286, 287. Conquiste da lui fatte in Calabria, 297. S'impadronisce di Messina, 303. Libera Roberto suo fratello dalla prigionia, 310. Passa in Sicilia contro i Saraceni, ivi. Sue vittorie sui Mori, 316, 335. E sull'armata navale [1112] dei Greci, 344. Assedia Palermo, 348. E se ne impadronisce, 352. Acquista Trapani, 383. E Taormina, 390. Marita una figlia con Raimondo conte di Provenza, 399. Sua vittoria per terra e per mare sui Saraceni, e presa di Siracusa, 436. E di Girgenti, 442. Suo nuovo matrimonio con Adelaide nipote di Bonifazio marchese d'Italia, 445, 446. Altre sue conquiste, ivi. Rapitogli dalla morte Giordano suo figlio, 454, 455. Marita una sua figlia con Corrado re d'Italia, 467. Va in aiuto del nipote Ruggieri duca di Puglia, cui erasi ribellata Amalfi, 470. Annichilato l'esercito suo che assediava quella città, avvilito si ritira, 471. Collo stesso nipote va in aiuto di Riccardo principe di Capoa, 477. Suo abboccamento con papa Urbano II a Salerno, 478. Dallo stesso pontefice dichiarato legato apostolico in Sicilia, ivi. Cessa di vivere, 489, 490.
Ruggieri II, figlio di Ruggieri I conte di Sicilia, IV, 490. Succede al fratello, 541. Perchè mai non desse soccorso a Terra Santa, 542. Sue nozze con Alberia, figlia di Alfonso re di Castiglia, 578. Usurpa Stati a Guglielmo duca di Puglia, 582. Che glie ne cede degli altri, 584. Si fa erede di esso duca, 597. Acquista varie città, 598. Ottiene l'investitura da papa Onorio II, 603. Altri suoi acquisti, 609. Abbraccia il partito di Anacleto antipapa, 613. Dal quale prende il titolo di re, ivi. Gli si sottomettono Amalfi e Napoli, 617. Costringe alla resa Brindisi e Bari, 621. Rotta da lui data a Rainolfo conte d'Alife, 622. Sua crudeltà verso le città riprese, 626. Fa pace con Rainolfo, 631. Gli si sottomette Napoli ed altre città, 632. S'inferma, ed è creduto morto, 635. Doma i suoi ribelli, 636. Gli è tolta tutta la Puglia da Lottario Augusto, 646, 649. Rotta a lui data da Rainolfo, 653. Tratta di pace col papa Innocenzo II, 654. Ripiglia varie terre, 656, 659. Fa prigione il papa, 660. Riconciliato con lui, riceve l'investitura de' suoi Stati, 661. Sottomette la città di Bari, 663. Incita Guelfo VI contro il re Corrado III, 672. Privilegii a lui concessi da papa Lucio II, 684. S'impadronisce di Tripoli, 685. Muove guerra ai Greci, e saccheggia varie città, ivi, 686. Introduce in Sicilia le manifatture di seta, 687. Sue conquiste in Africa, 690. Sua flotta libera Lodovico re di Francia dalle mani dei Greci, 696. Da' quali è poi sconfitta, 697. Gli nasce una figlia appellata Costanza, 702. Altre sue conquiste in Africa, 705. Fine di sua vita, 714. Anno di sua morte controverso, 715.
Ruggieri, primogenito del re Ruggieri, creato duca di Puglia, IV, 637. Sue imprese militari, 653, 659. Fa prigione papa Innocenzo, 660. Creato [1113] duca di Napoli, 662. Infesta le terre della Chiesa Romana, 666. Manca di vita, 698.
Ruggieri, figlio di Tancredi re di Sicilia, sposa Irene figlia di Isacco Angelo imperador greco, IV, 922. Sua immatura morte, 933.
Ruggieri, figlio di Roberto Guiscardo, dichiarato principe di Puglia, IV, 405. Ribellatasi la città d'Ascoli, ne fa smantellare le mura e bruciare le case, 408. È assediato nella rocca di Troia dal popolo ribellato, 410. Fa una vigorosa sortita, e disperde quella ribellione, 411. Succede al padre, 426. Fa guerra e pace con Boamondo suo fratello, 436. Giura vassallaggio al papa, 441. Nuove rotture con Boamondo, 445, 450, 459. Sua morte, 535.
Ruggieri di Loria, ammiraglio di Pietro re d'Aragona e Sicilia, prende parte della flotta di Carlo I re di Sicilia, V, 153, 163, 164. Fa prigione Carlo primogenito d'esso re, 168. S'impadronisce di molti luoghi, ivi. Prende la flotta franzese, 179, 180. Grande sconfitta da lui data alla napoletana, 188. Dà una nuova sconfitta alla flotta franzese, 222. Prende e saccheggia la città di Malvasia in Grecia, ivi. Abbandona don Federigo re di Sicilia, 250. Sue vittorie sui Siciliani, 259.
Ruggieri degli Ubaldini, arcivescovo di Pisa, congiura [1114] da lui ordita contro Ugolino de' Gherardeschi, V, 196. Per cui preso è cacciato Ugolino con due figli ed un nipote in fondo d'una torre, e colà lasciato morir di fame, ivi.
Rugila, re degli Unni, II, 486. Sua morte, 489.
Russiani: loro prodezze contro i Tartari e Turchi, VII, 428, 429. Lor lega coll'imperadore Carlo VI, 435. Con prosperità fanno guerra a' Turchi, 438, 456. Fanno pace con essi Ottomani, 457. Un loro esercito è condotto dagli Anglo-Olandi contro la Francia, 684. Arrivo d'essi in Polonia, 687. In Moravia, 693. E in Germania, da dove retrocedono, 694.
Rusticiana, moglie di Severino Boezio patrizio ai tempi del re Teoderico, II, 817.
Rustico (Giunio), maestro di Marco Aurelio Augusto, I, 526, 527.
Rustico (Quinto), prefetto di Roma sotto l'imperadore Costanzo, II, 16.
Rustico (Decimo), nobile d'Auvergne, seguace del ribelle Giovino, preso dai generali dell'imperadore Onorio, e fatto crudelmente morire, II, 415.
Rustico, o Rusticio, console sotto il re Teoderico, II, 803.
Rutilio (Claudio Numaziano), già prefetto di Roma: suo Itinerario, II, 447.
[1115]
Sabaudia, oggidì Savoia: suo nome quando si cominciasse ad udire, II, 521.
Sabbaziani, eretici, II, 839.
Sabina (Poppea), moglie di Ottone. Come Nerone se ne inamorasse, I, 208. Lo accende contro la madre, 210. Poi contro Ottavia di lui moglie, 224. Sposata da esso Nerone, 225. Il quale con un calcio nella pancia, gravida com'era, la uccide, 239.
Sabina (Giulia), figlia di Tito Augusto, II, 319. Presa da Domiziano suo zio, e trattata qual moglie, 369.
Sabina (Giulia), figlia di Matidia Augusta, moglie di Adriano, II, 433. Suoi disgusti col marito, 451. Dichiarata Augusta, 456, 457.
Sabina (Furia Tranquillina) Augusta, moglie di Gordiano III Augusto, I, 841.
Sabiniano, si ribella in Africa contra di Gordiano III, I, 839. Proclamato imperadore, 840.
Sabiniano, valoroso generale di Zenone Augusto, II, 673. Sua morte, 680.
Sabiniano juniore, console orientale, II, 754, 755. Generale dell'armata greca, è sconfitto dalle genti del re Teoderico, 756.
Sabiniano, papa, succede a san Gregorio, II, 1131. Fine del suo vivere, 1135.
Sabino (Poppeo, o Pompeo), generale dell'imperadore Tiberio contro i ribelli della Tracia, I, 75. Preso in Macedonia il sedicente Druso, figlio di Germanico, lo manda a Tiberio, 102. Si uccide, 104.
Sabino (Tizio), cavaliere romano, giustiziato per frode di Seiano, I, 79.
Sabino (Cornelio), congiurato contro l'imperador Caligola, I, 139. Si uccide, 145.
Sabino (Ninfidio), prefetto del pretorio, tradisce Nerone, I, 254. È fatto a pezzi dai pretoriani, 259.
Sabino (Publio), prefetto del pretorio sotto l'imperadore Vitellio, I, 274.
[1116]
Sabino (Flavio), fratello di Vespasiano Augusto, fa che il senato ed i soldati in Roma prestino giuramento all'imperadore Valente, I, 272. Prefetto di Roma, 276. Ucciso da' soldati tedeschi, partigiani dell'usurpatore Vitellio, 283.
Sabino (Giulio), nobile della Gallia. Sua strana avventura, I, 314. Fatto morire da Vespasiano, 315.
Sabino (Appio, o Caio Oppio), governatore della Mesia sotto l'imperadore Domiziano, sconfitto ed ucciso da' Daci, I, 339.
Sabino (Tito Flavio), cugino di Domiziano, da lui ucciso, I, 354.
Sabino, prefetto di Roma sotto i due Gordiani, ucciso, I, 826. Diverso da Sabino console, 839.
Sabino, vescovo di Capoa, va a Costantinopoli con papa Giovanni II, II, 817.
Saburano, prefetto del pretorio sotto Traiano, I, 393.
Sacerdozii, venduti da Patroclo vescovo d'Arles, II, 465.
Saione (Verano), generale del re Teoderico nelle Gallie, II, 781.
Saladino, sultano di Babilonia e dell'Egitto, s'impadronisce di Gerusalemme, IV, 901. Indarno assedia Tiro, ivi, 902. Assedia i cristiani assedianti Accon, 913, 917. Sconfitto da Riccardo re d'Inghilterra, 929.
Salinguerra, capo de' Ghibellini in Ferrara, fa guerra ai Ravegnani, IV, 972. Sua discordia con Azzo VI marchese d'Este, 991. Usurpa la signoria di Ferrara, 995. Da dove è cacciato dallo stesso Azzo VI, 1000. Vi rientra coll'esclusione dell'Estense e di tutti i suoi partigiani, 1007. Acquista il favore del papa Innocenzo III, che lo investe delle terre che già erano della contessa Matilda, 1027. Nuovamente cacciato di Ferrara, 1052. Prevale nuovamente il suo partito in Ferrara, 1056. Sotto la buona fede tradisce [1117] il marchese estense Azzo VII, 1057. Di nuovo il tradisce, 1064. Creato podestà di Verona, 1095. Caro a Federigo II Augusto, 1105. A cui sottomette Ferrara, 1140. Perde Ferrara, e finisce i suoi giorni in prigione, 1163.
Sallustio (Secondo), prefetto delle Gallie sotto lo imperadore Giuliano, II, 104. Console, 124.
Sallustio (Secondo), prefetto d'Oriente sotto l'imperadore Giuliano, II, 119. Alla morte dell'Augusto Gioviano fa eleggere imperadore Valentiniano, 143.
Salome, sorella del re Erode il Grande, padrona del principato di Jamnia; sua morte, I, 32. Lascia di tutto erede Livia moglie d'Augusto, ivi.
Salonina (Cornelia), Augusta, moglie di Gallieno imperadore, I, 925.
Salonino (Asinio), figlio di Asinio Gallo: sua morte, I, 67.
Salonino (Publio Licinio Cornelio Valeriano), figlio di Gallieno Augusto, creato Cesare, I, 883, 900.
Salonino (Quinto Giulio Gallieno), figlio di Gallieno Augusto, I, 900. Ucciso da Postumo, 914.
Salonio, vescovo d'Ambrun, condannato e deposto, II, 1023.
Salviano, prete di Marsiglia, dà la descrizione dello Stato florido in cui si trovava Cartagine quando venne presa e saccheggiata da Genserico re de' Vandali, II, 504. Ritratto da lui lasciato di Littorio, generale di Valentiniano III, spedito contro i Goti, 565.
Salvio (Giuliano), congiura contra di Commodo imperadore, per cui perde la vita, I, 605.
Salvio, conte, della scuola de' domestici, sotto lo imperadore Onorio ucciso in una sommossa di truppe in Pavia, II, 385.
Sambida, re o capo degli Alani, II, 518.
Sammonico (Quinto Sereno), scrittore, ucciso da Caracalla, I, 723.
Samone, Franco, eletto re dagli Sclavi, II, 1174.
Sanesi, maltrattati e sconfitti da' Fiorentini, IV, 1099. Prendono e smantellano Montepulciano, 1108. Assediata la loro città da' Fiorentini, 1111. Pace fra essi, 1128. Gran rotta da loro data ai Fiorentini, V, 21. Altra loro insigne vittoria de' Fiorentini, 22. Da' quali sono sconfitti, 82. Loro guerra co' Perugini, 669. Pace fra essi, 670. Infestati dalle compagnie de' masnadieri, 709. Loro civili discordie, 716. Cacciano di città Carlo IV, 718.
Sangibano, re degli Alani, II, 653.
San Marino, repubblica: tentativo del cardinale Giulio Alberoni per sottoporla al dominio pontifizio, VII, 458.
Sansone, nominata la moglie di Tito Elio Procolo usurpatore dell'imperio nelle Gallie, I, 995.
[1118]
Santo, titolo dato anche a' papi e vescovi viventi, II, 360.
Saoterio, prefetto del pretorio sotto Commodo Augusto, I, 610.
Sapore I, re di Persia, muove guerra a' Romani, I, 841, 844. Messo in fuga da Gordiano III, Augusto, 844. Conchiude la pace con Filippo imperadore, 852. Sua guerra con Valeriano, 886. Prende e saccheggia Antiochia, 889. Fa prigione esso Valeriano, 896. Occupa varie città, 906. Gli fa guerra Odenato, 921.
Sapore II, re di Persia, I, 1166. Amico di Costantino il Grande, 1200. La rompe con lui, 1210. Muove guerra a Costanzo Augusto, 1212. Fugge nella battaglia a Singara contra Costanzo Augusto, II, 25. Celebre assedio da lui fatto di Nisibi, 36. Prende Amida, 91. Entra nella Mesopotamia, 99. Contra di lui procede Costanzo Augusto, 100. E poi Giuliano Apostata, 129. Pace vantaggiosa da lui fatta coll'imperadore Gioviano, 139. Sua pace con Valente, 205. Sua morte, 229.
Sapore, generale di Teodosio, II, 233.
Sapore III, re di Persia, II, 251. Ucciso dai suoi sudditi, 346.
Saraceni, cominciano le ostilità contro il romano imperio, II, 1205. Conquistano Damasco e l'Egitto, 1214. Poi la Soria, 1219. E la Mesopotamia, 1223. E la Persia, 1225. S'impadroniscono di parte dell'Africa, 1241. Poi di tutta la Persia, 1249. Calano in Sicilia, 1252. Lunga discordia fra loro, 1263, 1265. Fiero saccheggio dato da loro alla Sicilia, III, 32. Assediano Costantinopoli, 42, 43. Cacciati di là, fanno pace co' Greci, 50, 51. Poi con Giustiniano II Augusto, 71. Che poi la rompe, 85. S'impadroniscono di Cartagine e dell'Africa. 98, 99. Furono diversi da' Turchi, 100. Occupano Tiana nella Cappadocia, 130. E la Spagna, 321. Assediano di nuovo Costantinopoli, 158. Forzati a ritirarsi, 159. Aspirano alla Linguadoca, 165. Que' di Spagna sconfitti, 172, 197. S'impadroniscono d'Avignone, 208. Sono sconfitti da Carlo Martello, ivi. I primi occupano la Sicilia, 565. S'impadroniscono di Messina, 577. E di Palermo, 579. Infestano la Dalmazia, 608, 609. Loro conquiste nella Calabria, 625. S'impadroniscono di Bari, ivi. Prendono Taranto e danno il sacco a quasi tutte le città della Puglia, 626. Sconfitti da Sergio duca di Napoli, 644. Arrivano fin sotto Roma, 645. Saccheggiano la basilica Vaticana, ivi. Sommersa la loro flotta, 650. Distruggono la città di Luni, 657. Sconfiggono l'esercito de' Beneventani, 680. Desolazione da loro data al ducato beneventano, [1119] 705. Fanno prigione Rolando arcivescovo d'Arles, 722, 723. Loro tolta la città di Bari, 733. Assediano Salerno, 749. Se ne ritirano, e danno il sacco alla Calabria, 755. Infestano la Puglia, 775. S'impadroniscono della Sicilia, 802. Rotta loro data da' Greci, 817, 844. Si fanno forti al Garigliano, 835. Saccheggiano Monte Casino, 844. Que' di Spagna si annidano in Frassineto, 967. Cacciati i primi dal Garigliano per cura di papa Giovanni X, 996. Snidati i secondi dal Frassineto da Ugo re d'Italia, 1088. Guerra loro fatta da' Greci, IV, 201, 208. Poi dai Normanni, che prendono Messina, 303. E Palermo, 352.
Sarbaro, o Sarbaraza, generale de' Persiani, sconfitto da Eraclio Augusto, II, 1175, 1181, 1188. Con cui fa pace, 1194.
Sardegna, presa da' Goti, II, 933. Tolta da' Pisani e Genovesi a Mugetto Saraceno, IV, 116, 131. Non è ben certo se allora i Pisani l'occupassero, 132. Aveva i suoi re nell'undecimo secolo, 320. Ragioni della Chiesa romana su quell'isola, 1145. Enzio, figlio di Federigo II Augusto, ne è dichiarato re, 1147. Occupata dagl'Inglesi ed Austriaci, VII, 225. Ricuperata dall'armi del re Cattolico Filippo V, 278. Ceduta al duca di Savoia, 298.
Sarilone, ossia Sarlione, conte del palazzo del re Ugo, III, 1064. Creato marchese di Spoleti e Camerino, 1081. Fine del suo governo e della sua vita, 1095.
Sarmati: rivolta de' servi contra di loro, I, 1203. Rimessi in possesso del loro paese da Costanzo Augusto, II, 83.
Saro, capitano de' Barbari al soldo di Onorio Augusto: sue imprese, II, 379, 384, 385, 388, 389. Si dichiara a favore di Onorio contro Alarico, 399. Ucciso dal re Ataulfo, 417.
Sassone, cardinale di Santo Stefano, IV, 583.
Sassoni: loro vizii e virtù, II, 474. S'impadroniscono della Gran Bretagna, 620. Venuti in Italia col re de' Longobardi Alboino, 996. Tornano in Germania, 1024. Si ribellano contro Arrigo IV re, IV, 283, 357, 359. Rotta loro data da esso, 365, 399, 400. Altre loro guerre col medesimo, 437.
Saturnino (Caio Sentio), console, fu creduto che facesse la descrizione della Giudea, I, 13.
Saturnino (Emilio), prefetto del pretorio sotto lo imperadore Severo, ucciso dal collega Plauziano, I, 692.
Saturnino (Publio Sempronio), imperadore efimero a' tempi di Gallieno imperadore, I, 917.
Saturnino (Sesto Giulio), sua sollevazione contro l'imperadore Probo, I, 993. Proclamato imperadore, [1120] 994. Preso dai soldati di Probo, gli è mozzato il capo, 995.
Saturnino (Flavio), generale di Teodosio Augusto, II, 237. Console, 238.
Saule, condottiere degli Alani militanti in favore dell'imperadore Onorio contro Alarico re dei Goti, II, 363. Consiglia Stilicone ad attaccar la pugna co' Goti nel giorno di Pasqua, ivi. Resta ucciso in quella battaglia, ivi.
Savelli: loro casa abbattuta da Alessandro VI, VI, 189.
Savino (San), martire venerato in Camerino, II, 1115.
Savona, presa e saccheggiata da' Longobardi, II, 1229.
Scala (dalla), famiglia nobile, signori di Verona. V. i loro nomi proprii.
Scantilla (Mallia), moglie di Giustiniano Augusto, I, 643.
Scapula (Publio Ostorio): sue imprese nella Bretagna, I, 182. Sua morte, ivi.
Scarpetta degli Ordelaffi, capitano di Forlì, V, 315.
Scaurino, maestro di Alessandro imperadore, I, 764.
Scauro (Marco, ossia Mamerco Emilio), accusato a Tiberio dalla perfidia di Macrone, si dà la morte, I, 101.
Scevino (Flavio), congiura contra di Nerone, I, 236.
Scevola, giurisconsulto celebre sotto Marco Aurelio, I, 542.
Schiavoni: loro irruzione nell'Illirico e nella Tracia, II, 1051. Se ne impadroniscono, 1112. Malmenati dagli Unni, 1174. Eleggono Samone per loro re, ed hanno vittoria, ivi. Loro guerra con Dagoberto re de' Franchi, 1209. Guerra loro fatta da' Greci, 1266. Loro fiera irruzione nel Friuli, III, 123.
Schiner (Matteo), cardinale di Sion, incita gli Svizzeri ad un fatto d'armi contro Francesco I re di Francia, VI, 324, 325.
Sciarra della Colonna a tradimento in Anagni fa prigione papa Bonifazio VIII, V, 282.
Scisma funestissimo insorto l'anno 1378 nella Chiesa romana, V, 763.
Sclavi, V. Schiavoni.
Scolastico, esarco di Ravenna, mandato dall'imperadore Anastasio con una lettera a papa Costantino, con cui si dichiarava quell'Augusto seguace della Chiesa cattolica e difensore del sesto concilio generale, III, 146.
Scoti, gente britannica inumana, II, 524.
Scotto (Alberto), V. Alberto Scotto.
Scriboniano (Furio Camillo), generale delle armi romane nella Dalmazia, sollevatosi contra Claudio Augusto, perisce, I, 152.
[1121]
Scriboniano (Furio), figlio di Camillo, esiliato da Roma dall'imperadore Tiberio Claudio, I, 185.
Scrittori greci, soliti a cangiare i nomi agli stranieri, V. Greci.
Scrittura sacra, usata nel decidere le consulte, II, 1173.
Scuole, stabilite da Lottario Augusto nel regno di Italia, III, 568.
Sebastiano conte, generale di Giuliano Augusto, lasciato da lui alla custodia delle frontiere della Mesopotamia, II, 128, 153. Coll'imperadore Valentiniano va contra degli Alamanni, 170. Va contro i Quadi, 195. Allontanato da Merobaude dal consiglio per dare un successore al defunto Valentiniano, 197. Comandante della fanteria nella Pannonia contro i Goti, 209. Morto in battaglia, 212.
Sebastiano, fratello di Giovino, dichiarato Augusto, ed ucciso, II, 417.
Sebastiano, conte, generale di Valentiniano III, II, 484. Esiliato, 488. Fugge da Costantinopoli, 492. Si rifugia presso i Vandali in Africa, 508, 509. Da loro gli è tolta la vita per ordine del re Genserico, 509.
Sebastiano (San), martire: per la sua intercessione cessa la peste nella città di Pavia, III, 59.
Sebastiano Ziani, doge di Venezia, IV, 833. Accoglie papa Alessandro III in Venezia, 858. Sua prudenza in maneggiar la pace fra lui e l'imperadore Federigo I, 861. Fine de' suoi giorni, 873.
Sebastiano Veniero, doge di Venezia, VI, 773. Sua morte, 778.
Sebastiano, re di Portogallo, morto in una battaglia contro i Mori, VI, 778.
Sebastiano, re finto di Portogallo, imprigionato in Venezia, VI, 899. Poscia da quella repubblica esiliato, ivi. Travestito passa in Toscana, ove conosciuto dal gran duca Ferdinando è carcerato e mandato a Napoli, ivi. Condotto poscia in Ispagna, colà termina i suoi giorni, 900.
Secolare (Cornelio), prefetto di Roma sotto Valeriano Augusto, I, 894.
Secondino, console orientale sotto l'imperadore Anastasio, II, 779.
Secondo (Lucio Pomponio), poeta tragico e governatore della Germania sotto l'imperadore Tiberio Claudio, I, 182.
Secondo (Pedanio), prefetto di Roma sotto Nerone, ucciso da un servo, I, 220.
Secondo (Petronio), prefetto del pretorio, congiurato contro l'imperadore Domiziano, I, 367. Ucciso da' soldati, 377.
Secondo (Sallustio), prefetto del pretorio d'Oriente sotto l'imperadore Giuliano, II, 119.
[1122]
Secondo (Sallustio), prefetto delle Gallie, creato console, II, 124.
Secondo, vescovo di Trento, scrisse la storia dei Longobardi, II, 1029, 1062. Battezza solennemente in Monza Adaloaldo, figlio del re Agilolfo, 1123. Fine de' suoi giorni, 1148.
Secondotto, marchese di Monferrato, succede al padre, V, 730. Sue nozze con Violante, sorella di Gian-Galeazzo Visconte conte di Virtù, vedova già di Lionetto d'Inghilterra, 757. Per la sua bestialità ucciso da un Tedesco del suo seguito, 766.
Sede di san Pietro, vacante per tre anni, I, 1060.
Segerico, figlio di Sigismondo re de' Borgognoni, II, 809. Per le trame della matrigna tolto di vita dal padre, ivi.
Segeste, suocero d'Arminio, manda suo figlio Segimondo a Germanico per aiuto, onde difendersi dal genero, che gli avea mosso contro una sedizione, I, 49.
Segimero, padre d'Arminio, sorprende col figlio i Romani, che rimangono sconfitti, I, 29, 30.
Segimondo, figlio di Segeste capo de' Germani, mandato dal padre a Germanico per aiuto contro Arminio, I, 49.
Segisvoldo, generale di Valentiniano III. V. Sigisboldo.
Segittario, vescovo di Gap, condannato e deposto, II, 1023.
Seiano (Elio), favorito di Tiberio Augusto, spedito da quell'imperadore col figlio Druso a sedare le truppe sollevate in Pannonia, I, 44. Odiato dal romano popolo, 63. Imputato della morte di Druso figlio di Tiberio, 68, 69. Sua iniquità, 69, 70. Statue a lui alzate, 70. Aspira alle nozze di Giulia Livilla, 74. Adulato da tutti, 86. Trame di Tiberio per atterrarlo, 87. Preso ed ucciso, 90, 91.
Selim, sultano de' Turchi: sua potenza e crudeltà, VI, 349, 350.
Selim II, sultano dei Turchi, succede al padre Solimano II, VI, 723.
Semipelagiani, eretici condannati nel concilio II arausicano, II, 615, 837.
Sempronio Gracco, bandito per la sua disonesta amicizia con Giulia figlia di Augusto, I, 46.
Senatore (Flavio), console orientale sotto l'imperadore Teodosio II, II, 493.
Senatusconsulto di Giulio Cesare, circa i testamenti, abolito dall'imperadore Antonino Pio, I, 512.
Seneca (Lucio Anneo), filosofo, corre pericolo della vita sotto l'imperadore Caligola, I, 127. Relegato in Corsica da Tiberio Claudio, 156. Torna a Roma precettore di Nerone, 179. Satira [1123] da lui composta contro Claudio Augusto, 195. Tiene in freno Agrippina, 197. Nerone comincia a sprezzarlo, 206. Taccia a lui data da Marco Suilio, 207. E da altri, 211. Creato console, 223. Tenta di ritirarsi dalle cariche, 224. Imputato di aver tenuta mano nella congiura contro Nerone, si svena, 287.
Senecione (Caio Sosio), console e favorito di Traiano, I, 392.
Serena, moglie di Stilicone, II, 382, 387. Fatta uccidere dal senato, 390.
Sereno, patriarca d'Aquileia, III, 161. Il re Liutprando gli ottiene dal papa Gregorio II il pallio, ivi. Sua lite col patriarca di Grado, 162.
Sergio papa. Sua elezione, III, 74. Ricusa di sottoscrivere i canoni del concilio trullano, 87. Tentativo di rapirlo fatto per ordine di Giustiniano II, 89. È chiamato all'altra vita, 111.
Sergio, protospatario e duca di Sicilia, a' tempi dell'imperadore Leone Isauro, fa proclamare imperadore un certo Basilio, III, 159. Scappa dalla Sicilia in Calabria, ricoverandosi presso i Longobardi, 160.
Sergio, patrizio, generale delle armi dell'imperadore Leone Isauro in Sicilia, III, 197.
Sergio, duca di Napoli, III, 634. Sconfigge la flotta de' Saraceni, 644. Sconfitto da' Capoani, 693. Sua morte, 730.
Sergio II papa. Sua elezione, III, 636. Dà la corona del regno d'Italia a Lodovico II, 638. Sostiene i diritti del popolo romano, 639. Passa a miglior vita, 648.
Sergio II duca di Napoli, III, 731. Imprigiona Atanasio, vescovo di quella città e suo zio, 732. L'assedia in un'isola, ed è scomunicato, 753. Sua lega co' Saraceni, 789. Acciecato e deposto, viene inviato a Roma, ove muore, ivi.
Sergio III, diacono della Chiesa, soccombe nell'elezione di papa Formoso, III, 886. Veramente soccombe in quella di Giovanni IX, 927. Viene eletto papa, 959. Rifabbrica la patriarcale Lateranense, 968. Sua morte, e difesa del suo nome, 978.
Sergio, duca d'Amalfi, III, 1205.
Sergio, altro duca d'Amalfi, che viene poi scacciato dal popolo, IV, 77.
Sergio IV papa. Sua elezione, IV, 86. Fine di sua vita, 96.
Sergio IV, duca di Napoli, IV, 94. Cede alle forze di Pandolfo principe di Capoa, 161. Ricupera Napoli, 164.
Sergio, duca d'Amalfi, IV, 206. Succede al padre, 340. Sua morte, 383.
Sergio, abbate di San Niccolò del Lido, IV, 218.
Sergio V, duca di Napoli, IV, 322, 347.
[1124]
Sergio, duca di Sorrento, IV, 347, 577, 581.
Sergio VI, duca di Napoli, IV, 610. Si sottomette al re Ruggieri, 617. Rinolfo, conte d'Alife, a lui ricorre per aiuto contro il re Ruggieri, 626. Di nuovo si ribella contro il re Ruggieri, 635. Soccorre Napoli, 638, 639. Va ad assediare la città di Salerno, 649. Muore in una battaglia, 653.
Seronato, prefetto del pretorio nelle Gallie sotto l'imperadore Antemio, II, 627.
Serpente di Mosè, se tuttavia sussistente in Milano, IV, 54.
Servando, prefetto del pretorio nelle Gallie, V. Arvando.
Servi, non ammessi alla milizia, I, 1202. Quei della Sarmazia cacciano i proprii padroni, 1203.
Serviano (Caio Giulio), console, marito di Paolina sorella dell'imperadore Adriano, I, 405, 465, 470. Da cui è ucciso, 481.
Sesualdo, aio di Romoaldo duca di Benevento, III, 11. Sua gloriosa morte, 13.
Seta, a' tempi di Aureliano si vendeva a peso di oro, I, 973. Vesti di seta vietate tanto agli uomini che alle donne dall'imperadore Tacito, 980. Quando si principiò a fabbricare in Europa, II, 931.
Setticio (Claro), prefetto del pretorio sotto l'imperadore Adriano, I, 451.
Settimio, efimero imperadore, I, 959.
Severa (Giulia Aquilia), moglie dell'imperadore Elagabalo, I, 759.
Severa (Marcia Otacilia) Augusta, moglie di Filippo seniore, I, 850. Creduta cristiana, 852.
Severa (Valeria), moglie di Valentiniano I Augusto, II, 164, 198.
Severiano, governatore della Cappadocia, I, 333. Ucciso da' Parti, ivi.
Severiano, suocero di Filippo seniore Augusto, I, 853. Governatore della Pannonia, 860.
Severiano, figlio di Severo Augusto, I, 1082. Ucciso da Licinio Augusto, 1128.
Severiano, vescovo cattolico, esiliato da Genserico re dei Vandali, II, 496.
Severino, console occidentale sotto l'imperadore Severo, II, 607.
Severino iuniore, console occidentale sotto re Odoacre, II, 681.
Severino (San), apostolo del Norico, II, 622. Il suo corpo trasportato in Italia, è posto nel castello Lucullano, 694.
Severino papa. Sua consecrazione e sua morte, II, 1219, 1224.
Severo (Cassio), oratore satirico: sua misera morte, I, 96.
[1125]
Severo (Giulio), generale di Adriano contro i Giudei, I, 470.
Severo (Catilio), governatore della Soria, I, 437. Prefetto di Roma deposto dall'imperadore Adriano, 480, 481.
Severo (Claudio), filosofo, maestro di Marco Aurelio Augusto, I, 526.
Severo (Settimio), che fu poi imperadore, governatore di Lione, disperde le truppe del ribello Materno nelle Gallie, I, 612. Creato console, 616. Generale delle armi romane nella Pannonia sotto l'imperadore Commodo, 644. Si fa proclamare Augusto in Carnunto, ivi. Frettolosamente sen viene a Roma, 646, 647, 648. Suoi impieghi in gioventù, 649, 650. Suo pesante governo sui principii, 651. Suo regalo dato al popolo romano, 652. Funerale da lui fatto a Pertinace, ivi. Sua moglie e suoi figli, 653. Va contro Pescennio Negro, 654. Che da lui resta sconfitto ed ucciso, 658. Sua crudeltà contro i di lui partigiani, ivi. Nome di Settimia e Severiana da lui dato a Laodicea, 659. Pei molti aggravii da lui posti si rende odioso in tutto l'Oriente, ivi. Acquista Bisanzio, 662. Porta la guerra ai Parti, 663. De' quali riporta vittoria, ivi. Rifiuta il trionfo dal senato decretatogli, ivi. Vince l'armata di Clodio Albino, che poi resta ucciso, 668. Crudele contra i di lui aderenti, ivi, 669. Sua liberalità verso i soldati, 670. Sua crudeltà verso i nobili romani, 671. Muove nuovamente guerra a' Parti, 674. Assedia inutilmente Atra, ivi, 679. Saccheggia Ctesifonte reggia d'essi Parti, 676. Sua avarizia, 682. Comincia ad usare il titolo di Pio, 683. Dà la toga virile a Caracalla Augusto suo figliuolo, mentre era in Antiochia, 684. Passa in Egitto, ivi. Proibisce che alcuno possa abbracciare la religione cristiana e giudaica, ivi. Quinta persecuzione dei cristiani comandata da lui, ivi. Privilegii da lui concessi alla città d'Alessandria in Egitto, 685. Visita Menfi, le piramidi il Labirino e la statua di Mennone, ivi. Fabbriche da lui fatte innalzare in Bisanzio, 686. Arriva a Roma: trionfo e spettacoli suoi, 687. Sua lodevole maniera di vivere e giustizia, 697. Passa nella Gran Bretagna, 706. Dove termina i suoi giorni, 712. Deificato, ivi, 715.
Severo (Flavio Valerio), dichiarato Cesare, I, 1063. E poscia Augusto, 1075, 1078. Viene in Italia, mandato da Galerio Massimiano Augusto per abbattere il ribelle Massenzio, 1082. Sua morte, ivi.
Severo (Acilio), prefetto di Roma, sotto l'imperadore Costantino, I, 1172.
[1126]
Severo, prefetto di Roma sotto l'imperadore Graziano, II, 234.
Severo o Severiano (Livio), patrizio congiurato contro Maioriano Augusto, II, 608. Creato imperadore dopo di lui, 609. Giugne al fine di sua vita, 618.
Severo, patriarca d'Aquileia, imprigionato da Smaragdo esarco, II, 1061. Accetta il concilio V, 1063. Poi ritorna all'errore, ivi. Sua morte, 1133.
Severo, vescovo d'Ancona, II, 1089.
Sforza (Attendolo), valente capitano: sua origine, V, 899, 923. Va al servigio de' Fiorentini, 935. Poi dei marchese di Ferrara, 959. Leva di vita Ottobuono de' Terzi tiranno di Parma e Reggio, 968. Va al servigio di Ladislao re di Napoli, 979. Fatto imprigionare da Pandolfo Alopo, favorito della regina Giovanna II di Napoli, 998. Liberato e creato gran contestabile del regno, ivi. Imprigionato dal re Jacopo della Marca, ivi. Torna in sua libertà ed al suo grado, 1006. Sua guerra contro Braccio da Montone, 1010. Sconfitto dai Napoletani, 1018. Sue battaglie con Braccio, 1022. Assedia Napoli, 1030. Torna in grazia della regina, 1041. E la difende contro il re Alfonso, 1045. Va per liberar l'Aquila dall'assedio, postovi da Braccio di Montone, 1048. Muore affogato nel viaggio, 1052.
Sforza, famiglia illustre che discese dal precedente. V. i loro nomi proprii.
Siagria, piissima donna: sua carità nel redimere gli schiavi, II, 719.
Siagrio (Postumio), prefetto di Roma sotto l'imperadore Tacito, I, 977.
Siagrio, generale de' Romani a' tempi dell'imperadore Severo nelle Gallie, II, 619. Sconfitto ed ucciso da Clodoveo re de' Franchi, 691.
Sibiglia, sorella di Baldovino, re di Gerusalemme, sposa Guglielmo Lungaspada, marchese di Monferrato, IV, 872.
Sibilla, moglie di Tancredi re di Sicilia, rimasta vedova, prende la tutela di Guglielmo III, IV, 933. V. Guglielmo III.
Sicardo, principe di Benevento, III, 582. Fa guerra a' Napoletani, 601. S'impadronisce di Amalfi, 609. Continua a molestare e stringere la città di Napoli, ivi. Macchiato di molti vizii d'incontinenza e d'avarizia, 610. Si mette tutto in mano di Rofredo, ivi. Che lo consiglia a prendere in moglie Adelgisa sua parente, ivi. Per i cui consigli mette le mani addosso a Siconolfo suo fratello, ivi. Costringe a farsi monaco Maione suo parente, ivi. Fa proditoriamente impiccare Alfano, uno de' più illustri personaggi [1127] di Benevento, ivi. Diventa odioso a tutti, ivi. È ucciso, ivi.
Sicardo, abbate di Farfa, III, 616.
Sicardo, vescovo di Cremona e storico, IV, 892. Placa l'imperadore Federigo I irato contro la sua città, 898. Spedito in Germania da' suoi concittadini, 911. Presa la croce, va in Levante, 978. Sua morte, 1028.
Sichelgaita, moglie di Roberto Guiscardo duca di Puglia; a lei attribuita la morte del marito, IV, 425. Sua morte, 441.
Sicilia, infestata da' corsari, II, 501. Dai Vandali, 508. Saccheggiata de' Goti, 926. Saccheggiata da' Saraceni, III, 32. Da essi occupata, 565. Guerra ivi fatta da' Greci contro i medesimi, IV, 201. I quali ricuperano le città perdute, 209. Occupata da Arrigo VI Augusto, 938. Proclamatone re Pietro d'Aragona, V, 236. Da fiero tremuoto afflitta, VII, 109. Invasa dall'armi spagnuole, 284. E dalle imperiali, 286. Gli Spagnuoli assediano Melazzo, 292. Vittorie degli stessi contro i Tedeschi al fiume Roselino, 293. Ceduta all'imperatore, 298. Conquistata dall'infante don Carlo, 403.
Siciliani, si ribellano al re Carlo I, V, 149. Messinesi, assediati da lui, virilmente si difendono, 152. Liberati dall'assedio, 153. Scomuniche contro di loro fulminate dal papa Onorio IV, 177. Loro furore contro i Franzesi prigioni, ivi. Sconfitta da loro data alla flotta napoletana, 189. Abbandonati da Giacomo re d'Aragona, 236. Da lui sconfitti, 260. E da Ruggieri di Loria, 267.
Sicone, conte d'Agerenza, III, 514. Creato principe di Benevento, 516. Manda ambasciatori allo imperadore Lodovico Pio, 520. Suoi sospetti contro Radelgiso, 555. Termina i suoi giorni, 580. Fatto da lui morire in prigione Deusdedit abbate di Monte Casino, 591.
Sicone, principe di Salerno, III, 664. Messo in corte di Lodovico II Augusto, 669. Dal quale è fatto cavaliere, ivi, 670. Col veleno è tolto di vita, 670.
Siconolfo, fratello di Sicardo principe di Benevento, imprigionato, III, 610. Tratto di prigione, è proclamato principe da' Salernitani, 618. Sua guerra contro Radelgiso principe di Benevento, 623. Lo sconfigge, 626. Prende al suo soldo i Saraceni, 627. Mette in rotta l'esercito nemico, 630. Ricorre per aiuto a Lodovico II re d'Italia, 640. Saccheggia il tesoro di Monte Casino, 641. Divide il ducato con Radelgiso, 654. Fine de' suoi giorni, 663, 664.
Sidonio (Apollinare), insigne scrittore. Panegirico suo in lode di Avito imperadore, II, 587. Altro [1128] in onore di Maioriano Augusto, 601. Altro in esaltazione di Antemio Augusto, 627. Creato vescovo d'Auvergne, 649.
Siena: lite sua con Arezzo per la diocesi, III, 142, 151, 427. Si toglie dal dominio dell'imperadore Carlo V, e si mette sotto la protezion dei Franzesi, VI, 619. Le fan guerra i cesarei, 627. Poscia Cosimo duca di Firenze, 633. Si rende a Cesare, 642, 643. Indi data al suddetto duca di Firenze, 680.
Siffredo, arcivescovo di Magonza, in lega contro l'imperadore Ottone IV, IV, 1013.
Sifidio, console occidentale sotto re Odoacre, II, 695.
Sigeardo, patriarca d'Aquileia: sua morte, IV, 380.
Sigeberto, re di Colonia, assassinato dal proprio figlio Cloderico per suggestione e tradimento del re Clodoveo, II, 778.
Sigeberto, re della Francia Orientale, figlio di Clotario re di Francia, succede al padre nel regno d'Austrasia, II, 972. Somministra viveri agli Avari, onde lascino in pace i suoi stati, 985. Procede contra di loro, li rompe e li fuga, 988. È tolto dal mondo, 1024.
Sigeberto, scrittore: sua cronologia non ben sicura, II, 1156.
Sigeberto, o Sigoberto, figlio di Dagoberto re dei Franchi, II, 1199. Alla morte del padre, a lui tocca l'Austrasia, 1220. Sua debolezza d'animo, 1239. Sua morte, 1264.
Sigefredo, duca de' Normanni, va in aiuto de' suoi che assediano Parigi, III, 851.
Sigefredo, vescovo di Parma, III, 1041, 1043. Accompagna Berta figlia del re Ugo a Costantinopoli, che va a sposare Romano, figlio dell'imperadore greco Costantino, 1094. Privilegio a lui conceduto dall'imperadore Ottone II, 1226.
Sigefredo, altro vescovo di Parma, IV, 35. Da Arrigo II re di Germania gli è concessa la badia di Nonantola sul modenese, 68. Amplissimo privilegio a lui concesso dallo stesso re, 74.
Sigefredo, arcivescovo di Magonza; a lui affidata l'educazione del giovanetto Arrigo IV, IV, 314. Che gli è tolta da Adelberto arcivescovo di Brema, ivi. La torna ad avere, 327. Viene a Roma, 345. Fatto prigioniero dal re Ridolfo in un fatto di armi, 390. Corona Ermanno in re di Germania, 403, 404.
Sigefredo, vescovo di Bologna, censure contro di lui confermate nel concilio romano tenuto da papa Gregorio VII, IV, 391.
Sigesario, o Sigesaro, vescovo goto, II, 397.
Sigifredo, re oppure generale de' Normanni, innonda la bassa Germania, III, 833.
Sigifredo, conte del palazzo e conte di Milano sotto [1129] il re Berengario: suo placito tenuto in quella città, III, 950.
Sigifredo, principe longobardo, padre d'Azzo, che fu bisavolo della celebre contessa Matilda, III, 1117.
Siginfredo, vescovo di Piacenza, IV, 134.
Sigisboldo, Segisvoldo, o Sigisvallo, Goto, generale di Valentiniano III Augusto, II, 470. Manda Massimino, vescovo ariano a sant'Agostino in Ippona per conferire con lui, 477. Console, 496.
Sigismondo, figlio di Gundobado re de' Borgognoni, II, 719, 741. Succede al padre, 795. Uccide il figlio, e suo pentimento, 809. È consegnato da' suoi in mano di Clodomiro, re franco, dal quale è posto prigione in Orleans, II, 817. Poi fatto morire, ivi. Posto nel catalogo dei santi, 818.
Sigismondo, figlio di Carlo IV imperadore, creato re d'Ungheria, V, 918. Poscia re de' Romani, 972. Muove guerra a' Veneziani, 977, 983. Suo abboccamento con papa Giovanni XXIII, 987. Fa tregua co' Veneziani, 988. Va al concilio di Costanza, 993. Suo fervore per la riunion della Chiesa, 996. Sua vittoria de' Turchi, 1025. Viene in Italia, 1092. Sua coronazione in Milano, 1093. E suo viaggio in Toscana, 1094, 1095. Sua coronazione romana, 1102. Sua morte, 1125.
Sigismondo Malatesta, signore di Rimini, V, 1078. Occupa Cervia, 1105. Tradisce Francesco Sforza, 1169, 1174. Gli fa guerra, 1177. Sconfitto dal conte d'Urbino, 1197. Va al servizio dei Fiorentini, 1202. Sue iniquità, 1246. A lui fa guerra il re Alfonso, ivi. Impetra una pace svantaggiosa, 1258. Va al servigio di Giovanni duca d'Angiò contro il papa Pio II, 1266. Dà una rotta all'esercito pontifizio, 1267. Ne riceve egli un'altra, 1273. Cessa di vivere, VI, 29, 30.
Sigismondo, duca d'Austria, fa guerra a' Veneziani, VI, 96.
Sigoberto, re de' Franchi, V. Sigeberto.
Sigolfo, vescovo di Piacenza, III, 1176, 1217.
Sigualdo, patriarca d'Aquileia, III, 347.
Sigualdo, vescovo di Piacenza: sua morte, III, 1264.
Silana (Giulia), accusa Agrippina, ed è relegata, I, 202.
Silano (Cretico), governatore della Soria sotto lo imperadore Tiberio, I, 54.
Silano (Marco Giunio), primo fra' senatori, si dà la morte, I, 120.
Silano (Lucio), destinato genero di Claudio Augusto, I, 147, 150. Toltagli Ottavia figlia d'esso Augusto, a lui promessa, si uccide, 179.
[1130]
Silano (Appio), senatore, stoltamente fatto uccidere da Claudio Augusto, I, 151.
Silano (Giunio), proconsole dell'Asia, avvelenato da Agrippina madre dell'imperadore Nerone, I, 196.
Silano (Torquato), fatto accusar da Nerone, si uccide, I, 230.
Silio (Caio), generale di Tiberio, I, 51, 65. Sposa Messalina Augusta, 172. Viene ucciso, 175.
Silla (Cornelio), V. Fausto.
Sillano (Lamia), governatore della Soria, genero di Antonino Pio, I, 488.
Silvano (Pomponio), accusato, con arte scampa la vita, I, 207.
Silvano, nelle Gallie si fa proclamare Augusto, II, 67. È ucciso, 68.
Silverado, abbate di Bobbio, III, 1059.
Silverio papa. Sua elezione, II, 863. Esiliato e deposto da Belisario, 870. Confinato nell'isola Palmaria, 873. Dov'è privato di vita, ivi.
Silvestro, romano pontefice, I, 1129. Sue premure contro l'eresia d'Ario, 1173. Sua morte, 1206.
Silvestro II papa. Sua elezione, IV, 36, 37. Assedia Cesena, 42. Suo concilio, 45. Ottiene dall'imperadore Ottone III il perdono al popolo di Tivoli, 46. Altro suo concilio, 62. Sua morte, ed apologia, 63.
Silvestro III, papa, eletto e scacciato, IV, 221. Deposto nel concilio romano, 229.
Silvestro de' Gatti, signor di Viterbo accoglie con grande onore in quella città Lodovico il Bavero, V, 466. Ucciso, 492.
Silvestro Valiero, doge di Venezia, VII, 110.
Simbaticio, generale de' Greci, occupa il ducato di Benevento, III, 887, 888. A lui succede Giorgio patrizio, 892.
Simeone (San) Stilita, anacoreta, II, 586. Sua morte, 606, 607.
Simeone, re de' Bulgari, III, 983.
Simile, prefetto del pretorio sotto Adriano, I, 436, 446.
Simmaco (Lucio Aurelio Aviano), prefetto di Roma, II, 148, 150.
Simmaco (Aurelio), figlio del precedente, celebre senatore e scrittore, II, 236. Prefetto di Roma, 239, 250. Sua supplica per rimettere nel senato la statua della Vittoria, 253, 254, 282. Console, 292. Suo credito come scrittore, 321.
Simmaco, prefetto di Roma, favorisce Eulalio eletto papa contro Bonifazio I, II, 439.
Simmaco (Quinto Aurelio Memmio), iuniore, creato console sotto re Odoacre, II, 689.
Simmaco, eletto papa con scisma, II, 731. Prevale a Lorenzo eletto contro di lui, 734. Riconosciuta legittima ne' concilii la sua elezione, 735. [1131] Rinnovato lo scisma e le accuse contra di lui, 743. Riconosciuta la di lui innocenza nel concilio palmare, 744. Suo scritto apologetico ad Anastasio Augusto, 749. Sua carità verso i vescovi africani esiliati, 752. Sue lettere, 783, 785, 786. Sua morte, 788.
Simmaco, figlio di Severino Boezio, console sotto Giustino imperadore, II, 807.
Simmaco, suocero di Boezio e senatore di Roma, fatto morire dal re Teoderico, II, 818.
Simone, conte di Sicilia e di Calabria, IV, 490, 497. Sua morte, 541.
Simone, cardinale di San Martino, legato del papa Clemente XI; prende Jesi ed altre città e castella della marca d'Ancona, V, 61.
Simone, o Simonino, Boccanegra, primo doge di Genova, V, 549, 553. È obbligato a fuggire dalla città, 576. Burla i Visconti, e torna ad essere doge, 655. Entra in lega contro di essi, 661. Riduce alla sua ubbidienza Ventimiglia, Savona e Monaco, 664. Dà aiuto al marchese di Monferrato, 689. Termina miseramente i suoi giorni, 694.
Simone da Borzano, cardinale, abbandona il papa Urbano VI e si dà al partito dell'antipapa Clemente VII, V, 763.
Simonia, una volta familiare, IV, 234. Condannata ne' concilii, 245, 271.
Simplicio, vicario di Roma sotto l'imperadore Valentiniano, sua crudeltà, II, 187, 188. Fatto processare dall'imperadore Graziano, paga il fio delle sue scelleraggini, 200.
Simplicio papa. Sua elezione, II, 631. Sue lettere, 664, 669. Suo zelo per la religione, 671, 682. Fine di sua vita, 684.
Sindualdo, re degli Eruli in Italia, oppresso da Narsete, II, 983.
Singerico, re de' Goti, ucciso, II, 429.
Singilio, fiume della Betica, presso il quale Rechila, re degli Svevi, diede una sconfitta e tolse un gran tesoro ad Andevoto, capitano dell'esercito romano sotto l'imperatore Valentiniano III, II, 500, 501.
Sinibaldo de' Fieschi, cardinale di San Lorenzo in Lucina, IV, 1177. Eletto papa, ivi. V. Innocenzo IV.
Sinibaldo degli Ordelaffi, signore di Forlì, V, 749. È imprigionato da' suoi nipoti, 811.
Sinoce, generale sotto l'imperadore Valentiniano III, spedito in Africa contro Bonifacio conte e governatore in quella regione, II, 469. Uccide i due suoi compagni, Mavorzio e Gallione, 470. Si accorda con lo stesso Bonifazio, ivi. Dal quale è levato dal mondo, ivi.
Siracusa, presa da' Saraceni, III, 802.
[1132]
Siriano, grammatico greco, creato conte da Teodosio II Augusto, II, 463.
Siricio, romano pontefice; sua elezione, II, 255. Fa cacciare tutti gli eretici manichei da Roma, 285. Sua morte, 340.
Siro, vescovo di Genova, IV, 612. Creato arcivescovo, ivi, 620.
Siroe, figlio di Cosdroe re di Persia, si ribella al padre e l'uccide, II, 1195.
Sisinnio papa. Sua consecrazione, III, 127. Poco dopo muore, ivi.
Sisto I papa, I, 427. Suo martirio, 467.
Sisto II papa, I, 886. Suo martirio, 887.
Sisto III papa eletto, II, 482. Rigetta Giuliano pelagiano, già vescovo di Eclano, 506. Fine di sua vita, 507.
Sisto IV papa. Sua elezione, VI, 40. Fa guerra a' Turchi, e ingrandisce i parenti, 42. Celebra il giubileo, 50. Meschiato nella congiura dei Pazzi contro i due fratelli Giuliano e Lorenzo de Medici, 59. Muove guerra a' Fiorentini, dopo aver contro d'essi fulminate tutte le scomuniche e maledizioni del cielo, 61. Sua lega co' Veneziani, 71. Collegato con essi contro il duca di Ferrara, 78. Fa pace col re Ferdinando, 81. Fulmina le censure contro i Veneziani, 83. Fine del suo vivere, 88.
Sisto V papa. Sua creazione, VI, 801. Sue prime azioni, 804. Sua cura per estirpare i banditi, 808. Fa alzare un obelisco, 810. Altre sue imprese, ivi. Istituisce varie congregazioni, 812. Rauna molto oro per bene della Chiesa, 817. Altre sue belle opere, ivi, 823. Procede contro Arrigo III, 824. Fa collazionare e pubblicare la sacra Bibbia secondo il prescritto dal sacro concilio di Trento, 828. Chiude la carriera del suo vivere, ivi.
Sitta, generale di Giustiniano Augusto contro i Persiani, II, 832.
Siviglia, spianata da' fondamenti da' Vandali, II, 463.
Smaragdo, o Smeraldo, esarco di Ravenna, II, 1048. Fa tregua co' Longobardi, 1055, 1057. Imprigiona Severo patriarca d'Aquileia, e varii altri vescovi, 1061. Fine del suo governo, 1064. È richiamato da quel governo, ivi. Torna ad essere rivestito della dignità di esarco, 1118. Di nuovo richiamato a Costantinopoli dall'imperadore Eraclio, 1143.
Smirna, smantellata da un furioso tremuoto, I, 586.
Socrate, storico greco, II, 507.
Soderino, cardinale, ritiene come prigione del papa Pio III il duca Valentino, VI, 205, 206.
Soemio, re dell'Arabia Iturea, I, 119.
[1133]
Soemo, dall'imperadore Nerone dichiarato re della Sofene, I, 198. Entra con un esercito nella Comagene, 297.
Soemo, re dell'Armenia, I, 535.
Sofia, moglie di Giustino II imperadore, coronata Angusta, II, 982. A lei attribuita la caduta di Narsete, 990, 991. Deluse le sue speranze da Tiberio Costantino Augusto, 1031.
Sofronio, monaco, si oppone ai monoteliti, II, 1206. Succede a Modesto patriarca di Gerusalemme, ivi. Con assaissimi passi dei santi padri prova le due volontà e due operazioni in Gesù Cristo, 1208. Sua omilia recitata il giorno di Natale mentre Gerusalemme era assediata da Omaro califa de' Saraceni, 1216. Presa quella città, muore dal cordoglio, ivi.
Solari (conte), Italiano, generale cesareo, VII, 176. Muore in battaglia, 179.
Solimano, califa de' Saraceni, III, 151. Assedia Costantinopoli, e muore, 158.
Solimano II, sultano de' Turchi, s'impadronisce dell'Ungheria, VI, 430. Assedia Vienna, 471. Allestisce un potente esercito per invadere il restante dell'Ungheria, e rifarsi della ritirata dall'assedio di Vienna, 483. All'avvicinarsi dell'esercito cristiano, si ritira, conducendo però moltissimi contadini ungheresi prigionieri, 488. Sua stretta corrispondenza ed amicizia con Francesco I re di Francia, 550. Suo copioso armamento di terra e di mare per prendere Malta ai cavalieri gerosolimitani di San Giovanni, 711. Prende la fortezza di Sant'Ermo con massacrare chiunque era sopravvissuto alla difesa, 712. È costretto ad abbandonare quell'impresa dopo di aver sacrificato un numero strepitoso de' suoi, tra' quali il famoso corsaro Dragut Rais, ivi. Arma nuovamente, e prende l'isola di Scio, 720, 721. Tenta invano Pescara e le isole di Tremiti, 721. Molte città d'Italia soggiacciono al suo furore, ivi. Poi è forzato a ritirarsi dalle armi del papa, dei Veneziani e degli Spagnuoli, ivi, 722. Passa in Ungheria, ove prende alcune terre, 723. Sua morte, ivi.
Soncino Benzone, signore di Crema, V, 386.
Sonichilde, seconda moglie di Carlo Martello, III, 172. È posta in un monistero dai figliastri, 226, 227.
Sopatro, filosofo platonico, ucciso dalla plebe di Costantinopoli, I, 1198.
Sorano (Berea), senatore illustre, condannato a morte da Nerone, I, 241.
Sosiano (Autistio), pretore di Roma, esiliato dall'imperadore Nerone, I, 223.
Sotero, romano pontefice, I, 529. Suo martirio, 555.
[1134]
Sotomeno, storico greco, II, 507.
Sozzo e Jacopo de' Vestarini, signori di Lodi, V, 475.
Spagna Tarragonese, devastata da' Franchi, I, 911. Occupata da' Saraceni, III, 132. Partaggio di quella monarchia, VII, 135. Altro susseguente, 146. Approvata la successione della casa di Francia a quella corona, 147.
Spagnuoli. (V. Raimondo di Cardona.) Loro barbarie in Toscana, e specialmente in Prato, VI, 291. E sul Padovano, 308. Loro armata viene in Italia contro il regno di Napoli, VII, 383. Conquistano i regni di Napoli e Sicilia, 400, 403. Assediano e prendono la Mirandola, 411. Fuggono dalla Lombardia in Toscana, 415. Vessazioni da loro inferite allo Stato della Chiesa, 424. Lasciano libera la Toscana a' Tedeschi, 431. Muovono guerra in Italia alla regina di Ungheria, 479. Vengono le loro armi unite alle napoletane fino a Pesaro, 491. Marciano fino a Bologna, 496. Spettatori oziosi della cittadella di Modena assediata dagli Austro-Sardi, 499. Così della Mirandola, 500. Loro precipitosa ritirata verso la Romagna, 501. Tornano a Bologna, 504. Conquistano la Savoia, 506. Danno battaglia agli Austro-Sardi a Camposanto, 509. Si ritirano a Rimino, 513. E poscia verso il regno di Napoli, 525. Sostengono Velletri contro le forze degli Austriaci, 528. Loro battaglia navale cogl'Inglesi verso Tolone, 535. Loro avanie in Nizza e Savoia, 697. V. Gallispani.
Sparziano, scrittore sotto Costantino, I, 1220.
Specioso, vescovo di Firenze, scelto a giudice dal re Liutprando nella lite tra i due vescovi di Siena e d'Arezzo, III, 152.
Spedali per i pellegrini, perchè una volta istituiti, III, 244. Erano frequenti ne' tempi antichi, 551.
Speranza, conte di Montefeltro, signore d'Urbino V, 444. Ne perde il dominio, 530.
Spinola (marchese Ambrosio), va con leva di gente in Fiandra in soccorso dell'arciduca Alberto, VI, 900. Destinato all'assedio d'Ostenda, 903. La sforza a rendersi, 906. Prende Oldense e Linghen, 912. Dal re di Spagna è spedito colle armi contra del palatino d'Ungheria, 979. Prende Giuliers, 983. E Breda, 998. Viene in Italia spedito governatore di Milano dalla corte di Spagna, 1028. Fa guerra al duca di Mantova, ivi. Assedia Casale, 1036. Sua morte, 1044.
Spoleti: suo ducato quando istituito, II, 1020. Suoi duchi non indipendenti dai re longobardi, 1039, 1040. Si dà al papa Adriano I, III, 317. Ma è ritenuto nel regno d'Italia, 327, 374, 453. Descrizione del palazzo ducale ch'esisteva in questa [1135] città, fatta da Mabillone, 493. Suo ducato posto da alcuni nella Toscana, 689. Diviso in due, 752. Estensione di quel ducato, 861.
Staremberg (conte Guido di), generale cesareo in Italia, VII, 174. Conduce la sua armata in Piemonte, 178. Spedito dall'imperadore in Ispagna per generale, 224. Sue imprese in quelle parti, 232, 234, 249. Si ritira dalla Catalogna, ritorna in Italia, 254.
Statua della Vittoria, fatta levare dalla sala del senato da Costanzo Augusto, II, 77. E da Graziano imperadore, 235. Vano tentativo a Valentiniano Augusto per rimettere l'altare della medesima, 254.
Statua equestre, creduta d'argento, innalzata a Teodosio, II, 307.
Statue, in parte proibite da Claudio Augusto, I, 162.
Stazio (Publio Papinio), poeta, adulatore di Domiziano, I, 333. Suo poema poco applaudito, 336, 337.
Stefano I, pontefice romano, I, 878. Suo martirio, 886.
Stefano, abbate di Subbiaco, III, 127.
Stefano, patrizio e duca di Roma, III, 213, 232.
Stefano, eletto, ma non consecrato papa, però escluso dal catalogo de' papi, III, 247.
Stefano II eletto papa, III, 247. Cerca di placare il re Astolfo minacciante Roma, 248. Suo viaggio a Pavia e in Francia, 252. Sua bolla in favore del monistero di Nonantola, sospetta, 253. Corona e dichiara patrizio de' Romani, il re Pippino, 255. Lettera da lui scritta a nome di san Pietro, 259. Ottiene in dono alla Chiesa romana l'esarcato, 260. Fine del suo vivere, 269.
Stefano juniore, monaco e martire, III, 290.
Stefano III papa. Sua elezione, III, 292. Suo concilio, 293. Imbrogli suoi con alcuni privati romani, 296. Sua lettera in discredito della nazion longobarda, 301. Termina i suoi giorni, 308, 309.
Stefano, vescovo e duca di Napoli, III, 342, 343.
Stefano IV papa. Sua elezione, III, 501. Va in Francia, 502. Suo ritorno in Italia, 503. Sua bolla, 506. Fine di sua vita, ivi.
Stefano juniore, duca di Napoli, III, 557.
Stefano, vescovo di Nepi, III, 715. Presidente del concilio dal papa Adriano II tenuto a Costantinopoli a' tempi dell'imperadore Basilio, 720.
Stefano, vescovo di Sorrento, III, 730.
Stefano V papa. Sua elezione, III, 848. Amico di Guido re d'Italia, 881. Lo crea imperadore, 884. Sua morte, 885.
Stefano, patriarca di Costantinopoli, III, 855.
Stefano VI papa. Sua elezione e sue barbarie contro il [1136] cadavere di papa Formoso, III, 916, 917. Suo infelice fine, 923. Suo epitaffio, 924.
Stefano VII papa. Sua elezione, III, 1040. Termina i suoi giorni, 1048.
Stefano VIII papa. Sua elezione, III, 1079. Anno della sua morte, 1089.
Stefano (Santo), re d'Ungheria, IV, 87. Guerra a lui fatta da Corrado Augusto, 167.
Stefano IX papa. Sua elezione, IV, 281. E sua breve vita, 284, 285. V. Federigo fratello di Gotifredo.
Stefano, cardinale, inviato in Grecia, IV, 282. In Germania, 301.
Stefano, cardinale di Santo Adriano, IV, 1049.
Stefano, figlio d'Andrea re d'Ungheria, accusato in Ravenna, V, 36.
Stefano di Alberto, cardinale, eletto papa, V, 627. V. Innocenzo VI.
Stefano, duca di Baviera: sue armi contro il signor di Milano, Gian Galeazzo, V, 838. Viene egli stesso in Italia, 841. Ritorna in Baviera, 844.
Stefano Pendinello, arcivescovo d'Otranto, ucciso da' Turchi, VI, 72.
Stilicone, generale di Teodosio I Augusto, II, 309. Tutore di Onorio Augusto, 316. Sua ambizione, 324. Atterra l'emulo Rufino, 326, 327. Milita contro i Barbari, 329. Dichiarato nemico pubblico dall'imperadore Arcadio, gli sono tolte le terre ed il palazzo che occupava in Oriente, 330. Obbligato a ritornarsene in Italia, ivi. Sua cura per abbattere Gilone tiranno dell'Africa, 337. Sua perfidia verso Mascezel, 339. Dà per moglie ad Onorio Augusto Maria sua figlia, 340. Creato console, 348. Va nella Rezia a combattere que' popoli, che sottomette, 362. Co' quali unito poscia cala in Italia per opporsi ad Alarico re de' Goti, 363. Sue battaglie con essi, ivi, 364, 365. Console per la seconda volta, 371. Vittoria da lui riportata contro Radagaiso re degli Unni, 372. Sue trame con Alarico re de' Goti, 376. Aspira all'imperio, 383. Fautore de' Barbari, ivi. È ucciso d'ordine di Onorio Augusto, 385. Accuse contra di lui, ivi.
Stilione, maestro d'Alessandro imperadore, I, 764.
Strologi cacciati d'Italia, I, 185.
Strologia giudiciaria: sua voga in Roma, I, 34, 52. Arte vana a cagione di molti mali, 366.
Subbiaco, monistero nella campagna romana, rifatto sotto papa Giovanni VII, III, 126.
Successiano, valoroso generale sotto Valeriano, I, 893. Prefetto del pretorio, ivi.
Suetopolo, re della Dalmazia, convertito alla fede di Cristo da san Cirillo da Salonichi, III, 709.
Suilio (Marco), potentissimo avvocato e terribile e venale accusatore sotto l'imperadore Claudio, sparla di Seneca, ed è esiliato, I, 207.
[1137]
Suintile, primo monarca fra i Goti di tutta la Spagna, dipinto da sant'Isidoro, arcivescovo di Siviglia, come principe pien valore e padre de' poveri, II, 1182.
Sulpiciano (Flavio ossia Flacco), suocero di Pertinace Augusto, I, 640. Console, 645. Ucciso dall'imperadore Severo, 671.
Sulpicio (Alessandro), storico sotto l'imperadore Teodosio, II, 298, 304.
Suppone, conte del palazzo, sotto Bernardo re d'Italia, III, 493. Conte di Brescia, 513. Creato duca di Spoleti, 534. Sua morte, 548.
Suppone II, duca di Spoleti, III, 721. Fu figlio di Maurino, 751, 752. Interviene alla dieta di [1138] Pavia tenuta da Carlo II imperadore, 774. Forse duca e marchese di Milano e della Lombardia, 800.
Sura (Lucio Licinio), consiglia Nerva ad adottar Traiano, I, 377. Favorito poi d'esso Traiano, e console, 392, 393. Invidiato, e calunniato a quell'imperadore, 393. Fine di sua vita, 409.
Svetonio Tranquillo, storico e secretario di Adriano Augusto, privato della sua carica, I, 451.
Svevi, occupano la Gallizia. V. Rechila e Rechiario.
Svevia, ne' vecchi tempi appellata Soavia e Suavia, II, 996, 997.
[1139]
Tacfarinate, Africano, fa guerra ai Romani, I, 62, 64. Sua alterigia e sue minaccie fatta allo imperadore Tiberio, 67.
Tachiperto, duca ossia governatore di Lucca, III, 316.
Tacito (Cornelio), storico e console sotto l'imperadore Nerva, I, 372. Sua orazione funebre per Virginio Rufo, 373.
Tacito (Marco Claudio), console sotto Aureliano imperadore, I, 962, 976. È eletto imperadore, 978. Sue lodevoli azioni, 980. Sua morte, 981.
Taddeo da Sessa, avvocato, spedito al concilio di Lione da Federigo II imperadore, per difendere la propria causa, IV, 1188. Resta ucciso, 1205.
Taddeo de' Pepoli, signor di Bologna, V, 538, 545. Creato suo vicario dal papa Benedetto XII, 554. Dà fine al suo vivere, 595.
Taddeo de' Manfredi, signor d'Imola, IV, 1202, 1228. Gli è tolta quella città, VI, 47.
Talassio, prefetto del pretorio di Oriente sotto lo imperadore Costanzo, II, 63.
Talesperiano, vescovo di Lucca, III, 152.
Tallard (maresciallo di), generale del re di Francia Lodovico XIV in Germania, fatto prigioniere alla battaglia di Hogstedt, VII, 186, 187.
Tamas Kulickan, sofì della Persia: sue mirabili azioni, VII, 460.
Tancredi, figlio di Ottone Buono marchese, prende la croce e va in Levante, IV, 471. Sposa Cecilia, figlia naturale di Filippo re di Francia, 508.
Tancredi, figlio di Ruggieri duca di Puglia, IV, 698. Creato re di Sicilia, 915. Guerra a lui mossa da Riccardo re d'Inghilterra, 918. Dà in moglie a Ruggieri suo figlio Irene figlia del greco Augusto Isacco Angelo, 922. Ricupera le città occupate da Arrigo VI Augusto, 925. Ha in sue mani prigioniera Costanza moglie dello [1140] imperadore stesso, e, ad istanza del papa Celestino III, la manda libera al marito, ivi. Fine de' suoi giorni, 933.
Taranto, città presa dai Longobardi, III, 31.
Tarasio (San), patriarca di Costantinopoli, III, 355. Minacciato della vita, 358. Assiste al settimo concilio generale tenuto nella città di Nicea in Bitinia, 361. Disapprova il matrimonio dell'imperadore Costantino con Teodota, 406.
Tarragona in Ispagna, saccheggiata dai Franchi, I, 911.
Tasone, figlio di Gisolfo duca del Friuli, II, 1144. Creato anch'egli duca, 1169. Sua ribellione contro Arioaldo re d'Italia, 1199. Sua morte, 1210.
Tassilone, da Childeberto, re dell'Austrasia, creato duca di Baviera, II, 1097. Muore, 1140.
Tassilone II, duca di Baviera, III, 285. Sua superbia e ribellione, 300. Suoi dissapori con Carlo Magno, 344. Il quale gli muove guerra, 365. Finalmente a lui si sottomette, 366. Torna a cozzare con lui, 374. Pentito si presenta a lui, che gli ha misericordia, 375. Si fa monaco, ivi.
Tasso (Torquato): sua morte, VI, 859.
Tauro (Statilio), proconsole dell'Africa sotto Tiberio, accusato si uccide, I, 190, 191.
Tauro (Flavio), prefetto del pretorio d'Italia, sotto l'imperadore Costanzo, e console, II, 101. Fugge in Oriente, 105, 106. Relegato dall'imperadore Giuliano in Vercelli, 119.
Taziana (Flavia), moglie di Pertinace Augusto, I, 635.
Taziano (Celio), promuove Adriano all'imperio, I, 431. Creato da lui prefetto del pretorio, 436. Uomo violento, 437. A lui imputate le crudeltà di Adriano, 443. Il quale nol può tollerare, 445, 446. Creato senatore, 446.
Taziano (Attilio): sua congiura contro l'imperadore Antonino Pio, I, 495. Per cui è esiliato, ivi.
[1141]
Taziano, prefetto del pretorio in Oriente sotto l'imperador Teodosio, II, 274. Abbattuto da Rufino, 303. E relegato nel suo paese, ivi.
Taziano, console dubbioso ai tempi di Leone Augusto, II, 620.
Teatro di Pompeo in Roma, bruciato, I, 858.
Tebaldo Boccadipecora, cardinale di Santa Anastasia, da alcuni eletto papa col nome di Celestino, ma dal partito de' Frangipani proclamato un secondo, prevalendo la loro prepotenza, con gloriosa umiltà cede i suoi diritti all'ambizioso competitore, IV, 589, 590.
Tebaldo, vescovo di Verona, inviato dalla sua città all'imperadore Federigo I, IV, 733.
Tebaldo Brusato, Bresciano; sue iniquità, V, 342. Fa ribellar Brescia al re Arrigo VII, 346. Resta prigione de' Tedeschi, 347. Miseramente muore, ivi.
Tebaldo degli Ordelaffi, signor di Forlì, V, 1042, 1049, 1050. Manca di vita, 1063.
Tedaldo, o Teodaldo marchese, avolo della contessa Matilda, III, 1231. Dichiarato marchese di Mantova, 1239. Ha titolo di marchese e conte di Modena, 1266. Beni a lui tolti dal vescovo di Verona, 1280. Dichiarato marchese e conte di Reggio, IV, 48. Favorisce Arrigo II re di Germania, 66. Non fu duca di Toscana, 67. Suoi governi, 68, 71, 75. Sua morte, 95.
Tebaldo ossia Tedaldo, vescovo d'Arezzo, IV, 140.
Tebaldo, arcivescovo di Milano, IV, 367, 370. Scomunicato, scomunica papa Gregorio VII, 374, 385. Termina i suoi giorni, 424.
Tedaldo, o Tebaldo, arcidiacono di Liegi, eletto papa, V, 92. V. Gregorio X.
Teia, capitano de' Goti, spedito in Italia dal loro re Totila, II, 940. Eletto da essi a re, 943. Battaglia fra lui e Narsete sul fiume Dragone, in cui resta morto, 945.
Telane, figlio del re Odoacre, dato in ostaggio al re Teoderico, II, 712.
Telesforo, romano pontefice, I, 457. Suo martirio, 478.
Temistio, sofista sotto Giuliano Augusto, II, 135. Sua orazione in lode di Gioviano imperadore, 142, 161. Dell'imperadore Valente, 170, 171, 183. Da questo imperadore spedito al suo nipote Graziano abitante in Treveri, 201. Sua orazione recitata nel senato a Roma in lode di Graziano, ivi. Altra sua orazione recitata nel palazzo di Costantinopoli in lode dell'imperadore Teodosio, 231. Creato dallo stesso imperadore prefetto di Costantinopoli, 250. Altra sua orazione in lode del medesimo Teodosio, ivi.
[1142]
Temisvar, presa a Solimano II dalle armi cesaree comandate dal principe Eugenio di Savoia, VII, 272.
Tempio della Concordia, dedicato da Tiberio Augusto, I, 36.
Tempio di Castore e Polluce, dedicato pure dal medesimo Tiberio, I, 36.
Tempio d'Iside, atterrato per ordine di Tiberio Augusto, I, 60.
Tempio della Pace, mirabile, fabbricato da Vespasiano, I, 309. Bruciato, 622.
Tempio di Vesta in Roma, bruciato, I, 623.
Tempio della famiglia Flavia, eretto da Domiziano, I, 330.
Tempio di Venere e di Roma insigne, elevato dall'imperadore Adriano, I, 466.
Tempio di Diana in Efeso, incendiato da' Goti, I, 912, 913.
Tempio del sole in Roma, innalzato da Adriano Augusto: sue immense ricchezze, I, 972.
Tempio di Giove Olimpico, fabbricato in Antiochia da Diocleziano, I, 1048.
Tempio di Nemesi, nella stessa città fabbricato dal medesimo imperadore, I, 1048.
Tempio di Apolline, nella città stessa, innalzato dallo stesso Augusto, I, 1048.
Tempio d'Ecate pure in Antiochia, fabbricato sotto terra da Diocleziano stesso, I, 1048.
Tempio di Apollo in Roma, abbruciato, II, 125.
Tempio di Apollo in Dafne divorato dalle fiamme, II, 125.
Tempio di Serapide in Alessandria, distrutto da Teofilo vescovo, II, 294, 295.
Tempio di Bacco pure in Alessandria, dallo stesso vescovo ridotto a chiesa cristiana, II, 295.
Tempio della dea celeste io Cartagine, atterrato, II, 447.
Tempio di Giove Capitolino in Roma, saccheggiato da' Vandali, II, 580.
Tempio di Santa Sofia in Costantinopoli, uno dei più magnifici del mondo cristiano, II, 965.
Tempio del fuoco in Gazaco, in Persia, dato alle fiamme dall'esercito di Eraclio, dopo averne smascherata l'impostura dei sacerdoti, II, 1173.
Templari: loro processi e condanna promossi da Filippo il Bello, re di Francia, V, 309.
Teobaldo, ossia Tebaldo, marchese di Camerino e di Spoleti, III, 1062. Va in soccorso di Landolfo principe di Benevento, e riporta una vittoria contro i Greci, ivi. Cessa di vivere, 1065. Sua moglie nipote del re Ugo, 1081.
Teobaldo II, duca e marchese di Spoleti e di Camerino, II, 1102. Tempo di sua morte, 1145.
Teobaldo, abbate di Monte Casino, IV, 137. Suoi privilegii confermati dall'imperadore Arrigo II, [1143] 141. Chiamato e tenuto quasi prigioniero in Capoa da Pandolfo IV principe, 168.
Teobaldo, romito franzese della schiatta dei conti di Sciampagna, muore in Solaniga presso Vicenza, IV, 326. Suo corpo trasferito in Francia, 363.
Teobaldo, vescovo di Liegi, V, 337.
Teocrito, uomo vile, prefetto del pretorio sotto Caracalla, I, 733.
Teodaldo, V. Tedaldo.
Teodaldo, vescovo di Fiesole, dal re Liutprando scelto a giudice nella lite tra il vescovo d'Arezzo e quello di Siena, III, 152.
Teodato, o Teodoto, Goto, creato re d'Italia, II, 853, 854. Fa morire Amalasunta, 854. Sua timidità, 860. Patti co' quali si esibiva di cedere il regno a Giustiniano Augusto, ivi. Accettati, non li vuol poi mantenere, 862. È ucciso dai suoi, 866.
Teode, generale del re Teoderico in Ispagna: sua prepotenza, II, 824. Re de' Visigoti, 842. Dà una rotta ai Franchi, 898.
Teodebaldo, figlio di Teodeberto re de' Franchi, II, 922. Sue risposte a Giustiniano Augusto, 934. Sua morte, 954.
Teodeberto, figlio di Teoderico re dei Franchi, fuga i corsari danesi, II, 797. Si unisce coi fratelli contro i Borgognoni, 856. Succede al padre, 857. Entra in lega con Vitige re de' Goti, 866. Manda i Borgognoni in Italia, che distruggono Milano, 875. Poscia uno sterminato esercito de' suoi, che dà un fiero guasto a varie provincie dell'Italia, 881, 882, 920, 921. Sue vaste idee troncate dalla morte, 922.
Teodeberto II, re dei Franchi, II, 1100. Sua battaglia con Clotario II, re di Soissons, ossia di Neustria, 1112. Altra con lo stesso, 1128. Suoi ambasciatori spediti in Italia al re Agilolfo, assistono alla dieta della nazion longobarda radunata nel circo di Milano, nella quale è eletto Adaloaldo collega nel regno ad Agilolfo, 1131. Sua battaglia coi Sassoni, 1133. Si collega col re Clotario contro il fratello Teoderico re della Borgogna, 1137. Battaglia sanguinosa fra essi, nella quale egli, co' due suoi figliuoli Clotario e Meroveo, resta prigioniero del fratello, 1148, 1149. Dall'avola sua Brunechilde viene in un co' figliuoli tolto di vita, 1149.
Teodeberto, duca di Baviera, III, 117, 140.
Teodelana, sorella di Teoderico re di Borgogna, si unisce coll'ava Brunechilde contro il fratello, II, 1137.
Teodelapio, duca di Spoleti, II, 1117.
Teodelapio di Verona, celebre pei suoi miracoli, III, 236, 237.
[1144]
Teodelassio, abbate di Bobbio, III, 991.
Teodelinda, Bavarese, presa in moglie del re Autari, II, 1067. Dopo la morte di lui si marita con Agilolfo duca di Torino, 1081. Sua pietà, e lettere a lei scritte da san Gregorio papa, 1092. Riduce il marito Agilolfo alla fede cattolica, 1107, 1113. Tempio e palazzo da lei fabbricato in Monza, 1124. Doni a lei inviati da San Gregorio papa, 1129. Protegge san Colombano abbate, 1149. Non sa ricevere il concilio V generale, 1154. Prende la tutela di Adaloaldo re suo figlio, 1158. È chiamata a miglior vita, 1177.
Teodemaro, patriarca d'Aquileia, V. Teutimaro.
Teodemiro, re degli Ostrogoti, padre di Teoderico re d'Italia, muove guerra all'imperadore Zenone, II, 657. Col figlio Teoderico passa nella Mesia alla testa del suo esercito, ove prende varii luoghi ai Romani; poi va ad impossessarsi della Tessalia, di Eraclea e Larissa, finalmente pone l'assedio a Tessalonica, ivi. Varii regali a lui mandati da Flaviano, patrizio romano, difensore di quella città; per aver da lui pace, ivi. Sua morte, 658.
Teoderada, moglie di Romoaldo duca di Benevento, III, 15, 28. Sua pietà, 49.
Teoderada, moglie di Ansprando aio del re Liutberto, III, 117. Presa da Ariberto re d'Italia, le sono tagliati naso ed orecchie, ivi.
Teoderico, o Teodorico, re de' Visigoti, 11, 437. Assedia la città d'Arles, 465. Che è costretto dalle armi romane ad abbandonare, 466. Fa pace coi Romani, ivi. Marita una sua figliuola con Unnerico, figlio di Genserico, re de' Vandali, 550. Da quel re gli è suscitato contro Attila re degli Unni, 551. Muore nella battaglia nei campi catalaunici, 555.
Teodorico II, re dei Visigoti, trucida il fratello Torismondo, ed è riconosciuto re in suo luogo, II, 571. Alla morte dell'imperadore Valentiniano, muove guerra ai Romani, 584. Fa pace con essi, ivi. Promette all'imperadore Avito la sua assistenza contra di Genserico, ivi. Ambasciatori da lui spediti agli Svevi di Spagna, 589. Dà una rotta agli stessi Svevi, 590. Prende la città di Braga, che dà al sacco, ivi. Giunto nel luogo detto Portucale (d'onde il nome di Portogallo), gli è condotto prigioniero Rechiario re degli Svevi, suo cognato, ivi. A cui toglie la vita, ivi. Dà per capo a quei popoli Aiulfo, ivi. Il quale a lui ribellatosi, è preso e giustiziato, ivi. Lodato da Apollinare Sidonio per le sue belle doti, 591. Dalle sue truppe sono messe a sacco ed incendiate le città di Astorga e di Palenza nella Gallicia, 603. Narbona a lui data, 614. Ucciso dal fratello Enrico, 625.
[1145]
Teoderico, figlio di Triario, duca degli Ostrogoti, va in aiuto di Ostro conte, capo de' sollevati in Costantinopoli, II, 639. Costretto a ritirarsi, fissa la sua sede nella Tracia, 649. Spedisce genti a devastar le campagne di Filippi, ivi. Assedia e prende Arcadiopoli, ivi. Fa pace collo imperadore Leone, ivi. Generale de' corpi d'armata che servivano di guardia all'imperadore stesso, 650. Fa un'irruzione nella Tracia, 679, 680. Sua morte, 680.
Teoderico Amalo, figlio di Teodemiro re degli Ostrogoti, va col padre nella Mesia, II, 657. Succede a lui, 658. Muove guerra a Zenone Augusto, 675. Col quale poi fa pace, ivi. Di nuovo gli muove guerra, 681. Saccheggi da lui commessi nella Macedonia e nella Tessalia, ivi. Fa pace con Zenone, 685. Da lui esaltato ed anche adottato, ivi, 686. Creato console, 687. Da quell'imperadore spedito contra d'Illo ribello, 688. Fa una scorreria fin presso Costantinopoli, 698. Si pacifica di nuovo con Zenone Augusto, 696. Principio di discordia fra lui ed Odoacre re d'Italia, 697. Ottiene da Zenone la licenza di conquistare l'Italia, ivi. Giunto con un immenso esercito al fiume Ulca, quivi supera i Gepidi, 699. Poi vince i Bulgari e i Sarmati, 700. Giugne in Italia, ivi. Dà due rotte ad Odoacre, ivi, 701. Lo sconfigge per la terza volta, e l'assedia in Ravenna, 704. La qual città gli si arrende e toglie la vita ad Odoacre, 713. Varii suoi parentadi, 716. Assume il titolo di re, 718. Suo glorioso governo, ivi, 720, 721. Si accorda con Anastasio Augusto, 723. Benchè ariano, favorisce i cattolici, 725. Magnifica sua entrata in Roma, 735. Sua savia condotta per lo scisma di papa Simmaco e di Lorenzo, 746. Conduce l'acqua a Ravenna, con far rifabbricare a tutte sue spese gli acquedotti diroccati, 750. Muove guerra a' Bulgari, 752. E loro toglie la Pannonia inferiore, ivi. Rotta data da' suoi ai Greci e Bulgari, 756. Suoi negoziati per impedir la guerra tra i Franchi ed i Visigoti, 761, 762. Data una rotta ai Franchi, s'impadronisce della Provenza, 768. Diviene padrone delle provincie ubbidienti ai Visigoti in Ispagna, 776. Estensione del suo dominio, ivi. Non restituì ad Amalarico nipote la Spagna, finchè visse, 781. Da tutti i principi è rispettato, 784. Sua stima ed ammirazione verso san Cesario vescovo d'Arles, 786. Sue fabbriche, e suo buon governo, 793. Magnifici spettacoli da lui dati ai Romani, 802, 810. Doni da lui fatti alla basilica vaticana, 810. Sollevato coi Franchi contro i Borgognoni, acquista molte città, 813. Condanna Severino Boezio, filosofo [1146] celebre, all'esilio, e poi alla morte, 816. Manda papa Giovanni a Costantinopoli, 817. Tornato di là, il fa imprigionare, 820. Giunge al fine di sua vita, 822.
Teoderico, re d'Austrasia, figlio naturale di Clodoveo re de' Franchi. Suo vantaggio nella divisione degli Stati dopo la morte del padre, II, 782, 783. Conquista la Turingia, 842. Si unisce coi fratelli contro i Borgognoni, 856. Muore, ivi.
Teoderico, re di Borgogna, II, 1100. Sua terribile battaglia contro Clotario II, re di Soissons, o della Neustria, nella quale resta sconfitto quest'ultimo, 1112, 1128. Suo matrimonio con Ermenberga, figliuola di Vitterico re de' Visigoti di Spagna contrariato da Brunechilde sua ava, 1137. La quale lo istiga contro il fratello Teodeberto, re dell'Austrasia, 1148. Battaglia fra loro, nella quale resta vittorioso, 1149. Fa morire il fratello e due nipoti, 1149. Per cui va in possesso di tutti gli stati posseduti da Teodeberto, ivi. Porta di nuovo la guerra a Clotario, 1152. Muore, ivi.
Teoderico II, re de' Franchi, è obbligato a prendere la tonsura, III, 34.
Teoderico III, re de' Franchi, III, 53. Cessa di vivere, 86.
Teoderico IV, soprannominato Calense, re de' Franchi, succede a Chilperico II, III, 163. Muore, 208.
Teoderico, vescovo di Metz, III, 1240. Va in aiuto dell'imperadore Arrigo II contro Adalberone arcivescovo di Treveri e cognato dell'imperadore, IV, 84.
Teodicio, duca di Spoleti, III, 284. Coopera alla deposizione del pseudo-papa Costantino, 291.
Teodoino, cardinale legato del papa Innocenzo II, IV, 657. Interviene al parlamento tenuto in Modena da' principi italiani, per far fronte a Federigo I imperadore, 835.
Teodolfo, vescovo d'Orleans, III, 397. Involto nella rivolta di Bernardo re d'Italia contro l'imperadore Lodovico Pio, 513. Relegato in un monastero, 517. Rimesso in libertà, 530. Sua morte, ivi.
Teodone II, duca di Baviera, III, 117. Per divozione va a Roma, 155, 168.
Teodora, figliastra di Massimiano Augusto, moglie di Costanzo Cloro, I, 1028.
Teodora, moglie di Giustiniano Augusto, II, 812. Sue biasimevoli qualità, 830. Lettera a lei scritta da Gundelina moglie di Teodato re d'Italia, 855. Fa deporre papa Silverio, 869, 870. E levargli la vita, 875. Sua morte, 917.
Teodora, figlia del principe de' Cazari, moglie di [1147] Giustiniano II: sua fedeltà verso il marito, III, 118, 119. Va a Costantinopoli col figlio Tiberio, 121.
Teodoreto, celebre scrittore della Chiesa, creato vescovo di Ciro in Siria, II, 455. Creduto fautore di Nestorio, 478. Per cui dall'imperadore Teodosio è sequestrato nella sua diocesi, 519. Sparla di san Cirillo vescovo d'Alessandria, 520.
Teodoro (Flavio Mallio), console rinomato, II, 342. Libro De vita beata a lui dedicato da santo Agostino, ivi.
Teodoro, o Teodorico, patrizio, favorisce a Roma la fazion veneta contro la prasina, II, 774.
Teodoro, vescovo di Cesarea di Cappadocia, capo degli eretici acefali, induce Giustiniano imperadore a voler condannati i tre capitoli di papa Vigilio, II, 938.
Teodoro papa. Sua elezione, II, 1232. Sua bolla dubbiosa, 1235. Sue lettere contro i monoteliti, 1240. Scomunica Pirro già patriarca di Costantinopoli, monotelita, 1242. Rito non più inteso usato da lui in questa occasione, ivi. Ultimo giorno di sua vita, 1244.
Teodoro, arcivescovo di Ravenna, III, 48. Sua lite col clero, ivi, 56. Sua pace colla santa Sede, 65. Sua morte, 86.
Teodoro, Greco, arcivescovo di Cantorberì, III, 31.
Teodoro, patrizio, esarco di Ravenna, III, 56. Finisce di vivere, 73.
Teodoro arciprete della santa romana Chiesa, da una parte del popolo e del clero eletto papa, si fortifica nel palazzo patriarcale lateranense, III, 74.
Teodoro, patrizio: strage da lui fatta dei Ravennati per ordine dell'imperadore Giustiniano II, III, 129.
Teodoro, forse vescovo di Pavia, III, 152, 153.
Teodoro, console e duca di Napoli, III, 341.
Teodoro, duca di Napoli, III, 479. Dichiarato protospatario dai Greci Augusti, ivi. Cacciato dai Napoletani, 557.
Teodoro Studita, difensor delle sacre immagini, III, 499, 523.
Teodoro II papa: sua elezione e morte, III, 927.
Teodoro, figlio di Andronico imperador de' Greci, marchese di Monferrato, V, 300. Giunge in Italia, 306. Sue guerre per impossessarsi del Monferrato, 308, 313, 314. Favorisce Arrigo VII re de' Romani, 337. Da Filippone da Langusco con inganno gli è tolta la città di Vercelli, che egli teneva in guardia, 358. Perde Casale di Monferrato, 360. Fa guerra al re Roberto di Napoli, 370. Occupa Tortona, 501. Dà fine al suo vivere, 542.
Teodoro II, marchese di Monferrato, V, 785. Fa lega [1148] con Lodovico duca d'Orleans, signore d'Asti, e con Amedeo di Savoia, principe della Morea, 863. Toglie a Filippo Maria Visconte Vercelli e Novara, 924. Fa guerra a Giovanni Maria Visconte duca di Milano, 958. Creato capitano di Genova, 967. Da dove è cacciato, 989. Fa pace col duca di Milano, 1013. Termina il corso di sua vita, 1015.
Teodosio, conte, padre di Teodosio Augusto, II, 166. Creato generale della cavalleria, dall'imperadore Valentiniano è spedito nelle Gallie contro gli Alamanni, 177, 179. È inviato in Africa contro Fermo ribellato, 185. Ivi ucciso per ordine dell'imperadore Graziano, 201.
Teodosio (Flavio), duca della Mesia, figlio di Teodosio conte: suo valore, II, 190. Preservato miracolosamente dall'orrenda carnificina fatta dall'imperadore Valente, 192. Si ritira in Ispagna, 201. Richiamato da Graziano imperadore, 216. Che il crea suo collega ed Augusto, 218. A lui assegnato il governo dell'Oriente, 219, 220. Sue vittorie contro i Goti, Alani ed Unni, 222. Sua malattia e suo battesimo, 224. Entra in Costantinopoli, 227, 228. Sua vittoria degli Sciti e Carpodaci, 232. Suo zelo per la religione cattolica, ivi. Assegna terre ai Goti nel romano imperio, 237. Sua clemenza, 256. Sua vittoria de' Grutongi, 262. Sedizione degli Antiocheni contra di lui, 265. Clemente nondimeno verso di loro, 267. Suoi preparamenti contro Massimo tiranno, 274. Leggi da lui pubblicate specialmente contro gli eretici, 276. Lasciato un consiglio di scelti ministri in Costantinopoli al governo di quella città e del figliuolo Arcadio Augusto, parte per l'Italia, ivi. Manda con una flotta la moglie Giustina ed il figlio Valentiniano a Roma, ivi. Vince ed uccide Massimo, 277, 278, 279. Sua clemenza verso i vinti, 280. Condanna all'esilio Simmaco, primo fra' senatori romani, 282. Poi gli perdona, ivi. Suo trionfo in Roma, 283. Abbatte il paganesimo in Roma, 284. Irritato fortemente contro quei di Tessalonica, 287. Placato da sant'Ambrosio arcivescovo di Milano, ivi. Sedotto dagli uffiziali di sua corte, fa un fiero scempio di quei cittadini, 288. Lettera a lui scritta da sant'Ambrosio in questa occasione, ivi. Il quale gli proibisce l'ingresso in chiesa, 289. Accetta la pubblica penitenza impostagli da quel santo arcivescovo, ivi. Sua pietà esaltata da tutti gli scrittori contemporanei, ivi. Torna a Costantinopoli, 293. Suoi editti contro gli eretici, gli apostati ed i pagani, 294. Deputazione a lui mandata dall'usurpatore Eugenio, 302. Sua celebre costituzione contro le superstizioni pagane, 303. Si prepara a procedere [1149] contro Eugenio, 305, 308, 309. Sua miracolosa vittoria di esso tiranno, 313, 314. Perdona a tatti quei che aveano parteggiato pel tiranno, 314. Come pure ai figli di Eugenio, ivi. Sant'Ambrogio va ad Aquileia per impetrar da lui il perdono ai Milanesi, 315. Passa a Milano, ivi. Colà mette in buon sesto i pubblici e privati affari, prevedendo di dover in breve morire, ivi. Consegna i suoi figli a quell'insigne prelato, ivi. Porzione da lui assegnata al figlio Onorio, 316. Gli deputa a tutore Stilicone suo generale, ivi. Deputazione a lui inviata dal senato romano, ivi. Fine di sua vita, 317. Sue mirabili doti e virtù, 318. Grande specialmente la sua pietà, 320. Scrittori che fiorivano sotto di lui, 321, 322.
Teodosio II Augusto. Sua nascita, II, 360. Creato Augusto, 361. Succede ad Arcadio suo padre, 381. Dichiara Augusta Pulcheria sua sorella, 426. Sposa Atenaide appellata poi Eudocia, 443, 444. Fa pace col re di Persia, 450. Pubblica varie leggi contra de' pagani e giudei, 455. Spedisce una poderosa armata contro di Giovanni tiranno, 456. Conferisce al cugino Valentiniano il nome e la dignità di Cesare, ivi. Determina di passare in persona in Italia contra del tiranno, 457. Ma, colto a Salonichi da una malattia, è costretto a ritornarsene a Costantinopoli, ivi, 458. Aspare, suo generale, fa prigione Giovanni, ivi. Dichiara Augusto Valentiniano sotto la tutela di sua madre Galla Placidia Augusta, 461. Sua legge per ridurre in miglior forma le scuole di Costantinopoli, 462, 463. Riporta due vittorie contro i Persiani, 469. Proibisce di levare alcuno per forza dalle chiese e loro ricinti, 481. E di portar armi in chiesa, ivi. Procura la pace fra le chiese d'Oriente, 482. Indebitamente accusato di poca pietà, 485. Sua liberalità in tempo di carestia, 489. Ordina che sieno abbruciati i libri di Nestorio, 490. Rilega il suo autore in Oasi d'Egitto, 495. Pubblica il suo codice, 498. Traslazione da lui fatta del corpo di san Giovanni Grisostomo in Costantinopoli, 500. Ad istanza della moglie, fa una considerabile giunta alla città d'Antiochia, 501. Suo severissimo editto contro i Giudei, Samaritani, eretici, e specialmente contro i gentili, 502. Fa innalzare le mura di Costantinopoli dalla parte del mare, ivi. Perchè da lui facesse divorzio sua moglie, 532. Sua pace vantaggiosa con Attila, 538. Sua morte e sue qualità, 543.
Teodosio, figlio di Maurizio Augusto, dichiarato imperadore, II, 1082, 1102. È trucidato, 1119.
Teodosio, fratello di Costante Augusto, da lui ucciso, II, 1269.
[1150]
Teodosio, esattor delle gabelle pubbliche, creato per forza imperatore, III, 154. Si ritira, ed abbraccia la vita chericale, 156, 157.
Teodata: per lei fabbricato un monistero in Pavia dal re Cuniberto, III, 106, 107. Suo epitaffio, 107, 108, 109, 110.
Teofane, scrittore, quando fiorisse, II, 1246. Viene confutato, III, 184. E trovato veritiero, 201.
Teofane, patriarca d'Antiochia, III, 73.
Teofania, figlia di Romano juniore imperador dei Greci, chiesta in moglie per Ottone II Augusto, III, 1186. Il quale manda Arnolfo I arcivescovo di Milano a Costantinopoli per prenderla e condurla in Italia, 1199. Sue nozze, 1201. Va seco lei in Germania, ivi. Ritorna in Italia, 1227. Libera il marito dalle mani dei Greci, 1240. Accorre in aiuto di Ottone III suo figlio, 1242. Sua venuta a Roma, 1264. Sua autorità in Italia, 1267. Sua morte, 1271. Sue belle qualità, ivi.
Teofilatto, esarca d'Italia, sotto l'imperadore Tiberio Absimaro, III, 113. Richiamato, 131.
Teofilatto duca di Napoli, III, 435.
Teofilatto, figlio di Michele Curopalata, imperador de' Greci, III, 477.
Teofilo, governator della Soria sotto Costanzo Augusto, II, 62.
Teofilo, vescovo d'Alessandria, distrugge il celebre tempio di Serapide, II, 295.
Teofilo, patriarca d'Alessandria, II, 369.
Teofilo, grammatico latino, creato conte da Teodosio II Augusto, II, 463.
Teofilo, imperador da' Greci, III, 566. Suoi ambasciatori a Lodovico Pio, 607. Sua morte, 624.
Teone, matematico, che fiorì sotto Teodosio il Grande, II, 321.
Teotberga, moglie di Lottario re della Lorena, scacciata dal marito, III, 682. La torna a riprendere ad istanza de' suoi baroni, 686. Imputati a lei varii delitti, viene cacciata in un monistero, 692. Da dove fugge e si ricovera nella casa di Uberto suo fratello nel regno di Carlo Calvo, ivi. È ripudiata, 698, 700. Finisce la sua vita in un monistero di Metz, 725.
Teotgaudo, arcivescovo di Treveri, III, 698. È deposto, da papa Niccolò, 701.
Teotone, abbate di Fulda, da Lodovico re di Germania mandato in Italia all'imperadore suo zio ed al papa Niccolò, III, 686.
Teottisto, duca di Napoli, III, 557.
Terbellio, principe de' Bulgari, aiuta Giustiniano II a risalire sul trono, III, 119. Che poi gli la guerra, 128.
Terenzio (Marco), con sua ingegnosa parlata a Tiberio Augusto, scampa la vita, I, 94.
Termanzia, figlia di Stilicone, sposata da Onorio [1151] Augusto, II, 382. Ripudiata da lui, 387. Sua morte, 431.
Terme antoniane, magnifica fabbrica in Roma, I, 730. Loro sterminala grandezza, II, 403.
Terme diocleziane, altra magnifica fabbrica in Roma, I, 1050; II, 403.
Terme massimiane in Cartagine, I, 1050, 1052.
Terra: suo moto riprovato in Roma, VI, 1065.
Terracina, città protetta dal principe degli Apostoli san Pietro, II, 1104.
Tertulla (Arricidia), prima moglie di Tito Augusto, I, 319.
Tertulliano, celebre scrittore, incoraggisce i martiri di Cristo a sopportare i patimenti, I, 672.
Tertullo (Giusteo), prefetto di Roma sotto l'imperadore Gallerio Massimiano, I, 1080.
Tertullo, prefetto di Roma sotto l'imperadore Costanzo, II, 88. Poi sotto Giuliano, 101.
Tertullo, console sotto l'imperadore Onorio, II, 404.
Tessalonicesi: loro sedizione contro i ministri di Teodosio Augusto, e crudele scempio fatto d'essi, II, 287, 288.
Tetrico (Publio Piveso), senatore romano e governatore dell'Aquitania, sotto Gallieno imperadore, usurpa l'imperio nelle Gallie, I, 927. Claudio Augusto si prepara per abbatterlo, 937. Da cui è poi distolto dalla guerra contro i Barbari settentrionali, 940. Dopo un assedio di sette mesi, prende la città d'Autun, 943. Vinto da Aureliano Augusto, si dà a lui, 967, 968. Tra i prigionieri, vestito alla maniera dei Goti nel trionfo d'Aureliano, 970. Perdonato e creato correttore di tutta l'Italia, 971.
Tetrico (Caio Pacuvio Piveso), juniore, creato Cesare, I, 928. Col padre nel trionfo dell'imperadore Aureliano fra i prigionieri vestito alla maniera dei Goti, 970. Dallo stesso Aureliano creato senatore, 971.
Tevere, inonda la città di Roma, I, 430, 530, 880. Un tempo assai ricco d'acque, 1112. Altre inondazioni di esso in Roma, III, 155, 387; VI, 482, 666; VII, 173.
Teutimaro, o Teodemaro, patriarca d'Aquileia, III, 660.
Teutone, vescovo di Rieti, III, 570.
Tibatone, capo de' ribelli nella Gallia sotto l'imperadore Valentiniano III, II, 492. Preso e giustiziato, 496.
Tiberiano (Caio Giunio), console e prefetto di Roma sotto l'imperadore Diocleziano, I, 1024, 1025, 1053.
Tiberio, figlio di Livia Augusta, sposa Giulia figlia d'Augusto, I, 10. Si ritira a Rodi, poi torna a Roma, 11. Adottato in figliuolo da Augusto, [1152] 15. Va a militare in Germania, 17. Varie sue imprese, ivi. Anche nella Pannonia ribellata, 21, 22. Torna trionfante a Roma, 26. Nuove sue imprese di guerra, 28. Rispedito contro i Germani, 32. Dichiarato da Augusto collega suo nell'imperio, 34. Suo trionfo, 36. Eletto imperadore, 43, 44. Sua moderazione nei principii del suo governo, 46, 47. Si dilettava dell'astrologia giudiciaria, 52, 108. Sue tirannie, 52, 72, 76. Si ritira nella Campania, 75. Sceglie l'isola di Capri per sua dimora, 77. Dopo la morte della madre divenuto peggiore, 83. Opprime Seiano, 90, 91. Sue crudeltà, 93, 94, 99, 101, 103, 107. Sua infame libidine, 95. Sua morte, 113.
Tiberio Gemello, figlio di Druso, cioè del figlio di Tiberio, I, 111. Odiato perchè nipote d'esso Tiberio, 114. Adottato dall'imperadore Caligola, 116. Poi tolto di vita dallo stesso Augusto, 118.
Tiberio Trace, dichiarato Cesare da Giustino juniore Augusto, II, 1018. Sua attenzione al governo, 1024, 1025. Creato Augusto, 1030. Sua guerra co' Persiani, 1034. Giunge alla fine dei suoi giorni, 1044. Sue belle doti, ivi.
Tiberio Absimaro, usurpa l'imperio de' Greci, III, 101. Fa guerra ai Saraceni, 102. Ucciso da Giustiniano II Augusto, 120, 121.
Tiberio, figlio di Giustiniano II, è dichiarato Augusto, III, 121. Accoglie papa Costantino, 133. Gli è abbreviata la vita, 137.
Tiberio Petasio, ribello a Leone Isauro, ucciso, III, 191, 192.
Tiberio, vescovo di Napoli, III, 557, 600. Sua morte, 635.
Tibone, fiume nel Piacentino, battaglia in quei contorni fra i Gallispani ed Austriaci, VII, 596.
Tigellino (Sofonio), prefetto del pretorio sotto lo imperadore Nerone, I, 224. Strumento della crudeltà di quel tiranno, 225. Lo tradisce, 254. Si uccide da sè stesso, 266.
Tigrane, già re dell'Armenia, tolto di vita in Roma dall'imperadore Tiberio, II, 107.
Tigrane, creato da Nerone re dell'Armenia, II, 219. Guerra a lui fatta da Tiridate, fratello di Vologeso re de' Parti, 226. Da cui è abbattuto, 229.
Tilpino (Turpino de' romanzi italiani), arcivescovo di Rems, va a Roma con altri dodici prelati franzesi, ed assiste al concilio ivi tenuto da papa Stefano III, III, 293.
Timasco, generale della fanteria di Teodosio Augusto contro il tiranno Massimo, II, 274. Contro l'usurpatore Eugenio, 309. Cacciato in esilio dall'imperadore Arcadio per le mene dello eunuco Eutropio, 330.
[1153]
Timolao, figlio di Zenobia, regina de' Palmireni, e di Odenato, prende il titolo d'Augusto, I, 929, 930, 958, 964.
Timoteo, vescovo intruso di Costantinopoli, dallo imperadore Anastasio sostituito a Macedonio cattolico, da lui cacciato in esilio, II, 783.
Tipo (il) di Costante Augusto, che cosa contenesse, II, 1242.
Tiridate, creato re de' Parti, ed abbattuto, I, 105, 106.
Tiridate, re dell'Armenia, scacciato da' Romani, I, 209. Loro fa guerra, 226. Viene a Roma a prendere la corona dalle mani di Nerone, 241, 242. E la prende con rara magnificenza, ivi, 243.
Tiridate, re dell'Armenia: sua pace con Macrino Augusto, I, 746.
Tisone, vescovo di Trivigi, inviato dal papa Gregorio IX a Verona per metter pace tra que' cittadini, IV, 1128.
Tito (Flavio Sabino Vespasiano), figlio di Vespasiano Augusto, dichiarato Cesare, continua la guerra cominciata dal padre nella Giudea, I, 277, 285. Ottiene dal padre grazia per gli Alessandrini, 287. Assedia Gerusalemme, 289, 290. E la prende, ivi, 291. Suo abboccamento in Argos col filosofo Apollonio Tianeo, 293. Viene a Roma, dichiarato collega dal padre, e con lui trionfa, ivi, 294. È il braccio dritto del padre in tutti gli affari, 300. Invaghito di Berenice, poi se ne libera, 311. Opprime i congiurati contra del padre, 316. Per cui incorre nell'odio di molti, ivi. A lui succede nell'imperio, 318. Azioni della sua gioventù, ivi, 319. Suoi vizii, 320. Sue belle doti, fabbriche e suo mirabil governo, 321, 322. Arte sua propria di farsi amare dai popoli, 323. Immatura sua morte, 326.
Tito, diacono, ucciso da Felice, generale dell'imperadore Valentiniano, in Roma mentre distribuiva le limosine, II, 465.
Titoli vani e superbi usati dai monarchi dell'Asia, II, 84, 85.
Tiziano (Postumio), prefetto di Roma sotto l'imperadore Diocleziano, I, 1061.
Tiziano (Tiberio Fabio), uomo consolare, prefetto di Roma sotto l'imperadore Costantino juniore, I, 1225, 1227. E sotto Costanzo Augusto, II, 28, 42. Parteggia pel tiranno Magnenzio, 47. Sua insolente ambasciata all'imperadore Costanzo, ivi. Dal quale però viene trattato generosamente, ivi.
Tiziano (Fabio), console e prefetto di Roma sotto l'imperadore Teodosio, II, 272.
Tiziano Vecelli, da Cadore, celebre pittore: sua morte, VI, 770.
[1154]
Tolomeo, re della Mauritania: doni a lui mandati dall'imperadore Tiberio, I, 72. Chiamato da Caligola, giunge in Lione, 132. Esiliato da lui, poi fatto uccidere a tradimento, ivi.
Tolomeo, geografo, vissuto a' tempi dell'imperadore Antonino Pio, I, 524.
Tolone, assediata da' collegati inglesi, spagnuoli e piemontesi, VII, 211, 212.
Tommaso (San), patriarca di Costantinopoli: sua morte, II, 1142.
Tommaso, arcivescovo di Milano, III, 344.
Tommaso, arcivescovo di Cantorberì, santo martire, IV, 827. È canonizzato dal papa Alessandro III, 834.
Tommaso Morosino, patriarca di Costantinopoli, IV, 985.
Tommaso, conte di Savoia, IV, 1018. Sua lega coi Milanesi, 1028. Dà aiuto a' Genovesi, 1070. Legato in Italia di Federigo II Augusto, 1074. Il popolo di Torino si sottrae alla sua ubbidienza, 1098. Sua morte e copiosa figliuolanza, 1116.
Tommaso, cardinale di Santa Sabina, IV, 1093.
Tommaso iuniore, conte di Savoia, a lui data in moglie una figlia di Federigo II Augusto, IV, 1204. Poscia una nipote di papa Innocenzo IV, 1224. Fa guerra agli Astigiani, 1248. Preso dai Torinesi e consegnato agli Astigiani, 1259. Liberato dalle carceri, 1265, 1266. Sua morte, e suoi figli dati in ostaggio agli Astigiani, V, 18, 19.
Tommaso (San) d'Aquino, dottore della Chiesa, sua morte, V, 106.
Tommaso Mocenigo, doge di Venezia, V, 989. Sua morte, 1051.
Tommaso da Campofregoso, di comune consenso del popolo viene eletto doge di Genova, V, 1001. Guerra a lui fatta dal duca di Milano Filippo Maria Visconte collegato coi fuorusciti genovesi, 1014, 1016. Dal quale compra a caro prezzo la pace, 1023. Nella quale è obbligato a deporre il titolo di doge ed assumere quello di governatore, 1024. Soccorre il porto di Bonifazio in Corsica contro Alfonso re di Napoli, 1029. Nuova guerra a lui mossa dal duca di Milano, 1038. Al quale è obbligato di ceder Genova, restandogli soltanto il dominio di Sarzana, ivi, 1039. Tenta inutilmente di ricuperar Genova, 1073. Si fa di nuovo proclamar doge, 1119, 1120. È deposto, 1160.
Tommaso, principe di Savoia. Guerra da lui e dal fratello Maurizio, cardinale, fatta contro la duchessa reggente loro cognata, VI, 1086, 1092, 1093. Occupa Torino, 1096. Sua battaglia svantaggiosa con Arrigo di Guisa conte d'Arcourt, comandante delle truppe franzesi, 1099. Assediato in quella [1155] città de' Franzesi, 1102. A' quali è costretto di restituirla, 1104. Fa pace colla duchessa e col re di Francia, 1111. Al comando delle armi franzesi toglie molte fortezze agli Spagnuoli, 1112. Perde Tortona e acquista Asti, e varie altre sue vicende, 1119, 1129, 1132. Generale del re Cristianissimo Luigi XIV in Italia nella guerra contro Milano, 1198. Termina i suoi giorni, 1199.
Torchitore (Torchitorio), re in Sardegna, IV, 320.
Toresino, ossia Turisendo, re dei Gepidi, II, 936.
Toringi, ossia Turingi, popoli della Germania, II, 763.
Torino, occupato dal principe Tommaso di Savoia, VI, 1096. Suo memorabil assedio fatto da' Franzesi, 1102. Che l'obbligano alla resa, 1104. Sua cittadella rovesciata a terra dall'incendio del magazzino della polvere da fuoco, VII, 137. Assediato dai Franzesi, comandati dal duca della Fogliada, 195. Con quanta forza continuato esso assedio, 198. Dal principe Eugenio, colla sconfitta de' Franzesi, liberato, 201.
Torismondo, re de' Visigoti, col padre Teoderico alla battaglia contro Attila nei campi catalaunici, II, 554. In favore degli Alani contro lo stesso re, 568. Per la sua alterigia ed insolenza è trucidato dai fratelli Teoderico e Federico, 571.
Torriani, probabilmente discendenti da Arderico dalla Torre, IV, 828. (V. Martino, Napo.) Rientrano in Milano, da dove scacciano Pietro Visconte con altri nobili, V, 280. Ripulsano Matteo Visconte, 287. Perdono il dominio di Milano cacciativi dall'imperadore Arrigo VII, 339, 343.
Tortonesi: guerra lor fatta dai Pavesi, IV, 514.
Toscana: sua marca e ducato, III, 566. Si rimette in libertà dopo la morte di Arrigo VI, IV, 958. Ceduta a Francesco duca di Lorena, VII, 414. Evacuata dagli Spagnuoli, 431.
Tosco (Memmio), console sotto l'imperatore Valeriano, I, 887, 891.
Tosco (Nummio), prefetto di Roma, sotto l'imperadore Diocleziano, I, 1051.
Totila, ossia Baduilla, eletto re dai Goti, II, 893. Dà una rotta ai Greci, 894. Assedio di Napoli da lui fatto, 895. Con isforzarla alla resa, 898. Assedia Roma, 905. La prende, 910. Ne smantella poscia le mura, 912. Indarno tenta di ricuperarla, 915. S'impadronisce di Rossano, 919. E di Perugia, ivi, 920. Passa con una possente flotta in Sicilia, 925. Se ne torna in Italia, 930. Percosse a lui date dai Greci, 933. Sconfitto da Narsete, perde la vita, 941, 942.
Totone, duca di Nepi, III, 289.
Tracondo, console orientale sotto l'imperadore Zenone, II, 681.
[1156]
Tradizione sacra, sempre conservata nella Chiesa cattolica, III, 55.
Traiano (Marco Ulpio), che fu poi imperadore: suo consolato, I, 347. Adottato e dichiarato collega nell'imperio da Nerva, 377, 378. Rispettato da' Barbari stessi, 391. Sua modesta entrata in Roma, 382. Principii gloriosi del suo governo, 383. Sua modestia e cortesia, 386. Clemenza ed applicazione, 388. Titolo di ottimo principe a lui conferito, 389, 410. Sue fabbriche e beneficenze, 391. Geloso del ben pubblico e privato, 393. Sua prima guerra contro i Daci, 394. Suo trionfo, 396. Sua seconda guerra contro quei Barbari, 399. Ponte insigne da lui fabbricato sul Danubio, 401. Dà fine alla guerra dacica, 405. Torna a Roma, e celebra il suo secondo trionfo, 407. Perseguitati sotto di lui i cristiani, 411. Piazza Traiana da lui fabbricata, 414. Parte con una possente armata per portare la guerra a Cosroe re della Persia, 415. Il quale, ciò udito, manda a lui ambasciatori con regali, pregandolo di pace, ivi. Gliela nega, e continua il viaggio fino in Antiochia, 416. Gli è presentato Sant'Ignazio, vescovo di quella città, ch'ei, come cristiano, manda a Roma per esser esposto alle fiere nell'anfiteatro, ivi. Giunge ai confini dell'Armenia, 417. Regali a lui mandati da' varii principi di quelle contrade, ivi. A lui si porta Partamasire re dell'Armenia, chiedendogli la conferma del regno d'Armenia, che non ottiene, 418. Giuramento di fedeltà a lui prestato da varii re, 420. Quali fossero i ricreamenti di questo imperadore, ivi. Come trattasse la milizia, ivi. Conquista la Mesopotamia, 421. Dà il sacco al regno de' Parti, 424. E un re a quei popoli, 428. Fine di sua vita, 429. Sue ceneri accolte con trionfo in Roma, 433.
Traiano (Decio), governatore della Pannonia, fatto morire da Elagabalo, I, 755.
Traiano, conte cattolico, generale di Valente Augusto in Armenia, II, 193. Gli è tolto quel comando, 210. Muore in battaglia, 212.
Trasamondo, re dei Vandali, II, 716, 726. Perseguita i cattolici, 751. Termina i suoi giorni, 811.
Trasarico, re de' Gepidi, infesta i confini dell'imperio romano, II, 753. Mandatogli contra un esercito da Teoderico re d'Italia, si ritira di là del Danubio, ivi. A lui toglie poi Teoderico la città di Sirmio, ivi.
Trasea (Publio Peto), senatore di gran virtù, I, 215, 223. Fatto morir da Nerone, 241.
Trasguno, duca di Fermo, III, 304.
Trasimondo, conte di Capoa, II, 1274. Duca di Spoleti, III, 13.
[1157]
Traslazione di corpi santi, frequente una volta, III, 560. V. Corpi dei santi.
Trasmondo, duca di Spoleti, III, 117.
Trasmondo, duca di Spoleti, succede per forza al padre, III, 171. Suo dono fatto al monistero di San Pietro di Ferentillo, 172. Si umilia al re Liutprando, 190. Poscia a lui si ribella, 213, 219.
Trasmondo, duca e marchese di Spoleti e Camerino, III, 1145.
Trasmondo, altro duca e marchese di Spoleti e Camerino, III, 1205, 1231. Per vendicare il parente Landenolfo principe di Capoa, ucciso da quei cittadini, assedia inutilmente quella città, 1277.
Trasmondo, marchese di Camerino, IV, 201.
Trasmondo, conte di Chieti, IV, 281.
Trasmondo, abbate di Tremiti: sua crudeltà, IV, 320.
Trasullo, astrologo celebre dell'imperadore Tiberio; predizioni da lui fatte a quell'Augusto, e sua morte, I, 108, 110.
Trebelliano (Caio Annio), usurpa l'imperio a' tempi dell'imperadore Gallieno, I, 923.
Trebellio, principe dei Bulgari, V. Terbellio.
Trecenta: terribil fenomeno dell'aria ivi succeduto con immenso danno di essa contrada, VII, 345.
Tregua di Dio, che fosse nei vecchi secoli, IV, 178. Accettata e giurata in Italia, 441.
Tremuoto spaventoso in Antiochia, I, 422; II, 825, 833, 834.
Tremuoto in Nicomedia, I, 445.
Tremuoto in varie parti dell'Asia, I, 513.
Tremuoto in Ismirne, I, 586.
Tremuoto in Sidone e Tiro, I, 1050.
Tremuoto in molte città d'Oriente, II, 10, 15, 86, 124, 125, 152, 198.
Tremuoto in Neocesarea, II, 17.
Tremuoto in varie città, II, 18.
Tremuoto in Berito nella Fenicia, II, 28.
Tremuoto in Nicea, II, 171, 172.
Tremuoto in Costantinopoli ed altre città, II, 527, 669, 955, 964, 965, 1047.
Tremuoto in Italia, III, 430; IV, 554.
Tremuoto in Puglia, III, 1269.
Tremuoto in Brescia e molte altre città, IV, 1055.
Tremuoto nel regno di Napoli, V, 1244, 1245.
Tremuoto in Calabria, VI, 1091.
Tremuoto in Rimini ed altri luoghi, VI, 1266.
Tremuoto in Benevento, ed in altre città vicine, VII, 173.
[1158]
Tremuoto spaventoso in Abbruzzo e Calabria, VII, 208, 209.
Tremuoto in Palermo, VII, 327, 328.
Trento, sua corte ducale, III, 644. Celebre concilio in essa tenuto, V. Concilio.
Treveri, città devastata da Attila, II, 553, 554.
Tribigildo, conte goto, si rivolta contro i Romani, II, 345. Unito con Gaina fa pace con l'imperadore Arcadio, 353. Sua morte, ivi.
Triboniano, giurisconsulto celebre a' tempi dell'imperadore Giustiniano: sue qualità, II, 836.
Tribunizia podestà, titolo degli imperadori romani, I, 4.
Tribuno Memmo, doge di Venezia, III, 1225. Spedisce alcuni ambasciatori a Verona a placare lo imperadore Ottone III, 1245. Concede ai Caloprini, suoi nemici, di tornare a Venezia, 1260, 1261. Sua morte, 1272.
Tricennali: loro origine, I, 38.
Trigezio, uffiziale di Valentiniano III, maneggia e conduce e buon termine la pace fra esso Valentiniano e Genserico re de' Vandali, II, 491.
Triglia, pesce stimatissimo ai tempi dell'imperadore Tiberio, I, 77.
Trione (Fulcinio), già console sotto l'imperadore Tiberio, accusato, si uccide, I, 103.
Triostila, re de' Gepidi, si oppone a Teoderico re dei Goti, che viene per innondare l'Italia, II, 700.
Trivane, maestro di camera del re Teoderico, II, 808.
Trivisani, occupano Feltre e Belluno, IV, 1084. Sconfitti da Azzo VII marchese d'Este, 1108. Danni loro inferiti dai Padovani, 1123. Lor città tolta a Federigo II da Alberico da Romano fratello d'Eccelino, 1156. Assistiti dalla repubblica veneta, si liberano dal giogo di quel tiranno, V, 16. A cui levano la vita, 24.
Trivulzio (Gian Giacomo), insigne capitano, passa al servigio del re di Francia Carlo VIII, VI, 141. Per esso occupa lo stato di Milano, 155, 156. Creato marchese di Vigevano, 157. Maresciallo di Francia nella battaglia di Ghiaradadda, 235. Generale de' Franzesi nel Milanese alla morte di Carlo d'Ambosia, signor di Sciomonte, 263. S'impadronisce di Bologna, 264. Ricupera la Mirandola, 267. Abbandona Milano, 287. Interviene alla battaglia di Marignano, 326. Forma l'assedio di Brescia, 330. Suo strattagemma, 337.
Trivulzio (Teodoro), interviene all'assedio di Brescia, VI, 330.
Troyes, città miracolosamente salvata da Attila, per la protezione di san Lupo, vescovo di quella città, II, 554.
[1159]
Tufa generale del re Odoacre contro Teoderico re de' Goti, II, 700. Si dà al partito di esso re, 702.
Tulo, generale del re Teoderico contro i Borgognoni, II, 813. Creato patrizio dal re Atalarico, ivi.
Tunisi, presa dall'imperadore Carlo V, VI, 513. Poscia dalle armi di Filippo II, 760. Ricuperata dai Turchi, 763.
Tunone, duca d'Ivrea, II, 309.
Turbone (Marzio), generale di Adriano Augusto, I, 437. Governatore nella Pannonia e Dacia, 442. Prefetto del pretorio, 446.
Turchi, conosciuti anche dagli antichi; loro potenza, II, 1005. Dalla Tartaria usciti, cominciano le lor conquiste, IV, 246. Prendono Otranto, VI, 72. Lo restituiscono, 74. Assediano Vienna, V. Vienna. Lor grande armamento contro la cristianità, 263, 264. Tolgono il regno della Morea ai Veneziani, 265. Assediano la capitale di Corfù, 268, 269. Vinti sotto Petervaradino dal principe Eugenio di Savoia, 272. Loro sconfitta sotto Belgrado, e perdita di quella città, 275, [1160] 276. Pace fra essi e l'imperadore Carlo VI, 282. E co' Veneziani, ivi. Assediano Belgrado, 456. Loro è ceduta, ivi.
Turchi Gazari, si collegano con Eraclio Augusto, II, 1185. Gli danno un gran rinforzo, 1188. Ma poi si ritirano, 1191.
Turchi maomettani, di setta diversa da quella de' Persiani, II, 1269. Diversi dai Saraceni, III, 100, 101.
Turcio (Rufio Aproniano Asterio), console sotto re Teoderico, II, 717.
Turino (Vetronio), perchè ucciso da Alessandro Augusto, I, 792.
Turingi, V. Toringi.
Turisendo, re dei Gepidi, V. Toresino.
Turpiliano (Caio Petronio), già console, fatto uccidere dall'imperadore Galba, I, 259.
Turpillione, creato generale della cavalleria dallo imperadore Onorio, II, 389.
Toscolo: sue mura atterrate dai Romani, IV, 831. Distrutto poscia da essi, 922.
[1161]
Ubaldo, vescovo di Cremona, IV, 171, 186. Suo placito, 204, 209.
Ubaldo, vescovo di Mantova; fugge dal re Arrigo IV presso la contessa Matilda, IV, 447.
Ubaldo, cardinale di Santa Prassede, IV, 735.
Ubaldo, vescovo d'Ostia, IV, 847. È creato papa, 878. V. Lucio III.
Ubertino da Carrara, signor di Padova, V, 539. Ripiglia Monselice, 540. Sua pace cogli Scaligeri, 575. Fine de' suoi giorni, 578.
Uberto, figlio di Ugo re d'Italia, creato duca di Toscana, III, 1069. Fu eziandio conte del sacro palazzo, 1087. Poscia anche duca e marchese di Spoleti e di Camerino, 1095. Le quali provincie sono a lui tolte, 1102. Incerto il tempo di sua morte, 1146, 1147, 1149, 1183.
Uberto, vescovo di Parma, conte di quella città, III, 1155. Arcicancelliere di Ottone il Grande, 1174, 1207.
Uberto, vescovo di Forlì, III, 1185.
Uberto, vescovo di Palestrina, IV, 359.
Uberto, vescovo di Lucca, deposto, IV, 627.
Uberto, od Umberto, marchese e conte di Morienna e Savoia, IV, 814. Aderente a Federigo I imperadore, 848.
Uberto da Pirovano, arcivescovo di Milano, IV, 993, 994.
Uberto, vescovo di Vercelli, IV, 418.
Udalrico (Santo), vescovo di Augusta, III, 1198, 1199.
Udelrico, marchese di Toscana, IV, 664. Va in aiuto de' Fiorentini contro i Senesi, 677.
Ugo, marchese e duca di Provenza, figlio di Berta rimaritata in Adalberto II duca di Toscana, III, 926, 1024. Proclamato re d'Italia, ne viene al possesso, 1030, 1031. Quando coronato, 1032. Suo abboccamento con papa Giovanni X, 1034. Manda ambasciatori a Costantinopoli, 1035. Congiura contro di lui scoperta e punita, 1042. Ingiustamente [1162] perseguita ed abbatte Lamberto duca di Toscana, 1049, 1050. Divien signore di Roma con isposar Marozia, 1053. Ma ne è cacciato dai Romani, 1054. Indarno assedia Roma, 1057. Ricupera Verona, 1061. Torna all'assedio di Roma, e fa pace con Alberico, 1068. Sua tirannia verso il fratello Bosone, duca di Toscana e della cognata Willa, 1068, 1069. Sua scandalosa incontinenza, 1075, 1076. Continua la guerra contro Roma, 1085. Snida i Saraceni da Frassineto, 1089. Marita Berta sua figlia con Romano figlio di Costantino imperador de' Greci, 1091, 1094. Contro di lui s'alzano Berengario marchese d'Ivrea, e molti principi d'Italia, 1097, 1098. Vuol ritirarsi, ed è ritenuto, 1099. Sua pace con Alberico principe di Roma, e depressione, 1101. Si riduce in Provenza, 1103. Fine de' suoi giorni, 1104.
Ugo, figlio di Maginfredo conte di Milano, creduto uccisore di Lamberto imperadore, III, 933.
Ugo, abbate di Farfa, III, 1078; IV, 28, 34. Suoi litigii con Gregorio abbate dei Santi Cosma e Damiano, monistero in Roma, a cagione della cella in Santa Maria in Minione, 39. Assiste ad un placito tenuto dal re Arrigo II in Germania 80, 81. A lui dallo stesso re decretato il possesso del castello di Bucciniano, 104. Sue liti col senatore romano, 110.
Ugo, figlio di Uberto, creato duca di Toscana, III, 1149, 1183. E di Spoleti, 1267. Assedia Capoa, 1277. Sua morte, IV, 49. Sembra non aver rinunziato il ducato di Spoleti, 50.
Ugo Capeto, proclamato re di Francia, III, 1279. In un concilio di vescovi franzesi, senza l'approvazione del papa, fa deporre Arnolfo arcivescovo di Rems, 1275. Manda al papa Giovanni XV, pregandolo a voler recarsi a Grenoble per conoscere meglio la faccenda dall'arcivescovo Arnolfo, IV, 9. Tempo di sua morte, 20.
[1163]
Ugo, vescovo di Amburgo, III, 1268.
Ugo duca di Spoleti e marchese di Camerino, IV, 162. Sua morte, 278, 279.
Ugo, marchese, uno degli antenati della casa di Este, IV, 97, 100. Messo al bando dell'imperio da Arrigo I Augusto, 108. Invita Roberto re di Francia al regno d'Italia, 146, 147. Varii suoi atti, e sua morte, 166.
Ugo, vescovo di Ferrara, IV, 111.
Ugo (Santo), abbate di Clugnì, nella città di Colonia battezza Arrigo figlio di Arrigo III imperadore, IV, 253. Assiste nell'ultime ore il papa Stefano IX, 285. Va con la contessa Matilda per ottener grazia al re Arrigo IV dal papa Gregorio VII, 377.
Ugo, o Ugone Bianco, cardinale ribello della Chiesa romana, IV, 302. Nuovamente ribellatosi, cerca la deposizione del papa Gregorio VII, e l'elezione d'un nuovo, 370. Scomunicato in un concilio romano, 385.
Ugo del Mauso, figlio di Azzo II, marchese d'Este, creato principe del Maine, IV, 339, 340. Prende per moglie una figlia di Roberto Guiscardo, 384. Sue biasimevoli azioni, 440, 441, 451.
Ugo, arcivescovo di Lione, IV, 413. È scomunicato da papa Gregorio VII, 423, 432.
Ugo, vescovo di Mantova, IV, 450.
Ugo il Grande, fratello del re di Francia, va in Levante in crociata, IV, 469. Fatto prigione a Durazzo, e condotto a Costantinopoli, 470.
Ugo, cardinale d'Alatri, IV, 562. Da papa Gelasio II creato governatore di Benevento, 565. Sua morte, 582.
Ugo, o Ugone, arcivescovo di Palermo, IV, 734.
Ugo, arcivescovo di Genova, IV, 823.
Ugo da Bologna, cardinale, IV, 864.
Ugo del Balzo, conte d'Avellino: suo magnanimo fatto, V, 59. Siniscalco del re Roberto in Lombardia; sue azioni, 360, 370. Sconfitto dai Visconti, 384, 390. Ucciso in un fatto d'armi, 406.
Ugo, delfino di Vienna, V, 337.
Ugo Cavalcabò, marchese, occupa Cremona, V, 914.
Ugo Boncompagno, cardinale, eletto papa, VI, 754, 755. V. Gregorio XIII.
Ugolino, cardinale e vescovo d'Ostia, da papa Onorio III mandato a Genova per rimettere la pace fra i popoli d'Italia, IV, 1033. Poscia dallo stesso pontefice mandato a Milano e a Piacenza, 1037. Dà la croce a Federigo II imperadore per andare in Terra Santa, 1043. Mette pace fra i cittadini di Piacenza, 1051. Eletto papa, 1077, V. Gregorio IX.
[1164]
Ugolino de' Gherardeschi, conte, creato signore di Pisa, V, 182. Per le sue doppiezze ed iniquità dalla fazione dell'arcivescovo Ruggieri, suo capitale nemico, ordita una congiura è preso, gettato in fondo d'una torre con due piccioli figli e tre nipotini, e colà lasciato morir di fame, 196.
Ugolino Gonzaga, signor di Mantova, V, 608. Sue truppe in aiuto di Jacopo da' Pepoli, signor di Bologna, 614. Col fratello Filippo va contro i Visconti, 654. Capitano della lega, contro gli stessi Visconti, 662. Contro i quali riporta una vittoria, 667. Fa pace con essi Visconti, 668. Sconfigge nuovamente le lor genti, 681. Ucciso dai fratelli, 690.
Ugolino de' Trinci, signor di Foligno, V, 593.
Uguccione dalla Faggiuola, V, 244. Capitano dei Romagnuoli contro i Bolognesi, 253. Cogli Aretini, i Ravegnani e con quei di Montefeltro fa guerra a Cesena, 281. Capitano degli Aretini, è sconfitto da' Fiorentini, 332. Eletto per loro signore dai Pisani, 367, 368. Guerra da lui fatta ai Lucchesi, 377. S'impadronisce di Lucca, 378. A Montecatino dà una gran rotta ai Fiorentini, 383. È cacciato da Pisa, 388. Perde anche Lucca, ivi. Si rifugia presso Cane dalla Scala, 389. Il quale, pel credito che godea nell'arte della guerra, lo crea suo capitan generale, ivi. E coll'aiuto suo cerca di ricuperar Lucca, ma, fallito il colpo, se ne torna a Verona, 393. Da Cane mandato per avere Trivigi, 403. Fine dei suoi giorni, 406.
Uladislao, duca di Boemia, IV, 744.
Ulca, fiume, sulle sponde del quale Teoderico, figlio di Teodemiro, che fu poi re d'Italia dà una rotta ai Gepidi, che si oppongono al suo passaggio in Italia, II, 699.
Ulda, o Uldino, re degli Unni, va contro il ribello Gaina, lo uccide, e manda la sua testa all'Augusto Arcadio, II, 356. Al servigio dell'imperadore Onorio contro i Goti condotti da Radagaiso, 371.
Ulfari, duca di Trivigi, si ribella ad Agilolfo re di Italia, II, 1085.
Ulfila, vescovo ariano dei Goti, II, 202.
Ulfila, compagno e luogotenente di Costanzo generale dell'imperadore Onorio contro il tiranno Costantino nelle Gallie, II, 410.
Ulpiano, famoso giurisconsulto sotto Severo Augusto, I, 698.
Ulpiano (Domizio), insigne giurisconsulto, consigliere di Alessandro Augusto, I, 771. Creato prefetto del pretorio, 772. Ucciso in una sedizione, 790.
Ulrico, patriarca d'Aquileia, IV, 529.
[1165]
Ulrico, altro patriarca d'Aquileia, fa un'incursione nell'isola di Grado per cui è fatto poi prigione dai Veneziani, IV, 784.
Umaro, V. Omaro.
Umbaldo, arcivescovo di Lione, pel primo riconosce ed onora per papa legittimo Callisto II, IV, 571.
Umberto, abbate di Subbiaco, IV, 251.
Umberto, cardinale, da papa Leone IX inviato a Costantinopoli per suo legato, IV, 266. Da papa Vittore II mandato al monastero di Monte Casino, per far che que' monaci si ritrattassero di alcuni soprusi, con minaccia di scomunica non obbedendo, 273. Fa eleggere ad abbate di quel monistero Federigo, personaggio piissimo, 281.
Umberto, vescovo di Selva Candida, IV, 284.
Umberto II, ossia Uberto, figlio di Amedeo conte di Savoia, IV, 476. Conte di Morienna, progenitore della real casa di Savoia, 570.
Umberto III, conte di Morienna e Savoia, IV, 693.
Umberto, delfino di Vienna, da papa Clemente VI fatto generale d'un esercito di crociati contra i Turchi, passa per l'Italia, V, 581. Magnificamente ricevuto e regalato da Obizzo di Este, marchese di Ferrara, ivi. Passa in Levante, da dove, senza farvi alcuna prodezza, ritorna povero, ivi.
Unaldo, duca d'Aquitania, III, 203. Si fa monaco, 239. Torna al secolo, ivi, 294.
Unfredo, creato arcivescovo di Ravenna, dall'imperadore Arrigo III, IV, 239. Sua contesa con papa Leone IX, dal quale, in un concilio tenuto a Vercelli, è sospeso dal suo monistero, e forse scomunicato, 247. Dall'imperadore rimesso in grazia del papa, 250. Sua morte, ivi.
Unfredo, conte, capo de' Normanni in Puglia, IV, 253. Sconfigge l'armata pontificia, 262. Accompagna il papa Leone IX infermo sino a Capoa, 266. Sue liti col fratello Roberto Guiscardo, 268. Fine dei suoi giorni, 282.
Ungari, come fossero dapprima appellati, II, 972. S'impadroniscono della Pannonia, III, 855. Loro origine, e barbari costumi, 879. Chiamati dal re Arnolfo in Germania, 893. Loro battaglie coi Bulgari, 921. Calano per la prima volta in Italia, 937. Continuano le scorrerie e saccheggi, 965. Devastano la Sassonia e la Turingia, 972. Condotti dai loro re Dursac e Bugat invadono la Lombardia, 1011. Chiamati in soccorso dallo imperadore Berengario contro Rodolfo re d'Italia, 1014. Prendono e distruggono Pavia, 1020. Devastano la Puglia ed altri paesi, 1071. Loro scorrerie contro i Greci, in Germania e Francia, 1094. Tassi, loro re, devasta l'Italia, e la [1166] Lombardia specialmente, 1105. Rotta insigne data loro da Ottone il Grande, 1132, 1133.
Unigenitus: famosa bolla, seminario d'infinite dissensioni nel regno di Francia, VII, 258, 263, 266, 280.
Unnerico, figlio di Genserico re dei Vandali, dato per ostaggio a Valentiniano Augusto, II, 491, 492. Rimesso in libertà, 503. Prende per moglie Eudocia figlia di Valentiniano III Augusto, 580, 599. Che da lui fugge, 646. Succede al padre, 668. Perseguita i cattolici, 674, 685, 689. Ad istanza dell'imperadore Zenone e di Placidia, vedova dell'Augusto Olibrio, accondiscende che, dopo ventiquattr'anni di sede vacante, in Cartagine si eleggesse dal clero e popolo cattolico il vescovo, 678. Fine di sua vita, 689.
Unni Tartari: loro irruzione nelle terre dei Goti, II, 202, 231. E poi del romano imperio, 325. Cacciati dalla Pannonia, 467. Re d'essi Attila, 489. Aiutano i Romani nelle Gallie, 494, 505. Saccheggiano l'Illirico, 514. Estensione del loro dominio, 525. (V. Attila, Avari.) Loro lega coi Longobardi, 1115. Terribile loro incursione in Italia, e specialmente nel ducato del Friuli, 1143. Prendono e saccheggiano Cividale, 1145. Sconfitti dagli Sclavi, 1174. E dagli eserciti di Carlo Magno, III, 375, 385. Che li sottomettono, 387.
Unoco, duca del Friuli, III, 711. Succede al padre nel ducato, 717. Fine de' suoi giorni, 769.
Urbano I, pontefice romano, I, 764. Suo martirio, 796.
Urbano II papa. Sua elezione, IV, 433. (V. Ottone vescovo d'Ostia.) Concilio da lui tenuto in Roma, 438. E in Melfi, 441. Altro suo concilio tenuto in Benevento, 448. A lui si ribellano i Romani, ivi. Ricupera il palazzo lateranense, 460. Tiene un concilio in Piacenza, 463. Predica la crociata nel concilio di Chiaramonte, 464. Va a Benevento, 477. Dichiara il conte di Ruggieri suo legato per la Sicilia, 478. Tiene un gran concilio in Roma, 481. È chiamato a miglior vita, 482.
Urbano III papa. Sua elezione, IV, 892. Occupati i suoi Stati dal re Arrigo VI, 899. Suoi dissapori coll'imperadore Federigo I, per cui minaccia di scomunicarlo, 903. Passa a miglior vita, 904.
Urbano IV papa. Sua elezione V, 28. Suoi maneggi contro la casa di Svevia, 33. Muove Carlo di Angiò contro la Sicilia, 38. Si ritira fuor di Roma, 42. Istituisce la festa del Corpo di Cristo, 43. Crea senatore di Roma Carlo conte d'Angiò, 44. Dà fine al suo vivere, 45.
Urbano V papa. Sua elezione, V, 686. Fa lega con [1167] varii principi contro i Visconti, 704. Viene in Italia, 707. Ritorna in Francia, 722. Fine del suo vivere, e suoi santi costumi, 723.
Urbano VI papa. Sua elezione, V, 760, 761. Suo rigore ed imprudenza, 761, 769. Depone i cardinali scismatici, 764. Sua guerra contro gli aderenti all'antipapa Clemente VII, 769, 770. Fulmina fiere censure contro Giovanna regina di Napoli, 776. Muove Carlo dalla Pace contro di lei, 777. Lo corona re di Napoli, 784. Va a Napoli, 793. La rompe con esso re, 800. Sua crudeltà contro alcuni cardinali sospetti di congiura, 802, 803, 804, 811. Assediato in Nocera, e liberato si ritira a Genova, 804, 805. Leva di vita i porporati prigioni, 812. Odio suo contro i pretendenti del regno di Napoli, 818. Torna a Roma, 824. È chiamato da Dio al rendimento de' conti, 829.
Urbano VII papa: suo breve pontificato, VI, 829.
Urbano VIII papa. Sua creazione, VI, 992. Dai Franzesi gli è tolto il deposito della Valtellina, 997. Celebra il giubileo, 998. Manda il nipote in Francia per trattar di pace in Italia fra le due corone di Francia e Spagna, 1004, 1005. Sua premura per unire alla Chiesa il ducato d'Urbino, 1010, 1011. Sua moderazione, 1055. Titolo di Eminenza da lui conferito ai cardinali, [1168] 1057, 1058. Sua ostinazione in non voler soccorrere il pericolante imperadore Ferdinando II, 1059. Congiura contro di lui scoperta, 1064. Maneggia la pace fra gli Spagnuoli e il duca di Parma, 1075. Suoi imbrogli col duca di Parma, 1108. S'impadroniscono le sue milizie del ducato di Castro, 1109. Irruzione del duca di Parma nei suoi Stati, 1116. Guerra sua contro i collegati, 1121. Fa pace con essi, 1123, 1124. Passa a miglior vita, 1127.
Urbico (Lollio), generale dell'imperadore Antonino Pio, nella Bretagna, I, 514.
Urbico, questore del sacro palazzo sotto il re Teoderico, III, 718.
Urbino: suo ducato unito alla Chiesa romana, VI, 1012.
Ursicino, conte, toglie la vita a Silvano tiranno, II, 68.
Ursicino, vescovo di Torino, II, 1109.
Ursingo, conte di Trento, III, 170.
Ursino, eletto papa nello scisma contro Damaso, II, 156.
Uscocchi, corsari nell'Adriatico, VI, 896, 947.
Utrecht: pace ivi stabilita tra la Francia ed altre potenze, VII, 250, 251.
Uvilia, conte del patrimonio (sic), II, 773.
[1169]
Vaballato Augusto, figlio di Settimia Zenobia regina dei Palmireni, I, 929, 930, 958, 964.
Vadomario, re degli Alamanni, II, 101, 155, 185.
Valente (Fabio), acclama imperadore Vitellio, I, 262. Con un esercito viene in Italia, 267. Vittoria da lui riportata contro Ottone, 271. Sua potenza in corte di Vitellio, 274. Gli è tagliata la testa, 282.
Valente (Salvio), giurisconsulto celebre ai tempi dell'imperadore Antonino Pio, I, 509.
Valente (Giulio), imperadore effimero, I, 872.
Valente (Publio Valerio), proconsole dell'Acaia, si fa proclamare Augusto, I, 908.
Valente (Giuliano), correttore della Venezia, alla morte di Caro Augusto, usurpa l'imperio, I, 1007. Vinto in una battaglia da Carino, gli è tolta la vita, 1010.
Valente (Valerio), si fa proclamare Augusto in Oriente, I, 1129. È ucciso da Licinio, ivi.
Valente, creato Cesare da Licinio Augusto, I, 1134. Poscia da lui ucciso, 1135.
Valente (Flavio), fratello di Valentiniano imperadore, dichiarato Augusto, II, 147. Se gli ribella Procopio, 153, 154. Lo atterra, 160. Sue crudeltà, 161, 162. Fa pace co' Goti, 174. Congiura di Teodoro contro di lui, 191. Rotta all'esercito suo data dai Goti, 206. Altra maggiore sconfitta a lui data, in cui lascia la vita, 212. Lodi e biasimi di questo Augusto, 213.
Valente, comandante de' Dalmatini mandati dallo imperadore Onorio alla difesa di Roma contro Alarico, II, 394.
Valentiniano (Flavio), cassato dal suo ufficio da Costanzo Augusto, II, 80. Proclamato imperadore, 143. Sue azioni prima dell'imperio, ivi. Sue qualità, 145. Più rotte da lui date agli Alamanni, 159. Suo matrimonio con Giustina riprovato, 164. Sua crudeltà, 166, 173, 179, 188. Tradimento fatto dai suoi ai Quadi, 189. I quali [1170] perciò gli fan guerra, ivi. Termina la vita sua, 196. Sue qualità, ivi.
Valentiniano iuniore, soprannominato Galata, figlio di Valente Augusto, II, 161. Creato console, 172. Sua morte, 181.
Valentiniano II (Flavio), figlio del primo, II, 194. Proclamato Augusto, 197. Abita in Milano, 247. Fa pace con Massimo tiranno, 249, 251. Rigetta la supplica de' Romani acciò sia rimessa nella sala del senato la statua della vittoria, 254. Fugge in Levante per paura di Massimo tiranno, 269. È rimesso nei suoi stati da Teodosio, 280, 281. Sue belle doti, 296. Tiranneggiato da Arbogaste, suo generale, 298. E da lui ucciso, 300.
Valentiniano III: sua nascita, II, 440 Esiliato, va a Costantinopoli, 450. Dichiarato Cesare da Teodosio II Augusto suo cugino, viene in Italia, 456. Pubblica due leggi contra de' manichei, eretici e scismatici, 459, 460. Perdona ad Aezio, e gli conferisce il titolo di conte, 460. È dichiarato Augusto dal cugino Teodosio, 461. Pianta la sedia in Ravenna, 464. Brutto ritratto di lui fatto da Procopio, ivi. Sue belle leggi, 475. Chiama in suo aiuto i Goti contro Aezio, 486. Rimette in sua grazia Aezio, ivi. Fa pace con Genserico re dei Vandali, 491. Suo matrimonio con Licinia Eudossia figlia dell'imperadore Teodosio II, 497. Cessione da lui fatta in tale circostanza, 498. Ottiene da papa Sisto III che la chiesa di Ravenna sia eretta in arcivescovato, 502. Tradito da Genserico, 503. Confessione di San Paolo per ordine suo fabbricata, 506. Va a Roma, 541. Ucciso, e perchè, da' congiurati, 575.
Valentino, doge di Venezia, III, 461. Spogliato della dignità, 476.
Valentino, papa. Sua elezione, e sua morte poco dopo seguita, III, 558.
[1171]
Valenza (duca di), V. Cesare Borgia e Duca Valentino.
Valeria, figlia di Diocleziano Augusto, moglie di Galerio Cesare, I, 1028, 1099. Perseguitata da Massimino Augusto, 1100. Uccisa da Licinio Augusto, 1128.
Valeriano (Publio Licinio), che poi fu imperadore, ricusa la carica di censore, I, 870. Acclamato imperadore, 877. Suoi lodevoli costumi, 879. Suoi difetti fisici, ivi. Perseguita i cristiani, 886. Va in Oriente contro Sapore re di Persia, 890. Da cui è fatto prigione, 896. Trascurato dall'ingrato suo figlio Gallieno, 898. Sua morte, 899.
Valeriano (Publio Licinio) iuniore, figlio di Valeriano Augusto, I, 879, 880. Dichiarato Cesare, 882.
Valeriano (San), vescovo d'Aquileia, II, 230.
Valeriano, prefetto di Roma sotto gli imperadori Graziano, Valentiniano II e Teodosio, II, 229, 230.
Valerio Messalino, governatore della Dalmazia sotto Cesare Augusto, va ivi contro i ribelli, I, 22.
Valerio Massimo, prefetto di Roma sotto gl'imperadori Valeriano e Gallieno, I, 881, 884.
Valerio, console sotto il re Teoderico, II, 808.
Valerio, console orientale sotto l'imperadore Teodosio II, III, 482.
Valerio, arcivescovo di Ravenna, III, 395.
Valid, califa de' Saraceni, III, 121. Dopo l'occupazione delle Spagne muore, 151.
Vallestain (Alberto duca di Fridland), fiero generale dell'imperadore Ferdinando II, VI, 1049, 1058. Sua caduta, 1065.
Valia, re de' Goti in Ispagna, II, 429, 431. Fa pace con Onorio Augusto, 432. Sue imprese contro i Vandali, ivi, 436. Sua morte, 437.
Valtellina: guerra insorta a cagion d'essa, VI, 974, 984. Depositata in mano del papa, 990. Presa dai Franzesi, 996, 997. Accordo per essa, 1006, 1081.
Valvassori milanesi, insorgono contro i lor signori, IV, 183. Che significasse questo nome, 184.
Vamba, re piissimo delle Spagne, III, 43. Sua vittoria dei Saraceni, 44.
Vandali, entrano nelle Gallie, II, 376. E poi nelle Spagne, 402. Danno il nome all'Andaluzia, 413. Loro azioni colà contro gli Svevi, 442. Sconfiggono Castino generale di Onorio Augusto, 449. Loro crudeltà, 463. Occupano l'Africa, 471, 473. V. Genserico. Sconfitti colà da Belisario, generale dell'imperadore Giustiniano, perdono tutto, 851.
Vandomo (Luigi Giuseppe duca di), generale delle armi gallispane in Italia, libera Mantova, VII, [1172] 167, 168. Sue altre imprese, 168, 170. Conduce l'armata verso il Tirolo, 175. Accorre in Piemonte colle sue armi, 179. Suoi progressi militari contro il duca di Savoia, 184. Assedio di Verrua da lui fatto, 185, 189. La costringe a rendersi, 190. Sua battaglia contro i Tedeschi a Cassano, 192. Sua vittoria contro gli stessi alla Fossa Seriola, 196. Viene colle sue forze ad accamparsi vicino a Verona, danni che reca alla veneta repubblica, ivi, 197. Cede il comando al duca d'Orleans, 197. Direttore del duca di Borgogna in Fiandra, 224. Generale di Filippo V in Ispagna, sue imprese in quelle parti, 235, 236, 242.
Varane, generale di Onorio Augusto, II, 389, 400. Console, 404.
Varane, re di Persia: sconfitte a lui date dai Romani, II, 469.
Varo (Quintilio), governatore della Soria, I, 13. Generale de' Romani in Germania, 29. Sue legioni tagliate a pezzi dai popoli di quella contrada, 30. Si uccide, ivi.
Varo (Caio Ceionio), prefetto di Roma sotto l'imperadore Carino, I, 1005.
Varrone (Visellio), generale di Tiberio nelle Gallie, I, 65.
Varrone (Cingonio), console designato, ucciso da Galba, I, 259.
Varroniano, figlio di Gioviano Augusto, II, 137, 142.
Vasi antichi del Tempio di Salomone, II, 853.
Vecchio della Montagna, principe dei popoli chiamati Assassini; manda ambasciatori a Federigo II Augusto, IV, 1109. Da uno de' suoi è tolto di vita Lodovico duca di Baviera, ivi.
Vedove: proibito ad esse il farsi monache prima che sia passato l'anno della morte del marito, III, 171.
Vedulfo, maggiordomo del re Teoderico, II, 746.
Vegezio, scrittore che fiorì sotto Teodosio il Grande, II, 321.
Veleno, una volta usato in Italia, IV, 243.
Velleio Patercolo, storico, va alla guerra in Soria con Caio Cesare, figlio adottivo d'Augusto, I, 8. Poscia in Germania con Tiberio, 17. In una altra guerra contro i Pannoni conduce allo stesso Tiberio varii rinforzi di truppe, 21. Adulator di questo tiranno, 34, 44, 85, 86.
Velletri: in essa entra l'infante don Carlo re delle Due Sicilie colla sua armata, contro cui s'accampa l'austriaca, VII, 526. Strepitoso tentativo del principe di Lobcowitz per sorprendere quella città, 528. Entra in essa la sua gente, ma ne è poi respinta, 529, 530.
Venanzio, console sotto il re Odoacre, II, 687.
[1173]
Venanzio, console sotto il re Teoderico, II, 761, 852.
Venanzio, prete, spedito da papa Ormisda legato a Costantinopoli, II, 791.
Venanzio Fortunato, scrittore italiano, nato in Castello, villa tra Conegliano e Ceneda, I, 979. Sua morte, 1113.
Venceslao, eletto re de' Romani, V, 753. Succede nell'imperio a Carlo IV suo padre, 765. Crea duca di Milano Gian-Galeazzo Visconte, 865. Per la sua dappocaggine e scapestrata vita è deposto, 897.
Vendramino (Andrea). V. Andrea Vendramino.
Venezia, inclita città: suo principio, II, 567. Suo primo doge, III, 100. Esclusa dal regno d'Italia, 440, 455. Assalita da Pippino re d'Italia, 469. Dove fondata, 476. Visitata da Lodovico II Augusto, 680. Sue lodi, IV, 405. Alessandro III papa si porta in essa, 858. Ove conchiude la pace coll'imperadore Federigo I, 861. Terribile incendio in essa, VI, 311. Incendio grandissimo del suo arsenale, 736, 737. Venuta in essa di Arrigo III re di Francia, e personaggi che si trovavano quivi a complimentarlo, VI, 765. Feste date in questa circostanza, ivi. Fiera peste in essa, 770. Grave incendio che consumò tutto il palazzo ducale, 773. Alessandro IV rimette in essa i Gesuiti, 1209.
Venezia (provincia della); di essa quasi tutta s'impossessa Alboino, re dei Longobardi, II, 1000.
Veneziani, ricuperano Ravenna all'imperio, III, 189. Scacciati dall'Esarcato, 353. Guerra loro fatta da Pippino, re d'Italia, 469. Rotta data da essi alla flotta di Roberto Guiscardo, IV, 406. Sconfitti anch'essi da lui, 422. Lor patti e privilegii confermati da Arrigo IV imperadore, 462. Dan soccorso a Terra Santa, 483, 484. Sconfiggono i Padovani, 535. Lor vittoria degli infedeli presso Joppe, 587. Tolgono Tiro agl'infedeli, con altre prodezze, 591. S'impadroniscono di varie isole del greco imperio, 594. Soccorrono Fano, 668. Danno una rotta ai Padovani, 674. Fan prigione Ulrico, novello patriarca d'Aquileia, 734. Fan lega contro l'imperadore Federigo I, 788. Lor guerra con Manuello imperadore dei Greci, 829, 830. Assediano, uniti ai Tedeschi, Ancona, 840. Mandano grandi soccorsi in Terra Santa, 909. Col loro doge Arrigo Dandolo prendono a condurre in Levante la gran crociata, 977, 978. Ricuperano Zara, 979. Acquistano la quarta parte del greco imperio, 985. Fan guerra coi Genovesi, 1002, 1003. Lor discordia coi Padovani, 1024, 1027. Collegati col papa contro Federigo II Augusto, 1153, 1160. Assediano e prendono Ferrara, 1162, 1163. Lor vittoria della flotta genovese, 1273, 1274. Continua la guerra [1174] tra essi, V, 63, 64. Altra lor guerra coi Bolognesi, con loro svantaggio, 90, 94. Principio di altra lor guerra coi Genovesi, 226. Lor flotte sconfitte, 232, 256. Lor guerra coi Padovani, 295. S'impadroniscono di Ferrara, 319, 320. Terribil bolla di Clemente V papa contro d'essi per l'occupazione di quella città, 324. Da dove ne sono cacciati, 325. Congiura di Baiamonte Tiepolo abbattuta, 327. Non compresi nel regno d'Italia, 351. Rimessi in grazia di Clemente V, 370. Muovono guerra a Mastino dalla Scala, 532, 533. Gli dan la pace coll'acquisto di Trivigi, 543. Assediano Zara ribellata, 580, 581. E la costringono alla resa, 584. Guerra lor mossa dai Genovesi, 617. I quali prendono e bruciano Negroponte, 624. Fiera battaglia navale fra essi presso Costantinopoli, 627, 628. Co' Catalani danno una grave sconfitta ai Genovesi, 631. Dai quali è poi presa la loro flotta, 641. Fiera guerra mossa contro di loro da Lodovico re d'Ungheria, 657, 663. Come possono ottengono la pace da lui, 665. Odio loro contro Francesco da Carrara, signore di Padova, 702. E guerra fra loro, 729, 733, 734. Onde nata una fierissima guerra tra essi e i Genovesi, 767. Rotta data alla lor flotta da essi Genovesi, 771. Indarno chieggono pace, 772. Loro sforzi e valore per la difesa, che convertono in offesa, 774. Ripigliano Chiozza: dura nondimeno la guerra, 778. Donano Trivigi a Leopoldo duca d'Austria, 783. Pace fra essi e i Genovesi, 784. Incitano lo Scaligero contro il Carrarese, 810. Acquistano Corfù, 814. Collegati con Gian-Galeazzo Visconte, 826. Acquistano Trivigi, 831. Acquistano Vicenza, 928. Muovono guerra a Francesco da Carrara, 929. S'impadroniscono di Verona, 937. Poscia di Padova, 938. Levano dal mondo Francesco da Carrara ed i suoi figli, 939. Guerra loro mossa da Sigismondo re dei Romani, 977, 983, 984. Con cui fan tregua, 988. Lor guerra col patriarca d'Aquileia, 1014. Prendono varii luoghi in Dalmazia, 1025. Acquistano varie altre città in Dalmazia ed in Friuli, 1033, 1034. Ed altre terre, 1039. Collegati co' Fiorentini contro il duca di Milano, 1062. Prendono per lor generale il Carmagnola, 1064. Tolgono Brescia al duca di Milano, ivi. Fanno pace con lui, 1068. Ma egli torna a far loro guerra, 1069. Varie battaglie fra loro, 1071, 1072. Con una nuova pace acquistano Bergamo, 1074. Sconfitti dal duca a Soncino, 1088. Rotta la loro flotta dal medesimo sul Po, 1089. Sconfiggono la flotta dei Genovesi, 1091. Levano dal mondo il Carmagnola, 1097. Lor pace col duca di Milano, 1100. Sconfitti da Niccolò Piccinino, 1109. Nuova guerra fanno [1175] al duca di Milano, 1124. Danni loro recati da Niccolò Piccinino, 1133. Prosperità delle loro armi contro il duca di Milano, 1139, 1145. Che loro fa guerra viva, 1150. E viene poi a pace, 1152. Acquistano Ravenna, 1154. Danno una rotta all'esercito di Milano, 1182. Lor progressi contro quel duca, 1183. Acquistano Lodi e Piacenza, 1190. Perdono questa ultima città, 1163. Sconfitta la lor flotta da Francesco Sforza, 1198, 1199. E poi la loro armata, e fan lega fra loro, 1199, 1201. Si accordano coi Milanesi contra di lui, 1211. Lor guerra col re Alfonso di Napoli, 1213. E con Francesco Sforza, 1226, 1229. Con cui fanno pace, 1236. Lor lega con papa Paolo II, VI, 32. Acquistano Cipri, 51. Muovono guerra ad Ercole duca di Ferrara, 76. Lega contro di loro unita da tutti i principi italiani per farli desistere dalla guerra contro il duca di Ferrara, 82. Scomunicati da papa Sisto IV, 83. Fanno pace coi nemici collegati, 86. Lor muove guerra Sigismondo duca d'Austria, 96, 97. Lor lega con papa Alessandro VI e col duca di Milano, 115. E con altri contro Carlo VIII re di Francia, 130. Mandano aiuti a Ferdinando re di Napoli, 137. Poscia ai Pisani, 142. Fanno lega con Lodovico XII re di Francia, 155. Acquistano Cremona, 157. Occupano Faenza e Rimino, 205. Loro accordo con papa Giulio II, 215. Fa loro guerra Massimiliano imperadore, 227. Lo costringono ad una vergognosa pace, 228, 229. Lega di Cambrai contro di loro, 229. Loro potenza, 231. Gran rotta loro data dai Franzesi in Ghiaradadda, 235, 236. Prese loro varie città di Terra ferma, 237, 238. Restituiscono al papa e al re Cattolico le città da essi richieste, 238. Loro umile ambasciata a Massimiliano Augusto, 239. Ricuperano Padova, 242. E poi Vicenza ed altri luoghi, 248. Ottengono pace da papa Giulio, 251. Che tutto si volge in loro difesa, 254. Varie percosse loro date dai collegati, 267. Riacquistano e perdono Brescia, 276. Che è saccheggiata, 278. Uniti cogli Imperiali e Spagnuoli cacciano di Italia i Franzesi, 286. Burlati o traditi dal Cardona, generale degli Spagnuoli, e da papa Giulio, 292. Loro lega con Lodovico XII re di Francia, 296, 297. Ricuperano Brescia e Bergamo, 301. Di nuovo le abbandonano, 304. Rotta data alla loro armata dagli Spagnuoli, 309. Riacquistano Bergamo, 329. Hanno due percosse sotto Brescia, 330, 331. Loro sforzi per ricuperare Verona, 339, 341. E la riacquistano, 345. Fanno lega con Carlo V Augusto, 392. Poscia col re di Francia ed altri contro [1176] Cesare, 422. Occupano Ravenna e Cervia, 442. Loro accordo con Carlo V, 474. Lega con varii principi contro il Turco, 533. Fanno pace con Solimano, 541, 546. Cipri ad essi tolto dai Turchi, 744, 745, 748. Insigne loro vittoria contro i Turchi a Lepanto, 751. Fanno pace colla Porta, 759. Fabbricano Palma Nuova nel Friuli, 848. Molestati dagli Uscocchi, vi provveggono, 896, 947, 948. Imprigionano un finto Sebastiano re di Portogallo, 809. Loro lega coi Grigioni, 904. Monitorio di Paolo V contro d'essi, 911. Concordia stabilita fra il papa ed essi dal cardinale di Gioiosa, 917. Si dichiarano in favore di Francesco Gonzaga duca di Mantova, 940. Lor guerra coll'arciduca Ferdinando d'Austria, 951. Loro lega col duca di Savoia, 956, 973. Continuano la guerra co' Tedeschi, 956. Loro la fa il duca d'Ossuna, vicerè di Napoli, 961. Fanno pace cogli Austriaci, 962, 966. Proteggono il partito protestante nella Valtellina, 974. Loro lega col re di Francia Lodovico XIII e col duca di Savoia, 990. Vanno circospetti in favorire Carlo, novello duca di Mantova, 1025. Loro magnificenza, 1048. Fanno lega coi duchi di Toscana e di Modena in favore del duca di Parma, 1015. Fanno guerra al papa Urbano VIII, 1121. Pace fra loro, 1124. Cagione d'immensi guai è per loro la presa d'un galeone turco fatta dai Maltesi, 1130, 1131. Loro è tolta dai Turchi la Canea, 1137. Ed assediata Candia, 1144, 1171, 1176. Loro vittoria contro la flotta turchesca, 1178. A cui tengono dietro varie perdite, 1192. Insigne lor vittoria in mare, 1200. Altre lor vittorie, 1205, 1209, 1225, 1226. Soli contro la potenza turchesca, 1226. Loro vantaggi in mare, 1229, 1230. Candia assediata e difesa da essi, 1247, 1249, 1250. Che in fine perdono, 1252. Entrano in lega con lo imperadore Leopoldo e con Sobieschi re di Polonia contro i Turchi, VII, 54. Loro progressi contro la Morea, 58, 59, 61, 62. Di cui interamente diventano padroni, 69. Prendono Napoli di Malvasia ed altri luoghi, 77, 82. Assediano indarno Candia, 100. Acquistano Citclut e la isola di Scio, 110, 111. La quale è ricuperata dai Turchi, 116. Incitano l'imperadore Leopoldo ad una guerra contro Mustafà II imperadore dei Turchi, 134. Prosperi eventi loro contro lo stesso, 135. Fan pace con lui, 138. Saldi nella neutralità nelle guerre d'Italia, 183, 184. Gravi danni da loro patiti a cagione delle nemiche armate, 196. Muove loro guerra i Turchi, e tolgono tutta la Morea, 265. Assediata dai Turchi la città di Corfù, 268, 269. Alla quale cercano [1177] con una poderosa armata navale di portar soccorsi, 269. È loro abbandonata dopo un inutile assedio, 271. Loro battaglia navale coi Turchi, 273, 274. Pace con essi, conchiusa a Passarovitz, 282. Loro magnificenza in accogliere Maria Amalia, figlia di Federigo Augusto re di Polonia, sposa di don Carlo di Borbone, re delle Due Sicilie, 442, 443. Neutrali nelle guerre insorte in Italia dopo la morte di Carlo VI Augusto, 441. Lor saggia neutralità e moderazione nelle ultime guerre d'Italia, 707.
Veniero, patriarca di Grado, III, 548. Sue differenze con Andrea, patriarca d'Aquileia, 648.
Veuturino da Bergamo dell'ordine de' Predicatori, missionario, per la Lombardia e per la Toscana predica la penitenza e la pace con grande seguito di persone, V, 524. Accusato alla corte di Roma, è chiamato ad Avignone da papa Benedetto XII, presso il quale si giustifica, ivi. Per aver disapprovata la lontananza dei papi da Roma, gli è impedito di tornare al suo ministero, ivi.
Venuleio, insigne giurisconsulto ai tempi dell'imperadore Alessandro, I, 771.
Vercelli: sue varie rivoluzioni, V, 273, 339, 349. Se ne impadronisce Filippone conte di Langusco, 358. Viene disputato il dominio di quella città, 412. Se ne impadronisce Matteo Visconte, 418.
Vergini, per una legge pubblicata dall'imperadore Maioriano, non si poteano consacrar a Dio prima dell'anno quarantesimo, II, 600.
Verina Augusta, moglie di Leone imperadore, II, 607. Fa sollevare il fratello Basilisco contro Zenone imperadore, 658. Esiliata da Costantinopoli, è rinchiusa con Leonzia sua figliuola e Marciano suo genero in Papurio, castello in Calcedone, 681. Liberata, fa coronare imperadore in Tarso Leonzio patrizio, uomo piissimo, 687. Che da ognuno viene accettato, 688. Muore, ivi.
Verino (Lucrio Valerio), prefetto di Roma sotto Costantino imperadore, I, 1155, 1167.
Verno rigorosissimo dell'anno 1709, VII, 225, 226.
Vernulfo, uccisore del re goto Ataulfo, II, 428.
Vero (Lucio Annio), console, avolo di Marco Aurelio Augusto, I, 445.
Vero (Vinidio), giurisconsulto celebre, ai tempi dell'imperadore Antonino Pio, I, 309.
Vero (Marzio), generale de' Romani contro i Parti, I, 534. Ricupera l'Armenia, 535. Console, 584, 585.
Vero Cesare, figlio di Marco Aurelio Augusto, I, 540. Manca di vita, 554.
[1178]
Verona, città della Galleniana, I, 924. Afflitta da Attila, II, 561. Arricchita di fabbriche dal re Teoderico, 791. Ricuperata da Narsete, 975. Afflitta da una fiera inondazione e da un incendio, 1070, 1071. Assediata dalle armi di Carlo Magno, III, 316. A cui si rende, 320. Fortificata da Pippino re d'Italia, 375. Manda il suo vescovo Tebaldo per iscusarsi ed umiliarsi all'imperadore Federigo I, IV, 733. Prevalendo ivi la fazion ghibellina, entra in guerra con Padova, 1095. Le fan guerra i Mantovani, 1107. Pace fra i cittadini, 1128. V'entrano le truppe ed il figlio di Federigo II Augusto, 1133. Riportano vittoria dei Mantovani, 1164. Liberati dalla schiavitù e crudeltà di Eccelino da Romano, V, 16. In quella città comincia a dominare Mastino dalla Scala, 36, 40. Saccheggiata da Ugolotto Biancardo, 840. Presa dai Veneziani, 937. Si rende a Massimiliano imperadore, VI, 239. Che la vende al re di Francia, 252. Invano assediata dall'Alviano, generale delle armi venete, 305. Assediata da Odetto di Fois, signore di Lautrech, generale delle armi franzesi in Italia, unito colle veneziane, 339, 341, 342. Suo misero stato, 340. Torna sotto i Veneziani, 344.
Veronesi: loro vittoria sui Padovani, IV, 955. E sui Mantovani, 967. Lor guerra civile, 994. Eccelino da Romano acquista ivi alquanto di autorità, 1068. Impediscono la venuta de' Tedeschi in Italia, 1073.
Verrua, assediata dal duca di Vandomo, VII, 185, 189.
Vescovi ed abbati obbligati alla milizia, III, 547.
Vespasiano, che fu poi imperadore, milita contro i Britanni, I, 157. Creato console, 183. Sotto Nerone corre pericolo della vita, 239. Inviato generale contro i Giudei ribelli, 244. Vuol assediare Gerusalemme, 260. Proclamato imperadore dalle milizie, 276. Progresso delle armi sue in Italia, 277. Arriva a Roma, 288. Rimette in piedi il Campidoglio bruciato, ivi. Trionfa col figlio Tito per la guerra della Giudea felicemente terminata, 293. Sue belle doti e buon governo, 294. Sua clemenza, 296. Riforma i costumi depravati de' Romani, 299. Avarizia a lui imputata, 305. Ma scusata, 306. Sua liberalità, 307. Tempio mirabile della Pace da lui fabbricato, 309. Biasimato per la morte data a Giulio Sabino, 315. Congiura contro di lui scoperta, 316. Fine della sua vita, 317.
Vespro siciliano, o strage de' Franzesi in Sicilia, V, 149.
Vestali, private di tutti i privilegii ed esenzioni da Graziano imperadore, II, 236.
[1179]
Vestarini signori di Lodi, V. Sozzo e Jacopo Vestarini.
Vestinio (Lucio Giulio), secretario di Adriano Augusto, I, 434.
Vesuvio: fuma e gitta fiamme, pietre e cenere, I, 319. Immensi danni e rovine che apportò, 322. Vomita una grande quantità di cenere, II, 646. Suoi terribili incendii, e danni da esso recati. VI, 1056; VII, 137, 140.
Vetranione, usurpa l'imperio nell'Illirio, II, 34. Fa pace con Magnenzio tiranno, 39. Con qual arte deposto da Costanzo, 40. È ben trattato da lui, ivi.
Vettari, duca del Friuli, III, 26. Sua impresa contro gli Sclavi, 33.
Via Traiana, qual fosse, I, 410.
Viatore (Flavio), console occidentale sotto il re Teoderico, II, 722.
Vibidia, la più anziana delle Vestali, indarno si adopera per salvare la vita a Messalina Augusta, I, 175.
Vibodo, vescovo di Parma, III, 689. Spedito dal papa Adriano II all'imperadore Lodovico II, 728. Lettera a lui scritta da papa Giovanni VIII, 800, 815, 828.
Vicennali giuochi: loro origine, I, 38.
Vicenza: prevalgono qui i Ghibellini, e ne sono cacciati i Padovani, IV, 1080. Presa e saccheggiata da Federigo II Augusto, 1135. Liberata dal giogo di Eccelino, passa poi sotto il dominio dei Padovani, V, 15, 16. Si rende all'imperadore Massimiliano, VI, 239. Ricuperata dai Veneziani, 248. Saccheggiata dai Tedeschi, 253. Torna all'obbedienza dei Veneziani, 256. Assassinata dagli Spagnuoli, 321. E da' Tedeschi, 340, 341.
Videmire, fratello di Teoderico re o duca degli Ostrogoti, viene con un'armata in Italia, ove muore, II, 648.
Videmire, figlio del precedente, succede al padre nel comando degli Ostrogoti in Italia, II, 648. Passa nelle Gallie, indotto da' regali dell'imperadore Glicerio, ove si unisce co' Visigoti, ivi.
Vienna, assediata dai Turchi, VII, 45. Difesa e liberata dai cristiani, 47.
Vigesima delle eredità e dei legati, aggravio pubblico introdotto da Augusto Cesare, I, 19.
Vigilanzia, sorella di Giustino imperadore e madre di Giustiniano, II, 830.
Vigilanzio, creato generale delle guardie del corpo dell'imperadore Onorio, II, 389.
Vigili, corpi di guardia istituiti da Augusto, I, 20. Loro uffizio, ivi, 1115.
Vigilinda ossia Vinilinda, figliuola del re Bertarido, moglie di Grimoaldo II duca di Benevento, III, 49.
[1180]
Vigilio, da Belisario intruso nella sedia di S. Pietro, II, 870. Dopo la morte di papa Silverio legittimata la di lui elezione, 874. Ritiratosi in Sicilia, dà aiuto ai Romani, 907. Chiamato a Costantinopoli da Giustiniano Augusto, si incammina per quel viaggio, 912. Giugne a Costantinopoli, ove s'imbroglia nella controversia dei tre capitoli, 917. Sollecita l'imperadore a ricuperar l'Italia dalle mani dei Goti, 927. Per la prepotenza di Giustiniano contro di lui, fugge a Calcedone, 938. Esiliato da lui, 950. Richiamato, approva il concilio V generale, 957, 958. Fine de' suoi giorni, 958.
Vilfrido (San), arcivescovo di Yorch, III, 17. Cacciato dalla sua sedia, raduna un concilio nella basilica lateranense, 52.
Villafranca, presa da' Franzesi, VII, 190, 191.
Villano, arcivescovo di Pisa, IV, 820.
Villars (maresciallo di), va in aiuto di Massimiliano elettor di Baviera, VII, 174. Difende il Delfinato contro le forze del duca di Savoia e collegati, 220. Sua battaglia contro il principe Eugenio di Savoia e il duca di Marlboroug nelle vicinanze di Mons, indecisa, 231, 232. Tenta, ma inutilmente, di dar soccorso alla città di Donai in Fiandra, 237. Da maestro di guerra continua a combattere in Fiandra, 242. Sua completa vittoria presso Dexain, per cui ricupera molti luoghi, 248, 249. Assedia il forte della Scarpa, e in brevi giorni lo prende, 249. Torna a Parigi, ivi. Prende la fortezza di Landau in Alsazia, 255, 256. S'impossessa di Friburgo e di molte altre fortezze, 256. Si porta a Rastat per concludere la pace con l'Augusto Carlo VI, 269.
Villeroy (duca di): sua infelice battaglia a Chiari, VII, 158, 159. Fatto prigione in Cremona dal principe Eugenio di Savoia, 166. Posto in libertà, guerreggia in Fiandra, 205.
Vincenzo, prefetto del pretorio delle Gallie, creato console dall'imperadore Onorio, II, 357.
Vincenzo, generale della cavalleria sotto l'imperadore Onorio, ucciso in una sommossa di truppe in Pavia, II, 385.
Vincenzo Lerinense, scrittore, II, 490.
Vincenzo Gonzaga, principe di Mantova: sue nozze con Margherita Farnese, figlia del duca Alessandro, VI, 786, 787. Che poi viene sciolto pei difetti corporali della sposa, 797. Si rimarita con Leonora figliuola di Francesco gran duca di Toscana, ivi. Succede al padre, 813. Si porta a Roma a rendere ubbidienza al papa Innocenzo IX, 837. Poscia a Ferrara per ossequiare Clemente VIII, 873. Manca di vita, 935.
Vincenzo II Gonzaga, cardinale, VI, 936. Suo segreto [1181] matrimonio con Isabella, vedova di Fersente Gonzaga, principe di Bozzolo, 1014. Suo divorzio, ivi. Succede al fratello Ferdinando nel ducato di Mantova, e muore, ivi, 1015.
Vincenzo Gonzaga vicerè di Napoli, a lui è tolta Guastalla dal duca di Mantova suo cugino, VII, 32. Gli è restituita dagli spagnuoli, 103.
Vindice (Caio Giulio), muove la ribellione nelle Gallie contro Nerone, I, 249. Si uccide da sè stesso, 252.
Vindice (Marco), prefetto del pretorio sotto l'imperadore Marco Aurelio, I, 557.
Viniberta, ossia Guiniberta, moglie di Gisolfo duca di Benevento, III, 61.
Viniciano (Marco Annio), V. Minuciano.
Vinio (Tito), potente nella corte di Galba Augusto, I, 257.
Violante, figlia di Guglielmo Lungaspada, marchese di Monferrato, V. Jolanta.
Viomado, persona fedele di Childerico, re de' Franchi, II, 617.
Vipera ed alberi, adorati dai Longobardi, III, 15, 1270.
Vipsania, ripudiata da Tiberio, e maritata con Asinio Gallo, I, 84. V. Agrippina.
Vipsanio. V. Agrippa (Marco Vipsanio).
Virgilio, vescovo d'Arles, II, 1113.
Virtù (conte di), V. Gian-Galeazzo Visconte.
Visconti, così appellati i luogotenenti dei conti, ossia dei governatori delle città, II, 1104. Una volta vicegovernatori di una città, IV, 234.
Visconti, duchi di Milano, V. i loro rispettivi nomi.
Visigoti, abbattuti da Clodoveo re de' Franchi, II, 765. Strage che essi fanno dei Franchi comandati da Childeberto e Clotario, 898.
Vitale, vescovo scismatico d'Altino, relegato in Sicilia, II, 991.
Vitale II, patriarca di Grado, III, 925.
Vitale III, patriarca di Grado, III, 1200. Ricorre all'imperadore Ottone II contro gli uccisori del padre suo Candiano IV doge di Venezia, 1218. Ritorna a Venezia, 1220. Dallo zio Vitale Candiano, doge, spedito in Germania, ivi.
Vitale Candiano, doge di Venezia, III, 1220. Termina il suo vivere, 1225.
Vitale, vescovo di Torcello, IV, 170.
Vitale Faledro, doge di Venezia, IV, 422. Privilegio da lui concesso al popolo di Loreo, 462. Sua morte, 472.
Vitale Michele, doge di Venezia, IV, 472. Sua morte, 495.
Vitale Michele II, doge di Venezia, IV, 738. Ricupera Zara, 829. Fa guerra coi Greci, 830. Sua armata distrutta dalla peste, 833. Ferito in una sedizione, termina i suoi giorni, ivi.
[1182]
Vitaliano, prefetto del pretorio sotto Massimino, ucciso, I, 825.
Vitaliano, diacono, spedito da papa Ormisda legato a Costantinopoli, II, 791.
Vitaliano Scita, nipote di Aspare, si solleva contro Anastasio Augusto, II, 789, 792. Burlato, si ritira ad una vita quieta, 792. Generale delle armi di Giustino Augusto, 800. Creato console, ed ucciso, 803, 804.
Vitaliano papa. Sua elezione, II, 1264. Sua bolla finta per la erezione del vescovato di Ferrara, 1271. Altra sua bolla dubbiosa, III, 16. Scomunica Mauro arcivescovo di Ravenna, ribello alla santa sede, 27. Manda in Inghilterra Teodoro, monaco greco, 31. Passa a miglior vita, 40.
Vitellio (Lucio), console sotto l'imperadore Tiberio, padre di Vitellio imperadore, I, 100. Generale d'armi in oriente, 104. Sue imprese contro i Parti, ivi, 105. Con qual arte salvasse la vita sotto Caligola, 135. Console sotto Caligola stesso, 154. Sua infame azione, 169.
Vitellio (Aulo), che fu poi imperadore, creato console, I, 170. Adulator di Nerone, 223. Inviato da Galba generale nella Germania, 261. Proclamato imperadore da quelle legioni, 262. Invia due eserciti in Italia, 267. Rotta da essi data all'armata di Ottone, 270, 271. Suo viaggio a Roma, 273. Vespasiano acclamato imperadore contro di lui, 276. Le cui armi vanno occupando le provincie, 277, 278. Vani sforzi di esso Vitellio, 281. Sua morte e vergognoso trattamento, 284.
Vitellio (Lucio), fratello di Vitellio imperadore, da lui mandato ad occupare Terracina agli imperadori suoi emuli, I, 282. È barbaramente ucciso, 285.
Vitelozzo Vitelli, signore di Città di Castello, VI, 192. Ucciso dal duca Valentino, 196.
Vitige, acclamato re d'Italia dai Goti, colla cessione di Stati fa lega coi re Franchi, II, 865. Assedia indarno a Roma, 868, 871. Poi Milano, 876. Che, costretto a rendersi, orridamente fu dato a sacco colla morte d'infinite persone, 877, 878. Si rende con Ravenna a Balisario, 886. Condotto a Costantinopoli ed onorato, finisce ivi di vivere, 889.
Vitterico, re de' Visigoti, II, 1137.
Vittore I papa, sua elezione, I, 604. Suo martirio, 672.
Vittore (Aurelio), governatore della seconda Pannonia sotto l'imperadore Giuliano, II, 105. Dall'imperadore Valente spedito ad Atanarico principe dei Goti a dolersi di sua condotta, 167. Di nuovo a lui mandato per invitarlo a recarsi oltre il Danubio per trattar di pace coll'imperadore [1183] stesso, 174. Cerca distogliere lo stesso Valente dalla guerra contro i Goti, 210. Si ricovera presso Graziano Augusto, 216.
Vittore (Flavio), figlio di Massimo tiranno, dichiarato Augusto dal padre, II, 247. È ucciso, 279.
Vittore conte, dal tiranno Massimo mandato in Italia, II, 249.
Vittore, arcivescovo di Torino, II, 719.
Vittore, vescovo di Capoa, scrittore, II, 931.
Vittore II papa. Sua elezione, IV, 269. Concilio da lui tenuto in Firenze, 271. Va in Germania, 277. Vicario d'Italia, 280. Termina i suoi giorni, 281.
Vittore III, creato papa, IV, 428. Ma non consecrato, 429. Riceve la consecrazione, 431. Tiene un concilio in Benevento, 432. Sua morte, ivi.
Vittore antipapa; suo pentimento, IV, 655.
Vittore III, antipapa, IV, 756. Fomentato da Federigo I Augusto, 761, 764. Da cui è riconosciuto papa, 764, 765. Suo conciliabolo tenuto a Lodi, 771. Fine di sua vita, 787.
Vittoria, città posticcia fabbricata da Federigo II in faccia a Parma assediata, IV, 1202. Dai vittoriosi Parmigiani disfatta, 1206.
Vittoria: sua statua, V. Statua.
Vittorino (Cornelio), prefetto del pretorio sotto Antonino Pio, I, 493.
Vittorino (Aufidio), generale di Marco Aurelio in Germania, I, 530. Console sotto Commodo, 597.
Vittorino (Furio), prefetto del pretorio sotto Marco Aurelio, I, 550.
Vittorino (Marco Aurelio Piavvonio), creato Augusto da Postumo, I, 915. Gli si ribella, 926.
Vittorino (Caio Piavio), iuniore, dichiarato Cesare dal padre nelle Gallie, I, 927.
Vittorio d'Aquitania, suo ciclo rinomato, II, 615.
Vittorio Amedeo, duca di Savoia: sua nascita, VI, 813. Principe di Piemonte, 939, 953. Prende Crevacuore, 958. Suo matrimonio con Cristina di Francia, 973, 979. Fa guerra ai Genovesi, 1001. Generale delle armi franzesi in Italia, 1003, 1022. Succede al padre, 1042. Acquista il meglio del Monferrato, 1050. Rilascia Pinerolo ai Franzesi, 1051. Sua lega colla Francia, 1057. Prende il titolo di re di Cipro, 1064. Unito ai Franzesi fa guerra a Milano, 1076. Sua battaglia a Tornavento, 1077. Termina i suoi giorni, 1082.
Vittorio Amedeo II, duca di Savoia: sua nascita, VI, 1241. Succede al padre, VII, 12. Sue nozze conchiuse coll'infanta di Portogallo, e sciolte, 34, 35, 36, 37. Sue nozze con Anna figlia di Filippo d'Orleans, 52. Entra in lega coll'imperadore e la Spagna contro i Franzesi, 86. Alla Staffarda è rotto da essi, 87, 88. Continuazione della guerra in Piemonte, 94. Penetra nel Delfinato, e si ammala, 101, 102. Svantaggiosa per [1184] lui la battaglia di Orbazzano, 108. Prende Casale di Monferrato, 117. S'accorda co' Franzesi, 121, 122. Generalissimo de' Franzesi assedia Valenza, 123. Fa accettare la neutralità a' Tedeschi ed agli Spagnuoli, 124. Interviene alla battaglia di Chiari, 159. Sua lega coll'imperadore Leopoldo, 177, 178. Sue angustie dacchè gli fu dichiarata la guerra dalla Francia, 178. Suoi sforzi per sostenere Verrua assediata dai Franzesi, 185. Riduce a Genova la real sua famiglia, 195. Arriva in suo soccorso il principe Eugenio, 199. Sua gran vittoria contro i Franzesi colla liberazion di Torino, 200. Ricupera le sue città, 203. S'impadronisce d'Alessandria, 204. Sua irruzione nella Provenza, 211. Toglie ai Franzesi alcune fortezze, 220. Prende il titolo di re, 251. Passa in Sicilia, dov'è coronato, 252, 253. Invaso quel regno dagli Spagnuoli, 284. Entra nella quadruplice alleanza contro la Spagna, 289. Perde la Sicilia ed acquista la Sardegna, 298. Sue gloriose azioni, 351. Rinuncia la corona a Carlo Emmanuele suo figlio, 352. Se ne mostra pentito, 360. Laonde gli è tolta la libertà, 362. Dà fine al suo vivere, 370.
Vittorio Amedeo, primogenito di Carlo Emmanuele re di Sardegna: sua nascita, VII, 327.
Volchero, patriarca d'Aquileia, IV, 1003.
Vologeso, re dei Parti, I, 199. Fa guerra ai Romani, 209. Sostiene nell'Armenia Tiridate suo fratello, 226. S'impadronisce dell'Armenia, 228. Invitato a Roma da Nerone, se ne ride, 244. Richiede aiuti a Vespasiano, 298.
Vologeso, forse re dell'Armenia, I, 472.
Vologeso, re dei Parti, muove guerra al romano imperio, I, 530. Sue vittorie, 533. Perseguitato fino nella sua reggia, 538. Pace fra lui e i Romani, 539.
Volusiano (Caio Vibio Gallo), figlio di Gallo Augusto, creato Cesare, I, 871. Imperadore, 874. Resta ucciso, 876.
Volusiano (Petronio), prefetto di Roma sotto lo imperadore Claudio II, I, 932.
Volusiano (Rufio), prefetto di Roma sotto l'imperadore Galerio Massimiano, I, 1095. Sotto Massenzio, 1102. Sotto Costantino, 1116, 1129, 1136.
Volusiano (Caio Ceionio Rufo), prefetto di Roma sotto gl'imperadori Valentiniano e Valente, II, 148, 150, 183.
Volusiano, prefetto di Roma sotto Valentiniano III, II, 489. Sua morte, ivi.
Vonone re de' Parti, I, 18. Detronizzato si rifugia sotto i Romani, 54. Ucciso, 61.
Vopisco, storico: sue età, II, 14.
[1185]
Walberto, arcivescovo di Milano, fuggito dal re Berengario, si rifugia presso il re di Sassonia, III, 1145, V. Gualberto.
Walderico, abbate di S. Lorenzo di Cremona, dal re Arrigo III gli è interdetto di alienare beni senza licenza di Ubaldo vescovo di quella città, IV, 209.
Waldone, ossia Gualdone, vescovo di Como, III, 1100. Scappa dal re Berengario, e si ricovera presso il re di Sassonia, 1146. Espugna la fortezza nel lago di Lario, 1168. Minacciato da certo Udone conte, 1175.
Walla, figlio di Carlo Martello, dall'imperadore Carlo Magno, suo parente, dato per consigliere a Bernardo re d'Italia, III, 481, 482, 492. Si fa monaco, 494. Aio di Lottario Augusto, 532. Lo favorisce contro il padre, 574. Diventa abbate di san Colombano di Bobbio, 586. Inviato dall'imperadore Lottario ambasciatore a Lodovico Pio suo padre, 594. Manca di vita, 595.
Walperto, duca di Lorena, III, 147, 149.
Warnieri, dottore in Bologna, V. Guarnieri.
Wernero, arcivescovo di Maddeburgo, ucciso in un fatto d'armi, IV, 390.
Wibodo, vescovo di Parma, V. Vibodo.
Wicheramo, governatore di Lucca, III, 429.
Widgero, eletto, ma non consecrato arcivescovo di Ravenna, IV, 223. Chiamato in Germania dal re Arrigo III, è deposto, 227, 228.
Willa, moglie di Bosone duca di Toscana, sua estrema avidità, III, 1069.
[1186]
Willa, figlia di Bosone duca di Toscana, moglie di Berengario II, che poi fu re d'Italia, III, 1068, 1116. Sua avarizia, 1137. Sua prepotenza, 1145. Trattiene il marito dal rinunziar la corona, 1151. Assediata nell'isola di San Giulio dall'imperadore Ottone I, 1157, 1158. Condotta prigioniera a Bamberga in Germania, 1165, 1166. Alla morte del marito si fa monaca, 1177.
Willa, contessa, moglie di Uberto duca di Toscana, III, 1278.
Willa, moglie di Tedaldo marchese di Toscana, IV, 67.
Willa, contessa, vedova di Ugo duca e marchese, IV, 201.
Willario, doge di Venezia, chiamato Obelerio. V. Obelerio.
Willigiso, ossia Wiligo, arcivescovo di Magonza, III, 1257. Accompagna Bosone, dall'imperadore Ottone III spedito a Roma onde farlo crear papa, che fa poscia Gregorio V, IV, 14.
Winigiso, duca di Spoleti, V. Guinigiso,
Wintero, marchese d'Istria, III, 1079.
Witichindo, principe de' Sassoni, fa guerra a Carlo Magno, III, 339. Da lui sconfitto, se ne fugge nel paese dei Normanni presso il mar Baltico, 348, 349. Si sottomette, 356.
Wolfoldo, vescovo di Cremona, esiliato dall'imperadore Lodovico Pio, III, 513. Sua morte, 530.
Worms: trattato ivi conchiuso fra la regina d'Ungheria, Giorgio II, re d'Inghilterra, e il re sardo Carlo Emmanuele, VII, 515, 557.
[1187]
Zaba o Zabda, generale di Zenobia regina dei Palmireni, acquista l'Egitto, I, 942. Rotta a lui data da Aureliano Augusto, 961.
Zacheria, patriarca di Gerusalemme, condotto schiavo dai Persiani, II, 1155.
Zacheria papa. Sua elezione, III, 224. Non protegge Trasmondo duca di Spoleti, 225. Ricupera quattro città dal re Liutprando, 228. Suo viaggio a Pavia, 232. Sua carità, 240, 241. Placa il re Ratchis, e l'induce a farsi monaco, 241. Promuove al regno di Francia Pippino, 246. Termina i suoi giorni, 247.
Zacheria, vescovo d'Anagni, III, 698.
Zaddo, Saraceno, dopo aver fatto omaggio a Carlo Magno della città di Barcellona, allorchè Lodovico, re d'Aquitania, entra colle armi in Catalogna, si mostra mancator di parola e nemico, per cui è assediato in Barcellona stessa, III, 431. Per andare a chieder soccorso agli altri Mori di Spagna, uscito di città, è preso e condotto al re Lodovico, ivi. Presentato a Carlo Magno, è da lui esiliato, 432.
Zama, generale dei Saraceni in Ispagna, III, 165.
Zara, città della Dalmazia, presa dai Veneziani coi crociati, sotto la condotta di Arrigo Dandolo, IV, 979.
Zazone, fratello di Gelimere, re dei Vandali in Africa, mandato da lui con una flotta per ricuperare la Sardegna, II, 850. Entra in Cagliari e trucida Goda occupatore dell'isola, ivi. Si riunisce colla sua flotta al fratello, 851. È assalito e vinto da Belisario, ivi.
Zecca, in quali città d'Italia sotto Carlo Magno, III, 458.
Zefirino, romano pontefice, I, 672. Suo martirio, 736.
Zenobia (Settimia), Augusta, moglie di Odenato Palmireno, si ritiene tenesse mano all'omicidio del marito, spinta da gelosia di veder da lui [1188] anteposto il figliastro a' suoi figli, I, 929. Prende le redini del governo, 930. Col mezzo del suo generale Zabda conquista l'Egitto, 942. Sue rare qualità, 956, 957. Rotta al di lei esercito data da Aureliano Augusto, 961. Insolente risposta da lei data allo stesso imperadore, che le offriva buoni patti, 963. Si ritira sulle terre dei Persiani, ivi. Presa per via, 964. Da Aureliano condotta in trionfo a Roma, ivi, 970. Da quell'imperadore le è perdonato ed assegnato un decente appannaggio, 970.
Zeno (Carlo), V. Carlo Zeno.
Zenoida, V. Zenonida.
Zenone, figliuolo di Polemone re di Ponto, da Germanico creato re d'Armenia, I, 56. Sua morte, 104.
Zenone (Flavio), console pagano sotto l'imperadore Teodosio II, tenta di abolire la religione cristiana, II, 531. Sua morte, ivi.
Zenone Isauro, marito di Arianna figlia di Leone Augusto, da lui creato console, II, 632. Mandato contro gli Unni che infestavano la Tracia, 634. Insidie a lui tese da Anspare patrizio, ivi. Eletto imperador d'Oriente, 651. Per la sollevazione di Basilisco fugge in Isauria, 658. In qual anno ciò accadesse, 663, 666. Ritorna sul trono, 664. È fautore degli eretici, 671. Sedizione di Marciano, figlio dell'imperadore Antemio, contro di lui, 674. La reprime, e relega Marciano stesso con la moglie Leonzia in Papurio, castello della Cappadoce, 675. Con regali e denaro fa retrocedere Teoderico, re degli Ostrogoti, avviatosi con un'armata contro Costantinopoli, ivi, 685. Ambasciatori a lui spediti dal re Odoacre e de' Galli occidentali, 677. Propende per Odoacre, ivi. Al quale conferisce il patriziato di Roma, 678. Alle sue istanze Unnerico, re de' Vandali, permette che, dopo ventiquattr'anni di sede vacante, il clero e popolo cattolico di Cartagine [1189] eleggano il loro vescovo, ivi. Gli è mossa guerra da Teoderico Amalo re dei Goti, 681. Per consiglio d'Illo, generale delle sue armi, caccia da Costantinopoli e relega nella Cappadoce Verina Augusta, vedova dell'imperadore Leone, ivi. Pubblica l'Enotico, 682. Gli si ribellano Illo e Leonzio, 686, 687. Manda loro contro un'armata per terra e per mare, 688. Dal quale restano pienamente sconfitti, ivi. Sua instabile credenza, 690. Gli è fatta guerra da Teoderico, re degli Ostrogoti, 694. Pace e concordia fra lui e Teoderico Amalo, 696. Permette a Teoderico stesso di passare al conquisto d'Italia, 697. Sua morte, 705.
Zenone, diacono della chiesa di Pavia, muore per salvare il re Cuniberto, III, 83, 84.
Zenonida, ossia Zenoida, moglie di Basilisco, usurpatore dell'imperio in Oriente, II, 658.
Ziebelo, cioè Diavolo, capo dei Turchi Gazari, si collega con Eraclio Augusto, II, 1186.
[1190]
Zizim, eletto re dei Sarmati da Costanzo Augusto, II, 84.
Zizim, fratello di Baiazette II imperador dei Turchi, viene in mano di papa Innocenzo VIII, VI, 103. Tentativo contro la di lui vita, 106. Per veleno a lui dato muore, 128.
Zoe, imperadrice dei Greci: sua prepotenza, IV, 210.
Zottone, primo duca di Benevento, II, 1009. Sua morte, 1088.
Zozimo papa. Sua elezione e condanna da lui fatta de' pelagiani, II, 436. Termina la sua vita, 437.
Zventeboldo, re ossia duca della Moravia, figlio di Arnolfo re di Germania, sue turbolenze quetate dall'imperadore Carlo il Grosso, III, 842. Perseguita Rodolfo, re della Borgogna tras-jurana, 864. Spedito dal padre con un esercito in Italia in aiuto del re Berengario, 886, 894. Sua ribellione, per cui è costretto a rendersi tributario, 893. Torna in Germania, 895. Ucciso in un fatto d'armi, 939.
ANNALI D'ITALIA DALL'ANNO 1501 AL 1750
MDCLXXV
MDCLXXVI
MDCLXXVII
MDCLXXVIII
MDCLXXIX
MDCLXXX
MDCLXXXI
MDCLXXXII
MDCLXXXIII
MDCLXXXIV
MDCLXXXV
MDCLXXXVI
MDCLXXXVII
MDCLXXXVIII
MDCLXXXIX
MDCXC
MDCXCI
MDCXCII
MDCXCIII
MDCXCIV
MDCXCV
MDCXCVI
MDCXCVII
MDCXCVIII
MDCXCIX
MDCC
MDCCI
MDCCII
MDCCIII
MDCCIV
MDCCV
MDCCVI
MDCCVII
MDCCVIII
MDCCIX
MDCCX
MDCCXI
MDCCXII
MDCCXIII
MDCCXIV
MDCCXV
MDCCXVI
MDCCXVII
MDCCXVIII
MDCCXIX
MDCCXX
MDCCXXI
MDCCXXII
MDCCXXIII
MDCCXXIV
MDCCXXV
MDCCXXVI
MDCCXXVII
MDCCXXVIII
MDCCXXIX
MDCCXXX
MDCCXXXI
MDCCXXXII
MDCCXXXIII
MDCCXXXIV
MDCCXXXV
MDCCXXXVI
MDCCXXXVII
MDCCXXXVIII
MDCCXXXIX
MDCCXL
MDCCXLI
MDCCXLII
MDCCXLIII
MDCCXLIV
MDCCXLV
MDCCXLVI
MDCCXLVII
MDCCXLVIII
MDCCXLIX
CONCLUSIONE
TAVOLE CRONOLOGICHE
TAVOLA CRONOLOGICA DEI CONSOLI
TAVOLA CRONOLOGICA DEI PAPI
TAVOLA CRONOLOGICA DEGLI IMPERADORI
TAVOLA CRONOLOGICA DEI RE D'ITALIA
TAVOLA CRONOLOGICA DEI PREFETTI DI ROMA
TAVOLA CRONOLOGICA DEI DOGI DI VENEZIA
TAVOLA CRONOLOGICA DEI DOGI DI GENOVA
INDICE DELLE MATERIE
Nota del Trascrittore
Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo senza annotazione minimi errori tipografici.
Per facilitare la consultazione è stato aggiunto un indice alla fine del testo.