The Project Gutenberg eBook of L'anitra selvatica

This ebook is for the use of anyone anywhere in the United States and most other parts of the world at no cost and with almost no restrictions whatsoever. You may copy it, give it away or re-use it under the terms of the Project Gutenberg License included with this ebook or online at www.gutenberg.org. If you are not located in the United States, you will have to check the laws of the country where you are located before using this eBook.

Title: L'anitra selvatica

Author: Henrik Ibsen

Translator: Enrico Polese Santarnecchi

Paolo Rindler

Release date: April 21, 2024 [eBook #73439]

Language: Italian

Original publication: Milano: Treves

Credits: Barbara Magni and the Online Distributed Proofreading Team at http://www.pgdp.net (This file was produced from images made available by The Internet Archive)

*** START OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK L'ANITRA SELVATICA ***

L’ANITRA SELVATICA


L’Anitra Selvatica

COMMEDIA IN CINQUE ATTI

DI

Enrico Ibsen

Traduzione italiana

del Prof. Paolo Rindler ed Enrico Polese Santarnecchi.

MILANO
FRATELLI TREVES, EDITORI


Gli editori si riservano i diritti sulla proprietà letteraria, per tutto il Regno d’Italia, Trieste, Trentino, e Canton Ticino.

Chi intende valersi di questa commedia per la recita, deve assolutamente ottenerne il permesso dalla Società Italiana degli Autori, Corso Venezia, 6, Milano.

Milano. — Tip. Treves. — 1912.


[1]

PERSONAGGI.

Altri invitati in casa Werle — Domestici

Il primo atto in casa Werle, gli altri in casa Ekdal. — Epoca presente.


[3]

ATTO PRIMO.

Casa del vecchio Werle; elegante e seria stanza di studio. In fondo una biblioteca; poltrone, sedie e divani imbottiti. Grande scrivania nel mezzo con molte carte, sulla scrivania una lucerna con paralume verde che illumina fiocamente la stanza. In fondo una porta a due battenti con tende. La detta porta lascia scorgere una stanza elegante e molto illuminata. A destra due porte: una, la prima, che conduce alla sala da pranzo, l’altra, che guida agli uffici del Werle. A sinistra un gran camino con fuoco acceso.

SCENA I. Pietro, Giovanni, un Cameriere, il vecchio Ekdal.

(Pietro e Giovanni ambedue in livrea stanno mettendo in ordine lo studio. Nella stanza in fondo si vedono altri camerieri, pure in livrea, che accendono candelabri. Nella sala da pranzo si ode parlare e ridere; quando con un coltello si picchia in un bicchiere si fa silenzio, si fa un brindisi che non arriva fino al pubblico, finito il quale scoppiano vivi battimani e grida di bravo bravo).

Pietro. (accende una lampada, vi mette il paralume e la pone sul camino) Sentite Giovanni, il vecchio brinda alla signora Sorbi.

[4]

Giov. (spingendo avanti una poltrona) È vero che tra lui e lei.... non so se mi spiego.... ci sia del tenero?

Pietro. Dicono.

Giov. Lui, una volta, fu un gran ruba cuori, nevvero?

Pietro. Dicono.

Giov. E questa festa è in onore del figlio? Così almeno sentii dire in cucina.

Pietro. Sì, il signor Gregorio è arrivato ieri.

Giov. Io non sapevo neppure che avesse un figlio.

Pietro. Dacchè sono in casa Werle è la prima volta che lo vedo.

Un cameriere. (dalla soglia della porta grande) Pietro, c’è qui un vecchio che vuol vedervi ad ogni costo.

Pietro (brontolando) Fate passare, chi può essere mai a quest’ora? (dalla stanza in fondo viene il vecchio Ekdal, avvolto in un grande mantello col bavero rialzato, tenendo in una mano un nodoso bastone, nell’altra un gran berrettone di pelo, ha sotto il braccio un involto di carte).

Pietro.(andandogli incontro) Cosa fa lei qui a quest’ora?

Ekdal. Buon Pietro ho da andare in ufficio.

Pietro. A quest’ora è chiuso. Non c’è più nessuno.

Ekdal. No, vi è ancora Groberg; debbo consegnargli queste carte, abbiate la compiacenza di lasciarmi passare per di là (s’avvicina alla seconda porta di destra) La conosco la strada.

Pietro. (alzando le spalle) Per me vada pure (gli apre la seconda porta di destra) ma si ricordi di passare dall’altra strada nell’uscire, che qui ci sono degli invitati.

Ekdal. Lo so, lo so, grazie buon Pietro. (attraversa la scena dicendo a bassa voce) Imbecille (esce e Pietro rinchiude l’uscio).

Giov. È impiegato anche lui nella casa?

[5]

Pietro. No, lavora fuori.... quando c’è troppo lavoro. Vedete Giovanni, una volta Ekdal era un grande signore.

Giov. Già, l’ho sentito dire.

Pietro. Era luogotenente.

Giov. Davvero?

Pietro. Sicuro. Ma poi si diede agli affari; commerciò in legnami; fu socio col nostro padrone, col signor Werle, in una miniera, ma deve avere commesso qualche brutta azione al padrone. Io sono molto amico di Ekdal, spesso beviamo insieme una tazza di birra, dalla Eraksen.

Giov. Mi pare che il vecchio debba esser corto a quattrini.

Pietro. Pago io, bisogna bene usare dei riguardi a chi un giorno fu qualche cosa.

Giov. Troppo giusto. Ma, ditemi: forse una bancarotta?

Pietro. Peggio, fu messo in prigione, e resti tra noi. (a bassa voce) Credo sia stato condannato anche a qualche anno di galera.

Giov. (mostrasi stupito) Oh!...

Pietro. (ascoltando) Tacete, si alzano da tavola ora. (Pietro e Giovanni si ritirano nel fondo della scena sempre mettendo in ordine i mobili).

SCENA II. Werle vecchio, Sorbi, Invitati, Gregorio, Erminio e Detti.

Sorb. Fate servire il caffè nella sala grande.

Pietro. Come la signora comanda. (la Sorbi e gli invitati passano nella sala grande, dietro loro Pietro e Giovanni).

Sig. A. (sprofondandosi in una poltrona) Che pranzi, che fatica!!!

[6]

Sig. B. In tre ore se ne mangia di roba!

Sig. C. E poi il caffè e il maraschino.

Sig. A. Speriamo che la signora Sorbi ci faccia godere un poco di musica.

Sig. B. Eh! oramai, credo che presto ci accomiaterà.

Sig. A. Non lo crediate; la signora Sorbi è sempre gentile coi vecchi amici. (ridendo vanno nella sala grande).

Werle vec. (avvicinandosi al figlio) Dimmi, non se ne saranno accorti eh?

Greg. Di che?

Werle. (abbassando sempre più la voce guardandosi attorno con circospezione) Eravamo in tredici a tavola.

Greg. (alzando le spalle) Ebbene che c’è di male?

Werle. (accennando a Erminio) Di solito siamo dodici. (a voce alta) Restate voi altri?

Greg. Sì. (Werle saluta con la mano Ekdal e entra anche lui nella stanza di fondo).

SCENA III. Gregorio e Erminio.

Erm. (che ha udito il discorso del vecchio Werle, avvicinandosi a Gregorio) Non dovevi invitarmi (si siedono su un divano).

Greg. Il pranzo fu dato in mio onore, almeno così hanno detto, e non dovevo invitare il mio migliore amico?

Erm. Ti ringrazio, ma ciò deve aver recato dispiacere a tuo padre; io non vengo mai in casa tua.

Greg. Lo so. Ma io volevo vederti, parlarti; presto ripartirò e sono tanti anni che siamo divisi.

[7]

Erm. Quasi sedici anni.

Greg. Lascia che ti guardi, sei diventato un pezzo d’uomo, della salute non puoi lagnarti.

Erm. (triste) Il fisico non ha sofferto, ma il cuore!... (si passa una mano sulla fronte) La sciagura che mi è toccata.

Greg. (triste anch’esso abbassando la voce) Lo so.... e ora come sta tuo padre?

Erm. Ti prego, non parliamone. L’infelice vecchio vive presso di me.... non ha nessun altro al mondo.... parliamo delle tue miniere sarà meglio.

Greg. Sì hai ragione, (si siedono su due poltrone in faccia al camino) Nelle mie miniere, nella mia cara solitudine io pensavo a te, alla nostra amicizia.

Erm. (interrompendolo e stringendogli la mano) Grazie, grazie, ora sono certo che sei sempre lo stesso Gregorio.

Greg. Che intendi dire?

Erm. Dubitavo che dopo.... la disgrazia che mi colpì.... del resto sarebbe stato naturale.... per un pelo tuo padre non fu immischiato in quel losco affare.

Greg. E per questo io avrei dovuto amarti meno? Chi ti mise mai simili idee pel capo?

Erm. So che è vero, eppoi anche tuo padre me lo disse.

Greg. (sorpreso) Mio padre!... (dopo breve pausa) Ecco perchè non ti facesti più vivo.

Erm. Già....

Greg. T’intendo sei diventato fotografo?

Erm. Fu tuo padre che mi consigliò di non avvertirti.

Greg. (presto) Forse ha avuto ragione. Ma ora, almeno, sei contento della tua nuova professione?

Erm. (sospira) Perchè no? Oramai mi ci sono avvezzato. Sul principio l’osso era duro a rodere.... [8] ho dovuto troncare i miei studi.... Tutto. Dopo la disgrazia di mio padre non m’era rimasto un soldo.... Ah! Gregorio che vergogna!... che vergognai...

Greg. Lo so, lo so.

Erm. Di tutto quanto avevamo non restava che una obbligazione verso tuo padre.

Greg. (scuote mestamente il capo).

Erm. Capii che per sdebitarmi dovevo cambiar vita. Il signor Werle mi consigliò ed anzi mi ha aiutato.

Greg. Mio padre?

Erm. Sì, fu lui che mi ha dato i denari per impiantare il mio laboratorio.... Ed è costato caro sai? Credevo te l’avesse scritto.

Greg. No, si sarà dimenticato, ci scrivevamo solo per affari.... Dunque fu lui.

Erm. Sì, lui ha pensato a tutto, ed ha anche combinato il mio matrimonio. Questo lo sapevi?

Greg. No. (stringendogli la mano) Ma le tue parole mi fanno piacere, mi persuadono che anche mio padre ha....

Erm. Del buon cuore, sì molto ne ha....

Greg. (stringendogli forte la mano) Grazie, grazie.... E spero che tua moglie ti farà felice....

Erm. Sono felice, è una buona e brava donna che non manca di educazione.

Greg. (tra sè) No, non può essere lei.

Erm. Se tu mi verrai a trovare, sono certo che non riconoscerai più la Gina.

Greg. (meravigliato) La Gina?

Erm. Non ti ricordi, quella giovane che fu dama di compagnia di tua madre?

Greg. (fissando Erminio negli occhi) Gina Hansen; quella che assistette la mia povera mamma.

Erm. Appunto. (con un sorriso) Vedi che il signor Werle ti aveva scritto qualche cosa.

Greg. (alzandosi e passeggiando) Sì, sì.... mi pare, [9] mi pare, (si siede sul bracciale della poltrona dov’è seduto Gregorio) E fu mio padre che ti fece conoscere lei?

Erm. Gina non restò molto tempo in casa tua, erano gli anni in cui tua madre stava male; un anno o due prima della sua morte.

Greg. (serio) L’anno stesso. Continua.

Erm. E poi ritornò presso sua madre che faceva l’ostessa, fu appunto in casa sua che tuo padre affittò per me una stanza.

Greg. Vi siete conosciuti?

Erm. E ci siamo amati.

Greg. (torna ad alzarsi e passeggia di nuovo) E fu quand’eri già fidanzato che.... che ti diede i mezzi per aprire una fotografia?

Erm. Sì, voleva vedermi a posto. Che dovevo fare?... E poi avevo il vantaggio che a quest’arte Gina non era del tutto estranea.

Greg. Tutto vi andava a meraviglia.

Erm. (alzandosi) Era così ben combinato!

Greg. Hai ragione.... Mio padre per lei fu una provvidenza.

Erm. (commosso) Egli non ha abbandonato nella sventura il figlio del suo vecchio amico. Credimi, ha cuore.

SCENA IV. Detti, Sorbi, Werle, Invitati, Servitori, poi Groberg e Ekdal.

Sorbi. (prendendo per mano Werle padre) Non una parola di più: a lei la luce fa male.

Werle. (liberandosi dalla stretta della Sorbi a mezza voce) Non ha torto.

(Pietro e Giovanni portano il punch).

[10]

Sorbi. (andando alla porta) Chi di lor signori vuole il punch favorisca di qua.

Sig. A. (sull’uscio) Mi dica è vero che lei ha proibito di fumare.

Sorbi. Verissimo.

Sig. B. E perchè?

Sorbi. Perchè l’ultima volta approfittaste troppo del permesso datovi.

Sig. A. E il verdetto è inappellabile.

Sorbi. Inappellabile.

(la maggior parte degli ospiti entrano in scena, distribuendosi a capannelli: a ciascuno i domestici portano il punch).

Werle. (a Erminio che appoggiato al camino guarda un album di fotografie) Cosa studia Ekdal?

Erm. Guardo queste fotografie.

Sig. A. (che sarà sdraiato in una poltrona) E non ne portò delle sue?

Erm. No.

Sig. A. Fece male. Se è lecito, perchè?

Sorbi. Perchè, caro consigliere, quando si è invitati a pranzo non s’ama parlare del proprio lavoro (continua a ridere e scherzare con gli invitati. Erminio è tornato a sfogliare l’album).

Greg. (avvicinandosi ad Erminio) E tu non parli?

Erm. Perchè vuoi che parli? Ascolto.

Sig. B. (a Werle) Il vino di Ekdal fa bene, nevvero?

Werle. Il tokai che avete bevuto oggi posso garantirvi che è genuino. Questa fu una delle migliori annate.

Sig. A. Di un gusto squisito.

Erm. (che si sarà allontanato dal camino, bonariamente dice) Il gusto del vino varia di anno in anno?

Sig. C. (ridendo) Non ve ne intendete dunque?

Werle. (che sarà andato ad appoggiarsi al camino, sorridendo) Non è confortante per chi vi procura dare dei migliori vini.

[11]

Sig. C. Al vino avviene quello che sapete colle fotografie! Hanno bisogno del sole, nevvero?

Erm. Di certo, il sole fa il suo dovere.

Sorbi. Come per i consiglieri. (si rivolge ad A. B. C.) Hanno bisogno di vederci ben chiaro.

Sig. A. Badi, è una malignità questa.

Sorbi. Tutt’altro, affermo solo che i vini vecchi sono i migliori.

Sig. C. E metterebbe me tra i vini vecchi? (sorridendo) Il cielo me ne scampi.

Sig. A. Dica la verità, mi annovera tra quali vini?

Sorbi. Tra i vini dolci. (prende un bicchiere di punch e continua a scherzare)

Werle. Signora Sorbi, lei sa tenerli a bada tutti questi signori. (a Pietro che è in fondo della scena) Ma Pietro sta attento ai bicchieri. (Pietro torna ad empire i bicchieri) Gregorio, bevine un altro sorso con me. (vedendo che il figlio non si muove) E lei pure, signor Ekdal, a tavola non ebbi occasione di brindare con lei.

Groberg. (affacciandosi alla porta di destra che dà agli uffici) Signor Werle, non posso uscire.

Werle. Hanno chiuso il portone?

Groberg. Sì, e il facchino ha portato via la chiave.

Werle. Passi di qua....

Groberg. Non sono solo.

Werle. Non importa.

(Groberg e il vecchio Ekdal entrano in scena, nel vedere il vecchio Werle retrocede di qualche passo turbato).

Greg. Ah!...

(Gli ospiti cessano dal parlare, Groberg ed Ekdal attraversano la scena).

Ekdal. (inchinandosi) Mi scusino, mi scusino, (torna per la porta in fondo).

Werle. (mormora fra i denti) Sciocco d’un Groberg.

Greg. (stupito e fermando Erminio) Ma quello non è....

[12]

Sig. A. Chi è? chi è?

Greg. (ravvedendosi) Il segretario di mio padre e un impiegato.

Sig. C. (a Erminio) Lo conosceva lei quel vecchio?

Erm. (con voce spenta) Io.... no.

Sorbi. (non vista si avvicina a Pietro) Dà qualche cosa a quel vecchio.

Pietro. (inchinandosi) Corro. (parte).

Greg. (che si è avvicinato ad Erminio a voce bassa) Dunque era proprio lui.

Erm. Sì.

Greg. Era qui, e non l’hai salutato?

Erm. (con voce commossa) Ma cosa avrei dovuto fare?

Greg. Riconoscerlo! È tuo padre.

Erm. (con dolore) Se tu fossi al mio posto.

(La conversazione che s’era assopita è tornata a divenire rumorosa).

Sig. B. (avvicinandosi a Gregorio ed Erminio) Scommetto che rievocate gli anni in cui eravate studenti. Signor Ekdal posso offrirle un sigaro.... ah! è vero che qui non è permesso.

Erm. Grazie, non fumo.

Sig. A. Lei, vede, signor Ekdal, dovrebbe declamarci qualche cosa, una volta era così bravo.

Erm. Mi rincresce, non mi ricordo più di nulla.

Sig. B. Peccato, peccato. (si allontanano e seguono gli altri invitati che sono già nella stanza in fondo).

Erm. (triste a Gregorio) Bisogna che me ne vada, saluta tuo padre per me.

Greg. Vai a casa tua?

Erm. Sì, perchè me lo domandi?

Greg. Più tardi forse verrò da te.

Erm. No, è meglio che tu non ci venga, uscendo da una festa così grande ti sembrerebbe troppo triste. Ci troveremo in città.

Sorbi. (che viene dal fondo) Se ne va, signor Ekdal?

[13]

Erm. Sì, signora.

Sorbi. Mi saluti la Gina. (gli stende la mano)

Erm. (stringendo la mano) Grazie.

Sorbi. Le dica che tra poco verrò a trovarla.

Erm. Mi farà un regalo. (a Gregorio che vorrebbe accompagnarlo) No, resta qui, me ne vado senza che nessuno se ne accorga. (stringe la mano a Gregorio, saluta ancora la Signora Sorbi ed esce dal fondo)

Sorbi. (a Pietro che è entrato in scena) Avete dato qualche cosa al vecchio?

Pietro. Sì, una bottiglia di cognac.

Sorbi. Potevate scegliere meglio.

Pietro. Conosco il suo debole. Va pazzo per il cognac.

Sig. A. (sulla porta con un pezzo di musica in mano) Signora Sorbi ci suona un pezzettino?

Sorbi. Volentieri (va nella stanza in fondo, tutti gli invitati applaudono).

SCENA V. Gregorio e Vecchio Werle.

(Il vecchio Werle entra in iscena e si mette a sfogliare carte alla scrivania, pare desideri che Gregorio parta, vedendo che questo non si muove, si dirige verso la porta di destra).

Greg. Avrei bisogno di parlarti.

Werle. (fermandosi) Non puoi aspettare quando saremo soli?

Greg. Forse, non ci troveremo mai soli.

Werle. (avvicinandosi) Cosa vuoi?

(Si ode il suono del piano-forte che continuerà fino quasi alla fine della scena).

[14]

Greg. Come mai quella famiglia è andata sì in basso?

Werle. Parli degli Ekdal, mi immagino.

Greg. Sì del luogotenente Ekdal, una volta il tuo grande amico.

Werle. Pur troppo; dovetti sopportarlo parecchi anni ed ebbi a pentirmene; fu per mia colpa che sul mio nome è rimasta una piccola macchia.

Greg. (a voce bassa) E lui solo era il colpevole?

Werle. Di chi sospetti ancora?

Greg. Voi, avevate comprato insieme il bosco.

Werle. Ma! prima li aveva lui, lui aveva i disegni fatti, fu lui che fece abbattere gli alberi sopra terreno municipale; il responsabile del lavoro era lui, io non sapevo cosa si facesse.

Greg. Forse era Ekdal che non sapeva quello che si faceva.

Werle. Può essere. Ma al giudizio lui fu condannato ed io assolto....

Greg. Per mancanze di prove, lo so.

Werle. Un’assoluzione è sempre un’assoluzione. Ma perchè vai a rinnovare quei tristi fatti che mi fecero invecchiare innanzi tempo? Pensavi a ciò forse lassù alle miniere? Gregorio, queste storie sono dimenticate.... almeno per ciò che mi riguarda.

Greg. E quell’infelice famiglia?

Werle. Cosa poteva fare? Quando Ekdal uscì di prigione era un uomo perduto, non è di quelle fibre che resistono ai colpi violenti e che sanno riabilitarsi. Io feci quello che stava in me, sempre senza compromettermi perchè non avessero a sospettare. Gli ho dato del lavoro pagandolo molto, molto di più di quello che si meritava.

Greg. (sorridendo tristamente) Non ne dubito.

Werle. Credi forse che io menta? Sui miei libri non troverai il suo salario, tali spese sui libri non le metto.

[15]

Greg. Già, certe spese stanno bene fuori dei registri.

Werle. (guardandolo) Che intendi dire?

Greg. (parlando a stento) Hai tu tenuto conto delle spese fatte per impiantare a Ekdal una fotografia?

Werle. Io? In che modo?

Greg. So, so tutto, so che fosti tu ad aiutarlo.

Werle. Dunque vedi che per gli Ekdal ho fatto qualche cosa.

Greg. Dimmi, fu quando Erminio era fidanzato che tu lo prendesti tanto a cuore?

Werle. Non me ne ricordo.

Greg. Mi annunciasti il matrimonio di Erminio in un poscritto, dopo una lunga lettera d’affari; in poche parole! Ekdal si sposa con una certa signorina Hansen.

Werle. È il nome di sua moglie.

Greg. Ma non riflettesti che questa Hansen era Gina la nostra ex governante!

Werle. (tentando sorridere) Non supponevo che la nostra ex governante ti interessasse tanto.

Greg. (parlando lentamente) A qualcun altro interessava molto.

Werle. Cosa vuoi dire con ciò. (alzando la voce) Alluderesti a me?

Greg. (c. s.) Sì, alludo a te.

Werle. E tu osi?... Come mai quel dannato fotografo ti mise simili idee per il capo?

Greg. Erminio non mi ha detto nulla, sono certo che lui neppure lo immagina.

Werle. Ma chi fu allora?

Greg. (con voce triste) La mia povera madre, l’ultima volta che la vidi.

Werle. Tua madre!... Dovevo immaginarlo, voi altri due andaste sempre d’accordo. Essa anzi ha sempre cercato di alienarmi la tua affezione.

Greg. Non fu lei, ma la vista di quello che dovette sopportare prima di morire.

[16]

Werle. Ma se non aveva nulla da soffrire.... almeno meno delle altre; con la gente stravagante, già difficilmente si va d’accordo e ne parlo per esperienza. Ora tu, dopo tanti anni torni per lanciarmi calunnie che credevo dimenticate e contro tuo padre.... Gregorio alla tua età dovresti occuparti di qualche cosa di più utile.

Greg. (triste) Lo so, lo so.

Werle. (con voce carezzevole) Ti sentirai il cuore più libero. A che ti servì rimanere alle miniere tanti anni non volendo che il solo stipendio di uno scrivano? Fu una sciocchezza da parte tua.

Greg. Se non fossi sicuro direi....

Werle. Ti comprendo, non vuoi nulla da me. Ebbene ora ti si presenta l’occasione per renderti indipendente.

Greg. In che modo?

Werle. Quando ti scrissi di venire in città.... (parla impacciatissimo)

Greg. Ma infine che vuoi da me? È tutto il giorno che desidero saperlo.

Werle. Ti propongo di entrare socio nella mia azienda.

Greg. Io, tuo socio?

Werle. Sì, non c’è bisogno di vivere uniti, tu dirigerai l’azienda in città, io mi ritirerò alle miniere.

Greg. Tu lassù?

Werle. Sì; sento che invecchio, non lavoro più con l’ardore di un tempo e poi i miei occhi continuano a indebolirsi.

Greg. Furono sempre deboli.

Werle. Non mai come adesso. Eppoi ora desidero quel soggiorno. Ascoltami Gregorio. Noi due, non ci siamo mai amati; ma però siamo sempre padre e figlio. Cerchiamo di stabilire una specie di accordo.

[17]

Greg. In apparenza?!

Werle. Sarebbe sempre qualche cosa. Riflettici.

Greg. (fissandolo) Dove miri?

Werle. Perchè?

Greg. Tu hai bisogno di me?

Werle. Un padre ha sempre bisogno di suo figlio.

Greg. Queste sono parole.

Werle. Ti vorrei in casa per qualche tempo; io sono solo, Gregorio, e fui sempre solo durante tutta la mia vita. Ora che sono vecchio questo abbandono mi fa male; abbisogno di qualcuno.

Greg. Hai la Sorbi.

Werle. È vero; ormai quella donna mi è diventata indispensabile, lei sola arreca un soffio di vita nella mia casa.

Greg. Ma hai ciò che desideri!

Werle. Temo che ciò non possa durare; questa donna in faccia al mondo occupa un posto equivoco, temo che presto si stancherà. E, se non si stancherà, perchè ha per me della vera affezione, temo che abbia a stancarsi delle calunnie.... Tu Gregorio, tu sei giusto... dovresti comprendere....

Greg. (interrompendolo) Sii franco, la vuoi sposare?

Werle. E se avessi questa intenzione mi contrarieresti tu?

Greg. No.

Werle. Credevo, che per riguardo a tua madre....

Greg. Non sono uno sciocco.

Werle. Mi hai tolto una spina dal cuore.

Greg. (fissandolo) Ora capisco come ti sei servito di me.

Werle. Servirmi di te? Che brutta espressione!

Greg. Non misuriamo le parole.... almeno a quattr’occhi. (ride) Ed è per sposare la Sorbi che mi facesti venire in città; per lei mi proponevi una vita quieta.... Una vita di famiglia. La riconciliazione tra padre e figlio.

[18]

Werle. Non parlare così.

Greg. Ma quando abbiamo conosciuto noi la vita di famiglia? Certo, sarà un bello spettacolo nel vedere il figlio assistere alle nozze del padre; testimonio ai suoi amori..... Oh! povera morta, di te che tanto hai sofferto, che resta ormai? Anche tuo figlio è sul punto di dimenticarti.

Werle. Io credo che nessun uomo al mondo ti disgusti quanto me.... Mi hai sempre guardato con gli occhi di tua madre. (abbassando la voce) Ma ricordati che spesso tua madre aveva un velo sugli occhi.

Greg. (molto commosso) Ti comprendo.... Ma chi fu colpevole nella disgraziata malattia di mia madre?... Tu, tu e.... e quelle.... e l’ultima di esse fu quella giovane che desti in moglie ad Ekdal.

Werle. (alzando le spalle) Mi pare di rivedere tua madre.

Greg. (come parlando a sè) E quell’uomo vive nella sua innocenza, ignaro dell’inganno. Vive con una donna che... Lui non sa come la sua casa sia fabbricata sulla menzogna. (avvicinandosi a suo padre) La tua vita mi sembra un campo cosparso di membra umane.

(A questo punto il piano-forte cessa di suonare).

Werle. (con voce asciutta) Temo che la distanza che ne separa sia troppo grande.

Greg. (inchinandosi freddamente) Me ne ero accorto, per questo me ne vado.

Werle. Parti?

Greg. Sì. Oramai ho uno scopo, per raggiungere il quale posso vivere.

Werle. E sarebbe?

Greg. Rideresti se te lo dicessi.

Werle. Un uomo melanconico come me non ride mai. (Si odono gli ospiti ridere e si vede la Sorbi che con gli occhi bendati rincorre degli invitati fino al salone della festa).

[19]

Greg. (additando al fondo) Vedi là, dei consiglieri, dei dignitari che si rincorrono con la signora Sorbi.... Buona notte. Addio. (parte per la porta di destra in fondo)

Werle. (dopo che è partito) Poveretto e vuole sostenere che non è pazzo! (si avvia lentamente verso il fondo)

FINE DELL’ATTO PRIMO.


[20]

ATTO SECONDO.

Laboratorio fotografico di Erminio Ekdal — La stanza è una specie d’ampio abbaino, va cioè il soffitto abbassandosi verso il fondo; il tetto all’estremità è a vetriate con tende bleu. — In fondo una porta doppia che si apre spingendola ai lati. — A destra due porte; quella in fondo, d’entrata; quella avanti, conduce alle stanze degli Ekdal, tra le due porte un tavolo e un divano. A sinistra due porte, tra queste una stufa di ghisa. Il laboratorio è semplice ma comodo. — Un tavolo in mezzo, una vecchia poltrona dinnanzi alla stufa, in fondo a sinistra una grande scansia con libri, bottiglie, scatole, ecc. Due o tre macchine fotografiche, utensili fotografici, sui tavoli fotografie, pennelli, ecc. Sedie. Un attaccapanni. Sul tavolo addossato alle pareti di destra una lampada accesa, con paralume, rischiara la stanza.

SCENA I. Gina e Edvige poi il vecchio Ekdal.

(Gina siede su una sedia accanto al tavolo di destra e sta cucendo. — Edvige siede sul divano, e parandosi con la mano la luce, legge attentamente con i gomiti appoggiati al tavolo).

Gina. (Guarda Edvige con aria di compassione) Edvige!

[21]

Edvige. (Non sente e continua a leggere).

Gina. (più forte) Edvige!

Edvige. Cosa vuoi mammina?

Gina. Cara Edvige, tu non dovresti più leggere.

Edvige. (con voce carezzevole) Ancora un pochino mamma.

Gina. No, no, metti via il libro. Tuo padre non vuole, anche lui non legge mai la sera.

Edvige. Papà non ama quanto me la lettura. (chiude il libro).

Gina, (posa il lavoro, prende sul tavolo una matita e un pezzo di carta e guardando Edvige) Quanto abbiamo speso per il burro?

Edvige. (dopo aver pensato un poco) Una corona.

Gina. Va bene (nota) poi il formaggio (c. s.) il salame (c. s.) il pane.... (somma) Due e uno tre, tre e cinquanta, quattro e uno cinque.

Edvige. Ti sei ricordata anche della birra?

Gina. Sì (fa ancora la prova dell’addizione) Abbiamo speso molto.

Edvige. E sì che abbiamo mangiato poco, non essendoci papà non abbiamo acceso il fuoco.

Gina. E oggi incassi per vendita di fotografie, nove corone.

Edvige. Bada non sbagliare.

Gina. No, no, non dubitare.

(Gina pensierosa prende il lavoro e ricomincia a lavorare. Edvige con una matita disegna su un foglio di carta, tenendosi la mano sinistra sugli occhi).

Edvige. Non so perchè, ma mi rincresce che papà oggi sia a desinare in casa del signor Werle.

Gina. No, egli è dal figlio del signor Werle. (dopo breve pausa a capo chino) Col vecchio noi non abbiamo alcun rapporto.

Edvige. Però aspetto il babbo con desiderio; mi ha promesso di pregare la signora Sorbi di dargli qualche cosa di buono per me.

Gina. (sempre a capo chino) Eh! in quella casa, sì, che c’è l’abbondanza.

[22]

Edvige. (sempre disegnando) Ti confesso che ho un poco d’appetito.

(Entra il vecchio Ekdal con un pacco di carte sotto il braccio e tenendo un involto che cerca nascondere).

Gina. Oh! nonno, quanto ha tardato questa sera.

Ekdal. Lo studio era chiuso e Groberg mi fece tanto aspettare!... Mi toccò attraversare tutto l’appartamento.

Edvige. Ti hanno dato qualche cosa da copiare?

Ekdal. Non vedi? Tutto questo pacco.

Gina. Meno male.

Edvige. E quell’involto che hai lì sotto?

Ekdal. Non è nulla, non è nulla. (posa il bastone in un angolo) Ho da lavorare molto oggi (va al fondo, apre mezza porta e guarda nell’interno, poi richiude e borbotta tra i denti) Bene, bene, dormono assieme, poveretti si sono messi nel paniere. (sorride soddisfatto).

Edvige. E non avranno freddo nel paniere, nonno?

Ekdal. Che ti salta in mente, in mezzo alla paglia. (si dirige verso la porta di sinistra) Dove sono i fiammiferi?

Gina. Di là sul canterano.

(Ekdal entra nella sua stanza).

Edvige. Sei contenta, eh? che il nonno abbia avuto molto lavoro?

Gina. Sì, povero vecchio. Almeno potrà guadagnare qualche cosa.

Edvige. E non starà tutto il giorno alla bettola della Ericsen.

Gina. Anche per questo (breve pausa).

Edvige. Papà sarà ancora a tavola.

Gina. Può darsi.

Edvige. Chissà quante buone cose gli daranno! Stasera papà sarà contento?

Gina. Se almeno gli si potesse dire che abbiamo affittato la stanza.

[23]

Edvige. Per questa sera non ce n’è bisogno.

Gina. Ma non la va sempre bene.

Edvige. Non m’hai capito, intendo dire che per questa sera sarà già di buon umore?

Gina. (guardandola) Sei contenta dunque di vedere tuo padre di buon umore.

Edvige. (con trasporto) Tanto! Gli voglio tanto bene!

(Ekdal fa per andare verso la porta di sinistra).

Gina. (volgendosi) Vuole qualche cosa in cucina?

Ekdal. Resta pur a sedere, vado io (esce per l’altra porta di sinistra).

Gina. Purchè non abbia a bruciarsi al fuoco (ascoltando un momento) Edvige, guarda quello che fa.

(Ekdal rientra con una brocca d’acqua bollente e si dirige verso la sua stanza).

Edvige. Volevi dell’acqua bollente?

Ekdal. Sì, ho da scrivere e di là ho freddo.

Gina. Se vuol mangiare di là vi preparo la cena.

Ekdal. Ho da lavorare, per ora non mangio. Ho da lavorare e non voglio che nessuno m’abbia a disturbare (brontolando entra nella sua stanza).

Gina. (dopo breve pausa piano ad Edvige) Dove avrà preso del denaro?

Edvige. Groberg lo avrà pagato.

Gina. No, Groberg lo dà a me.

Edvige. Gli avranno imprestato tanto da comprarsi una bottiglia.

Gina. E chi vuoi che impresti a lui, povero vecchio?

[24]

SCENA II. Erminio e detti.

(Erminio entra in scena con un lungo paletot a bavero rialzato e con un gran cappello di feltro grigio).

Gina. (non appena lo vede posa il lavoro e s’alza tosto) Erminio! già di ritorno?

Edvige. (balzando in piedi) Sei già qui papà?

Erm. (levandosi il cappello) La maggior parte degli invitati se ne viene via ora.

Edvige. Così presto?

(Erminio fa per levarsi il paletot).

Gina. Lascia che ti aiuti.

Edvige. Anch’io. (Gli tolgono il paletot che Gina appende all’attaccapanni) Dimmi v’era molta gente?

Erm. Dodici o quattordici persone, salvo errore.

Edvige. E tu hai parlato con tutti?

Erm. (sorridendo) Sì, con tutti un poco, ma io ero sempre con Gregorio.

Gina. È sempre così brutto Gregorio?

Erm. Bello certamente non è.... ma ditemi, papà è rientrato?

Edvige. Il nonno? Sì è nella sua camera.

Erm. E non vi ha detto nulla?

Gina. Cosa doveva dirci?

Erm. Non vi ha detto che....? Mi parve udire che fosse stato da Groberg. Voglio parlargli.

Gina. No, lascialo stare.

Erm. (vivamente) Fu lui che disse non volermi vedere?

Gina. No. Ma non vuole che lo si disturbi.

[25]

Edvige. (fa capire con cenni che sta bevendo)

Gina. (non badando ai cenni di Edvige) Poco fa venne a prendere dell’acqua.

Erm. Dunque è di là seduto che....

Gina. Credo.

Erm. (con un sospiro) Povero vecchio, lasciamo che faccia quello che vuole.

SCENA III. Detti e il vecchio Ekdal.

Ekdal. (a Erminio) Sei tornato?

Erm. Or ora.

Ekdal. Non mi avevi visto?

Erm. No, ma appena seppi che tu eri stato là, ti volli seguire.

Ekdal. Va bene, va bene. — E chi erano quegli invitati?

Erm. C’erano dei consiglieri, dei ciambellani.

Ekdal. (assentendo col capo) Senti Gina, è stato con dei consiglieri, con dei ciambellani.

Gina. Era dunque una festa di gala?

Edvige. (ingenuamente) E cosa hanno fatto questi signori Consiglieri, hanno cantato? Hanno letto?

Erm. No, hanno detto molte sciocchezze. Volevano che io declamassi.

Ekdal. E non hai voluto?

Erm. No! non ero mica andato là per divertirli, a loro tocca far divertire, loro che passano la vita a pranzi e colazioni.

Gina. Non avrai detto ciò a loro?

Erm. Sotto altra forma. (sprezzante) In fine, poi, per poco non si accendeva una discussione sul Tokai.

[26]

Ekdal. Oh! il mio vino favorito!

Erm. Ma non parliamo più di ciò... del resto erano persone amabili e ben educate.

Edvige. (accarezzando Erminio) Papà, come sei carino in marsina.

Erm. Nevvero? Pare sia fatta per me, solo mi è stretta di spalle, dammi la mia giacca.

Edvige. Subito (corre all’attaccapanni e prende una giacca che Erminio si infila dopo essersi levato il frak).

Erm. (a Gina) Domani mattina subito mandala a Moldik.

Gina. Non dubitare. (dà ad Edvige il frak che l’appende all’attaccapanni).

Erm. così sto più comodo, eppoi è più adattata a me. Nevvero Edvige?

Edvige. Sì, papà.

(Il vecchio Ekdal va alla poltrona innanzi alla stufa di ghisa e si siede).

Erm. E sono bello lo stesso anche se mi levo questa cravatta che mi strozza, dillo tu. (si leva la cravatta).

Edvige. Sei sempre bello con questi baffoni e coi tuoi capelli ricci.

Erm. (sorridendo) Dì piuttosto arruffati. (bacia Edvige).

Edvige. (tirando per la giacca) Papà.

Erm. Cosa vuoi?

Edvige. Tu lo sai quello che voglio.

Erm. Non so niente io.

Edvige. (con voce piagnucolosa) Non farmi penare, brutto cattivo.

Erm. Cosa vuoi?

Edvige. Cosa mi hai promesso?

Erm. (battendosi la fronte) Scusami piccina mia, me ne sono dimenticato.

Edvige. Tu vuoi scherzare, ma non ci credo.

Erm. No, non scherzo, ti prego scusarmi. Però ho qualche cosa per te (va alla marsina e ne prende una carta) Prendi.

[27]

Edvige. Ma questo è un pezzo di carta.

Erm. È il menù; qui sta la lista di tutto ciò che ho mangiato. — Via Edvige, per poche ghiottonerie non mettere il broncio.

Edvige. Grazie. (caramente prende il menù e si siede sul divano senza leggerlo, Gina le fa dei cenni ed Erminio se ne accorge).

Erm. Ebbene cosa c’è? Un padre di famiglia per esser buono, per essere perfetto non può nemmeno dimenticarsi la più piccola cosa. Per cosa da nulla si devono vedere visi lunghi e corrucciati. Ciò non voglio, non voglio. (fermandosi vicino a Ekdal) Papà hai guardato là dentro? (accenna nel fondo).

Ekdal. E puoi dubitarne? È andata nel cesto.

Erm. Sì? Allora comincia ad addomesticarsi.

Ekdal. Però dobbiamo fare dei miglioramenti.

Erm. Vieni qui allora babbo, parliamo sul da farsi.

Ekdal. Ora no; lascia che vada ad accendere la pipa. (entra nella sua stanza).

SCENA IV. Detti meno Ekdal.

Gina. (ridendo ed accennando ad Erminio) Va ad accendere la pipa!

Erm. Lasciamo che faccia quello che vuole. La riparazione la faremo domani.

Gina. Domani non avrai tempo.

Edvige. (interrompendo) Ma sì, mamma.

Gina. Pensa che domani hai da ritoccare quelle copie per quegli stranieri di faccia. Mandarono qui già parecchie volte.

[28]

Erm. (sbuffando) Domani saranno finite. Vennero nuove ordinazioni?

Gina. Disgraziatamente no, domani non hai che quel lavoro.

Erm. Null’altro... già è chiaro quando nessuno se ne occupa...

Gina. Perchè parli così? Anche oggi fui per una inserzione sui giornali.

Erm. Sì, i giornali, i giornali... vedo quanto servono. Per la stanza non è venuto nessuno?

Gina. Non ancora.

Erm. Lo prevedevo... Non ve ne prendete cura! non ve ne prendete cura!...

Edvige. (si alza e va presso Erminio) Vuoi il flauto papà?

Erm. No, non voglio nulla (passeggia concitato). Domani lavorerò, non dubitate, tornerò a lavorare come un negro perchè non abbiate a mancare di nulla.

Gina. Caro Erminio, non parlare così; io non intendevo dirti quanto pensi.

Edvige. (con voce carezzevole) Vuoi un poco di birra?

Erm. (sempre passeggiando) No, non mi seccate (dopo breve pausa). Cosa hai detto, birra?

Edvige. È buona, papà, e fresca.

Erm. (brusco) Dammela allora. (Edvige corre saltellando verso la cucina, Erminio appoggiato alla stufa la contempla, quando è vicina all’uscio con voce dolce) Edvige!

Edvige. (con gioia) Oh! papà mio. (corre nelle sue braccia).

Erm. (accarezzandola) Non mi chiamare così. Io ero a una tavola ricca e non mi sono ricordato di voi. Non ho portato nulla a te, bambina mia. E mentre io mi divertivo, voi altri due qui....

Gina. (che è seduta vicino al tavolo, commossa) Non dire sciocchezze.

Erm. Ma non siete in collera con me, voi sapete che io vi amo.

[29]

Edvige. (abbracciandolo) E noi ti adoriamo.

Erm. Se talvolta sono irragionevole, nervoso, ingiusto.... compatitemi.... mio Dio, ho tanti pensieri per il capo (asciugandosi furtivamente una lagrima) No, non voglio birra, dammi il flauto.

(Edvige corre alla scansia e prende il flauto che dà ad Erminio) Grazie.... tra voi due e col mio flauto mi sento felice anch’io.

(Edvige si siede vicino a Gina abbracciandola, Erminio comincia a suonare una danza boema in tempo largo, dopo poche battute s’interrompe).

Erm. (stendendo la mano sinistra a Gina) Gina mia, la nostra casa è piccina, ma ci troviamo bene non è vero?

Gina (commossa gli stringe la mano).

(Erminio ricomincia a suonare, in quella si ode bussare alla porta).

Gina. (alzandosi) Aspetta Erminio, mi pare abbiano bussato.

Erm. (deponendo il flauto) Chi può essere a quest’ora?

(Gina entra a destra).

SCENA V. Gregorio e DETTI.

Greg. (di dentro) È permesso?

Gina. (c. s.) Oh!

Greg. (c. s.) Abita qui il fotografo Ekdal?

Gina. (c. s.) Appunto, passi.

Erm. (andando alla porta) Gregorio? Tu qui? Entra, entra.

Greg. (entrando seguito da Gina) Non ti avevo detto che sarei venuto da te?

[30]

Erm. Hai abbandonato gli invitati?

Greg. E la mia famiglia. (a Gina) Buona sera signora Ekdal, mi riconosce?

Gina. (turbata) Il figlio del signor Werle, non è difficile a riconoscere.

Greg. No, io assomiglio a mia madre. Se ne ricorda ancora, lei?

(Gina si turba).

Erm. (che non si è accorto del turbamento di sua moglie.) Hai abbandonato la casa?

Greg. Sì, sono andato ad alloggiare all’albergo.

Erm. Giacchè sei qui, togliti il pastrano.

Greg. Grazie. (si toglie il paletot, anche lui non sarà più in marsina)

Erm. Vieni, siediti vicino a me. (Gregorio si siede sul divano ed Erminio su una sedia in faccia a lui).

Greg. (guardandosi attorno) Qui tu dimori! tu lavori qui?

Erm. Questo è il mio laboratorio.

Gina. È la camera più grande.

Erm. Questa casa ha un grande vantaggio, che in faccia a noi abbiamo dei campi, non case che ti tolgono la luce e l’aria.

Gina. In fondo al corridoio poi, c’è una stanza da affittare.

Greg. (ad Erminio) Affitti stanze?

Erm. Se mi capita. (a Edvige) Ma tu volevi portare della birra.

Edvige. (che si sarà tenuta in disparte, assente col capo e corre in cucina).

Greg. E quella graziosa fanciulla è tua figlia?

Erm. Sì, è la mia.... la nostra Edvige.

Greg. La vostra unica figlia.

Erm. Sì, il nostro tesoro, la nostra gioia più grande e.... (abbassando la voce) e il nostro più grande dolore.

Greg. Cosa intendi dire?

Erm. Gregorio mio, mia figlia deve divenire cieca!

[31]

Greg. (stupito) Cieca?

Erm. Sì, i primi sintomi si sono già manifestati, non vi è rimedio, capisci, non v’è rimedio, è questione di tempo.

Greg. Qual terribile sciagura! E le cause?

Erm. (sospirando) Atavismo.

Greg. (con stupore) Malattia ereditaria?

Gina. La madre d’Erminio era malata d’occhi.

Erm. Almeno così mi disse mio padre, tu lo sai che io non l’ho conosciuta.

Greg. Povera fanciulla, e lei....

Erm. Lei non sa nulla, non ci regge il cuore di dirglielo. A che scopo funestarle questi pochi anni che le restano di felicità? Allegra e noncurante quel vispo uccellino vola verso l’eterna notte (commosso) Credi, Gregorio, questi sono dei gravi dolori!

(Edvige rientra portando su un vassoio una bottiglia di birra e delle tazze, e pone il vassoio sul tavolo).

Grazie, Edvige mia.

(Edvige gli getta le braccia al collo e gli sussurra delle parole all’orecchio).

Erm. Per me no. (a Gregorio) Vuoi dei sandwichs?

Greg. No, no, grazie.

Erm. Però se ti fa piacere, portali pure, chissà che avendoli sottomano.

(Edvige contenta va in cucina correndo).

Greg. (seguendola con gli occhi) Eppure pare tanto sana.

Gina. Grazie a Dio non soffre che agli occhi.

Greg. Con l’andare degli anni assomiglierà a sua madre. Quanti anni ha ora?

Gina. Compie domani i sedici.

Greg. Come è alta!

Gina. Sì, è cresciuta presto.

Greg. Essi crescono e noi invecchiamo (ad Erminio) Da quanto tempo sei ammogliato?

[32]

Erm. Da sedici anni.

Greg. Quanto tempo!

(Gina lo guarda con inquietudine).

Erm. E a te parvero lunghi gli anni nelle miniere?

Greg. Allora sì, ora mi pare sieno volati.

SCENA VI. Il vecchio Ekdal e DETTI.

Ekdal. (viene dalla sua stanza senza pipa e con in capo la sua vecchia berretta da soldato; è un pochino ubbriaco) Ora Erminio sono da te, possiamo discorrere liberamente (fermandosi) Oh!...

Erm. (alzandosi) Papà, qui c’è Gregorio Werle.

(Gregorio s’alza e si dirige verso il vecchio).

Ekdal. Werle? Il figlio? Cosa vuole da me?

Erm. (sorridendo) Viene a trovar me.

Ekdal. Ah!... se non è che per questo.... io non temo più nessuno.

Greg. Sono io che vengo a portarle un saluto dai suoi amati boschi, dove ha cacciato tanto, luogotenente Ekdal.

Ekdal. (scosso) Dai boschi?

Greg. Sì, dalle miniere di ferro.

Ekdal. Una volta io era là ben conosciuto.

Greg. E aveva rinomanza di gran cacciatore.

Ekdal. È vero (accorgendosi che Gregorio lo guarda) Guardate il mio berretto? Non lo porto che in casa. (sospira) Fuori non me lo permetterebbero.

(Edvige porta un piatto di sandwichs che pone sul tavolo).

Erm. Siediti, babbo, bevi un bicchiere di birra. Gregorio serviti.

[33]

(Ekdal borbottando si siede sul divano, Gregorio su una sedia vicino a lui, Erminio in faccia ad Ekdal che ha vicino a sè Edvige. Gina siede un poco discosta dagli altri).

Greg. (dopo aver bevuto della sua birra) Se ne ricorda ancora, tenente Ekdal, di quando a Natale e nei mesi estivi io ed Erminio venivamo lassù?

Ekdal. No, non me ne ricordo. Ma d’essere stato buon cacciatore sì che me lo ricordo. Ho ammazzato anche parecchi orsi.

Greg. (guardandolo con compassione) E ora non caccia più eh?

Ekdal. E perchè.... certo non più come allora, il bosco, il mio bosco.... (breve) Ed è sempre bello?

Greg. Non più come ai suoi tempi, per gran parte venne atterrato.

Ekdal. Molta legna? (piano quasi con paura) Fanno male, fanno male.... il bosco si vendicherà.

Erm. (mescendogli della birra) Ancora un sorso, papà.

Greg. Un uomo come lei certo si troverà a disagio qui in città, dove la luce, l’aria non viene che oscura, dove non possiamo mai abbracciare con lo sguardo vasti spazi di cielo.

Ekdal. (sorridendo) Eppure anche qui non c’è malaccio.

Greg. Pur nonostante deve amare sempre quella libera vita dei boschi, tra gli animali, gli uccelli selvatici.

Ekdal. (ridendo e guardando Erminio) Erminio, dobbiamo fargli vedere?

Erm. (imbarazzato) No, questa sera no.

Greg. Che cosa?

Erm. (sorridendo) Nulla, nulla, vedrai un’altra volta.

Greg. (continua rivolgendosi sempre al vecchio) Ekdal dovrebbe venir con me, tornare con me [34] ai suoi monti. Del lavoro ne avrà anche alle miniere. Qui nulla ha che lo possa rallegrare.

Ekdal. (guardandolo meravigliato) Non ho nulla?

Greg. Certamente, ha Erminio; ma io mi intendevo dire che....

Ekdal. (dando un pugno sulla tavola) Erminio, ora deve vedere.

Erm. Allo scuro?

Ekdal. E la luna non la calcoli tu? (si alza e va verso il fondo) Vieni, aiutarmi Erminio.

Edvige. Sì, papà, dagli retta.

Erm. (alzandosi) Come volete.

Greg. (a Gina) Cosa c’è dunque?

Gina. Non si immagini di vedere delle cose meravigliose.

(Ekdal e Erminio spingono i due battenti dell’uscio di fondo. Gregorio alzato resta presso il divano, Edvige è vicina a suo padre, Gina continua a lavorare. — Si vede nel fondo il solaio illuminato dalla luna).

Ekdal. (a Gregorio) Si avvicini.

Greg. (avvicinandosi) Cosa c’è?

Ekdal. Guardi, guardi.

Erm. (imbarazzato) Tutto ciò appartiene a papà.

Greg. (guardando nell’interno del solaio) Delle galline....

Edvige. Abbiamo anche....

Ekdal. Taci.

Greg. Piccioni.

Ekdal. Sì, hanno il loro nido lassù in alto.

Greg. E non sono piccioni comuni?

Ekdal. Comuni, ne ho delle specie più belle, quei due là in fondo sono d’Italia. Guardate quella gran cassa.

Greg. A che serve?

Ekdal. Vi dormono i conigli.

Greg. Avete anche dei conigli?

Ekdal. Edvige tirati in là; lei vede quella cesta là nell’angolo, addossata al muro?

[35]

Greg. Che bestia v’è dentro? Un uccello? Se non mi sbaglio è un’anitra.

Ekdal. Sicuro è un’anitra.

Erm. Ma che sorta d’anitra credi che sia?

Edvige. Non è un’anitra comune.

Ekdal. Signor Werle, quella è un’anitra selvatica.

Greg. Davvero?

Ekdal. La mia anitra selvatica.

Edvige. (con calore) La nostra, essa appartiene anche a me.

Greg. E come fa a vivere nel solaio?

Ekdal. Ecco là la sua vasca dove può nuotare.

Erm. Tutti i giorni le cambiamo l’acqua.

Gina. (ad Erminio) Bada, Erminio, raffredderai troppo la stanza.

Ekdal. Ritiriamoci, non vorrei disturbarle il sonno. Edvige, chiudi tu.

(Erminio ed Edvige richiudono la porta).

Ekdal. (a Gregorio) Un altro giorno l’esaminerà meglio. (si siede sulla poltrona che è in faccia alla stufa).

Greg. Come ha fatto per averla, signor Ekdal?

Ekdal. Non l’ho presa io, abbiamo da ringraziare.... un uomo di questa città.

Greg. (serio) Mio padre, forse?....

Erm. Come hai fatto ad indovinarlo?

Greg. Mi dicesti che lo dovevi ringraziare per molte cose.

Gina. Non l’abbiamo ricevuta direttamente da lui.

Ekdal. Dobbiamo però essere sempre grati al signor Giovanni Werle, Gina. (a Gregorio) Era sul mare, in barca e ci ha tirato, ma lei sa che non ci ha mai veduto bene e non l’ha che ferita in un’ala.

Greg. Sarà caduta in mare.

Ekdal. (che sarà sempre più ubbriaco con la voce grossa) Le anitre selvatiche quando sono ferite [36] si cacciano al fondo, si attaccano alle alghe e a tutta quella robaccia che c’è nel fondo e poi non risalgono più.

Greg. Ma questa è risalita.

Ekdal. Vostro padre ha un cane.... un cane che è un vero portento, si precipitò nell’acqua per ripescarla.

Greg. (a Erminio) Avvenne così?

Erm. Fu portata in casa di tuo padre, ma la poverina cominciò a deperire. Fu ordinato a Pietro, il tuo servitore, di ucciderla.

Ekdal. (quasi addormentato) E Pietro.... la portò a me.

Erm. (a Gregorio) Papà conosce Pietro, e quando questi gli raccontò che aveva da uccidere un’anitra selvatica, fece tanto che gli venne regalata.

Greg. Ed ora sta bene?

Erm. Almeno sembra, divenne grassa, e sono parecchi giorni che l’abbiamo e pare abbia dimenticato la vita selvatica.

Greg. Può essere, ma non lasciarle mai vedere nè il cielo, nè il mare. (guarda l’orologio) È tardi, non posso più restare qui, guarda tuo padre, già dorme. (accenna al vecchio Ekdal che si è addormentato).

Erm. E per ciò te ne vuoi andare?

Greg. A proposito, tu mi hai detto che hai una stanza da affittare.

Erm. Sì, potreste forse indicarmi qualche pigionale?

Greg. Io stesso, se me la dai.

Erm. Tu?

Gina. Lei signor Werle?

Greg. Se la posso avere, la prendo da domattina stessa.

Erm. Sì, e con piacere.

Gina. Ma quella, signor Werle, non è una stanza per lei.

[37]

Erm. Ma Gina?!

Gina. (imbarazzata) Sicuro, non è abbastanza grande, nè abbastanza chiara!

Erm. A me pare una bellissima stanza. (a Gregorio) Solamente non è ammobigliata con lusso.

Gina. E quei due che abitano al piano di sotto?

Greg. Chi sono questi due?

Erm. Uno è un ex maestro di scuola e l’altro è un certo dottore Relling.

Greg. Dottor Relling! lo conosco di vista, bazzicava una volta per le miniere.

Gina. Sono due importuni che la sera rincasano tardi e schiamazzano fino ad ora tarda.

Greg. A ciò ci si può presto avvezzare. Farò come la vostra anitra selvatica. (a Gina che si mostra corrucciata) Le dispiace forse che venga ad abitare in casa sua?

Gina. E come può solamente pensare ciò?

Erm. (a Gina) Sei davvero curiosa questa sera! (a Gregorio) Conti di stabilirti in città?

Greg. (infilandosi il paletot) Sì, almeno per adesso.

Erm. E non in casa di tuo padre, che vuoi dunque fare?

Greg. Non lo so. (batte una mano sulla spalla di Erminio) Io, mio caro, ho una gran disgrazia.... quella di chiamarmi Gregorio Werle.

Erm. Non ti comprendo.

Greg. So ben io quello che voglio dire.... Eh! perchè sono nato in questa famiglia?!

Erm. (sorridendo) E se tu non fossi un Werle che vorresti essere?

Greg. Cosa vorrei essere (dopo breve pausa lo prende per un braccio) Un cane....

Erm. Un cane?

Edvige. (ridendo) Un cane, che idea curiosa!

Greg. (rivolgendosi ad Edvige) Sì, signorina, un cane sagace come quello di mio padre che salvò la sua anitra selvatica.

[38]

Erm. Davvero, Gregorio, non ti comprendo.

Greg. Non c’è buon senso in quello che dico. (dopo breve pausa) Domattina verrò qui ad installarmi nel mio nuovo alloggio. (a Gina) Stia tranquilla, non le darò troppa noia. (a Erminio) Riprenderemo il nostro discorso domani. Buona notte. (a Edvige) Buona notte, cara fanciulla.

Gina. Buona notte, signor Werle.

Edvige. E buon riposo.

Erm. (che sarà andato alla scansia ed avrà accesa una candela) Aspetta ti faccio lume per le scale. (Gregorio saluta ancora quindi esce con Erminio).

Gina. (come parlando fra sè) Che strano discorso fece!

Edvige. Per me, mamma, credo alludesse a qualche cosa.

Gina. (scossa) Come sarebbe a dire?

Edvige. Almeno così mi parve.

Erm. (Erminio rientra spegne la candela) Finalmente posso mangiare un sandwich. (prende un sandwich sulla tavola e lo mangia) Vedi Gina cosa è mai il caso.

Gina. A proposito di che?

Erm. Non è una fortuna quella di aver trovato d’affittare la stanza? A chi poi? Al mio migliore amico, al caro Gregorio.

Gina. Hai ragione.

Edvige. Mamma, ora papà non sarà più di cattivo umore, eh?

Erm. (a Gina) Sei curiosa davvero? Fino ad oggi cercavi per mare e per terra di affittarla, e adesso sembri malcontenta.

Gina. Cosa vuoi Erminio, fosse almeno un altro. Che dirà suo padre?

Erm. Il vecchio Werle? Ciò non mi riguarda.

Gina. Se egli lascia la casa patema, certo tra loro è sorta una lite, e tu sai quanto noi dobbiamo essere riconoscenti al vecchio Werle.

[39]

Erm. Sì, ma....

Gina. ... E ora potrà credere che tu l’abbia consigliato alla ribellione.

Erm. (alzando le spalle) Creda quello che vuole; fece molto per me, lo riconosco, non sono un ingrato, ma non per questo ho da rendermi schiavo per tutte le mie azioni.

Gina. E se il vecchio, per vendicarsi, togliesse a tuo padre il poco lavoro che gli dà.

Erm. Quasi lo desidererei, mi umilia vedere mio padre accattonare del lavoro.... (prende un altro sandwich) Lo renderò indipendente un giorno.

Edvige. Sì, fallo papà, fallo, te ne sarò grata anch’io.

Gina. Parla più basso, non lo svegliare.

Erm. (a voce più bassa) Arriverà il giorno in cui potrò obbligare mio padre a respingere il lavoro dei Werle. (guardando commosso suo padre) Povero vecchio, padre mio, sta sicuro che il tuo Erminio è forte, lavora, e lavorerà sempre, fino a che un giorno tu potrai svegliarti e.... (a Gina) Non ci credi tu forse?

Gina. (alzandosi) Sì che lo credo, solo bada di non svegliarlo ora, guardiamo piuttosto di condurlo in stanza sua.

(Cautamente spingono la poltrona in camera del vecchio Ekdal, mentre che Edvige prende sul tavolo la lampada e fa loro lume).

FINE DELL’ATTO SECONDO.


[40]

ATTO TERZO.

La scena del secondo atto. Sono calate le tende delle vetriate del soffitto. È il mattino.

SCENA I. Erminio — Gina ed il vecchio Ekdal.

(Erminio è seduto al tavolo e sta ritoccando delle fotografie. Molte altre gli stanno davanti. Dopo qualche secondo dall’alzata del sipario entra Gina in cappello e mantello, e con un cesto coperto sotto il braccio).

Erm. Sei già qui Gina?

Gina. Mi sono affrettata, non c’è tempo da perdere (posa la cesta su una sedia e si leva mantello e cappello).

Erm. Sei andata a vedere se Gregorio abbisogna di qualche cosa?

Gina. Sì, ma sai che il tuo Gregorio è un grande originale?

Erm. Che intendi dire?

Gina. Dice che sa fare ogni cosa da sè e volle accendere la stufa, dimenticandosi di aprire la valvola, in modo che la stanza si è ben presto empita di fumo; c’era un odore tale! (Erminio [41] sorride) Poi volendo spegnere il fuoco ci rovesciò sopra una secchia d’acqua e m’ha inondato tutto il pavimento.

Erm. Questo non è piacevole.

Gina. Ho dovuto chiamare quella donna che sta abbasso, per farle pulire il suolo; ma fino a mezzogiorno, per lo meno, in quella stanza non ci si entra.

Erm. E lui che ha fatto?

Gina. Voleva uscire.

Erm. Mentre eri fuori fui da lui un momento.

Gina. Sì, lo so, me lo disse lui, mi disse anche che l’avevi invitato a colazione.

Erm. A una colazione da poco, frugale, molto frugale; ero in obbligo di farlo. E poi tu non hai mai la dispensa sfornita del tutto.

Gina. Allora vado a vedere cosa ho. (si avvia verso la cucina)

Erm. Bada di non fare troppo poco.... Credo che abbiano a venire anche Relling e Molvik; li ho incontrati sulle scale e non potevo....

Gina. Dunque avremo a colazione anche quei due?

Erm. Due amici.... non è gran che.

Ekdal. (sporgendo il capo dalla sua porta) Dimmi Erminio io ti devo parlare.... (vedendo Gina cambia tono) Bene, bene.... Più tardi..... C’è tempo, c’è tempo.

Gina. Nonno cosa vuole?

Ekdal. Nulla, nulla. (brontolando richiude l’uscio della sua stanza)

Gina. (prendendo il cesto) Bada non abbia ad uscire.

Erm. Sta tranquilla.... senti dovresti preparare un’insalata di aringhe, tanto Relling che Molvik ne sono ghiotti.

Gina. Vedrò, vedrò, lascia fare a me. Purchè non capitino qui troppo presto.

Erm. C’è tempo, fa pure il tuo comodo.

Gina. Meglio, tu potrai lavorare un poco.

[42]

Erm. Non vedi? Lavoro più che posso.

Gina. Se puoi finire prima di colazione poi non ci pensi più e sei libero per fare quello che vuoi. (va in cucina)

SCENA II. Erminio — vecchio Ekdal poi Gina.

(Pausa durante la quale Erminio lavora sempre seduto al suo tavolo, ma deve lavorare svogliatamente).

Ekdal. (sporge la testa dalla sua stanza, guarda che non ci sia nessuno e a voce bassa) Hai fretta?

Erm. Sì, temo già d’arrabbiarmi con questa benedetta fotografia.

Ekdal. Se hai fretta non ti disturbo, non ti disturbo. (rientra lasciando la porta aperta)

Erm. (torna a lavorare ma dopo alcuni secondi posa il pennello rivolgendosi verso la stanza di Ekdal) Papà? papà?

Ekdal. (da dentro) Ora sono io che ho fretta, sono io. (brontola parole inintelligibili)

Erm. Fa quello che vuoi. (torna al lavoro)

Ekdal. (sulla soglia dell’uscio) Del resto poi, Erminio, una grande fretta io non l’ho.

Erm. Credevo tu fossi seduto a scrivere.

Ekdal. Al diavolo anche Groberg! Un giorno o due potrà bene aspettare e....

Erm. E tu poi, non sei uno schiavo.

Ekdal. Ti ho da parlare a proposito dell’anitra.

Erm. Vuoi andarci? Vuoi che t’apra l’uscio?

Ekdal. Sì, mi fai un piacere.

Erm. (si alza e apre i due battenti del solaio) Anche questo è finito.

[43]

Ekdal. Sicuro, hai ragione, per domani ha da essere finito tutto.

Erm. Già, domani. (dal solaio aperto vedesi nel fondo la luce del sole, mentre vedonsi galline per terra che razzolano e piccioni che volano).

Erm. Entra dunque, cosa aspetti?

Ekdal. (entrando) E tu?

Erm. Credi forse.... (scorgendo Gina che s’affaccia alla porta della cucina) Io? Non ho tempo, ho da lavorare. Ma con questa luce!... (abbassa una tenda che copre l’entrata al solaio; la tenda sarà di vecchia e grossa tela nel fondo, ma la parte superiore è formata da una rete, per modo da potere vedere, stando in piedi nel solaio, andando al tavolo) Mi lasciassero almeno in pace cinque minuti.

Gina. Volle entrare là.... Farò del rumore poi.

Erm. Sarebbe stato meglio, quasi, fossi sceso, per un poco alla bettola. (sedendosi) Vuoi qualche cosa?

Gina. Volevo domandarti se ho da apparecchiare qui per la colazione.

Erm. Se venisse qualche cliente oggi?

Gina. Non verranno che quei due sposi che vogliono farsi fare il ritratto.

Erm. (arrabbiato) Non potevano scegliere un altro giorno?

Gina. Ma non verranno prima della una, e a quell’ora tu dormi.

Erm. (calmandosi) Allora tutto va bene (Erminio durante queste battute ha lavorato sempre)

Gina. Mi raccomando lavora, di questa tavola non ho bisogno; apparecchierò su questa di mezzo.

Erm. (seccato) Mi pare che lavoro a faccio tesoro dei minuti.

Gina. (con voce dolce) Io faccio presto, dopo sei libero. (ritorna in cucina)

Ekdal. (sulla porta del solaio, ma sempre dietro la rete) Erminio?

[44]

Erm. Che c’è?

Ekdal. (c. s.) Credo che se spingessi in là la tinozza.

Erm. È un pezzo che tu lo dicevi.

Ekdal. (brontolando si allontana dall’uscio)

Erm. (continua a lavorare ma guarda di sottocchi il solaio, poi fa per alzarsi ma vedendo Edvige torna a sedersi prestamente)

SCENA III. Erminio ed Edvige.

Erm. (a Edvige) Cosa vuoi?

Edvige. Volevo salutarti papà.

Erm. (dopo una breve pausa) O sei forse venuta per assicurarti di ciò che io faceva? Hai forse da fare la guardia?

Edvige. (con forza) Io papà? No!...

Erm. (sempre lavorando) Cosa fa la mamma.

Edvige. Prepara l’insalata di aringhe. (avvicinandosi a Erminio) Vuoi che ti aiuti in qualche cosa?

Erm. No, no; è molto meglio che faccia tutto da me. Di te non c’è bisogno, almeno fino a che sarò sano.

Edvige. Non dire queste cose. (gira per la stanza fino a che giunta al solaio s’alza sulla punta dei piedi per vedere, attraverso la rete nell’interno)

Erm. (che l’avrà seguita cogli occhi) Cosa fa?

Edvige. (senza rivoltarsi e sempre guardando) Scava il terreno, procura di fare un muro canale per l’acqua della tina.

Erm. (lavorando) Da solo, non ci riescirai mai piùl Male.... Io ho da lavorare.

[45]

Edvige. (avvicinandosi) Dammi il pennello, papà sono capace anch’io.

Erm. No.... per guastarti la vista.

Edvige. Esagerazioni.... Dammi il pennello.

Erm. (alzandosi) Già non si tratta che di due minuti.

Edvige. Non avere furia. (si siede al posto di Erminio, prende il pennello e si mette a lavorare) È cosa facile, c’è anche il modello.

Erm. Ma non stancarti gli occhi.... Sei tu nevvero che hai voluto?... In cinque minuti ho finito.

Edvige. (lavorando) Non dubitare, non dubitare.

Erm. (guardandola lavorare) Sei molto brava, brava Edvige. Circa due minuti eh? (alza la tenda ed entra nel solaio, Edvige al tavolo lavora, si sentono Ekdal e Erminio che disputano)

Erm. (alzando la tenda e sporgendo il capo) Edvige dammi quella tenaglia che è sulla scrivania. (volgendosi entro il solaio) Lascia fare da me, papà, lascia fare da me.

Edvige. (s’alza e dà la tenaglia a Erminio)

Erm. Grazie.... Fu una fortuna che venissi, se no me ne faceva una grossa. (ritira il capo, entra nel solaio)

(Edvige guarda un poco attraverso la rete poi torna a lavorare, intanto hanno picchiato all’uscio, Edvige non si accorge).

SCENA IV. Edvige e Gregorio.

Greg. (dal di dentro) Si può....

Edvige. (s’alza e andando ad incontrarlo) Buon giorno signor Gregorio.

[46]

Greg. (entrando) Buon giorno Edvige. (s’ode picchiare nel solaio) Avete gli operai in casa?

Edvige. (sorridendo) Il papà e il nonno sono di là che lavorano. Ora avviso papà. (si avvia verso il solaio)

Greg. No, aspetto volontieri. (si siede sul divano)

Edvige. C’è un disordine qui. (fa per ritirare le fotografie dal tavolo)

Greg. Le lasci pure. (prendendone una) Hanno da essere ritoccate?

Edvige. Sì, tento di aiutare papà.

Greg. Lavori; non faccia complimenti per me.

Edvige. Grazie. (torna a sedere al tavolo e lavora, Gregorio la guarda, nel solaio continuano a battere)

Greg. (dopo breve pausa) L’anitra selvatica ha dormito bene questa notte?

Edvige. (lavorando) Credo di sì, grazie.

Greg. E ci sta spesso lei con l’anitra?

Edvige. Tutti i momenti liberi che ho.

Greg. Non ne ha dunque molti? Non va più a scuola?

Edvige. Ora non più; babbo non vuole, teme che mi si guasti la vista.

Greg. Erminio dunque l’istruisce?

Edvige. Me l’aveva promesso ma non trova mai il tempo.

Greg. Dunque nessuno l’aiuta?

Edvige. Ci sarebbe il signor Molvik.... Ma spesso.... Ha la testa.... Non troppo a segno.

Greg. Si ubbriaca?

Edvige, (sorridendo) Sì, e spesso...

Greg. E là dentro. (accenna al solaio) C’è un piccolo mondo.

Edvige. Sicuro, e poi vi sono tante altre cose, tra le quali un vecchio armadio ripieno di libri, e molti sono illustrati.

Greg. Ah, sì?

Edvige. In un altro cassone ho tra le altre cianfrusaglie, [47] un gran pendolo con due figure, ma l’orologio non va.

Greg. Il tempo si è fermato lì dentro, presso l’anitra selvatica.

Edvige. E poi scatole di colori.... Giornali, riviste.... Ma ciò che a tutto preferisco sono quei libri.

Greg. Ne ha letti qualcuno?

Edvige. Tutti.... tutti quelli che non sono scritti in lingua straniera. Peccato che la maggior parte sieno inglesi e per me illeggibili. Tra gli altri c’è un libro, la «Storia di Harryson» quello è il mio favorito. È vecchio sa, avrà più di cento anni, ma le incisioni ci sono a centinaia; la prima rappresenta la Morte; una eterea figura avvolta in veli neri, e che ha in una mano l’orologio a polvere, nell’altra una falce; dietro a lei procede lentamente l’Oblìo. Ma ivi ci sono dei bei castelli, delle battaglie.

Greg. E dove Erminio ha trovato questi libri?

Edvige. Una volta abitava da noi un vecchio capitano, che ne empì la casa con i suoi stracci, ma un bel giorno il vecchio è uscito e non fu più visto rincasare. Mi ricordo che lo chiamavano «l’augello olandese». Non seppi mai la ragione di questo nomignolo.

Greg. E quando contempla quei bei castelli, quei giardini, non le viene mai l’idea di vedere da vicino questo mondo, questo gran mondo, che turbina vicino a lei, fanciulla mia?

Edvige. Io no! Io voglio restare sempre con mio padre e con mia madre! (si pone al lavoro, breve pausa).

Greg. È brava per ritoccare le fotografie?

Edvige. È roba da poco, questa, ma mi piacerebbe tanto sapere fare delle belle incisioni, simili a quelle dei libri inglesi.

Greg. E di ciò che dice Erminio?

Edvige. Non vorrebbe, e io non glielo chiedo. Si [48] figuri, voleva che io imparassi a fare i panieri di giunchi. Che idea bizzarra eh?

Greg. Sì, bizzarra.

Edvige. Però papà non ha torto, ora avrei potuto fare un paniere per la mia anitra selvatica.

Greg. (sorridendo) Ah! Lei è l’unica proprietaria.

Edvige. Siccome talvolta permetto a babbo e al nonno di abbracciarla.

Greg. E che le fanno essi?

Edvige. Loro fabbricano la sua casina; badano che non le manchi l’acqua.

Greg. Capisco l’anitra selvatica. (accennando al solaio) È là, la bestia di maggior riguardo.

Edvige. Certamente; non è facile sa, che un selvatico possa vivere quando è rinchiuso! — Poveretta fa compassione, là. Ci è sola, sola.

Greg. (sorridendo) Non ha una famiglia.... come i conigli per esempio.

Edvige. Sicuro. E poi la poverina vede le galline, i loro pulcini e lei non ha nessuno, fu strappata dal suo mondo; delle altre bestie che sono là, nessuno la conosce, tutti la guardano con diffidenza, nè osano accostarsele.

Greg. E la poverina poi, fu già in fondo al mare; ella scese quell’abisso il cui accesso è a noi vietato: ella là vi aveva cercato, vi sperava la morte e non vi trovò invece che il servaggio, la schiavitù.

Edvige. (lo guarda un poco stupita).

SCENA V. Gina e DETTI.

Greg. (vedendo Gina che viene dalla cucina con tovaglie e piatti, si alza). Buon giorno, venni troppo presto, eh?

[49]

Gina. Tutt’altro, tra poco è servito tutto. Edvige sgombrami quel tavolo. (accenna a quello di mezzo, Edvige obbedisce e Gina intanto comincia a preparare la tavola, Gregorio siedesi sul divano e sfoglia un album che è sull’altro tavolo).

Greg. (a Gina) Dunque anche lei, signora Ekdal, sa ritoccare le fotografie?

Gina. (continuando a preparare la tavola). Sicuro, un pochino.

Greg. È un vantaggio per Ekdal, ora che si mise a fare il fotografo.

Edvige. (portando seco in fondo una macchina fotografica) Anche mamma sa fotografare.

Gina. Dovetti bene imparare a fare qualche cosa.

Greg. Dunque è lei che fa tirare innanzi lo studio?

Gina. Quando Erminio non v’è.

Greg. Il vecchio padre, m’immagino, l’occuperà molto.

Gina. Sì, e poi Erminio è un uomo che si avvilisce a mettersi al servizio del primo venuto che vuol farsi fotografare.

Greg. Ma giacchè ha abbracciato questa carriera....

Gina. Cosa vuole? Erminio non è un uomo comune.

Greg. Lo capisco ma... (viene bruscamente interrotto da un colpo d’arma da fuoco esploso nel solaio, alzandosi di botto) Che è ciò?

Gina. (seccata) Ed ora cominciano a tirare!

Edvige. Cacciano i conigli.

Greg. (sorridendo) Oh bella! (avvicinandosi al solaio a voce alta) Erminio va a caccia.

[50]

SCENA VI. Erminio e DETTI.

Erm. (dietro la rete) Sei già qui? Scusa non ti ho sentito. E tu Edvige non m’hai avvisato subito. (entra in scena)

Greg. Impiantasti un bersaglio nel solaio.

Erm. (mostrando una vecchia pistola a due canne) Con questo ferravecchio.

Gina. Voi altri due farete del male a qualcuno con la vostra pistola.

Greg. (sorridendo). Ti sei dunque dato alla caccia?

Erm. (sorridendo) Ogni tanto ammazzo qualche coniglio per divertimento.

Greg. Gli uomini sono singolari ma i loro divertimenti sono più singolari ancora.

Erm. È vero.... Abbiamo la fortuna di non avere vicini; non disturbiamo nessuno. (mette la pistola in un cassetto della scansia) Edvige bada di non toccarla, una canna è ancora carica.

Greg. (Guardando attraverso la rete nel solaio) Hai anche un fucile da caccia?

Erm. Un vecchio schioppo di papà, ma non serve più a nulla per quanto quel povero vecchio perda delle intere giornate per pulirlo.

Edvige. (avvicinandosi a Gregorio) Ora potete vedere bene l’anitra selvatica.

Greg. (guardando sempre) È bella, ma perchè tiene quell’ala così distesa?

Erm. Vi ricevette i pallini di tuo padre.

Greg. Ma trascina anche una zampa?

Erm. Un poco.

[51]

Greg. Fu la zampina che il cane gli ha addentato nel portarla a me.

Erm. È meraviglioso che dopo un colpo di fucile, che dopo essere stata addentata da un cane abbia da stare ancora benone, nevvero?

Greg. Già.

Gina. (che si sarà sempre occupata nell’apparecchiare la tavola andando e venendo dalla cucina) Povera bestia, e dopo essere stata anche nel fondo del mare.

Erm. Ebbene si va a tavola?

Gina. Tra pochi minuti. Edvige vieni ad aiutarmi. (Edvige e Gina vanno in cucina)

SCENA VII. Gregorio e Erminio.

Erm. (a Gregorio che guarda sempre nel solaio gli dice a mezza voce) Scusa Gregorio; non guardare ciò che mio padre fa, gli dai soggezione tu, ed è capace di fare qualche malanno. (alza la tenda del solaio e vedesi il vecchio Ekdal chino che lavora, una gallina tenta entrare in scena) Via, via, cosa fa qui lei, torni al pollaio. (chiude i battenti dell’uscio) Se non chiudo, queste benedette galline m’entrano nello studio e Gina non vuole.

Greg. Tu, dunque, fai quello che vuole tua moglie?

Erm. Lascio a lei la direzione della casa, così io posso ritirarmi e riflettere su cose molto più importanti.

Greg. E sarebbero queste cose importantissime?

Erm. Non te lo dissi ancora, lavoro assiduamente [52] ad una mia invenzione. Non ne hai mai inteso parlare?

Greg. Mai.

Erm. È naturale, vivendo sempre alle miniere.

Greg. E l’hai finita?

Erm. Non ancora, ma sono già molto, molto avanti. Io non potevo sacrificarmi per tutta la vita a fare il fotografo.

Greg. Mi diceva ciò anche tua moglie, pochi momenti or sono.

Erm. Io giurai di elevare quest’arte a scienza, ecco lo scopo della mia invenzione.

Greg. E in che consiste?

Erm. Troppo tempo ci vorrebbe per spiegarla tutta, del resto credo che non sia la vanità che mi spinge, nè il desiderio di lucro, è per raggiungere lo scopo della mia vita.

Greg. Lo scopo della tua vita?

Erm. Dimentichi tu mio padre?

Greg. E come c’entra con la tua invenzione?

Erm. Voglio che il nome degli Ekdal torni ad essere onorato.

Greg. Nobile scopo.

Erm. Voglio salvare questo naufrago; egli ha sofferto troppo dal giorno in cui il giudice per la prima volta l’interrogò. — Hai visto poco fa quella pistola, con la quale noi tiravamo ai conigli; essa, vedi, ebbe una gran parte nella tragedia della nostra vita.

Greg. Quella pistola?

Erm. Quando il verdetto dei giurati condannò il luogotenente Ekdal alla galera, egli impugnò quell’arma, deciso di finirla con la vita....

Greg. Ebbene?

Erm. Non ne ebbe il coraggio. Fu un vile. Perduto, non gli rimaneva che di uccidersi. — Mi comprendi, Gregorio? Egli si vide crollare e avvenire e speranze di gloria, tutto. Comprendi tu, come un uomo in tali condizioni abbia preferito la vita alla morte?

[53]

Greg. Io sì lo comprendo.

Erm. E io no. Più tardi.... Egli era in galera.... E io ero solo, solo al mondo.... Oh! Quelli furono tristi anni, Gregorio; un giorno vinto dal dolore, mi chiusi in camera mia e mi puntai quella pistola al petto, ma.... il sole che entrava nella mia camera, il profumo primaverile che dalle finestre aperte saliva fino lassù alla mia stanzetta, il rumore delle voci argentine dei bambini arrivavano al mio orecchio, fecero sì che il mio braccio ricadde.... Che il colpo non partisse. Fui vile.... Io non so cosa provassi allora, non comprendevo che altri avessero a ridere mentre io piangevo; mi sentivo solo, abbandonato, dimenticato da tutti.... Volevo uccidermi, capisci.

Greg. (triste) Anch’io ho provato ciò quando è morta la mia povera mamma.

Erm. Perchè non ho sparato?! Rimasi in vita.... ma credimi ci vuol del coraggio anche per preferire la vita alla morte.

Greg. È vero, è vero.

Erm. Del resto fu pel mio meglio, se riesco a compiere la mia invenzione, e il Relling crede che ci riuscirò presto, allora una sola cosa domanderò al governo: che si permetta al mio vecchio padre, di rivestire la sua divisa d’ufficiale.

Greg. Egli desidera dunque?...

Erm. Di indossare ancora la sua uniforme. Quando in casa celebriamo qualche festicciuola egli indossa la sua uniforme ed è felice, ma se per caso alcuno picchia alla porla, egli per quanto lo permettono le sue vecchie gambe corre nella sua stanza.... Sempre, capisci, non può, se tu potessi vedere quanto soffro io allora, è uno strazio all’animo di un figlio.

Greg. E quando speri avere finito questa invenzione?

Erm. E come puoi chiedere ciò ad un inventore? [54] Tutto dipende dall’ispirazione, quanto non fai in due mesi puoi compierlo in pochi minuti, tutto dipende da un’idea, da un ispirazione.... puoi forse calcolare quando essa verrà?

Greg. Ma vai avanti, almeno.

Erm. Sicuro che vo avanti, io mi occupo costantemente della mia invenzione e molte sono le notti che passo in camera mia, dinanzi al tavolo studiando.

Greg. (accennando al solaio) E tutte quelle bestie non ti distraggono troppo?

Erm. No, tutt’altro.... Di qualche distrazione ho pure diletto anch’io.... eppoi quando le ispirazioni vogliono venire, vengono lo stesso.

Greg. Erminio, la tua vita ha molti punti di contatto con quella della tua anitra selvatica.

Erm. Non ti capisco.

Greg. Anche tu scendesti fino al fondo, anche tu ti aggrappasti, disperato, deciso di morire alle alghe.

Erm. Vuoi tu forse alludere a quel colpo, che come l’anitra, ferì mio padre, e che ricadde poi su me?

Greg. No, non voglio che tu ne sia stato ferito; ma senza accorgertene sei caduto in un pantano, senza accorgertene sei attaccato da una malattia lenta che ti costringerà a morire nell’oscurità.

Erm. (risentito) Io? Io morire nell’oscurità? (con un sorriso) No, no.... non dire così.... sono sciocchezze.

Greg. Forse.... perchè io ho giurato di portarti ancora dove l’aria è pura. Ora ho anch’io uno scopo.... lo trovai ieri.

Erm. Nè io ti cerco quale sia. Solo mi preme farti osservare che ora io non sono infelice, che le gioie che un uomo può desiderare io ora le ho.

Greg. Il veleno si è già impadronito di te, Erminio.

[55]

Erm. Ti prego, Gregorio, non mi parlare così di lenta malattia, nè di veleno. Di simili cose disgustose in casa mia non ne parliamo mai.

Greg. Lo credo, lo credo.

Erm. Qui non vi sono emanazioni malsane come tu credi; nella casa del povero fotografo il letto è basso, la vita è modesta, ma egli è il solo sostegno della sua famiglia, egli è anche un inventore.... ma non parliamo più di ciò; guarda, viene la colazione.

SCENA VIII. Gina — Edvige — Relling — Molvik e DETTI poi il vecchio Ekdal.

(Edvige porta tazze di birra, bottiglia di birra e d’acquavite con bicchieri. Gina del rostbeaf e dell’insalata di acciughe, formaggio, frutta, che mettono in tavola. — Relling e Molvik entrano il primo in giacca, il secondo in abito nero, lungo, da pastore, ambedue senza cappello).

Gina. (ordinando i piatti sulla tavola, ai nuovi venuti) Oh! bravi, giungono a tempo.

Relling. Molvik ha sentito l’odore dell’insalata di acciughe e non ha più resistito, mi trascinò qui a viva forza (stringe la mano a Gina) Addio, Ekdal (a Erminio).

Erm. (a Gregorio) Permettimi che ti presenti il signor Molvik, pastore, il dottor Relling.... ma tu già lo conosci.

Greg. Di vista.

Relling. Chi vedo, Gregorio Werle.... Noi abbiamo avute parecchie liti alle miniere di ferro, se ne ricorda? Ed ora alloggia qui?

[56]

Greg. Da questa mattina.

Relling. Di sotto abitiamo Molvik ed io — vale a dire il dottore ed il pastore. Potete vivere tranquillo.

Greg. Troppo gentile. Chissà che non ne abbia bisogno, ieri eravamo in tredici a tavola.

Erm. Ti prego, non dire di queste sciocchezze.

Relling. Tranquillizzati, a te certo non toccherà morire, me ne faccio garante io.

Erm. Voglio sperarlo.... per la mia famiglia. Ma mettiamoci a tavola e stiamo allegri.

Greg. E tuo padre?

Erm. Preferisce mangiare nella sua stanza. Siediti dunque.

(Si siedono attorno alla tavola e cominciano a mangiare e a bere molto abbondantemente. Gina ed Edvige vanno e vengono portando e mutando piatti e bottiglie di birra che saranno prestamente vuotate).

Relling. Ieri sera Molvik era alquanto brillo, sa signora Gina?

Gina. Davvero? anche ieri.

Relling. Non ha sentito il chiasso che abbiamo fatto questa notte?

Gina. No.

Relling. Buon per lei.

Gina. Ma è vero Molvik?

Molvick. (che mangerà a quattro palmenti dell’insalata di acciughe) Non ne parliamo.... non ne parliamo (mangia) È il mio cattivo genio.

Relling. (a Gregorio) E quando questo cattivo genio lo acciuffa lo induce a vagare con lui tutta la notte. (indicando Molvik che beve molto) Vede, anche ora è preso dal demonio.

Greg. (ride).

Relling. Le dico che ora è indemoniato? Resisti Molvik, resisti al malo genio.

(Tutti ridono, ma Molvik imperturbabile continua a mangiare e bere).

[57]

Relling. (a Gregorio) E come può ancora resistere alle miniere?

Greg. Fino ad oggi non mi ci trovai male.

Relling. E trovò discepoli dei suoi nuovi ideali?

Greg. I miei?... (sospira) Ah?

Erm. Quali ideali, Gregorio?

Relling. Mi ricordo che andava girando tutte le case dei minatori catechizzandoli alla virtù, obbligandoli a leggere un suo libro «L’uomo perfetto».

Greg. Entusiasmi giovanili!

Relling. Ha ragione, era molto giovane. E se ben ricordo quando io era lassù del suo «Uomo perfetto» non potè mai trovare neppure un’incarnazione.

Greg. E lo stesso avvenne dopo.

Relling. Si è dunque persuaso che è meglio rinunciare alla perfezione?

Greg. Mai, quando non trovo di fronte un vero uomo.

Erm. Forse hai ragione.... Gina favoriscimi un poco di burro. (Gina dà il burro).

Relling. E del prosciutto per Molvik.

Molvik. No, no, non si incomodi.... solo se permette.... (prende un altro gran piatto d’insalata di aringhe).

(Si batte all’uscio del solaio).

Erm. Apri, Edvige, il nonno vuol entrare (Edvige schiude un battente ed entra il vecchio Ekdal con una pelle di coniglio in mano. Edvige rinchiude la porta).

Ekdal. Buon giorno a questi signori e buon appetito. (mostrando la pelle) Oggi sono contento, ne ammazzai uno grosso.

Erm. Perchè l’hai scuoiato da te solo?

Ekdal. E l’ho anche salato. — È una gran carne tenera e buona quella del coniglio. Buon appetito, signori. (entra nella sua camera).

Molvik. (alzandosi presto) Scusatemi.... scendo [58] un istante.... torno.... scusatemi (parte di corsa).

Relling. (gli urla dietro) Prendi dell’acqua di soda ah! ah! (ride) (a Erminio) Beviamo dell’acquavite alla salute del vecchio cacciatore. (Edvige riempie i bicchieri, i tre si alzano e brindano) (dopo aver bevuto e d’essersi seduto) Ekdal tu sei un uomo felice... tu hai uno scopo almeno, pel quale lavori....

Erm. E lavoro, sai, puoi crederlo.

Relling. Tu hai un modello di moglie, che ti rende cara e dolce la tua casa.

Erm. Sì, la mia Gina (rivolgendosi a lei amorosamente) Tu sei la mia compagna.

Gina. Via, via, elogi fuori di tempo.

Relling. Hai Edvige, quell’angelo.

Erm. (commosso) Sì.... il mio tutto, Edvige vieni qui. (accarezzandole i capelli) Dimmi, sai qual giorno è domani?

Edvige. (vergognosa) Non voglio, lo sai bene, non voglio.

Erm. Se potessi fare grandi cose, pur troppo, per la tua festa invece non ne potrò far poche.

Edvige. Ma qualunque cosa tu mi volessi dare non mi colmerebbe di gioia come il sapere che pensi a me.

Relling. Abbi pazienza Edvige. che Ekdal abbia terminata la sua invenzione e poi...

Erm. Sì, io a me non penserò, non voglio pensare che al tuo avvenire e ai vecchi giorni di mio padre. Ecco ciò che chiede il povero inventore.

Edvige. (circondando con un braccio la vita di Erminio) Caro, buon papà. (lo bacia e si alza).

Relling. (a Gregorio) E lei non dice nulla? non le desta un sentimento di contentezza questo quadro di felicità domestica?

Erm. Quest’ora è la più bella della mia vita.

Greg. Cosa vuole, negli ambienti infetti io non mi ci trovo bene.

Erm. (ridendo) Oh! finiscila una buona volta.

[59]

Gina. Ma signor Werle, qui aria infetta non ce n’è, ogni mattina spalanco le vetriate.

Greg. (alzandosi) L’infezione di cui parlo non si può mandare via in tal modo.

Gina. Che ne dici tu, Erminio?

Relling. Non è forse lui che ne porta l’aria infetta delle mine?

Greg. No, no, sono io che la porterò alle mine.

Relling. (alzandosi e avvicinandosi a lui). Temo che le ubbie del suo «Uomo perfetto» non sieno del tutto scomparse dal suo cervello.

Greg. No, le porto in petto.

Relling. Le porti dove vuole, solo la consiglio a non volere fare il moralista qui.

Greg. E se tale fosse la mia intenzione malgrado i suoi consigli?

Relling. Penserei io a mandarlo in istrada, ma con un salto solo.

Erm. (alzandosi) Ma Relling?...

Greg. (a Relling incrociando le braccia) Provatevi.

Gina. (intromettendosi) Relling moderatevi, in quanto a lei, signor Werle, scusi, se l’aria qui non è troppo pura, lei ne è la colpa... fu la stufa della sua stanza....

Edvige. (che avrà cominciato a sparecchiare la tavola) Mamma, picchiano all’uscio.

Gina. Vado a vedere (entra, ma subito indietreggia spaventata) Oh! oh!...

SCENA IX. Detti e vecchio Werle.

Werle. (avvolto in una ricca pelliccia — a Gina) Mi scusi. Mio figlio è qui?

Greg. (avanzandosi) Sì.

[60]

Erm. (a Werle che è rimasto sulla soglia dell’uscio) Signor Werle, voglia entrare.

Werle. No, grazie. Desidero solamente di parlare con mio figlio.

Greg. Son da te.

Werle. Andiamo nella tua camera.

Greg. Nella mia camera?... Vieni (si avvia).

Gina. (fermandolo) No, scusi... non si può entrare, lo sa bene.

Werle. Allora scendiamo in istrada.

Erm. No, signor Werle, lei parlerà a Gregorio in questa stanza, noi ci ritiriamo (Erminio prende Relling sotto il braccio ed entrano a destra, Edvige e Gina vanno in cucina).

SCENA X. Gregorio e vecchio Werle.

Greg. (dopo breve pausa) Siamo soli.

Werle. (che si sarà avanzato sulla scena) Nel lasciarmi, ieri sera, pronunciasti frasi che non ho capito. Poi so che fissi una camera in casa degli Ekdal.... Gregorio tu hai delle cattive intenzioni contro di me.

Greg. Voglio aprire gli occhi ad Ekdal; non posso vederlo sceso così in basso. Ecco tutto.

Werle. E questo è lo scopo della tua vita al quale alludevi ieri?

Greg. Sì. Tu non me ne hai lasciati altri.

Werle. Fui io dunque che rovinai il tuo cuore?

Greg. Tu hai rovinato tutta la mia vita... non parliamo, per ora, di ciò che facesti a mia madre... sei tu, tu solo che io debbo ringraziare se conduco una esistenza tormentata dai rimorsi.

[61]

Werle. (stupito) Dunque la tua coscienza ti rimprovera qualche cosa!

Greg. Io avrei dovuto testimoniare contro te quando ingannasti il luogotenente Ekdal. Io avrei dovuto dire tutto, io che avevo tutto capito.

Werle. (sardonico) Già, tu avresti dovuto parlare.

Greg. Non osai, fui vile, ebbi paura di te.

Werle. Ora però sembrami che tale paura ti sia passata.

Greg. Sì, per mia fortuna. Il delitto commesso da me.... e da altri a danno di Ekdal, pur troppo non può esser riparato; ma posso però ancora salvare Erminio dalla vergogna, dal disonore.

Werle. E credi di fare una buona azione?

Greg. Lo credo.

Werle. Pensi che Ekdal te ne sarà grato?

Greg. Sì.

Werle. (dopo breve pausa). Lo vedremo.

Greg. Io devo tranquillizzare la mia coscienza ammalata.

Werle. La tua coscienza non può guarire, fu sempre ammalata.... È l’unica eredità che tua madre ti ha lasciato.

Greg. (con riso sardonico) Non hai dunque perdonato ancora a quella santa di non possedere quanto tu speravi?

Werle. Non parliamo di cose che ora non ci hanno a che vedere. Ti ostini dunque a spingere Ekdal su di una strada che la tua mente strana crede la migliore?

Greg. Sì.

Werle. Allora è inutile che ti domandi se intendi ritornare a casa?

Greg. È inutile.

Werle. E non vuoi diventare mio socio?

Greg. No.

Werle. Fa quello che vuoi. Però siccome ho deliberato [62] di riprendere moglie, darò corso ad una separazione giudiziaria dei nostri beni.

Greg. (risoluto) È inutile, non li voglio.

Werle. Non vuoi?

Ureo. La mia coscienza non mi permette d’accettarli.

Werle. (dopo breve pausa) Tornerai alle miniere?

Greg. No, e fino da questo momento mi dichiaro sciolto da ogni obbligo che posso avere contratto verso di te.

Werle. Che conti di fare dunque?

Greg. Adempiere al compito della mia vita. Null’altro.

Werle. E dopo? Come farai a vivere?

Greg. Ho dei risparmi.

Werle. Presto sfumeranno.

Greg. No, dureranno quanto me.

Werle. Non ti intendo.

Greg. Non ho più nulla a dirti.

Werle. Allora, addio, Gregorio!

Greg. Addio!

(Il vecchio Werle se ne va, mentre Gregorio passeggia senza più guardare il padre).

SCENA XI. Erminio — Relling poi Gina ed Edvige e DETTO.

Erm. (guardando nella camera) Se ne è andato?

Greg. Sì.

(Erminio e Relling entrano, dopo poco dalla cucina vengono Gina ed Edvige).

Relling. Dunque la colazione è finita.

Greg. (risoluto) Erminio, vatti a vestire, dobbiamo fare una lunga passeggiata.

Erm. Che voleva tuo padre? Ti parlò di cose che mi riguardavano?

[63]

Greg. Vieni, dunque. — Dobbiamo parlare a lungo. Vado a vestirmi, aspettami nella strada, passerò dall’altra parte. (esce a destra).

Gina. (agitata) Erminio, no, non andare.

Erm. (andando all’attaccapanni si muta la giacca, si infila il pastrano e prende il suo cappello di feltro grigio) Che significa ciò? Avrà da confidarmi qualche cosa.

Relling. Mandalo al diavolo... non ti sei accorto che quello è un pazzo?

Gina. (c. s.) Anche sua madre, sai, troppo sana di mente non era.

Erm. È una ragione di più perchè un uomo abbia a consolarlo. (a Gina) Procura che il pranzo sia pronto per le sette. (bacia in fronte Edvige, saluta Relling e Gina, e parte — Edvige si siede sul divano)

Relling. Peccato che quell’uomo non sia rimasto sotto qualche frana alle miniere!

Gina. Che dice mai, Relling?

Relling. Se parlo così ho le mie ragioni.

Gina. Crede dunque che il figlio Werle sia pazzo davvero?

Relling. Pur troppo non è un pazzo come noi intendiamo, ma soffre di una malattia terribile.... la febbre dell’onestà.

Gina. (sempre agitata) Che malattia è?

Relling. È rara.... molto rara. (salutando Gina) Grazie della colazione signora Gina, addio Edvige (partendo).

Gina. (passeggia concitata poi si lascia cadere su una sedia) Oh! questo Gregorio Werle.... Questo Gregorio Werle.... fu sempre un cattivo soggetto.

Edvige. (alzandosi dal divano e avvicinandosi alla madre dice lentamente tra sè) Tutto ciò è strano. (si china e bacia Gina).

FINE DELL’ATTO TERZO.


[64]

ATTO QUARTO.

La stessa scena degli atti precedenti. — Da poco si è fatta una fotografia per modo che sul davanti della scena sono una macchina fotografica ed un sedile. — Siamo verso sera, alle ultime scene comincia a far buio.

SCENA I. Gina ed Edvige.

Gina. (sulla soglia dell’uscio di entrata, tenendo in mano una lastra fotografica, parlando verso l’interno) Stieno sicuri. Lunedì la prima dozzina sarà pronta — la seconda va bene per mercoledì? Arrivederci.... (saluta, chiude la porta, si ferma a guardare contro luce la lastra, poi la ripone in una cassetta)

Edvige. (venendo dalla cucina) Sono partiti?

Gina. (rassettando la stanza) Sì, finalmente, non c’era verso di accontentarli.

Edvige. (inquieta) Mamma, ma, e perchè papà non è ancora tornato?

Gina. Hai visto se è da Relling?

Edvige. No, non c’è, fu da lui un minuto fa.

Gina. Mi rincresce perchè gli si raffredda il pranzo.

[65]

Edvige. È strano; lui che non tarda mai cinque minuti.

Gina. Non metterti idee per il capo, presto sarà qui, non dubitare.... Taci. (tendendo l’orecchio) Eccolo.

SCENA II. Detti e Erminio.

(Erminio entra stralunato e commosso)

Edvige. (correndogli incontro) Papà.... Come ti abbiamo aspettato.... Perchè hai tardato tanto?

Gina. (parlando a stento e senza guardare Erminio) Dove sei stato finora?

Erm. (senza guardare Gina) Ah? Perchè stetti fuori tanto?... (getta il cappello su una sedia, si leva il soprabito, respingendo Edvige e Gina che lo vogliono aiutare)

Gina. Hai desinato con Gregorio Werle?

Erm. (appendendo l’abito all’attaccapanni) No.

Gina. (accostandosi verso la cucina) Allora ti porto subito il pranzo, bisogna che lo riscaldi.

Erm. No, lascia stare, per ora di mangiare non ho voglia.

Edvige. (accostandosi a Erminio con voce carezzevole) Non ti senti bene papà?

Erm. Bene, bene.... (fissando Gina) Gregorio ed io abbiamo fatto una lunghissima passeggiata.

Gina. (non guardandolo) Hai fatto male, tu che cammini così poco abitualmente.

Erm. A questo mondo bisogna avvezzarsi a tutto ed a qualunque età. (passeggiando) Non vi fu nessuno oggi?

Gina. Nessuno.... Tranne i due sposi.

[66]

Erm. E nessun’altra commissione?

Gina. No, per oggi.

Edvige. Ma vedrai papà, che domani ne verranno delle altre.

Erm. Dio lo voglia; tu domani conti incominciare a lavorare sul serio?

Edvige. Domani?... Domani che è il giorno della mia festa?

Erm. È vero.... A dopo domani allora — e ricordiamoci bene, d’ora innanzi faccio tutto da me, da me solo.

Gina. Che idee sbagliate. Ti tireresti sul capo pasticci e null’altro. — Lascia a me la direzione dello studio, tu pensa alla tua invenzione.

Edvige. Ma e all’anitra selvatica, e ai conigli... Chi ci penserà poi?

Erm. Non parlarmi di simili sciocchezze, non ho più tempo di occuparmi di loro. In quanto a quell’anitra selvatica, poi, vorrei torcerle il collo.

Edvige. All’anitra? Alla mia anitra?

Gina. Ma Erminio che dici?

Edvige. (abbracciando Erminio) No, papà, dimmi che non farai quello che hai detto, l’anitra selvatica è mia.

Erm. (accarezzandola) Sì, per te non lo farò. Ma dovrei farlo; sotto al mio tetto non ha da restare chi.... chi è passato per le mani di quell’altro.

Gina. Allora fu Pietro a consegnarla al nonno.

Erm. (passeggiando) Nella vita bisogna che un uomo abbia a rispettare certi doveri se vuole essere un uomo perfetto.

Edvige. (seguendolo) Ma e che colpa ne ha la povera anitra?

Erm. (fermandosi a guardarla) Ebbene sì, per te io non la toccherò, sta tranquilla, (la bacia in fronte) Ah! è l’ora della tua passeggiata, va, Edvige, va. Se aspetti ancora, si farà notte.

[67]

Edvige. Oggi non ho voglia di uscire.

Erm. Dà retta a me! Ti fa bene; hai gli occhi rossi e io non voglio, è inutile; in questo laboratorio l’aria è viziata.

Edvige. Farò quello che vuoi. Vado a vestirmi. Dimmi papà, non farai nulla all’anitra, me lo prometti?

Erm. (abbracciandola) Te lo prometto. Non la toccherò. Povera Edvige oramai io e te soli.... (come parlando tra sè)

(Edvige va da Gina la bacia e esce dalla porta della cucina).

SCENA III. Gina e Erminio.

Erm. (pausa, durante la quale Erminio passeggia, poi non guardando Gina in viso) Gina.

Gina. Che vuoi?

Erm. Domani o dopo mi devi consegnare il libro delle spese di casa.

Gina. Vuoi pensare anche a questo?

Erm. Sì.... Ora debbo regolare tutto io. Mi pare che tu spenda troppo. (fermandosi e fissandola in volto)

Gina. Io?... Ma se tra me ed Edvige ci contentiamo di così poco?

Erm. (bruscamente) Gina, è vero che il lavoro di mio padre viene dal vecchio Werle troppo lautamente pagato?

Gina (imbarazzata) Non saprei dirti.... Non so quanto generalmente simili lavori si paghino.

Erm. Ma quanto riceve dunque?

Gina. Quanto costa a noi....

[68]

Erm. (stupito) Quanto ne costa? E non mi hai detto nulla di ciò fino ad oggi?

Gina. Non potevo! Ti rendeva felice il pensiero che tu solo bastavi a lui....

Erm. E invece era il vecchio Werle.

Gina. Quello già è tanto ricco. (si sarà fatto buio)

Erm. Accendi la lampada.

(Gina accende la lampada che mette sul tavolo di destra, mentre Erminio continua a passeggiare concitato).

Gina. D’altronde non dobbiamo sapere se è davvero il vecchio. Chi non ti dice che sia Groberg?

Erm. (severo) Che c’entra Groberg.

Gina. (imbarazzata) Dicevo solamente che... Eppoi non fui io che ho cercato lavoro per tuo padre.... Sai fu Berta, la signora Sorbi.... Era un’amica di casa nostra....

Erm. Perchè la tua voce trema?

Gina. (mettendo il paralume alla lampada) La mia voce?

Erm. (le si avvicina e le prende bruscamente una mano) E anche la tua mano.

Gina. (liberandosi dalla stretta di Erminio, fissandolo risolutamente) Sì, mio Erminio, che ti hanno detto di me?

Erm. (parlando lentamente) Mi hanno detto che tra te e il vecchio Werle, vi furono un tempo, troppo intime relazioni, quando eri in casa sua.

Gina. (con un grido) No, non è vero. Chi ti ha detto ciò ha mentito, e.... (dopo breve pausa) Allora seppi resistere; egli, sì, egli mi perseguitava, ma io non volevo saperne, sua moglie poi, s’era accorta della passione che aveva per me suo marito, e mi maltrattava, mi maltrattava tanto. (con dolore) Un giorno mi ha anche battuta.... forse era l’effetto della gelosia. Quel giorno abbandonai la casa Werle.

Erm. E dopo?

Gina. Ritornai da mia nonna.... Erminio è duro [69] quello che sto per dire, e Dio non voglia farmene colpa, ma fu una madre che con le preghiere, con le minaccie mi indusse.... Allora il vecchio Werle era vedovo.

Erm. Dunque?

Gina. Ebbene, sì, sappilo pure, perseguitata dall’uno, tormentata dall’altra sono andata.

Erm. (con un grido) E questa è la madre di mia figlia! Come hai potuto ingannarmi fino ad oggi?

Gina. Ho avuto torto, avrei già dovuto dirtelo.

Erm. Dovevi dirmelo alle prime parole d’amore che ti rivolsi. Dovevi farti conoscere subito.

Gina. E mi avresti sposata allora?

Erm. E lo puoi pensare?

Gina. Ecco perchè non ti dissi nulla. Io ti amavo, ti ho amato tanto.... Non era giusto che avessi ad essere infelice per tutta la vita.

Erm. (passeggiando concitato) E questa è la madre della mia Edvige.... E io non sapevo nulla, non m’ero accorto di nulla, e di tutto ciò che posseggo debbo essere grato a.... al.... al mio precedessore.... al Werle!

Gina. Dimmi, Erminio, non furono forse felici questi sedici anni che insieme abbiamo vissuto?

Erm. (fermandosi innanzi a lei) Ma dimmi, non ti sei mai rimproverata quest’inganno? Non pensasti mai che doveva arrivare il giorno della spiegazione? — Ma rimorsi non ne provi tu?

Gina. Oh, Erminio, ho tanto da lavorare per accudire alle faccende di casa e agli affari!!

Erm. Non hai mai gettato uno sguardo al passato?

Gina. No, io l’avevo del tutto dimenticato, fosti tu a ricordarmelo.

Erm. (con disgusto) Questa tua freddezza mi fa male.... Non un pentimento, nulla....

Gina. Ma dimmi, Erminio, cosa saresti divenuto se tu non avessi incontrato una donna come me?

[70]

Erm. Come te?

Gina. Sì, come me che di tutto mi accontentavo, che non ti chiedevo mai nulla?

Erm. (parlando tra sè) Cosa sarebbe avvenuto di me?

Gina. Quando mi hai conosciuta eri sopra una cattiva strada.

Erm. E ora dove sono? Ma pensa a quello che io soffro in questo momento, io che fino a poche ore fa ero così fiero di te.

Gina. Tu ora sei un buon padre di famiglia, un lavoratore; tu finalmente, oggi, puoi senza pena, pensare al domani; i frutti della nostra lotta è ora che li raccogliamo. Ora cominciavamo ad essere felici....

Erm. Ma questa felicità ha le sue origini nell’inganno.

Gina. E quel maledetto Gregorio è venuto a distruggere il nostro lavoro di sedici anni.

Erm. È vero.... Nell’inganno ero felice.... Ma era un inganno.... E come posso ora pensare alla mia invenzione, essa morirà con me, ed è il tuo passato, Gina, che l’ha uccisa.

Gina. (rattenendo a stento le lagrime) Erminio, Erminio non parlarmi così, tu sai quanto ti ho amato, quanto ti amo.

Erm. I miei sogni sono stati distrutti. Quando io, alla notte, studiavo per la mia invenzione, sognavo di potere con un ultimo sforzo, coronare la mia opera, sognavo di ottenere il brevetto e quel giorno che sarebbe stato il più bello, sarebbe stato anche l’ultimo della mia vita — sognavo capisci, che tu potessi divenire la ricca vedova di un celebre inventore.... Oh! Oh! Oh!...

Gina. (asciugandosi gli occhi) No, non parlare così, non voglio restare senza di te.

Erm. (risoluto) Ora bisogna venire a una vera decisione. Tra noi due tutto è finito. Tutto.

[71]

SCENA IV. Detti e Gregorio.

Greg. Posso entrare?

Erm. Ah! Sei tu? Vieni pure, vieni.

Greg. (Gregorio entra e va a stringere la mano ad Erminio e Gina) Ebbene amici miei. (li guarda entrambi, poi all’orecchio di Erminio) Non avete concluso nulla?

Erm. (a voce forte) Tutto è fatto, Gregorio, fu il quarto d’ora più terribile della mia vita.

Greg. Terribile, sì ma anche il più nobile. Ora dunque....

Erm. Tutto è accomodato.

Gina. Dio la perdoni, signor Werle, Dio la perdoni!

Greg. (meravigliato) Non capisco. — Una simile spiegazione deve dar luogo a una vita serena, tutta armonia e concordia.

Erm. Lo so, lo so.

Greg. Io credevo che tanto tu, quanto tua moglie mi veniste a ringraziare, ed invece piangete, siete desolati.

Gina. (Sorride tristamente e va a levare il paralume alla lampada).

Greg. Lei, signora Ekdal è giovane, lei non può o non vuole comprendermi. (a Erminio) Ma tu Erminio, tu sai ciò che devi fare dopo una simile spiegazione.

Erm. Sì, sì, parli bene tu.

Greg. Non v’è nulla di più nobile, di più generoso del perdono; noi dobbiamo amare, sollevare il peccatore.

Erm. E tu credi che un uomo possa facilmente [72] ingoiare questo amaro calice che mi hai dato a bere?

Greg. Per un uomo comune, forse, puoi avere ragione, ma per te.... Tu non sei un uomo come gli altri....

Erm. Sarò come vuoi, Gregorio, ma per ora le tue dottrine non posso accettarle.... Chissà col tempo.

SCENA V. Relling e detti.

Relling. (entrando) Ebbene come sta l’anitra selvatica?

Erm. Ah! Ah!... Tu mi chiedi dell’anitra selvatica e.... Che fu ferita dal vecchio Werle.

Relling. Cosa c’entra il vecchio Werle.... Parlavate forse di lui?

Erm. Già, di lui.... e di voi, anche.

Relling. (piano a Gregorio) Scommetto che ne avete fatta qualcheduna delle vostre, voi, con le vostre ubbie di perfezione morale.

Erm. Cosa stai borbottando a Gregorio?

Relling. Nulla, gli facevo un augurio.... e gli consigliavo d’andarsene, ma d’andarsene presto, se no finisce per farvi ammattire tutti.

Greg. (accennando agli Ekdal) Caro Relling non impazziscono questi due. Di Erminio non me ne parli, lo conosciamo. Ma anche lei, la signora Ekdal ha nel fondo del suo essere delle preziose, delle solide qualità di cuore e...

Gina. (piangente lo interrompe) Doveva lasciarmi come era.

Relling. (a Gregorio) Ma si può sapere cosa vuole, cosa pretende fare lei, in questa casa?

[73]

Greg. Voglio gettarvi le basi di una vera famiglia.

Relling. Crede forse che la famiglia Ekdal non vada bene ora?

Greg. Pur troppo no. È una famiglia.... Come ve ne sono tante, come, forse, sono tutte, ma non è il vero ideale della famiglia, che fa l’uomo perfetto.

Erm. Relling, tu non puoi nemmeno supporre quanto difficile e penosa sia, per l’uomo, l’ora che conduce alla perfezione.

Relling. Sciocchezze, sogni.... Sogni da prete e da poeta matto. (a Gregorio) Mi dica quante sono le famiglie modello che lei ha incontrato fino ad oggi?

Greg. Nessuna, pur troppo, dappertutto non vidi che famiglie immorali.

Relling. Io non fui ammogliato e di famiglia quindi me ne intendo poco. Solamente so che in ogni modo cosa sacra e inviolabile sono i figli, e non vorrei, caro signor Gregorio, che questa povera fanciulla avesse a soffrirne.

Erm. Oh! La mia povera Edvige! Oh! La mia povera Edvige!

Relling. Abbia prudenza, io la conosco bene e può far nascere qualche disgrazia.

Erm. (con ansia) Una disgrazia?

Relling. Sì, la sua malattia potrebbe aggravarsi.

Gina. (con ansia) Signor Relling, perchè parla così?

Erm. (c. s.) Il pericolo per gli occhi è dunque imminente?

Relling. Gli occhi ora non c’entrano; Edvige è in un’età pericolosa, la sua fantasia esaltata può spingerla a delle pazzie.

Greg. (a Relling) E voi, medico, come spiegate ciò?

Relling. (rispondendo con malo modo) È nell’età dello sviluppo, la più pericolosa per una fanciulla.

[74]

Erm. Ma Edvige avrà sempre in suo padre un aiuto e un conforto.

(Picchiano all’uscio di destra).

Gina. Caro Erminio, c’è gente. (va verso l’uscio) Avanti, avanti pure.

SCENA VI. Detti e Signora Sorbi.

Sorbi. (entrando indosserà un elegante abito da passeggio) Buona sera a tutti.

Gina. (stringendo la mano) Ah! Sei tu Berta! qual grata sorpresa! (la conduce a sedere sul divano)

Sorbi. Disturbo forse?

Erm. E può pensarlo? (tra sè) Una messaggera di quella casa.

Sorb. (a Gina) Ti dico la verità, credevo trovarti sola, volevo chiacchierare un poco con te.... E dirti addio.

Gina. Dirmi addio? Parti dunque?

Sorbi. Domattina, vado alle miniere, il signor Werle è partito già da stamane. (a Gregorio) Un saluto da parte sua.

Greg. (Si inchina molto freddamente).

Erm. Il.... signor Werle è partito e lei va a raggiungerlo?

Sorbi. Dica la verità, le pare strano, ciò?

Erm. Da poco tempo a me nulla pare strano.

Greg. Ti darò io, Erminio, la spiegazione di tutto: mio padre sposa la signora Sorbi.

Erm. (stupito) La sposa?

Gina. Ah! Finalmente, davvero ciò mi fa piacere, Berta mia.

Relling. (con voce un poco tremante) È ciò vero, dica? Signora, è ciò vero?

[75]

Sorbi. (sorridendo) Sì, caro Relling, Gregorio Werle ha detto il vero, io sposerò suo padre.

Relling. Si rimarita?

Sorbi. A giorni. — Le nozze le celebreremo modestamente lassù alle miniere.

Greg. (sardonico) Come buon figlio le faccio fino da ora i più felici auguri.

Sorbi. Grazie, essi porteranno fortuna al di lei padre e a me.

Relling. Le posso assicurare che il vecchio Werle è di gran lunga migliore del veterinario, non si ubbriaca mai, nè picchia sua moglie. Questa volta sarà più felice.

Sorbi. Lasci dormire in pace il mio primo marito.... aveva anche lui le sue buone qualità.

Relling. E scusi, ma è vero che il vecchio Werle ne ha delle migliori?

Sorbi. (sorridendo) E se fosse?

Relling. ... Questa sera uscirò con Molvik.

Sorbi. No, non esca Relling.... per amor mio!

Relling. E a che serve essere morigerati.... io non ho nessuno. (a Erminio) Tu vieni?

Gina. (pronta) No, grazie, mio marito non esce mai di sera.

Erm. (piano a Gina e bruscamente) Taci tu.

Relling. (stringendo la mano alla Sorbi) Signora, addio. (a Gregorio) Buona notte Werle. (esce)

Greg. (alla Sorbi) Mi pare che lei sia molto amica del dottor Relling.

Sorbi. Sì, ci conosciamo da molti anni e vi fu un tempo in cui avevamo stabilito di sposarci.

Greg. Fu una fortuna non effettuare quel matrimonio.

Sorbi. Oggi lo credo anch’io.

Greg. E se mio padre venisse a conoscenza di tale relazione?

Sorbi. (sorridente) Non mi farebbe paura. Io gli ho già detto tutto.

[76]

Greg. Davvero?

Sordi. Suo padre, signor Gregorio, conosce tutta la mia vita, non gli ho nascosto nulla, ma con tutto ciò vuole sempre sposarmi.

Greg. Signora Sorbi, lei è più sincera di quello che non credessi.

Sorbi. Lo fui sempre. È sempre un bene, per la donna, dire la verità.

Erm. E tu Gina, cosa ne dici?

Gina. Oh! Io dico che noi donne siamo tanto differenti l’una dall’altra..

Sorbi. Può essere, io per parte mia credo d’aver fatto bene. Del resto anche il signor Werle mi ha confessato tutto, e fu appunto questa confidenza reciproca che ci ha uniti, io del resto non lo abbandonerò mai, e tra poco, avrà molto bisogno del mio aiuto.

Erm. Molto bisogno del suo aiuto?

Greg. (interrompendo) Sì, sì, ma non parliamo di ciò ora.

Sorbi. È inutile nasconderlo; è affetto da una malattia che presto lo renderà cieco.

Erm. (sorpreso) Diventerà cieco! (come colpito da un’idea) Anche lui.... è strano.

Gina. Pur troppo tali infermità sono comuni.

Sorbi. E per un uomo che ha lavorato tutta la vita deve essere penoso non vederci più. (cambiando discorso) A proposito, signor Ekdal, per gli affari si rivolga sempre al signor Groberg.

Greg. Credo che Erminio non avrà mai più affari con mio padre.

Sorbi. Credevo che una volta.....

Gina. Sì, Berta, una volta.... ma ora.... ora Erminio non ha più bisogno di nulla.

Erm. (riparlando gravemente) Signora Sorbi, voglia salutare per me il suo futuro sposo e dirgli che presto andrò dal suo procuratore Groberg....

Greg. Che, Erminio, tu vorresti?

[77]

Erm. ... dal suo procuratore Groberg per sapere a quanto ascende il mio debito.... voglio pagarlo ad usura....

Gina. Ma Erminio, tu sai che ora noi non possiamo.

Erm. (sempre alla Sorbi) Le dica che lavorerò con tutte le mie forze, e che se posso condurre a termine la mia invenzione, impiegherò tutto quanto potrò ricavare per pagarlo.

Sorbi. (alzandosi) Signor Ekdal!... Qui è successo qualche cosa di grave.

Erm. Sì, molto grave, ma molto.

Sorbi. Allora mi ritiro, non voglio riuscire importuna. (a Gina) Avrei volentieri passato con te un’ora, pazienza, sarà per un’altra volta. (bacia Gina. Gregorio ed Erminio si inchinano — Gina accompagna la Sorbi fino sull’uscio) Non uscire Gina.

(La Sorbi bacia ancora Gina ed esce. Gina chiude l’uscio quindi va a sedersi su una sedia attorno al tavolo colla testa tra le mani).

SCENA VII. Detti meno la Sorbi.

Erm. Quando potrò sbarazzarmi di questo debito?

Greg. Speriamo presto, Erminio, speriamo presto.

Erm. (a Gregorio) Ti pare che le abbia parlato da senno?

Greg. Sì, come sempre, bravo. (mettendogli una mano sulla spalla) Dimmi la verità, Erminio, non ho fatto bene forse a venire?

Erm. Sì, certo.

Greg. Non ho fatto bene a rischiarare il tuo cammino?

[78]

Erm. (seccato) Sì, certo.... Ma vi è una cosa che mi fa ribrezzo.

Greg. Ed è?....

Erm. Mi permetti di parlare liberamente di tuo padre?

Greg. Sì, sì.... fa pure, pur troppo non posso impedirtelo.

Erm. Ebbene, Gregorio, io penso che fu infame l’azione di tuo padre nel combinare il mio matrimonio.

Greg. (turbato) Perchè pensi così?

Erm. Tuo padre e la signora Sorbi, conoscendosi, si sposano, ciò indica un’assoluzione reciproca.

Greg. E con questo?

Erm. Così dovrebbero essere tutti i matrimoni, ma per il mio avvenne ciò?... Tu stesso hai detto che tra marito e moglie deve esservi una confidenza illimitata.

Greg. Sì, e lo sostengo, ma tu non puoi, non devi paragonare tua moglie.... con una donna come quella, mi capisci?

Erm. Dunque non vi è la Provvidenza?

Gina. (che avrà arrestato il colloquio di Gregorio ed Erminio) Erminio non parlare così.

Greg. Sì, non entrare in un argomento troppo difficile....

Erm. Del resto il suo destino è già tracciato. Diverrà cieco.

Gina. Ciò non è sicuro ancora.

Erm. No, non v’è dubbio, e qui sì che riconosco la mano della Provvidenza. Egli fece nella sua vita molto male, e Dio lo punisce togliendogli la vista.

Gina. (alzandosi) Erminio, non parlare così.... mi fai paura, mi fai paura.

[79]

SCENA VIII. Edvige e DETTI.

(Edvige con cappellino e mantello entra in casa di corsa, trafelata).

Gina. Sei già qui, angiolo mio?

Edvige. Oggi di passeggiare non ne avevo voglia, e ho fatto bene, ho incontrato sull’uscio la signora Sorbi.

Erm. La signora Sorbi? E le hai parlato?

Edvige. Sì. Ho fatto male?

Erm. (passeggiando) Spero che tu le avrai parlato per l’ultima volta, ricordatene.

(Breve pausa, durante la quale Edvige guarda Erminio, Gina e Gregorio come per indovinare il loro animo).

Edvige. (andando da Erminio e accarezzandolo) Papà!

Erm. Cosa vuoi?

Edvige. La signora Sorbi mi ha regalato....

Erm. (interrompendola) A te?...

Edvige. Sì.... mi ha fatto il suo regalo per domani, sai che è la mia festa domani.

Gina. Berta non ha mai lasciato passare questo giorno senza ricordarsi di Edvige.

Erm. Fammi vedere cos’è.

Edvige. No, tu non lo devi vedere, fino a domattina non posso aprire.

Erm. (irato) Cosa sono tutti questi sotterfugi?

Edvige. (carezzevole) Non t’arrabbiare, guarda, è una busta, ma debbo aprirla domani. (mostra una busta).

Erm. Una lettera?

[80]

Edvige. È tutto qui; forse il regalo verrà più tardi. (avvicinandosi a Erminio) Guarda, papà, cosa c’è scritto (segna la busta) «Alla Signorina Edvige Ekdal.» Capisci, mi danno già della signorina.

Erm. Edvige, dammi quella lettera.

Edvige. Eccotela. (gli consegna la lettera).

Erm. (guardando la busta) Questa calligrafia è del vecchio Werle.

Gina. Ne sei sicuro?

Erm. Guarda tu stessa.

Gina. Oh! io non la conosco.

Erm. Edvige, posso aprirla, posso leggerla?

Edvige. A me lo domandi, papà? Fa quello che vuoi.

Gina. Perchè vuoi toglierle una sorpresa? Aspetta domattina, Erminio.

Edvige. Ma no, mamma, lasci che legga, se quella lettera contiene una buona notizia, papà sarà contento, e quando lui è contento noi siamo felici, nevvero mamma?

Erm. Dunque posso aprire?

Edvige. Sì, sì, papà, sono ansiosa anch’io.

Erm. (apre la lettera e legge, ma resta attonito, colpito) Ma che vuol dire ciò?

Gina. (agitata) Che c’è di nuovo?

Edvige. (curiosa) Dimmi presto, papà, cosa dice quella lettera?

Erm. (continua a leggere, alla fine lascia cadere il braccio, pallido commosso). È una lettera di donazione, Edvige.

Edvige. A me?

Erm. Leggi tu stessa. (Edvige prende la lettera e va a leggere presso la lampada. Erminio la guarda e tra sè) Gli occhi!... gli occhi!... e quella lettera.

Edvige. (interrompendo la lettura) Ma la donazione è per il nonno.

Erm. (strappandole la lettera di mano si pianta [81] in faccia a Gina) E tu, comprendi qualche cosa?

Gina. Io non ne so nulla.

Erm. Il vecchio Werle scrive a Edvige che il nonno, mio padre, non ha più bisogno di copiare, che d’ora in avanti riceverà cento corone al mese.

Greg. (stupito) Davvero? Ha osato tanto!

Edvige. È vero mamma, l’ho letto io, cento corone.

Gina. (parlando commossa) Mi pare.... che questa sia una fortuna per il nonno.

Erm.... Cento corone che gli saranno pagate fino all’ultimo giorno di sua vita....

Gina. Ecco assicurata la vecchiaia di quel vecchio.

Erm. Ma Edvige, ma non hai letto avanti, dopo questa donazione passerà in tuo favore....

Edvige. (meravigliata) A me? A me?... E per qual ragione?

Erm. (agitato e fissando Gina) Senti, Gina? Senti?

Gina. (commossa) Sì.... sento.

Edvige. Tanto denaro a me. (avvicinandosi ad Erminio) E non sei contento, papà?

Erm. (allontanandola) Contento?... (passeggia) Che vita, che vita di tormenti mi si prepara.... ma perchè deve passare la donazione ad Edvige, perchè sì ricco regalo?

Gina. Domani è la sua festa.

Edvige. E io certo lo darò a voi. Quel denaro è per te. (a Erminio) E per la mamma.

Erm. Per tua madre.... lo so, lo so.

Greg. (avvicinandosi a Erminio gli parla piano) Bada, Erminio, ti tende un laccio.

Erm. Perchè dici così?

Greg. Mio padre stamane mi disse: Non credere sia il tuo Erminio l’incorruttibile che credi. Vedrai mi diceva....

Erm.... Che con un poco di denaro lo farò tacere. — Ah! no! ah! no! si sbaglia, sì, gli risponderò.

[82]

Edvige. (a Gina) Mamma, cosa c’è, dimmi che è successo?

Gina. Nulla, va a deporre il mantello, va, Edvige.

(Edvige, spaventata, commossa, esce per la porta della cucina).

Greg. E come vuoi rispondergli?’

Erm. Guarda. (straccia in due pezzi la lettera di Werle e la depone sul tavolo) Ecco la mia risposta.

Greg. Ne ero sicuro.

Erm. (va da Gina che è presso la stufa e con voce tremante) Non più segreti, non più misteri, quando tramasti la relazione.... con lui.... quando cominciasti ad amarmi, almeno quando lo dicevi, dimmi, perchè fu proprio lui che combinò il nostro matrimonio?

Gina. Pensi forse che abbia avuto rapporti con quell’uomo anche dopo la nostra unione?

Erm. No, non lo penso. — Voglio sapere se egli era del tutto scevro da timori....

Gina. Non ti capisco.

Erm. Gina voglio sapere se.... se tua figlia ha il diritto di vivere sotto il mio tetto.

Gina. (fissandolo) E me lo domandi?

Erm. Rispondimi Gina, Edvige è mia?....

Gina. (lo guarda con disprezzo) Non lo so.

Erm. (con un urlo) Miserabile, non lo sai!

Gina. E come può saperlo.... una donna come me?

Erm. (riuscendo con grande sforzo a dominarsi) Allora non ho più nulla da fare in questa casa.

Greg. Rifletti, Erminio, prima di agire.

Erm. (infilandosi il paletot) Un uomo come me non riflette mai....

Greg. Sei in errore, questo è il caso della riflessione. Voi tre dovete rimanere uniti, tu non hai che una azione da compiere, un’azione generosa, da grande: perdonare.

Erm. No, non lo farò mai! mai! mai!... Dove è il [83] mio cappello? (trova il cappello e se lo pone in capo) Non ho più famiglia.... (con voce piangente) Gregorio, non ho più figlia....

SCENA IX. Edvige e DETTI.

Edvige. (dalla porta della cucina) Cosa dici, padre mio, cosa dici?....

Gina. (a Erminio) Guardala!

Erm. Non avvicinarti, Edvige. Va via, non mi guardare così.... Oh! i tuoi occhi! i tuoi occhi!... Addio. (corre precipitosamente verso la porta).

Edvige. (attaccandosi al suo collo) No, no, non andar via.

Gina. Erminio, guarda la tua Edvige, guardala.

Erm. No.... non voglio.... non posso.... lasciatemi partire, lasciatemi andar via di qui. (si svincola con forza da Edvige e parte)

Edvige. (desolata) Mamma, egli ci lascia.... mamma, egli non torna più, non torna più.... (si getta singhiozzante sul divano).

Gina. Edvige, angelo mio, calmati, tornerà, sta quieta, tornerà....

Edvige. (sempre distesa sul divano) No, no... non ritorna più.... mamma, non ritorna più.

Greg. (turbato) Signora Ekdal.... sulla memoria di mia madre, le giuro che non avevo preveduto il male che faccio.

Gina. (seria) Io lo credo.... possa perdonarle Dio.

Edvige. (sempre sul divano) Ne morrò dal dolore.... ma che gli ho fatto io?... Mamma, rendimelo, rendimelo....

Gina. (risoluta) Sì, sta tranquilla, lo andrò a cercare, [84] (si mette in fretta un mantello che era appeso all’attaccapanni e si avvolge sul capo un velo) Forse è da Relling.... ma non piangere Edvige mia, promettimi di non piangere.

Edvige. (singhiozzando) Sì, te lo prometto, che se torna.... non piangerò più. (dà in un scoppio di pianto).

Greg. (a Gina che vuol andare) Lasci prima che il suo dolore abbia uno sfogo. (accenna a Edvige).

Gina. (severa) Ciò avverrà dopo, ora debbo trovarlo. (esce)

SCENA X. Detti meno Gina poi Gina.

Edvige. (alzandosi e asciugandosi le lagrime) Signor Werle, lei mi deve dire tutto. Perchè mio padre non vuole più vedermi?

Greg. Sei fanciulla, e troppo giovane per avere delle spiegazioni.

Edvige. (singhiozzando) Io voglio sapere di che si tratta... io oramai conosco tutto. (come colpita da un’idea che la terrorizza) Forse non sono figlia di mio padre.

Greg. (commosso) Chi le ha detto ciò?

Edvige. (piangendo) Forse sono una trovatella e la mamma l’ha nascosto a mio padre. Ma egli dovrebbe amarmi dippiù, allora, anch’io trovai l’anitra selvatica e pur l’amo tanto!

Greg. (tentando cambiar discorso) L’ama dunque la sua anitra?...

Edvige. Sì.... ma papà mi disse che vuole uccidere anche lei.

[85]

Greg. Non lo farà, stia tranquilla, non lo farà.

Edvige. Me l’ha detto. E io che ogni sera, quando dico le mie preghiere prego il buon Dio che abbia a custodire anche la mia anitra.

Greg. (fissando) Edvige, lei prega dunque?

Edvige. Sì.... mi insegnò a pregare la mamma, quando papà era ammalato; le mie orazioni lo fecero guarire.

Greg. E ora prega per l’anitra?

Edvige. È ammalata!

Greg. E Erminio vuole ucciderla.

Edvige. No, disse che sarebbe stato meglio per lui l’ucciderla, ma dopo le mie preghiere mi promise di non farle alcun male.

Greg. (avvicinandosi) Per suo padre sarebbe capace di sacrificare l’anitra selvatica?

Edvige. (rivoltandosi) L’anitra?

Greg. Sì, le domando, se per Erminio sacrificherebbe ciò che ha di più caro.

Edvige. E lei crede che dopo tal prova mio padre tornerebbe a me?

Greg. Provi, provi.

Edvige. (lentamente) Sì.... lo proverò.... voglio tentare.

Greg. E ne avrà poi il coraggio?

Edvige. Pregherò il nonno di ucciderla con la pistola.

Greg. Provi, ma non dica nulla alla mamma.

Edvige. Perchè?

Greg. Non ci comprenderebbe.

Edvige. Ebbene domani voglio provare ad uccidere l’anitra io stessa.

(Gina entra trafelata).

Edvige. (andandole incontro) Ebbene, mamma, l’hai trovato?

Gina. No, ma fu da Relling e uscirono insieme.

Greg. Ed andò a cercare compagni, lui che ha tanto bisogno di solitudine?

Gina. (levandosi il mantello ed il velo, freddamente [86] dice a Gregorio) Signor Werle non tutti gli uomini pensano egualmente. (a Edvige) Chissà dove Relling e Molvik l’hanno condotto, fui alla bettola delle Oseksen ma non c’erano.

Edvige. (a stento frenando le lagrime e con voce canzonatoria) Mamma, e se non ritornasse più in casa?

Greg. (risoluto) No, ritornerà, ritornerà. — Dorma tranquilla Edvige, domani ricondurrò suo padre a casa. — Buona notte. (esce).

Edvige. (si butta al collo di Gina singhiozzando) Mamma, mamma, perchè se n’è andato?

Gina. (la bacia, l’accarezza e dice tra sè) Relling aveva ragione. (guarda Edvige) Ecco che si guadagna a mettersi dei pazzi e dei visionari in casa. (bacia Edvige che continua a singhiozzare)

FINE DELL’ATTO QUARTO.


[87]

ATTO QUINTO.

Stessa scena degli atti precedenti. — È mattina, le vetriate sono cariche di neve.

SCENA I. Edvige e Gina poi vecchio Ekdal.

Edvige viene dalla porta d’entrata, avrà in capo uno scialle di lana pesante che subito depone. — Gina esce dalla cucina e attraversa la scena dirigendosi verso sinistra con una scopa in mano. — Gina deve avere un gran grembiale.

Gina. (fermandosi) Ebbene?

Edvige. Credo che sia da Relling. La fruttivendola di faccia lo vide rincasare questa mane in compagnia di due uomini.

Gina. Me lo immaginavo. — Sei tranquilla?

Edvige. Un poco, ma si vede che con noi non vuole più tornare.

Gina. Calmati, se è da Relling voglio scendere e parlargli.

(Il vecchio Ekdal appare sulla soglia della sua stanza in veste da camera fumando la pipa).

Ekdal. Erminio non è in casa stamattina?

Gina. (imbarazzata) No.... deve essere uscito.... uscito per affari....

[88]

Ekdal. Così presto, con un tempo simile?... Comincia presto quest’anno a nevicare. — Edvige oggi è la tua festa, baciami (la bacia) ma poi, ma poi.... quando verrà tuo padre.... Edvige, aiutami ad aprire, voglio vedere come sta l’anitra selvatica. (apre un battente del solaio, Edvige l’aiuta ad aprire l’altro ed entra, Edvige richiude la porta).

Edvige. (sottovoce a Gina) Pensa, mamma, se il nonno sapesse.... se sapesse che ci ha abbandonati.

Gina. Il nonno non deve sapere nulla, fu una vera fortuna che lui ieri sera non fosse presente.

Edvige. Sì.... forse....

SCENA II. Gregorio e DETTI, poi Relling.

Greg. (da sinistra) Ebbene, nessuna notizia?

Gina. Crediamo che sia da Relling.

Greg. Da Relling? Ed è uscito con lui? Con quello scapestrato, lui che aveva tanto bisogno di solitudine per concentrarsi, per prendere una seria deliberazione?

Gina. È vero, è vero.

(Relling entra dalla porta di destra, Edvige che era vicino alla stufa lo vede e gli va incontro correndo).

Edvige. Papà è da lei, mi dica è da lei?

Gina. (ansiosa) Relling, ci tolga da questa incertezza.

Relling. È da me.

Edvige. E non ha nulla da dirci? Come sta?

Relling. Credo che stia bene. Ho dovuto stare [89] finora da Molvik che più ubbriaco del solito, non voleva addormentarsi, temevo che non si avesse a buttare....

Gina. Ma Erminio cosa dice?

Relling. Non dice nulla.

Edvige. Non ha mai parlato?

Relling. Da ieri non ha aperto bocca.

Greg. Lo capisco, è naturale.

Relling. Ora si è buttato sul divano per dormire un poco.

Edvige. Come può dormire lui? Io ho pianto tutta la notte.

Gina. Lui non sta mai fuori di notte.

Edvige. Forse, mamma, è un bene per lui dormire, non lo credi?

Gina. Speriamolo, per ora non lo voglio disturbare. (stende la mano a Relling) Grazie, Relling, grazie. — Vieni, Edvige, andiamo a mettere in ordine la casa.

(Edvige e Gina entrano da una porta di sinistra).

SCENA III. Relling e Gregorio.

Greg. (a Relling) E lo stato morale di Erminio come va?

Relling. Non mi accorsi mai che soffrisse nel morale.

Greg. Non si prendono serie risoluzioni senza una seria ragione.... un uomo poi come Ekdal.

Relling. Lo credete dunque qualche cosa di straordinario?

Greg. Erminio ha avuto un’educazione....

Relling. Vi prego non parliamo, volete parlare delle sue due zie isteriche e mezze matte?

[90]

Greg. Relling, io le conobbi e so che erano due angeli di donna; che ad Erminio coltivarono sopratutto il cuore.... ma lei certe cose non le comprende, ride su tutto.

Relling. Non sono disposto ora. Del resto io so che quelle due pulzellone mi hanno fatto di Ekdal un uomo tutto rettorico, e che del mondo non sa nulla. Erminio ha avuto una disgrazia, quella d’essere stato sempre considerato dai suoi come un uomo superiore.

Greg. E non lo è forse? Il suo animo è nobile....

Relling. (interrompendo) Può essere, io non me ne sono mai accorto. Che suo padre lo creda, passi, fu sempre un grande ingenuo.

Greg. No, fu sempre un uomo buono.

Relling. Come vuole... quando Erminio Ekdal con fatiche e stenti, riuscì ad essere studente, era già considerato fra i suoi camerati, quale un genio del domani. Era un giovane bello ed attraente. Bianco e rosso; uno di quei giovanetti che piacciono alle fanciulle adolescenti, e poichè aveva l’animo facile alla commozione e la voce insinuante e sapeva magnificamente declamare i versi e i pensieri degli altri...

Greg. (con amarezza) Ma è proprio di Erminio Ekdal che lei parla?

Relling. (senza scomporsi) Sì, se lei me lo permette.... Ekdal è malato, ed anche lei è malato.

Greg. Io?

Relling. Sicuro, è affetto da una esagerata febbre dell’onestà. Lei poi, è sempre in caccia di un idolo da poter adorare, e non avendo trovato nella sua famiglia, vicino a sè, l’uomo perfetto che sogna, lo va, nuovo Diogene, cercando nelle case degli altri.

Greg. Pur troppo io vivevo in un ambiente viziato.

Relling. Ed ora se crede aver trovato in Ekdal la «mosca bianca» si sbaglia, si sbaglia.... anche [91] questo è un ambiente viziato, qui le sue idee di perfezione non attecchiscono, creda a me, non attecchiscono.

Greg. E allora, se ha di Erminio sì cattiva opinione, perchè continua a vivere con lui?

Relling. Dio mio, io sono medico, non ho ammalati è ben giusto che mi occupi della salute dei miei vicini.

Greg. Erminio dunque è ammalato?

Relling. Come tutti gli uomini.

Greg. E come lo cura?

Relling. Col mio solito metodo, lo illudo, maschero la vita reale.

Greg. Maschera la vita reale?

Relling. Sì, caro mio visionario, non si è felici che colla menzogna, tutto è menzogna.

Greg. E qual è la menzogna che dovrebbe sostenere Erminio?

Relling. Questo poi non glielo dico. Lei è capace di far rovinare tutta la mia opera. — Il mio metodo è infallibile e Molvik ne è una prova. L’ho persuaso che il suo corpo rinserra uno spirito maligno che lo trascina al male, e l’ho salvato, quell’uomo disprezzava tanto sè stesso, che senza me a quest’ora da anni sarebbe sotto terra. — Ma senza il mio metodo che sarebbe del vecchio luogotenente Ekdal?

Greg. (stupito) Anche il vecchio Ekdal?

Relling. Sì, egli era infelice perchè non aveva più boschi, egli era dominato da una idea terribile che lo avrebbe ucciso, temeva della vendetta della foresta; ora questo intrepido cacciatore d’orsi si è calmato, caccia in un solaio con una vecchia pistola galline e conigli, con la stessa passione con cui cacciava i fagiani e le fiere, e i vecchi e secchi alberi del Natale ora li ama più che non le annose piante del suo caro bosco di Hördal. Ora non teme più la vendetta della foresta.

[92]

Greg. Anche quel povero vecchio dovette rinunciare ai suoi ideali giovanili.

Relling. Ma, la prego, non ripeta questa parola: ideale, già è sinonimo di menzogna.

Greg. E lei crede che si equivalgano?

Relling. Sì, come il tifo e la febbre perniciosa.

Greg. Dottor Relling, io non mi chiamerò contento che quando avrò sottratto Erminio alla sua influenza.

Relling. Guai all’uomo che può mostrarsi a sè stesso nel suo vero aspetto. (a Edvige che entra).

SCENA IV. Edvige e DETTI.

Relling. Alza il visino, piccola madre dell’anitra selvatica, ora vado a vedere se tuo padre riflette ancora sulla sua invenzione. (saluta sorridendo Gregorio e parte)

Greg. (avvicinandosi a Edvige) Lei non ha ancora fatto quello che aveva promesso?

Edvige. Lei intende parlare dell’anitra?... Cosa vuole, me ne manca il coraggio. Ieri sera ero disposta a fare sì grande sacrificio, stamane.... non lo posso stamane. Eppoi mi pare strano.

Greg. Anche lei dunque è cresciuta in troppo ristretto ambiente?

Edvige. (un poco seccata) Questo non c’entra ora.... Mi dica piuttosto, tornerà, tornerà lui?

Greg. Lo desidera, e non ha il coraggio di richiamarlo con una prova d’amore.... (avvicinandosi) Edvige, io la conosco, so che lei è nobile.... spero che il coraggio verrà.... anzi ne sono certo, quasi certissimo. (parte).

(Edvige resta pensierosa, poi come volendo cacciare un brutto pensiero, si dirige verso la cucina, [93] ma sentendo battere al solaio, va ad aprire un battente, il vecchio Ekdal entra ed Edvige richiude).

SCENA V. Edvige e vecchio Ekdal poi Gina.

Ekdal. Mi annoia questo dovermene star solo stamane. (va vicino alla stufa a riscaldarsi).

Edvige. E oggi non hai cacciato?

Ekdal. Il tempo non è adatto, è troppo scuro e non ci si vede.... eh? Una volta cacciavo anche di notte. Mah!... (brontola tra sè parole incomprensibili).

Edvige. Dimmi la verità, nonno, ti sei stancato di prendere di mira i conigli?

Ekdal. No, no.... sono brave bestie.... e non è facile prenderle.

Edvige. (a bassa voce) E.... e l’anitra selvatica?

Ekdal. Povera piccina, temi forse che abbia a tirare sull’anitra? No, no, sta tranquilla.... ho ancora l’occhio giusto e il polso sicuro.

Edvige. (non guardando il vecchio Ekdal) Capisco e poi, forse, ti sarà troppo difficile.... il colpirla.

Ekdal. (sorpreso) Difficile?... Difficile a me?... Ma Edvige!....

Edvige. Dimmi, dunque, come faresti, se mai.... parlo così per curiosità.

Ekdal. Cercherei di colpirla al petto, è il colpo più sicuro, ma bisogna però tirare contro le penne, non nel verso delle piume....

Edvige. (stentata) E.... muore presto?

Ekdal. La morte è istantanea se il colpo è giusto. Ma lascia che vada a vestirmi. (si avvicina sorridente a Edvige carezzandole il volto) Oggi è [94] la festa della mia nipotina e il nonno si veste in gran gala.... ma che nonno? oggi io per te ridivento il luogotenente Ekdal. (fa altre carezze ad Edvige e ritorna nella sua stanza borbottando: «Il luogotenente.... il luogotenente....»)

Edvige. (guarda il vecchio Ekdal, che s’allontana, poi sta pensierosa, si passa una mano sulla fronte mostrando di prendere una grave risoluzione, quindi in punta di piedi va alla scansia in fondo, ne apre un cassetto e prende la pistola, ma vedendo Gina che viene dalla porta di sinistra lesta la ripone).

Gina. Non mettere a soqquadro le carte di Erminio.

Edvige. (avanzando) Volevo solamente ordinarle un poco.

SCENA VI. Gina — Erminio e Edvige.

Gina. Edvige va in cucina e bada al caffè, voglio scendere a portargliene una tazza, voglio parlargli.

(Edvige eseguisce, Gina prende una scopa che avrà lasciato nell’altra stanza e scopa il laboratorio, dopo breve pausa apre adagio adagio la porta di entrata ed entra Erminio. Ha il paletot ed è senza cappello, scarmigliato, ha l’aspetto di uomo stanco, accasciato).

Gina. (vedendolo resta un poco attonita, poi butta la scopa in un angolo e fa due o tre passi verso lui) Ah! sei tu Erminio, sei arrivato finalmente.

Erm. (con voce franca) Venni, ma per ripartirmene subito.

Gina. Sei padrone di fare quello che vuoi.... ma [95] come ti sei conciato!!... (Erminio sorride tristamente) Ed è l’abito nuovo che hai ridotto così?

Edvige. (viene dalla cucina) Mamma, se vuoi andare.... (vede Erminio, dà in un grido di gioia e corre a lui) Ah! Papà, papà.

Erm. (respingendola) No... stammi lontana, stammi lontana.... (non volendo Edvige andarsene si rivolge a Gina) Dille dunque che se ne vada.

Gina. (commossa) Edvige, va di là.... vuol parlare con me, si vede.... va di là Edvige.

(Edvige soffoca i singhiozzi, fissando Erminio, obbedisce ed entra a sinistra).

Erm. (commosso va alla scansia e ne apre un cassetto) Voglio prendere con me i miei libri.... (cercando) Ma dove sono?

Gina. Quali libri vuoi?

Erm. Le mie opere di scienza, i miei disegni.... la mia invenzione insomma.

Gina. (cercando anch’essa) Sono quei quaderni con copertina gialla?

Erm. (senza guardarla) Appunto.

Gina. (va alla tavola) Eccoli, sono questi? (Erminio se li prende e li esamina) Dunque ci abbandoni?

Erm. (sempre scartabellando i libri) Avresti già dovuto comprenderlo: (con forza) come posso io restare in questa casa.... ora che so tutto, che so chi sei.

Gina. Dio possa perdonarti il male che le tue parole mi fanno.

Erm. Provami che non sei quale si crede.

Gina. Sei tu che devi provarmi.

Erm. No.... dopo un passato come il tuo.

Gina. (con passione) Ma a tuo padre non pensi? Che ne sarà di lui?

Erm. So quale è il mio dovere. Me lo porto via con me; bisogna anzi che trovi due stanze in città.... (fa per partire) Non sai se qualcuno ha trovato il mio cappello sulle scale?

[96]

Gina. Perdesti il cappello?

Erm. Non lo so, ieri l’avevo e stamane.... non ho più la testa.... non ho più la testa!

Gina. Erminio, dove sei stato questa notte con quegli scioperati?

Erm. E che so io, mi condussero per le birrerie e per le bettole, dove si era assordati dalle grida, soffocati dal fumo, ma io era come un automa, non mi ricordo più di nulla.

Gina. Erminio, tu sei malato.

(Erminio non le risponde, volge le spalle nel deporre i libri sul tavolo, scorge la donazione di Werle che nell’atto precedente egli ha stracciato, la mette da parte vedendo Gina che sarà andata in cucina e torna con un vassoio sul quale vi è una tazza di caffè con un piatto di sandwich).

Gina. (posando il vassoio sul tavolo) Prendi una tazza di caffè, ne hai bisogno; tu sei digiuno, manda giù un sandwich.

Erm. Non ne voglio. (prende i libri va verso la porta di sinistra dove è entrata Edvige ed apre l’uscio, ma ritraendosi) Ancora lei....

Gina. Povera fanciulla non accasciarti.

(Edvige, tornando spaurita non osando guardare Erminio, entra in scena. Erminio è sulla soglia dell’uscio).

Erm. Ricordati Gina che per questi ultimi giorni che ho da restare in questa casa non voglio essere molestato da persone che non mi riguardano. (fa per entrare).

Edvige. (avvicinandosi a Gina con voce rotta dal pianto dice piano) Mamma, allude forse a me?..

Gina. Sai, è di cattivo umore.... ma passerà, aspettami di là (accenna alla cucina) non piangere mio angelo. (a Erminio) Non andare di là, se hai bisogno di qualcosa dillo a me. (a Edvige) Va va pure.

Edvige. (piangente s’avvia verso la cucina, ma [97] poi è colpita da un’idea, e a voce rauca) L’anitra, il sacrificio! (vedendo che Gina ed Erminio non si accorgono della sua presenza, striscia piano piano fino alla scansia, ne prende la pistola e senza far rumore apre un battente del solaio, entra e richiude, non ermeticamente però).

Erm. (che non si è accorto di nulla mentre ha luogo l’azione di Edvige dice a Gina) Spicciati, dunque, e dammi solo la borsa nera.

Gina. (entra e ritorna subito con una borsa) Ma questa non ti può bastare?

Erm. (non risponde, rimette i suoi libri e altri oggetti che prende dalla scrivania. Poi si leva il pastrano e lo butta sopra una sedia).

Gina. Bada il caffè ti si raffredda.

Erm. Sì, ne ho bisogno. (beve il caffè)

Gina. E come farai a trovare un solaio atto a contenere i conigli?

Ehm. Non intendo già trascinarmeli dietro...

Gina. Ma il vecchio ora senza i suoi conigli non può vivere.

Erm. Ci si avvezzerà, anche io dovrò rinunciare a tutto.

Gina (che si è avvicinata alla scansia) Vuoi anche il flauto?

Erm. No, è una distrazione inutile, dammi la pistola invece.

Gina. (spaventata) E per che farne?

Erm. Sta tranquilla non intendo uccidermi, la mia pistola e fa adagio che è carica.

Gina. (cercando) Ma non l’avrà portata in solaio il nonno?

Erm. (con un sospiro) Povero vecchio. (mangia un sandwich e finisce dì bere la tazza di caffè)

Gina. Se la stanza non fosse stata affittata....

Erm. (pronto) Restare presso di te?... Mai.

Gina. (con voce supplichevole) Erminio, per qualche giorno ancora!

[98]

Erm. No.

Gina. Se non vuoi restare in casa abita da Relling o da Molvik purchè si possa sapere che sei vicino a noi.

Erm. (prendendo un altro sandwich) No... sono troppo viziosi... (cerca sul vassoio)

Gina. Cosa cerchi?

Erm. Nulla, del burro.

Gina. (corre in cucina) Vado a prenderlo.

Erm. (gli grida) È inutile, è inutile, (tra sè) D’ora innanzi spesso avrò da mangiare pane asciutto.

Gina. (rientra portando un pezzo di burro, gli versa un’altra tazza di caffè, Erminio si siede sul divano e mangia in silenzio)

Erm. (guardandosi attorno) Quanto starei ancora volontieri in questa stanza.

Gina. (ansiosa) E non sei padrone Erminio? Edvige e io non ci muoveremo mai di camera nostra se tu lo comandi.

Erm. È impossibile... Eppoi in un giorno non posso portare via tutto.

Gina. Con questa neve che cade, poi. — E come farai a dire al nonno che voi ci lasciate?

Erm. (pensieroso) Mah... Povero vecchio, povero vecchio. (vede la donazione) Sempre questa carta sotto gli occhi.

Gina. Io non l’ho toccata, io non voglio trarne profitto.

Erm. Rispondi, rispondi, perchè non abbiate un giorno a dire che io vi ho rovinate.

Gina. (prendendo la carta) Come vuoi... Ma per me se la vuoi stracciare...

Erm. (come parlando tra sè) E poi non è cosa mia... è di mio padre... Se vorrà fruirne...

Gina. (sorpresa) Povero vecchio, quanto ha da soffrire!...

Erm. Metti via quella carta, metti via quella carta. (Gina mette in tasca la donazione)

[99]

SCENA VII. Detti e Gregorio.

Greg. (entra e rimane meravigliato di vedere Erminio) Tu sei seduto qui? E hai anche fatto colazione?

Erm. (alzandosi in fretta) Che vuoi, la stanchezza mi ha vinto.

Greg. Che decisione hai preso dunque?

Erm. Un uomo come me non può seguire che una strada... Fuggo da questa casa. Vi tornerò per prendere i miei libri!...

Gina. (non guardando Gregorio) Allora farò la tua valigia.

Erm. Sì....

(Gina prende la borsa nera ed entra nella stanza a sinistra, breve pausa, Erminio cammina per la stanza, Gregorio lo segue cogli occhi).

Greg. Non avrei mai creduto che avesse a finire così! Dunque tu vai via di casa?

Erm. (sempre camminando) Sì, che vuoi? Io non sono un’anima grande che comprenda la nobiltà del perdono, io non posso vivere con... con persone che ad ogni ora, ad ogni minuto mi ricordano il mio disonore.

Greg. Erminio, prova, almeno il perdono, tu l’hai detto nobilita, e tu che ora sai tutto, devi perdonare e vivere, vivere per la tua invenzione.

Erm. Non mi parlare di invenzioni, cosa vuoi che inventi? Quello che ieri mi pareva facile ora lo trovo impossibile... La mia opera però è distrutta. Cosa vuoi che inventi?...

Greg. Distruggi dunque il lavoro continuo di tanti anni?

[100]

Erm. Sì, tutto, tutto... Relling mi aveva illuso ma ora mi sono destato.

Greg. Relling?

Erm. Sì, egli mi parlava sempre del mio talento, mi incitava a lavorare, e io studiavo, studiavo... Ah! Come ero felice, come ero felice allora!

Greg. (turbato) Eri felice?...

Erm. Sì... Molto, e sapevo che la mia Edvige alla mia invenzione ci credeva, sapevo che lei mi riguardava come un genio... Era dunque tutta una finzione?

Greg. Puoi solo supporre che Edvige abbia finto con te?

Erm. Oramai credo a tutto... (prendendolo per un braccio) Non sapevi che Edvige, la mia Edvige d’ieri, oggi è d’imbarazzo, essa sarà sempre il punto nero della mia vita?

Greg. Edvige? Tu parli così di Edvige?

Erm. E l’ho amata tanto quella fanciulla! Era la mia adorazione, vivevo per lei. Le sue carezze mi empivano di gioia, mi facevano bella questa modestissima dimora; ero beato quando lei mi fissava con i suoi occhioni. Pazzo, pazzo, mi immaginavo che ella avesse per me dell’adorazione, sì dell’adorazione.

Greg. Tu lo immaginavi?... Così dici?...

Erm. Posso forse esserne sicuro?... Chi me lo può provare?... A chi debbo rivolgermi, a Gina forse?... Gregorio, tu devi sapere tutto ciò, dubito che Gina non mi abbia mai amato.

Greg. Non lo supporre nemmeno.... (viene interrotto da un rumore che s’ode sul solaio) Che c’è? È l’anitra selvatica?...

Erm. Mio padre deve essere sul solaio.

Greg. (contento) Erminio, tu vuoi una prova dell’amore di Edvige?

Erm. Che prova vuoi darmi? Che prova che possa farmi sicuro?... (svolta a destra)

Greg. Edvige non finse mai con te.

[101]

Erm. È ciò che voglio veramente sapere. Ella crebbe tra Gina e la Sorbi, chissà con quali idee l’educarono.... Eppoi la lettera di donazione non può essere capitata così improvvisa.... Non è naturale.

Greg. Tu vuoi trovare il pelo nell’uovo.

Erm. Dacchè mi è caduta la benda dagli occhi, io vedo tutto, osservo tutto; ora capisco perchè la Sorbi si mostrò sempre tanto premurosa per Edvige.... Chissà, forse aveva già combinato, col vecchio di prendersela.

Greg. Vuoi che Edvige ti abbandoni?

Erm. Caro mio, la ricchezza è una calamita potente.... E io che l’ho amata tanto.... Nessun padre fu più amoroso di me, eppure fui tradito, vigliaccamente tradito, forse ella finse, non ebbe mai affezione per me, aspettava il giorno per lasciarmi.

Greg. Erminio, tu parli da insensato.

Erm. Provami il contrario, caro Gregorio, tu sei un visionario, neanche per un pugno d’oro mi dimenticherò, non dubitare, mi dimenticherò...

Greg. (interrompendolo) Ne sei certo?

Erm. Sì, certo, certo (ridendo sardonicamente) Come sono certo che se le domandassi il sacrificio della sua vita lei mi.... (un colpo di pistola rimbomba sul solaio).

Greg. (con gioia) Erminio, eccoti la prova....

Erm. (spaventato) Mio padre uccise dunque?

Gina. (entrando spaventata) Che è successo?

Erm. (avvicinandosi verso il solaio) Lasciami andare a vedere....

Greg. (commosso) Erminio ora sarai contento, questa era la prova.

Erm. Di che?

Greg. Il sacrificio di una fanciulla; ti sacrificò ciò che più aveva di caro, fece uccidere l’anitra.

Gina. La uccise? (Erminio resta stupito).

Greg. Lo fece per riacquistarti, non poteva vivere senza te.

[102]

Erm. (commosso) Povero angelo mio....

Gina. (piangendo) Erminio, Erminio, ti commovi ora?....

Erm. Dov’è, dov’è.... Edvige, Edvige!

Gina. Sarà in cucina, la vado a chiamare.

Erm. No, tocca a me. (entra in cucina e ne esce subito) Non c’è.... (Gina cerca inutilmente nelle altre stanze).

Gina. Non può essere uscita.

Erm. Ora sono guarito, ma cercatela, ma cercatela....

(Il vecchio Ekdal esce dalla sua camera in grande uniforme di luogotenente di fanteria, con sciabola al fianco).

Erm. (spaventato) Tu qui, papà, tu qui?...

Ekdal. (arrabbiato) Bravo, tu vai da solo, eh, a cacciare?...

Erm. (con ansia) Non eri tu che hai tirato?

Ekdal. Io?... Sei pazzo.

Greg. (a Erminio) Fu lei stessa... Il sacrificio è completo.

Erm. (c. s.) Che vuol dir ciò? (corre al solaio, ne apre i battenti ed entra) Edvige, mia Edvige!

Gina. (correndo anch’essa al solaio) Mio dio! Mio dio! Non risponde....

Greg. (spaventato) In terra? (corre al solaio).

Erm. (in preda a grande spavento) È stesa in terra.

Gina. (respinge tutti ed entra nel solaio) Edvige. (con un urlo) Ah! (Erminio la segue).

Ekdal. E che? Anche lei si mette a cacciare? (si dirige verso il solaio: Erminio, Gina e Gregorio trasportano Edvige che ha una mano penzoloni con una pistola in pugno, con un urlo) Edvige, Edvige!...

Erm. (fuori di sè) È morta, è morta!... Aiuto! Aiuto!

Gina. (correndo sull’uscio di entrata) Relling! Relling!... (Erminio e Gregorio distendono Edvige sul divano, Gina si inginocchia davanti a lei)

[103]

Ekdal. (in preda a grande turbamento, con voce rauca) È la foresta.... La foresta che si è vendicata. (va al divano e si inginocchia)

SCENA VIII. Relling, Molvik e Detti.

Relling. (viene da casa seguito da Molvik) Che c’è, che è successo?...

Gina. La mia Edvige.... è morta.... Crediamo (con urlo) Una disgrazia.... È morta.

Erm. (prendendo Relling per un braccio) Vieni, salvala, salvala, se lo puoi.

Relling. (mette da una parte il tavolo ed esamina il corpo di Edvige, breve pausa, tutti piangono, il vecchio Ekdal fissa terribilmente Relling) Coraggio, la vostra Edvige non è più..

Erm. (inginocchiandosi) Ed è per me, ed è per me. (singhiozza).

Relling. Ma come avvenne ciò?

Erm. Voleva uccidere l’anitra selvatica....

Gina. E... il colpo forse ferì lei....

Relling. (pensieroso guardando Gregorio) L’anitra selvatica?

Ekdal. (si alza e va nel fondo della scena, dominando tutti con il suo sguardo) È la foresta, è la foresta che si è vendicata.

Erm. Dunque è morta?

Relling. La palla le è penetrata nel cuore, ora è nel buio eterno.

Greg. (piano a Relling) No, nella beatitudine eterna.

Relling. (alza le spalle senza rispondergli).

Erm. Se tu puoi renderle la vita, per un momento solo, per dirle che l’amo.... No, no... (stringendo i pugni) Ma se è vero che una potenza vi è lassù, come può permettere ciò?

[104]

Gina. Erminio, ella era un angelo, noi non eravamo degni di averla.

(Molvik è presso al divano e prega).

Relling. (tenta levargli la pistola) Non si può.... La porterà nella tomba. Ora piuttosto portatela nel suo letto.

Gina. Tocca a noi Erminio, non ad altri.

(Erminio e Gina prendono Edvige e la portano nella stanza di Erminio).

Molvik. (benedicendo il cadavere) Polvere eri, e polvere ritornasti. (incrocia le mani sul petto e segue il cadavere).

(Gregorio si avvicina a Relling, durante il loro colloquio il vecchio Ekdal li fissa agitato, commosso — il dialogo tra Relling e Gregorio deve essere detto in brevissimo tempo).

Relling. (a Gregorio) Quello non fu un colpo accidentale....

Greg. (commosso) Sarebbe a dire?

Relling. Ha puntato la pistola al petto.... È un suicidio non una disgrazia.

Greg. (commosso) Osservò la nobiltà di cuore di Erminio?

Relling. Davanti alla morte tutti diventano tali.... In poco tempo non si ricorderà più di lei.

Greg. E che, Erminio?...

Relling. Non parliamone ora.

Greg. (colpito da un’idea) Relling.... Temo d’avere questo torto.... La vita non vale nulla.

Relling. Varrebbe ancora qualche cosa se voi vi rinunciaste e ci lasciaste in pace. — Ma andiamo da loro. (via)

Ekdal. (va dalla parte ove uscirono Relling e Gregorio, è commosso e pallido) Edvige, Edvige.... (con voce terribile) È la foresta, è la foresta che si è vendicata, (va vacillando verso il solaio).

FINE

Nota del Trascrittore

Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo senza annotazione minimi errori tipografici.

Copertina creata dal trascrittore e posta nel pubblico dominio.